Language of document : ECLI:EU:T:2014:1034

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

9 dicembre 2014 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato del tondo per cemento armato in barre o in rotoli – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 65 CA, dopo la scadenza del Trattato CECA, in base al regolamento (CE) n. 1/2003 – Fissazione dei prezzi e dei termini di pagamento – Limitazione o controllo della produzione o delle vendite – Violazione delle forme sostanziali – Competenza della Commissione – Base giuridica – Consultazione del comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti – Diritti della difesa – Definizione del mercato geografico – Applicazione del principio della lex mitior – Violazione dell’articolo 65 CA – Ammende – Gravità e durata dell’infrazione – Circostanze attenuanti – Proporzionalità – Applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996»

Nella causa T‑83/10,

Riva Fire SpA, con sede in Milano (Italia), rappresentata da M. Merola, M. Pappalardo e T. Ubaldi, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da R. Sauer e B. Gencarelli, successivamente da R. Sauer e R. Striani ed infine da R. Sauer, in qualità di agenti, assistiti da P. Manzini, avvocato,

convenuta,

avente ad oggetto, in via principale, una domanda di annullamento della decisione C (2009) 7492 definitivo della Commissione, del 30 settembre 2009, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 65 CA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato, riadozione), come modificata dalla decisione C (2009) 9912 definitivo della Commissione, dell’8 dicembre 2009, e, in via subordinata, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M.E. Martins Ribeiro (relatore), presidente, G. Berardis e A. Popescu, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 aprile 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

 Disposizioni del Trattato CECA

1        L’articolo 36 CA prevedeva quanto segue:

«La Commissione, prima di adottare una delle sanzioni pecuniarie o di fissare una delle penalità previste dal presente Trattato, deve porre l’interessato in grado di presentare le sue osservazioni.

Le sanzioni pecuniarie e le penalità inflitte in virtù delle disposizioni del presente Trattato possono formare oggetto di ricorso di piena giurisdizione.

I ricorrenti possono opporre, a sostegno di tale ricorso, nei modi previsti dal primo comma dell’articolo 33 del presente Trattato, l’irregolarità delle decisioni e delle raccomandazioni di cui viene loro addebitata l’inosservanza».

2        L’articolo 47 CA era del seguente tenore:

«La Commissione può raccogliere le informazioni necessarie, per l’adempimento dei suoi compiti. Essa può far compiere le verifiche necessarie.

La Commissione è tenuta a non divulgare le informazioni che, per la loro natura, sono tutelate dal segreto professionale, e in particolare le informazioni relative ad imprese e che concernano le loro relazioni commerciali o gli elementi dei costi. Con tale limitazione deve pubblicare i dati che possano essere utili ai governi o a ogni altro interessato.

La Commissione può applicare, nei confronti delle imprese che avessero a sottrarsi agli obblighi loro risultanti da decisioni prese in applicazione delle disposizioni del presente articolo o che avessero a fornire scientemente false informazioni, ammende, il cui ammontare massimo sarà dell’1% del volume annuo degli affari, e penalità di mora, nella misura massima del 5% del volume degli affari medio giornaliero, per ogni giorno di ritardo.

Qualsiasi violazione del segreto professionale da parte della Commissione, che abbia causato danno a un’impresa, potrà essere oggetto d’azione di indennizzo avanti la Corte, nei modi previsti all’articolo 40».

3        L’articolo 65 CA così disponeva:

«1.      Sono proibiti gli accordi tra imprese, le decisioni da parte di associazioni di aziende ed i sistemi concordati che tendano, sul mercato comune, direttamente o indirettamente, a impedire, limitare o falsare il gioco normale della concorrenza ed in particolare:

a)      a fissare o determinare i prezzi;

b)      a limitare o controllare la produzione, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;

c)      a ripartire i mercati, i prodotti, i clienti o le fonti d’approvvigionamento.

(…)

4.      Gli accordi o le decisioni proibiti in forza del paragrafo 1 del presente articolo sono nulli di pieno diritto e non possono essere invocati dinanzi ad alcuna giurisdizione degli Stati membri.

La Commissione ha competenza esclusiva, salvo i ricorsi avanti la Corte, a pronunciarsi sulla conformità con le disposizioni del presente articolo di detti accordi o decisioni.

5.      Alle imprese che:

– abbiano concluso un accordo nullo di pieno diritto;

– abbiano applicato o tentato di applicare per via di arbitrato, disdetta, boicottaggio, o qualsiasi altro mezzo, un accordo o una decisione nulli di pieno diritto o un accordo la cui approvazione sia stata rifiutata o revocata;

– abbiano ottenuto il beneficio di una autorizzazione per mezzo di informazioni scientemente false o deformate;

– abbiano messo in atto sistemi contrari alle disposizioni del paragrafo 1;

la Commissione può infliggere ammende e penalità non superiori al doppio della cifra d’affari realizzata coi prodotti che sono stati oggetto dell’accordo, della decisione o dei sistemi contrari alle disposizioni del presente articolo, con la possibilità, se il loro scopo è stato quello di restringere la produzione, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, di un aumento del limite massimo così determinato fino al 10% della cifra d’affari annua delle imprese in causa, per quanto riguarda l’ammenda, ed al 20% della cifra d’affari giornaliera, per quanto riguarda le penalità».

4        Ai sensi dell’articolo 97 CA, il Trattato CECA è scaduto il 23 luglio 2002.

 Disposizioni del Trattato CE

5        L’articolo 305, paragrafo 1, CE prevedeva quanto segue:

«Le disposizioni del presente trattato non modificano quelle del trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, in particolare per quanto riguarda i diritti e gli obblighi degli Stati membri, i poteri delle istituzioni di tale Comunità e le norme sancite da tale trattato per il funzionamento del mercato comune del carbone e dell’acciaio».

 Regolamento (CE) n. 1/2003

6        A termini dell’articolo 4 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), ai fini «dell’applicazione degli articoli 81 [CE] e 82 [CE], alla Commissione sono attribuite le competenze previste dal presente regolamento».

7        L’articolo 7 del regolamento n. 1/2003, dal titolo «Constatazione ed eliminazione delle infrazioni», così dispone:

«1.   Se la Commissione constata, in seguito a denuncia o d’ufficio, un’infrazione all’articolo 81 [CE] o all’articolo 82 [CE], può obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni di imprese interessate a porre fine all’infrazione constatata. (…) Qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso, essa può inoltre procedere alla constatazione di un’infrazione già cessata.

(...)».

8        L’articolo 14 del regolamento n. 1/2003 dispone quanto segue:

«1. La Commissione consulta un comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti prima dell’adozione di qualsiasi decisione ai sensi degli articoli 7, 8, 9, 10, 23, dell’articolo 24, paragrafo 2 e dell’articolo 29, paragrafo 1.

2. Ai fini della discussione di casi individuali il comitato consultivo è composto da rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Per le riunioni in cui si discutono temi diversi da casi individuali può essere designato un ulteriore rappresentante degli Stati membri competente in materia di concorrenza. In caso di impedimento i rappresentanti possono essere sostituiti da altri rappresentanti.

3. La consultazione può essere effettuata nel corso di una riunione convocata e presieduta dalla Commissione, da tenersi non prima di quattordici giorni da quando viene inviata la convocazione, unitamente all’esposizione della questione, all’indicazione dei documenti più importanti della pratica e a un progetto preliminare di decisione. Per quanto riguarda le decisioni di cui all’articolo 8, la riunione può aver luogo sette giorni dopo l’invio della parte operativa di un progetto di decisione. Se la Commissione invia la convocazione della riunione con un termine di convocazione inferiore a quelli summenzionati, la riunione può svolgersi alla data proposta se non vi sono obiezioni da parte degli Stati membri. Il comitato consultivo emette per iscritto un parere sul progetto preliminare di decisione della Commissione. Il parere può essere formulato anche se alcuni dei membri sono assenti e non si sono fatti rappresentare. Su richiesta di uno o più membri le posizioni assunte nel parere sono motivate.

4. La consultazione può anche avere luogo mediante procedura scritta. Tuttavia, se uno Stato membro lo richiede, la Commissione convoca una riunione. In caso di procedura scritta la Commissione stabilisce un termine, non inferiore a quattordici giorni, entro il quale gli Stati membri devono formulare le loro osservazioni da trasmettere a tutti gli altri Stati membri. Per quanto riguarda le decisioni da prendere ai sensi dell’articolo 8, il termine di quattordici giorni è sostituito da quello di sette giorni. Se la Commissione fissa per la procedura scritta un termine inferiore a quelli summenzionati, si applica il termine proposto se non vi sono obiezioni da parte di nessuno Stato membro.

5. La Commissione tiene in massima considerazione il parere del comitato consultivo. Essa lo informa del modo in cui ha tenuto conto del parere.

6. Se il parere del comitato consultivo è formulato per iscritto, esso è unito al progetto di decisione. Se il comitato consultivo ne raccomanda la pubblicazione, la Commissione provvede alla pubblicazione del parere tenendo debitamente conto dell’interesse legittimo delle imprese a che non vengano divulgati segreti aziendali.

7. Su richiesta dell’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro la Commissione iscrive all’ordine del giorno del comitato consultivo i casi che sono in corso di trattazione da parte dell’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro ai sensi degli articoli 81 e 82 del trattato. La Commissione può agire in tal senso anche di propria iniziativa. Preventivamente, la Commissione ne informa l’autorità garante della concorrenza interessata.

La richiesta può essere avanzata in particolare dall’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro per i casi in cui la Commissione intende avviare il procedimento di cui all’articolo 11, paragrafo 6.

Il comitato consultivo non emette pareri su casi trattati dalle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Il comitato consultivo può anche discutere problemi generali riguardanti il diritto comunitario in materia di concorrenza».

9        L’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 così dispone:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 [CE] o dell’articolo 82 [CE]».

 Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti del trattamento di casi in materia di concorrenza a seguito della scadenza del Trattato CECA

10      Il 18 giugno 2002, la Commissione delle Comunità europee ha adottato la comunicazione relativa ad alcuni aspetti del trattamento di casi in materia di concorrenza a seguito della scadenza del Trattato CECA (GU C 152, pag. 5; in prosieguo: la «comunicazione del 18 giugno 2002»).

11      Al punto 2 della comunicazione del 18 giugno 2002 è precisato che essa si prefigge:

«(…)

–        (...) di sintetizzare per gli operatori economici e gli Stati membri, nella misura in cui essi sono interessati dal trattato CECA e dalla relativa legislazione secondaria, i più importanti cambiamenti che il passaggio al regime CE comporta relativamente alle norme sostanziali e procedurali applicabili,

–        (…) di spiegare come la Commissione intende affrontare questioni specifiche sollevate dal passaggio dal regime CECA al regime CE nei settori dell’antitrust (…), del controllo delle concentrazioni (…) e del controllo degli aiuti di Stato».

12      Il punto 31 della comunicazione del 18 giugno 2002, che figura nella sezione relativa alle questioni specifiche che sorgono con il passaggio dal regime del Trattato CECA al regime del Trattato CE, è così formulato:

«Se la Commissione, nell’applicare il diritto di concorrenza comunitario alle intese, individua una violazione in un settore rientrante nel campo di applicazione del trattato CECA, il diritto sostanziale applicabile sarà, indipendentemente dal momento in cui tale applicazione ha luogo, quello in vigore nel momento in cui si sono verificati i fatti che hanno costituito la violazione. In ogni caso, per quanto riguarda la procedura, dopo la scadenza del Trattato CECA, si applicherà il diritto CE (…)».

 Oggetto della controversia

13      La causa in esame ha ad oggetto, in via principale, una domanda di annullamento della decisione C (2009) 7492 definitivo della Commissione, del 30 settembre 2009, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 65 CA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato, riadozione) (in prosieguo: la «prima decisione»), come modificata dalla decisione C (2009) 9912 definitivo della Commissione, dell’8 dicembre 2009 (in prosieguo: la «decisione di modifica») (la prima decisione, come modificata dalla decisione di modifica, è di seguito denominata la «decisione impugnata») e, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

14      Nella decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato che le seguenti società avevano violato l’articolo 65 CA:

–        Alfa Acciai SpA (in prosieguo: l’«Alfa»);

–        Feralpi Holding SpA (in prosieguo: la «Feralpi»);

–        Ferriere Nord SpA;

–        IRO Industrie Riunite Odolesi SpA (in prosieguo: la «IRO»);

–        Leali SpA e Acciaierie e Ferriere Leali Luigi SpA, in liquidazione (in prosieguo: l’«AFLL») (in prosieguo, queste due società saranno congiuntamente denominate: la «Leali-AFLL»);

–        Lucchini SpA e SP SpA, in liquidazione (in prosieguo, queste due società saranno congiuntamente denominate: la «Lucchini-SP»);

–        Riva Fire SpA (in prosieguo: la «Riva» o la «ricorrente»);

–        Valsabbia Investimenti SpA e Ferriera Valsabbia SpA (in prosieguo, queste due società saranno congiuntamente denominate: la «Valsabbia»).

 Fatti

15      La ricorrente è una società per azioni con sede a Milano (Italia).

16      Dall’ottobre al dicembre 2000 la Commissione ha effettuato, conformemente all’articolo 47 CA, accertamenti presso imprese italiane produttrici di tondo per cemento armato e presso un’associazione d’imprese siderurgiche italiane. Essa ha anche indirizzato loro richieste di informazioni ai sensi dell’articolo 47 CA (punto 114 della prima decisione).

17      Il 26 marzo 2002, la Commissione ha avviato il procedimento amministrativo e formulato addebiti ai sensi dell’articolo 36 CA (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti») (punto 114 della prima decisione). La ricorrente ha formulato le proprie osservazioni scritte in risposta alla comunicazione degli addebiti. Il 13 giugno 2002 si è svolta un’audizione (punto 118 della prima decisione).

18      Il 12 agosto 2002 la Commissione ha formulato addebiti supplementari (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti supplementari»), trasmessa ai destinatari della comunicazione degli addebiti. Nella comunicazione degli addebiti supplementari, fondata sull’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204), la Commissione ha spiegato la sua posizione quanto alla prosecuzione del procedimento dopo la scadenza del Trattato CECA. La ricorrente ha risposto alla comunicazione degli addebiti supplementari il 20 settembre 2002. Il 30 settembre 2002 si è svolta una seconda audizione in presenza dei rappresentanti degli Stati membri (punto 119 della prima decisione).

19      In esito al procedimento, la Commissione ha adottato la decisione C (2002) 5087 definitivo, del 17 dicembre 2002, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 65 CA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione del 2002»), nella quale essa ha constatato che le imprese destinatarie di quest’ultima avevano posto in essere un’intesa unica, complessa e continuata sul mercato italiano del tondo per cemento armato in barre o in rotoli, che aveva per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e aveva altresì dato luogo ad una limitazione o ad un controllo concordati della produzione o delle vendite, in contrasto con l’articolo 65, paragrafo 1, CA (punto 121 della prima decisione). In tale decisione la Commissione ha inflitto alla ricorrente solidalmente un’ammenda d’importo pari a EUR 26,9 milioni.

20      Il 6 febbraio 2003 la ricorrente ha proposto un ricorso dinanzi al Tribunale avverso la decisione del 2002. Con sentenza del 25 ottobre 2007, Riva Acciaio/Commissione (T‑45/03, non pubblicata nella Raccolta), il Tribunale ha annullato la decisione del 2002. Il Tribunale ha rilevato che, tenuto conto in particolare del fatto che la decisione del 2002 non conteneva alcun riferimento all’articolo 3 e all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17, tale decisione era fondata unicamente sull’articolo 65, paragrafi 4 e 5, CA (sentenza Riva Acciaio/Commissione, cit., punto 74). Poiché tali disposizioni erano giunte a scadenza il 23 luglio 2002, la Commissione non poteva più trarre da esse, estinte al momento dell’adozione della decisione del 2002, alcuna competenza a constatare un’infrazione all’articolo 65, paragrafo 1, CA e ad infliggere ammende alle imprese che avrebbero partecipato a detta infrazione (sentenza Riva Acciaio/Commissione, cit., punto 96).

21      Con lettera del 30 giugno 2008, la Commissione ha informato la ricorrente e le altre imprese interessate della sua intenzione di riadottare una decisione, modificando la base giuridica rispetto a quella prescelta per la decisione del 2002. Essa ha inoltre precisato che, tenuto conto della portata limitata della sentenza Riva Acciaio/Commissione, cit. al punto 20 supra, la decisione riadottata sarebbe stata fondata sulle prove presentate nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari. Alle imprese interessate è stato assegnato un termine per presentare le loro osservazioni (punti 6 e 123 della prima decisione).

 Prima decisione

22      Il 30 settembre 2009 la Commissione ha adottato la prima decisione, la quale è stata notificata alla ricorrente con lettera del 2 ottobre 2009.

23      Nella prima decisione, la Commissione ha constatato che le restrizioni della concorrenza in essa riscontrate traevano origine in un’intesa tra produttori italiani di tondo per cemento armato e tra questi ultimi e la loro associazione, che aveva avuto luogo nel periodo tra il 1989 e il 2000 e che aveva avuto per oggetto o per effetto di fissare o di determinare i prezzi e di limitare o di controllare la produzione o le vendite tramite lo scambio di un ampio numero di informazioni relative al mercato del tondo per cemento armato in Italia (punti 7 e 399 della prima decisione).

24      Per quanto riguarda la valutazione giuridica dei comportamenti di cui trattasi nel caso di specie, in primo luogo, ai punti da 353 a 369 della prima decisione, la Commissione ha sottolineato che il regolamento n. 1/2003 doveva essere interpretato nel senso che esso le consentiva di constatare e di sanzionare, dopo il 23 luglio 2002, le intese nei settori rientranti ratione materiae e ratione temporis nell’ambito di applicazione del Trattato CECA. Al punto 370 della prima decisione, essa ha indicato che la medesima decisione era stata adottata conformemente alle norme procedurali del Trattato CE e del regolamento n. 1/2003. Ai punti da 371 a 376 della prima decisione, la Commissione ha peraltro ricordato che i principi disciplinanti la successione delle norme nel tempo potevano condurre all’applicazione di disposizioni sostanziali non più in vigore al momento dell’adozione di un atto da parte di un’istituzione dell’Unione europea, fatta salva l’applicazione del principio generale della lex mitior, in forza del quale una persona non può essere sanzionata per un fatto che non costituisce un illecito ai sensi della legislazione entrata in vigore successivamente. Essa è giunta alla conclusione che, nel caso di specie, il Trattato CE non era in concreto più favorevole del Trattato CECA e che, di conseguenza, il principio della lex mitior non avrebbe comunque potuto essere validamente invocato per contestare l’applicazione del Trattato CECA ai comportamenti in esame nella specie.

25      In secondo luogo, per quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA, anzitutto, la Commissione ha rilevato che l’intesa aveva per oggetto la fissazione dei prezzi in funzione della quale era stata concordata anche la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite. Secondo la Commissione, per quanto riguarda la fissazione dei prezzi, l’intesa si era concretizzata essenzialmente negli accordi e nelle pratiche concordate riguardanti il prezzo base nel periodo dal 15 aprile 1992 al 4 luglio 2000 (e, fino al 1995, negli accordi o nelle pratiche concordate riguardanti i termini di pagamento) e negli accordi o nelle pratiche concordate riguardanti gli «extra» nel periodo dal 6 dicembre 1989 al 1º giugno 2000 (punti 399 e 400 della prima decisione).

26      Per quanto riguarda, poi, gli effetti sul mercato delle pratiche restrittive di cui trattasi, la Commissione ha indicato che, trattandosi di un’intesa il cui obiettivo era quello di impedire, limitare o alterare il gioco normale della concorrenza, non era necessario verificare se essa avesse prodotto effetti sul mercato (punto 512 della prima decisione). Essa ha nondimeno ritenuto che l’intesa avesse avuto effetti concreti sul mercato (punti da 513 a 518 della prima decisione). In particolare, la Commissione ha concluso che l’intesa aveva influenzato il prezzo di vendita praticato dai produttori di tondo per cemento armato in Italia, sebbene le misure adottate nell’ambito dell’intesa non avessero sempre portato immediatamente ai risultati auspicati dalle imprese che vi partecipavano. Inoltre, secondo la Commissione, possono esserci stati fenomeni con effetti differiti. Peraltro, le imprese di cui trattasi rappresentavano all’incirca il 21% del mercato italiano del tondo per cemento armato nel 1989, il 60% nel 1995 e all’incirca l’83% nel 2000, il che indicherebbe un effetto crescente sul mercato degli aumenti di prezzi concordati. Infine, la Commissione ha sottolineato che il fatto che, dal 1989, le iniziative adottate in tale settore fossero comunicate a tutti i produttori di tondo per cemento armato aveva accresciuto l’importanza di tali effetti anche nei primi anni dell’intesa (punto 519 della prima decisione).

27      In terzo luogo, la Commissione ha individuato i destinatari della prima decisione. Per quanto riguarda la ricorrente, al punto 545 della prima decisione, la Commissione ha affermato che essa corrispondeva a un’impresa alla quale erano imputabili, oltre ai comportamenti dell’ex Riva Acciaio SpA, anche quelli della Fire Finanziaria SpA, della Riva Prodotti Siderurgici SpA, della Acciaierie e Ferriere di Galtarossa SpA e della Acciaierie del Tanaro SpA.

28      La Commissione ha rilevato al riguardo che, in primo luogo, la Riva Fire non era altro che la nuova ragione sociale, dal luglio 2004, della Riva Acciaio, la quale era a sua volta la nuova denominazione, dal 26 marzo 1997, della Fire Finanziaria, che controllava la Riva Prodotti Siderurgici; in secondo luogo, la Acciaierie del Tanaro era stata acquisita dalla Riva Prodotti Siderurgici nel 1997, e dalla Acciaierie e Ferriere di Galtarossa nel 1981; in terzo luogo, dal 1989 al momento dell’adozione della decisione impugnata alla guida di tutto il Gruppo Riva era sempre stata la famiglia Riva; in quarto luogo, per quel che riguarda il settore del tondo per cemento armato, la stessa persona ne era stata il responsabile commerciale dal 1989 al 31 dicembre 2000; in quinto luogo, un membro della famiglia Riva o il responsabile commerciale per il settore del tondo per cemento armato erano state fra le persone abitualmente convocate alle riunioni fra produttori di tondo per cemento armato; in sesto luogo, la stessa Riva si era riferita, in particolare nella risposta del 3 agosto 2000 a una richiesta di informazioni della Commissione, alle società che facevano parte del suo gruppo come Gruppo Riva, e in settimo luogo, la stessa Riva aveva dichiarato, nella summenzionata risposta, che il Gruppo Riva era stato rappresentato nelle riunioni tra imprese produttrici di tondo per cemento armato dal suo rappresentante commerciale (a partire dal 1989) o da un membro della famiglia Riva (tra il 1989 e il 1991 e tra la fine del 1996 e l’ottobre 2000) (punto 545 della prima decisione).

29      La Commissione ha ritenuto che alla sopra illustrata situazione andasse applicato, da un lato, il principio di diritto in base al quale, quando l’infrazione è stata commessa da una società controllata non più giuridicamente esistente, la responsabilità deve essere assunta dalla società controllante. D’altra parte, il mutamento della ragione sociale da Fire Finanziaria in Riva Acciaio e, poi, in Riva Fire non aveva per effetto di sottrarre la Riva Fire alla responsabilità degli eventuali comportamenti anticoncorrenziali delle società Riva Acciaio e Fire Finanziaria che l’avevano preceduta (punto 545 della prima decisione).

30      La Commissione ha concluso dalle precedenti considerazioni che le summenzionate società del gruppo Riva erano attualmente da identificarsi nella Riva Fire, la quale era pertanto destinataria della prima decisione (punto 545 della decisione impugnata).

31      In quarto luogo, la Commissione ha dichiarato che l’articolo 65, paragrafo 2, CA e l’articolo 81, paragrafo 3, CE non erano applicabili al caso di specie (punti da 567 a 570 della prima decisione). Essa ha altresì sottolineato che le norme in materia di prescrizione enunciate all’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 non le impedivano di adottare la prima decisione (punti da 571 a 574 della prima decisione).

32      In quinto luogo, per quanto riguarda il calcolo dell’importo delle ammende inflitte nel caso di specie, la Commissione ha indicato che, in forza dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, essa poteva infliggere ammende alle imprese che avevano violato le norme sulla concorrenza. Poiché il limite massimo delle ammende previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 è diverso da quello fissato dall’articolo 65, paragrafo 5, CA, la Commissione ha indicato che avrebbe applicato il limite più basso, conformemente al principio della lex mitior (punto 576 della prima decisione). Essa ha altresì indicato che, conformemente a quanto da essa comunicato alle imprese interessate con lettera del 30 giugno 2008, aveva deciso di applicare, nel caso di specie, gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»). Essa ha aggiunto che, nel caso di specie, tuttavia, avrebbe tenuto conto del fatto che, al momento dell’adozione della decisione del 2002, aveva già deciso in ordine all’importo delle ammende che intendeva infliggere alle imprese interessate (punti 579 e 580 della prima decisione).

33      Anzitutto, la Commissione ha considerato che un’intesa avente per oggetto la fissazione dei prezzi, attuata in vari modi, segnatamente facendo ricorso alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite, costituiva un’infrazione molto grave al diritto della concorrenza dell’Unione (punto 591 della prima decisione). La Commissione ha respinto gli argomenti delle imprese interessate secondo cui la gravità dell’infrazione sarebbe attenuata alla luce dei limitati effetti concreti sul mercato e del contesto economico in cui le suddette imprese operavano (punti da 583 a 596 della prima decisione). Secondo la Commissione, nonostante il carattere molto grave dell’infrazione, essa ha tenuto conto, nel fissare l’importo di base dell’ammenda, delle caratteristiche specifiche di questo caso, segnatamente del fatto che esso riguardava un mercato nazionale soggetto, all’epoca dei fatti, alla particolare normativa del Trattato CECA e del quale le imprese destinatarie della prima decisione rappresentavano, nel primo periodo dell’infrazione, una parte limitata (punto 599 della prima decisione).

34      Successivamente, la Commissione ha considerato il peso specifico di ciascuna impresa e ha classificato le medesime in funzione della loro importanza relativa sul mercato in questione. Dato che le quote di mercato relative ottenute dalle destinatarie della prima decisione nel corso dell’ultimo anno intero dell’infrazione (1999) non erano state considerate dalla Commissione come rappresentative della presenza effettiva di queste ultime sul mercato rilevante nel periodo di riferimento, la Commissione ha distinto, sulla base delle quote di mercato medie nel periodo 1990–1999, tre gruppi d’imprese, ossia, in primo luogo, la Feralpi e la Valsabbia, a cui ha applicato un importo di partenza dell’ammenda di EUR 5 milioni, in secondo luogo, la Lucchini-SP, l’Alfa, la Riva e la Leali-AFLL, a cui ha applicato un importo di partenza dell’ammenda di EUR 3,5 milioni, e, in terzo luogo, la IRO e la Ferriere Nord, a cui ha applicato un importo di partenza dell’ammenda di EUR 1,75 milioni (punti da 599 a 602 della prima decisione).

35      Al fine di assicurare all’ammenda un effetto sufficientemente dissuasivo, la Commissione ha aumentato l’importo di partenza dell’ammenda della Lucchini‑SP del 200% e quello della Riva del 375% (punti 604 e 605 della prima decisione).

36      Inoltre, la Commissione ha ritenuto che l’intesa si fosse protratta dal 6 dicembre 1989 al 4 luglio 2000. Per quanto riguarda la partecipazione della ricorrente all’infrazione, la Commissione ha rilevato che essa si era protratta dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000 (punto 606 della prima decisione).

37      Poiché l’infrazione è durata oltre dieci anni e sei mesi per l’insieme delle imprese, ad eccezione della Ferriere Nord, l’importo di partenza dell’ammenda è stato aumentato del 105% per tutte le imprese, ad eccezione delle Ferriere Nord, il cui importo di partenza è stato maggiorato del 70%. Gli importi di base delle ammende sono quindi stati fissati nel seguente modo:

–        Feralpi: EUR 10,25 milioni;

–        Valsabbia: EUR 10,25 milioni;

–        Lucchini-SP: EUR 14,35 milioni;

–        Alfa: EUR 7,175 milioni;

–        Riva: EUR 26,9 milioni;

–        Leali-AFLL: EUR 7,175 milioni;

–        IRO: EUR 3,58 milioni;

–        Ferriere Nord: EUR 2,97 milioni (punti 607 e 608 della prima decisione).

