Language of document : ECLI:EU:T:2005:140

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

21 aprile 2005 (*)

«Marchio comunitario – Procedimento di opposizione – Domanda di registrazione di marchio comunitario figurativo contente l’elemento verbale “monBeBé” – Marchi denominativi anteriori bebe – Motivo relativo di rigetto – Rischio di confusione – Art. 8, n. 1, lett. b), e n. 5, del regolamento (CE) n. 40/94»

Nel procedimento T-164/03,

Ampafrance SA, con sede in Cholet (Francia), rappresentata dall’avv. C. Bercial Arias,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. A. Rassat e A. Folliard-Monguiral, in qualità di agenti,

convenuto,

altra parte nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI, interveniente dinanzi al Tribunale,

Johnson & Johnson GmbH, con sede in Düsseldorf (Germania), rappresentata dall’avv. D. von Schultz,

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione 4 marzo 2003 della prima commissione di ricorso dell’UAMI (caso R 220/2002-1), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Ampafrance SA e la Johnson & Johnson GmbH,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dalla sig.ra V. Tiili e dal sig. O. Czúcz, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 maggio 2003,

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 ottobre 2003,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 ottobre 2003,

in seguito alla trattazione orale del 2 dicembre 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti della controversia

1        Il 13 giugno 1996 la Ampafrance SA presentava una domanda di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2        Il marchio per il quale veniva richiesta la registrazione è il segno figurativo di seguito riprodotto (in prosieguo: il «marchio monBeBé»):

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3        I prodotti per i quali veniva chiesta la registrazione del marchio rientrano nelle classi 3, 5, 8, 10, 11, 12, 16, 18, 20, 21, 22, 24, 25 e 28 dell’accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato.

4        Detta domanda veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari 8 febbraio1999, n. 88.

5        Il 29 marzo 1999 la società Johnson & Johnson GmbH presentava opposizione alla registrazione di tale marchio comunitario, ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94. L’opposizione era fondata sul marchio denominativo bebe oggetto delle seguenti registrazioni:

–        registrazione in Germania n. 1 168 346, in data 22 novembre 1990, per i seguenti prodotti: «prodotti per la cura della pelle e del corpo, compresi i prodotti di protezione e di pulizia della pelle, in particolare creme per la pelle, lozioni per la pelle, latte, tonico detergente, emulsioni idratanti, prodotti solari, additivi per il bagno, gel da bagno, oli per la pelle, shampoo, prodotti per la cura delle labbra; saponi, prodotti di pulizia; salviette cosmetiche detergenti; deodoranti; prodotti per la pulizia dei denti, cipria per il viso, struccanti, prodotti per la cura delle unghie fra cui smalto e solvente», appartenenti alla classe 3; a sostegno dell’opposizione venivano rivendicate la notorietà, ai sensi dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94, e la conoscenza notoria, ai sensi dell’art. 8, n. 2, lett. c), del medesimo regolamento, di tale marchio in Germania;

–        registrazione internazionale IR 571 254, in data 19 dicembre 1990, con effetto, in particolare, in Italia, in Austria e nei paesi del Benelux, per gli stessi prodotti della classe 3 sopra riportati e per i seguenti prodotti:

–        classe 16: «Fazzoletti e salviette di carta ad uso cosmetico»;

–        classe 24: «Fazzoletti e salviette di tessuto ad uso cosmetico».

6        L’opposizione era fondata su tutti i prodotti contrassegnati dai marchi anteriori e riguardava una parte dei prodotti designati nella domanda di marchio comunitario, ossia i seguenti prodotti:

–        classe 3: «Saponi, prodotti detergenti, prodotti per la cura della pelle, prodotti cosmetici, shampoo, talco, eau de toilette, dentifrici, prodotti per il bagno, bastoncini ricoperti di cotone idrofilo»;

–        classe 5: «Prodotti igienici, prodotti dietetici, alimenti dietetici, cotone idrofilo, pannolini di cotone idrofilo»;

–        classe 10: «Poppatoi, tettarelle, succhiotti, apparecchi medici, cassette di pronto soccorso»;

–        classe 16: «Carta e articoli di carta, pannolini di cellulosa».

