Language of document : ECLI:EU:T:2005:134

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

20 aprile 2005 (*)

«Marchio comunitario – Procedimento di opposizione – Domanda di registrazione di marchio comunitario denominativo CALPICO – Marchio nazionale anteriore CALYPSO – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 – Diritto di essere sentiti»

Nella causa T‑273/02,

Krüger GmbH & Co. KG, con sede in Bergisch Gladbach (Germania), rappresentata dall’avv. S. von Petersdorff-Campen,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. G. Schneider, in qualità di agente,

convenuto,

altra parte nel procedimento davanti alla commissione di ricorso dell’UAMI, interveniente dinanzi al Tribunale:

Calpis Co. Ltd, con sede in Tokyo (Giappone), rappresentata dagli avv.ti O. Jüngst e M. Schork,

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 25 giugno 2002 (caso R 484/2000-1), relativa a un procedimento d’opposizione tra la Calpis Co. Ltd e la Krüger GmbH & Co. KG,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),

composto dal sig. H. Legal, presidente, dal sig. P. Mengozzi e dalla sig.ra I. Wiszniewska-Białecka, giudici,

cancelliere: sig. I. Natsinas, amministratore,

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 settembre 2002,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 dicembre 2002,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 dicembre 2002,

in seguito alla trattazione orale del 17 novembre 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti della controversia

1        Il 1° aprile 1996 la Calpis Food Industry Co. Ltd, divenuta Calpis Co. Ltd (in prosieguo: l’«interveniente»), presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) ai sensi del regolamento CE del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2        Il marchio di cui veniva chiesta la registrazione è il segno denominativo CALPICO.

3        I prodotti e i servizi per i quali veniva chiesta la registrazione del marchio rientrano nelle classi 29, 30 e 32 dell’accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come rivisto e modificato, e corrispondono, per la classe 32, alla seguente descrizione: «acque minerali e gassose e altre bevande analcoliche, in particolare bevande fisiologicamente funzionali; bevande di frutta e succhi di frutta, bevande a base di succhi di frutta; sciroppi e altri preparati per fare bevande».

4        Il 28 settembre 1998 la domanda di registrazione di marchio veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 74/98.

5        L’11 novembre 1998 la Krüger GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «ricorrente») presentava opposizione alla registrazione del segno CALPICO invocando il rischio di confusione, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, con il marchio nazionale denominativo anteriore CALYPSO, registrato in Germania, di cui essa è titolare. I prodotti per i quali è stato registrato il marchio anteriore rientrano nella classe 32 dell’accordo di Nizza e corrispondono alla seguente descrizione: «frutta in polvere, preparati analcolici di frutta per preparare bevande analcoliche (tutti i suddetti prodotti anche in forma istantanea)».

6        Con decisione 13 marzo 2000, la divisione di opposizione respingeva l’opposizione per il motivo che i due marchi in conflitto presentavano differenze visive, fonetiche e concettuali sufficienti per escludere qualsiasi rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

7        Il 5 maggio 2000 la ricorrente presentava ricorso all’UAMI contro la decisione della divisione di opposizione.

8        Con decisione 25 giugno 2002 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI respingeva il ricorso. La commissione di ricorso considerava, in sostanza, che, nonostante i prodotti controversi fossero in parte identici (preparati per bevande) e in parte simili (altri prodotti), le differenze visive, fonetiche e concettuali tra i segni in conflitto non consentivano di affermare la sussistenza di un rischio di confusione.

 Conclusioni delle parti

9        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

10      L’UAMI e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

11      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente fa valere due motivi. Il primo motivo si riferisce alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Il secondo motivo è relativo alla violazione del diritto di essere sentiti, di cui all’art. 61, n. 2, del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con la regola 20, n. 2, prima frase, del regolamento (CE) della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 (GU L 303, pag. 1), e all’art. 6, n. 1, della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

 Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

12      La ricorrente considera, in primo luogo, che la commissione di ricorso, procedendo ad un’analisi delle somiglianze contemporaneamente visiva, fonetica e concettuale tra i segni in conflitto, ha effettuato un esame cumulativo manifestamente errato del rischio di confusione. Secondo la ricorrente, una volta accertata una di tali somiglianze, per esempio una somiglianza visiva, che riveste un'importanza decisiva, non è richiesto l’esame della somiglianza concettuale tra i segni in conflitto, quand’anche sia accertata la mancanza di qualsiasi somiglianza fonetica. Orbene, procedendo ad un esame cumulativo, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto della giurisprudenza ricordata nelle sentenze della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL (Racc. pag. I‑6191), e 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer (Racc. pag. I‑3819, punto 27).

