Language of document : ECLI:EU:T:2021:331

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

9 giugno 2021 (*)

«Aiuti di Stato – Vendita di bevande in lattina in esercizi commerciali frontalieri in Germania ai residenti stranieri – Esenzione dal deposito cauzionale a condizione di consumare fuori dal territorio tedesco le bevande acquistate – Denuncia – Decisione della Commissione di non sollevare obiezioni – Ricorso di annullamento – Legittimazione ad agire – Ricevibilità – Presupposti per l’apertura di un procedimento d’indagine formale – Errore di diritto – Serie difficoltà – Nozione di “aiuto di Stato” – Risorse statali – Mancata imposizione di un’ammenda»

Nella causa T‑47/19,

Dansk Erhverv, con sede a Copenaghen (Danimarca), rappresentata da T. Mygind e H. Peytz, avvocati,

ricorrente,

sostenuta da

Danmarks Naturfredningsforening, con sede a Copenaghen, rappresentata da T. Mygind e H. Peytz, avvocati,

interveniente,

contro

Commissione europea, rappresentata da B. Stromsky e T. Maxian Rusche, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Repubblica federale di Germania, rappresentata da J. Möller, R. Kanitz, S. Heimerl e S. Costanzo, in qualità di agenti,

e da

Interessengemeinschaft der Grenzhändler (IGG), con sede a Flensburg (Germania), rappresentata da M. Bauer e F. von Hammerstein, avvocati,

intervenienti,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione C(2018) 6315 final della Commissione, del 4 ottobre 2018, relativa all’aiuto di Stato SA.44865 (2016/FC) – Germania – Presunti aiuti in favore di negozi di bevande situati alla frontiera tedesca,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata),

composto da S. Papasavvas, presidente, S. Gervasoni (relatore), P. Nihoul, R. Frendo e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici,

cancelliere: E. Artemiou, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 novembre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

A.      Sistema tedesco di deposito cauzionale per determinati imballaggi di bevande monouso

1        La Verordnung über die Vermeidung und Verwertung von Verpackungsabfällen (decreto relativo alla prevenzione e al riciclaggio dei rifiuti di imballaggio), del 21 agosto 1998 (BGBl. 1998 I, pag. 2379; in prosieguo: la «VerpackV»), recepisce la direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (GU 1994, L 365, pag. 10).

2        L’articolo 9, paragrafo 1, della VerpackV istituisce un sistema di deposito cauzionale per determinati imballaggi di bevande monouso (in prosieguo: il «sistema di deposito cauzionale»). Esso prevede, in particolare, quanto segue:

«I distributori che commercializzano bevande in imballaggi monouso di capacità compresa tra 0,1 e 3 litri devono addebitare ai clienti un deposito cauzionale pari ad almeno EUR 0,25 per imballaggio, compresa l’imposta sul valore aggiunto. La prima frase non si applica agli imballaggi venduti ai consumatori finali al di fuori dell’ambito di applicazione territoriale della VerpackV. Il deposito cauzionale è addebitato da ogni distributore successivo, in ciascuna fase della catena commerciale, fino alla vendita dell’imballaggio al consumatore finale. I distributori indicano sugli imballaggi delle bevande vendute in imballaggi monouso soggette all’obbligo di deposito cauzionale a norma della prima frase del presente paragrafo, prima della loro commercializzazione, in modo chiaramente visibile e leggibile, che esse sono soggette al deposito cauzionale, e partecipano a un sistema di deposito cauzionale istituito a livello federale che consente ai partecipanti di gestire tra loro le richieste di rimborso dell’importo del deposito cauzionale. Quest’ultimo è rimborsato all’atto della restituzione dell’imballaggio. Esso non può essere rimborsato qualora l’imballaggio non venga restituito (...)».

3        Pertanto, il deposito cauzionale deve essere riscosso in tutte le fasi della catena di distribuzione fino alla vendita del prodotto al consumatore finale e il suo importo deve essere rimborsato dopo la restituzione dell’imballaggio.

4        Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, punto 14, della VerpackV, la mancata riscossione del deposito cauzionale, in violazione dell’articolo 9, paragrafo 1, della stessa, configura un illecito amministrativo. L’articolo 69, paragrafo 3, del Gesetz zur Neuordnung des Kreislaufwirtschafts und Abfallrechts (legge di rifusione della normativa sull’economia circolare e della normativa sui rifiuti), del 24 febbraio 2012 (BGBl. 2012 I, pag. 212; in prosieguo: la «legge di riordino della normativa sui rifiuti»), prevede che questo tipo di infrazione può essere sanzionato con un’ammenda di importo pari nel massimo a EUR 100 000.

5        Il sistema di deposito cauzionale è entrato in vigore il 1° gennaio 2003.

6        Nel 2005, le imprese del settore tedesco della vendita al dettaglio e delle bevande hanno costituito la Deutsche Pfandsystem GmbH (in prosieguo: la «DPG»). La DPG mette a disposizione il quadro giuridico e organizzativo che consente ai distributori partecipanti al sistema di deposito cauzionale di effettuare tra loro la compensazione del deposito cauzionale.

B.      Procedimento amministrativo

7        La ricorrente, Dansk Erhverv, è un’associazione di categoria che rappresenta gli interessi di imprese danesi. Il 14 marzo 2016 essa ha presentato una denuncia in materia di aiuti di Stato alla Commissione europea.

8        Secondo tale denuncia, la Repubblica federale di Germania concederebbe a un gruppo di imprese di vendita al dettaglio della Germania settentrionale, vale a dire negozi situati in prossimità della frontiera e che si rivolgono esclusivamente a consumatori residenti in paesi frontalieri, segnatamente in Danimarca, un aiuto illegittimo, incompatibile con il mercato interno, che consisterebbe in un’esenzione dall’obbligo generale di riscuotere il deposito cauzionale sugli imballaggi di bevande monouso previsto all’articolo 9, paragrafo 1, della VerpackV.

9        La ricorrente ha precisato a tale riguardo che i negozi frontalieri vendevano bevande confezionate in imballaggi monouso ai consumatori danesi e svedesi senza riscuotere il relativo deposito cauzionale (EUR 0,25, imposte comprese, per lattina). Secondo la ricorrente, essi omettono di riscuotere il deposito cauzionale con il consenso delle autorità dei due Länder interessati, vale a dire lo Schleswig‑Holstein e il Meclemburgo‑Pomerania anteriore (Germania). Infatti, tali autorità non impongono ammende ai negozi frontalieri quando non riscuotono il deposito cauzionale. Peraltro, l’esenzione dal deposito cauzionale implica anche un’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa all’importo di tale deposito.

10      Secondo le autorità federali tedesche interpellate dalla Commissione in seguito alla denuncia della ricorrente, i prezzi della birra e di altre bevande sono nettamente più elevati in paesi frontalieri quali la Danimarca rispetto alla Germania, a motivo, tra l’altro, delle differenze relative ai prezzi all’ingrosso, all’IVA e alle accise. Di conseguenza, si è sviluppato un commercio frontaliero specializzato, nel cui ambito i venditori al dettaglio stabiliti nei due Länder interessati si rivolgono ai clienti frontalieri, in particolare danesi. Una ventina di imprese che raggruppano circa sessanta negozi pratica questo tipo di commercio frontaliero. Tali imprese (in prosieguo: i «negozi frontalieri») occupano circa 3 000 persone e hanno costituito l’Interessengemeinschaft der Grenzhändler (IGG), un’associazione che rappresenta gli interessi dei negozi frontalieri. L’offerta di tali punti vendita, che sono generalmente situati a pochi chilometri dalla frontiera tedesco‑danese o dai porti dei traghetti, è costituita sostanzialmente da prodotti danesi e svedesi. Detti negozi frontalieri vendono principalmente birra, acqua minerale e bibite, ma anche vino, bevande alcoliche, dolciumi e prodotti del tabacco. La birra, l’acqua minerale e le bibite sono vendute esclusivamente in grandi confezioni, vale a dire in «vassoi» (segnatamente in vassoi da 24 lattine avvolte in pellicola di plastica).

11      Le autorità federali tedesche hanno inoltre spiegato che l’applicazione della VerpackV e, di conseguenza, del sistema di deposito cauzionale rientrava nella competenza delle autorità regionali, conformemente alla ripartizione delle competenze prevista dal Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (legge fondamentale della Repubblica federale di Germania) del 23 maggio 1949 (BGBl 1949 I, pag. 1; in prosieguo: il «GG»). A loro avviso, solo tali autorità possono far applicare le disposizioni della VerpackV mediante un’ingiunzione amministrativa o imponendo ammende, in quanto il governo federale non dispone al riguardo di alcuna competenza esecutiva propria.

12      Infine, le autorità federali tedesche hanno dichiarato che i negozi frontalieri erano tenuti a riscuotere il deposito cauzionale ai sensi della VerpackV, ma hanno aggiunto che, visti gli obiettivi del sistema di deposito cauzionale, che mira in particolare a sostenere il sistema tedesco di riciclaggio esistente, in cui gli imballaggi di bevande monouso sono reintrodotti nel circuito economico, le autorità di esecuzione dei due Länder interessati (in prosieguo: le «autorità regionali tedesche competenti») avevano ritenuto che l’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale non si applicasse ai negozi frontalieri se le bevande erano vendute esclusivamente a clienti residenti in particolare in Danimarca e se questi ultimi si impegnavano per iscritto (sottoscrivendo una «dichiarazione di esportazione») a consumare dette bevande e ad eliminare il loro imballaggio fuori dal territorio tedesco. Le autorità federali tedesche hanno precisato che ciascuna di tali vendite era registrata separatamente, con il nome del cliente, il numero della sua carta d’identità, la sua firma e il numero dello scontrino di cassa. Esse hanno inoltre indicato che la vendita senza deposito cauzionale era limitata ai vassoi imballati con pellicola di plastica (che contenevano, di norma, 24 lattine).

C.      Decisione adottata dalla Commissione

13      Il 4 ottobre 2018 la Commissione ha adottato la decisione C(2018) 6315 final relativa all’aiuto di Stato SA.44865 (2016/FC) – Germania – Presunti aiuti in favore di negozi di bevande situati alla frontiera tedesca (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

14      Nella decisione impugnata, la Commissione si è limitata ad esaminare la condizione relativa alle risorse statali, enunciata all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. A tale proposito, essa ha analizzato in ordine successivo le tre misure che potrebbero costituire un vantaggio finanziato mediante risorse statali (in prosieguo: le «misure controverse»): la mancata riscossione del deposito cauzionale stesso, la mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale e la mancata imposizione di un’ammenda alle imprese che non riscuotono il deposito cauzionale.

15      Per quanto riguarda la mancata riscossione del deposito cauzionale, la Commissione ha dichiarato, ai punti 32 e 33 della decisione impugnata, che tale misura non costituiva un aiuto di Stato, in quanto il sistema di deposito cauzionale non era finanziato mediante risorse statali. Essa ha rilevato che la ricorrente non sosteneva che la mancata riscossione del deposito cauzionale costituisse, di per sé, una misura finanziata mediate siffatte risorse.

16      Per quanto riguarda la mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale, la Commissione ha spiegato, ai punti 41 e 42 della decisione impugnata, che, quando il deposito cauzionale non era addebitato dai negozi frontalieri ai clienti, la mancata riscossione dell’IVA ad esso relativa da parte di tali negozi e successivamente dello Stato era la normale conseguenza dell’applicazione delle regole generali in materia di IVA. Infatti, secondo la Commissione, poiché l’IVA doveva essere riscossa sul prezzo di un’operazione (prestazione di un servizio o cessione di un bene), non vi era luogo di riscuoterla in assenza di tale operazione. La Commissione ne ha dedotto che la mancata riscossione dell’IVA non era intesa, per la sua finalità e la sua struttura, a creare un vantaggio che costituiva un onere supplementare per lo Stato e che tale misura non era, pertanto, un aiuto di Stato.

17      Per quanto riguarda la mancata imposizione di un’ammenda alle imprese che non applicavano il sistema di deposito cauzionale, la Commissione ha anzitutto definito il quadro generale di analisi applicabile in materia di mancata imposizione di un’ammenda (punti da 45 a 49 della decisione impugnata) e ha poi applicato tale quadro di analisi alla mancata imposizione di un’ammenda (punti da 50 a 69 della decisione impugnata).

18      La Commissione ha ricordato, ai punti 45 e 47 della decisione impugnata, che, secondo la giurisprudenza, l’esenzione dall’obbligo di pagare un’ammenda può, in linea di principio, configurare un vantaggio concesso mediante risorse statali. Essa ha tuttavia precisato che, quando si tratta di stabilire se ricorra il presupposto relativo alle risorse statali, occorre, in linea di principio, distinguere i casi in cui le autorità nazionali hanno previsto la possibilità di evitare il pagamento di un’ammenda normalmente esigibile da quelli nei quali esse non impongono sanzioni in quanto hanno espressamente autorizzato un determinato comportamento.

19      La Commissione ha aggiunto, ai punti 48 e 49 della decisione impugnata, che l’interpretazione di una norma nazionale che prevede un obbligo può risultare difficile per le stesse autorità nazionali, in particolare quando esse siano incaricate della sua applicazione. Quando tali autorità sono confrontate con seri e ragionevoli dubbi riguardo alla portata e all’interpretazione di tale obbligo, la mancata imposizione di un’ammenda non è necessariamente il risultato di una decisione di dette autorità di non riscuotere le ammende esigibili, bensì la mera conseguenza di difficoltà di interpretazione. Secondo la Commissione, tali difficoltà sono purtroppo inerenti ad ogni sistema giuridico, pur essendo generalmente limitate ad alcune disposizioni specifiche. Di conseguenza, la Commissione ha ritenuto che si debba anche distinguere tra le situazioni nelle quali le autorità si trovano di fronte a difficoltà di interpretazione della legge, nel normale esercizio delle loro prerogative di potere pubblico, e le situazioni nelle quali esse decidono di non riscuotere le ammende pur esigibili o danno alle imprese la possibilità di evitarne il pagamento. La Commissione ha poi considerato, al punto 50 della decisione impugnata, che le autorità regionali tedesche competenti ritenevano che i negozi frontalieri non fossero tenuti ex lege a riscuotere il deposito cauzionale, cosicché la sua mancata riscossione non costituiva, secondo dette autorità, una violazione e la mancata imposizione dell’ammenda era la mera conseguenza di tale assenza di violazione.