7        I motivi dedotti a sostegno dell’opposizione erano quelli previsti dall’art. 8, nn. 1, lett. b), 2, lett. c) e 5, del regolamento n. 40/94.

8        Nel corso del procedimento d’opposizione, il 21 febbraio 2000, la ricorrente limitava l’elenco dei prodotti designati nella sua domanda di registrazione sopprimendo i prodotti appartenenti alla classe 16.

9        Con decisione 27 febbraio 2002, la divisione d’opposizione respingeva l’opposizione. Essa dichiarava, in sostanza, che non sussisteva rischio di confusione tra i marchi interessati ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Non essendoci somiglianza tra i segni, la divisione d’opposizione respingeva anche l’opposizione fondata sull’art. 8, n. 2, lett. c), del regolamento n. 40/94. Dato che i segni erano diversi e che l’interveniente non aveva dimostrato che il suo marchio tedesco godeva di notorietà, veniva respinta anche l’opposizione fondata sull’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94.

10      Il 12 marzo 2002 l’interveniente proponeva dinanzi all’UAMI un ricorso contro la decisione della divisione di opposizione, in forza degli artt. 57‑62 del regolamento n. 40/94.

11      Con decisione 4 marzo 2003 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso accoglieva parzialmente il ricorso. Essa considerava, in sostanza, che, tenuto conto in particolare dell’identità o delle somiglianze tra i prodotti delle classi 3 e 5, delle somiglianze tra i segni controversi e della notorietà dei marchi anteriori per i prodotti per la cura del corpo, era probabile che sussistesse un rischio di confusione nella mente del consumatore interessato. Di conseguenza, la decisione della divisione d’opposizione veniva annullata nella parte in cui essa aveva respinto l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 40/94 per i seguenti prodotti della domanda: «saponi, prodotti detergenti, prodotti per la cura della pelle, prodotti cosmetici, shampoo, talco, eau de toilette, dentifrici, prodotti per il bagno, bastoncini ricoperti di cotone idrofilo», rientranti nella classe 3, e «prodotti igienici, cotone idrofilo, pannolini di cotone idrofilo», appartenenti alla classe 5.

12      Per quanto riguarda i prodotti non considerati somiglianti, cioè i prodotti e gli alimenti dietetici (classe 5) così come i poppatoi, le tettarelle, i succhiotti, gli apparecchi medici e le cassette di pronto soccorso (classe 10), la commissione di ricorso riteneva che non sussistessero i presupposti necessari per l’applicazione dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94 e il ricorso veniva quindi respinto su tale punto. Peraltro, avendo accolto l’opposizione fondata sull’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 per quanto riguarda i «prodotti cosmetici, prodotti per cure mediche, ossia i prodotti di trattamento per la pelle» compresi nella classe 3, la commissione di ricorso non si pronunciava sull’opposizione fondata sull’art. 8, n. 2, lett. c), del regolamento n. 40/94.

 Conclusioni delle parti

13      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare o riformare la decisione impugnata nella parte in cui non le è favorevole;

–        accogliere interamente la domanda di registrazione di marchio comunitario monBeBé;

–        condannare l’UAMI alle spese inerenti ai procedimenti d’opposizione e di ricorso dinanzi alla commissione di ricorso e al Tribunale.

14      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

15      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

 Sull’oggetto della controversia

16      Con una lettera in data 25 novembre 2004, la ricorrente comunicava al Tribunale di avere limitato la sua domanda di registrazione per i prodotti delle classi 3, 5 e 10 a quelli destinati ai neonati e ai bambini piccoli.