13      La ricorrente afferma, in secondo luogo, che la commissione di ricorso non ha correttamente valutato i fatti e che non poteva dichiarare l’insussistenza di somiglianza tra i marchi in conflitto.

14      Essa sostiene, innanzi tutto, che la commissione di ricorso ha erroneamente considerato che, in ragione dell’abbondante offerta nel settore dei succhi di frutta e delle bevande, il livello di attenzione del consumatore medio non doveva essere ritenuto scarso. La ricorrente non contesta l’esistenza di un’offerta abbondante nel settore dei succhi di frutta e delle bevande, ma ritiene che il ragionamento della commissione di ricorso sia contraddittorio. Se, come quest’ultima ha rilevato, si trattasse, nella fattispecie, di prodotti che sono acquistati velocemente, il livello di attenzione non potrebbe essere elevato. Per giunta, l’abbondanza dell’offerta favorirebbe il rischio di confusione tra i marchi. Inoltre, la commissione di ricorso avrebbe essa stessa sottolineato che il prezzo dei prodotti era basso. Orbene, a parere della ricorrente, il consumatore presta meno attenzione a un prodotto a buon mercato che a un prodotto più caro.

15      La ricorrente sostiene, inoltre, che sussiste una somiglianza visiva tra i segni CALYPSO e CALPICO. Entrambi sarebbero costituiti da sette lettere comprendenti la lettera «p» in mezzo alla parola. Le lettere comuni ai due segni («cal» e «o») si situerebbero poi all’inizio e alla fine del segno. Orbene, la ricorrente afferma che gli elementi iniziali e finali di un segno denominativo sono determinanti nell’impressione visiva che esso lascia. La constatazione della commissione di ricorso secondo la quale esiste una differenza visiva tra le due serie di lettere «pic» e «yps» non sarebbe quindi pertinente, poiché esse sono situate nel mezzo della parola. La ricorrente sottolinea peraltro che i segni controversi vengono percepiti innanzi tutto visivamente, e il consumatore ne ha una percezione fonetica solo se li esamina con maggiore attenzione. Orbene, poiché il suo livello d’attenzione è scarso, i segni sarebbero più spesso percepiti solo visivamente. Per questa ragione bisognerebbe attribuire alla somiglianza visiva un’importanza decisiva.

16      Secondo la ricorrente, il rischio di confusione sorto dalla somiglianza visiva è rafforzato dalla somiglianza fonetica che esiste tra i due segni. Questi hanno infatti in comune la serie di vocali «a-i-o», dove lettera «y» del segno CALYPSO si pronuncia come una «i». La serie di vocali sarebbe così determinante per la percezione fonetica delle parole di cui trattasi. Peraltro, la ricorrente sostiene che, essendo il segno CALPICO considerato in Germania una parola straniera, una gran parte dei consumatori lo pronuncerà come se si trattasse di una parola italiana o spagnola, cioè «kalpitscho» o «kalpizo». Il consumatore tedesco non sarebbe quindi certo della pronuncia del segno denominativo CALPICO, il che indurrebbe il consumatore a pronunciarlo allo stesso modo del segno CALYPSO, che avrebbe già sentito. L’affermazione della commissione di ricorso che la lettera «c» di CALPICO sarà pronunciata «k», perché in tedesco la «c» si pronuncia sempre così quando è posta dinanzi ad una «o», non sarebbe quindi pertinente, dal momento che CALPICO non è una parola tedesca.

17      La ricorrente considera inoltre che la mancanza di somiglianza concettuale tra i due segni non consente di affermare che non vi sia alcun rischio di confusione. Dal momento che la parola «calypso» in tedesco ha più significati – designa una danza ritmata originaria delle Antille, una ninfa della mitologia greca o una luna del pianeta Saturno – e che il termine «calpico» non ne ha alcuno, il consumatore potrebbe, in ragione delle somiglianze visiva e fonetica tra i due segni, attribuire alla parola «calpico» i significati della parola «calypso». La commissione di ricorso non avrebbe poi dimostrato perché, tra i vari significati della parola «calypso», i consumatori assocerebbero tale parola ai Caraibi, al Sud ed ai ritmi dondolanti.