20      Tuttavia, al punto 51 della decisione impugnata, la Commissione ha affermato che, a suo parere, alla luce del tenore letterale dell’articolo 9, paragrafo 1, della VerpackV, tale disposizione, nella misura in cui si applicava al «territorio tedesco» e alla «messa in circolazione della bevanda», doveva essere intesa nel senso che imponeva ai negozi frontalieri di riscuotere il deposito cauzionale.

21      Nondimeno essa ha aggiunto, al punto 52 della decisione impugnata, che si poteva anche ritenere che l’assenza dell’obbligo per i negozi frontalieri di riscuotere il deposito cauzionale quando vendevano bevande in lattina esclusivamente a consumatori «residenti all’estero» che si impegnavano a consumare tali bevande fuori dalla Germania fosse coerente con i principi guida della VerpackV.

22      La Commissione ha precisato, al punto 53 della decisione impugnata, che, per giustificare la loro interpretazione della VerpackV, secondo la quale i negozi frontalieri non erano tenuti a riscuotere il deposito cauzionale, le autorità regionali tedesche competenti si basavano sull’obiettivo di tale normativa, vale a dire promuovere la restituzione degli imballaggi di bevande monouso in Germania e, più precisamente, incentivare i clienti, soprattutto in Germania, a rimettere gli imballaggi di bevande vuoti nel sistema di raccolta e riciclaggio attuato in tutto il paese, che era facilmente accessibile ai residenti tedeschi. La Commissione ha puntualizzato che, secondo l’interpretazione delle autorità regionali tedesche competenti, tale obiettivo non richiedeva l’applicazione del deposito cauzionale a bevande in lattina consumate all’estero e i cui imballaggi non venivano riportati in Germania. Essa ha aggiunto che, sempre secondo l’interpretazione delle autorità regionali tedesche competenti, i negozi frontalieri si trovavano nella stessa situazione degli esportatori di bevande in lattina, i quali vendevano prodotti non destinati al consumo in Germania e i cui imballaggi erano destinati ad essere smaltiti lontano dagli impianti di riciclaggio integrati nel sistema tedesco. Orbene, la VerpackV non imponeva a tali esportatori di riscuotere il deposito cauzionale.

23      La Commissione ha indicato, ai punti da 56 a 58 della decisione impugnata, che la posizione delle autorità regionali tedesche competenti si basava, in particolare, su una relazione elaborata nel 2005, su richiesta dei negozi frontalieri, da un professore di diritto. Secondo detta relazione, l’obbligo imposto a tali negozi di riscuotere il deposito cauzionale era in contrasto con il GG, con talune disposizioni del diritto primario dell’Unione europea, vale a dire gli articoli 18, 34 e 35 TFUE, nonché con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 94/62, nella misura in cui si estendeva alla vendita di bevande in lattina consumate all’estero. In particolare, il deposito cauzionale rappresentava un ostacolo agli scambi per i consumatori finali dei negozi frontalieri che non restituivano in alcun caso gli imballaggi vuoti delle bevande per recuperare il deposito cauzionale.

24      La Commissione ha aggiunto, ai punti 59 e 60 della decisione impugnata, che, secondo un’altra relazione, parimenti elaborata nel 2005, ma questa volta su richiesta del governo federale tedesco, il sistema di deposito cauzionale non violava né il GG né il diritto dell’Unione, mentre, al contrario, la mancata riscossione del deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri presso i clienti che consumavano le bevande all’estero era in contrasto con la direttiva 94/62.

25      La Commissione ha concluso, al punto 61 della decisione impugnata, che, sebbene l’interpretazione adottata dalle autorità regionali tedesche competenti non fosse in linea con quella delle autorità federali, quest’ultima non era stata confermata da una decisione giudiziaria, e le uniche decisioni giudiziarie, risalenti al 2003, tendevano a confermare l’interpretazione delle autorità regionali tedesche competenti, come riconosciuto dalle autorità federali.

26      Sulla base degli elementi appena esposti, ritenendo che si potesse presumere che, quando un consumatore acquistava una bevanda in Germania per portarla in un altro Stato membro, l’imballaggio di tale bevanda non venisse riportato in Germania, ma entrasse nel sistema di gestione dei rifiuti dell’altro Stato membro, la Commissione ha osservato che sembrava ragionevole rinunciare all’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale quando un consumatore firmava una dichiarazione di esportazione, impegnandosi in tal modo a portare la bevanda in un altro Stato membro per consumarla e smaltirne l’imballaggio in tale Stato (punto 65 della decisione impugnata). La Commissione ha inoltre ricordato che gli Stati membri erano liberi di decidere se riscuotere o meno il deposito cauzionale, fatto salvo il rispetto del principio di non discriminazione (punto 67 della decisione impugnata). Essa ha rilevato che l’interpretazione adottata dalle autorità regionali tedesche competenti costituiva un compromesso ragionevole tra l’obiettivo di tutela dell’ambiente perseguito dalla direttiva 94/62 e la libera circolazione delle merci (punto 68 della decisione impugnata).

27      La Commissione ha concluso che le autorità regionali tedesche competenti si trovavano quindi ad affrontare, nel normale esercizio delle loro prerogative di potere pubblico, seri e ragionevoli dubbi riguardo alla portata e all’interpretazione dell’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale. In tali circostanze, la mancata imposizione di un’ammenda non configurava un vantaggio concesso mediante risorse statali e siffatta misura non poteva quindi essere qualificata come aiuto di Stato (punto 69 della decisione impugnata).

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

28      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 gennaio 2019, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

29      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 aprile 2019, la Repubblica federale di Germania ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con decisione del 9 settembre 2019, il presidente della Nona Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento. La Repubblica federale di Germania ha depositato la propria memoria e le parti principali hanno depositato le proprie osservazioni su quest’ultima nei termini impartiti. In detta memoria, essa ha dichiarato di condividere tutti gli argomenti della Commissione.

30      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 aprile 2019, la Danmarks Naturfredningsforening (in prosieguo: la «DN»), associazione per la tutela dell’ambiente in Danimarca, ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della ricorrente. Con ordinanza del 10 settembre 2019, il presidente della Nona Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento. La DN ha depositato la propria memoria e le parti principali hanno depositato le proprie osservazioni su tale memoria nei termini impartiti.

31      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 7 maggio 2019, la IGG ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza del 10 settembre 2019, il presidente della Nona Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento. La IGG ha depositato la propria memoria e le parti principali hanno depositato le proprie osservazioni su tale memoria nei termini impartiti.

32      A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Quarta Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

33      Su proposta della Quarta Sezione del Tribunale, quest’ultimo ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rinviare la causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato.

34      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, ha rivolto alle parti alcuni quesiti scritti, invitandole a rispondervi in udienza.

35      Le difese orali delle parti e le risposte di queste ultime ai quesiti scritti e orali posti dal Tribunale sono state sentite all’udienza del 19 novembre 2020.

36      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

37      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

38      La Repubblica federale di Germania chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

39      La DN chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

40      La IGG chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

III. In diritto

41      Occorre, in una prima fase, esaminare la ricevibilità del ricorso e, in una seconda fase, valutare la fondatezza degli argomenti dedotti dalla ricorrente.

A.      Sulla ricevibilità del ricorso

42      La Commissione ha contestato, nel controricorso, la legittimazione ad agire della ricorrente, esprimendo «dubbi» sull’esistenza di una distorsione della concorrenza provocata dalle misure controverse idonea a collocare la ricorrente in una situazione sfavorevole. A tale proposito, la Commissione ha affermato, nella controreplica, che la ricorrente non aveva fornito elementi di prova relativi all’identità dei suoi membri e alle attività che svolgevano.

43      Tuttavia, in udienza, in risposta a un quesito del Tribunale relativo all’applicazione della giurisprudenza pertinente nel caso di specie, la Commissione ha rinunciato ad opporre l’eccezione di irricevibilità basata sul difetto di legittimazione ad agire della ricorrente, circostanza di cui è stato dato atto nel verbale d’udienza.

44      Infatti, conformemente a una giurisprudenza costante, un’associazione che, al pari della ricorrente, rappresenta gli interessi di concorrenti dei beneficiari di una misura è una parte interessata ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione, C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punto 29 e giurisprudenza citata), come rilevato peraltro dalla Commissione al punto 1 della decisione impugnata. Orbene, tale parte è legittimata a contestare una decisione con cui la Commissione constata, nella fase preliminare di esame degli aiuti istituita dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, che una misura non costituisce un aiuto, a condizione che detta parte miri, con la proposizione del ricorso, a tutelare i diritti procedurali che le spetterebbero se la Commissione decidesse di avviare il procedimento d’indagine formale previsto dall’articolo 108, paragrafo 2, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 19 maggio 1993, Cook/Commissione, C‑198/91, EU:C:1993:197, punti da 23 a 26; del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 47, e del 13 dicembre 2005, Commissione/Aktionsgemeinschaft Recht und Eigentum, C‑78/03 P, EU:C:2005:761, punto 35).

45      Nel presente procedimento, la ricorrente deduce un motivo unico con cui sostiene che la Commissione, omettendo di avviare il procedimento d’indagine formale previsto dall’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, nonostante le serie difficoltà che sollevava l’esame delle misure controverse, ha violato i diritti procedurali di cui la ricorrente dispone in qualità di parte interessata ai sensi della medesima disposizione. In siffatte circostanze, la ricorrente è legittimata ad agire e il ricorso è di conseguenza ricevibile.

B.      Sull’esame del motivo unico

46      Come rilevato poc’anzi, la ricorrente deduce, a sostegno del suo ricorso, un motivo unico vertente sulla violazione dei propri diritti procedurali. Tale motivo unico è suddiviso in tre parti. Con la prima parte, la ricorrente deduce un esame insufficiente, da parte della Commissione, della compatibilità dell’esenzione dal deposito cauzionale con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, la direttiva 94/62, il principio «chi inquina paga» nonché talune disposizioni del diritto tedesco. Con la seconda parte, essa deduce un esame insufficiente, da parte della Commissione, della mancata riscossione di entrate IVA, poiché tale misura viene concessa mediante risorse statali. Infine, con la terza parte, la ricorrente deduce un esame insufficiente, da parte della Commissione, della misura consistente nella mancata imposizione di un’ammenda, dato che tale misura è parimenti concessa mediante risorse statali.

47      In limine, occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza, il procedimento istituito dall’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, che dà agli Stati membri, nonché agli ambienti interessati, la garanzia di poter farsi sentire e che consente alla Commissione d’essere completamente illuminata sul complesso dei dati del problema prima di adottare la propria decisione, si dimostra indispensabile non appena la Commissione si trovi in serie difficoltà nel valutare se un progetto d’aiuto sia compatibile col mercato interno. Se ne deve desumere che la Commissione può limitarsi alla fase preliminare di cui all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, per decidere a favore di un progetto d’aiuti solo nel caso in cui essa sia in grado di acquisire la convinzione, in esito ad un primo esame, che tale progetto è compatibile col Trattato. Per contro, qualora questo primo esame abbia convinto la Commissione del contrario, oppure non le abbia consentito di superare tutte le difficoltà inerenti alla valutazione della compatibilità di detto progetto col mercato interno, essa è tenuta a chiedere tutti i pareri necessari e ad avviare, a tale scopo, il procedimento di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE (sentenze del 20 marzo 1984, Germania/Commissione, 84/82, EU:C:1984:117, punto 13, e del 24 gennaio 2013, 3F/Commissione, C‑646/11 P, non pubblicata, punto 28).

48      Occorre inoltre rammentare che, quando un ricorrente sostiene che una decisione adottata dalla Commissione sul fondamento dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, viola i suoi diritti procedurali, egli può invocare qualsiasi motivo, compreso un motivo vertente su un errore di diritto, idoneo a dimostrare che la valutazione delle informazioni e degli elementi di cui la Commissione disponeva, all’atto della fase preliminare di esame della misura controversa, avrebbe dovuto suscitare dubbi circa la sua compatibilità con il mercato interno (v., in tal senso, sentenza del 24 maggio 2011, Commissione/Kronoply e Kronotex, C‑83/09 P, EU:C:2011:341, punto 59). Il contenuto insufficiente e incompleto dell’esame svolto dalla Commissione nella fase preliminare costituisce un indizio, tra altri, che consente di considerare che la Commissione non era in grado di superare tutte le serie difficoltà incontrate riguardo alla questione se la misura di cui trattasi costituisca un aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Ryanair/Commissione, T‑512/11, non pubblicata, EU:T:2014:989, punto 106).

49      Occorre esaminare in successione ciascuna delle tre parti del motivo unico, precisando che l’esame delle ultime due parti, entrambe vertenti sulla condizione relativa alle risorse statali, è concentrato in una medesima sezione.

1.      Sulla prima parte del motivo unico

50      La ricorrente sostiene che la Commissione non ha preso in considerazione, nel suo esame della misura consistente nell’esenzione dalla riscossione del deposito cauzionale, gli obblighi incombenti alla Repubblica federale di Germania che derivano dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dalla direttiva 94/62, dal principio «chi inquina paga» e dal diritto tedesco.