38      Per quanto concerne, poi, le circostanze aggravanti, la Commissione ha rilevato che la Ferriere Nord era già stata destinataria di una decisione della Commissione, adottata il 2 agosto 1989, per la sua partecipazione ad un’intesa riguardante la fissazione dei prezzi e la limitazione delle vendite nel settore delle reti elettrosaldate ed ha aumentato del 50% l’importo di base della sua ammenda. La Commissione non ha applicato alcuna circostanza attenuante (punti da 609 a 623 della prima decisione).

39      Infine, per quanto riguarda l’applicazione della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione del 1996»), la Commissione ha indicato che la Ferriere Nord le aveva fornito indicazioni utili che le avevano consentito di comprendere meglio il funzionamento dell’intesa prima dell’invio della comunicazione degli addebiti, sicché le aveva concesso una riduzione del 20% dell’importo della sua ammenda. La Commissione ha considerato che le altre imprese interessate non avessero soddisfatto le condizioni della suddetta comunicazione (punti da 633 a 641 della prima decisione).

40      Il dispositivo della prima decisione è così formulato:

«Articolo 1

Le seguenti imprese hanno violato l’articolo 65, paragrafo 1, [CA] partecipando, nei periodi indicati, a un accordo continuato e/o [a] pratiche concertate riguardanti il tondo per cemento armato in barre o in rotoli, aventi per oggetto e/o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione e/o il controllo della produzione o delle vendite nel mercato comune:

–        [Leali‑AFLL], dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000;

–        [Alfa], dal 6 dicembre 1989 al 4 luglio 2000;

–        [Valsabbia Investimenti e Ferriera Valsabbia], dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000;

–        [Feralpi], dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000;

–        [IRO], dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000;

–        [Lucchini‑SP], dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000;

–        [Riva] dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000;

–        [Ferriere Nord], dal 1° aprile 1993 al 4 luglio 2000.

Articolo 2

Le seguenti ammende sono inflitte per le infrazioni di cui all’articolo 1:

–        [Alfa]: EUR 7,175 milioni;

–        [Feralpi]: EUR 10,25 milioni;

–        [Ferriere Nord]: EUR 3,57 milioni;

–        [IRO]: EUR 3,58 milioni;

–        [Leali e AFLL], solidalmente: EUR 6,093 milioni;

–        [Leali]: EUR 1,082 milioni;

–        [Lucchini e SP], solidalmente: EUR 14,35 milioni;

–        [Riva]: EUR 26,9 milioni;

–        [Valsabbia Investimenti e Ferriera Valsabbia], solidalmente: EUR 10,25 milioni;

(…)».

 Sviluppi successivi alla notifica della prima decisione

41      Con lettere inviate tra il 20 e il 23 novembre 2009, otto delle undici società destinatarie della prima decisione, ovvero la ricorrente, la Lucchini, la Feralpi, la Ferriere Nord, l’Alfa, la Ferriera Valsabbia, la Valsabbia Investimenti e l’IRO, hanno indicato alla Commissione che l’allegato della prima decisione, quale notificata ai suoi destinatari, non conteneva le tabelle che illustravano le variazioni di prezzo.

42      Il 24 novembre 2009 i servizi della Commissione hanno informato tutti i destinatari della prima decisione che avrebbero provveduto affinché una decisione contenente le suddette tabelle fosse loro notificata. I suddetti servizi hanno altresì precisato che i termini applicabili al pagamento dell’ammenda e ad un eventuale ricorso giurisdizionale avrebbero iniziato a decorrere dalla data di notifica della «decisione completa».

 Decisione di modifica

43      L’8 dicembre 2009 la Commissione ha adottato la decisione di modifica, che integrava nel suo allegato le tabelle mancanti e correggeva i riferimenti numerati alle suddette tabelle in otto note a piè di pagina.

44      Il dispositivo della decisione di modifica recava modifica delle note a piè di pagina nn. 102, 127, 198, 264, 312, 362, 405 e 448 della prima decisione. Le tabelle contenute in allegato della decisione di modifica sono state aggiunte come allegati della prima decisione.

 Procedimento e conclusioni delle parti

45      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 febbraio 2010, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

46      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        in via istruttoria:

–        verificare se, nel contesto del procedimento di adozione della decisione impugnata e ai fini della sua approvazione da parte del collegio dei membri della Commissione, a quest’ultimo sia stato sottoposto il complesso degli elementi di fatto e di diritto su cui è fondata la decisione;

–        ordinare alle Commissione di produrre tutti i documenti attestanti la regolare convocazione del comitato consultivo e la trasmissione ai membri di tale comitato di tutta la documentazione pertinente, come previsto dagli articoli 10, paragrafi 3 e 5, del regolamento n. 17, e 14, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1/2003;

–        –      in via principale:

–        annullare integralmente la decisione impugnata qualora l’istruttoria riveli che, ai fini della sua adozione da parte del collegio dei membri della Commissione, a quest’ultimo non sia stato sottoposto il complesso degli elementi di fatto e di diritto su cui è fondata la decisione;

–        annullare in ogni caso l’articolo 1 della decisione impugnata nella parte in cui dichiara che la ricorrente ha partecipato ad un accordo continuato e/o a pratiche concordate riguardanti il tondo per cemento armato in barre o in rotoli, avente per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione e/o il controllo della produzione o delle vendite nel mercato comune;

–        conseguentemente, annullare l’articolo 2 della decisione impugnata nella parte in cui infligge alla ricorrente un’ammenda di EUR 26,9 milioni;

–        in subordine:

–        ridurre l’importo dell’ammenda di EUR 26,9 milioni inflitta alla ricorrente all’articolo 2 della decisione impugnata, procedendo alla sua rideterminazione;

–        –      in ogni caso, condannare la Commissione alle spese.

47      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

48      A seguito della modifica della composizione delle sezioni, il giudice relatore è stato assegnato alla Seconda Sezione, alla quale è stata di conseguenza attribuita la presente causa.

49      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di avviare la fase orale nella presente causa e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha invitato la Commissione a produrre un documento, che essa ha presentato.

50      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza che ha avuto luogo l’8 aprile 2014.

 In diritto

51      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce otto motivi. Il primo motivo verte sulla mancanza di competenza della Commissione a seguito della scadenza del Trattato CECA e sulla violazione del regolamento n. 1/2003. Il secondo motivo verte sulla violazione dell’articolo 10, paragrafi 3 e 5, del regolamento n. 17 e dell’articolo 14, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1/2003. Il terzo motivo verte sulla violazione dell’articolo 36, primo comma, CA. Il quarto motivo verte sulla violazione degli articoli 10 e 11 del regolamento n. 773/2004 e sulla violazione dei diritti della difesa della ricorrente. Il quinto motivo verte sulla carenza e contraddittorietà della motivazione per quanto riguarda la definizione del mercato geografico rilevante e l’applicazione del principio della lex mitior. Il sesto motivo verte su un travisamento dei fatti e sulla violazione dell’articolo 65 CA per quanto riguarda i diversi aspetti dell’infrazione contestata alla ricorrente. Il settimo motivo verte sulla carenza d’istruttoria e su un difetto di motivazione in ordine all’imputazione alla ricorrente dell’infrazione nel suo complesso ed alla specifica posizione di quest’ultima in relazione ai comportamenti addebitatile. Infine, l’ottavo motivo verte sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996, sulla violazione degli orientamenti del 1998, su uno sviamento di potere e sulla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento in sede di fissazione dell’importo dell’ammenda. Nell’ambito delle considerazioni introduttive, la ricorrente s’interroga anche sulla validità del procedimento di adozione della decisione impugnata.

 Sull’adozione da parte del collegio dei membri della Commissione di un progetto di decisione incompleto

52      La ricorrente fa valere che al collegio dei membri della Commissione è stato sottoposto un progetto di decisione privo di allegati, e che quest’ultimo ha adottato una decisione incompleta e viziata, poiché il suddetto progetto non conteneva tutti gli elementi di fatto e di diritto che ne costituivano il fondamento. La ricorrente chiede dunque al Tribunale, in via preliminare e a titolo di misura istruttoria, di verificare se lo strumento giuridico utilizzato dalla Commissione per rimediare all’errore commesso al momento dell’adozione della prima decisione sia conforme al principio che esige che il dispositivo e la motivazione di una decisione, che costituiscono un tutto indivisibile, siano adottati contestualmente dal collegio dei membri della Commissione.

53      In limine, si deve constatare che la prima decisione non conteneva i suoi allegati, fra i quali figuravano parecchie tabelle alle quali era fatto rinvio ai punti 451 (tabella 13), 513 (tabelle 1 e 3), 515 (tabelle da 1 a 3), 516 (tabelle 9, da 11 a 14 e 16) e 518 (tabelle 11, 12 e 14), nonché alle note a piè di pagina nn. 102 (tabelle da 15 a 17), 127 (tabelle da 18 a 21), 198 (tabelle 22 e 23), 264 (tabelle 24 e 25), 312 (tabella 26), 362 (tabella 27), 405 (tabella 28), 448 (tabelle 29 e 30) e 563 (insieme delle tabelle allegate alla decisione) della prima decisione. La Commissione a questo proposito asserisce che le tabelle allegate alla decisione di modifica si limiterebbero a riprodurre, in modo schematico e sintetico, elementi già presenti nella prima decisione.

54      In primo luogo, va ricordato che il dispositivo e la motivazione di una decisione, che dev’essere obbligatoriamente motivata ai sensi dell’articolo 15 CA, costituiscono un tutto inscindibile, di modo che spetta unicamente al collegio dei membri della Commissione, in forza del principio di collegialità, adottare nel contempo l’uno e l’altra, essendo di competenza esclusiva del collegio qualsiasi modifica della motivazione che non costituisca una correzione meramente ortografica e grammaticale (v., per analogia, sentenza della Corte del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a., C‑137/92 P, Racc. pag. I‑2555, punti da 66 a 68, e sentenza del Tribunale del 18 gennaio 2005, Confédération nationale du Crédit mutuel/Commissione, T‑93/02, Racc. pag. II‑143, punto 124).

55      Nel caso di specie occorre considerare che la mancanza in allegato alla prima decisione delle tabelle menzionate al punto 53 supra può comportare l’illegittimità della decisione impugnata solo qualora siffatta mancanza non avesse consentito al collegio di sanzionare la condotta di cui all’articolo 1 della decisione impugnata con piena cognizione di causa, vale a dire senza essere stato indotto in errore su un punto essenziale da inesattezze od omissioni (v., per analogia, sentenze del Tribunale del 10 luglio 1991, RTE/Commissione, T‑69/89, Racc. pag. II‑485, punti da 23 a 25; del 27 novembre 1997, Kaysersberg/Commissione, T‑290/94, Racc. pag. II‑2137, punto 88; del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Racc. pag. II‑491, punto 742, e del 17 febbraio 2011, Zhejiang Xinshiji Foods e Hubei Xinshiji Foods/Consiglio, T‑122/09, non pubblicata nella Raccolta, punti 104 e 105).

56      In primo luogo, per quanto riguarda le tabelle da 15 a 17 (menzionate nella nota a piè di pagina n. 102 della prima decisione), si deve constatare che, secondo tale nota a piè di pagina, in esse sono riprodotti i «dati riguardanti le modifiche dei prezzi degli “extra di dimensione” che hanno caratterizzato l’industria del tondo per cemento armato in Italia dal dicembre 1989 al giugno 2000». Dette tabelle sono citate dalla Commissione a sostegno della prima frase del punto 126 della prima decisione, formulato come segue:

«Nella prima riunione della quale è a conoscenza la Commissione (quella del 6 dicembre 1989 presso l’[Associazione Industriale Bresciana]), i partecipanti hanno deciso all’unanimità di aumentare, dal lunedì 11 dicembre 1989, i prezzi degli “extra di dimensione” del tondo per cemento armato sia in barre che in rotoli destinato al mercato italiano (+10 ITL/Kg per gli “extra” da 14 a 30 mm, +15 ITL/Kg per quelli da 8 a 12 mm, +20 ITL/Kg per quelli da 6 mm; tutti aumentati di 5 ITL/Kg per il materiale in rotoli)».

57      Si deve rilevare che la Commissione ha espressamente indicato, nel suddetto punto, gli aumenti dei prezzi degli extra di dimensione del tondo per cemento armato che erano stati decisi dai partecipanti alla riunione del 6 dicembre 1989 nonché la loro data di entrata in vigore. Inoltre, per quanto riguarda gli ulteriori aumenti che, secondo la nota a piè di pagina n. 102 della prima decisione, sono indicati anche in tali tabelle (dato che esse riguardano il periodo dal 1989 al 2000), deve rilevarsi che essi non sono oggetto del capitolo 4.1 della prima decisione, al quale si riferisce il punto 126, relativo al comportamento delle imprese fra il 1989 e il 1992. In ogni caso, tali aumenti sono menzionati, fra l’altro, anche ai punti da 126 a 128 e 133 (per gli anni 1989-1992), 93 e 94 (per gli anni 1993-1994), da 149 a 151, 162 e 163 (per il 1995), 184 e 185 (per il 1996), 199, 200 e 213 (per il 1997), 269 (per il 1999), e da 296 a 304 (per il 2000) nonché ai punti 439 e 515 della prima decisione.

58      In secondo luogo, riguardo alle tabelle da 18 a 21, citate nella nota a piè di pagina n. 127 della prima decisione, si deve rilevare che esse riproducono, secondo tale nota, i «dati relativi ai prezzi base di listino o comunicati agli agenti riguardanti il periodo fine 1989/fine 1992 dei quali [era] in possesso la Commissione». Tali tabelle sono menzionate dalla Commissione a sostegno del punto 131 della prima decisione, che enuncia quanto segue:

«Per quel che riguarda i prezzi base per il tondo per cemento armato applicati durante il periodo di vigenza del suddetto accordo, si rileva che la IRO e la (ex) Ferriera Valsabbia S.p.A. hanno applicato, a partire dal 16 aprile 1992, quello di ITL/Kg 210 e, a partire dal 1°/6 maggio 1992, quello di ITL/Kg 225. Dal 1°/8 giugno 1992, la IRO, la (ex) Ferriera Valsabbia S.p.A., la Acciaieria di Darfo S.p.A. e la Acciaierie e Ferriere Leali Luigi S.p.A. hanno applicato quello di ITL/Kg 235».

59      Occorre pertanto constatare che, pur richiamandosi a cinque pagine del fascicolo amministrativo, menzionate nella nota a piè di pagina n. 126 della prima decisione, la Commissione ha espressamente indicato, al suddetto punto, i prezzi base che erano stati fissati dalle imprese ivi menzionate, nonché la data a partire dalla quale essi erano applicati. Inoltre, si deve rilevare che, al punto 419 della prima decisione, la Commissione ha osservato che il primo comportamento relativo alla fissazione del prezzo base si era verificato al più tardi il 16 aprile 1992. I dati eventuali riprodotti nelle tabelle da 18 a 21 della prima decisione, relativi ai prezzi base per il periodo compreso, secondo la nota a piè di pagina n. 127 della prima decisione, tra «fine 1989» e il 16 aprile 1992, sono pertanto privi di rilevanza ai fini della comprensione delle censure della Commissione contenute al punto 131 della prima decisione.

60      In terzo luogo, quanto alle tabelle 22 e 23, menzionate nella nota a piè di pagina n. 198 della prima decisione, si deve constatare che, secondo detta nota, in esse sono riprodotti i «dati relativi ai prezzi base di listino o comunicati agli agenti riguardanti il 1993 ed il 1994 dei quali [era] in possesso la Commissione». Tali tabelle sono menzionate dalla Commissione a fondamento del punto 145 della prima decisione, che è così redatto:

«Come previsto nel telefax della Federacciai del 25 novembre 1994, il 1° dicembre 1994 si è svolta a Brescia una ulteriore riunione, dove sono state prese le decisioni precisate in un altro telefax della Federacciai, ricevuto dalle imprese il 5 dicembre 1994. Dette decisioni riguardavano:

–        i prezzi del tondo per cemento armato (320 ITL/Kg base partenza Brescia, con decorrenza immediata);

–        i pagamenti (dal 1° gennaio 1995 la dilazione massima sarà di 60/90 giorni fine mese, dal 1° marzo 1995 la dilazione sarà contenuta nei 60 giorni) e gli sconti;

–        la produzione (obbligo, per ciascuna impresa di comunicare alla Federacciai, entro il 7 dicembre 1994, le tonnellate di tondo per cemento armato prodotte in settembre, ottobre e novembre 1994).

La Alfa Acciai S.R.L. ha adottato il nuovo prezzo base il 7 dicembre 1994. Il 21 dicembre 1994 lo ha adottato anche la Acciaieria di Darfo S.p.A., e l’Alfa Acciai S.R.L. ha riconfermato il medesimo prezzo. Anche il prezzo base della [Lucchini‑SP] relativo al gennaio 1995 era di ITL/Kg 320».

61      A tale riguardo deve sottolinearsi che le tabelle di cui alla nota a piè di pagina n. 198 della prima decisione sono state menzionate dalla Commissione a fondamento della sua affermazione secondo cui «[l]a Alfa Acciai S.R.L. [aveva] adottato il nuovo prezzo base il 7 dicembre 1994», «[i]l 21 dicembre 1994 lo [aveva] adottato anche la Acciaieria di Darfo S.p.A., e l’Alfa Acciai S.R.L. [aveva] riconfermato il medesimo prezzo». Ebbene, il «nuovo prezzo base» e il «medesimo prezzo» ai quali viene fatto riferimento erano il prezzo di 320 lire italiane per chilo (ITL/kg), indicato al primo trattino di detto punto. I dati eventuali riprodotti nelle tabelle nn. 22 e 23 della prima decisione, relative ai prezzi base per il periodo compreso tra il 1993 e il 7 dicembre 1994, non sono quindi rilevanti ai fini della comprensione delle censure della Commissione di cui al punto 145 della prima decisione.

62      In quarto luogo, per quanto concerne le tabelle 24 e 25, menzionate nella nota a piè di pagina n. 264 della prima decisione, si deve constatare che, secondo tale nota, in esse sono riprodotti i «dati relativi ai prezzi base di listino o comunicati agli agenti (e, per la Lucchini Siderurgica S.p.A., anche quelli relativi alla situazione mensile) riguardanti il 1995 dei quali [era] in possesso la Commissione». Dette tabelle sono menzionate dalla Commissione a sostegno del punto 174 della prima decisione, che ha il seguente tenore:

«Successivamente, in un documento dei primi giorni di ottobre del 1995, in possesso della Federacciai (manoscritto dalla segretaria del Direttore generale facente funzione) è affermato che:

–        la clientela rimetteva in discussione i pagamenti (da cui la necessità di una comunicazione che ribadisse la fermezza sui pagamenti);

–        dalla settimana precedente il prezzo del tondo per cemento armato era sceso di ulteriori 5/10 ITL/Kg, collocandosi tra le 260/270 ITL/Kg in zona Brescia, con quotazioni al di sotto delle 250 ITL/Kg fuori di detta zona;

–        la situazione del mercato piuttosto confusa rendeva difficile dare un riferimento preciso per il prezzo;

–        si dovevano richiedere alle imprese i dati riguardanti gli ordini della 39ma (dal 25 al 29 settembre 1995) e 40ma (dal 2 al 6 ottobre 1995) settimana».

63      Deve pertanto rilevarsi che, al punto 174 della prima decisione, la Commissione si è limitata a riprodurre il contenuto di un documento manoscritto della segretaria del direttore generale facente funzione, redatto nell’ottobre 1995. Al riguardo, la Commissione si è riferita alle tabelle 24 e 25 unicamente a sostegno dell’affermazione contenuta in tale documento, secondo cui «la situazione del mercato piuttosto confusa rendeva difficile dare un riferimento preciso per il prezzo». Pertanto, le tabelle 24 e 25 risultano irrilevanti ai fini della comprensione delle censure della Commissione di cui al punto 174 della prima decisione.

64      In quinto luogo, quanto alla tabella 26, menzionata nella nota a piè di pagina n. 312 della prima decisione, si deve rilevare che, secondo tale nota, in essa sono riprodotti i «dati relativi ai prezzi base di listino o comunicati agli agenti (e, per la Lucchini Siderurgica S.p.A., anche quelli relativi alla situazione mensile) riguardanti il 1996 dei quali [era] in possesso la Commissione». Detta tabella è menzionata dalla Commissione a sostegno dell’affermazione contenuta al punto 200 della prima decisione, secondo cui, «[d]urante il periodo che va dal 22 ottobre 1996 al 17 luglio 1997 c[’erano] state almeno dodici riunioni dei responsabili commerciali delle imprese, svoltesi […tra l’altro] martedì 22 ottobre 1996, data in cui [era] stato riconfermato per il mese di novembre 1996 il prezzo di ITL/Kg 230 base partenza Brescia e il mantenimento della quotazione di ITL/Kg 210 esclusivamente per le consegne di ottobre».

65      Si deve pertanto necessariamente rilevare che, nonostante la mancanza della tabella 26 nella prima decisione, la Commissione ha espressamente menzionato, al punto 200 di questa, i prezzi base del periodo di cui trattasi nonché il momento della loro entrata in vigore.

66      In sesto luogo, per quanto riguarda la tabella 27, menzionata nella nota a piè di pagina n. 362 della prima decisione, essa, secondo tale nota, riproduce i «dati relativi ai prezzi base di listino o comunicati agli agenti (e, per la Lucchini Siderurgica S.p.A., anche quelli relativi alla situazione mensile) riguardanti il 1997 dei quali [era] in possesso la Commissione». Tale tabella è menzionata dalla Commissione a sostegno dell’affermazione contenuta al punto 216 della prima decisione, che è formulata come segue:

«Comunque, la [Lucchini-SP (…)], l’Acciaieria di Darfo S.p.A., l’Alfa Acciai S.R.L., la Feralpi Siderurgica S.R.L., la IRO, la Riva Prodotti Siderurgici S.p.A. e la (ex) Ferriera Valsabbia S.p.A. sono le sette imprese destinatarie di una comunicazione (datata 24 novembre 1997) del Dott. Pierluigi Leali, avente ad oggetto l’“accordo prezzo-consegne” (…) “Il prezzo di ITL 270/Kg è stato solo chiesto, senza risultato – continuava la comunicazione – da un paio di ferriere mentre in realtà, come dichiarato da più parti nel corso dell’ultima riunione dei commerciali, la quotazione è assestata a ITL 260/Kg con punte al di sotto. Rileviamo tuttavia con parziale soddisfazione che la caduta si è arrestata grazie al contingentamento delle consegne che tutti stiamo rispettando e che, come da accordi, sarà verificato da ispettori esterni all’uopo nominati”. “In questo fine mese – continuava sempre la comunicazione – che ormai si sta trascinando per inerzia, è indispensabile intervenire con immediato irrigidimento sulla quotazione minima di ITL 260/Kg (che non andrebbe sicuramente ad incidere sulle scarse acquisizioni del periodo). Con la pianificazione delle consegne di dicembre concordate (- 20% sulla quota di novembre) siamo sicuramente nella condizione di mantenere il livello di prezzo concordato; è però indispensabile – concludeva il Dott. Pierluigi Leali – che nessuno accetti deroghe sul prezzo minimo stabilito (ITL 260/Kg)».

67      Dal testo del predetto punto emerge quindi che la Commissione si è limitata a riprodurre i termini della comunicazione del 24 novembre 1997 ivi menzionata. La tabella 27 risulta pertanto irrilevante ai fini della comprensione della censura della Commissione contenuta nel punto 216 della prima decisione.

68      In settimo luogo, per quanto riguarda la tabella 28, menzionata nella nota a piè di pagina n. 405 della prima decisione, si deve constatare che, secondo detta nota, in essa sono riprodotti i «dati relativi ai prezzi base di listino o comunicati agli agenti (e per la Lucchini/Siderpotenza anche quelli relativi alla situazione mensile) riguardanti il 1998 dei quali [era] in possesso la Commissione». Tale tabella è menzionata dalla Commissione a sostegno dell’affermazione contenuta nel punto 241 della prima decisione, il quale è redatto come segue:

«L’11 settembre 1998 il Dott. Pierluigi Leali ha inviato una comunicazione (...) nella quale, facendo riferimento all’intenzione espressa (in un incontro avvenuto il 9 settembre 1998) di mantenere la quotazione minima, a ITL“170 bp [base di partenza]”???, si rilevavano “comportamenti anomali, ovvero quotazioni mediamente inferiori [di ITL] 5/Kg al livello stabilito, che in alcune zone del sud diventavano ancora maggiori”. “Per parte nostra – scriveva il Dott. Pierluigi Leali – il livello minimo concertato viene mantenuto con conseguente riduzione del flusso di ordini”. “Ci auguriamo – terminava la comunicazione – che nell’incontro tra i responsabili commerciali di martedì 15 [del mese corrente] venga riscontrata una sostanziale tenuta dei prezzi, valida per un eventuale recupero della quotazione”».

69      Dal testo stesso del punto citato risulta quindi che la Commissione si è limitata a riprodurre il contenuto della comunicazione dell’11 settembre 1998 ivi menzionata. La tabella 28 risulta pertanto irrilevante ai fini della comprensione della censura della Commissione contenuta al punto 241 della prima decisione.

70      In ottavo luogo, quanto alle tabelle 29 e 30, menzionate nella nota a piè di pagina n. 448 della prima decisione, si deve constatare che, secondo tale nota, in esse sono riprodotti i «dati relativi ai prezzi base di listino o comunicati agli agenti (e, per la Lucchini/Siderpotenza, anche quelli relativi alla situazione mensile) riguardanti il 1999 dei quali [era] in possesso la Commissione». Dette tabelle sono menzionate dalla Commissione a sostegno dell’affermazione contenuta al punto 276 della prima decisione, il quale ha il seguente tenore:

«Ulteriori informazioni, sulla situazione del mercato del tondo per cemento armato in Italia in questo periodo, sono contenute in un documento redatto dalla Leali il 10 novembre 1999, e in particolare nella sezione intitolata “BENEFICI E LIMITI DELL’ACCORDO COMMERCIALE ANNO 1999” in cui si legge: “L’accordo base raggiunto tra i produttori nazionali ha consentito, durante il 1999, di invertire la situazione di debolezza dei prezzi che aveva caratterizzato i due precedenti esercizi 1997 e 1998 e di recuperare oltre 50 ITL/Kg di margine lordo. Durante l’anno 1998 il margine lordo medio (prezzo di vendita – costo materie prime) era risultato di ITL/Kg 70, e per ben 5 mesi era sceso al di sotto di tale soglia”. (…) “L’accordo raggiunto ha consentito di stabilizzare i prezzi di vendita in corso di anno, ed i produttori hanno potuto beneficiare della situazione dei costi della materia prima, incrementando il margine lordo di oltre 50 ITL il Kg, portandolo a ITL/Kg 122 nette”».

71      Dalla formulazione del punto 276 della prima decisione emerge quindi che la Commissione si è limitata a riprodurre il contenuto della comunicazione del 10 novembre 1999 ivi menzionata. La mancanza delle tabelle 29 e 30 è pertanto ininfluente ai fini della comprensione della censura della Commissione contenuta al punto 276 della prima decisione.

72      In nono luogo, la tabella 13, menzionata al punto 451 della prima decisione, è citata a sostegno dell’affermazione secondo cui, «[p]er quel che riguarda il 1997, occorre constatare che esso [era] stato caratterizzato, nel suo primo semestre, da un aumento costante del prezzo base fissato dall’intesa anticoncorrenziale: ITL/Kg 190, fissato nella riunione del 30 gennaio; ITL/Kg 210, fissato nella riunione del 14 febbraio; ITL/Kg 250, fissato nella riunione del 10 luglio (punto (200)», e secondo cui, «[n]ello stesso periodo, il prezzo base medio di mercato era anch’esso costantemente aumentato, passando dalle 170 ITL/Kg di gennaio alle 240 ITL/Kg di luglio (Tabella n. 13, in allegato); a settembre dello stesso anno, il prezzo base medio di mercato è ulteriormente aumentato, raggiungendo le 290 ITL/Kg (Tabella n. 13, in allegato)». Si deve quindi rilevare che la Commissione ha espressamente indicato, in detto punto, gli aumenti del prezzo base relativi all’anno 1997, di modo che detta tabella non risulta indispensabile alla comprensione del ragionamento della Commissione.