18      Infine, la ricorrente afferma che la commissione di ricorso non ha tenuto conto, nella valutazione del rischio di confusione, dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti. La commissione di ricorso infatti, avendo accertato una somiglianza tra i prodotti, avrebbe dovuto, fondandosi sulla somiglianza visiva e fonetica tra i segni, ritenere l’esistenza di un rischio di confusione.

19      In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la decisione controversa è contraria alla prassi decisionale dell’UAMI, in particolare alle decisioni 28 febbraio 2002, Robert Krups/Lidl Stiftung, R 488/2000‑4, 3 aprile 2001, Almirall Prodesfarma/Mundipharma, R 622/1999‑3, e 12 febbraio 2001, Karlsberg Brauerei/Mystery Drinks, R 251/2000‑3.

20      L’UAMI ribatte, in primo luogo, che la commissione di ricorso non ha affermato che, per constatare l’esistenza di un rischio di confusione, bisogna che sussista contemporaneamente una somiglianza visiva, una somiglianza fonetica e una somiglianza concettuale.

21      In secondo luogo, l’UAMI sostiene che la commissione di ricorso ha correttamente valutato i fatti e ha, giustamente, ritenuto che non esistesse alcun rischio di confusione.

22      Innanzi tutto, l’UAMI sostiene che, anche per l’acquisto di prodotti di largo consumo, occorre partire dall’ipotesi di un livello di attenzione medio del consumatore, e non da un livello di attenzione modesto. La ricorrente avrebbe dovuto dunque dimostrare che, nella fattispecie, ciò non si verificava per i succhi di frutta. Orbene, la semplice affermazione che la prassi va in tal senso non può essere considerata una prova sufficiente. In realtà, sostiene l’UAMI, il consumatore tedesco è molto sensibile ai marchi dei succhi di frutta. Il grande successo di taluni marchi nel mercato tedesco nonché le frequenti campagne pubblicitarie diffuse alla radio e alla televisione indicano, secondo l’UAMI, che il consumatore presta quantomeno un’attenzione media al marchio quando sceglie una bevanda del genere.

23      L’UAMI ritiene, inoltre, che i due segni si distinguano chiaramente sul piano concettuale, fonetico e visivo, il che esclude l’esistenza di un rischio di confusione tra i marchi.

24      L’interveniente afferma, in primo luogo, di non riscontrare nessun approccio cumulativo nella decisione impugnata. La ricorrente, secondo l’interveniente, ha confuso due esami. Il primo esame sarebbe quello della valutazione della somiglianza tra i segni. Dalle citate sentenze SABEL e Lloyd Schuhfabrik Meyer, risulterebbe che occorre esaminare il grado di somiglianza visiva, fonetica e concettuale per poter determinare la somiglianza dei segni in conflitto. Il secondo esame sarebbe quello della valutazione del rischio di confusione. Sarebbe sufficiente l’esistenza della somiglianza su uno solo dei tre piani affinché sia dimostrato il rischio di confusione. Secondo l’interveniente, la commissione di ricorso, qualora fin dalla fase dell’esame della somiglianza tra i segni rilevi che questi ultimi si distinguono l’uno dall’altro, non deve chiedersi se solamente una di tali tre somiglianze può comportare un rischio di confusione. Questo è ciò che, a parere dell’interveniente, ha fatto la commissione di ricorso nel caso di specie.

25      Inoltre, l’interveniente respinge l’argomento della ricorrente che occorrerebbe accordare alla somiglianza fonetica un’importanza minore rispetto alla somiglianza visiva tra i segni, per il fatto che i marchi denominativi sarebbero percepiti soprattutto attraverso la loro forma scritta. Infatti, secondo l’interveniente, la percezione fonetica lasciata dai marchi è fondamentale. Essi sarebbero ascoltati nei media ben prima di essere letti.

26      In secondo luogo, l’interveniente sostiene che la commissione di ricorso era legittimata a ritenere l’insussistenza di qualsiasi rischio di confusione.