51      La ricorrente sostiene che il fatto che detta misura non sia conforme a tali diverse norme invalida l’analisi contenuta nella decisione impugnata per quanto riguarda la questione dell’esistenza di un aiuto di Stato e implica che la Commissione non era in grado di valutare correttamente se la mancata riscossione del deposito cauzionale e, pertanto, il mancato pagamento dell’IVA sul medesimo nonché l’esenzione dall’ammenda costituissero o meno un aiuto.

52      La ricorrente sottolinea che spetta alla Commissione garantire che i sistemi nazionali che recepiscono la direttiva 94/62 siano effettivamente applicati e che tale recepimento dia luogo all’adozione di una normativa sufficientemente chiara. Essa aggiunge che la Repubblica federale di Germania non ha provveduto a garantire il raggiungimento del risultato perseguito da tale direttiva e afferma inoltre che la Commissione non ha tenuto conto dei notevoli effetti negativi sull’ambiente provocati dalla mancata riscossione del deposito cauzionale.

53      La ricorrente critica peraltro vari punti della decisione impugnata contenuti nella parte della stessa dedicata alla mancata imposizione di un’ammenda ai negozi frontalieri.

54      La Commissione sostiene che la prima parte del motivo unico è inconferente, tesi che la ricorrente contesta.

55      La DN sostiene che la decisione impugnata si basa su presupposti ambientali manifestamente erronei e ignora i notevoli effetti nefasti sull’ambiente danese della prassi relativa alla dichiarazione di esportazione. Essa afferma che dal 2005 organizza ogni anno eventi denominati «raccolta dei rifiuti», intesi a tutelare l’ambiente danese mediante la raccolta dei rifiuti, e che, dal 2008, si è dedicata alla raccolta delle lattine vuote, raccogliendone oltre 1,6 milioni. Secondo le sue osservazioni, tra il 90 e il 95% delle lattine così raccolte sarebbero lattine acquistate da consumatori danesi nei negozi frontalieri senza l’applicazione del sistema di deposito cauzionale.

56      La IGG sostiene che la Commissione, durante la fase amministrativa, ha verificato la conformità del sistema di deposito cauzionale con la direttiva 94/62 e non ha avuto dubbi circa la legittimità della prassi consistente nell’esenzione dal deposito cauzionale fondata sull’uso delle dichiarazioni di esportazione. Siffatta esenzione sarebbe perfettamente conforme alla direttiva 94/62. Gli Stati membri non sarebbero tenuti ad estendere il sistema di deposito cauzionale alle vendite per le quali non può essere conseguito l’obiettivo di tale deposito, vale a dire la restituzione degli imballaggi vuoti, in quanto molti consumatori non hanno la possibilità di rendere gli imballaggi vuoti e farsi rimborsare il prezzo del deposito cauzionale. La IGG non condivide le preoccupazioni della ricorrente secondo le quali la mancata riscossione del deposito cauzionale avrebbe effetti negativi sull’ambiente in Danimarca. Il fatto che i negozi frontalieri addebitino un deposito cauzionale che non sarà rimborsato in Danimarca non contribuirebbe alla raccolta degli imballaggi vuoti e pertanto non ridurrebbe il volume dei rifiuti di imballaggio. L’applicazione sistematica del deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri avrebbe l’effetto economico di un prelievo all’esportazione. Imporre un deposito cauzionale sulle vendite dei negozi frontalieri ostacolerebbe la libera circolazione delle merci, mentre l’obiettivo del deposito cauzionale, vale a dire il recupero delle lattine vuote, non potrebbe essere raggiunto. L’applicazione sistematica del deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri non sarebbe quindi proporzionata.

57      Come risulta dall’esposizione dell’argomento della ricorrente, la prima parte del motivo unico si basa, in sostanza, su serie difficoltà derivanti dalla violazione, da parte della misura in questione, di obblighi che incombono alla Repubblica federale di Germania. Occorre rilevare che tali obblighi non derivano dalle disposizioni del Trattato FUE o dal diritto derivato applicabile in materia di aiuti di Stato, bensì da altre disposizioni del diritto dell’Unione, o del diritto tedesco. Si tratta, segnatamente, delle disposizioni relative alla tutela dell’ambiente.

58      Alla luce degli argomenti delle parti e, in particolare, di quello dedotto dalla Commissione nel controricorso, fondato sul carattere inconferente della prima parte del motivo unico, occorre precisare in quale misura la violazione di disposizioni che non riguardano il diritto degli aiuti di Stato possa essere utilmente invocata per dimostrare l’illegittimità di una decisione adottata in materia dalla Commissione.

59      A tale proposito, occorre distinguere a seconda che la decisione di cui trattasi della Commissione statuisca sulla compatibilità di un aiuto con il mercato interno oppure si pronunci, come nel caso di specie, sull’esistenza di un aiuto.

60      Nel primo caso, come la Corte ha dichiarato nella sentenza del 15 aprile 2008, Nuova Agricast (C‑390/06, EU:C:2008:224, punti 50 e 51), dall’economia generale del Trattato FUE si evince che il procedimento previsto dall’articolo 108 dello stesso non deve mai pervenire ad un risultato contrario a norme specifiche del Trattato. Pertanto, un aiuto di Stato che, in considerazione di determinate sue modalità, contrasti con altre disposizioni del Trattato FUE non può essere dichiarato dalla Commissione compatibile con il mercato interno. Tale giurisprudenza è stata confermata dalla sentenza del 22 settembre 2020, Austria/Commissione (C‑594/18 P, EU:C:2020:742, punti 44 e 45).

61      Così, la violazione da parte di una misura nazionale, precedentemente qualificata come aiuto di Stato, di disposizioni del Trattato FUE diverse da quelle relative agli aiuti di Stato può essere utilmente invocata per contestare la legittimità di una decisione con la quale la Commissione ritiene che un siffatto aiuto sia compatibile con il mercato interno.

62      Nel secondo caso, relativo a una decisione della Commissione che statuisce sull’esistenza di un aiuto, non può dirsi altrettanto. Infatti, la qualificazione di una misura nazionale come aiuto di Stato si basa sulle condizioni tassativamente enunciate dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. In primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o mediante risorse statali; in secondo luogo, tale intervento deve poter incidere sugli scambi tra gli Stati membri; in terzo luogo, deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario e, in quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 53). Orbene, nessuna di tali condizioni rinvia ad altre disposizioni del Trattato FUE o alla legislazione adottata dall’Unione europea in materia di ambiente.

63      Così, la Corte ha statuito che la necessità di tener conto delle esigenze di tutela dell’ambiente, quali risultano dalle disposizioni dei Trattati, per legittime che siano, è priva di incidenza sull’applicazione della condizione relativa alla selettività di cui all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE e non giustifica l’esclusione di misure selettive, fossero anche specifiche come le ecotasse, dall’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, poiché la considerazione degli obiettivi ambientali può in ogni caso intervenire in modo utile in sede di valutazione della compatibilità della misura di aiuto di Stato con il mercato interno, conformemente all’articolo 107, paragrafo 3, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione, C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punti da 90 a 92, e dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi, C‑279/08 P, EU:C:2011:551, punto 75).

64      Inoltre, la Corte ha considerato che la circostanza che una misura nazionale sia autorizzata da un’istituzione conformemente a disposizioni del diritto dell’Unione diverse da quelle relative agli aiuti di Stato non osta a che la Commissione constati che tale misura costituisce un aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenza del 10 dicembre 2013, Commissione/Irlanda e a., C‑272/12 P, EU:C:2013:812, punti 46, 47, 49 e 53). Analogamente, il fatto che vengano perseguiti, con una misura nazionale, fini di interesse generale – rientranti, nella causa in esame, nel diritto nazionale, ma che possono parimenti rientrare nel diritto dell’Unione – quali la tutela dell’ambiente, è una circostanza «irrilevante» in fase di qualificazione come aiuto di Stato operata sul fondamento delle disposizioni dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 13 febbraio 2003, Spagna/Commissione, C‑409/00, EU:C:2003:92, punti 53 e 54).

65      Sarebbe quindi contrario al tenore letterale dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE ritenere che una misura nazionale, in quanto in contrasto con altre disposizioni del Trattato, costituisca un aiuto di Stato pur non soddisfacendo le condizioni espressamente previste da detta disposizione al fine di individuare un aiuto.

66      Per di più, le disposizioni degli articoli 107 e 108 TFUE perseguono un obiettivo specifico, ossia evitare che gli interventi di uno Stato membro abbiano l’effetto di falsare le condizioni di concorrenza nel mercato interno, che non corrisponde necessariamente agli obiettivi perseguiti da altre disposizioni dei trattati. Inoltre, per l’attuazione delle disposizioni degli articoli 107 e 108 TFUE, diversamente da quanto si verifica per altre disposizioni del Trattato, è lasciato ampio spazio all’intervento della Commissione (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2002, Nygård, C‑234/99, EU:C:2002:244, punto 55). Infine, gli effetti che comporta l’applicazione di tali disposizioni sono considerevoli, in quanto la Commissione può imporre a uno Stato membro di sospendere l’esecuzione di una misura nazionale, di abolirla o di modificarla entro un termine da essa stabilito. Tenuto conto di tali particolarità, l’ambito di applicazione del sistema di esame delle misure di aiuto istituito dagli articoli 107 e 108 TFUE non può essere esteso oltre le misure nazionali che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

67      Certamente, l’articolo 11 TFUE dispone che le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione. Tuttavia, una simile integrazione deve avvenire nell’ambito dell’esame della compatibilità di un aiuto e non dell’esame della sua esistenza.

68      Di conseguenza, il fatto che una misura nazionale violi disposizioni del diritto dell’Unione diverse da quelle relative agli aiuti di Stato non può essere utilmente invocato, in quanto tale, al fine di dimostrare che tale misura è un aiuto di Stato.

69      Lo stesso può dirsi, a fortiori, per quanto riguarda le disposizioni del diritto di uno Stato membro.

70      Infatti, per costante giurisprudenza, tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio d’uguaglianza esigono che una disposizione di diritto dell’Unione che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell’intera Unione, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa (v. sentenza del 27 febbraio 2003, Adolf Truley, C‑373/00, EU:C:2003:110, punto 35 e giurisprudenza citata).

71      Orbene, nel caso di specie, l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE non contiene alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri.

72      Inoltre, non spetta alla Commissione, ma ai giudici nazionali competenti, controllare la legittimità di provvedimenti nazionali alla luce del diritto interno.

73      Se si ammettesse che la violazione delle disposizioni del diritto di uno Stato membro debba portare la Commissione a qualificare misure nazionali come aiuto di Stato, essa potrebbe essere indotta a pronunciarsi sulla legittimità di tali misure alla luce del diritto interno, in violazione della competenza dei giudici nazionali.

74      Dalle suesposte considerazioni risulta che la prima parte del motivo unico, relativa all’esame insufficiente da parte della Commissione della misura consistente nella mancata riscossione del deposito cauzionale, alla luce di obblighi imposti alla Repubblica federale di Germania che non risultano da disposizioni del Trattato o del diritto derivato applicabili in materia di aiuti di Stato, bensì discendono da altre disposizioni del diritto dell’Unione e del diritto nazionale, anche supponendo che sia fondata, non può condurre all’annullamento della decisione impugnata.

75      Occorre quindi respingere la prima parte del motivo unico in quanto inconferente, come correttamente sostenuto dalla Commissione.

76      Tuttavia, alcune critiche mosse dalla ricorrente nei confronti di vari punti della decisione impugnata contenuti nella parte di quest’ultima dedicata alla mancata imposizione di un’ammenda ai negozi frontalieri e gli argomenti relativi all’assenza di difficoltà di interpretazione del diritto applicabile, che possono riguardare anche la mancata imposizione di un’ammenda, saranno esaminati, per quanto necessario, nel contesto della terza parte del motivo unico.

2.      Sulle parti seconda e terza del motivo unico, vertenti sulla condizione relativa alle risorse statali

77      Secondo una giurisprudenza costante, solo i vantaggi concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali o che costituiscono un onere supplementare per lo Stato vanno considerati aiuti ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Emerge infatti dal tenore stesso di tale disposizione e dalle norme procedurali di cui all’articolo 108 TFUE che i vantaggi concessi con mezzi diversi dalle risorse statali esulano dall’ambito di applicazione delle disposizioni di cui trattasi (sentenze del 17 marzo 1993, Sloman Neptun, C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97, punto 19, e del 19 marzo 2013, Bouygues e Bouygues Télécom/Commissione e a. e Commissione/Francia e a., C‑399/10 P e C‑401/10 P, EU:C:2013:175, punto 99).

78      Nella decisione impugnata, la Commissione ha constatato che la condizione relativa alle risorse statali non era soddisfatta, né per quanto riguarda la mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale, né per quanto riguarda la mancata imposizione di un’ammenda. Essa ha concluso, sulla base della sola constatazione della mancanza di risorse statali, che le due misure suddette non costituivano un aiuto di Stato.

79      Occorre esaminare anzitutto la seconda parte del motivo unico relativa alla mancata riscossione dell’IVA sul deposito cauzionale.

a)      Sulla seconda parte del motivo unico

80      La ricorrente sostiene che la Commissione ha erroneamente fatto riferimento alla sentenza del 17 marzo 1993, Sloman Neptun (C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97), nella parte della decisione impugnata dedicata alla mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri e successivamente dello Stato. Infatti, tale misura, a differenza di quella oggetto di detta sentenza, non si inserirebbe in un «sistema legittimo».