73      In decimo luogo, va rilevato che, al punto 496 della prima decisione (nota a piè di pagina n. 563 della prima decisione), la Commissione si è riferita globalmente alle «tabelle allegate alla presente decisione», al fine di sostenere l’affermazione secondo cui «[d]alle informazioni (…) risulta[va] che tutte le imprese coinvolte nel presente procedimento [avevano] pubblicato listini prezzi base nel periodo in esame». Occorre tuttavia sottolineare che il punto 496 della prima decisione fa anche riferimento ai punti da 419 a 433 di questa, i quali «elencano tutte le occasioni documentate in cui il prezzo base è stato oggetto di discussione tra le imprese (ivi compresa l’associazione)». In proposito la Commissione ha precisato che, «[t]ra esse alcune [erano] già state menzionate quando si [era] parlato di concorso di volontà [si vedano i punti da 473 a 475]», che, «[p]er le altre occasioni, tra il 1993 e il 2000, si [doveva] ricorrere alla nozione di concertazione», e che «[l]’oggetto di questa concertazione era influire sul comportamento dei produttori sul mercato e rendere manifesto il comportamento che ciascuno di loro si proponeva di tenere sul mercato, in pratica, sulla determinazione del prezzo base». Le tabelle allegate alla prima decisione, quindi, nel loro insieme non risultano indispensabili alla comprensione della censura della Commissione.

74      In undicesimo luogo, per quanto riguarda i riferimenti alle tabelle da 1 a 3, 9, da 11 a 14 e 16 effettuati ai punti 513, 515, 516 e 518 della prima decisione, va sottolineato che tali punti si inseriscono nella suddivisione della prima decisione relativa agli effetti sul mercato delle pratiche restrittive e che dall’analisi del loro contenuto risulta che le tabelle ivi menzionate si limitano o a riprendere i dati numerici che vi vengono indicati o non sono indispensabili alla comprensione del ragionamento della Commissione in merito agli effetti dell’intesa.

75      Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, occorre considerare che, al momento dell’adozione della decisione impugnata, il collegio dei membri della Commissione abbia avuto piena cognizione degli elementi su cui si fondava la misura stessa. Ne consegue che il collegio dei membri della Commissione ha sanzionato la condotta di cui all’articolo 1 della decisione impugnata con piena cognizione di causa.

76      Ne consegue che il presente motivo deve essere respinto, senza che sia necessario ordinare misure istruttorie.

 Sul primo motivo, vertente sulla mancanza di competenza della Commissione a seguito della scadenza del Trattato CECA e sulla violazione del regolamento n. 1/2003

77      Nelle sue memorie la ricorrente ha sostenuto, in via preliminare, che la Commissione ha continuato ad applicare l’articolo 65 CA dopo la scadenza del Trattato CECA, quando il rapporto istituzionale stabilito tra gli Stati membri e la Commissione, in virtù del quale quest’ultima era stata investita di talune prerogative, si era già dissolto. Da un lato, la Commissione non avrebbe potuto estendere le sue prerogative autonomamente senza esservi autorizzata da una decisione degli Stati membri in tal senso. Sarebbe quindi spettato agli Stati membri stabilire le norme transitorie ad hoc al fine di disciplinare le conseguenze della scadenza del suddetto Trattato nel settore delle norme sulla concorrenza, come avrebbero fatto in altri settori disciplinati dal Trattato CECA. Dall’altro, il regolamento n. 1/2003 non conterebbe disposizioni che attribuiscono alla Commissione la competenza a sanzionare una violazione dell’articolo 65 CA in base all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, poiché quest’ultimo si riferisce solamente alle violazioni degli articoli 81 CE e 82 CE.

78      In primo luogo, l’unicità e la continuità dell’ordinamento giuridico comunitario e l’interpretazione uniforme delle disposizioni in materia di intese previste dai Trattati CECA e CE non consentirebbero di fondare la competenza della Commissione ad adottare una decisione che accerta una violazione dell’articolo 65 CA dopo la scadenza del Trattato CECA. Il fatto che i Trattati CECA e CE siano considerati come facenti parte di un ordinamento giuridico unico significherebbe esclusivamente che, in forza del principio della successione delle leggi nel tempo, alla scadenza del Trattato CECA, le situazioni prima rientranti nei settori coperti da quest’ultimo sarebbero in futuro disciplinate dal Trattato CE. Inoltre, l’articolo 1 TUE, e gli articoli 5 CE e 7 CE limiterebbero i poteri di intervento della Commissione ai settori disciplinati dal Trattato CE.

79      In secondo luogo, una siffatta competenza non potrebbe fondarsi sulla relazione di lex specialis-lex generalis del Trattato CECA rispetto al Trattato CE, che significherebbe unicamente che, nel periodo di vigenza delle due disposizioni, l’articolo 65 CA si applicava esclusivamente alle fattispecie in esso disciplinate. Nessun’altra conseguenza potrebbe discendere dall’articolo 305, paragrafo 1, CE. Il rinvio operato dalla Commissione alla sentenza della Corte del 24 ottobre 1985, Gerlach (239/84, Racc. pag. 3507) e alla sentenza del Tribunale del 1° luglio 2009, ThyssenKrupp Stainless/Commissione (T‑24/07, Racc. pag. II‑2309) sarebbe irrilevante. Peraltro, qualora venisse abrogata una lex specialis, la lex generalis diventerebbe immediatamente applicabile, per il futuro, alle fattispecie rientranti nel suo ambito di applicazione e che soddisfano le condizioni da essa definite. Occorrerebbe tenere conto del principio dell’abolitio criminis, che non consente di punire una condotta qualificabile come illecita al momento in cui è stata posta in essere se non è più punibile nel momento in cui dovrebbe essere sanzionata. Il meccanismo di espansione automatica dell’ambito di applicazione generale della lex generalis potrebbe operare solo in presenza di una sostanziale continuità tra i due tipi di infrazione, nel senso quanto meno dell’esistenza di identiche condizioni di punibilità, il che non avverrebbe nel caso degli articoli 65, paragrafo 1, CA e 81, paragrafo 1, CE. Infine, la presente causa sarebbe diversa dalle cause in materia di aiuti di Stato, come quella oggetto della sentenza del Tribunale del 12 settembre 2007, González y Díez/Commissione (T‑25/04, Racc. pag. II‑3121), anch’essa citata dalla Commissione a sostegno delle sue conclusioni.

80      In terzo luogo, non potrebbe ritenersi che la competenza della Commissione derivi da un’interpretazione per analogia delle norme del Trattato CE e, in particolare, degli articoli 7, paragrafo 1, e 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, poiché una siffatta interpretazione sarebbe in contrasto con il principio secondo cui una norma penale potrebbe applicarsi esclusivamente alla fattispecie concreta che rientra nel precetto della norma.

81      In quarto luogo, per quanto riguarda l’applicazione del principio della lex mitior, la ricorrente afferma che gli elementi addotti dalla Commissione per dimostrare l’eventuale pregiudizio al commercio tra gli Stati membri, nonché quelli relativi al metodo usato per porre a confronto le sanzioni previste dal Trattato CE e dal Trattato CECA sono insufficienti e scarsamente coerenti. In forza del principio della lex mitior, la legge più favorevole, complessivamente considerata, non sarebbe stata l’articolo 65 CA bensì l’articolo 81 CE, che prevede una condizione relativa all’incidenza sugli scambi tra Stati membri. La motivazione della decisione impugnata a tal riguardo sarebbe carente. Inoltre, la tesi sostenuta dalla Commissione nella decisione impugnata sarebbe contraria a quella fatta valere nella comunicazione degli addebiti, che si riferirebbe esclusivamente agli effetti dell’intesa sul mercato italiano. Infine, sarebbe altresì viziato il metodo comparativo tra l’articolo 65 CA e l’articolo 81 CE usato dalla Commissione.

82      All’udienza, in risposta ad un quesito posto dal Tribunale, la ricorrente ha rinunciato al presente motivo, fatta eccezione per l’argomento secondo cui, nell’applicazione del principio della lex mitior, la Commissione avrebbe dovuto provare l’incidenza sul commercio tra Stati membri.

83      Secondo la giurisprudenza della Corte, il principio di applicazione retroattiva della pena più mite è un principio generale del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze della Corte del 3 maggio 2005, Berlusconi e a., C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Racc. pag. I‑3565, punti da 67 a 69, e dell’11 marzo 2008, Jager, C‑420/06, Racc. pag. I‑1315, punto 59), principio che è oramai inserito nell’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

84      In primo luogo, la ricorrente afferma che, secondo il principio della lex mitior, la legge più favorevole, complessivamente considerata, non era l’articolo 65 CA, bensì l’articolo 81 CE, il quale richiede che sia fornita la prova dell’incidenza almeno potenziale dell’intesa sugli scambi.

85      Un simile argomento non può essere accolto. Occorre infatti sottolineare che la legge più clemente è quella che, in concreto, è la più favorevole all’impresa di cui trattasi, tenuto conto della sua situazione, della natura dell’infrazione e delle circostanze in cui essa l’ha commessa [v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Scoppola c. Italia (n. 2) del 17 settembre 2009, ricorso n. 10249/03, punto 109; v. altresì l’opinione concordante del giudice Pinto de Albuquerque, alla quale si è allineato il giudice Vučinić, sentenza Maktouf e Damjanović c. Bosnia‑Erzegovina, del 18 luglio 2013, ricorsi nn. 2312/08 e 34179/08].

86      Pertanto la Commissione ha segnatamente affermato, al punto 372 della decisione impugnata, quanto segue:

«Nel caso di specie l’applicazione dell’articolo 65 [CA] va pertanto comparata con l’applicazione dell’articolo 81 CE. Per quanto riguarda le norme sulla concorrenza, le norme [del Trattato] CE e [quelle del Trattato] CECA differiscono per tre aspetti, che potrebbero, in teoria, far sembrare l’applicazione dell’articolo 81 CE più favorevole di quella dell’articolo 65 [CA.] [i) L]’articolo 65, paragrafo 1 CECA, contrariamente all’articolo 81, paragrafo 1 CE, non richiede che un accordo o una pratica concordata pregiudichino il commercio tra Stati membri per costituire un’infrazione. Nel caso presente, tuttavia, l’infrazione ha avuto effettivamente tale conseguenza [v. punti 373 e segg.] [ii) L]’articolo 65, paragrafo 2 [CA] (per quanto riguarda le condizioni delle esenzioni) ha un campo di applicazione più limitato rispetto a quello dell’articolo 81, paragrafo 3 CE, nel senso che un accordo o una pratica concordata potrebbero in teoria essere più facilmente autorizzate in base a quest’ultima disposizione. Nella fattispecie, tuttavia, nessuna di queste disposizioni trova applicazione (...) [iii) L]’articolo 65, paragrafo 5 [CA] prevede che le ammende inflitte non possono essere superiori al doppio del volume d’affari ottenuto con i prodotti oggetto della pratica concordata. Tuttavia, se, come nel caso di specie, le pratiche restrittive includono una limitazione della produzione, l’ammenda può essere portata al 10% del volume d’affari annuo realizzato con i prodotti CECA dalle imprese in questione. Il diritto [del Trattato] CE (articolo 23, paragrafo 2 del regolamento n. 1/2003) prevede invece che le ammende possano arrivare al massimo al 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente (...)».

87      In secondo luogo, la ricorrente contesta la valutazione della Commissione secondo cui l’infrazione imputatale da quest’ultima sarebbe stata ad ogni modo atta ad incidere sul commercio tra Stati membri.

88      Si deve rammentare, da un lato, che la Corte ha dichiarato che, perché una decisione, un accordo o una prassi possano pregiudicare il commercio fra Stati membri, è necessario che, in base ad un complesso di elementi obiettivi di diritto o di fatto, essi consentano di ritenere con un sufficiente grado di probabilità che gli stessi esercitino un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sugli scambi tra Stati membri, in un modo tale da far temere che possano nuocere al conseguimento di un mercato unico fra Stati membri. Inoltre, è necessario che detta influenza non sia insignificante (v. sentenze della Corte del 23 novembre 2006, Asnef-Equifax e Administración del Estado, C‑238/05, Racc. pag. I‑11125, punto 34, e del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione, C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

89      Così, un impatto sugli scambi intracomunitari risulta, in generale, dalla combinazione di più fattori che di per sé non sarebbero necessariamente determinanti. Per verificare se un’intesa pregiudichi in modo significativo il commercio fra Stati membri è necessario esaminarla nel suo contesto economico e giuridico (v. sentenze Asnef-Equifax e Administración del Estado, cit. al punto 88 supra, punto 35, ed Erste Group Bank e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

90      Dall’altro lato, la Corte ha già affermato che la circostanza che un’intesa abbia per oggetto soltanto la distribuzione dei prodotti in un unico Stato membro non è sufficiente ad escludere che gli scambi tra Stati membri possano essere pregiudicati. Infatti, un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione dei mercati a livello nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato CE (v. sentenze Asnef-Equifax e Administración del Estado, cit. al punto 88 supra, punto 38, ed Erste Group Bank e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

91      La ricorrente ritiene anzitutto che sia legittimo chiedersi se, considerata l’inesistenza di importazioni in Italia, la Commissione non dovesse escludere che la sussistenza di pratiche restrittive in Italia potesse produrre effetti negativi sulla capacità concorrenziale, sul mercato italiano, di operatori stabiliti in altri Stati membri.

92      Si deve rilevare che la Commissione non aveva l’obbligo di dimostrare che gli accordi controversi avessero avuto, in pratica, un effetto sensibile sugli scambi fra Stati membri, o che gli scambi interstatali fossero aumentati dopo la fine delle infrazioni. Infatti, ciò che importa, ai fini dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, è solo che gli accordi e le pratiche concordate restrittivi della concorrenza possano pregiudicare il commercio fra Stati membri (sentenza Asnef-Equifax e Administración del Estado, cit. al punto 88 supra, punto 43, e sentenza del Tribunale del 13 dicembre 2006, FNCBV e a./Commissione, T‑217/03 e T‑245/03, Racc. pag. II‑4987, punto 68)

93      In proposito, dai punti da 373 a 375 e da 385 a 387 della decisione impugnata, che la ricorrente non contesta, emerge che: in primo luogo, l’intesa in questione ha riguardato tutto il territorio della Repubblica italiana, nel quale sono stati prodotti, durante il periodo in cui essa è durata, tra il 29% e il 43% del tondo per cemento armato prodotto nella Comunità europea; in secondo luogo, l’incidenza delle esportazioni (a partire dall’Italia) rispetto alle consegne totali (consegne Italia ed esportazioni) è sempre stata significativa (tra il 6 e il 34% durante il periodo dell’infrazione); in terzo luogo, a causa della partecipazione, dal dicembre 1989 al luglio 1998, dell’associazione di imprese Federacciai, gli effetti dell’intesa si sono estesi a tutti i produttori italiani di tondo per cemento armato e, quando la Federacciai non vi partecipava più, l’intesa ha riguardato le principali imprese italiane aventi una quota complessiva di mercato pari all’80%; in quarto luogo, almeno due importanti imprese partecipanti all’intesa sono state attive anche come produttori in almeno un altro mercato geografico del tondo per cemento armato; in quinto luogo, l’intesa è stata altresì caratterizzata dall’avere per oggetto, come misura equivalente alla riduzione temporanea e concertata della produzione, l’esportazione concertata al di fuori del territorio italiano, e, in sesto luogo, la quota dell’Italia negli scambi intracomunitari oscillava tra il 32,5% nel 1989 e il 18,1% nel 2000, con un minimo del 13,4% nel 1998. La ricorrente dunque non può invocare un’insufficiente motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda il pregiudizio sugli scambi tra Stati membri.

94      Poi, alla luce di tali elementi, si deve ritenere che la Commissione abbia correttamente affermato, al punto 375 della decisione impugnata, che l’intesa era atta, in ragione delle sue caratteristiche, a pregiudicare il commercio tra Stati membri.

95      Inoltre, sulla base della giurisprudenza ricordata al precedente punto 92, occorre ritenere che la conclusione relativa al potenziale pregiudizio al commercio tra Stati membri non è in contraddizione con il riferimento, effettuato al punto 302 della comunicazione degli addebiti, alla partecipazione della ricorrente ad un cartello di rilevanza nazionale.

96      Infine, la ricorrente contesta il metodo comparativo utilizzato dalla Commissione. Mentre quest’ultima sottolineerebbe la necessità di operare un raffronto concreto tra l’articolo 65, paragrafo 5, CA e l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, essa si limiterebbe a paragonare il limite massimo di cui all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 con il limite del 10% del fatturato derivante dalla vendita dei prodotti ricadenti nel Trattato CECA nel territorio della Comunità. Il ragionamento sarebbe chiaramente viziato, dato che il tetto del 10% del fatturato realizzato con prodotti ricadenti nel Trattato CECA nel territorio della Comunità sarebbe stabilito in modo discrezionale dalla Commissione con riferimento al caso di specie.

97      Un siffatto argomento è manifestamente privo di fondamento, dal momento che, come rileva la Commissione, il fatturato realizzato da un’impresa con i prodotti rientranti nel Trattato CECA non può in alcun caso eccedere il fatturato globale realizzato con tutti i prodotti dell’impresa a livello mondiale.

98      Ne consegue che occorre respingere tale censura e, pertanto, il presente motivo nella sua interezza.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 10, paragrafi 3 e 5, del regolamento n. 17 e dell’articolo 14, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1/2003

99      La ricorrente ricorda che l’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 17 e l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 prevedono la consultazione di un comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti. La prima audizione, che avrebbe anche riguardato le questioni di merito, si sarebbe svolta in assenza dei rappresentanti degli Stati membri. Dai punti 379 e seguenti della decisione impugnata non emergerebbe tuttavia chiaramente che il comitato consultivo abbia avuto a disposizione tutte le informazioni necessarie ai fini di una valutazione completa dell’oggetto e della gravità dell’infrazione addebitata ai destinatari della decisione impugnata. La ricorrente si chiede anche se la mancanza di una nuova audizione, nel corso della quale le imprese avrebbero potuto esporre i loro argomenti sul merito delle contestazioni ai rappresentanti degli Stati membri, possa essere giudicata conforme all’articolo 10, paragrafi 3 e 5, del regolamento n. 17 e all’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003. La ricorrente fa infine valere che la decisione impugnata non precisa né la data in cui è stato ottenuto il parere del comitato consultivo né l’eventuale pubblicazione di tale parere e chiede al Tribunale di disporre la produzione dei documenti attestanti la regolare convocazione del comitato consultivo e la trasmissione ad esso di tutta la documentazione pertinente.

100    In seguito ad una misura di organizzazione del procedimento del Tribunale, con cui il Tribunale ha chiesto alla Commissione di produrre documenti che sono stati comunicati al comitato consultivo, la ricorrente, all’udienza, ha rinunciato alla parte del suo motivo relativa alla comunicazione di detti documenti.

101    Per quanto riguarda la censura, mantenuta dalla ricorrente in sede di udienza, secondo cui il comitato consultivo non avrebbe potuto pronunciarsi sul merito del caso, dal fascicolo del Tribunale risulta che il comitato consultivo è stato regolarmente convocato e sentito nel corso di una riunione tenutasi il 18 settembre 2009. Dal parere di detto comitato, prodotto dalla Commissione, risulta inoltre che esso ha in particolare sottolineato il proprio accordo con la Commissione, in primo luogo, sull’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, e dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 quale base giuridica, in secondo luogo, sulla procedura seguita di riadozione della decisione, in terzo luogo, sull’applicazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA quale legge sostanziale nonostante la sua scadenza, in quarto luogo, sulla valutazione dei fatti costitutivi degli accordi o delle pratiche concordate ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 1, CA, in quinto luogo, sulla mancanza di prescrizione, in sesto luogo, sugli importi di base delle ammende e, in settimo luogo, sugli importi finali delle ammende. Il suddetto comitato ha altresì raccomandato la pubblicazione del suo parere sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

102    In base a quanto precede, il presente motivo dev’essere respinto.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 36, primo comma, CA

103    La ricorrente sostiene che la Commissione ha violato l’articolo 36, primo comma, CA rifiutando di dare seguito alla richiesta della ricorrente di conoscere i criteri usati dalla Commissione in sede di fissazione delle ammende da infliggere alle imprese interessate.

104    Al riguardo è sufficiente ricordare che dalla giurisprudenza risulta che, qualora la Commissione, nella comunicazione degli addebiti, dichiari espressamente che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle imprese interessate e indichi inoltre le principali considerazioni di fatto e di diritto che possono comportare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione ed il fatto di averla commessa intenzionalmente o per negligenza, essa adempie il suo obbligo di rispettare il diritto delle imprese ad essere sentite. In tal modo, essa fornisce loro le indicazioni necessarie per difendersi non solo contro l’accertamento dell’infrazione, ma altresì contro il fatto di vedersi infliggere un’ammenda. La Commissione invece non è tenuta, qualora abbia indicato gli elementi di fatto e di diritto sui quali essa intenda fondare il suo calcolo dell’importo delle ammende, a precisare il modo in cui si servirebbe di ciascuno di tali elementi per la determinazione dell’entità dell’ammenda (v. sentenza del Tribunale del 19 maggio 2010, Wieland-Werke e a./Commissione, T‑11/05, non pubblicata nella Raccolta, punti 129 e 130 e giurisprudenza ivi citata).

105    Orbene, la Commissione ha indicato tali elementi al punto 314 della comunicazione degli addebiti. In particolare, la Commissione ha ricordato che, nel fissare l’importo di ogni ammenda, essa doveva tenere conto di tutte le circostanze pertinenti, in particolare della gravità e della durata dell’infrazione. Essa ha aggiunto che, nella valutazione della gravità dell’infrazione, avrebbe tenuto conto dei fatti precedentemente descritti e valutati secondo il principio che un accordo o una pratica concordata, come un cartello dei prezzi e di ripartizione dei mercati, costituisce un’infrazione molto grave al diritto comunitario. Inoltre, essa ha indicato che, nel valutare la gravità dell’infrazione, avrebbe tenuto conto della natura, dell’impatto concreto sul mercato, quando fosse misurabile, e dell’estensione del mercato geografico rilevante e che il ruolo svolto da ciascuna delle imprese partecipanti all’infrazione sarebbe stato valutato individualmente. Essa ha infine sottolineato che, nella determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere a ogni impresa, essa avrebbe tenuto conto di ogni circostanza aggravante e attenuante e avrebbe proposto di fissare gli importi delle ammende a un livello tale da garantire loro un carattere sufficientemente dissuasivo.

106    Il presente motivo deve pertanto essere respinto.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione degli articoli 10 e 11 del regolamento (CE) n. 773/2004 e sulla violazione dei diritti della difesa della ricorrente

107    La ricorrente ricorda che, in seguito all’annullamento della decisione del 2002, la Commissione ha riadottato tale decisione senza inviare alle imprese di cui trattasi una nuova comunicazione degli addebiti, ma inviando loro, al di fuori di qualsiasi quadro procedurale e nonostante le disposizioni del suo regolamento (CE) n. 773/2004, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti da quest’ultima a norma degli articoli 81 [CE] e 82 [CE], la lettera del 30 giugno 2008. Né la presenza di disposizioni transitorie nei regolamenti nn. 1/2003 e 773/2004, né la sentenza della Corte del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Racc. pag. I‑8375), citata dalla Commissione al punto 392 della decisione impugnata, possono giustificare la scelta della Commissione di sostituire una comunicazione degli addebiti supplementari con la lettera del 30 giugno 2008, la cui natura e portata non sarebbero chiare. Così facendo, la Commissione non avrebbe consentito alla ricorrente di esercitare pienamente i suoi diritti della difesa, segnatamente mediante una nuova audizione.

108    A giudizio della ricorrente, gli errori in cui è incorsa la Commissione durante il procedimento avrebbero avuto ripercussioni determinanti sull’approccio globale seguito dalla stessa e non sarebbero circoscritti alla sola scelta della base giuridica. Essi avrebbero avuto conseguenze su altri aspetti fondamentali, quali l’applicazione del principio della lex mitior, e dunque il calcolo dell’importo dell’ammenda e la definizione del mercato geografico rilevante. Inoltre, nel riadottare la decisione del 2002, la Commissione non si sarebbe limitata a modificare il preambolo, ma avrebbe modificato vari punti nonché il suo dispositivo.

109    In via preliminare, va rammentato che l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 dispone quanto segue:

«Prima di adottare qualsiasi decisione prevista dagli articoli 7, 8, 23 e 24, paragrafo 2, la Commissione dà modo alle imprese e associazioni di imprese oggetto del procedimento avviato dalla Commissione di essere sentite relativamente agli addebiti su cui essa si basa. La Commissione basa le sue decisioni solo sugli addebiti in merito ai quali le parti interessate sono state poste in condizione di essere sentite. I ricorrenti sono strettamente associati al procedimento».

110    Risulta inoltre da costante giurisprudenza che il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento in esito al quale possano essere inflitte sanzioni, specialmente ammende o penalità, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, che va osservato anche se si tratta di un procedimento di natura amministrativa. A tal riguardo, la comunicazione degli addebiti costituisce la garanzia procedurale del principio fondamentale del diritto dell’Unione che esige il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento. In forza di detto principio, in particolare, la comunicazione degli addebiti trasmessa dalla Commissione a un’impresa alla quale intende infliggere una sanzione per violazione delle norme sulla concorrenza deve contenere gli elementi essenziali della contestazione mossa contro tale impresa, quali i fatti addebitati, la qualificazione data a questi ultimi e gli elementi di prova su cui si fonda la Commissione, affinché l’impresa in questione sia in grado di far valere utilmente i propri argomenti nell’ambito del procedimento amministrativo avviato a suo carico (v., in tal senso, sentenze della Corte del 3 settembre 2009, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Racc. pag. I‑7191, punti 34 e 36 e giurisprudenza ivi citata, e Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, Racc. pag. I‑7415, punti da 26 a 28).

111    Il rispetto dei diritti della difesa esige infatti che l’impresa interessata sia stata posta in grado, durante il procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare l’asserita infrazione nei suoi confronti (v. sentenza della Corte del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Racc. pag. I‑123, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

112    Deve inoltre ricordarsi che la comunicazione degli addebiti è un documento di natura processuale e preparatoria che, al fine di garantire l’esercizio efficace dei diritti della difesa, circoscrive l’oggetto del procedimento amministrativo avviato dalla Commissione, impedendo così a quest’ultima di formulare altre censure nella decisione con cui essa conclude il procedimento di cui trattasi (ordinanza della Corte del 18 giugno 1986, British American Tobacco e Reynolds Industries/Commissione, 142/84 e 156/84, Racc. pag. 1899, punti 13 e 14, e sentenza della Corte del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, C‑413/06 P, Racc. pag. I‑4951, punto 63).

113    Sebbene la comunicazione degli addebiti debba consentire agli interessati di prendere realmente atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico, tale obbligo è rispettato quando la decisione definitiva non pone a carico degli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nella comunicazione degli addebiti e prende in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati hanno avuto modo di esporre le proprie ragioni. Nessuna norma impedisce alla Commissione di comunicare alle parti in un procedimento in materia di concorrenza, dopo aver inviato la comunicazione degli addebiti, altri elementi pertinenti che la possano integrare, a partire dal momento in cui tali elementi non modificano le infrazioni addebitate alle imprese e in cui queste ultime hanno avuto la possibilità di esprimersi su tutti gli elementi addotti a loro carico (sentenza della Corte del 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione, 107/82, Racc. pag. 3151, punto 29; sentenze del Tribunale del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Racc. pag. II‑931, punto 497; del 20 marzo 2002, LR AF 1998/Commissione, T‑23/99, Racc. pag. II‑1705, punto 190; del 12 luglio 2011, Fuji Electric/Commissione, T‑132/07, Racc. pag. II‑4091, punto 238, e del 27 giugno 2012, Microsoft/Commissione, T‑167/08, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti da 182 a 186).