27      A tale proposito, essa ritiene, innanzi tutto, che, nella fattispecie, il livello di attenzione del consumatore medio non sia scarso. Sottolineando che il consumatore, essendo abituato a disporre di un’ampia scelta di succhi di frutta, dà importanza alle confezioni e ai marchi, la commissione di ricorso seguirebbe l’orientamento della giurisprudenza della Corte che impone di tener conto del fatto che «il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi» (sentenza Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 26). Bisognerebbe dunque valutare l’attenzione del consumatore prodotto per prodotto, anche se si tratta di prodotti di consumo corrente, invece di applicare il principio di una scarsa attenzione del consumatore medio indiscriminatamente a tutti i prodotti di consumo corrente. Poiché le bevande di cui trattasi sono prodotte da molte ditte, il consumatore le esaminerebbe abbastanza attentamente. La conclusione cui è pervenuta la commissione di ricorso in relazione al livello di attenzione del consumatore non sarebbe perciò «opposta» a quella della divisione d’opposizione, dato che quest’ultima non fa che valutare i fatti in maniera diversa dalla prima.

28      Inoltre, quanto alla comparazione dei segni, l’interveniente si allinea, in sostanza, alla posizione espressa dall’UAMI.

29      Infine, per quanto concerne l’argomento della ricorrente che la commissione di ricorso non avrebbe, nella valutazione del rischio di confusione, tenuto conto dell’interdipendenza tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti, l’interveniente lo considera altrettanto infondato.

 Giudizio del Tribunale

30      Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato.

31      Secondo una costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate.

32      Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente a seconda di come il pubblico pertinente percepisce i segni e i prodotti o servizi di cui trattasi, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi designati [v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II‑2821, punti 31‑33 e giurisprudenza ivi citata].

33      Come risulta altresì dalla giurisprudenza, la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, auditiva o logica dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti [v. sentenza del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II‑4335, punto 47 e giurisprudenza ivi citata].

34      Nel caso di specie, la controversia verte sulla comparazione dei segni. I caratteri in parte identici e in parte simili dei prodotti designati dai marchi in conflitto non sono contestati.

35      Dato che il marchio anteriore è registrato in Germania, il pubblico pertinente è rappresentato dal consumatore medio tedesco.

36      Occorre sottolineare, innanzi tutto, che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, non si può rilevare l’esistenza di un rischio di confusione senza procedere ad un preventivo esame della somiglianza tra i segni sul piano visivo, fonetico e concettuale. La tesi della ricorrente, infatti, secondo la quale si può rilevare un rischio di confusione una volta accertata la somiglianza tra i segni su uno solo dei tre piani summenzionati, è contraria alla giurisprudenza comunitaria ricordata al precedente punto 33 e secondo la quale la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, auditiva o logica dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. Occorre procedere ad un’eventuale ponderazione delle differenze e degli elementi di somiglianza tra i segni nell’ambito di tale comparazione globale.

37      Ciò premesso, occorre verificare se la commissione di ricorso ha violato l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, dichiarando l’inesistenza di somiglianza visiva, fonetica e concettuale tra i segni controversi che consente di escludere, a fronte di prodotti identici o molto simili, qualsiasi rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

38      Quanto alla comparazione visiva tra i segni controversi, la commissione di ricorso ha rilevato, al punto 20 della decisione impugnata, quanto segue:

«I due marchi contano sette lettere tra cui le prime tre (“CAL”) e l’ultima (“O”) sono identiche. La stessa lettera (“P”) appare nella parte centrale dei due marchi. Ciò non impedisce che i due marchi producano un'impressione visiva d’insieme chiaramente diversa. Infatti, la serie di lettere “PIC” nel marchio di cui viene chiesta la registrazione si distingue nettamente dalla serie di lettere “YPS” del marchio dell’opponente».

39      Tale valutazione non può essere invalidata. In via generale, trattandosi di segni denominativi relativamente brevi, come quelli del caso di specie, gli elementi centrali sono importanti tanto quanto gli elementi iniziali e finali del segno [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 luglio 2004, causa T‑117/02, Grupo El Prado Cervera/UAMI – Eredi Debuschewitz (CHUFAFIT), Racc. pag. II‑2073, punto 48]. Orbene, i segni in conflitto presentano effettivamente differenze sul piano visivo, in relazione alla serie delle lettere «pic» nel marchio comunitario richiesto e «yps» nel marchio nazionale anteriore, che non consentono di constatare una somiglianza visiva tra i segni in conflitto.