81      La ricorrente si basa su un insieme di argomenti diretti a dimostrare che la mancata riscossione del deposito cauzionale, fondata sulla prassi della dichiarazione di esportazione, non è legittima e che, di conseguenza, la mancata riscossione dell’IVA costituisce un vantaggio finanziato mediante risorse statali. Essa si riferisce, in particolare, alla violazione di varie norme giuridiche già invocate nella prima parte del motivo unico.

82      La ricorrente sostiene che, per poter considerare che una misura nazionale non è finanziata mediante risorse statali, lo Stato membro interessato deve agire come regolatore quando adotta detta misura. Orbene, tale ipotesi non ricorre allorché lo Stato membro rinuncia ad entrate per effetto di una misura che viola il diritto dell’Unione.

83      La ricorrente afferma inoltre che la mancata riscossione del deposito cauzionale è applicata per un motivo che non presenta alcun nesso con l’obiettivo perseguito dal sistema di deposito cauzionale, vale a dire il mantenimento dell’occupazione e il miglioramento della competitività dei negozi frontalieri.

84      Inoltre, la ricorrente sostiene che tale misura conduce a concedere un vantaggio selettivo ai suoi beneficiari e mira ad esentare i negozi frontalieri dall’IVA relativa al prezzo del deposito cauzionale.

85      La Commissione conclude per il rigetto della seconda parte del motivo unico. A tale proposito, essa sostiene, in particolare, che la mancata riscossione del deposito cauzionale è la questione principale nel caso di specie e che la mancata riscossione dell’IVA è solo una conseguenza «secondaria» di tale mancata riscossione del deposito cauzionale (o «inerente», secondo il termine utilizzato nella sentenza del 17 marzo 1993, Sloman Neptun, C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97).

86      La DN sostiene l’argomentazione della ricorrente. Essa richiama, in particolare, la sentenza del 12 ottobre 2000, Spagna/Commissione (C‑480/98, EU:C:2000:559).

87      La IGG sostiene l’argomentazione della Commissione. Essa aggiunge che l’articolo 9, paragrafo 1, della VerpackV è collegato all’articolo 92, lettera b), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1), il quale prevede che, per quanto riguarda gli importi degli imballaggi da rendere, gli Stati membri possono includerli nella base imponibile adottando le misure necessarie per regolarizzare detta base quando gli imballaggi sono effettivamente resi.

88      In via preliminare, occorre respingere, sulla base delle considerazioni esposte in risposta alla prima parte del motivo unico, gli argomenti relativi alla violazione di diverse disposizioni del diritto dell’Unione europea e del diritto tedesco già invocate dalla ricorrente in tale parte.

89      Inoltre, nei limiti in cui la parte in esame riguarda la condizione relativa all’esistenza di risorse statali, occorre rammentare che, per accertare se il vantaggio accordato al beneficiario gravi sul bilancio dello Stato, si deve verificare se esista un nesso sufficientemente diretto tra, da un lato, detto vantaggio e, dall’altro, una riduzione del bilancio statale o un rischio economico sufficientemente concreto di oneri gravanti su tale bilancio (v. sentenza del 19 marzo 2013, Bouygues e Bouygues Télécom/Commissione e a. e Commissione/Francia e a., C‑399/10 P e C‑401/10 P, EU:C:2013:175, punto 109 e giurisprudenza citata).

90      Nel caso di specie, per giungere alla conclusione che la mancata riscossione dell’IVA non comportava l’utilizzo di risorse statali, la Commissione si è basata, nella decisione impugnata (punto 42), sulla soluzione adottata dalla Corte nella sentenza Sloman Neptun (C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97). Orbene, come risulta dalla presentazione degli argomenti della ricorrente, quest’ultima contesta, in sostanza, la pertinenza dell’applicazione di tale soluzione alla mancata riscossione dell’IVA. Occorre quindi rammentare la soluzione adottata dalla Corte in detta sentenza, ripresa in altre sentenze successive.

91      Nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 17 marzo 1993, Sloman Neptun (C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97), era in discussione un regime giuridico che consentiva agli armatori tedeschi di concludere contratti di lavoro con i componenti dell’equipaggio che non erano assoggettati al diritto tedesco (punto 5). La Corte ha constatato che la condizione relativa alle risorse statali non era soddisfatta.

92      A tal riguardo, la Corte ha considerato che la disciplina in questione, esaminata sia sotto il profilo delle sue finalità sia sotto quello della sua struttura generale, non era intesa a creare un vantaggio atto a costituire per lo Stato un onere supplementare, bensì unicamente a modificare, in favore delle imprese di navigazione marittima, le condizioni alle quali venivano costituiti i rapporti contrattuali tra dette imprese e i loro dipendenti. Essa ha inoltre ritenuto che le conseguenze che derivavano da detta disciplina, in relazione sia alla diversa base di calcolo dei contributi previdenziali, sia all’eventuale perdita di gettito tributario riconducibile al basso livello delle retribuzioni, erano inerenti a tale disciplina e non costituivano un mezzo per accordare alle imprese interessate un vantaggio determinato (punto 21).

93      Ne consegue che, per valutare l’esistenza del nesso evocato al punto 89 supra, occorre segnatamente verificare se, sia sotto il profilo delle sue finalità sia sotto quello della sua struttura generale, la misura in questione miri a creare un vantaggio atto a costituire un onere supplementare per lo Stato. In particolare, se l’eventuale perdita di risorse derivante dalla misura è inerente a quest’ultima, nel senso che ne è solo una conseguenza indiretta, la condizione relativa alle risorse statali non è soddisfatta (v., in tal senso, sentenze del 17 marzo 1993, Sloman Neptun, C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97, punto 21; del 1° dicembre 1998, Ecotrade, C‑200/97, EU:C:1998:579, punto 36, e del 13 marzo 2001, PreussenElektra, C‑379/98, EU:C:2001:160, punto 62). Per contro, se la misura è volta ad esentare un’impresa dal pagamento di somme che di norma sarebbero dovute al bilancio dello Stato, il nesso tra la misura e la riduzione del bilancio statale è sufficientemente diretto per considerare che la misura sia finanziata mediante risorse statali (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi, C‑279/08 P, EU:C:2011:551, punti da 106 a 108).

94      Nel caso di specie, si deve rammentare che, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della VerpackV, il prezzo del deposito cauzionale addebitato al cliente è comprensivo dell’IVA. Di conseguenza, quando i negozi frontalieri non applicano il deposito cauzionale, l’IVA su detto deposito non viene riscossa in relazione alle vendite in parola.

95      Vi è quindi, almeno potenzialmente, una perdita di entrate fiscali per lo Stato, in quanto il sistema di deposito cauzionale, se applicato, comporterebbe verosimilmente un’entrata netta di IVA. È infatti poco probabile che, nonostante la riscossione del deposito cauzionale, tutti gli imballaggi siano sistematicamente resi e che, di conseguenza, l’IVA prelevata al momento della vendita sia integralmente rimborsata ai consumatori ai quali è stata addebitata.

96      Tuttavia, la misura controversa, costituita dalla mancata riscossione del deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri, non mira ad accordare a tali imprese un vantaggio rappresentato dalla mancata riscossione dell’IVA. Il fatto che non sia riscossa l’IVA quando non viene applicato il deposito cauzionale è, come correttamente sostenuto dalla Commissione, solo una conseguenza indiretta del meccanismo di esenzione dal deposito cauzionale, inerente alla mancata riscossione del medesimo, e non consente di dimostrare che la misura controversa miri, a tale proposito, ad accordare un vantaggio a talune imprese mediante risorse statali.

97      Si deve quindi constatare che la Commissione poteva fondatamente concludere, richiamandosi alla giurisprudenza scaturita dalla sentenza del 17 marzo 1993, Sloman Neptun (C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97), che la condizione relativa alle risorse statali non era soddisfatta per quanto riguarda la mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale.

98      La conclusione contenuta nel punto 97 supra non può essere rimessa in discussione dagli altri argomenti della ricorrente o della DN.

99      In primo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 93 supra che sia necessario, affinché una misura nazionale non sia considerata finanziata mediante risorse statali, che tale misura costituisca un «sistema legittimo» o che lo Stato interessato agisca come regolatore.

100    È vero che, in alcuni casi, si può tenere conto delle finalità della misura in questione. Tuttavia, ciò non vale nell’ipotesi in cui detta misura abbia solo l’effetto indiretto di ridurre la base imponibile di un’imposta e pertanto non sussista tra la misura in parola e la perdita di entrate riscontrabile un nesso sufficientemente diretto affinché tale perdita possa essere qualificata come «inerente» alla misura.

101    Inoltre, nella sentenza del 17 marzo 1993, Sloman Neptun (C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97), la Corte, per stabilire se fosse soddisfatta la condizione relativa alle risorse statali, non ha controllato la legittimità in quanto tale della misura in questione o quella degli obiettivi da essa perseguiti. Essa si è solamente accertata, sulla base della finalità e della struttura generale di tale misura, che le asserite perdite di entrate non costituissero in realtà un mezzo per accordare alle imprese interessate un vantaggio determinato (sentenza del 17 marzo 1993, Sloman Neptun, C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97, punto 21).

102    In secondo luogo, la circostanza che la mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale possa condurre a procurare un vantaggio selettivo ai suoi beneficiari, quand’anche fosse dimostrata, è inconferente, in quanto, da un lato, le condizioni elencate all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE che consentono di qualificare una misura nazionale come aiuto di Stato sono cumulative (v. giurisprudenza citata al punto 62 supra nonché sentenza della Corte del 24 luglio 2003, Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg, C‑280/00, EU:C:2003:415, punti 74 e 75) e, dall’altro, nel caso di specie, per concludere nella decisione impugnata che la mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale non costituiva un aiuto, la Commissione si è basata unicamente sulla mancanza di risorse statali, vale a dire su una condizione distinta da quella relativa all’esistenza di un vantaggio selettivo.

103    In terzo luogo, la ricorrente non ha prodotto alcun elemento che consenta di concludere che le misure controverse miravano, in realtà, ad esentare i negozi frontalieri dall’IVA relativa al prezzo del deposito cauzionale, mentre, come risulta dalle suesposte considerazioni, detta esenzione appare come «un effetto collaterale [di tali misure]», secondo l’espressione utilizzata dall’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni relative alla causa PreussenElektra (C‑379/98, EU:C:2000:585, paragrafi 161 e 162).

104    In quarto luogo, il richiamo della DN alla sentenza del 12 ottobre 2000, Spagna/Commissione (C‑480/98, EU:C:2000:559), non è pertinente, in quanto la causa che ha dato luogo a tale sentenza verteva sulla mancata riscossione di debiti tributari e previdenziali di talune imprese, ipotesi che corrisponde a quella esaminata dalla Corte nella sentenza dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi (C‑279/08 P, EU:C:2011:551), in cui il nesso tra la misura e la perdita di entrate per il bilancio dello Stato è sufficientemente diretto.

105    Da quanto precede risulta che occorre respingere la seconda parte del motivo unico dedotto dalla ricorrente.

b)      Sulla terza parte del motivo unico

106    In primo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione ha applicato erroneamente la giurisprudenza della Corte introducendo una nuova norma giuridica secondo cui l’esistenza di difficoltà di interpretazione del diritto applicabile consentirebbe di concludere, in relazione ad una misura nazionale comportante la mancata riscossione di un’ammenda, che essa non soddisfa la condizione relativa alle risorse statali.

107    A tale proposito, la ricorrente deduce un errore di diritto. Il criterio applicato dalla Commissione, basato sull’esistenza di difficoltà di interpretazione del diritto applicabile, non sarebbe conforme alla giurisprudenza secondo la quale l’esistenza di un aiuto di Stato è valutata in base agli effetti della misura e non in base al suo obiettivo o alle intenzioni delle autorità nazionali all’origine di tale misura.

108    Inoltre, la ricorrente ritiene che non sussistano, nel caso di specie, difficoltà di interpretazione per quanto riguarda l’obbligo di applicare il deposito cauzionale e quindi di imporre un’ammenda ai negozi che non applicano tale deposito. Essa afferma che la mancata imposizione di un’ammenda risulta piuttosto da una scelta deliberata delle autorità regionali tedesche competenti.

109    Infine, la ricorrente aggiunge che, se fosse possibile eludere l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato semplicemente dimostrando seri e ragionevoli dubbi sulla portata e sul significato di un obbligo derivante da un testo del diritto dell’Unione o della legislazione nazionale, ciò porterebbe ad abusi. Essa precisa che siffatta possibilità sarebbe in contrasto con l’obbligo degli Stati membri di attuare le direttive dell’Unione in modo chiaro e inequivocabile.

110    A tale proposito, secondo la ricorrente, le autorità regionali tedesche competenti avevano deciso, nel caso di specie, a seguito di sentenze pronunciate nel 2003 da giudici del Land dello Schleswig‑Holstein, di non imporre ai negozi frontalieri la riscossione del deposito cauzionale previsto dalla VerpackV e di non adottare nuovi provvedimenti amministrativi coercitivi nei confronti di tali negozi, provvedimenti che avrebbero potuto successivamente essere oggetto di controllo giurisdizionale da parte dei giudici tedeschi. Pertanto, a suo avviso, la mancanza di una giurisprudenza che consenta di chiarire il diritto sulla base del quale viene imposta l’ammenda risulta esclusivamente dall’inerzia di tali autorità. La ricorrente aggiunge che l’applicazione del diritto dell’Unione, in particolare del diritto in materia di aiuti di Stato, sarebbe notevolmente indebolita qualora un’autorità di uno Stato membro potesse legittimamente evitare in modo sistematico l’applicazione del diritto per diversi anni.

111    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che esistono serie difficoltà riguardo alla questione se la condizione relativa alle risorse statali sia soddisfatta per quanto concerne la mancata imposizione di un’ammenda.