114    Infine si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’annullamento di un atto dell’Unione non incide necessariamente sugli atti preparatori, poiché, in linea di principio, il procedimento diretto a sostituire l’atto annullato può ripartire dal punto preciso in cui l’illegittimità si è verificata (v. sentenze della Corte del 12 novembre 1998, Spagna/Commissione, C‑415/96, Racc. pag. I‑6993, punti 31 e 32, e del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 107 supra, punto 73; sentenze del Tribunale del 15 ottobre 1998, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, T‑2/95, Racc. pag. II‑3939, punto 91, e del 25 giugno 2010, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑66/01, Racc. pag. II‑2631, punto 125 e giurisprudenza ivi citata).

115    In primo luogo, come indicato al precedente punto 20, la decisione del 2002 è stata annullata a causa del fatto che l’articolo 65, paragrafi 4 e 5, CA era scaduto il 23 luglio 2002 e che la Commissione non poteva quindi più fondare la propria competenza sulle suddette disposizioni, estinte al momento dell’adozione della decisione in parola, per constatare una violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA e per infliggere ammende alle imprese che avrebbero partecipato alla suddetta infrazione. Per quanto riguarda la giurisprudenza menzionata al precedente punto 114, l’esecuzione della sentenza Riva Acciaio/Commissione, citata al punto 20 supra, imponeva alla Commissione di far ripartire il procedimento dal punto preciso in cui l’illegittimità si era verificata, vale a dire dal momento dell’adozione della decisione del 2002.

116    Poiché il vizio che rendeva illegittima la decisione del 2002 si era verificato al momento dell’adozione di tale decisione (sentenza Riva Acciaio/Commissione, cit. al punto 20 supra, punto 96), l’annullamento di detta decisione non ha inficiato la validità delle misure preparatorie della stessa, precedenti alla fase in cui il vizio in questione si è prodotto (v., in tal senso, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 107 supra, punto 75, e Imperial Chemical Industries/Commissione, cit. al punto 114 supra, punto 126).

117    In secondo luogo, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che la Commissione ha il diritto ed eventualmente il dovere di procedere, nel corso del procedimento amministrativo, a nuove indagini qualora lo svolgimento di tale procedimento faccia emergere la necessità di accertamenti ulteriori, ma che la comunicazione agli interessati di addebiti supplementari è necessaria solo qualora il risultato degli accertamenti induca la Commissione a porre atti nuovi a carico delle imprese o ad assumere fatti notevolmente diversi come prova delle infrazioni contestate (sentenze della Corte del 14 luglio 1972, Farbenfabriken Bayer/Commissione, 51/69, Racc. pag. 745, punto 11, e Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 111 supra, punto 192).

118    Ebbene, si deve necessariamente rilevare che ciò non si verifica nel caso di specie. Infatti, da un lato, al momento dell’annullamento della decisione del 2002, gli atti preparatori compiuti dalla Commissione, e in particolare la comunicazione degli addebiti e la comunicazione degli addebiti supplementari, consentivano un’analisi esauriente del comportamento delle imprese coinvolte alla luce dell’articolo 65, paragrafo 1, CA. Pertanto, le conseguenze da trarre dalla sentenza di annullamento della decisione del 2002, che non ha esaminato il merito della controversia, non incidono in alcun modo sui fatti e i comportamenti che la Commissione addebita alla ricorrente.

119    Dall’altro, come risulta dalla giurisprudenza, l’obbligo della Commissione nella fase della comunicazione degli addebiti si limita ad esporre le censure sollevate e ad esporre chiaramente i fatti su cui essa si basa nonché la qualificazione data loro, affinché i suoi destinatari possano utilmente difendersi. La Commissione non è obbligata ad esporre le conclusioni che essa trae dai fatti, dai documenti e dagli argomenti giuridici presentati (v. sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc. pag. II‑2501, punto 453 e giurisprudenza ivi citata). In ogni caso, la Commissione aveva già informato la ricorrente delle conseguenze che essa traeva dal fatto della scadenza del Trattato CECA nella comunicazione degli addebiti supplementari e la ricorrente ha avuto la possibilità di far valere proprie osservazioni al riguardo, cosa che essa ha del resto fatto il 20 settembre 2002.

120    Deve altresì sottolinearsi che, secondo la giurisprudenza, quando, in seguito all’annullamento di una decisione in materia di concorrenza, la Commissione sceglie di rimediare all’illegittimità od alle illegittimità accertate e di adottare una decisione identica non viziata da tali illegittimità, quest’ultima decisione riguarda i medesimi addebiti in merito ai quali le imprese si sono già pronunciate (sentenza del 15 ottobre 2002 Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 107 supra, punto 98).

121    La ricorrente non può sostenere che la Commissione non si è limitata a modificare il preambolo della decisione impugnata, ma che avrebbe modificato altresì più punti e il dispositivo della stessa.

122    Al riguardo dev’essere sottolineato che l’annullamento della decisione del 2002 con la sentenza Riva Acciaio/Commissione, cit. al punto 20 supra, ha comportato il suo venir meno nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Inoltre, occorre ricordare che sono la comunicazione degli addebiti, da un lato, e l’accesso al fascicolo, dall’altro, i mezzi che consentono alle imprese oggetto di un’indagine di prendere conoscenza degli elementi di prova di cui dispone la Commissione e di conferire ai diritti della difesa la loro piena effettività (sentenze della Corte del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 107 supra, punti 315 e 316; Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 111 supra, punti 66 e 67, e del 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, C‑328/05 P, Racc. pag. I‑3921, punto 55), di modo che i raffronti operati dalla ricorrente tra la decisione del 2002 e la decisione impugnata sono del tutto privi di pertinenza.

123    Da ultimo deve sottolinearsi che, con la sua lettera del 30 giugno 2008, la Commissione si è limitata a informare le imprese in causa, a seguito dell’annullamento della decisione del 2002 ad opera del Tribunale, della sua intenzione di riadottare tale decisione nei confronti di tutte le partecipanti all’intesa per le quali il Tribunale l’ha annullata. Essa ha altresì indicato alle imprese la base giuridica che l’autorizzava a riadottare la decisione nonché le disposizioni sostanziali e procedurali applicabili. Essa ha infine affermato espressamente che, «[c]onsiderata la portata limitata della sentenza [di annullamento della decisione del 2002] (che non affronta questioni fattuali), la decisione riadottata si baser[ebbe] nuovamente sulle prove presentate nella comunicazione degli addebiti (…) e nella comunicazione supplementare degli addebiti del 13 agosto 2002, tenendo conto nel contempo del giudizio del Tribunale in merito alla definizione della base giuridica che legittima la Commissione ad agire».

124    Dalle considerazioni che precedono risulta che la Commissione, a seguito dell’annullamento della decisione del 2002, non aveva l’obbligo di riavviare il procedimento ed adottare una nuova comunicazione degli addebiti. Dal momento che le imprese interessate avevano già avuto la possibilità di essere sentite oralmente durante l’audizione del 13 giugno 2002, successiva alla comunicazione degli addebiti, e durante l’audizione del 30 settembre 2002, successiva alla comunicazione degli addebiti supplementari, la Commissione non era tenuta ad organizzare una nuova audizione.

125    Alla luce delle considerazioni esposte, il presente motivo deve essere respinto.

 Sul quinto motivo, vertente sulla carenza e sulla contraddittorietà della motivazione per quanto riguarda la definizione del mercato geografico rilevante e l’applicazione del principio della lex mitior

126    La ricorrente sostiene che la decisione impugnata è viziata per carenza e contraddittorietà della motivazione nei passaggi in cui la Commissione, da un lato, limita al territorio della Repubblica italiana il mercato geografico di riferimento e, dall’altro, sostiene che la presunta intesa possa avere un’incidenza sugli scambi tra Stati membri ai fini dell’applicazione del principio della lex mitior. Infatti, la Commissione definirebbe il mercato nazionale come mercato geografico di riferimento fondandosi sulla constatazione secondo cui i flussi di prodotti non provenienti dall’Italia sarebbero limitati. Tuttavia, essa sarebbe anche del parere che al caso di specie vada applicata la giurisprudenza secondo cui, in presenza di un’intesa volta a falsare in modo sensibile la concorrenza, la definizione del mercato geografico sarebbe inconferente.

127    Anzitutto, il procedimento avrebbe evidenziato che il livello dei prezzi del tondo per cemento armato in Italia era mediamente inferiore ai prezzi praticati all’estero e che la mancanza di interesse economico a vendere in Italia sarebbe stata dovuta ai ridotti margini di profitto, il che sarebbe in chiara contraddizione con l’affermazione secondo cui l’intesa ha falsato in modo sensibile la concorrenza. Sussisterebbe poi una manifesta contraddizione tra la motivazione addotta dalla Commissione per limitare il mercato geografico di riferimento al mercato nazionale e il ragionamento da essa seguito per provare il pregiudizio al commercio tra Stati membri. La giurisprudenza invocata dalla Commissione a tal riguardo sarebbe priva di rilevanza. Infine, il ragionamento seguito dalla Commissione non sarebbe coerente per quanto riguarda la dimensione nazionale del mercato geografico rilevante, poiché i fattori presi in considerazione per sostenere l’incidenza sugli scambi tra Stati membri mal si concilierebbero con le constatazioni operate nell’ambito della definizione del mercato geografico rilevante.

128    Occorre rilevare che, ai punti da 47 a 60 della decisione impugnata, la Commissione ha definito il mercato geografico rilevante del tondo per cemento armato nervato in barre o in rotoli come corrispondente al territorio della Repubblica italiana. Ai fini della definizione del mercato geografico, la Commissione si è riferita al fatto che il prodotto proveniente da altre aree geografiche ha rappresentato, in base ai dati dell’Eurostat (Ufficio statistico dell’Unione europea), tra lo 0 e il 6% del totale delle vendite realizzate sul territorio italiano, sicché i flussi di prodotto verso l’Italia sono stati molto limitati nel periodo di cui trattasi. Essa ha anche fatto riferimento alla mancanza strutturale d’interesse economico per le imprese degli altri Stati membri a vendere tondo per cemento armato in Italia (punti da 47 a 50 della decisione impugnata). Essa ha anche ricordato, al punto 48 della decisione impugnata, come, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 65 CA, come anche dell’articolo 81 CE, la definizione del mercato geografico dovesse essere effettuata per determinare se l’intesa tendesse, direttamente o indirettamente, a impedire, limitare o alterare il gioco normale della concorrenza all’interno del mercato comune, cosicché, nel caso in cui un’intesa tendesse a falsare in modo sensibile la concorrenza, la definizione del mercato geografico non rivestiva un’importanza decisiva.

129    Contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente, una siffatta motivazione non è contraddittoria, nel senso che la Commissione, sulla base dei dati in suo possesso, ha delimitato il mercato geografico di riferimento, per poi precisare che, tenuto conto di determinati elementi di fatto e della giurisprudenza del Tribunale, la definizione del mercato non rivestiva importanza decisiva.

130    Una simile motivazione non è neanche in contraddizione con i rilievi operati dalla Commissione nell’ambito dell’applicazione del principio della lex mitior. In particolare, il fatto che l’intesa abbia pregiudicato il commercio tra Stati membri non è in contraddizione con la definizione del mercato geografico pertinente identificato con il territorio italiano. A tale riguardo, da una parte, la definizione del mercato geografico consente di individuare l’ambito nel quale le imprese sono in concorrenza tra loro e di verificare se esistano concorrenti effettivi, in grado di condizionare il comportamento delle imprese interessate o di impedire loro di operare in modo indipendente da effettive pressioni concorrenziali (paragrafo 2 della [Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza (GU 1997, C‑372, pag. 5)]). D’altra parte, secondo una giurisprudenza costante richiamata al punto 374 della prima decisione, perché una decisione, un accordo o una prassi possano pregiudicare il commercio fra Stati membri è necessario che, in base ad un complesso di elementi obiettivi di diritto o di fatto, appaia con un sufficiente grado di probabilità che essi esercitano un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sugli scambi tra Stati membri, in un modo tale da far temere che possano nuocere al conseguimento di un mercato unico fra Stati membri. Occorre inoltre che una siffatta influenza non sia insignificante (v. sentenza Asnef-Equifax e Administración del Estado, cit. al punto 88 supra, punto 34 e giurisprudenza ivi citata; sentenza Erste Group Bank e a./Commissione, punto cit. al 88 supra, punto 36) (v. altresì punto 88 supra).

131    Orbene, come la Commissione ha affermato ai punti da 373 a 375 della prima decisione, in primo luogo, l’intesa in esame ha riguardato tutto il territorio italiano sul quale è stato prodotto, nel periodo della sua durata, dal 29% al 43% del tondo per cemento armato prodotto nella Comunità; in secondo luogo, l’incidenza delle esportazioni (dall’Italia) rispetto alle consegne totali (consegne Italia ed esportazioni) è stata sempre rilevante (tra il 6% e il 34% durante il periodo dell’infrazione); in terzo luogo, almeno due importanti imprese partecipanti all’intesa sono state attive anche come produttori in almeno un altro mercato geografico del tondo per cemento armato; in quarto luogo, l’intesa è stata altresì caratterizzata dall’avere ad oggetto, come misura equivalente a quella della riduzione temporanea e concertata della produzione, la concertata esportazione al di fuori dal territorio italiano, e, in quinto luogo, la quota dell’Italia negli scambi intracomunitari oscillava tra il 32,5% nel 1989 e il 18,1% nel 2000, con un livello minimo del 13,4% nel 1998.

132    Alla luce delle considerazioni già illustrate ai precedenti punti da 88 a 97, si deve considerare che la Commissione abbia correttamente ritenuto, al punto 375 della decisione impugnata, che l’intesa, in ragione delle sue caratteristiche, fosse atta a pregiudicare il commercio tra Stati membri, e che la conclusione relativa all’incidenza potenziale sul commercio tra Stati membri non era in contraddizione con il riferimento operato al punto 302 della comunicazione degli addebiti alla partecipazione della ricorrente ad un cartello di rilevanza nazionale.

133    Ne consegue che il presente motivo dev’essere respinto.

 Sul sesto motivo, vertente su un travisamento dei fatti e sulla violazione dell’articolo 65 CA per quanto riguarda i vari aspetti dell’infrazione contestata alla ricorrente

134    Nell’ambito del sesto motivo, la ricorrente sostiene che la decisione impugnata è viziata da errori di valutazione dei fatti, che si traducono in una violazione dell’articolo 65 CA. Taluni di detti errori riguarderebbero tutte le imprese interessate, mentre altri riguarderebbero la Riva in particolare. La ricorrente contesta altresì, per un verso, la qualificazione giuridica di determinati fatti accertati nella decisione impugnata e, per un altro, il valore probatorio di taluni elementi di prova utilizzati dalla Commissione per dimostrare l’infrazione, motivo per cui è d’uopo richiamare talune considerazioni preliminari al riguardo.

 Sulle nozioni di accordi e di pratiche concordate

135    Si deve rammentare che l’articolo 65 CA proibisce segnatamente gli accordi tra imprese e sistemi concordati che tendano, sul mercato comune, direttamente o indirettamente, a impedire, limitare o falsare il gioco normale della concorrenza e, in particolare, a fissare o determinare i prezzi, a limitare o controllare la produzione, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, a ripartire i mercati, i prodotti, i clienti o le fonti d’approvvigionamento (v. punto 3 supra).

136    La nozione di accordo ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 1, CA deriva dall’espressione, da parte delle imprese partecipanti, della volontà comune di comportarsi sul mercato in un determinato modo (v., quanto all’articolo 81, paragrafo 1, CE, sentenza della Corte dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, Racc. pag. I‑4125, punto 130; v., quanto all’articolo 65, paragrafo 1, CA, sentenza del Tribunale dell’11 marzo 1999, Thyssen Stahl/Commissione, T‑141/94, Racc. pag. II‑347, punto 262) (v. altresì punto 403 della decisione impugnata).

137    Peraltro, come rilevato dalla Commissione ai punti 491 e 492 della decisione impugnata, la nozione di pratica concordata ai sensi di tale disposizione riguarda una forma di coordinamento tra imprese le quali, pur senza essersi spinte sino alla costituzione di un vero e proprio accordo, abbiano consapevolmente sostituito una reciproca cooperazione pratica ai rischi della concorrenza (sentenze della Corte del 16 dicembre 1975, Suiker Unie e a./Commissione, da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Racc. pag. 1663, punto 26; del 31 marzo 1993, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Racc. pag. I‑1307, punto 63; Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 115, e dell’8 luglio 1999, Hüls/Commissione, C‑199/92 P, Racc. pag. I‑4287, punto 158; sentenza Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 136 supra, punto 266).

138    La Corte ha aggiunto che i criteri del coordinamento e della collaborazione dovevano essere intesi alla luce della concezione inerente alle norme del Trattato in materia di concorrenza, secondo la quale ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato comune (sentenze della Corte Suiker Unie e a./Commissione, cit. al punto 137 supra, punto 173; Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, cit. al punto 137 supra, punto 63; Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 116, e del 2 ottobre 2003, Corus UK/Commissione, C‑199/99 P, Racc. pag. I‑11177, punto 106).

139    Secondo questa stessa giurisprudenza, se è vero che la suddetta esigenza di autonomia non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei loro concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato quando tali contatti abbiano lo scopo o l’effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato di cui trattasi, tenuto conto della natura della merce e delle prestazioni fornite, dell’importanza e del numero delle imprese e del volume di detto mercato (sentenze Suiker Unie e a./Commissione, cit. al punto 137 supra, punto 174; Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 117; Hüls/Commissione, cit. al punto 137 supra, punto 160, e Corus UK/Commissione, cit. al punto 138 supra, punto 107).

140    Bisogna inoltre presumere, fatta salva la prova contraria il cui onere incombe agli operatori interessati, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono presenti sul mercato tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento sul mercato. Ciò a maggior ragione allorché la concertazione ha luogo su base regolare nel corso di un lungo periodo (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 121; v. anche, in tal senso, sentenza Hüls/Commissione, cit. al punto 137 supra, punto 162).

141    Occorre peraltro rilevare che il paragone tra la nozione di accordo e quella di pratica concordata dimostra che, dal punto di vista soggettivo, esse ricomprendono forme di collusione che condividono la stessa natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme con cui si manifestano (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 131).

 Sui principi relativi all’onere della prova

142    Dall’articolo 2 del regolamento n. 1/2003 nonché da giurisprudenza costante risulta che, nel settore del diritto della concorrenza, in caso di controversia sulla sussistenza di un’infrazione, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare in modo adeguato l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (sentenze della Corte del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 58; del 6 gennaio 2004, BAI e Commissione/Bayer, C‑2/01 P e C‑3/01 P, Racc. pag. I‑23, punto 62, e del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 71; sentenza del Tribunale 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, Racc. pag. II‑3601, punto 688).

143    A tal fine, essa deve raccogliere elementi di prova sufficientemente precisi e concordanti per fondare la ferma convinzione che l’asserita infrazione abbia avuto luogo (v., in tal senso, sentenze della Corte del 28 marzo 1984, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, 29/83 e 30/83, Racc. pag. 1679, punto 20; Ahlström Osakeytiö e a./Commissione, cit. al punto 137 supra, punto 127; del Tribunale del 21 gennaio 1999, Riviera Auto Service e a./Commissione, T‑185/96, T‑189/96 e T‑190/96, Racc. pag. II‑93, punto 47, e del 15 dicembre 2010, E.ON Energie/Commissione, T‑141/08, Racc. pag. II‑5761, punto 48).

144    In tale contesto, l’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione. Il giudice non può quindi concludere che la Commissione abbia sufficientemente dimostrato l’esistenza dell’infrazione in questione qualora egli nutra ancora dubbi in merito a tale questione, in particolare nell’ambito di un ricorso diretto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda (sentenze del Tribunale JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 119 supra, punto 177; del 27 settembre 2006, Dresdner Bank e a./Commissione, T‑44/02 OP, T‑54/02 OP, T‑56/02 OP, T‑60/02 OP e T‑61/02 OP, Racc. pag. II‑3567, punto 60, e del 15 dicembre 2010, E.ON Energie/Commissione, cit. al punto 143 supra, punto 51).

145    Infatti, in quest’ultimo caso, si deve tenere conto del principio della presunzione d’innocenza, oggi sancito all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali e che si applica alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese, che possono sfociare nella pronuncia di ammende o penalità (sentenze della Corte Hüls/Commissione, cit. al punto 137 supra, punti 149 e 150; dell’8 luglio 1999, Montecatini/Commissione, C‑235/92 P, Racc. pag. I‑4539, punti 175 e 176, e del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, cit. al punto 142 supra, punti 72 e 73; sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 119 supra, punto 178).

146    Tuttavia, occorre sottolineare che non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere ai criteri indicati al precedente punto 142 con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v. sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 107 supra, punti da 513 a 523, e sentenza Dresdner Bank e a./Commissione, cit. al punto 144 supra, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

147    In considerazione della notorietà del divieto degli accordi anticoncorrenziali, non può imporsi alla Commissione di produrre documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra gli operatori interessati. Gli elementi frammentari e sporadici di cui la Commissione potrebbe disporre dovrebbero in ogni caso poter essere completati con deduzioni che permettano di ricostruire le circostanze pertinenti. L’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale può dunque essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi, i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 111 supra, punti da 55 a 57, e Dresdner Bank e a./Commissione, cit. al punto 144 supra, punti 64 e 65).

148    È vero che, quando la Commissione si basa unicamente sul comportamento delle imprese in questione sul mercato per concludere per l’esistenza di un’infrazione, è sufficiente per queste ultime dimostrare l’esistenza di circostanze che mettono in una luce diversa i fatti dimostrati dalla Commissione e che consentono in tal modo di sostituire una diversa spiegazione plausibile dei fatti a quella adottata dalla Commissione per concludere per l’esistenza di una violazione delle regole di concorrenza dell’Unione (v., sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 119 supra, punto 186 e giurisprudenza ivi citata). Così, se la Commissione constata una violazione delle norme sulla concorrenza basandosi sulla supposizione che i fatti accertati possano trovare spiegazione soltanto in funzione della sussistenza di un comportamento anticoncorrenziale, il giudice dell’Unione sarà indotto ad annullare la decisione di cui trattasi qualora le imprese interessate adducano un’argomentazione che ponga in una luce diversa i fatti accertati dalla Commissione e che consenta quindi di sostituire una diversa spiegazione plausibile dei fatti a quella indicata dalla Commissione per concludere per la sussistenza di un’infrazione. Infatti, in un’ipotesi del genere, non si può ritenere che la Commissione abbia fornito la prova della sussistenza di un’infrazione al diritto della concorrenza (v., in tal senso, sentenze Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, cit. al punto 143 supra; Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, cit. al punto 137 supra, punti 126 e 127, e del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, cit. al punto 142 supra, punto 74).

149    Tuttavia, quando, in sede di accertamento di una violazione al diritto della concorrenza, la Commissione si fondi su elementi di prova documentali, incombe alle imprese interessate non semplicemente di presentare una spiegazione alternativa plausibile alla tesi della Commissione, ma di confutare proprio l’insufficienza delle prove assunte nella decisione impugnata al fine di constatare l’esistenza dell’infrazione (sentenze del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 113 supra, punti da 725 a 728; JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 119 supra, punto 187, e del 15 dicembre 2010, E.ON Energie/Commissione, cit. al punto 143 supra, punto 55).

150    Per quanto riguarda i mezzi di prova che possono essere invocati per dimostrare l’infrazione all’articolo 65 CA, occorre rilevare che nel diritto dell’Unione prevale il principio della libertà di forma dei mezzi probatori (v., in tal senso, sentenza del Tribunale, dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, Racc. pag. II‑2395, punto 72). In particolare, nessuna norma né alcun principio generale del diritto dell’Unione impediscono alla Commissione di avvalersi, contro un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese incriminate. Se così non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari all’articolo 65 CA, che incombe alla Commissione, sarebbe insostenibile ed incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuita dal Trattato CE (v., in tal senso, sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 119 supra, punto 192).

151    Infine, quanto al valore probatorio che occorre riconoscere ai differenti elementi di prova, si deve sottolineare che l’unico criterio pertinente per valutare le prove liberamente prodotte consiste nella loro attendibilità (v. sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, T‑44/00, Racc. pag. II‑2223, punto 84 e giurisprudenza ivi citata; sentenze Dalmine/Commissione, cit. al punto 150 supra, punto 72, e JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 119 supra, punto 273). Secondo le regole generalmente applicabili in materia di prova, l’attendibilità e, pertanto, il valore probatorio di un documento dipendono dalla sua fonte, dalle circostanze in cui è stato redatto, dal suo destinatario e dalla sensatezza ed attendibilità del suo contenuto (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. al punto 55 supra, punto 1053). In particolare, occorre riconoscere speciale valore alla circostanza che un documento sia stato redatto in collegamento immediato con i fatti (sentenze del Tribunale dell’11 marzo 1999, Ensidesa/Commissione, T‑157/94, Racc. pag. II‑707, punto 312, e del 16 dicembre 2003, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied e Technische Unie/Commissione, T‑5/00 e T‑6/00, Racc. pag. II‑5761, punto 181) o da un testimone diretto degli stessi. Inoltre, le dichiarazioni contrarie agli interessi del dichiarante devono essere considerate, in linea di principio, come elementi di prova particolarmente affidabili (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. al punto 119 supra, punti 207, 211 e 212).

 Sulla fissazione del prezzo base

152    La ricorrente ricorda, in primo luogo, che al punto 407 della decisione impugnata la Commissione ha dichiarato di non essere tenuta a qualificare ciascun comportamento come accordo o pratica concordata. Tuttavia, nel caso di specie, la parte dell’intesa relativa al prezzo base avrebbe assunto la forma di un accordo soltanto inizialmente, mentre si sarebbe successivamente sostanziata in comportamenti suscettibili, in teoria, di essere qualificati come pratiche concordate, il che avrebbe dovuto condurre a una «derubricazione dell’addebito». Nella decisione impugnata la Commissione non avrebbe fornito alcuna risposta agli argomenti addotti dalla ricorrente nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti.

153    Tale argomentazione non può essere accolta. Come la Commissione ha sottolineato al punto 496 della decisione impugnata, i punti da 419 a 433 elencano tutte le occasioni in cui il prezzo base è stato oggetto di discussione tra le imprese, che possono essere qualificate o come accordo o come pratica concordata. Come indicato ai punti da 473 a 475 della decisione impugnata, tra tali occasioni, la Commissione ha segnatamente rilevato che il consenso espresso dai partecipanti alle riunioni era documentato almeno per quanto riguarda le riunioni del 13 settembre e del 25 novembre 1994, del 13 giugno, del 4 luglio e del 29 agosto 1995, del 13 febbraio e del 22 ottobre 1996, del 10 luglio, del 10 ottobre, del 23 ottobre e del 17 novembre 1997, del 1°, dell’8, del 16 e del 22 febbraio, del 20 e del 28 marzo, del 4, dell’11 e del 26 aprile, del 23 e del 30 maggio, e del 4 luglio 2000 (punti 142, 145, 153, 160, 168, 183, 200, da 212 a 214, 283, 284, 286, 287, da 290 a 293, 295, 299, 300 e 305 della decisione impugnata). Essa ha ritenuto che tale consenso fosse rinvenibile anche nelle riunioni per le quali la Federacciai ha riferito che era «emerso» un determinato prezzo, il che si era verificato ad esempio durante le riunioni del 1° aprile 1993, del 2 aprile 1996, del 16 ottobre 1997 e del 25 gennaio 2000 (punti 137, 191, 210 e 282 della decisione impugnata) o in cui il prezzo era stato «indicato», ad esempio il 7 febbraio 1994, il 30 gennaio, il 14 febbraio e il 16 ottobre 1997 e il 10 marzo 2000 (punti 138, 200, 210 e 289 della decisione impugnata). La Commissione si è altresì riferita ai casi per i quali disponeva di bozze o proposte di accordi i cui elementi fattuali dimostravano che erano stati messi in esecuzione o che l’adesione delle imprese si era registrata successivamente alla loro discussione, come, ad esempio, l’accordo di aprile-maggio 1992 (punti da 129 a 132 della decisione impugnata). Per le altre occasioni, tra il 1993 e il 2000, si deve ricorrere alla nozione di concertazione, il cui oggetto era influire sul comportamento dei produttori sul mercato e rendere manifesto il comportamento che ciascuno di loro si proponeva di tenere, in pratica, sulla determinazione del prezzo base (punto 496 della decisione impugnata).