40      Per quanto concerne la comparazione fonetica, la commissione di ricorso ha indicato, al punto 21 della decisione impugnata, quanto segue:

«Contrariamente all’opponente, la commissione di ricorso non vede alcuna ragione che consenta di affermare che in Germania il marchio di cui si chiede la registrazione sia pronunciato “KALPITZO” o “KALPISO”. In Germania, la lettera “C” quando precede una “O”, è sempre pronunciata come una “K” come nelle parole “Collage”, “Computer”, “Container”, “Coburg” o “Coca-Cola®”. Trattasi dunque di una consonante dura. Dal punto di vista linguistico, il marchio di cui si chiede la registrazione si suddivide in tre sillabe: CAL-PI-CO (pronunciate “KAL-PI-KO”), con l’accento tonico che cade sulla prima sillaba. Sebbene, dal punto di vista linguistico, anche il marchio dell’opponente conti tre sillabe, ossia CA-LY-PSO (pronunciate “KA-LU-PSO”), in questo caso l’accento tonico cade sulla seconda sillaba. In conclusione, i due marchi in conflitto sono nettamente diversi sul piano fonetico».

41      Tale valutazione può essere soltanto condivisa. Infatti, occorre rilevare che i segni in conflitto hanno due sillabe nettamente diverse sul piano fonetico, che l’accento tonico nei due segni non cade sulla stessa sillaba e che la lettera «y» in tedesco non si pronuncia allo stesso modo della lettera «i». Peraltro, quanto all’argomento della ricorrente che il consumatore tedesco pronuncerebbe il segno denominativo CALPICO «kalpitscho» o «kalpizo», come sarebbe pronunciato in italiano o in spagnolo, occorre rilevare che, anche supponendo che il pubblico pertinente abbia una conoscenza sufficiente della lingua italiana e spagnola, CALPICO non si pronuncia «kalpitscho» o «kalpizo» né in italiano né in spagnolo. Inoltre, anche supponendo, come sostiene la ricorrente, che il consumatore tedesco, riconoscendo che il segno CALPICO è una parola straniera, adotti una pronuncia di fantasia e incerta che corrisponde a quella da lui ritenuta corretta in italiano o in spagnolo, tale consumatore non sarà comunque spinto a pronunciare tale termine in modo simile al segno denominativo CALYPSO la cui pronuncia è ovvia in lingua tedesca. Tale differenza contribuisce ad escludere qualsiasi somiglianza fonetica tra i due segni.

42      Per quanto riguarda la comparazione concettuale effettuata dalla commissione di ricorso, quest’ultima ha rilevato, al punto 22 della decisione impugnata, che il termine «calpico» è una «parola di pura fantasia, priva di qualsiasi contenuto semantico», mentre il termine «calypso» evoca o «i Caraibi, il sud e dondolamenti ritmati», o la ninfa della mitologia greca presso cui Ulisse trovò riparo dopo il suo naufragio. Ciò premesso, essa ha concluso che i segni in conflitto non hanno «nessuna somiglianza concettuale».

43      A tale proposito, basti rilevare che, per il pubblico pertinente, il termine «calypso» possiede effettivamente, quantomeno, i due significati evocati dalla commissione di ricorso, mentre è pacifico che il termine «calpico» non ne possiede alcuno. Dal punto di vista concettuale, il pubblico pertinente potrà quindi distinguere chiaramente i due segni in conflitto, indipendentemente dal preciso significato, tra le due accezioni richiamate dalla commissione di ricorso, che esso attribuirà al termine «calypso». Inoltre, anche supponendo, come afferma la ricorrente, che il pubblico pertinente associ il termine «calypso» a uno dei satelliti del pianeta Saturno, tale circostanza non darebbe luogo ad alcuna somiglianza concettuale con il termine «calpico».

44      Di conseguenza, la commissione di ricorso ha giustamente ritenuto che non sussistesse somiglianza visiva, fonetica e concettuale tra i segni in conflitto.

45      Date tali circostanze, nonostante il fatto che i prodotti designati dai marchi in conflitto siano in parte identici ed in parte molto simili, la differenza visiva e le marcate differenze fonetica e concettuale tra i marchi in conflitto consentono di escludere, nella mente del pubblico pertinente, qualsiasi rischio di confusione tra tali marchi.