112    In primo luogo, in linea con quanto ha affermato nell’ambito della prima parte del motivo unico, la ricorrente ricorda che la mancata riscossione del deposito cauzionale viola varie disposizioni del diritto dell’Unione e del diritto tedesco e che, poiché tale violazione è palese, non sussiste alcuna difficoltà di interpretazione. Essa aggiunge che le autorità federali tedesche hanno costantemente ripetuto che la prassi della dichiarazione di esportazione era illegittima.

113    In secondo luogo, la ricorrente sottolinea che nel diritto applicabile in materia di ambiente non esiste alcuna base giuridica che giustifichi la mancata riscossione del deposito cauzionale. Essa afferma inoltre che tale misura non è applicata uniformemente in tutte le zone frontaliere della Germania. Essa aggiunge che la Commissione ha effettuato un esame insufficiente e incompleto della situazione e rileva infine che i negozi frontalieri non si trovano in una situazione comparabile a quella degli esportatori.

114    Peraltro, la ricorrente sostiene che la constatazione dell’assenza di risorse statali operata dalla Commissione nella decisione impugnata non può essere giustificata dal fatto che la mancata riscossione del deposito cauzionale sarebbe necessaria per evitare una violazione del principio di libera circolazione delle merci. L’argomento della Commissione relativo al fatto che l’applicazione del sistema di deposito cauzionale comporterebbe l’imposizione di un prelievo all’esportazione sarebbe un argomento nuovo, che non era contenuto nella decisione impugnata e che, pertanto, sarebbe irricevibile. La ricorrente contesta inoltre la presunzione secondo la quale, quando un consumatore acquista una bevanda in Germania per portarla in un altro Stato membro, l’imballaggio non verrebbe riportato in Germania, bensì finirebbe nel sistema di gestione dei rifiuti dell’altro Stato membro.

115    La Commissione contesta tale argomento. Essa sostiene in particolare che l’interpretazione della normativa applicabile adottata dalle autorità regionali tedesche competenti era ragionevole, tenuto conto, in particolare, dell’assenza di una decisione giurisdizionale definitiva in senso contrario, e che pertanto essa non poteva constatare l’esistenza di un aiuto di Stato. La mancata imposizione di un’ammenda risulterebbe nel caso di specie solamente dall’interpretazione della normativa adottata dalle autorità regionali tedesche competenti, secondo la quale il deposito cauzionale non deve essere riscosso dai negozi frontalieri. Essa andrebbe tenuta distinta dai casi nei quali le autorità competenti decidono di esentare dal pagamento di un’ammenda le imprese che contravvengono alla normativa.

116    Secondo la Commissione, l’interpretazione della normativa che giustifica la mancata imposizione di un’ammenda è simile a un’autorizzazione concessa dall’autorità competente a talune categorie di persone che consente di tenere un comportamento vietato ad altre categorie di persone. Ad ogni modo, la mancata imposizione di un’ammenda in un contesto di difficoltà di interpretazione della normativa pertinente non andrebbe oltre il margine di discrezionalità di cui disporrebbero le autorità incaricate dell’applicazione del diritto.

117    La Commissione afferma inoltre che l’applicazione del deposito cauzionale ai negozi frontalieri creerebbe un ostacolo agli scambi commerciali costituente un prelievo all’esportazione.

118    La Commissione aggiunge altresì che nulla dimostra che uno degli obiettivi del sistema di deposito cauzionale consista nell’incitare i consumatori ad acquistare bevande il cui imballaggio sia meno nocivo per l’ambiente. Essa rileva inoltre che un sistema nazionale di deposito cauzionale non può mirare a ridurre i danni provocati all’ambiente in altri Stati membri, né può essere finalizzato a ridurre le vendite di bevande confezionate in imballaggi monouso, ma deve essere diretto unicamente ad incitare i consumatori a restituire gli imballaggi delle bevande così confezionate.

119    Essa indica, peraltro, che i negozi frontalieri avrebbero chiesto di aderire al sistema danese di deposito cauzionale, ma non sarebbero stati autorizzati a farlo a causa dell’opposizione della ricorrente.

120    Secondo la Commissione, l’accettazione da parte delle autorità regionali tedesche competenti dell’uso della dichiarazione di esportazione è coerente in quanto, in conseguenza di tale uso, il deposito cauzionale non viene addebitato solo se i clienti si impegnano a non consumare in Germania le bevande che acquistano presso i negozi frontalieri.

121    La Commissione sostiene che la controversia di cui la ricorrente si lamenta deriva in realtà dalla mancata presa in considerazione delle vendite transfrontaliere da parte del sistema danese di gestione degli imballaggi. A suo avviso, il fatto che i clienti che acquistano lattine nei negozi frontalieri non siano soggetti ad alcun obbligo di partecipazione al sistema danese è una questione che riguarda il sistema di riciclaggio danese e non un problema legato all’esenzione da parte della Germania dall’imposizione del deposito.

122    Essa afferma inoltre che tale questione può essere risolta solo bilateralmente dai paesi interessati o a livello dell’Unione mediante un’armonizzazione più approfondita. Pertanto, l’unica soluzione possibile sarebbe politica.

123    La Commissione sostiene altresì che la situazione dei consumatori finali che effettuano acquisti privati nei negozi frontalieri, da un lato, e quella degli esportatori professionali, dall’altro, è perfettamente comparabile, poiché in entrambi i casi i rifiuti sono generati in Danimarca.

124    La Commissione aggiunge che la condizione relativa alle risorse statali non è soddisfatta, in quanto la ricorrente non ha dimostrato l’importo delle ammende dovute e non pagate.

125    La DN sostiene l’argomento della ricorrente. Essa ricorda, in particolare, che la Commissione ha applicato un criterio erroneo per valutare se la mancata imposizione di un’ammenda costituisse un aiuto di Stato. Essa aggiunge che nessuna autorità ragionevole avrebbe agito come hanno fatto le autorità regionali tedesche competenti. Essa afferma inoltre che non vi è alcun obbligo di determinare l’importo delle ammende eluse affinché una misura di esenzione da un’ammenda possa essere qualificata come aiuto di Stato.

126    La IGG sostiene che si deve tenere conto del fatto che le autorità regionali tedesche competenti non sono tenute ad imporre un’ammenda e possono limitarsi ad ingiungere a un’impresa di modificare il suo comportamento, come risulterebbe dall’articolo 62 della legge di rifusione della normativa sui rifiuti. Essa aggiunge che le autorità regionali tedesche competenti seguono tale approccio quando sorgono difficoltà di interpretazione delle norme, come nel caso di specie per quanto riguarda la portata dell’obbligo di applicare il deposito cauzionale.

127    Preliminarmente, occorre rammentare che i negozi frontalieri si astengono, a determinate condizioni, dal riscuotere il deposito cauzionale. Siffatto comportamento è reso possibile da una mera prassi delle autorità regionali tedesche competenti, consistente nel considerare che il deposito cauzionale non sia dovuto quando le bevande vengano acquistate nel quadro della dichiarazione di esportazione e, di conseguenza, nel non imporre ammende a detti negozi in tali ipotesi. Infatti, dai documenti del fascicolo non risulta che le autorità regionali tedesche competenti abbiano adottato circolari o linee guida intese ad autorizzare il comportamento in questione dei negozi frontalieri. Interrogate su questo punto in udienza, la Commissione e la IGG non sono state in grado di indicare l’esistenza di simili atti giuridici.

128    Occorre, in una prima fase, esaminare la censura della ricorrente vertente sul fatto che la Commissione, per valutare se la mancata imposizione di un’ammenda costituisse un vantaggio finanziato mediante risorse statali, avrebbe erroneamente applicato un criterio giuridico inedito, basato sull’esistenza di difficoltà di interpretazione della normativa in questione.

1)      Sull’errore di diritto allegato dalla ricorrente

129    Prima di pronunciarsi, da un lato, sulla validità del criterio adottato dalla Commissione per accertare se fosse soddisfatta la condizione relativa alle risorse statali e, dall’altro, sull’erroneità o meno dell’applicazione da essa effettuata di tale criterio nel caso di specie, occorre rammentare la giurisprudenza in materia.

i)      Sulla giurisprudenza della Corte concernente l’applicazione della condizione relativa alle risorse statali in caso di mancata imposizione di un’ammenda

130    Finora, la Corte ha distinto due ipotesi. Nella prima, quella delle «esenzioni» dalle ammende, alcune imprese sono dispensate dal pagamento di un’ammenda che dovrebbero normalmente o inevitabilmente sopportare in forza della normativa. In questi casi, la condizione relativa alle risorse statali è considerata soddisfatta (v., in tal senso, sentenze del 1° dicembre 1998, Ecotrade, C‑200/97, EU:C:1998:579, punto 45, e dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi, C‑279/08 P, EU:C:2011:551, punto 106). Nella seconda, quella delle «autorizzazioni», a talune imprese è formalmente concessa dalle autorità competenti, sulla base di criteri trasparenti e definiti in anticipo, l’autorizzazione ad adottare un comportamento. Poiché siffatto comportamento è in tal modo autorizzato dalla normativa, la mancata imposizione di un’ammenda a tali imprese non può, se l’autorizzazione non comporta una disparità di trattamento ingiustificata rispetto ad altre imprese, essere considerata un vantaggio finanziato mediante risorse statali (v., in tal senso, sentenza del 14 gennaio 2015, Eventech, C‑518/13, EU:C:2015:9, punti 36, 37 e 49).

ii)    Sull’applicazione di un criterio nuovo, basato sull’esistenza di difficoltà di interpretazione della norma applicabile che le autorità nazionali devono affrontare nel normale esercizio delle loro prerogative di potere pubblico

131    Nel caso di specie, occorre rilevare, preliminarmente, che la mancata imposizione di un’ammenda, a differenza della mancata riscossione dell’IVA relativa al deposito cauzionale, non è una conseguenza indiretta o «secondaria» della mancata riscossione del deposito cauzionale, inerente a tale misura ai sensi della sentenza del 17 marzo 1993, Sloman Neptun (C‑72/91 e C‑73/91, EU:C:1993:97). Le autorità regionali tedesche competenti ritengono, infatti, che non sussista, in caso di acquisto di bevande nell’ambito della dichiarazione di esportazione, alcuna violazione della normativa passibile di ammenda. Poiché la mancata riscossione del deposito cauzionale in tale situazione è conforme a detta normativa, come interpretata dalle menzionate autorità, sarebbe necessariamente esclusa l’imposizione di un’ammenda ai negozi frontalieri.

132    Un contesto del genere, nel quale la mancata imposizione di un’ammenda è indissociabile dalla mancata riscossione del deposito cauzionale e, quindi, dall’interpretazione della normativa pertinente, non corrisponde ad alcuna delle due ipotesi fino a quel momento esaminate dalla giurisprudenza in materia di ammende.

133    Infatti, da un lato, la Commissione non poteva basarsi sull’esistenza di un’autorizzazione che le autorità competenti avrebbero concesso alle imprese interessate ad adottare un determinato comportamento, nella fattispecie un’esenzione dall’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale. Infatti, l’esenzione dal deposito cauzionale non risulta da un’autorizzazione previa e trasparente, dettata da una norma, bensì da una mera prassi delle autorità regionali tedesche competenti, instauratasi dal 2005, o persino dal 2003, consistente nel non imporre ammende ai negozi frontalieri quando non riscuotono il deposito cauzionale.

134    Dall’altro lato, la mancata imposizione di un’ammenda non deriva da un’esenzione esplicita dall’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale di cui alla VerpackV, adottata dall’autore di tale normativa. Infatti, dai documenti del fascicolo non emerge che le autorità regionali tedesche competenti dispongano del potere di modificare la VerpackV – che è stata adottata dalle autorità federali – al fine, in particolare, di introdurvi deroghe all’obbligo di applicare il deposito cauzionale. Al contrario, dai documenti del fascicolo risulta che le autorità regionali dispongono, per quanto riguarda l’obbligo di applicare il deposito cauzionale, solo di una competenza repressiva. Inoltre, le autorità regionali tedesche competenti non hanno adottato alcuna norma o istruzione scritta che riconosca l’esistenza di una deroga all’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale. La mancata riscossione del deposito cauzionale e, correlativamente, la mancata imposizione di un’ammenda non derivano quindi da un’esenzione dalla normativa, diversamente dalla misura sulla quale si è pronunciata la Corte nella sentenza dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi (C‑279/08 P, EU:C:2011:551), bensì da una mera interpretazione della normativa in vigore, ammessa nella pratica dalle autorità regionali tedesche competenti.

135    In simili circostanze, la Commissione si è giustamente basata su un criterio giuridico nuovo, relativo al nesso tra l’interpretazione della normativa pertinente e l’esercizio del potere repressivo da parte delle autorità che ne dispongono, per verificare se la mancata imposizione di un’ammenda potesse essere considerata un vantaggio finanziato mediante risorse statali. La Commissione ha altresì correttamente ritenuto che le difficoltà di interpretazione di una normativa fossero, in linea di principio, atte a escludere che la mancata imposizione di un’ammenda fosse considerata come un’esenzione dall’ammenda costitutiva di un aiuto di Stato. Infatti, la situazione in cui esistono difficoltà di interpretazione della norma la cui inosservanza può essere sanzionata con l’irrogazione di un’ammenda si distingue nettamente, dal punto di vista del vantaggio di cui trattasi, da quella in cui l’autorità competente decide di esonerare un’impresa dal pagamento di un’ammenda che essa dovrebbe sopportare in forza della normativa. Nella prima ipotesi, contrariamente a quanto avviene nella seconda, non esiste un onere preesistente. Infatti, tenuto conto della portata incerta della norma, l’esistenza di un comportamento illecito non risulta con evidenza e la sanzione di tale comportamento con un’ammenda non appare quindi, in una simile situazione di incertezza, necessaria o inevitabile.