154    Ad ogni modo, si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza, nell’ambito di una violazione complessa, la quale abbia coinvolto vari produttori che durante parecchi anni hanno perseguito un obiettivo di controllo in comune del mercato, non si può pretendere da parte della Commissione che essa qualifichi esattamente la violazione, per ognuna delle imprese e in ogni dato momento, come accordo o come pratica concordata, dal momento che, in ogni caso, l’una e l’altra di tali forme di violazione sono previste dall’articolo 65 CA (v., per analogia, sentenze del Tribunale del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 113 supra, punto 696, e del 29 giugno 2012, GDF Suez/Commissione, T‑370/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 133).

155    La Commissione ha pertanto il diritto di qualificare una tale violazione complessa come accordo «e/o» pratica concordata, in quanto tale violazione implica elementi che devono essere qualificati come «accordo» ed elementi che devono essere qualificati come «pratica concordata» (sentenze del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 113 supra, punto 697, e GDF Suez/Commissione, cit. al punto 154 supra, punto 134).

156    In secondo luogo, per quanto riguarda l’accordo del 1992, la ricorrente afferma che la Commissione è in possesso di un documento rinvenuto presso la sede della Federacciai, che non potrebbe essere utilizzato come elemento di prova poiché si tratterebbe di una mera bozza contrattuale, di cui si ignorerebbe chi ne sia l’autore, se sia entrato in vigore e se le imprese di cui trattasi ne abbiano avuto conoscenza. Il protocollo di adesione, sul quale si fonderebbe la Commissione per dimostrare l’entrata in vigore dell’accordo, non avrebbe valenza probatoria, dato che nulla consentirebbe di conoscerne la provenienza o di verificarne l’entrata in vigore effettiva. Inoltre, nel documento rinvenuto presso la sede della Federacciai mancherebbero elementi che dimostrino che l’accordo del 1992 è stato rispettato. La ricorrente avrebbe prodotto un campione di fatture che dimostrano che essa non aveva dato seguito al progetto di accordo e che aveva praticato prezzi costantemente inferiori a quelli indicati nel progetto di accordo. La ricorrente aggiunge di aver allegato un campione di fatture più vasto al presente ricorso e di essere disposta a trasmettere al Tribunale copia di tutte le sue fatture. La giurisprudenza invocata dalla Commissione al punto 486 della decisione impugnata sarebbe priva di rilevanza, in quanto il documento di cui dispone la Commissione non dimostrerebbe l’esistenza di un accordo.

157    Si deve anzitutto rilevare che, per dimostrare l’esistenza di un’intesa sui prezzi base e sui termini di pagamento, la Commissione si è fondata, al punto 129 della decisione impugnata, sull’entrata in vigore, in una data compresa tra il 13 aprile 1992 e il 31 maggio 1992, di un accordo valido fino al 30 luglio 1992 e prorogabile di trimestre in trimestre. Come risulta dalla formulazione di tale progetto d’accordo, esso doveva essere stipulato da 19 imprese produttrici di tondo per cemento armato, fra cui la ricorrente, e aveva per oggetto principale quello di obbligare le parti a rispettare i prezzi minimi di vendita del tondo per cemento armato sul mercato italiano citati nell’accordo (in una prima fase ITL/kg 210, successivamente ITL/kg 225, e, per il mese di giugno 1992, ITL/kg 235). Considerato in particolare il contesto descritto ai punti da 124 a 134 della decisione impugnata, l’argomento della ricorrente secondo cui si tratterebbe di una mera bozza di contratto, di cui si ignora l’autore o la provenienza, è privo di rilevanza. Infatti, poiché sono noti tanto il divieto di partecipare a pratiche e accordi anticoncorrenziali quanto le sanzioni che possono essere irrogate ai contravventori, di norma la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 111 supra, punto 55).

158    Si deve considerare, al pari della Commissione (punto 130 della decisione impugnata), che detto accordo è effettivamente entrato in vigore, dato che, come risulta dal protocollo di adesione, otto imprese che non vi avevano preso parte hanno inteso aderire, a partire dal 1° giugno 1992, «allo spirito ed alle condizioni dell’accordo in essere» fra alcuni produttori di tondo per cemento armato per tutto il periodo di validità di tale accordo, il che dimostra in termini giuridicamente soddisfacenti che lo stesso era in vigore il 31 maggio 1992, vale a dire la data immediatamente precedente a quella a partire dalla quale le otto imprese ulteriori già ricordate avevano espresso l’intenzione di aderirvi (v. altresì punto 478 della decisione impugnata). Gli argomenti della ricorrente secondo cui nulla consentirebbe di identificarne l’autore o di verificare l’entrata in vigore effettiva del protocollo di adesione sono al riguardo inconferenti. La ricorrente non può, pertanto, sostenere che l’esistenza del suddetto progetto d’accordo non basti a dimostrare l’esistenza di una volontà comune effettiva delle parti.

159    Poi, la ricorrente afferma di non aver mai dato seguito alla bozza di contratto summenzionata. Si deve però necessariamente constatare che il nome della ricorrente figura in tale bozza di contratto. Orbene, dalla giurisprudenza del Tribunale richiamata al punto 481 della decisione impugnata risulta che la circostanza che un’impresa non si adegui ai risultati delle riunioni aventi un oggetto manifestamente anticoncorrenziale non è atta a privarla della sua piena responsabilità per la partecipazione all’intesa, qualora essa non abbia preso pubblicamente le distanze dall’oggetto delle riunioni. Anche supponendo che il comportamento sul mercato della ricorrente e degli altri produttori, che avrebbero annunciato obiettivi di prezzo diversi, non sia stato conforme al comportamento convenuto, ciò non inciderebbe in alcun modo sulla loro responsabilità (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 14 maggio 1998, Sarrió/Commissione, T‑334/94, Racc. pag. II‑1439, punto 118, confermata in sede di impugnazione con sentenza della Corte del 16 novembre 2000, Sarrió/Commissione, C‑291/98 P, Racc. pag. I‑9991, punti 43 e 49), dato che essi hanno semplicemente potuto tentare di utilizzare l’intesa a loro vantaggio (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 15 giugno 2005, Tokai Carbon e a./Commissione, T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 74 e giurisprudenza ivi citata). L’asserita mancata modifica dei suoi listini nel corso del periodo durante cui è stato applicato l’accordo dell’aprile‑maggio 1992, come risulterebbe dalle fatture prodotte dalla ricorrente, non è tale da dimostrare l’assenza di responsabilità della ricorrente a tal riguardo.

160    In terzo luogo, dal secondo semestre del 1992 al 2000, l’intesa sui prezzi base avrebbe potuto assumere, tutt’al più, la forma di una pratica concordata che, attraverso uno scambio di informazioni reputate sensibili, si sarebbe sostanziata in un allineamento artificiale dei prezzi. Orbene, nessuna iniziativa in materia di prezzi base consentirebbe alla Commissione di provare che la Riva si sia allineata ai prezzi comunicati dalla Federacciai. Al contrario, se si considera ogni singola iniziativa adottata in materia di prezzi, solo un numero ristretto di imprese si sarebbe allineato al prezzo fissato. In mancanza di un tale allineamento da parte della Riva o di altri partecipanti all’intesa, la Commissione avrebbe a torto addebitato alla ricorrente la partecipazione all’intesa sulla fissazione dei prezzi.

161    Si deve rilevare che la ricorrente non contesta, da un lato, le affermazioni della Commissione secondo cui essa disponeva di prove documentali dell’esistenza dell’accordo di aprile-maggio 1992 (punti da 129 a 132 della decisione impugnata), delle riunioni del 13 settembre e del 25 novembre 1994, del 13 giugno, del 4 luglio e del 29 agosto 1995, del 13 febbraio e del 22 ottobre 1996, del 10 luglio, del 10 ottobre, del 23 ottobre e del 17 novembre 1997, del 1°, dell’8, del 16 e del 22 febbraio, del 20 e del 28 marzo, del 4, dell’11 e del 26 aprile, del 23 e del 30 maggio, e del 4 luglio 2000 (punti 142, 145, 153, 160, 168, 183, 200, da 212 a 214, 283, 284, 286, 287, da 290 a 293, 295, 299, 300 e 305 della decisione impugnata), delle riunioni per le quali la Federacciai ha riferito che era «emerso» un determinato prezzo, il che si era verificato ad esempio durante le riunioni del 1° aprile 1993, del 2 aprile 1996, del 16 ottobre 1997 e del 25 gennaio 2000 (punti 137, 191, 210 e 282 della decisione impugnata) o in cui il prezzo era stato «indicato», ad esempio il 7 febbraio 1994, il 30 gennaio, il 14 febbraio e il 16 ottobre 1997 e il 10 marzo 2000 (punti 138, 200, 210 e 289 della decisione impugnata), (v. anche punto 153 supra).

162    D’altro lato, essa non contesta neanche che più imprese si siano allineate sui prezzi comunicati ai produttori di tondo per cemento armato dalla Federacciai, ma si limita ad affermare di non essersi allineata su tali prezzi, alla stregua di altri produttori.

163    Inoltre, dal testo stesso dell’articolo 65 CA risulta che sono proibiti gli accordi tra imprese, le decisioni da parte di associazioni di aziende ed i sistemi concordati che tendano, sul mercato comune, direttamente o indirettamente, a impedire, limitare o falsare il gioco normale della concorrenza. Sebbene la nozione stessa di pratica concordata presupponga un comportamento delle imprese partecipanti sul mercato, essa non implica necessariamente che tale comportamento produca l’effetto concreto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza (v. anche i punti da 137 a 141 supra). È sufficiente constatare, se del caso, che ciascuna impresa ha dovuto necessariamente tener conto, direttamente o indirettamente, delle informazioni ottenute nel corso di dette riunioni con i suoi concorrenti. A tal riguardo, non è necessario che la Commissione dimostri che gli scambi di informazioni di cui trattasi abbiano raggiunto un risultato specifico o siano stati concretamente posti in atto sul mercato considerato (sentenza Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 136 supra, punti da 269 a 271).

164    Ne consegue che la Commissione non era tenuta a dimostrare che la Riva si fosse allineata ai prezzi comunicati dalla Federacciai.

165    In ogni caso si deve presumere, fatta salva la prova contraria il cui onere incombe agli operatori interessati, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono attive sul mercato tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento su tale mercato. Ciò a maggior ragione allorché la concertazione ha luogo su base regolare nel corso di un lungo periodo (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 121; v. anche, in tal senso, sentenza Hüls/Commissione, cit. al punto 137 supra, punto 162 e giurisprudenza ivi citata).

166    Al riguardo, le fatture prodotte dalla ricorrente non possono costituire la prova che essa non abbia tenuto conto delle informazioni scambiate con gli altri operatori, atteso che, come giustamente indicato dalla Commissione al punto 494 della decisione impugnata, sulla base di campioni non è possibile verificare se il prezzo medio praticato corrisponda o diverga da quello di listino, dato che non è possibile stabilire, ad esempio, quali fatture corrispondano a clienti normali o preferenziali. Pertanto, si può soltanto affermare che per quelle transazioni documentate il prezzo era divergente, ma ciò non dimostra affatto che i prezzi praticati per l’insieme delle transazioni realizzate nei giorni o periodi successivi agli aumenti fossero diversi da quelli dei listini.

167    In quarto luogo, la ricorrente afferma che il caso di specie riguarda uno scambio d’informazioni senza il minimo fine anticoncorrenziale, in quanto i dati scambiati non sarebbero stati sensibili in considerazione dell’obbligo di comunicazione e di pubblicazione dei prezzi ex articolo 60 CA e lo scambio di informazioni non avrebbe eliminato l’incertezza in merito ai comportamenti sul mercato, poiché i prezzi di fatto applicati differivano sistematicamente dai prezzi comunicati. Nel caso di specie, la Riva avrebbe dimostrato di avere sistematicamente tenuto un comportamento totalmente indipendente dai suoi concorrenti. A tal riguardo, la pubblicazione di listini prezzi asseritamente uniformi sarebbe priva di rilevanza al fine di accertare un determinato comportamento sul mercato, contrariamente all’applicazione, che deve essere dimostrata, di prezzi e di condizioni di vendita identici, atti ad eliminare qualsiasi possibilità di scelta per i clienti. Ad ogni modo, i listini pubblicati non sarebbero stati uniformi.

168    Si deve anzitutto respingere l’argomento della ricorrente secondo cui la Riva ha adottato in modo sistematico un comportamento totalmente indipendente dai suoi concorrenti, per i motivi illustrati ai precedenti punti 163 e 164.

169    Poi, la ricorrente non può sostenere che i dati scambiati non fossero «sensibili», dal momento che taluni fax menzionavano date (successive) precise per gli aumenti che vi venivano indicati. Al riguardo, la ricorrente non poteva nutrire alcun dubbio ragionevole circa il carattere illecito del suo comportamento, dato che talune sue comunicazioni recavano la menzione «da distruggere dopo presa visione» (v., ad esempio, il punto 160 della decisione impugnata).

170    Infine, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la pubblicità obbligatoria dei prezzi prevista dall’articolo 60, paragrafo 2, CA aveva lo scopo, anzitutto, di impedire per quanto possibile le pratiche vietate, poi, di permettere agli acquirenti di informarsi esattamente sui prezzi e di partecipare altresì al controllo delle discriminazioni e, infine, di consentire alle imprese di conoscere esattamente i prezzi praticati dai concorrenti, in modo da potervisi eventualmente allineare (v. sentenza Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 136 supra, punto 308 e giurisprudenza ivi citata).

171    È anche giurisprudenza costante che i prezzi che compaiono nei listini devono essere stabiliti per ciascuna impresa in maniera indipendente, senza accordo, sia pur tacito, tra le imprese. In particolare, il fatto che le disposizioni dell’articolo 60 CA tendano a limitare la concorrenza non impedisce l’applicazione del divieto delle intese previsto all’articolo 65, paragrafo 1, CA. Peraltro, l’articolo 60 CA non prevede alcun contatto tra le imprese, precedente alla pubblicazione dei listini, ai fini di una reciproca informazione sui loro futuri prezzi. Orbene, poiché simili contatti impediscono che tali listini siano fissati in modo indipendente, essi possono falsare il gioco normale della concorrenza, ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 1, CA (v. sentenza Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 136 supra, punti 312 e 313 e giurisprudenza ivi citata).

172    In quinto luogo, la ricorrente sostiene che l’argomentazione citata si applicherebbe mutatis mutandis alla concertazione sui termini di pagamento. Pertanto, se si esclude l’accordo del 1992, la fissazione dei termini di pagamento potrebbe, in teoria, costituire un caso di pratica concordata, purché ne ricorrano tutti i presupposti. Orbene, la Riva avrebbe dimostrato di avere applicato condizioni di pagamento che variavano ogni volta e che non coincidevano sistematicamente con i dati forniti dalla Federacciai.

173    Si deve tuttavia necessariamente rilevare che la ricorrente non adduce alcun argomento specifico relativamente all’intesa sulla fissazione dei termini di pagamento e, quindi, la sua censura deve essere respinta per i motivi esposti ai precedenti punti da 152 a 171.

174    Da tutte le considerazioni che precedono risulta che le censure della ricorrente volte a contestare l’esistenza di un’intesa sul prezzo base devono essere respinte.

 Sulla fissazione dei prezzi degli extra di dimensione

175    La ricorrente ricorda di avere sempre ammesso che l’allineamento dei prezzi fosse reale per gli extra di dimensione. Tuttavia, in sede di valutazione dell’effettiva portata anticoncorrenziale dei comportamenti accertati, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione le caratteristiche dell’extra di dimensione. In primo luogo, l’extra di dimensione sarebbe determinato sulla base di costi fissi. Pertanto, a parità di dimensioni e di qualità, i costi che determinano il valore dell’extra sarebbero sostanzialmente uniformi per tutti i produttori. Il prezzo base costituirebbe dunque l’elemento del prezzo finale che consente di differenziare le imprese secondo la loro forza concorrenziale. La Commissione sarebbe incorsa in un errore nel considerare che una pratica concordata riguardante gli extra persegua un fine anticoncorrenziale autonomo e distinto da quello di un’intesa sul prezzo base. In secondo luogo, le cause della concertazione tra i produttori sarebbero da ricercare, da un lato, nella normativa specifica prevista dall’articolo 60 CA, e segnatamente nel suo paragrafo 2, che prevede la pubblicità obbligatoria dei prezzi. A tal riguardo, dalle dichiarazioni dell’associazione nazionale dei sagomatori (in prosieguo: l’«Ansfer»), alle quali la Commissione nella decisione impugnata neppure farebbe riferimento, emergerebbe che le imprese sagomatrici non avrebbero mai notato comportamenti anticoncorrenziali e che il mercato italiano del tondo per cemento armato sarebbe sempre stato caratterizzato da una viva concorrenza sui prezzi. Del resto, il prezzo del tondo per cemento armato in Italia sarebbe sempre stato inferiore alla media dei prezzi praticati sul territorio comunitario. Dall’altro, l’uniformità degli extra di dimensione avrebbe corrisposto a specifiche esigenze del mercato, volte alla semplificazione dei rapporti commerciali, il che sarebbe stato confermato dall’Ansfer e dai clienti della ricorrente.

176    In via preliminare deve ricordarsi che la Commissione ha rilevato, al punto 439 della decisione impugnata, che, dal 6 dicembre 1989 fino al 2000, erano stati decisi e posti in essere almeno 19 aumenti degli extra di dimensione e che, per nove fra essi, era in possesso delle prove dirette relative agli accordi o pratiche concordate riguardanti detti aumenti, mentre per gli altri dieci essa aveva concluso che il parallelismo di comportamenti integrava una fattispecie infrattiva in quanto era stato posto in essere in un sistema nel quale le imprese, che allineano al rialzo il prezzo degli extra di dimensione a quello di uno o più concorrenti, avevano la previa certezza che detto allineamento al rialzo sarebbe stato il comportamento tenuto da tutti gli altri concorrenti.

177    Al riguardo si deve sottolineare che tali affermazioni sono esplicitamente ammesse dalla ricorrente, che tuttavia tenta di spiegare le ragioni che hanno spinto le imprese alla concertazione.

178    In primo luogo, la ricorrente non può affermare che l’aumento del prezzo degli extra sarebbe conseguenza del rincaro dei costi che determinava il valore degli extra, i quali sarebbero sostanzialmente uniformi per tutti i produttori.

179    Innanzitutto, deve sottolinearsi che l’allineamento al rialzo dei prezzi degli extra di dimensione è il frutto di un comune accordo talora tacito, talora esplicito, a non farsi concorrenza (punto 440 della prima decisione), e che, come ricordato al precedente punto 176, dal 6 dicembre 1989 fino al 2000, sono stati decisi e applicati almeno 19 aumenti di detti extra (punto 439 della prima decisione).

180    Poi, come rilevato dalla Commissione al punto 488 della decisione impugnata, se l’allineamento dei prezzi degli extra di dimensione dipendesse da considerazioni soltanto tecniche, gli aggiustamenti degli extra sarebbero propri ad ogni impresa individuale, nella misura in cui non è dimostrato che tutte facciano gli stessi investimenti e sostengano gli stessi costi allo stesso momento. Ciò dipenderebbe infatti dalle loro capacità finanziarie, che sono anch’esse dissimili. Difficilmente potrebbe comprendersi perché i partecipanti all’intesa abbiano sentito la necessità di riunirsi regolarmente per concordare tali aumenti (punto 440 della decisione impugnata).

181    Inoltre, non può trovare accoglimento l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto verificare in quale misura gli extra, che sarebbero solo una parte non negoziabile del prezzo finale, abbiano potuto effettivamente essere oggetto o strumento di concorrenza.

182    Secondo la giurisprudenza, il divieto delle intese volte, direttamente o indirettamente, a fissare i prezzi riguarda anche le intese vertenti sulla fissazione di una parte del prezzo finale (sentenze del Tribunale del 21 febbraio 1995, SPO e a./Commissione, T‑29/92, Racc. pag. II‑289, punto 146, e del 13 dicembre 2001, Acerinox/Commissione, T‑48/98, Racc. pag. II‑3859, punto 115).

183    Orbene, anzitutto, dato che il prezzo totale del tondo per cemento armato è composto dalla somma del prezzo base e di quello dell’extra di dimensione, e quest’ultimo è visto come estraneo a ogni concorrenza e non negoziabile, l’aumento dell’extra di dimensione si traduceva in una riduzione della variabilità del prezzo totale e quindi in una riduzione del margine d’incertezza di detto prezzo (punto 490 della decisione impugnata).

184    Poi, la Commissione ha constatato, al punto 515 della decisione impugnata, che il valore degli extra di dimensione rispetto al prezzo base si era modificato nel corso degli anni per il continuo incremento del primo rispetto a un andamento oscillante del secondo. Infatti, negli anni 1989-1990, gli extra di dimensione avevano un valore corrispondente a circa i due terzi del prezzo base, mentre negli anni 1999‑2000, il prezzo di questi extra poteva ammontare anche a più del doppio del prezzo base, cosicché, tra il 1989 e il 2000, il livello dei prezzi degli extra di dimensione era stato all’incirca moltiplicato per due.

185    Infine, dai precedenti punti da 152 a 172 emerge che la Commissione correttamente ha constatato che il prezzo base aveva anche formato oggetto di un’intesa tra il 1992 e il 2000.

186    Alla luce di quanto precede, si deve respingere l’argomento della ricorrente, secondo cui l’uniformità degli extra di dimensione sarebbe stata diretta a semplificare i rapporti commerciali, dal momento che tale argomento è manifestamente privo di ogni rilevanza, alla stregua di quello relativo alla dichiarazione dell’Ansfer, di cui peraltro la Commissione ha debitamente tenuto conto ai punti 55, da 63 a 66 e 524 della decisione impugnata, e che non può cancellare un dato incontrovertibile, ovvero l’esistenza di prove documentali dell’infrazione.

187    In secondo luogo, la ricorrente non può neppure, sulla scorta della giurisprudenza citata ai precedenti punti 170 e 171, sostenere che la concertazione tra i produttori di tondo per cemento armato trae la sua origine nella normativa specifica del Trattato CECA.

188    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere l’insieme delle censure relative all’intesa sui prezzi degli extra di dimensione.

Sulla limitazione o sul controllo della produzione o delle vendite

189    La ricorrente contesta le considerazioni della Commissione secondo cui la Riva ha partecipato alla parte dell’intesa avente ad oggetto la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite.

190    Innanzitutto, la Commissione non avrebbe tenuto conto degli argomenti sollevati dalla ricorrente nel corso del procedimento amministrativo e l’imputazione complessiva rivolta alla Riva sarebbe priva di motivazione convincente. Ne conseguirebbe un manifesto difetto di motivazione per quanto riguarda l’addebito relativo al controllo della produzione o delle vendite nei suoi confronti.

191    Si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la motivazione dev’essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità di motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo interessate direttamente e individualmente possono avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 15 CA deve essere valutata non soltanto riguardo al suo tenore, ma anche al suo contesto nonché al complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (v. in tale senso, sentenze del Tribunale del 24 settembre 1996, NALOO/Commissione, T‑57/91, Racc. pag. II‑1019, punto 298, e del 13 dicembre 2001, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, T‑45/98 e T‑47/98, Racc. pag. II‑3757, punto 129; v. altresì, per analogia, sentenze della Corte del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, Racc. pag. I‑1719, punto 63, e del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione, C‑280/08 P, Racc. pag. I‑9555, punto 131 e giurisprudenza ivi citata).

192    Inoltre, nel contesto delle decisioni individuali, da una giurisprudenza costante emerge che l’obbligo di motivare una decisione individuale ha lo scopo, oltre che di consentire un controllo giurisdizionale, di fornire all’interessato un’indicazione sufficiente per sapere se la decisione sia eventualmente affetta da un vizio che consenta di contestarne la validità (v. sentenza della Corte del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, Racc. pag. I‑8947, punto 148 e giurisprudenza ivi citata).

193    Nel caso di specie, si deve ritenere che la partecipazione della ricorrente alla parte dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite è motivata in modo adeguato nei punti da 445 a 454 e 563 della decisione impugnata, i quali rinviano ai punti della decisione impugnata che descrivono i comportamenti di cui trattasi. In particolare, per quanto riguarda la partecipazione della ricorrente a tale parte dell’intesa, la Commissione ha fatto riferimento ai seguenti elementi.

194    Per quanto riguarda il 1995, la Commissione si è in particolare fondata, in primo luogo, su una riunione del 13 giugno, seguita da un fax della Federacciai del 14 giugno, alla quale la Riva ha risposto (punti 153 e 154 della decisione impugnata); in secondo luogo, sulla redazione da parte della Federacciai, il 20 giugno, di una tabella contenente gli ordini della Riva nonché l’invio da parte della Federacciai alla Leali di un messaggio da trasmettere alle altre imprese, al quale la Riva ha risposto il 26 giugno (punti 157 e 158 della decisione impugnata); in terzo luogo, sull’impegno di ciascuna impresa assunto in una riunione tenutasi il 29 agosto a comunicare i dati precisati in un formulario e l’informazione fornita alla Leali dalla Federacciai il 1° settembre, della ricezione dei dati individuali, tra cui quelli della Riva (punti 168 e 169 della decisione impugnata); in quarto luogo, sulle richieste della Federacciai (dell’11 e del 25 settembre e di ottobre) di trasmetterle informazioni, alle quali la Riva ha risposto (punti da 171 a 174 della decisione impugnata).

195    Per quanto riguarda il 1996, la Commissione si è in particolare fondata, in primo luogo, su una riunione dell’8 febbraio, in presenza della Riva (punto 183 della decisione impugnata); in secondo luogo, su una riunione del 13 febbraio, alla quale la Riva non avrebbe partecipato, ma ai cui risultati essa avrebbe aderito, il che emergerebbe da una comunicazione della Leali del 20 febbraio 1996 e da un documento della Lucchini del 1996 (punto 184 della decisione impugnata); in terzo luogo, sul possesso da parte della Leali, il 12 settembre, di dati riguardanti la Riva (punto 193 della decisione impugnata); in quarto luogo, sull’esistenza di una riunione in settembre, in presenza della Riva (punto 194 della decisione impugnata); in quinto luogo, su un accordo del 27‑30 settembre, che prevedeva l’impegno allo scambio di informazioni, e relativamente al quale la partecipazione della Riva si evince dalla menzione di un fax della Riva e dalla data e dall’ora di adesione della stessa (punto 196 della decisione impugnata); in sesto luogo, sull’invito della Riva ad una riunione del 4 novembre (punto 202 della decisione impugnata), e, in settimo luogo, sui ringraziamenti trasmessi dalla Leali il 7 gennaio per la «collaborazione e disponibilità manifestata nel corso del 1996 per mantenere una situazione di mercato ordinata» (punto 202 della decisione impugnata).

196    Per quanto riguarda il 1997, la Commissione si è riferita, in primo luogo, ad un accordo del 16 ottobre che menziona la Riva, con cui le imprese avevano in particolare convenuto di scambiarsi i dati di consegna, accordo parimenti citato in un documento interno della Lucchini del mese di ottobre (punti da 205 a 207 della decisione impugnata); in secondo luogo, al possesso da parte della Feralpi, il 4 novembre, di dati della Riva (punto 209 della decisione impugnata), e, in terzo luogo, ad una comunicazione del 24 novembre, recante il titolo «accordo prezzo‑consegne», anch’essa indirizzata alla Riva (punto 216 della decisione impugnata).

197    Per quanto riguarda il 1998, la Commissione ha fatto riferimento, in primo luogo, ad una presa di contatto, il 9 giugno, da parte della Leali con la Riva (punto 233 della decisione impugnata); in secondo luogo, all’invio, l’11 settembre, da parte della Leali di una comunicazione, indirizzata tra l’altro alla Riva, che si riferiva ad una riunione del 9 settembre e a una riduzione del flusso di ordini (punto 241 della decisione impugnata); in terzo luogo, ad un accordo sulle quote di vendita, tra settembre e novembre, che includeva la Riva, entrato in vigore in dicembre (punti da 245 a 248 della decisione impugnata), e, in quarto luogo, alla convocazione della Riva ad una riunione del 19 ottobre (punto 258 della decisione impugnata).