46      Gli altri argomenti della ricorrente non rimettono in discussione tale conclusione.

47      Per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente secondo la quale l’impressione complessiva dei marchi in conflitto sarebbe dominata dall’impressione visiva, basta rilevare che, quand’anche fosse fondata, essa non permetterebbe di dimostrare l’esistenza di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto, non essendoci somiglianza visiva tra i segni.

48      Occorre respingere anche l’argomento della ricorrente relativo alla prassi decisionale anteriore dell’UAMI, poiché la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso si valuta, secondo una giurisprudenza consolidata, unicamente sulla base del regolamento n. 40/94, quale interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una tale precedente prassi decisionale [sentenze del Tribunale 5 dicembre 2002, causa T‑130/01, Sykes Enterprises/UAMI (REAL PEOPLE, REAL SOLUTIONS), Racc. pag. II‑5179, punto 31, e 3 luglio 2003, causa T‑129/01, Alejandro/UAMI – Anheuser-Busch (BUDMEN), Racc. pag. II‑2251, punto 61].

49      Inoltre, per quanto riguarda la decisione della commissione di ricorso Karlsberg Brauerei/Mystery Drinks, citata sopra al punto 19, oggetto di particolare discussione tra la ricorrente e l’interveniente e oggetto di un ricorso dinanzi al Tribunale [sentenza del Tribunale 15 gennaio 2003, causa T‑99/01, Mystery Drinks/UAMI – Karlsberg Brauerei (MYSTERY), Racc. pag. II‑43], la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di una situazione paragonabile a tale causa, poiché, nella fattispecie, i segni in conflitto presentano marcate differenze fonetiche, mentre, nella causa che ha dato luogo alla sentenza MYSTERY, i segni controversi sono stati giudicati somiglianti sul piano fonetico.

50      Infine, la ricorrente contesta alla commissione di ricorso di avere preso in considerazione, ai fini della valutazione del rischio di confusione tra i marchi in conflitto, il livello di attenzione non trascurabile del pubblico pertinente, contrariamente all’analisi effettuata dalla divisione d’opposizione, la quale aveva considerato che il pubblico pertinente comprava i prodotti designati dai marchi in conflitto con una certa trascuratezza.

51      A tale proposito, occorre sottolineare che, nella sua decisione che respinge l’opposizione per mancanza di rischio di confusione, la divisione d’opposizione ha indicato quanto segue:

«Nonostante nel caso di specie siano controversi prodotti identici, le differenze tra i segni comparati sono sufficienti a distinguere [i marchi] con sufficiente certezza. Vero è che, nella fattispecie, occorre applicare criteri stretti quanto al divario che deve sussistere tra i marchi, in particolare perché i prodotti comparati sono articoli di consumo corrente i quali, come deriva dall’esperienza, sono comprati con una certa trascuratezza e senza che i nomi dei prodotti siano considerati con una attenzione particolare».

52      Quanto alla commissione di ricorso, occorre ricordare che essa, al punto 23 della decisione impugnata, ha precisato:

«I prodotti identificati da ciascuno dei marchi sono prodotti della vita quotidiana che il consumatore acquista di solito quando si reca nei supermercati o nei negozi di bevande. Il prezzo di tali articoli è tale che possiamo definirli articoli a basso prezzo. Vista l’abbondanza dell’offerta nel settore dei succhi di frutta e delle bevande, tuttavia, è giocoforza considerare che l’attenzione del cliente medio non sarà trascurabile. Infatti, abituato a incontrare un’abbondante offerta di succhi di frutta e di prodotti dello stesso tipo, quali polveri contenute in confezioni simili, il consumatore, al momento di un acquisto, presterà attenzione alla confezione di ognuno di essi o esaminerà i marchi più da vicino».

53      Dato che i prodotti designati dai marchi in conflitto sono prodotti di consumo corrente, sia la divisione d’opposizione sia la commissione di ricorso hanno considerato che il livello d’attenzione del pubblico pertinente non era elevato. E’ vero che il punto 23 della decisione impugnata è diverso dalla decisione della divisione d’opposizione quanto alla valutazione dell’esatto grado di attenzione che il pubblico pertinente accorderà ai marchi in conflitto, in ragione dell’influenza che l’abbondanza dell’offerta nel settore dei succhi di frutta e bevande può esercitare su tale attenzione. Tuttavia, sebbene la commissione di ricorso abbia stimato che l’abbondanza dell’offerta nel settore dei succhi di frutta e bevande può indurre il pubblico pertinente a prestare un’attenzione particolare ai marchi in conflitto, essa non ha però ritenuto che tale attenzione sia elevata.