136    Inoltre, la Corte ha ricordato il carattere inerente a qualsiasi sistema giuridico di misure consistenti nel non sanzionare determinati comportamenti (v., in tal senso, sentenza del 14 gennaio 2015, Eventech, C‑518/13, EU:C:2015:9, punto 36) e l’avvocato generale Wahl, al paragrafo 39 delle sue conclusioni nella causa Eventech (C‑518/13, EU:C:2014:2239), ha rilevato che le ammende sono strumenti che appartengono all’ambito dell’ordine pubblico. Occorre pertanto preservare il margine di discrezionalità degli Stati membri in tale materia, anche nel caso in cui vi siano difficoltà di interpretazione della norma applicabile.

137    Si deve quindi concludere che la Commissione non è incorsa in un errore di diritto nel suo ragionamento quando ha considerato che, per concludere nel senso dell’assenza di risorse statali in relazione a una misura consistente nella mancata applicazione di un’ammenda da parte di un’autorità pubblica, occorreva, in una situazione come quella della controversia in esame, applicare un criterio nuovo, basato sull’esistenza di difficoltà di interpretazione della norma applicabile che le autorità nazionali devono affrontare nell’esercizio delle loro prerogative di potere pubblico.

138    Di conseguenza, la censura della ricorrente deve essere respinta su tale punto.

139    Tuttavia, la ricorrente sostiene altresì che il criterio utilizzato dalla Commissione potrebbe portare ad abusi. Ciò avverrebbe nel caso di specie, in quanto le eventuali difficoltà di interpretazione di cui trattasi hanno un carattere durevole.

iii) Sulla mancata limitazione nel tempo del criterio relativo all’esistenza di difficoltà di interpretazione della norma applicabile che le autorità nazionali devono affrontare nell’esercizio delle loro prerogative di potere pubblico

140    Occorre rammentare che il principio di legalità dei reati e delle pene fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è stato sancito anche da vari trattati internazionali, in particolare all’articolo 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (v., in tal senso, sentenza del 22 maggio 2008, Evonik Degussa/Commissione, C‑266/06 P, non pubblicata, EU:C:2008:295, punto 38 e giurisprudenza citata). L’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riafferma tale principio disponendo che «nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale».

141    Orbene, il principio di legalità dei reati e delle pene esige che la legge definisca chiaramente le infrazioni e le pene che le reprimono (sentenza del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 40).

142    È infatti auspicabile che il tenore letterale di una normativa, in particolare quando contiene disposizioni di natura repressiva, non presenti alcuna ambiguità, onde consentire alle persone cui tale normativa si applica di orientare il loro comportamento con piena cognizione di causa e pertanto di essere sanzionate solo qualora violino deliberatamente o per negligenza un obbligo loro incombente.

143    Risulterebbe quindi paradossale che le difficoltà di interpretazione di una siffatta normativa permettessero agli Stati membri, che ne sono gli autori, di sottrarsi, senza limiti di tempo, ai loro obblighi in materia di aiuti di Stato. Tali difficoltà dovrebbero poter giustificare la mancata imposizione di un’ammenda solo per un periodo di tempo limitato e di durata ragionevole, durante il quale deve essere chiarita la normativa applicabile.

144    L’ambiguità o l’imprecisione di una normativa nazionale risulta ancora meno idonea a giustificare l’esclusione di una misura dall’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE quando detta normativa è diretta, come nel caso di specie (v. punto 1 supra), a recepire una direttiva.

145    A tale proposito, secondo una giurisprudenza consolidata, in caso di trasposizione di una direttiva nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, è indispensabile che l’ordinamento nazionale di cui trattasi garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, che la situazione giuridica scaturente da tale ordinamento sia sufficientemente precisa e chiara per soddisfare pienamente il requisito della certezza del diritto e che i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v. sentenza del 27 ottobre 2011, Commissione/Polonia, C‑311/10, non pubblicata, EU:C:2011:702, punto 24 e giurisprudenza citata).

146    Dalle considerazioni esposte ai punti da 140 a 145 supra risulta che il criterio basato sull’esistenza di difficoltà di interpretazione della normativa applicabile può essere applicato solo se tali difficoltà sono temporanee e si inseriscono in un processo di graduale chiarimento delle norme.

147    A tale proposito si deve ricordare che il principio di legalità dei reati e delle pene è rispettato qualora il soggetto sia in grado di sapere, sulla base del dettato della disposizione pertinente e se necessario con l’aiuto dell’interpretazione che ne è data dai tribunali, quali atti e omissioni implicano la sua responsabilità penale (sentenza del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punti 39 e 40). Tale principio non può pertanto essere interpretato come un divieto di graduale chiarimento, da una causa all’altra, delle norme sulla responsabilità penale da parte di un’interpretazione giurisprudenziale, a condizione che il risultato sia ragionevolmente prevedibile al momento della commissione dell’infrazione, alla luce in particolare dell’interpretazione vigente a quell’epoca nella giurisprudenza relativa alla disposizione legale in questione (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 41).

148    Nel caso di specie, la Commissione ha ritenuto, al punto 69 della decisione impugnata, che il semplice fatto che le autorità nazionali si trovassero, nel normale esercizio delle loro prerogative di potere pubblico, di fronte a seri e ragionevoli dubbi sulla portata e sull’interpretazione della norma applicabile fosse sufficiente per concludere nel senso dell’assenza di risorse statali. Per tale motivo, la Commissione non ha fatto riferimento al carattere al tempo stesso temporaneo e inerente al graduale chiarimento delle norme e delle difficoltà interpretative summenzionate, mentre queste due condizioni devono essere soddisfatte affinché sia possibile giungere alla constatazione dell’assenza di risorse statali.

149    Orbene, per quanto riguarda il carattere temporaneo delle eventuali difficoltà di interpretazione della normativa sulle quali si è basata la Commissione nella decisione impugnata, si deve rilevare che, mentre la decisione impugnata è stata adottata il 4 ottobre 2018 e tale incertezza esisteva, secondo la Commissione, quanto meno dal 2005, se non dal 2003, quest’ultima non menziona alcuna circostanza particolare che consenta di giustificare la persistenza di siffatta incertezza per un periodo così lungo.

150    Quanto al carattere inerente al graduale chiarimento delle difficoltà nell’interpretazione della normativa applicabile sulle quali la Commissione si è basata nella decisione impugnata, nessun elemento del fascicolo consente di concludere che tali difficoltà fossero in via di risoluzione.

151    Al contrario, la Commissione ha dichiarato quanto segue al punto 62 della decisione impugnata:

«Le autorità tedesche hanno spiegato che simili divergenze riguardo all’interpretazione del diritto federale vengono risolte mediante un intenso dialogo tra il governo federale e i Länder interessati; in caso di dubbio, spetta in ultima analisi al Bundesrat (Consiglio federale, Germania) risolvere la questione. Tuttavia, tale procedura non è stata seguita nella fattispecie».

152    Si tratta di un indizio che consente di constatare la mancata attuazione di un processo di graduale chiarimento delle norme specificamente previsto a tal fine dal diritto tedesco.

153    È vero che nella decisione impugnata viene anche fatto riferimento ad una sentenza di primo grado, successivamente confermata in appello, la quale avvalorerebbe la posizione delle autorità regionali tedesche competenti.

154    Tuttavia, la Commissione ha rilevato la mancanza di carattere definitivo, data la natura provvisoria del procedimento in questione, di tale sentenza, la quale, per di più, non risultava fondata, secondo i termini stessi della decisione impugnata, su un esame approfondito della legittimità della prassi dei negozi frontalieri. Sebbene la IGG abbia rilevato in udienza che l’Oberverwaltungsgericht Schleswig‑Holstein (Tribunale amministrativo superiore del Land dello Schleswig‑Holstein, Germania) aveva confermato, nella sentenza del 23 luglio 2003, la decisione del giudice inferiore, pronunciandosi chiaramente a favore dell’interpretazione adottata dalle autorità regionali tedesche competenti, tale constatazione non figura nella decisione impugnata.

155    È inoltre pacifico che le autorità regionali tedesche competenti hanno deciso, in seguito alle sentenze pronunciate nel 2003, di non adottare nuove misure amministrative coercitive nei confronti dei negozi frontalieri che non applicavano il deposito cauzionale, anche se a livello federale esisteva un’interpretazione della normativa applicabile incompatibile con la loro (punto 61 della decisione impugnata) e tali misure avrebbero potuto dare luogo a un’interpretazione definitiva della normativa applicabile da parte dei giudici nazionali. Oltre a ciò, nei procedimenti avviati dinanzi ad essi, i giudici nazionali interessati avrebbero potuto chiedere alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla conformità della mancata imposizione di un’ammenda con il diritto dell’Unione, in materia ambientale o in materia di libera circolazione, aspetti che sono stati entrambi esaminati dalla Commissione nella decisione impugnata.

156    La mancanza di nuovi procedimenti giurisdizionali dal 2003, sebbene l’interpretazione della normativa federale adottata dalle autorità regionali tedesche competenti non corrispondesse a quella del governo che ne era l’autore, costituisce un ulteriore indizio del fatto che le difficoltà di interpretazione della normativa applicabile non si inserivano in un processo di graduale chiarimento delle norme.

157    Alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 140 a 156 supra, si deve constatare che la Commissione ha commesso un errore di diritto concludendo che la condizione relativa alle risorse statali non fosse soddisfatta senza verificare se le difficoltà di interpretazione sulle quali essa si basava fossero temporanee e inerenti al graduale chiarimento delle norme. Il contenuto insufficiente e incompleto dell’esame effettuato su tale questione dalla Commissione nella fase preliminare costituisce, conformemente alla giurisprudenza esposta al punto 48 supra, un indizio che consente di ritenere che la Commissione non fosse in grado di superare, in tale fase preliminare, tutte le serie difficoltà incontrate per stabilire se la mancata riscossione del deposito cauzionale e la mancata imposizione di un’ammenda costituissero un aiuto di Stato.

158    Occorre ancora esaminare se, come sostiene parimenti la ricorrente, la Commissione abbia ritenuto erroneamente che nel caso di specie esistessero difficoltà di interpretazione della norma applicabile idonee a giustificare la constatazione dell’assenza di risorse statali.

iv)    Sull’assenza di difficoltà di interpretazione della norma applicabile idonee a giustificare la constatazione dell’assenza di risorse statali

159    Come indicato al punto 137 supra, si può ammettere che la condizione relativa alle risorse statali non sia soddisfatta, nel caso della mancata imposizione di un’ammenda, qualora esistano difficoltà di interpretazione della normativa applicabile.

160    Tuttavia, occorre altresì che l’autore della misura in questione basi esso stesso la sua decisione di non imporre un’ammenda sull’esistenza di siffatte difficoltà.

161    Orbene, nel caso di specie, le autorità regionali tedesche competenti, per giustificare la loro decisione di non imporre un’ammenda ai negozi frontalieri, non si basano sull’esistenza di un’incertezza riguardo all’interpretazione della VerpackV, bensì sull’interpretazione costante da esse data a tale legge dal 2005, o addirittura dal 2003, secondo la quale l’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale non si applica ai negozi frontalieri quando essi vendono lattine a clienti che risiedono in paesi frontalieri, segnatamente la Danimarca, e accettano di firmare una dichiarazione di esportazione.

162    La stessa Commissione ammette, come risulta dal punto 50 della decisione impugnata, che le autorità regionali tedesche competenti ritengono espressamente che i negozi frontalieri non siano tenuti ex lege a riscuotere il deposito cauzionale. Inoltre, essa precisa che tale interpretazione della VerpackV è uniformemente applicata a tutti i negozi stabiliti nei territori tedeschi interessati (punto 55 della decisione impugnata).

163    La Commissione ha quindi ritenuto erroneamente di poter applicare nel caso di specie il criterio relativo all’esistenza di difficoltà di interpretazione della norma applicabile, mentre le autorità regionali tedesche competenti non si sono basate sull’esistenza di siffatte difficoltà per giustificare la loro prassi di non imporre un’ammenda ai negozi frontalieri ove questi ultimi non riscuotano il deposito cauzionale.

164    Pertanto, la decisione impugnata ha applicato erroneamente il criterio delle difficoltà di interpretazione della normativa applicabile. Tale errore, al pari di quello rilevato al punto 157 supra, è un ulteriore indizio del fatto che la Commissione non era in grado di superare, senza avviare il procedimento di indagine formale, le serie difficoltà sollevate dall’esame delle due misure, inscindibilmente connesse, costituite dalla mancata riscossione del deposito cauzionale e dalla mancata imposizione di un’ammenda.

165    Occorre ora esaminare gli altri argomenti della ricorrente relativi all’esistenza di serie difficoltà che presentava, a suo avviso, l’esame di dette misure.

2)      Sugli altri argomenti della ricorrente relativi all’esistenza di serie difficoltà

166    Nel caso di specie, le autorità regionali tedesche competenti permettono ai negozi frontalieri, non imponendo loro un’ammenda, di non riscuotere il deposito cauzionale su alcune delle loro vendite di bevande. Esse ritengono che tale prassi sia conforme alla VerpackV se sono soddisfatti determinati criteri. I criteri adottati dalle autorità regionali tedesche competenti per delimitare l’ambito di applicazione dell’esenzione dal deposito cauzionale sono, oltre al fatto che essa si applica ai negozi frontalieri, la limitazione del relativo beneficio ai consumatori residenti in paesi frontalieri, in particolare la Danimarca, che accettino di firmare una dichiarazione di esportazione.