198    Per quanto riguarda il 1999, la Commissione si è fondata, in primo luogo, sulle tabelle trovate in possesso della Leali in febbraio, che menzionavano le quote di consegne attribuite, tra l’altro, alla Riva (punto 252 della decisione impugnata); in secondo luogo, sulle riunioni del 12 gennaio, del 9 marzo, del 18 maggio, del 14 e del 22 giugno, del 19 luglio e del 1° settembre (punti da 261 a 271 della decisione impugnata), e, in terzo luogo, sulla comunicazione indirizzata da talune imprese alla Riva delle fermate di produzione (punto 277 della decisione impugnata).

199    Infine, per quanto riguarda il 2000, la Commissione ha constatato comportamenti che confermavano il carattere permanente della validità dell’intesa di settembre‑novembre 1998 (punti da 279 a 299 della decisione impugnata).

200    Poi, la ricorrente adduce vari argomenti che dimostrerebbero la sua mancata partecipazione a tale parte dell’intesa, la quale, fino al 1997, si sarebbe d’altronde manifestata esclusivamente sotto forma di pratica concordata, alla quale essa non avrebbe partecipato. Tali elementi avrebbero dovuto pesare notevolmente nella determinazione delle responsabilità individuali e nella qualificazione dell’infrazione come «molto grave».

201    Sotto un primo profilo, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione al punto 563 della decisione impugnata, la Riva non avrebbe aderito a un programma di fermate di produzione. Infatti, essa non avrebbe mai adottato una misura contraria al suo comportamento normale e consueto per tenere conto delle raccomandazioni della Federacciai. Così, la Riva avrebbe comunicato il riepilogo delle fermate dei suoi stabilimenti di luglio e agosto 1995, il quale corrisponderebbe alla prassi costante della società, poiché essa avrebbe sempre sospeso la sua attività produttiva durante i periodi feriali e ciò sia negli stabilimenti di produzione di tondo per cemento armato che negli altri stabilimenti.

202    Al riguardo, dal resoconto della riunione del 13 giugno 1995, prodotto dalla Commissione, risulta che i partecipanti a tale riunione avevano tra l’altro approvato all’unanimità la chiusura degli stabilimenti durante l’estate per un periodo di quattro settimane prima della fine del mese di agosto 1995, o una settimana nel periodo giugno-luglio e tre settimane in agosto. Con fax del 21 giugno 1995, il direttore generale della Federacciai ha trasmesso al dott. Leali un messaggio da inviare a tutte le imprese produttrici di tondo per cemento armato, in cui si chiedeva alle imprese di confermare per iscritto, attraverso un modulo allegato, quanto da esse programmato per compattare le fermate dell’estate. Tale messaggio concludeva con un ringraziamento per la «disponibilità espressa ad aumentare il periodo di fermata inizialmente previsto ed in attesa di una [s]ua cortese urgente conferma che [sarebbe servita a] rassicurare reciprocamente tutti gli attori». Un messaggio contenente termini identici è stato trasmesso dalla Leali a tutte le imprese produttrici di tondo per cemento armato il 22 giugno 1995.

203    Come la Commissione ha indicato al punto 158 della decisione impugnata, essa è in possesso delle risposte di numerose imprese da cui si evince che tutte, ad eccezione della Metal Fra Srl, intendevano aderire al programma del compattamento delle fermate, talune in modo totale e altre in modo parziale, riducendo di qualche giorno il periodo di compattamento delle fermate. Tra tali risposte figura quella della Riva, datata 26 giugno 1995. Considerato il contenuto del fax del 22 giugno 1995, al quale la Riva ha risposto, quest’ultima non può affermare di essere rimasta estranea all’iniziativa citata.

204    La ricorrente non può affermare che il periodo di fermate così notificato corrisponderebbe a quello praticato costantemente al suo interno. Infatti, come correttamente sottolineato dalla Commissione al punto 487 della decisione impugnata, un accordo che consiste nel mettere in atto comportamenti abituali o tradizionali può restringere la libertà delle parti di competere tra di loro adottando comportamenti diversi, e il fatto che le fermate produttive avessero luogo in periodi festivi per tutti i produttori e che ciò costituisse una pratica abituale, o che i termini di pagamento fossero quelli abitualmente praticati, sarebbe rilevante soltanto se non ci fosse stata la concertazione precedente.

205    Sotto un secondo profilo, la ricorrente afferma che la sua partecipazione all’accordo del 13 febbraio 1996 non potrebbe essere desunta dalla comunicazione della Leali del 20 febbraio 1996. Sarebbe sufficiente sottolineare che, nel periodo considerato (febbraio e marzo 1996), la Riva non ha effettuato alcuna fermata e avrebbe applicato un prezzo inferiore a 200 ITL/kg, mentre l’accordo prevedeva un prezzo di 230 ITL/kg. Infine, la Riva avrebbe rifiutato di sottomettersi al controllo dei volumi di produzione da parte di una società di consulenza.

206    Per quanto riguarda l’accordo del 13 febbraio 1996, la Commissione ha prodotto un documento datato 20 febbraio 1996, sottoscritto dal signor Leali e indirizzato, tra l’altro, alla Riva, che fa riferimento ad un promemoria relativo alla riunione del 13 febbraio 1996 ed al fatto «che tutti i produttori in indirizzo hanno aderito al programma di contenimento delle produzioni». Considerato tale documento, la Commissione ha correttamente ritenuto che la Riva avesse partecipato ad un’intesa in cui le parti avevano espresso la propria volontà comune di adottare un comportamento determinato in materia di controllo della produzione. Alla luce della giurisprudenza richiamata al precedente punto 159, la Commissione ha giustamente ritenuto che, non avendo preso pubblicamente le distanze da quanto convenuto nel corso della riunione summenzionata, la ricorrente non poteva sottrarsi alla propria responsabilità al riguardo. Essa non può affermare che la Commissione non potrebbe fondarsi a tal fine su una comunicazione interna di un’altra società, dal momento che nulla vieta alla Commissione di ammettere come prova del comportamento di un’impresa la corrispondenza scambiata tra terzi, purché il contenuto della stessa sia attendibile per quanto si riferisce al comportamento stesso (sentenza Suiker Unie e a./Commissione, punto 137 supra, punto 164, e sentenza del Tribunale dell’11 dicembre 2003, Marlines/Commissione, T‑56/99, Racc. pag. II‑5225, punto 57).

207    Sotto un terzo profilo, la ricorrente sostiene che la Riva non abbia partecipato all’accordo deciso durante la riunione del 26 ottobre 1997, il che emergerebbe, in primo luogo, dalla tabella contenente i dati relativi alle forniture effettuate dalla Riva nel 1997, da cui risulterebbe che, per il mese di novembre, non vi è stata una riduzione del 20% sulla media aritmetica dei primi nove mesi del 1997; in secondo luogo, dalle tabelle contenenti i riepiloghi delle fermate, da cui si evincerebbe che non ha avuto luogo alcuna fermata presso gli stabilimenti della Riva nel novembre 1997, e, in terzo luogo, dal dettaglio delle esportazioni della Riva relative al mese di novembre, da cui risulterebbe che tali esportazioni non sono aumentate nel novembre 1997.

208    Deve ricordarsi che, al punto 205 della decisione impugnata, la Commissione ha dedotto la partecipazione della Riva all’«accordo vincolante» del 16 ottobre 1997 dalla menzione della medesima in un accordo reperito sotto forma di bozza. Da tale bozza d’accordo risulta che le imprese coinvolte avevano previsto di limitare le consegne nazionali per il mese di novembre applicando una riduzione del 20% sulla media aritmetica mensile dei primi nove mesi del 1997. Al pari della Commissione, deve ritenersi che tale accordo abbia avuto attuazione, il che risulta dal rendiconto di una riunione del 17 novembre 1997, redatto dalla Feralpi, giacché «è stato considerato che in dicembre verrà detratta un’ulteriore quota del 20% rispetto alla quota di consegne di novembre», il che implica che la prima quota del 20%, oggetto dell’accordo del 1996, era un dato acquisito per i partecipanti all’incontro, tra i quali la Riva. Inoltre, un documento interno della Feralpi, datato 14 novembre 1997, recava la seguente menzione: «novembre 1997 quota Feralpi con riduzione 20% tonn. 31 600». Orbene, tale quota corrisponde esattamente a quella assegnata alla Feralpi nell’accordo dell’ottobre 1997 (punto 208 e nota a piè di pagina n. 344 della decisione impugnata).

209    Alla luce della giurisprudenza ricordata al precedente punto 159, pertanto, la Commissione ha ritenuto correttamente anche che, non avendo preso pubblicamente le distanze dall’accordo del 16 ottobre 1997, la ricorrente non potesse sottrarsi alla sua responsabilità al riguardo. Gli argomenti indicati al precedente punto 207 non possono quindi essere accolti.

210    Sotto un quarto profilo, per quanto riguarda il periodo tra il 25 novembre 1997 e il 30 aprile 1998, la ricorrente rileva che la Commissione ha considerato che la Riva abbia aderito non alle modalità dell’intesa, bensì semplicemente all’obiettivo perseguito, e che essa si riferirebbe alla nozione inedita di «partecipante indiretto». Il convincimento che la Riva abbia condiviso gli obiettivi di tale parte dell’intesa non emergerebbe dai documenti citati dalla Commissione, sarebbe priva di motivazione e la mancata partecipazione della Riva a tale parte dell’intesa dimostrerebbe il contrario. Infatti, da un lato, la Riva avrebbe aumentato la sua produzione di tondo per cemento armato. Dall’altro, la Riva non avrebbe mai aderito agli obiettivi in materia di prezzi base e avrebbe costantemente applicato prezzi inferiori ai prezzi indicati. La Commissione avrebbe elaborato una nuova giustificazione tra la comunicazione degli addebiti e la decisione definitiva, in violazione dei diritti della difesa della ricorrente.

211    Per quanto riguarda la violazione asserita dalla Riva dei suoi diritti della difesa, al precedente punto 113 si è ricordato che, sebbene la comunicazione degli addebiti debba consentire agli interessati di prendere realmente atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico, tale obbligo è rispettato quando la decisione definitiva non pone a carico degli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nella comunicazione degli addebiti e prende in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati hanno avuto modo di esporre le proprie ragioni. Nessuna norma impedisce alla Commissione di comunicare alle parti in un procedimento in materia di concorrenza, dopo aver inviato la comunicazione degli addebiti, altri elementi pertinenti che la possano integrare, a partire dal momento in cui tali elementi non modificano le infrazioni addebitate alle imprese e in cui queste ultime hanno avuto la possibilità di esprimersi su tutti gli elementi addotti a loro carico. Nel caso di specie, deve rilevarsi che i comportamenti addebitati alla Riva sono illustrati al punto 311 della comunicazione degli addebiti, che si riferisce già a tale partecipazione «indiretta» e che è richiamato al punto 563 della decisione impugnata, sicché non vi è, su tale punto, alcuna divergenza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione impugnata.

212    Quanto alla fondatezza dell’argomento della ricorrente, è pacifico che la Riva non abbia partecipato agli interventi e agli esercizi di controllo di una società di consulenza (punti da 217 a 244 della decisione impugnata). Come la Commissione ha rilevato al punto 563 della decisione impugnata, essa ha ritenuto che, in ragione del fatto che la Riva ne era venuta a conoscenza, essa dovesse essere considerata un partecipante indiretto alla parte dell’intesa relativa al controllo o alla limitazione della produzione o delle vendite tra il 25 novembre 1997 e il 30 aprile 1998.

213    In proposito, si deve ricordare che un’impresa la quale abbia partecipato ad un’infrazione unica e complessa con comportamenti suoi propri, rientranti nella nozione di accordo o di pratica concordata a scopo anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 65 CA e miranti a contribuire alla realizzazione dell’infrazione nel suo complesso, può essere responsabile anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa, qualora sia dimostrato che detta impresa era al corrente dei comportamenti illeciti degli altri partecipanti o che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne il rischio (sentenze della Corte Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 203, e del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, C‑441/11 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42; sentenze del Tribunale del 20 marzo 2002, Brugg Rohrsysteme/Commissione, T‑15/99, Racc. pag. II‑1613, punto 73, e Gütermann e Zwicky/Commissione, T‑456/05 e T‑457/05, Racc. pag. II‑1443, punto 50).

214    Di conseguenza, il fatto che un’impresa non abbia preso parte a tutti gli elementi costitutivi di un’intesa o che abbia svolto un ruolo secondario negli aspetti cui ha partecipato non è rilevante per dimostrare l’esistenza di un’infrazione da parte sua. Ove si accerti che un’impresa era a conoscenza dei comportamenti illeciti degli altri partecipanti o che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi, essa è considerata anche responsabile, per tutta la durata della sua partecipazione all’infrazione, dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione (sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 111 supra, punto 328, e Gütermann e Zwicky/Commissione, cit. al punto 213 supra, punto 156).

215    Questo è quanto avviene nel caso di specie, poiché la Riva è stata tra l’altro invitata ad una riunione del 15 aprile 1998, alla quale, secondo l’invito della Leali trasmesso il 7 aprile 1998 anche alla Riva, era presente il responsabile di una società di consulenza, e ad una riunione del 24 aprile 1998, durante la quale è stata discussa la riduzione di produzione da parte di tutti i produttori e la collaborazione di tale società di consulenza (punti da 228 a 230 della decisione impugnata).

216    Di contro, per quanto riguarda la valutazione della responsabilità individuale della ricorrente, si deve ricordare che, nonostante il fatto che un’impresa non abbia partecipato a tutti gli elementi costituitivi di un’intesa o abbia svolto un ruolo secondario negli aspetti cui ha partecipato non sia rilevante per dimostrare la sussistenza dell’infrazione, un tale elemento deve essere preso in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione e, eventualmente, della determinazione dell’importo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 136 supra, punto 90, e sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 111 supra, punto 292).

217    Nel caso di specie, relativamente alla gravità dell’infrazione addebitata alla Riva, si deve tener conto del fatto che quest’ultima non ha partecipato agli interventi e agli esercizi di controllo di una società di consulenza tra il 25 novembre 1997 e il 30 aprile 1998. Inoltre, al punto 564 della decisione impugnata la Commissione ha dichiarato che la Riva aveva sospeso la sua partecipazione alla parte dell’intesa sulla limitazione e sul controllo della produzione o delle vendite tra il 1° maggio e il 30 novembre 1998. Si deve pertanto concludere che la ricorrente non ha partecipato direttamente alla parte dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite tra il 25 novembre 1997 e il 30 novembre 1998, ossia per circa un anno.

218    Al punto 613 della decisione impugnata, la Commissione ha chiarito che la mancata partecipazione diretta a una delle parti dell’intesa per un breve periodo non giustificava una diminuzione dell’importo dell’ammenda. Essa ha segnatamente precisato, anzitutto, che la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite era strettamente finalizzato alla fissazione di un prezzo base più elevato, come attesterebbero documenti interni e dichiarazioni della Lucchini-SP (punti 207, 228 e 455 della decisione impugnata). Poi, la Commissione ha aggiunto che l’infrazione in questione non era meno grave per il fatto che l’uno o l’altro dei destinatari della decisione impugnata non avesse partecipato, per un breve periodo, a una delle parti di tale infrazione. Infine, essa ha ricordato che la mancata partecipazione della Riva faceva riferimento unicamente a una, o al massimo due, di quelle che erano state in precedenza definite come le proposte di una società di consulenza dell’aprile e del luglio 1998.

219    Occorre tuttavia ritenere che la mancata partecipazione diretta della Riva alla parte dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite si è estesa per circa un anno, il che non può essere qualificato come «breve periodo» in considerazione della durata dell’infrazione nel suo complesso. Deve pertanto concludersi che a torto la Commissione non ha tenuto conto, nella determinazione dell’importo dell’ammenda, della mancata partecipazione diretta della ricorrente alla parte dell’intesa relativa alla limitazione e al controllo della produzione o delle vendite nel periodo compreso tra il 27 novembre 1997 e il 30 novembre 1998.

220    In tali circostanze, e nell’ambito della sua competenza estesa al merito, il Tribunale ritiene che debba riformarsi l’articolo 2 della decisione impugnata e ridurre del 3% l’importo di base dell’ammenda della ricorrente allo scopo di prendere debitamente in considerazione la mancata partecipazione di quest’ultima, per circa un anno, alla parte dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite. Tale riduzione tiene conto del fatto, rilevato al punto 445 della decisione impugnata, che detta parte dell’intesa risultava strettamente funzionale all’obiettivo di sostegno dei prezzi e del fatto, verificabile e documentato, che anche imprese non partecipanti al sistema di riduzione della produzione realizzato mediante il controllo di una società di consulenza, ma operanti in sintonia con esso, erano al corrente dell’esistenza di tale sistema, nonché del suo essere funzionale a un concordato aumento del prezzo del tondo per cemento armato (punto 453 della decisione impugnata).

221    Sotto un quinto profilo, la ricorrente afferma che non sussiste alcuna prova del fatto che la Riva abbia partecipato alla parte dell’accordo del dicembre 1998 sulle quote di vendita e i suoi successivi adattamenti. Tutte le ipotesi d’intesa alle quali si riferirebbe la Commissione avrebbero previsto anche la fissazione di prezzi minimi di vendita. Orbene, la Riva avrebbe sempre applicato una politica dei prezzi autonoma rispetto a quella degli altri produttori. Per tale ragione, sebbene il suo nome figuri tra i potenziali partecipanti all’intesa, la Riva non avrebbe mai accettato di assumersi un impegno in tal senso e non avrebbe mai seguito le raccomandazioni della Federacciai.

222    Occorre rilevare che la Commissione, ai punti da 245 a 247 della decisione impugnata, ha constatato che, nei mesi da settembre a novembre 1998, il testo di un accordo la cui validità si estendeva fino al 31 dicembre 2001 è stato elaborato tra l’Alfa, la Feralpi, la Ferriere Nord, l’IRO, l’AFLL, la Riva, la Lucchini‑SP e la Valsabbia, avente ad oggetto il rispetto da parte di ciascun aderente di quote di vendita del tondo per cemento armato in barre del diametro da 6 a 40 mm sul mercato italiano. Secondo le tre versioni del testo dell’accordo, di cui la terza, recante il titolo «Ipotesi di lavoro», precisava le quote di consegne mensili delle otto imprese partecipanti, indicandone le percentuali corrispondenti a ciascuna di esse e sostituendo il nome di ciascuna impresa con un numero. Ai punti da 248 a 254 della decisione impugnata, la Commissione cita svariati documenti che confermano l’entrata in vigore del sistema di quote di vendita oggetto dell’accordo a partire da dicembre 1998.

223    Dal momento che la Riva non contesta di aver partecipato a tale accordo e dato che il suo nome figurava espressamente su di esso, essa non può, alla luce della giurisprudenza ricordata al precedente punto 159, limitarsi ad affermare che i suoi prezzi non corrispondevano ai prezzi fissati dall’intesa. Il suo argomento deve pertanto essere respinto.

224    Infine, sotto un sesto profilo, la ricorrente fa valere di non avere aderito all’accordo sulla ripartizione della quota «Darfo», il che sarebbe provato dal fatto che essa non avrebbe aumentato i suoi profitti nel corso del periodo considerato. Tale elemento illustrerebbe in modo chiaro le scelte della Riva, che cercava di discostarsi dalle pratiche messe in atto dai suoi concorrenti in un momento decisivo.

225    A tale riguardo, si deve necessariamente rilevare che l’accordo detto «Darfo» era stato notificato alla Commissione il 2 aprile 1999, conformemente all’articolo 65, paragrafo 2, CA, e non è stato oggetto della decisione impugnata, di modo che gli argomenti formulati in proposito sono privi di rilevanza.

 Sugli effetti dell’intesa

226    La ricorrente contesta le considerazioni operate dalla Commissione ai punti 512 e seguenti della decisione impugnata relative agli effetti dell’intesa sul mercato. In primo luogo, per quanto attiene agli extra di dimensione, non sarebbe dimostrato che l’aumento del 40% degli extra in termini reali fosse imputabile all’intesa. Da un lato, gli utilizzatori di tondo per cemento armato non avrebbero mai riscontrato effetti anticoncorrenziali imputabili all’intesa, poiché avrebbero sempre beneficiato di condizioni commerciali favorevoli. Dall’altro, non dovrebbe attribuirsi alcuna importanza all’allineamento effettivo dei produttori. In secondo luogo, nessun effetto può essere imputato alla parte dell’intesa sul prezzo base, in considerazione della mancanza sistematica di allineamento, da parte della maggioranza dei produttori, ai prezzi rilevati dalla Federacciai. La ricorrente non avrebbe mai applicato gli obiettivi di prezzo rilevati dalla Federacciai. Peraltro, non sussisterebbe alcuna prova di un aumento dei prezzi minimi nel corso del periodo considerato. Pertanto, i produttori non avrebbero mai avuto il controllo del prezzo base, le cui variazioni continue al rialzo e al ribasso sarebbero sintomatiche di un mercato altamente concorrenziale. In terzo luogo, le considerazioni che precedono si applicherebbero mutatis mutandis alla parte dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite, in quanto, secondo la Commissione, essa sarebbe parimenti tesa al controllo del prezzo finale.

227    Si deve ricordare che dalla giurisprudenza risulta che l’articolo 65, paragrafo 1, CA vieta gli accordi che «tendano» a impedire, limitare o falsare il gioco normale della concorrenza. Ne consegue che è vietato, ai sensi di detta disposizione, un accordo che abbia lo scopo di restringere la concorrenza, ma i cui effetti anticoncorrenziali non siano stati dimostrati. Poiché al punto 399 della decisione impugnata la Commissione ha constatato che l’intesa aveva per oggetto la fissazione dei prezzi in funzione della quale è stata anche decisa la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite, essa non era tenuta a dimostrare l’esistenza di un effetto pregiudizievole sulla concorrenza per dimostrare una violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA (sentenza della Corte del 2 ottobre 2003, Ensidesa/Commissione, C‑198/99 P, Racc. pag. I‑11111, punti 59 e 60, e sentenza Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 136 supra, punto 277) (v. anche punto 463 della decisione impugnata).

228    Si deve tuttavia rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha esaminato, per uno scrupolo di completezza, gli effetti dell’intesa e ha considerato, sulla base di un insieme di elementi esposti ai punti da 513 a 524 della decisione impugnata, che l’intesa aveva prodotto effetti concreti.

229    In particolare, dopo aver sottolineato che si trattava di un’intesa il cui obiettivo era di impedire, limitare o alterare il gioco normale della concorrenza, e che non era quindi necessario accertare che avesse prodotto effetti sul mercato, essa ha rilevato che l’evoluzione dei prezzi reali totali non era ricostruibile in modo univoco. Tuttavia, la Commissione, prendendo come punti di riferimento i prezzi medi degli extra di dimensione di dicembre 1989 e gennaio 1990 e maggio e giugno 2000, ha stimato un aumento del prezzo degli extra di almeno il 40% in termini reali, il che significa che, anche volendo considerare importanti riduzioni del prezzo base in termini reali, i dati non sembravano supportare la tesi dello studio Lear (Laboratorio di Economia, Antitrust, Regolamentazione) di una riduzione del prezzo totale del 32% in termini reali. La Commissione ha aggiunto che le informazioni di cui disponeva originavano dalle imprese stesse (punti da 512 a 514 della decisione impugnata).

230    Per quanto attiene agli aumenti degli extra di dimensione, la Commissione ha sottolineato che, dal 6 dicembre 1989 fino al 4 luglio 2000, sono stati decisi e posti in essere almeno 19 aumenti e che, per nove fra essi, era in possesso delle prove dirette relative agli accordi o pratiche concordate riguardanti detti aumenti. Essa ha aggiunto che, tra il 1989 e il 2000, il livello dei prezzi degli extra di dimensione sarebbe stato moltiplicato per due. Inoltre, a parere della Commissione, ogni aumento di tali extra di dimensione, deciso dai principali produttori, ha avuto un effetto concreto sul mercato, perché adottato, più o meno rapidamente, anche da quei produttori che non avevano per primi partecipato all’iniziativa di aumento, di modo che non era apparso necessario prendere in esame l’effetto di ogni singola intesa relativa all’aumento dei prezzi degli extra di dimensione (punto 515 della decisione impugnata).

231    La Commissione ha anche ritenuto che gli accordi o pratiche concordate riguardanti la fissazione del prezzo base avessero avuto un effetto sul mercato e, al punto 516 della decisione impugnata, ha indicato gli elementi da cui risultavano gli effetti dell’intesa sul mercato, richiamati segnatamente ai punti da 129 a 131, da 136 a 138, 140, 142, 143, 145, 153, 155, 156, 160, 167, 168, 174, 183, 187, 191, 192, 200, 210, 214, 215, 233, 241, 268, 276, da 280 a 300 e 302 della stessa decisione.

232    La Commissione ha fornito una descrizione degli effetti dell’intesa sulle condizioni di pagamento al punto 517 della decisione impugnata, che si riferisce segnatamente ai punti 164 e 165 di essa, mentre ha chiarito gli effetti dell’intesa sulla limitazione o sul controllo della produzione e delle vendite al punto 518 della decisione impugnata.

233    Ai punti 519 e 520 della decisione impugnata la Commissione ha affermato che la valutazione degli effetti concreti dell’intesa permetteva di concludere che essa aveva influenzato il prezzo di vendita praticato dai produttori di tondo per cemento armato in Italia, anche se non sempre quanto stabilito in seno all’intesa aveva immediatamente portato ai risultati sperati. Inoltre, possono esserci stati fenomeni con effetto ritardato. Secondo la Commissione, l’insufficiente incidenza di alcune iniziative riguardanti i prezzi aveva anche indotto le imprese in questione a combinarle con altre misure sui volumi o a modificare quelle prese sui prezzi, il che dimostra come i comportamenti nei quali si è concretizzata l’intesa fossero tutti destinati a raggiungere un unico e medesimo obiettivo, ossia l’aumento del prezzo. La Commissione ha sottolineato che le imprese di cui trattasi rappresentavano all’incirca il 21% del mercato italiano del tondo per cemento armato nel 1989, il 60% nel 1995 e all’incirca l’83% nel 2000, cosicché l’effetto sul mercato degli aumenti di prezzo concordati tra le imprese era stato crescente, tanto più che le iniziative prese in questa materia venivano fin dal 1989 successivamente comunicate all’insieme dei produttori di tondo per cemento armato. Infine, la Commissione ha aggiunto che la posizione delle parti secondo cui i comportamenti contestati non avevano avuto alcun effetto sul mercato non era conforme alle prove in suo possesso.

234    Per contestare tali affermazioni, la ricorrente sostiene, anzitutto, che non è dimostrato che l’aumento del 40% del prezzo degli extra sia imputabile all’intesa. Un simile argomento deve essere respinto. Infatti, dal momento che la ricorrente riconosce che il prezzo medio degli extra ha subito un aumento pari al 40% in termini reali nel periodo da dicembre 1989 e gennaio 1990 a maggio e giugno 2000, e che, nel corso di tale periodo, vi è stato un allineamento effettivo del prezzo degli extra di dimensione, deve ritenersi che la Commissione abbia correttamente affermato, al punto 515 della decisione impugnata, che ciascun aumento degli extra deciso dai principali produttori aveva avuto un effetto concreto sul mercato, perché era stato adottato più o meno rapidamente dagli altri produttori.

235    Poi, la ricorrente afferma che nessun effetto possa essere imputato alla parte dell’intesa sulla fissazione del prezzo base, in considerazione della mancanza sistematica di allineamento, da parte della maggioranza dei produttori, ai prezzi rilevati dalla Federacciai e della mancanza di prova di un aumento dei prezzi minimi nel corso del periodo considerato. Tale argomento dev’essere parimenti respinto. A parte il fatto che la ricorrente non formula alcuna osservazione sull’adozione da parte di più imprese, in molteplici occasioni, dei prezzi base fissati dall’intesa (punto 516 della decisione impugnata), la Commissione ha anche rilevato, senza essere contraddetta sul punto dalla ricorrente, che, in taluni casi, gli effetti dell’intesa erano stati confermati dai membri stessi dell’intesa. Infatti, ad esempio, in un rapporto della Lucchini-SP di febbraio 1999, si afferma che «l’accordo tra produttori sta contribuendo ad una sostanziale tenuta dei prezzi indipendentemente dal mercato che è caratterizzato da una domanda normale, non particolarmente vivace».