17      Al riguardo, si deve rammentare che, ai sensi dell’art. 44, n. 1, del regolamento n. 40/94, il richiedente può in qualsiasi momento ritirare la sua domanda di marchio comunitario o limitare l’elenco dei prodotti o servizi che essa contiene. Una limitazione dell’elenco dei prodotti o dei servizi designati da una domanda di marchio comunitario deve essere effettuata secondo talune modalità particolari, su istanza di modifica della domanda presentata conformemente all’art. 44 del regolamento n. 40/94 e alla regola 13 del regolamento (CE) della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 (GU L 303, pag. 1) [v., sentenze del Tribunale 5 marzo 2003, causa T‑194/01, Unilever/UAMI (pasticca ovoidale), Racc. pag. II‑383, punto 13, e 25 novembre 2003, causa T‑286/02, Oriental Kitchen/UAMI − Mou Dybfrost (KIAP MOU), Racc. pag. II‑1401, punto 30].

18      Nella fattispecie, la ricorrente ha presentato una domanda di limitazione dell’elenco dei prodotti solo pochi giorni prima dell’udienza. Inoltre, all’udienza, l’UAMI ha sostenuto di aver saputo di tale domanda solo attraverso il Tribunale, perché la domanda ufficiale di limitazione della ricorrente non era ancora stata acclusa al corrispondente fascicolo amministrativo.

19      Peraltro, occorre rammentare che, ai fini dell’applicazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, la valutazione del rischio di confusione deve comprendere tutti i prodotti designati dalla domanda di marchio (sentenza KIAP MOU, cit., punto 30).

20      Nel caso di specie, con la presente domanda la ricorrente non intende ritirare dall’elenco uno o più prodotti per i quali sarebbe stata rilevata la somiglianza, ma modificare la destinazione di tutti i prodotti rivendicati. Orbene, non si può escludere che la modifica della destinazione dei prodotti possa avere effetto sulla comparazione dei prodotti effettuata dall’UAMI ai fini dell’esame del rischio di confusione e sul procedimento amministrativo dinanzi all’UAMI.

21      In tali circostanze, ammettere la modifica della destinazione dei prodotti effettuata in questa fase equivarrebbe a modificare l’oggetto della lite in corso di causa. Ai sensi dell’art. 135, n. 4, del regolamento di procedura del Tribunale, le memorie delle parti non possono modificare l’oggetto della controversia dinanzi alla commissione di ricorso. Nel presente contenzioso, il Tribunale ha infatti il compito di verificare la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso. Orbene, una modifica dell’elenco dei prodotti designati modificherebbe necessariamente il petitum e, quindi, la portata della controversia in contrasto con il regolamento di procedura.

22      Alla luce delle considerazioni che precedono, la modifica della destinazione dei prodotti contenuti nella domanda originaria di marchio della ricorrente non sarà presa in considerazione nella presente istanza. Di conseguenza, la presente controversia verte sulla situazione quale esaminata dalla commissione di ricorso.

 Sulla ricevibilità del secondo e del terzo capo della domanda della ricorrente

23      Con il suo secondo capo della domanda, la ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale ingiunga all’UAMI di registrare il marchio richiesto. Secondo l’UAMI, tale domanda è irricevibile.

24      Si deve a questo proposito ricordare che, conformemente all’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94, l’UAMI è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza del giudice comunitario. Di conseguenza, non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’UAMI. Incombe, infatti, a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione delle sentenze del Tribunale [sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T-331/99, Mitsubishi HiTec Paper Bielefeld/UAMI (Giroform), Racc. pag. II‑433, punto 33; 27 febbraio 2002, causa T-34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), Racc. pag. II‑683, punto 12, e 3 luglio 2003, causa T‑129/01, Alejandro/UAMI – Anheuser-Busch (BUDMEN), Racc. pag. II‑2251, punto 22].

25      Il secondo capo della domanda della ricorrente è perciò irricevibile.

26      Con il terzo capo della sua domanda, la ricorrente chiede che l’UAMI sia condannato alle spese inerenti ai procedimenti d’opposizione e di ricorso dinanzi alla commissione di ricorso e al Tribunale.