167    La ricorrente contesta l’interpretazione della VerpackV adottata dalle autorità competenti e sostiene che la Commissione avrebbe dovuto concludere al riguardo per l’esistenza di serie difficoltà.

168    Occorre esaminare tale censura e poi rispondere agli altri argomenti difensivi dedotti dalla Commissione e dalla IGG per contestare l’esistenza di serie difficoltà.

i)      Sulla contestazione dell’interpretazione della VerpackV adottata dalle autorità regionali tedesche competenti

169    In primo luogo, la ricorrente sostiene che non esiste alcuna base giuridica, nella normativa applicabile, che giustifichi la mancata riscossione del deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri.

170    A tale proposito, occorre rammentare che la stessa Commissione ha affermato, al punto 51 della decisione impugnata, che l’articolo 9, paragrafo 1, della VerpackV, tenuto conto del suo ambito di applicazione, doveva essere interpretato nel senso che imponeva ai negozi frontalieri di riscuotere il deposito cauzionale.

171    Inoltre, la Commissione ha ammesso, nelle sue memorie dinanzi al Tribunale, che le autorità regionali tedesche competenti «non afferma[va]no che esiste[sse] nella [VerpackV] una base giuridica specifica che consent[iva] di esentare i negozi frontalieri dall’obbligo di addebitare il deposito cauzionale».

172    Inoltre, per quanto riguarda il diritto dell’Unione, la Commissione ha indicato, nella decisione impugnata (punto 67), che la direttiva 94/62 non prevedeva alcuna eccezione che giustificasse la mancata applicazione del deposito cauzionale ai negozi frontalieri.

173    Di conseguenza, risulta dimostrata l’affermazione della ricorrente secondo cui non esiste alcuna base giuridica specifica, nella normativa applicabile, che giustifichi la mancata riscossione del deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri.

174    Orbene, tale mancanza di base giuridica, quando peraltro esiste un obbligo testuale di riscossione del deposito cauzionale, che è esplicito, privo di ambiguità e la cui portata sembra molto ampia (v. punti 2 e 3 supra), induce a dubitare dell’interpretazione della VerpackV adottata dalle autorità regionali tedesche competenti e costituisce un indizio dell’esistenza di serie difficoltà.

175    In secondo luogo, sebbene le autorità regionali tedesche competenti abbiano adottato un’interpretazione della VerpackV secondo la quale l’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale non si applica ai negozi frontalieri quando vendono bevande a clienti che risiedono in paesi frontalieri, in particolare la Danimarca, e accettano di firmare una dichiarazione di esportazione, dal punto 59 della decisione impugnata risulta che, secondo una relazione elaborata su richiesta delle autorità federali tedesche, il deposito cauzionale deve essere applicato anche in tale ipotesi.

176    Inoltre, dal punto 61 della decisione impugnata risulta che «l’interpretazione delle [autorità regionali tedesche competenti] non è compatibile con quella [delle autorità federali]».

177    Siffatta divergenza di interpretazione della VerpackV tra le autorità federali tedesche e le autorità regionali tedesche competenti, in particolare sulla questione se la mancata riscossione del deposito cauzionale da parte dei negozi frontalieri sia compatibile con tale normativa e con la direttiva 94/62, induce a dubitare che l’interpretazione adottata da queste ultime possa costituire un «compromesso ragionevole», come l’ha definito la Commissione al punto 68 della decisione impugnata. Una simile divergenza costituisce un indizio dell’esistenza di serie difficoltà.

178    In terzo luogo, la Commissione ha indicato, al punto 55 della decisione impugnata, che la mancata imposizione di un’ammenda era «uniformemente applicata a tutti i negozi stabiliti sul territorio tedesco in questione (in particolare nei due Länder interessati) che serv[iva]no esclusivamente clienti stranieri che si impegna[sser]o per iscritto ad esportare le bevande e a consumarle nonché a smaltirne gli imballaggi vuoti fuori dalla Germania (il che è richiesto a titolo della “dichiarazione di esportazione”)».

179    L’asserzione secondo cui una deroga al sistema di deposito cauzionale sarebbe applicata in modo coerente e uniforme a tutto il territorio tedesco è formulata in modo ambiguo. Così, la Commissione non afferma esplicitamente che la mancata riscossione del deposito cauzionale sia tollerata in zone frontaliere diverse da quelle che si trovano nei Länder dello Schleswig‑Holstein e del Meclemburgo‑Pomerania anteriore. Inoltre, essa non fornisce alcun dettaglio sulle altre regioni tedesche nelle quali sarebbe parimenti applicata tale tolleranza. In udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, la Commissione e la IGG non hanno indicato che altri Länder abbiano adottato la medesima deroga al sistema di deposito cauzionale.

180    Inoltre, sebbene l’affermazione di cui al punto 178 supra sia contestata dalla ricorrente, la Commissione si è limitata, nelle sue memorie, ad aggiungere, senza ulteriori precisazioni, che i consumatori degli Stati membri diversi dal Regno di Danimarca e dal Regno di Svezia «apparentemente non [erano] interessati» alla possibilità di utilizzare le dichiarazioni di esportazione.

181    Di conseguenza, l’esistenza di una deroga alla riscossione del deposito cauzionale applicata in modo ricorrente in tutte le zone frontaliere della Germania non è dimostrata, il che indebolisce la tesi secondo cui la mancata riscossione del deposito cauzionale e la mancata imposizione di un’ammenda si baserebbero su giustificazioni oggettive inerenti al sistema di deposito cauzionale, relative alla specificità delle vendite effettuate in tali zone.

182    Siffatta conclusione consente di mettere in dubbio l’interpretazione della VerpackV adottata dalle autorità regionali tedesche competenti e costituisce un indizio dell’esistenza di serie difficoltà.

183    In quarto luogo, la ricorrente fa riferimento a una proposta di modifica della VerpackV del 2004, presentata dai Länder dello Schleswig‑Holstein e del Meclemburgo‑Pomerania anteriore.

184    È pacifico che detta proposta conteneva il seguente estratto:

«Su richiesta del distributore finale, l’autorità competente ha concesso un’esenzione dai diritti di cui al punto 1 per le bevande contenute in imballaggi non riutilizzabili vendute a consumatori finali nei porti marittimi o nelle zone situate in prossimità di una frontiera per essere consumate al di fuori dell’ambito di applicazione del decreto (commercio frontaliero), quando il richiedente abbia adottato misure adeguate e ragionevoli per garantire che gli imballaggi non creino rifiuti nel campo di applicazione del decreto e che il rimborso del deposito cauzionale non sia possibile nell’ambito di applicazione del decreto.

(...)

Giustificazione

(…)

Alla frontiera con la Danimarca, nonché nei porti dei traghetti e nelle zone ad essi limitrofe nello Schleswig‑Holstein e nel Meclemburgo‑Pomerania anteriore, si è sviluppato un commercio frontaliero specializzato in clientela scandinava. Esso riveste grande importanza per questa regione economicamente sottosviluppata.

La proposta di modifica mira ad evitare che tale base commerciale sia soppressa per il commercio frontaliero e per i circa 3 000 posti di lavoro che ne dipendono, direttamente o indirettamente, nel solo Schleswig‑Holstein e ad impedire che tale soppressione abbia un impatto sul turismo, che è molto importante per le suddette regioni».

185    Da questo estratto emerge che la proposta di modifica in questione era motivata dalla tutela dell’occupazione e dell’attività economica legata al turismo nelle zone in cui le autorità regionali tedesche competenti, nei Länder dello Schleswig‑Holstein e del Meclemburgo‑Pomerania anteriore, hanno iniziato, nello stesso periodo in cui è stata presentata tale proposta, ad applicare la deroga al sistema di deposito cauzionale.

186    È quindi probabile che i motivi di detta proposta di modifica siano anche quelli che hanno portato alla mancata riscossione del deposito cauzionale e alla mancata imposizione di un’ammenda.

187    Si tratta di un indizio dell’esistenza di serie difficoltà, in quanto consente di presumere che l’interpretazione della VerpackV adottata dalle autorità regionali tedesche competenti non sia correlato all’obiettivo di tutela dell’ambiente perseguito da tale normativa.

188    Tale indizio risulta tanto più probante in quanto l’unico elemento materiale sul quale si basa la Commissione nella decisione impugnata per determinare la posizione delle autorità regionali tedesche competenti è la relazione menzionata al punto 23 supra, che non è stata elaborata su loro iniziativa, bensì su iniziativa dei negozi frontalieri.

189    Infatti, sebbene ai punti 50 e 53 della decisione impugnata la Commissione affermi di esporre l’interpretazione della VerpackV e, in particolare, dell’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale adottata delle autorità regionali tedesche competenti, essa non menziona alcun elemento materiale che consenta di dimostrare che la posizione da essa descritta provenga da tali autorità e non dalla IGG o dai negozi frontalieri che quest’ultima rappresenta.

190    Dalla mancanza di tali elementi materiali può dedursi che la Commissione non ha proceduto a un esame completo della situazione sottopostale, il che costituisce del pari un indizio rivelatore dell’esistenza di serie difficoltà (v., in tal senso, sentenze del 22 settembre 2011, Belgio/Deutsche Post e DHL International, C‑148/09 P, EU:C:2011:603, punti da 83 a 86; del 10 febbraio 2009, Deutsche Post e DHL International/Commissione, T‑388/03, EU:T:2009:30, punto 109, e del 20 giugno 2019, a&o hostel and hotel Berlin/Commissione, T‑578/17, non pubblicata, EU:T:2019:437, punti 59, 67 e 99).

191    In quinto luogo, gli elementi relativi alla portata, alle modalità di applicazione e agli obiettivi delle misure in questione di cui disponeva la Commissione quando ha adottato la decisione impugnata non erano sufficienti per consentirle di concludere nel senso dell’esistenza di serie difficoltà.

192    Infatti, la mancata riscossione del deposito cauzionale non è il risultato di un’eccezione o di un’esenzione espressamente prevista dalla normativa applicabile, né di orientamenti relativi all’applicazione di tale normativa. Sembra quindi che essa costituisca una prassi amministrativa, se non addirittura una mera tolleranza, la cui portata e il cui contenuto non sono chiari. In particolare, in udienza non è stato affermato, in risposta a un quesito del Tribunale, che le modalità di redazione, la forma e il contenuto della dichiarazione di esportazione siano stati stabiliti da un atto delle autorità regionali tedesche competenti. Orbene, nella decisione impugnata la Commissione non ha tentato di rimediare alle imprecisioni che circondano il contesto normativo delle misure controverse effettuando una descrizione dettagliata delle disposizioni che disciplinano la deroga al sistema di deposito cauzionale. Al contrario, essa si è limitata, in sostanza, a fornire alcuni elementi che le erano stati trasmessi dai suoi interlocutori durante la fase di esame preliminare.

193    Inoltre, la Commissione non ha menzionato nella decisione impugnata alcun elemento materiale che consenta di dimostrare che la posizione da essa descritta proveniva dalle autorità regionali tedesche competenti e non dalla IGG o dai negozi frontalieri che quest’ultima rappresenta.

194    Per di più, la Commissione non ha indicato con precisione quali organi dei Länder dello Schleswig‑Holstein e del Meclemburgo‑Pomerania anteriore fossero competenti ad imporre ai negozi frontalieri l’applicazione del deposito cauzionale e quindi a decidere di esentarli da esso, né ha descritto le modalità secondo le quali le decisioni in materia venivano adottate da tali Länder.

195    Le considerazioni esposte ai punti da 191 a 194 supra consentono di concludere per l’assenza di un esame sufficientemente completo e approfondito da parte della Commissione della mancata imposizione di un’ammenda, il che costituisce un ulteriore indizio rivelatore dell’esistenza di serie difficoltà.

196    In sesto luogo, per giustificare l’applicazione ai negozi frontalieri di un’esenzione dall’obbligo di riscuotere il deposito cauzionale non espressamente prevista dalla normativa applicabile, la Commissione ha ripreso nella decisione impugnata (punti 53 e 67) l’analogia utilizzata dalle autorità regionali tedesche competenti tra, da un lato, la situazione dei prodotti acquistati in Germania da un consumatore finale per essere consumati fuori dal territorio tedesco e, dall’altro, quella dei prodotti esportati fuori da tale territorio.

197    Orbene, la fondatezza di siffatta analogia, con cui si intende giustificare i criteri adottati per determinare i comportamenti autorizzati, non è evidente, tenuto conto della differenza esistente tra le due situazioni in questione.

198    Infatti, la ricorrente afferma, a tale proposito, che i prodotti esportati saranno soggetti, se del caso, al sistema di deposito cauzionale applicabile nello Stato membro in cui vengono esportati, contrariamente ai prodotti ai quali si applicano le misure controverse, che non sono soggetti ad alcun sistema di deposito cauzionale.

199    Orbene, si tratta di una differenza che risulta al contempo sostanziale e pertinente.

200    È vero che la Commissione afferma, senza essere contraddetta, che i negozi frontalieri avrebbero chiesto di aderire al sistema danese di deposito cauzionale, ma non sarebbero stati autorizzati a farlo in seguito all’opposizione della ricorrente.

201    Tuttavia, la circostanza che tale elemento, che potrebbe rivelarsi determinate per la comprensione del contesto in cui sono state applicate le misure controverse, non sia stato nemmeno menzionato nella decisione impugnata consente di concludere che la Commissione non ha proceduto a un esame completo della situazione sottopostale.

202    Inoltre, le spiegazioni fornite dalla Commissione a tale proposito nelle sue memorie sono poco dettagliate. Essa non produce peraltro alcun elemento materiale, ma si limita a rinviare a una pagina, della quale non cita alcun estratto, della relazione menzionata al punto 23 supra.