236    Infine, le considerazioni che precedono si applicherebbero mutatis mutandis alla parte dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite, in quanto, secondo la Commissione, essa era parimenti tesa al controllo del prezzo finale. Alla luce del rigetto degli argomenti relativi alla mancanza di effetti dell’intesa sui prezzi base e sugli extra di dimensione, anche il presente argomento deve essere respinto. In ogni caso, anche per quanto riguarda questa parte dell’intesa, la Commissione ha del pari sottolineato, ai punti 216 e 578 della decisione impugnata, senza essere contraddetta dalla ricorrente, di essere in possesso di documenti in cui le imprese riferivano un successo parziale.

237    Sulla base delle considerazioni che precedono, occorre respingere gli argomenti della ricorrente diretti a dimostrare la mancanza di effetti dell’intesa.

 Sul settimo motivo, vertente sulla carenza d’istruttoria e su un difetto di motivazione in ordine all’imputazione alla ricorrente dell’infrazione nel suo complesso ed alla specifica posizione di quest’ultima in relazione ai comportamenti addebitatile

238    La ricorrente contesta il fatto che l’infrazione complessa e continuata le sia imputata in tutti i suoi aspetti, senza una motivazione a tal riguardo, e denuncia l’omesso esame della posizione specifica della Riva da parte della Commissione. Essa afferma che la Commissione è stata troppo superficiale nella sua analisi delle responsabilità individuali, sia per quanto riguarda la partecipazione all’intesa sia per quanto riguarda l’attuazione della medesima, in violazione del principio generale della «personalità» della responsabilità e dell’individualità delle sanzioni. Da una parte, come risulterebbe dall’esame del sesto motivo, la Commissione non avrebbe realmente verificato il coinvolgimento della Riva nelle varie parti dell’intesa, poiché la Riva è rimasta estranea a svariate parti del cartello. Dall’altra, alla Riva avrebbe dovuto essere riconosciuto il beneficio di talune circostanze attenuanti, in particolare quella inerente al rifiuto da parte della Riva di aderire, a partire dal 1995 o quantomeno dal 1997, agli aspetti più caratteristici dell’intesa. Ne conseguirebbe che non sussiste continuità dell’infrazione, data la netta cesura tra la concertazione precedente al novembre 1997 e quella successiva, che non potrebbero esserle imputati gli aspetti dell’infrazione relativi alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite e alla quota cosiddetta «Darfo» e che si deve riconoscere alla Riva un ruolo assolutamente passivo nella parte della concertazione alla quale ha partecipato.

239    In via preliminare, come riconosciuto dalla ricorrente all’udienza, il suo argomento fondato sulla mancata partecipazione diretta ad una parte dell’intesa sulla limitazione e sul controllo della produzione o delle vendite si confonde con taluni argomenti formulati nell’ambito del sesto motivo ed è stato oggetto di esame da parte del Tribunale ai precedenti punti da 189 a 225. Inoltre, l’analisi del riconoscimento eventuale di circostanze attenuanti si confonde in parte con l’esame dell’ottavo motivo ed è oggetto più avanti dei punti da 282 a 283.

240    Inoltre, da un lato, sulla base delle considerazioni svolte ai punti da 563 a 565 della decisione impugnata, relative all’esame della partecipazione specifica della Riva alle diverse parti dell’intesa, il motivo della ricorrente vertente su un difetto di motivazione o sulla presunta superficialità dell’analisi della Commissione delle responsabilità individuali delle imprese coinvolte è manifestamente privo di qualunque fondamento.

241    Dall’altro, per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente secondo cui alla Riva avrebbe dovuto essere riconosciuto il beneficio di talune circostanze attenuanti, in particolare quella inerente al rifiuto da parte della Riva di aderire, a partire dal 1995 o quantomeno dal 1997, agli aspetti più caratteristici dell’intesa, di modo che non sussisterebbe continuità dell’infrazione, si deve necessariamente constatare che tale argomento si fonda su una confusione tra, da una parte, la contestazione del carattere continuato dell’intesa, riguardo alla quale essa non formula alcun argomento, salvo l’esistenza di una «netta cesura tra la concertazione precedente al novembre 1997 e quella successiva», peraltro non dimostrata, e, dall’altro, il riconoscimento della circostanza attenuante relativa al «ruolo assolutamente passivo svolto nella parte della concertazione alla quale ha partecipato», anch’esso non dimostrato.

242    Alla luce delle considerazioni sopra svolte, il settimo motivo deve essere respinto.

 Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996, sulla violazione degli orientamenti del 1998, su uno sviamento di potere e su una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento in sede di fissazione dell’ammenda

 Osservazioni preliminari

243    Occorre rammentare che da una costante giurisprudenza risulta che la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo dell’importo delle ammende. Tale metodo, delimitato dagli orientamenti del 1998, prevede vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità di quanto disposto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso, sentenza Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, cit. al punto 110 supra, punto 112 e giurisprudenza ivi citata).

244    La gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione deve essere accertata in funzione di numerosi elementi, quali, segnatamente, le particolari circostanze della causa, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenze della Corte del 19 marzo 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, C‑510/06 P, Racc. pag. I‑1843, punto 72, e Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 110 supra, punto 54).

245    Come esposto al precedente punto 32, nella fattispecie la Commissione ha determinato l’importo delle ammende applicando il metodo definito negli orientamenti del 1998.

246    Sebbene gli orientamenti del 1998 non possano essere qualificati come norme giuridiche che l’amministrazione deve rispettare in ogni caso, essi enunciano pur sempre una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire ragioni compatibili con il principio di parità di trattamento (v. sentenza della Corte del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punto 209 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza del Tribunale dell’8 ottobre 2008, Carbone-Lorraine/Commissione, T‑73/04, Racc. pag. II‑2661, punto 70).

247    Adottando siffatte regole di condotta ed annunciando, con la loro pubblicazione, che essa le applicherà da quel momento in avanti ai casi a cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali regole, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi generali del diritto, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento (v. sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 246 supra, punto 211, e la giurisprudenza ivi citata, e sentenza Carbone-Lorraine/Commissione, cit. al punto 246 supra, punto 71).

248    Inoltre, gli orientamenti del 1998 stabiliscono, in modo generale ed astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’importo delle ammende e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 246 supra, punti 211 e 213).

249    Secondo gli orientamenti del 1998, la metodologia applicabile per la determinazione dell’importo dell’ammenda si basa sulla fissazione di un importo di base al quale si applicano maggiorazioni per tener conto delle circostanze aggravanti e diminuzioni per tener conto delle circostanze attenuanti.

250    Secondo il punto 1 degli orientamenti del 1998, l’importo di base viene determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione.

251    Per quanto attiene alla valutazione della gravità dell’infrazione, gli orientamenti del 1998 affermano, al punto 1 A, primo e secondo comma, quanto segue:

«[P]er valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Le infrazioni saranno pertanto classificate in tre categorie, in modo tale da distinguere tra infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi».

252    Dagli orientamenti del 1998 discende che le infrazioni poco gravi, ad esempio, potranno consistere in «restrizioni, per lo più verticali, intese a limitare gli scambi, ma il cui impatto sul mercato resta circoscritto e che riguardano inoltre una parte sostanziale ma relativamente ristretta del mercato comunitario» (punto 1 A, secondo comma, primo trattino, degli orientamenti del 1998). Quanto alle infrazioni gravi, la Commissione precisa che «trattasi per lo più di restrizioni orizzontali o verticali della medesima natura che nel caso [delle infrazioni poco gravi], ma applicate in maniera più rigorosa, il cui impatto sul mercato è più vasto e che sono atte a produrre effetti su ampie zone del mercato comune». Essa osserva inoltre che «può trattarsi (…) di abusi di posizione dominante» (punto 1 A, secondo comma, secondo trattino, degli orientamenti del 1998). Per quanto riguarda le infrazioni molto gravi, la Commissione precisa che «trattasi essenzialmente di restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati, o di altre pratiche che pregiudicano il buon funzionamento del mercato interno, ad esempio quelle miranti a compartimentare i mercati nazionali, o di abusi incontestabili di posizione dominante da parte di imprese in situazione di quasi-monopolio» (punto 1 A, secondo comma, terzo trattino, degli orientamenti del 1998).

253    La Commissione precisa altresì che, da un lato, nell’ambito di ciascuna di tali categorie, ed in particolare per le categorie di infrazioni gravi e molto gravi, la forcella di sanzioni previste consentirà di differenziare il trattamento da riservare alle imprese in funzione della natura delle infrazioni commesse e, dall’altro, è necessario valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e occorrerà fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo (punto 1 A, terzo e quarto comma, degli orientamenti del 1998).

254    Secondo gli orientamenti del 1998, per le infrazioni «molto gravi», l’importo di partenza delle ammende applicabile supera EUR 20 milioni, per le infrazioni «gravi», può variare tra EUR 1 milione ed EUR 20 milioni e, infine, per le infrazioni «poco gravi», l’importo di partenza delle ammende applicabile è compreso tra EUR 1000 ed EUR 1 milione (punto 1 A, secondo comma, dal primo al terzo trattino, degli orientamenti del 1998).

255    Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, secondo il punto 1 B degli orientamenti del 1998, essa dovrebbe essere presa in considerazione così da distinguere tra:

–        infrazioni di breve durata (in generale per periodi inferiori a 1 anno): nessuna maggiorazione;

–        infrazioni di media durata (in generale per periodi da 1 a 5 anni): la maggiorazione può arrivare fino al 50% dell’ammenda applicabile in funzione della gravità dell’infrazione;

–        infrazioni di lunga durata (in generale per periodi superiori a 5 anni): la maggiorazione applicabile per ciascun anno può essere pari al 10% dell’ammenda applicabile in funzione della gravità dell’infrazione.

256    Conformemente agli orientamenti del 1998, all’importo di base si applicano delle maggiorazioni per tener conto delle circostanze aggravanti e delle diminuzioni per tener conto delle circostanze attenuanti.

257    Per quanto concerne queste ultime, il punto 3 degli orientamenti del 1998 prevede che l’importo di base delle ammende possa essere ridotto per circostanze attenuanti particolari quali, ad esempio:

–        ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione;

–        non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite;

–        aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti);

–        esistenza di un dubbio ragionevole dell’impresa circa il carattere di infrazione del comportamento restrittivo della concorrenza;

–        infrazioni commesse per negligenza e non intenzionalmente;

–        collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione del 18 luglio 1996 sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende;

–        altro.

258    In proposito, come la Corte ha ricordato nelle sue sentenze dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione (C‑389/10 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 129) e KME Germany e a./Commissione (C‑272/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 102), il giudice dell’Unione ha il compito di effettuare il controllo di legittimità ad esso incombente sulla base degli elementi prodotti dal ricorrente a sostegno dei motivi invocati. In occasione di tale controllo, il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione, né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti del 1998, né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a esercitare un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto.

259    È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre esaminare il presente motivo.

 Sullo sviamento di potere e sulla violazione del principio di proporzionalità in sede di fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla Riva

260    Ai punti da 160 a 162 del ricorso la ricorrente contesta la ripartizione delle imprese in categorie e la sua inclusione nella seconda categoria, per la quale è stato fissato un importo di partenza di EUR 3,5 milioni. Nella replica, la ricorrente «riconosce il buon fondamento della risposta della Commissione ([punti da] 170 [a] 175 del controricorso)», circostanza che essa ha confermato all’udienza.

261    Pertanto, non occorre rispondere alla prima parte dell’ottavo motivo.

 Sullo sviamento di potere in quanto l’ammenda finale è stata fissata sulla base della dimensione complessiva della ricorrente

262    La ricorrente contesta la maggiorazione del 375% dell’importo della sua ammenda a fini deterrenti. In primo luogo, il rinvio operato al punto 598 della decisione impugnata alla sentenza del Tribunale del 14 settembre 2004, Aristrain/Commissione (T‑156/94, non pubblicata nella Raccolta, punto 95), non consentirebbe di penalizzare le imprese attive in molteplici settori rispetto a quelle che non lo sono. In secondo luogo, la sentenza della Corte del 29 giugno 2006, Showa Denko/Commissione (C‑289/04 P, Racc. pag. I‑5859), su cui si fonderebbe la Commissione per procedere alla maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda, si riferirebbe ad un caso di applicazione dell’articolo 81 CE e non potrebbe essere trasposta in modo semplicistico nell’ambito di applicazione del Trattato CECA, che contiene norme diverse, relative a un diverso contesto e ispirate a considerazioni non del tutto assimilabili a quelle che sono proprie del Trattato CE. Infatti, diversamente dal Trattato CE, il Trattato CECA si fonderebbe sul principio secondo cui il volume d’affari realizzato sui prodotti che abbiano costituito oggetto di una pratica restrittiva configura un criterio oggettivo che fornisce il giusto metro della nocività della pratica medesima rispetto al normale gioco della concorrenza. Inoltre, le restrizioni alla concorrenza derivanti dalla partecipazione di un’impresa ad una infrazione ricadente nel Trattato CECA dipenderebbero, in linea di massima, più dall’importanza dell’impresa sul mercato dei prodotti interessati dall’infrazione di cui trattasi che dalla dimensione globale dell’impresa. Peraltro, il Trattato CECA ammetterebbe che si prenda in considerazione il volume d’affari globale realizzato con tutti i prodotti ricadenti nel Trattato CECA delle imprese in causa, ma solo nel caso delle intese più gravi. In terzo luogo, nella sua replica, da un lato, la ricorrente ritiene che sarebbe stato più giusto maggiorare l’importo di partenza in funzione della durata dell’infrazione prima di applicare il coefficiente moltiplicatore a fini deterrenti. Dall’altro, la maggiorazione a titolo deterrente sarebbe illegittima anche perché si fonda sul fatturato del 2001, senza considerare che fino al 1995 i rapporti di forza tra le imprese erano diversi. In quarto luogo, nella replica la ricorrente afferma altresì che la decisione impugnata opera una «scissione» tra il divieto, fondato sulle disposizioni del Trattato CECA e la sanzione, fondata sulle disposizioni del Trattato CE. Non evocando tale questione nella comunicazione degli addebiti, la Commissione avrebbe anche violato i diritti della difesa della ricorrente.

263    Ai punti da 603 a 605 della decisione impugnata, la Commissione ha asserito che, conformemente al punto 1 A degli orientamenti del 1998, essa riteneva necessario procedere ad un aggiustamento dell’importo di base dell’ammenda inflitta alla Riva e alla Lucchini-SP al fine di prendere in considerazione la loro dimensione e le loro risorse globali e di dare all’ammenda un sufficiente effetto deterrente. Essa ha precisato che, nella decisione del 2002, aveva già rilevato che il fatturato realizzato nel settore dei prodotti ricadenti nel Trattato CECA da dette imprese (circa EUR 3,5 miliardi per la Riva nel 2001 e circa EUR 1,2 miliardi per la Lucchini) era di gran lunga superiore a quello delle altre imprese coinvolte nella presente causa. Essa ha aggiunto che i vertici di tali imprese erano stati spesso direttamente implicati nelle infrazioni di cui trattasi. La medesima quindi ha considerato che occorresse aumentare l’importo di base del 200% nel caso della Lucchini/Siderpotenza nella misura in cui il suo fatturato in prodotti ricadenti sotto il Trattato CECA era di circa tre volte superiore a quello della più grande delle altre imprese, e del 375% nel caso della Riva, il cui fatturato in prodotti ricadenti nel Trattato CECA era circa tre volte superiore a quello della Lucchini‑SP. La Commissione ha infine sottolineato che il rapporto tra il fatturato della Lucchini/SP e quello della più grande delle altre imprese era tuttavia cambiato nel 2008 (si è passati da un rapporto di uno a tre nel 2001 ad un rapporto di quasi uno a due nel 2008) e, per tale ragione, era giustificato incrementare l’importo di partenza della Lucchini-SP soltanto del 200%. Essa ha tuttavia ritenuto che l’incremento del 375% dell’importo di partenza della Riva restasse invece consono alla luce dei dati del 2008.

264    Sotto un primo profilo, va rilevato che il punto 598 della decisione impugnata non concerne la maggiorazione dell’ammenda a fini di dissuasione e che l’argomento della ricorrente a questo riguardo è pertanto inconferente.

265    Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda gli argomenti invocati dalla ricorrente e vertenti sulla specificità dell’ambito di applicazione del Trattato CECA, occorre anzitutto respingere l’argomento della ricorrente secondo cui, per la maggiorazione dell’importo dell’ammenda a fini di dissuasione, la Commissione avrebbe dovuto esaminare il fatturato realizzato dalle imprese di cui trattasi per i prodotti oggetto di una pratica restrittiva e non, come nell’ambito del Trattato CE, l’attività globale di dette imprese.

266    Come ricordato al precedente punto 253, dagli orientamenti del 1998 risulta esplicitamente che è necessario valutare l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo (punto 1 A, terzo e quarto comma, degli orientamenti del 1998).

267    A tale proposito, la necessità di garantire un sufficiente effetto deterrente all’ammenda esige che l’importo dell’ammenda sia modulato affinché l’ammenda non sia resa insignificante, o al contrario eccessiva, con particolare riferimento alla capacità finanziaria dell’impresa in parola, in conformità alle esigenze derivanti, da un lato, dalla necessità di garantire l’efficacia dell’ammenda e, dall’altro, dal rispetto del principio di proporzionalità (sentenze del Tribunale del 5 aprile 2006, Degussa/Commissione, T‑279/02, Racc. pag. II‑897, punto 283; del 18 giugno 2008, Hoechst/Commissione, T‑410/03, Racc. pag. II‑881, punto 379, e del 14 luglio 2011, Arkema France/Commissione, T‑189/06, Racc. pag. II‑5455, punto 114).

268    Secondo la giurisprudenza, le ammende inflitte per violazione dell’articolo 65 CA hanno ad oggetto la repressione degli illeciti delle imprese interessate, nonché lo scopo di dissuadere sia le imprese in questione sia altri operatori economici dal violare, in futuro, le norme del diritto della concorrenza dell’Unione. Orbene, il nesso tra, da un lato, le dimensioni e le risorse globali delle imprese e, dall’altro, la necessità di assicurare all’ammenda un effetto dissuasivo è incontestabile. Pertanto, la Commissione, nel calcolare l’importo dell’ammenda, può prendere in considerazione, in particolare, le dimensioni e la potenza economica dell’impresa interessata (sentenze della Corte del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punti 106 e 120, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 246 supra, punto 243; sentenza Arkema France/Commissione, cit. al punto 267 supra, punto 113; v. altresì, per analogia, sentenza della Corte del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, Racc. pag. I‑5361, punto 102 e giurisprudenza citata). La Commissione può quindi considerare il fatturato globale di ciascuna impresa che faccia parte di un’intesa come un criterio pertinente al fine di determinare un coefficiente moltiplicatore a fini deterrenti (v., in tal senso, sentenza Showa Denko/Commissione, punto 262 supra, punti 17 e 18).

269    In tal modo, le dimensioni e le risorse globali di un’impresa sono i criteri pertinenti rispetto all’obiettivo perseguito, ossia garantire l’effettività dell’ammenda adeguandone l’importo in considerazione delle risorse globali dell’impresa e della sua capacità di mobilizzare i fondi necessari per il pagamento di detta ammenda. Infatti, la fissazione del coefficiente di maggiorazione dell’importo di partenza al fine di assicurare un effetto sufficientemente dissuasivo all’ammenda è maggiormente diretta a garantire l’effettività dell’ammenda che a rendere conto della nocività dell’infrazione rispetto al gioco normale della concorrenza e, quindi, della gravità di tale infrazione (sentenze del Tribunale dell’8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 672, e del 13 luglio 2011, General Technic‑Otis e a./Commissione, T‑141/07, T‑142/07, T‑145/07 e T‑146/07, Racc. pag. II‑4977, punto 241).

270    In base a tali considerazioni, la Commissione ha correttamente tenuto conto del fatturato globale delle imprese interessate ai fini della maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda a scopo dissuasivo.

271    Sotto un terzo profilo, anche supponendo che sia ricevibile, dev’essere respinto l’argomento della ricorrente, formulato nella replica, secondo cui sarebbe stato più corretto maggiorare l’importo di partenza in funzione della durata dell’infrazione prima di applicare il coefficiente moltiplicatore a fini dissuasivi. Infatti, si deve sottolineare che la ricorrente non contesta la legittimità della metodologia esposta nel punto 1 A degli orientamenti del 1998, relativa alla determinazione degli importi di partenza delle ammende. Orbene, il citato punto prevede la necessità di determinare l’importo dell’ammenda ad un livello che le assicuri un carattere sufficientemente dissuasivo a titolo della gravità dell’infrazione e, quindi, al momento della fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda, e non già in quello della maggiorazione a titolo delle circostanze aggravanti.

272    Inoltre, anche supponendo che sia ricevibile, occorre respingere l’argomento fondato sulla presunta illegittimità della maggiorazione in quanto sarebbe fondata sul fatturato del 2001, senza considerare che, fino al 1995, i rapporti di forza tra le imprese erano diversi. A parte la circostanza sottolineata dalla Commissione, al punto 605 della decisione impugnata, che l’aumento del 375% nel caso della Riva restava consono anche sulla base dei dati del 2008, va ricordato che, in ragione in particolare di operazioni di cessione o di concentrazione, le risorse globali di un’impresa possono variare, diminuendo o aumentando, in modo significativo in un lasso di tempo relativamente breve, in particolare tra la cessazione dell’infrazione e l’adozione della decisione che infligge l’ammenda. Ne consegue che dette risorse devono essere valutate, al fine di perseguire in maniera corretta la finalità deterrente, nel rispetto del principio di proporzionalità, nel giorno in cui l’ammenda viene inflitta (sentenza del 16 novembre 2000, Sarrió/Commissione, cit. al punto 159 supra, punto 85, e sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 267 supra, punto 285). Ne consegue che non può addebitarsi alla Commissione di aver preso in considerazione, al momento della determinazione dell’aumento in funzione dell’effetto deterrente, il fatturato realizzato dalla ricorrente nel 2008.

273    Sotto un quarto profilo, anche l’argomento della ricorrente secondo cui la decisione impugnata opererebbe una «scissione» tra il divieto, fondato sulle disposizioni del Trattato CECA, e la sanzione, fondata sulle disposizioni CE, deve essere respinto. Come risulta dalla giurisprudenza, il regolamento n. 1/2003 e, più in particolare, gli articoli 7, paragrafo 1, e 23, paragrafo 2, dello stesso devono essere interpretati nel senso che consentono alla Commissione di constatare e di sanzionare, dopo il 23 luglio 2002, le intese poste in essere nei settori rientranti nell’ambito di applicazione del Trattato CECA ratione materiae e ratione temporis, e ciò anche se le citate disposizioni di detto regolamento non menzionassero espressamente l’articolo 65 CA (v. sentenze del Tribunale del 31 marzo 2009, ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione, T‑405/06, Racc. pag. II‑771, punto 64, e del 1° luglio 2009, ThyssenKrupp Stainless/Commissione, T‑24/07, Racc. pag. II‑2309, punto 84 e giurisprudenza ivi citata, confermate a seguito di impugnazione con le sentenze della Corte del 29 marzo 2011, ArcelorMittal Luxembourg/Commissione e Commissione/ArcelorMittal Luxembourg e a., C‑201/09 P e C‑216/09 P, Racc. pag. I‑2239, punto 74, e ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, C‑352/09 P, Racc. pag. I‑2359, punti 72, 73 e 87).

274    La presunta violazione dei diritti della difesa della ricorrente deve essere parimenti esclusa per i motivi esposti ai precedenti punti 104 e 105.

275    Alla luce delle considerazioni che precedono, la presente parte dell’ottavo motivo dev’essere respinta.

 Sul difetto e la contraddittorietà della motivazione e sulla violazione del principio di parità di trattamento nell’aver considerato che solo i dirigenti della Riva (e della Lucchini) fossero coinvolti nell’infrazione

276    La ricorrente afferma che, posto che la maggiorazione dell’importo dell’ammenda viene calcolata in funzione delle differenze di fatturato fra le imprese interessate, essa non comprende quale rilievo occorra attribuire all’argomento relativo al coinvolgimento dei vertici della Riva nell’infrazione. In primo luogo, la motivazione sarebbe contraddittoria ed equivoca, poiché il punto 604 della decisione impugnata sarebbe fondato sul fatto che la Riva e la Lucchini hanno realizzato fatturati maggiori di quelli delle altre imprese. Inoltre, la motivazione della decisione impugnata sarebbe poco chiara in quanto, al punto 604 della medesima, la Commissione si riferirebbe all’«importanza relativa del mercato rilevante». In secondo luogo, tutte le imprese avrebbero adottato lo stesso comportamento. In terzo luogo, il riferimento operato al punto 603 della decisione impugnata alla sentenza del Tribunale del 20 marzo 2002, ABB Asea Brown Boveri/Commissione (T‑31/99, Racc. pag. II‑1881) sarebbe inconferente, a causa delle differenze esistenti tra la posizione della ricorrente in tale causa e la posizione della Riva nel caso in esame.

277    In proposito, dalle considerazioni formulate dai precedenti punti da 262 a 275 risulta che il Tribunale ha dichiarato che correttamente la Commissione aveva aumentato l’importo di partenza dell’ammenda della Riva del 375% a fini di dissuasione. Ne consegue che la presente parte non può che essere respinta.

278    Del resto, in primo luogo, per quanto riguarda l’asserito carattere contraddittorio ed equivoco della motivazione contenuta al punto 604 della decisione impugnata, come si è già indicato al precedente punto 263, esso dispone che:

«Già nella [decisione del 2002], la Commissione ritenne che, per Riva e Lucchini[-SP], occorresse incrementare l’importo base dell’ammenda calcolato in relazione all’importanza relativa del mercato rilevante, al fine di tener conto della dimensione e delle risorse globali di dette società. Infatti, il fatturato realizzato in prodotti CECA da queste imprese era di gran lunga superiore (circa 3,5 miliardi di EUR per Riva nel 2001 e circa 1,2 miliardi per Lucchini) a quello delle altre imprese coinvolte nella presente pratica. Va inoltre ricordato, come si evince dal fascicolo, che in molte occasioni i vertici di tali imprese erano direttamente coinvolti nelle infrazioni contestate. Pertanto, al fine di ottenere un sufficiente effetto deterrente, la Commissione ritenne opportuno incrementare l’importo base (...) del 225% nel caso di Lucchini/Siderpotenza, nella misura in cui il suo fatturato in prodotti CECA era di circa tre volte superiore a quello della più grande delle altre imprese, e del 375% nel caso di Riva, il cui fatturato globale in prodotti CECA è circa tre volte superiore a quello di Lucchini/Siderpotenza».

279    Risulta quindi chiaramente dal punto 604 della decisione impugnata che l’importo di partenza della loro ammenda è stato incrementato in ragione della loro dimensione e delle loro risorse globali. Sebbene sia vero che la Commissione abbia aggiunto che «in molte occasioni i vertici di tali imprese erano direttamente coinvolti nelle infrazioni contestate», una simile affermazione è fatta unicamente ad abundantiam, di modo che non deve ritenersi che la motivazione contenuta al punto 604 della decisione impugnata presenti una qualche contraddizione o sia equivoca. Detta motivazione non può neppure essere qualificata come oscura, dato che il riferimento all’«importanza relativa del mercato rilevante» è immediatamente seguito dal fatturato realizzato dalle imprese in questione nel settore dei prodotti ricadenti nel Trattato CECA, rispettivamente di EUR 3,5 miliardi per la Riva e di EUR 1,2 miliardi per la Lucchini, e si riferisce dunque a quest’ultimo.