54      Ad ogni modo, la differente valutazione tra le decisioni delle due istanze dell’UAMI non ha conseguenze sull'assenza di somiglianza tra i segni in conflitto e sulla mancanza di rischio di confusione tra i marchi, considerate da tali istanze. Infatti, tenuto conto delle differenze visive, fonetiche e concettuali tra i segni in conflitto, ricordate ai precedenti punti 38‑ 43, il consumatore medio tedesco non attribuirà la stessa provenienza commerciale ai prodotti designati dai marchi in conflitto, quand'anche non presti alcuna particolare attenzione a tali marchi.

55      Date tali premesse, la commissione di ricorso ha giustamente considerato che non esisteva rischio di confusione tra i marchi in conflitto, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

56      Occorre dunque respingere il primo motivo.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione del diritto di essere sentiti di cui all’art. 61, n. 2, del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con la regola 20, n. 2, prima frase, del regolamento n. 2868/95, e all’art. 6, n. 1, della CEDU

 Argomenti delle parti

57      La ricorrente rileva che, secondo la commissione di ricorso, il livello di attenzione del consumatore medio non era scarso a motivo dell’abbondante offerta nel settore dei succhi di frutta e delle bevande. Orbene, la commissione di ricorso non ha invitato la ricorrente a comunicarle le sue osservazioni in merito alla valutazione sul livello di attenzione del consumatore medio, il che costituirebbe una violazione del suo diritto di essere sentita, ai sensi dell’art. 61, n. 2, del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con la regola 20, n. 2, prima frase, del regolamento n. 2868/95, e dell’art. 6, n. 1, della CEDU.

58      L’UAMI sottolinea che sia la divisione d’opposizione sia la ricorrente si erano già espresse sulla questione del livello di attenzione del consumatore prima che la esaminasse la commissione di ricorso. La decisione impugnata poteva quindi discostarsi dall’argomentazione che le parti avevano sostenuto dinanzi ad essa senza che fosse necessario informarle preventivamente. L’UAMI sostiene che la censura relativa alla violazione del diritto di essere sentiti non è quindi fondata.

59      L’interveniente considera che la ricorrente si riferisce all’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94, che impone all’UAMI di indicare alle parti se esso intende fondare la sua decisione su motivi di fatto o di diritto sui quali esse non si sono pronunciate. Secondo l’interveniente, la questione del livello d’attenzione del consumatore rientra nella valutazione dei fatti. Sebbene la commissione di ricorso e la divisione di opposizione valutino i fatti in modo leggermente differente, resta che i fatti non sono nuovi. Secondo l’interveniente, tali fatti sono stati esposti in maniera esauriente sia nella decisione della divisione di opposizione sia nella decisione impugnata. Date tali circostanze, l’interveniente è del parere che una nuova valutazione di fatti già noti non costituisca una violazione del diritto di essere sentiti. Inoltre, l’interveniente rileva che la ricorrente sapeva che la valutazione del rischio di confusione era effettuata in funzione dell’attenzione del consumatore. La ricorrente aveva quindi la possibilità di sviluppare tale argomento, ma non l’ha fatto.

 Giudizio del Tribunale

60      Ai sensi dell’art. 61, n. 2, del regolamento n. 40/94, «[n]el corso dell’esame del ricorso la commissione di ricorso invita le parti, ogniqualvolta sia necessario, a presentare, entro il termine da essa assegnato, le loro deduzioni sulle notificazioni da essa effettuate o sulle comunicazioni fatte dalle altre parti». Inoltre, la regola 20, n. 2, prima frase, del regolamento n. 2868/95 prevede che, qualora l’atto di opposizione non contenga le indicazioni relative ai fatti, le prove e le osservazioni, di cui alla regola 16, nn. 1 e 2, di tale regolamento, l’UAMI invita l’opponente a fornirle entro un termine da esso fissato.