203    Dalle considerazioni esposte ai punti da 169 a 202 supra risulta che esiste un insieme di indizi rivelatori dell’esistenza di serie difficoltà che consentono di mettere in dubbio l’interpretazione della VerpackV adottata dalle autorità regionali tedesche competenti. Tali indizi permettono, quanto meno, di concludere che la Commissione non ha effettuato un esame completo della situazione sottopostale, il che costituisce, di per sé, un indizio rivelatore dell’esistenza di serie difficoltà.

ii)    Sugli altri argomenti dedotti dalla Commissione e dalla IGG per contestare l’esistenza di serie difficoltà

204    La constatazione dell’esistenza di serie difficoltà non può essere rimessa in discussione dagli altri argomenti della Commissione e della IGG.

205    In primo luogo, la Commissione adduce, nelle sue memorie, una decisione da essa adottata precedentemente in un contesto che considera comparabile a quello del caso di specie.

206    Si tratta della decisione C(2015) 3064 final, dell’8 maggio 2015, relativa all’aiuto di Stato SA.34528 (2015/NN) (ex-2012/CP) – Estonia – Esenzione dal deposito cauzionale e dall’accisa sugli imballaggi per le bevande consegnate a bordo di navi.

207    La Commissione ricorda che, in tale procedimento, non è stata considerata come un aiuto una deroga alla legislazione nazionale estone sugli imballaggi per le vendite da asporto di bevande effettuate in acque internazionali a bordo di navi dirette verso un altro Stato membro.

208    Occorre anzitutto rammentare che, secondo la giurisprudenza, la nozione di aiuto ha natura giuridica ed è interpretata alla luce di elementi obiettivi. La qualificazione di una misura come aiuto di Stato non può quindi dipendere da una valutazione soggettiva della Commissione e deve essere determinata indipendentemente da qualsiasi prassi amministrativa anteriore di tale istituzione, ammesso che sia dimostrata (v. sentenza del 3 luglio 2014, Spagna e a./Commissione, T‑319/12 e T‑321/12, non pubblicata, EU:T:2014:604, punto 46 e giurisprudenza citata).

209    Si deve inoltre rilevare che, nella decisione richiamata dalla Commissione, le imprese interessate erano soggette ad accisa se non rispettavano il tasso di valorizzazione degli imballaggi previsto dalla legislazione nazionale estone (punto 9).

210    La Commissione ha considerato, al punto 45 della decisione da essa richiamata, che la logica del sistema fiscale in questione giustificava l’esclusione delle vendite interessate dal pagamento delle accise. Essa ha concluso, al punto 46 della medesima decisione, che la misura esaminata non costituiva un aiuto.

211    Tuttavia, il punto 45 della decisione richiamata dalla Commissione non riguarda la condizione relativa alle risorse statali, bensì quella della selettività e, più in particolare, la terza fase del metodo che consente di distinguere le misure nazionali di carattere generale dalle misure selettive, fase che permette di concludere per l’assenza di selettività, anche qualora sia stata precedentemente accertata l’esistenza di una deroga a un regime generale, quando tale deroga risulti dalla natura o dalla struttura del sistema in cui la misura si inserisce (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punti da 55 a 58).

212    L’argomento della Commissione è quindi irrilevante per l’esame della condizione relativa alle risorse statali.

213    Inoltre, le accise, dal momento che si applicavano solo se un’impresa teneva un comportamento che lo Stato interessato tentava di prevenire, possono essere equiparate, in una certa misura, a una sanzione analoga all’ammenda prevista nel caso di specie quando i negozi frontalieri non applicano il sistema di deposito cauzionale (v. punto 4 supra).

214    Orbene, la Commissione ha considerato che la non applicazione delle accise all’acquisto di bevande che venivano vendute su navi dirette verso il territorio di uno Stato membro diverso dall’Estonia e non erano destinate al consumo immediato costituiva una risorsa statale (punto 42).

215    Pertanto, non solo la Commissione non può fondatamente invocare la decisione menzionata al punto 206 supra, ma quest’ultima potrebbe essere considerata come un precedente contrario alla tesi addotta nella decisione impugnata.

216    In secondo luogo, il suggerimento della Commissione secondo cui la soluzione più adatta per risolvere le difficoltà inerenti al coordinamento di sistemi di deposito cauzionale nazionali diversi consisterebbe, in assenza di una piena armonizzazione, in un’integrazione parziale dei negozi situati in una zona frontaliera di uno Stato membro nel sistema di deposito cauzionale dello Stato membro confinante, non è atta a permettere di concludere immediatamente, senza avviare il procedimento di indagine formale, che la mancata riscossione del deposito cauzionale e la mancata imposizione di un’ammenda non costituiscono un vantaggio finanziato mediante risorse statali.

217    Infatti, la questione se una misura nazionale ricada o meno nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE non dipende da considerazioni relative alla sua opportunità (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Léger nelle cause riunite Belgio e Forum 187/Commissione, C‑182/03 e C‑217/03, EU:C:2006:89, paragrafo 401), in quanto la nozione di aiuto statale, quale è definita nel Trattato FUE, ha carattere giuridico e deve essere interpretata sulla base di elementi obiettivi (sentenza del 16 maggio 2000, Francia/Ladbroke Racing e Commissione, C‑83/98 P, EU:C:2000:248, punto 25).

218    Nel caso di specie, la circostanza, quand’anche dimostrata, che esista una soluzione più adeguata rispetto all’applicazione ai negozi frontalieri del sistema di deposito cauzionale non può automaticamente privare la mancata riscossione di un’ammenda della qualificazione come aiuto se è dimostrato che essa soddisfa anche tutte le condizioni previste dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

219    In terzo luogo, occorre respingere, in ogni caso, l’argomento della Commissione secondo cui la condizione relativa alle risorse statali non sarebbe soddisfatta, in quanto la ricorrente non avrebbe determinato l’importo delle ammende che sarebbero state dovute se fossero state imposte ai negozi frontalieri.

220    Infatti, secondo una giurisprudenza costante, la Commissione non è tenuta, all’atto di ordinare la restituzione di un aiuto dichiarato incompatibile con il mercato interno, a determinare l’importo esatto dell’aiuto da restituire. È sufficiente che la decisione della Commissione contenga elementi che permettano al suo destinatario di determinare egli stesso, senza difficoltà eccessive, tale importo (v. sentenza del 13 febbraio 2014, Mediaset, C‑69/13, EU:C:2014:71, punto 21 e giurisprudenza citata).

221    A fortiori, non spetta alla ricorrente, nella fase preliminare del procedimento in cui è stata adottata la decisione impugnata, determinare l’importo esatto degli aiuti che dovrebbero essere eventualmente restituiti, dato che l’esame delle misure in questione effettuato in tale fase presenta un carattere sommario (v., in tal senso, sentenze del 19 maggio 1993, Cook/Commissione, C‑198/91, EU:C:1993:197, punto 22; del 3 maggio 2001, Portogallo/Commissione, C‑204/97, EU:C:2001:233, punto 34, e del 13 giugno 2013, Ryanair/Commissione, C‑287/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:395, punto 71).

222    In quarto luogo, la IGG sostiene che si deve tenere conto del fatto che le autorità regionali tedesche competenti non sarebbero tenute ad imporre un’ammenda e potrebbero limitarsi ad ingiungere a un’impresa di modificare il suo comportamento, come risulterebbe dall’articolo 62 della legge di rifusione della normativa sui rifiuti. Essa aggiunge che le autorità regionali tedesche competenti seguono tale approccio quando sorgono, come a suo avviso nel caso di specie, difficoltà di interpretazione della normativa applicabile relativamente all’obbligo di applicare il deposito cauzionale.

223    A questo proposito occorre in primo luogo rilevare che tale argomento non è menzionato nella decisione impugnata.

224    Orbene, l’esistenza di serie difficoltà deve essere valutata sulla base dell’esame della Commissione, quale risulta dalla decisione impugnata, e non degli argomenti dedotti dinanzi al Tribunale. Infatti, l’esistenza di un dubbio deve essere cercata nel contenuto della decisione, mettendo in relazione le valutazioni sulle quali si è basata la Commissione nella decisione impugnata con gli elementi dei quali essa disponeva quando si è pronunciata (sentenza del 24 gennaio 2013, 3F/Commissione, C‑646/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:36, punto 31).

225    In secondo luogo, in ogni caso, l’articolo 62 della legge di rifusione della normativa sui rifiuti prevede che le autorità competenti possono adottare misure coercitive individuali al fine di far applicare le disposizioni di tale legge e i decreti adottati per la sua attuazione, tra i quali figura la VerpackV. Esso ha quindi un ambito di applicazione definito in modo molto ampio.

226    Al contrario, l’articolo 69, paragrafo 3, della legge di rifusione della normativa sui rifiuti prevede l’imposizione di un’ammenda per talune violazioni specifiche, come la mancata applicazione del sistema di deposito cauzionale (v. punto 4 supra).

227    Non appare quindi in modo evidente che l’articolo 62 della legge di rifusione della normativa sui rifiuti, in quanto «legge generale», sia diretta a sostituire la «legge speciale» costituita dall’articolo 69, paragrafo 3 (v., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2003, Mayer Parry Recycling, C‑444/00, EU:C:2003:356, punto 57).

228    In terzo luogo, si può supporre che, se un’impresa non ottemperasse dopo avere eventualmente ricevuto un’ingiunzione adottata in forza dell’articolo 62 della legge di rifusione della normativa sui rifiuti, l’autorità competente le imporrebbe un’ammenda per costringerla ad applicare il sistema di deposito cauzionale.

229    Così, l’imposizione di un’ammenda appare, quanto meno, come un risultato probabile nel caso in cui un’impresa rifiuti persistentemente di applicare il sistema di deposito cauzionale.

230    L’argomento addotto dall’IGG deve quindi essere respinto.

231    In quinto luogo, la IGG richiama la sentenza del 14 dicembre 2004, Radlberger Getränkegesellschaft e S. Spitz (C‑309/02, EU:C:2004:799), e, in particolare, il punto 46 di tale sentenza, dal quale risulta che lo Stato membro che istituisce un sistema di deposito cauzionale deve far sì che vi sia un numero sufficiente di punti di restituzione affinché i consumatori che hanno acquistato prodotti confezionati in imballaggi monouso versando un deposito cauzionale possano recuperarne l’importo anche senza tornare al luogo d’acquisto iniziale.

232    Tuttavia, la sentenza del 14 dicembre 2004, Radlberger Getränkegesellschaft e S. Spitz (C‑309/02, EU:C:2004:799) non può indurre a concludere che l’applicazione sistematica del deposito cauzionale in tutto il territorio di uno Stato membro, comprese le zone frontaliere, sia in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci.

233    Infatti, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 14 dicembre 2004, Radlberger Getränkegesellschaft e S. Spitz (C‑309/02, EU:C:2004:799, punto 45), l’unico punto controverso era se uno Stato membro potesse sostituire un sistema di raccolta degli imballaggi in prossimità della residenza dei consumatori o dei punti vendita con un sistema di deposito cauzionale e di ritiro individuale, e la Corte non aveva preso in esame la questione relativa alle implicazioni di un sistema di deposito cauzionale per le zone frontaliere.

234    Inoltre, è pacifico che i consumatori dei paesi frontalieri della Germania, in particolare la Danimarca, che beneficiano della mancata applicazione del deposito cauzionale, potrebbero recuperarlo, qualora fosse loro applicato, presso tutti i distributori tedeschi (v. punto 2 supra), vale a dire senza necessariamente tornare al luogo di acquisto iniziale.

235    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che è dimostrata l’esistenza di serie difficoltà.

3)      Conclusione sulla terza parte del motivo unico

236    Il Tribunale ha constatato che l’esame della Commissione contenuto nella decisione impugnata era viziato da vari errori e carenze e che esistevano altri indizi che consentivano di concludere per l’esistenza di serie difficoltà.

237    Di conseguenza, la terza parte del motivo unico, relativa alla mancata imposizione di un’ammenda, deve essere accolta.

238    Atteso che la mancata riscossione dell’IVA è inerente alla mancata riscossione del deposito cauzionale, a sua volta indissociabile dalla mancata imposizione di un’ammenda alle imprese che non riscuotono detto deposito, occorre annullare la decisione impugnata nel suo complesso (v., in tal senso, sentenze del 10 dicembre 2002, Commissione/Consiglio, C‑29/99, EU:C:2002:734, punto 45, e del 7 novembre 2012, CBI/Commissione, T‑137/10, EU:T:2012:584, punti da 311 a 313).

 Sulle spese

239    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

240    La Commissione, rimasta soccombente, si farà carico delle proprie spese nonché di quelle sostenute dalla DN, intervenuta a sostegno delle conclusioni della ricorrente, conformemente alla domanda di quest’ultima e della DN.

241    In assenza di una domanda in tal senso, la IGG non può essere condannata a farsi carico delle spese di altre parti. Tuttavia, dal momento che essa è intervenuta a sostegno delle conclusioni della Commissione, si farà carico delle proprie spese, conformemente all’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

242    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico. La Repubblica federale di Germania si farà pertanto carico delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione C(2018) 6315 final della Commissione, del 4 ottobre 2018, relativa all’aiuto di Stato SA.44865 (2016/FC) – Germania – Presunti aiuti in favore di negozi di bevande situati alla frontiera tedesca, è annullata.

2)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Dansk Erhverv e dalla Danmarks Naturfredningsforening.

3)      La Repubblica federale di Germania e la Interessengemeinschaft der Grenzhändler (IGG) sopporteranno ciascuna le proprie spese.

Papasavvas

Gervasoni

Nihoul

Frendo

 

      Martín y Pérez de Nanclares

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 giugno 2021.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.