27      Bisogna rammentare che, ai sensi dell’art. 136, n. 2, del regolamento di procedura, le «spese indispensabili sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, nonché le spese sostenute per la produzione, di cui all’articolo 131, paragrafo 4, secondo comma, delle traduzioni delle memorie o degli atti nella lingua processuale sono considerate spese ripetibili». Ne risulta che le spese sostenute per il procedimento d’opposizione non possono essere considerate spese ripetibili.

28      Il terzo capo della domanda della ricorrente relativo alle spese va quindi respinto per quanto riguarda le spese sostenute per il procedimento d’opposizione.

 Sulla ricevibilità delle prove presentate per la prima volta dinanzi al Tribunale

29      In allegato al suo controricorso del 31 ottobre 2003, l’interveniente ha prodotto dei documenti che non erano stati presentati alla commissione di ricorso, ossia fotografie scattate il 4 e il 6 ottobre 2003, annunci pubblicitari e un giornale dei prodotti con il marchio bebe. Quindi, tali documenti, presentati per la prima volta dinanzi al Tribunale, non possono essere presi in considerazione. Il ricorso dinanzi al Tribunale, infatti, ha ad oggetto il controllo di legittimità delle decisioni adottate dalle commissioni di ricorso dell’UAMI ai sensi dell’art. 63 del regolamento n. 40/94, sicché la funzione del Tribunale non è quella di riesaminare le circostanze di fatto alla luce dei documenti presentati dinanzi ad esso per la prima volta. Occorre quindi scartare i documenti sopra citati senza che sia necessario esaminare il loro valore probatorio [sentenze del Tribunale 18 febbraio 2004, causa T‑10/03, Koubi/UAMI − Flabesa (CONFORFLEX), Racc. pag. II‑719, punto 52; 29 aprile 2004, causa T‑399/02, Eurocermex/UAMI (Forma di una bottiglia di birra), Racc. pag. II‑1391, punto 52, e 10 novembre 2004, causa T‑396/02, Storck/UAMI (Forma di una caramella), Racc. pag. II‑3821, punto 24].

 Nel merito

30      La ricorrente deduce un motivo unico, relativo alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

 Argomenti delle parti

31      La ricorrente contesta la valutazione della commissione di ricorso, secondo la quale esiste un rischio di confusione tra i marchi bebe e monBeBé.

32      In primo luogo, la ricorrente critica la constatazione della commissione di ricorso secondo cui esiste una somiglianza tra i «pannolini di cotone idrofilo» designati dal marchio richiesto e i prodotti della classe 3 designati dai marchi anteriori, costituiti da «prodotti per la cura della pelle e del corpo, preparati cosmetici». Non si tratterebbe, infatti, di prodotti della stessa natura né della stessa composizione. Inoltre, i pannolini non risponderebbero ad un’esigenza estetica, ma esclusivamente pratica, poiché il loro scopo è quello di mantenere asciutti i vestiti dei neonati.

33      In secondo luogo, secondo la ricorrente, il grado di somiglianza tra i segni controversi non è sufficientemente elevato perché si possa considerare che sussista un rischio di confusione tra di essi. Ciò risulterebbe dalle differenze visive e fonetiche, ma anche dalla scarsa distintività che il carattere descrittivo della parola «bebe» possiede.

34      Secondo la ricorrente, le particolarità visive che caratterizzano l’elemento verbale «monBeBé», aggiunte alla cornice ovale che lo circonda, producono un’impressione d’insieme totalmente differente da quella che producono i marchi anteriori. Il consumatore potrebbe notare che le lettere del marchio richiesto sono spesse, molto arrotondate, dall’aspetto «compresso», con una specie di accento posto in modo insolito sulla lettera finale «e». Andrebbe altresì notato che le due lettere «b» sono maiuscole, circostanza insolita per lettere diverse dall’iniziale di parola.