61      Orbene, quanto all’affermazione della ricorrente relativa alla violazione di tali due disposizioni da parte della commissione di ricorso, è sufficiente rilevare che, da un lato, la ricorrente non ha dimostrato di non essere stata invitata a presentare osservazioni su una «notificazione» della commissione di ricorso o su una «comunicazione» dell’interveniente, ai sensi dell’art. 61, n. 2, del regolamento n. 40/94 e, dall’altro, non risulta da nessun documento del fascicolo che l’atto d’opposizione non conteneva le informazioni di cui alla regola 20, n. 2, prima frase, del regolamento n. 2868/95. La censura della ricorrente relativa alla violazione di tali disposizioni deve pertanto essere respinta.

62      Quanto all’asserita violazione dell’art. 6, n. 1, della CEDU, occorre precisare che il Tribunale ha escluso l’applicazione alle commissioni di ricorso dell’UAMI del diritto a un «processo» equo, poiché il procedimento dinanzi alle commissioni di ricorso non ha natura giurisdizionale ma amministrativa [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 dicembre 2002, causa T‑63/01, Procter & Gamble/UAMI (Forma di un sapone), Racc. pag. II‑5255, punti 22 e 23].

63      Ciò nondimeno, come ritiene giustamente l’interveniente, la ricorrente, con il suo secondo motivo relativo alla violazione del diritto di essere sentiti, si riferisce, in definitiva, all’asserita mancata considerazione da parte della commissione di ricorso dell’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94, ai sensi del quale «[le decisioni dell’Ufficio] devono essere fondate esclusivamente su motivi in ordine ai quali le parti hanno potuto presentare le proprie deduzioni», e che costituisce l’espressione, nell’ambito del regolamento n. 90/94, del principio generale del rispetto dei diritti della difesa.

64      Nella fattispecie, occorre ricordare che la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto del suo diritto di essere sentita in quanto quest’ultima non l’ha invitata a presentare osservazioni sull’attenzione «non trascurabile» del pubblico pertinente di cui essa intendeva tener conto nella decisione impugnata. Per contro, è pacifico che la ricorrente non contesta alla commissione di ricorso di non averla invitata a presentare le sue osservazioni in merito all’esistenza di un’offerta abbondante nel settore dei succhi di frutta e di bevande, elemento di fatto, del resto, altrettanto pacifico, sul quale si fonda il livello di attenzione del pubblico pertinente considerato dalla commissione di ricorso.

65      Orbene, occorre considerare che, sebbene il diritto di essere sentiti, quale sancito dall’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94, si estenda a tutti gli elementi di fatto o di diritto così come agli elementi di prova che costituiscono il fondamento dell’atto decisionale, tuttavia, esso non si applica alla posizione finale che l’amministrazione intende adottare [v., in tal senso, sentenze del Tribunale 21 gennaio 1999, cause riunite T‑129/95, T‑2/96 e T‑97/96, Neue Maxhütte Stahlwerke e Lech Stahlwerke/Commissione, Racc. pag. II‑17, punto 231, e 3 dicembre 2003, causa T‑16/02, Audi/UAMI (TDI), Racc. pag. II‑5167, punti 71 e 75].

66      Di conseguenza, poiché la controversa valutazione dei fatti attiene alla posizione finale della commissione di ricorso, quest’ultima non era obbligata a sentire la ricorrente in merito.

67      Va aggiunto che, come risulta dall’esame del primo motivo, la differente valutazione delle due istanze dell’UAMI in merito al preciso grado di attenzione del pubblico pertinente non ha alcuna conseguenza sull’assenza di somiglianza tra i segni controversi e di rischio di confusione tra i marchi in conflitto cui sono pervenute tali istanze.

68      Ne consegue che, anche supponendo che la commissione di ricorso si sia resa colpevole di una violazione del diritto della ricorrente di essere sentita, una siffatta violazione non avrebbe potuto inficiare la legittimità della decisione impugnata.

69      Pertanto, il secondo motivo deve essere respinto così come l’intero ricorso.

 Sulle spese

70      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è condannato alle spese se ne viene fatta domanda.

71      Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, va condannata alle spese conformemente alle domande dell’UAMI e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Legal

Mengozzi

Wiszniewska-Białecka

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 aprile 2005.

Il cancelliere

 

       Il presidente

H. Jung

 

       H. Legal


* Lingua processuale: il tedesco.