280    In secondo luogo, dato che al punto 603 della decisione impugnata la Commissione ha menzionato la sentenza Showa Denko/Commissione, cit. al punto 262 supra, pronunciata a seguito di impugnazione contro la sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione, cit. al punto 276 supra, unicamente allo scopo di ricordare che la legittimità degli orientamenti del 1998 era stata confermata dalla Corte e non invece al fine di effettuare un paragone tra la posizione della parte ricorrente nella causa all’origine della sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione, cit. al punto 276 supra, e quella della Riva nel caso di specie, l’argomentazione della ricorrente deve essere respinta su questo punto.

281    Alla luce delle considerazioni che precedono, la presente parte dell’ottavo motivo deve essere respinta.

 Sulla carenza di istruttoria per quanto riguarda l’esame della posizione specifica della ricorrente, con particolare riguardo al riconoscimento di circostanze attenuanti

282    La ricorrente afferma, anzitutto, che la Commissione non ha esaminato con sufficiente attenzione le responsabilità individuali dei partecipanti all’intesa e che essa non applicherebbe alla Riva neppure una riduzione in considerazione delle minori responsabilità accertate e riconosciute, quali la sospensione della sua partecipazione all’intesa per un periodo di sei mesi nel 1998 e la mancata partecipazione al controllo della produzione affidato ad una società di consulenza. La spiegazione fornita a tal riguardo dalla Commissione al punto 613 della decisione impugnata sarebbe insoddisfacente. Poi, la Commissione avrebbe omesso senza motivazione di considerare, in primo luogo, che la Riva ha sempre rifiutato di aderire al controllo della produzione affidato ad una società di consulenza; in secondo luogo, che la Riva ha sempre operato sul mercato in maniera autonoma; in terzo luogo, che il coinvolgimento della Riva dovrebbe tutt’al più limitarsi al periodo antecedente al 1995 o, tutt’al più, al periodo antecedente al 1997, dato che, nel corso del periodo successivo, la concertazione aveva assunto contorni di maggiore gravità, cui la Riva non avrebbe partecipato, e, in quarto luogo, che la Riva avrebbe cooperato con la Commissione durante tutto il procedimento, in particolare dichiarando di non contestare i fatti fin dall’inizio dell’indagine e dopo la comunicazione degli addebiti.

283    In via preliminare, per quanto riguarda il primo argomento della ricorrente, secondo cui la Commissione non avrebbe esaminato con sufficiente attenzione le responsabilità individuali dei partecipanti all’intesa, si deve considerare, alla luce del riferimento operato al punto 613 della decisione impugnata, che la ricorrente lamenta che la Commissione non le ha riconosciuto un ruolo esclusivamente passivo o emulativo nell’infrazione.

284    Conformemente al punto 3 degli orientamenti del 1998, il ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione costituisce, qualora dimostrato, una circostanza attenuante, con la precisazione che tale ruolo passivo implica l’adozione da parte dell’impresa interessata di un «basso profilo», vale a dire la mancanza di una partecipazione attiva all’elaborazione del o degli accordi anticoncorrenziali. Tra gli elementi atti a evidenziare il ruolo passivo di un’impresa all’interno di un’intesa, possono essere presi in considerazione il carattere notevolmente più sporadico delle sue partecipazioni alle riunioni rispetto ai membri ordinari dell’intesa, come anche il suo ingresso tardivo sul mercato che ha costituito oggetto dell’infrazione, indipendentemente dalla durata della sua partecipazione ad essa, o anche l’esistenza di dichiarazioni espresse in tal senso provenienti da rappresentanti di imprese terze che hanno partecipato all’infrazione (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 9 luglio 2003, Cheil Jedang/Commissione, T‑220/00, Racc. pag. II‑2473, punti 167 e 168; del 29 novembre 2005, Union Pigments/Commissione, T‑62/02, Racc. pag. II‑5057, punto 126, e del 30 settembre 2009, Arkema/Commissione, T‑168/05, non pubblicata nella Raccolta, punti 148 e 149).

285    Orbene, a parte il fatto che la ricorrente non formula alcun argomento preciso diretto a dimostrare il suo ruolo esclusivamente passivo o emulativo nell’infrazione, si deve rilevare che dal punto 563 della decisione impugnata e dagli altri punti ivi citati risulta che la ricorrente non ha avuto un ruolo esclusivamente passivo o emulativo, dal momento che, in primo luogo, la stessa ha segnatamente comunicato in più occasioni informazioni confidenziali utili per una gestione efficace dell’intesa; in secondo luogo, ha ricevuto i ringraziamenti da parte della Leali per la «collaborazione e disponibilità manifestata nel corso del 1996 per mantenere una situazione di mercato ordinata» (punto 202 della decisione impugnata), e, in terzo luogo, ha partecipato attivamente alle decisioni relative alla fissazione del prezzo base (punti 210 e 214 della decisione impugnata).

286    Per quanto attiene agli altri argomenti addotti dalla ricorrente che giustificherebbero la concessione di circostanze attenuanti, anzitutto, relativamente alla mancata adesione della ricorrente al controllo della produzione da parte di una società di consulenza, occorre fare riferimento alle considerazioni svolte al precedente punto 220.

287    Poi, la ricorrente afferma di aver tenuto un comportamento autonomo sul mercato. Una simile argomentazione deve essere respinta. Infatti, un’impresa che, pur essendo collusa con i propri concorrenti, segua una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente tentare di utilizzare l’intesa a proprio vantaggio. Se in tal caso le fossero riconosciute circostanze attenuanti, sarebbe troppo semplice per le imprese minimizzare il rischio di dover pagare un’ammenda ingente, poiché potrebbero approfittare di un’intesa illecita e beneficiare in seguito di una riduzione dell’importo dell’ammenda per il fatto di aver svolto solo un ruolo limitato nell’attuazione dell’infrazione, benché il loro atteggiamento abbia istigato altre imprese a comportarsi in maniera più dannosa per la concorrenza (sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑389/10 P, cit. al punto 258 supra, punti 94 e 96; sentenze del Tribunale dell’8 luglio 2004, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, cit. al punto 151 supra, punti 277 e 278, e del 14 dicembre 2006, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Racc. pag. II‑5169, punto 491).

288    Inoltre, l’implicazione della Riva si limiterebbe al periodo anteriore al 1995 o, tutt’al più, al periodo anteriore al 1997. Un simile argomento, tuttavia, si fonda sulla premessa errata secondo cui la Commissione a torto avrebbe constatato che la ricorrente abbia partecipato all’intesa tra il 6 dicembre 1989 e il 27 giugno 2000. Pertanto, il suo argomento non può trovare accoglimento.

289    Infine, la ricorrente avrebbe collaborato con la Commissione durante tutto il procedimento, in particolare non contestandone le censure. Dal momento che la ricorrente si fonda in proposito sugli argomenti che figurano nella parte del presente motivo relativa all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996, essi saranno esaminati in tale ambito (v. infra, punti da 298 a 320).

290    Sulla base delle considerazioni che precedono, correttamente la Commissione non ha riconosciuto alla ricorrente il beneficio di circostanze attenuanti.

 Sulla violazione del principio di proporzionalità in sede di fissazione dell’importo dell’ammenda

291    La ricorrente sostiene che, in sede di calcolo dell’importo dell’ammenda inflitta alla Riva, la Commissione ha violato il principio di proporzionalità maggiorando del 375% l’importo di partenza della sua ammenda a fini deterrenti. Mentre nel caso della Feralpi e della Valsabbia, l’importo di partenza di EUR 5 milioni sarebbe stato poco più che raddoppiato, tenuto conto della maggiorazione per la durata (ovvero EUR 10,25 milioni), nel caso della Riva tale importo sarebbe stato moltiplicato per 7,7. A tal riguardo, per determinare l’importo di un’ammenda per violazione dell’articolo 65 CA, la Commissione non potrebbe legittimamente basarsi esclusivamente o quasi esclusivamente sul fatturato di quest’ultima realizzato sui prodotti ricadenti nel Trattato CECA.

292    Occorre rilevare che il ragionamento della ricorrente non risulta in modo chiaro e sembra confondersi, quantomeno in parte, con la parte dell’ottavo motivo vertente sullo sviamento di potere in quanto l’ammenda finale è stata fissata sulla base della dimensione globale della ricorrente (v. precedenti punti da 262 a 275).

293    In primo luogo, la ricorrente afferma che «la violazione del principio di proporzionalità va riferita al moltiplicatore adottato nella decisione non per tener conto delle dimensioni e delle risorse di Riva, ma in realtà solo per tener conto del suo fatturato (e precisamente del suo fatturato globale in prodotti CECA)». Orbene, come ricordato ai precedenti punti 268 e 269, la dimensione e le risorse globali di un’impresa sono i criteri pertinenti alla luce dell’obiettivo perseguito, vale a dire garantire l’effettività dell’ammenda adeguando il suo importo in considerazione delle risorse globali dell’impresa e della sua capacità di immobilizzare i fondi necessari per il pagamento di detta ammenda.

294    In secondo luogo, la ricorrente confronta la sua situazione con quella della Feralpi e della Valsabbia, il cui importo di base «[sarebbe] stato poco più che raddoppiato, tenendo conto anche dell’ulteriore maggiorazione per la durata dell’infrazione (10,25 milioni di Euro, in ambo i casi), mentre nel caso di Riva esso è stato moltiplicato per 7,7». Neanche la portata della citata argomentazione della ricorrente non risulta chiaramente. Dal momento che la maggiorazione a titolo della durata è stata identica per la Feralpi, la Valsabbia e la Riva, ed era pari al 105% (punti 606 e 607 della decisione impugnata), l’argomento della ricorrente va inteso nel senso che è diretto a contestare il fatto di aver preso in considerazione l’aumento a fini di dissuasione a titolo della gravità dell’infrazione (e della fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda, prima dell’aumento a titolo della durata) e non a titolo delle circostanze aggravanti. Un simile argomento è stato tuttavia già respinto al precedente punto 271.

295    In terzo luogo, la ricorrente afferma che la Commissione non era autorizzata a determinare l’importo dell’ammenda basandosi esclusivamente o quasi esclusivamente sull’importo di quest’ultima realizzato sui prodotti ricadenti sotto il Trattato CECA.

296    Tale affermazione tuttavia si fonda su una premessa erronea, dato che, come risulta dai punti da 575 a 642 della decisione impugnata, richiamati ai precedenti punti da 33 a 40, la Commissione si è fondata, per la fissazione dell’importo dell’ammenda, sulla gravità e sulla durata dell’infrazione, sull’eventuale esistenza di circostanze aggravanti ed attenuanti nonché sulla cooperazione delle imprese a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 1996. L’importo della ricorrente realizzato sui prodotti ricadenti sotto il Trattato CECA, invece, è stato utilizzato solo allo scopo di determinare la maggiorazione dell’ammenda a fini di dissuasione.

297    Dalle considerazioni che precedono risulta che la presente parte dell’ottavo motivo deve essere respinta.

 Sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996

298    La ricorrente afferma che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione al punto 641 della decisione impugnata, non ha mai contestato il contenuto dei documenti prodotti dalla Commissione nel riconoscere la materialità dei fatti che le vengono imputati. In particolare, la Riva non avrebbe mai contestato l’inserimento da parte della Commissione, tra i fatti descritti dalla comunicazione degli addebiti, di valutazioni soggettive relative all’esistenza di accordi o di pratiche concordate (punto 310 della decisione impugnata). Inoltre, la ricorrente non si sarebbe limitata a riconoscere l’esistenza di talune riunioni tra i produttori ma avrebbe anche ammesso di avervi preso parte, pur non essendovi tenuta. La ricorrente si sarebbe limitata, nell’esercizio dei suoi diritti della difesa, a contestare la qualificazione giuridica attribuita dalla Commissione a suddetti fatti, in ordine alla portata, alla durata e alla gravità della concertazione.

299    La ricorrente aggiunge che il riconoscimento dei fatti non è avvenuto soltanto dopo la comunicazione degli addebiti, come richiesto dal punto D della comunicazione sulla cooperazione del 1996, bensì fin dai primi giorni successivi all’ispezione condotta dalla Commissione e dunque ben prima della ricezione della prima richiesta di informazioni. Tale posizione sarebbe stata mantenuta per tutta la durata del procedimento. Nel caso di specie, la scelta operata dalla ricorrente di non contestare i fatti addebitati nella comunicazione degli addebiti avrebbe facilitato il compito della Commissione consistente nell’accertare l’esistenza di un’infrazione e porvi termine. A questo riguardo la Riva avrebbe inoltre informato la Commissione della sua intenzione di sensibilizzare i propri dipendenti e di adottare misure disciplinari interne, allo scopo di scoraggiare per il futuro la partecipazione a riunioni aventi analogo contenuto.

300    Si deve preliminarmente rilevare che, come indicato dalla Commissione al punto 633 della decisione impugnata, malgrado questa abbia pubblicato, il 19 febbraio 2002 (GU C 45, pag. 3) e l’8 dicembre 2006 (GU C 298, pag. 17), nuove comunicazioni sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intese tra imprese, è la comunicazione sulla cooperazione del 1996 ad essere stata applicata nella fattispecie in esame.

301    Nella comunicazione sulla cooperazione del 1996, la Commissione ha precisato le condizioni alle quali le imprese che cooperano con essa nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro ammontare (punto A, paragrafo 3, della comunicazione sulla cooperazione del 1996).

302    Secondo il punto B della comunicazione sulla cooperazione del 1996 si prevede che:

«L’impresa la quale: a) denunci l’intesa segreta alla Commissione prima che quest’ultima abbia proceduto ad un accertamento, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa e senza che essa già disponga di informazioni sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’intesa denunciata; b) sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa; c) abbia cessato di partecipare all’attività illecita al più tardi al momento in cui denuncia l’intesa; d) fornisca alla Commissione tutte le informazioni utili nonché tutti i documenti e gli elementi probatori di cui dispone riguardanti l’intesa e assicuri una permanente e totale cooperazione per tutto il corso dell’indagine; e) non abbia costretto un’altra impresa a partecipare all’intesa né abbia svolto un ruolo di iniziazione o determinante nell’attività illecita, beneficia di una riduzione pari almeno al 75% dell’ammontare dell’ammenda, che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione, o della totale non imposizione della medesima».

303    In forza del punto C della comunicazione sulla cooperazione del 1996, «[l]’impresa che, soddisfatte le condizioni di cui al punto B, lettere da b) ad e), denunci l’intesa segreta dopo che la Commissione abbia proceduto ad accertamenti, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa stessa, senza che tali accertamenti abbiano potuto fornire una base sufficiente per giustificare l’avvio del procedimento in vista dell’adozione di una decisione, beneficia di una riduzione dal 50% al 75% dell’ammontare dell’ammenda».

304    Il punto D, paragrafo 1, della comunicazione sulla cooperazione del 1996 dispone infine che «[u]n’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B o C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione», mentre il suo paragrafo 2 precisa quanto segue:

«Ciò può verificarsi in particolare:

–        se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,

–        se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

305    Si deve altresì ricordare che l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, che costituisce la base giuridica per l’imposizione delle ammende in caso di infrazione alle regole del diritto dell’Unione in materia di concorrenza, conferisce alla Commissione un margine di valutazione discrezionale nella fissazione delle ammende (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 21 ottobre 1997, Deutsche Bahn/Commissione, T‑229/94, Racc. pag. II‑1689, punto 127), che è, in particolare, funzione della sua politica generale in materia di concorrenza (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 268 supra, punti 105 e 109). È quindi questo il contesto in cui la Commissione, per assicurare trasparenza e obiettività alle proprie decisioni in materia di ammende, ha adottato e pubblicato la comunicazione sulla cooperazione del 1996. Si tratta di uno strumento destinato a precisare, nel rispetto delle norme di rango superiore, i criteri che essa intende applicare nell’esercizio del suo potere discrezionale. Da ciò consegue una autolimitazione di tale potere (v., in senso analogo, sentenza del Tribunale del 30 aprile 1998, Vlaams Gewest/Commissione, T‑214/95, Racc. pag. II‑717, punto 89), nella misura in cui spetta alla Commissione conformarsi alle regole indicative che essa si è imposta (v., in senso analogo, sentenza del Tribunale del 12 dicembre 1996, AIUFFASS e AKT/Commissione, T‑380/94, Racc. pag. II‑2169, punto 57).

306    L’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione derivante dall’adozione della comunicazione sulla cooperazione del 1996 non è tuttavia incompatibile con il mantenimento da parte sua di un margine di valutazione sostanziale (v., in senso analogo, sentenza Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, cit. al punto 287 supra, punto 224).

307    Infatti, la comunicazione sulla cooperazione del 1996 contiene vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003, come interpretato dalla Corte (v., in senso analogo, sentenza Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, cit. al punto 287 supra, punto 224).

308    Pertanto, si deve rilevare che la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale per valutare la qualità e l’utilità della cooperazione fornita da un’impresa, segnatamente in rapporto ai contributi offerti da altre imprese (v., in tal senso, sentenza SGL Carbon/Commissione, cit. al punto 122 supra, punto 88, e sentenza Hoechst/Commissione, cit. al punto 267 supra, punto 555). La valutazione della qualità e dell’utilità della cooperazione fornita da un’impresa comporta infatti complesse valutazioni di fatto (v., in tal senso, sentenza SGL Carbon/Commissione, cit. al punto 122 supra, punto 81, e sentenza Carbone Lorraine/Commissione, cit. al punto 246 supra, punto 271).

309    Allo stesso modo, la Commissione, dopo aver rilevato che degli elementi di prova contribuiscono a confermare l’esistenza dell’infrazione commessa, dispone di un margine di discrezionalità allorché è chiamata a determinare l’esatto livello della riduzione dell’importo dell’ammenda da concedere all’impresa interessata. Infatti, il punto D, paragrafo 1, della comunicazione sulla cooperazione del 1996 prevede una forcella per la riduzione dell’importo dell’ammenda.

310    Tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispone la Commissione per valutare la cooperazione di un’impresa a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 1996, solo il manifesto superamento di tale margine può essere censurato dal Tribunale (v., in tal senso, sentenze SGL Carbon/Commissione, cit. al punto 122 supra, punti 81, 88 e 89, e Hoechst/Commissione, cit. al punto 267 supra, punto 555).

311    Come sottolineato al precedente punto 258, nell’effettuare tale controllo, tuttavia, il giudice non può fondarsi sul margine di discrezionalità di cui dispone la Commissione né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione nell’applicazione dei criteri menzionati nella comunicazione sulla cooperazione del 1996, né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, per rinunciare ad esercitare un controllo approfondito, tanto in diritto quanto in fatto.

312    In primo luogo, va sottolineato, al pari della Commissione, che il paragrafo 1 del punto E della comunicazione sulla cooperazione del 1996, recante il titolo «Procedimento», dispone che «[l]’impresa che intenda avvalersi del trattamento favorevole previsto dalla presente comunicazione deve mettersi in contatto con la direzione generale della Concorrenza della Commissione». Orbene, è pacifico che la ricorrente non abbia formulato una qualche richiesta alla Commissione a titolo della suddetta comunicazione.

313    La ricorrente in proposito fa riferimento ad una lettera del 27 ottobre 2000, con cui il rappresentante della Riva ha dichiarato, a seguito di un accertamento che si era svolto presso la sua sede in sua assenza, «che delle riunioni fra i rappresentanti di produttori di tondo [avevano] effettivamente avuto luogo; nel corso di tali riunioni o di alcune di esse, si [erano] trattate anche questioni commerciali» e che l’ultima riunione aveva avuto luogo il 25 ottobre 2000. All’udienza la ricorrente ha fatto altresì riferimento ad una dichiarazione di identico contenuto, figurante nella risposta alla comunicazione degli addebiti supplementari. Tuttavia, una siffatta dichiarazione non può essere considerata come una domanda rivolta alla Commissione ai fini dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996.

314    Ad ogni modo, si deve ricordare che una riduzione dell’importo dell’ammenda per la collaborazione offerta nel procedimento amministrativo è giustificata soltanto se il comportamento dell’impresa di cui trattasi ha consentito alla Commissione di accertare l’esistenza di un’infrazione con minore difficoltà e, eventualmente, di mettervi fine (sentenze del Tribunale del 14 maggio 1998, SCA Holding/Commissione, T‑327/94, Racc. pag. II‑1373, punto 156, e Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cit. al punto 191 supra, punto 270).

315    Inoltre, secondo la giurisprudenza, l’impresa che dichiari espressamente di non contestare gli elementi di fatto sui quali la Commissione ha fondato i propri addebiti può essere considerata alla stregua di un’impresa che ha contribuito ad agevolare il compito della Commissione, consistente nell’accertare e nel reprimere le violazioni delle regole di concorrenza dell’Unione e giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda. Ciò non avviene quando un’impresa contesti nella sua risposta la sostanza dei fatti così allegati. Infatti, assumendo un atteggiamento del genere durante il procedimento amministrativo, l’impresa non contribuisce ad agevolare il compito della Commissione, che consiste nell’accertare e nel reprimere le violazioni delle regole di concorrenza dell’Unione (sentenza del Tribunale del 14 maggio 1998, Mo och Domsjö/Commissione, T‑352/94, Racc. pag. II‑1989, punti 395 e 396).

316    Orbene, contrariamente a quanto sostiene, la Riva non ha dichiarato espressamente di non contestare le affermazioni di fatto su cui la Commissione ha fondato i suoi addebiti. Essa riconosce d’altronde, nelle sue memorie, di aver unicamente dichiarato «di aver partecipato a riunioni con altri produttori di tondo per cemento armato», nel corso delle quali erano state trattate anche questioni commerciali. Per contro, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente ha contestato di aver partecipato ad accordi e/o [a] pratiche concordate con gli altri produttori italiani di tondo per cemento armato. Pertanto, il fatto che la ricorrente abbia riconosciuto di aver partecipato a talune riunioni tra produttori, negandone al contempo l’oggetto anticoncorrenziale, non ha facilitato il compito della Commissione consistente nell’accertamento e nella repressione delle infrazioni alle norme dell’Unione in materia di concorrenza.

317    La ricorrente non può neanche fondare un argomento, per quanto riguarda la sua presunta cooperazione a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 1996, sul fatto che essa avrebbe posto tempestivamente termine all’infrazione subito dopo l’avvio dell’indagine o dall’aver adottato misure disciplinari interne allo scopo di scoraggiare per l’avvenire la partecipazione a riunioni anticoncorrenziali.

318    Anzitutto, si deve necessariamente constatare che siffatti elementi sono privi di rilevanza ai fini dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996 e non può ritenersi che abbiano agevolato il compito della Commissione consistente nell’accertamento e nella repressione delle infrazioni alle norme dell’Unione in materia di concorrenza.

319    Poi, anche qualora gli argomenti della ricorrente dovessero essere interpretati nel senso che mediante essi la medesima chiede che le siano riconosciute circostanze attenuanti, essi devono essere respinti. Da un lato, il riconoscimento di una circostanza attenuante a titolo della cessazione dell’infrazione a partire dai primi interventi della Commissione è necessariamente connesso alle circostanze della specie che possono indurre la Commissione ad escludere che un’impresa partecipante ad un accordo illecito possa avvalersene (sentenza della Corte del 9 luglio 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, Racc. pag. I‑5843, punto 104). A questo riguardo, l’applicazione di tale disposizione degli orientamenti a favore di un’impresa sarà particolarmente adeguata in una situazione in cui il carattere anticoncorrenziale del comportamento di cui trattasi non sia manifesto (v. sentenza del Tribunale del 13 luglio 2011, Schindler Holding e a./Commissione, T‑138/07, Racc. pag. II‑4819, punto 275 e giurisprudenza ivi citata), il che non avviene nel caso di specie, dato che più comunicazioni recavano l’indicazione «da distruggere dopo presa visione». Dall’altro, sebbene sia certamente importante che un’impresa adotti misure per impedire che nuove infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione siano commesse in futuro da parte di componenti del suo personale, l’adozione di siffatte misure non muta in alcun modo la realtà dell’infrazione accertata e non obbliga la Commissione a concedere una diminuzione dell’importo dell’ammenda in ragione di tale circostanza (v. sentenza General Technic‑Otis e a./Commissione, cit. al punto 269 supra, punto 282 e giurisprudenza ivi citata).

320    Alla luce di tutto quanto precede, occorre respingere la presente parte dell’ottavo motivo, nonché il motivo integralmente.

321    Da tutte le considerazioni sopra esposte risulta che si deve accogliere la domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda formulata dalla ricorrente (v. supra, punto 220), mentre, per il resto, il ricorso è respinto.

 Sull’importo finale dell’ammenda

322    Alla luce delle considerazioni svolte ai precedenti punti da 216 a 220 e alle circostanze del caso di specie, in forza della competenza estesa al merito conferita al Tribunale dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, si deve applicare una riduzione del 3% all’importo di base dell’ammenda della ricorrente, a titolo della circostanza attenuante relativa alla mancata partecipazione di quest’ultima, per circa un anno, alla parte dell’intesa concernente la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite.

323    L’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente viene quindi calcolato nel modo seguente: all’importo di base dell’ammenda (EUR 26,9 milioni) viene sottratto il 3% di tale importo (EUR 807 000) il che determina un importo finale pari a EUR 26 093 000.

 Sulle spese

324    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

325    Poiché il ricorso è stato solo parzialmente accolto, sarà fatta un’equa valutazione delle circostanze della causa decidendo che la ricorrente sopporterà le proprie spese nonché i tre quarti di quelle della Commissione. La Commissione sopporterà un quarto delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’importo dell’ammenda inflitta alla Riva Fire SpA è fissato in EUR 26 093 000.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      La Riva Fire sopporterà le proprie spese nonché i tre quarti di quelle della Commissione europea. La Commissione sopporterà un quarto delle proprie spese.

Martins Ribeiro

Berardis

Popescu

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 dicembre 2014.

Firme

Indice


Contesto normativo

Disposizioni del Trattato CECA

Disposizioni del Trattato CE

Regolamento (CE) n. 1/2003

Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti del trattamento di casi in materia di concorrenza a seguito della scadenza del Trattato CECA

Oggetto della controversia

Fatti

Prima decisione

Sviluppi successivi alla notifica della prima decisione

Decisione di modifica

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sull’adozione da parte del collegio dei membri della Commissione di un progetto di decisione incompleto

Sul primo motivo, vertente sulla mancanza di competenza della Commissione a seguito della scadenza del Trattato CECA e sulla violazione del regolamento n. 1/2003

Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 10, paragrafi 3 e 5, del regolamento n. 17 e dell’articolo 14, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1/2003

Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 36, primo comma, CA

Sul quarto motivo, vertente sulla violazione degli articoli 10 e 11 del regolamento (CE) n. 773/2004 e sulla violazione dei diritti della difesa della ricorrente

Sul quinto motivo, vertente sulla carenza e sulla contraddittorietà della motivazione per quanto riguarda la definizione del mercato geografico rilevante e l’applicazione del principio della lex mitior

Sul sesto motivo, vertente su un travisamento dei fatti e sulla violazione dell’articolo 65 CA per quanto riguarda i vari aspetti dell’infrazione contestata alla ricorrente

Sulle nozioni di accordi e di pratiche concordate

Sui principi relativi all’onere della prova

Sulla fissazione del prezzo base

Sulla fissazione dei prezzi degli extra di dimensione

Sugli effetti dell’intesa

Sul settimo motivo, vertente sulla carenza d’istruttoria e su un difetto di motivazione in ordine all’imputazione alla ricorrente dell’infrazione nel suo complesso ed alla specifica posizione di quest’ultima in relazione ai comportamenti addebitatile

Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996, sulla violazione degli orientamenti del 1998, su uno sviamento di potere e su una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento in sede di fissazione dell’ammenda

Osservazioni preliminari

Sullo sviamento di potere e sulla violazione del principio di proporzionalità in sede di fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla Riva

Sullo sviamento di potere in quanto l’ammenda finale è stata fissata sulla base della dimensione complessiva della ricorrente

Sul difetto e la contraddittorietà della motivazione e sulla violazione del principio di parità di trattamento nell’aver considerato che solo i dirigenti della Riva (e della Lucchini) fossero coinvolti nell’infrazione

Sulla carenza di istruttoria per quanto riguarda l’esame della posizione specifica della ricorrente, con particolare riguardo al riconoscimento di circostanze attenuanti

Sulla violazione del principio di proporzionalità in sede di fissazione dell’importo dell’ammenda

Sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996

Sull’importo finale dell’ammenda

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.