35      Inoltre, secondo la ricorrente, è irreale sostenere che, tenuto conto della supposta conoscenza della parola «mon», il consumatore tedesco attribuirebbe più importanza al secondo elemento «BeBé» che al primo elemento del segno denominativo, come afferma la commissione di ricorso. La ricorrente osserva che la lettura si effettua da sinistra a destra e che i consumatori sono generalmente più attenti al primo elemento del segno denominativo che al secondo.

36      Sul piano fonetico, poi, la ricorrente sostiene che una parola di due sillabe non si pronuncia come una parola di tre sillabe. Secondo la ricorrente, la pronuncia della parola «mon» produce un suono specifico che dai marchi anteriori non risulta affatto.

37      Sul piano concettuale, la ricorrente evoca il carattere descrittivo della parola «bebe», per quanto riguarda i prodotti dell’interveniente che consentono a chi li usa di mantenere una pelle di neonato. In tale contesto, la parola «bebe» dovrebbe restare a disposizione di tutti.

38      In terzo luogo, la ricorrente contesta la notorietà del marchio bebe in Germania. Posto che il marchio bebe sarebbe costituito da un vocabolo compreso da tutti i consumatori dell’Unione europea e in particolare dai consumatori tedeschi, esso non godrebbe in Germania di un carattere distintivo particolarmente forte. La ricorrente contesta le prove presentate riguardo alla conoscenza dei marchi bebe nell’ambiente interessato. Inoltre, essa evidenzia che la commissione di ricorso ha erroneamente citato, al punto 40 della decisione impugnata, l’esistenza di una notorietà «nei paesi germanofoni». L’interveniente non avrebbe mai rivendicato una tale notorietà in questi paesi, perché, nel suo atto di opposizione, aveva espressamente limitato la questione della notorietà alla Germania.

39      L’UAMI sostiene che la commissione di ricorso non ha violato l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

40      Per quanto attiene al carattere distintivo elevato dei marchi anteriori, l’UAMI rammenta che il marchio tedesco bebe è stato registrato in seguito alla prova dell’acquisizione del suo carattere distintivo mediante l’uso (durchgesetztes Zeichen) e che, in Austria, non è stata sollevata alcuna obiezione alla registrazione del marchio internazionale.

41      Secondo l’UAMI, la ricorrente contesta erroneamente la decisione impugnata nella parte in cui ha considerato che il marchio bebe aveva acquisito mediante l’uso un carattere distintivo elevato nel mercato tedesco alla data del deposito della domanda di marchio comunitario, il 13 giugno 1996.

42      Per quanto concerne l’Austria, l’UAMI sostiene, in sostanza, che il carattere distintivo elevato del marchio dell’interveniente in tale paese non può essere preso in considerazione, dal momento che essa non l’aveva fatto valere né nel suo atto di opposizione né nelle indicazioni relative ai fatti, prove e osservazioni fornite in appoggio entro il termine assegnato, conformemente alla regola 20, n. 2, del regolamento n. 2868/95 [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 13 giugno 2002, causa T‑232/00, Chef Revival USA/UAMI – Massagué Marín (Chef), Racc. pag. II‑2749, punti 34 e 35]. Ammettere il contrario potrebbe privare di senso i termini assegnati dall’UAMI, allungare eccessivamente i procedimenti e addirittura favorire le manovre dilatorie.

43      L’interveniente sostiene che, in ragione della somiglianza dei prodotti e dei segni in questione, sussiste un rischio di confusione tra i segni bebe e monBeBé, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

44      L’interveniente sottolinea che, già nel 1995, al marchio bebe poteva attribuirsi una certa notorietà negli ambienti interessati in Germania. Tale fatto dovrebbe essere ritenuto decisivo in sede di valutazione della somiglianza dei segni controversi. Al cospetto della notorietà del marchio bebe, acquisita tramite un uso considerevole e di lungo corso, sarebbe irrilevante sapere se la parola «bebe», in quanto tale, eventualmente presenti o meno una scarsa distintività dovuta al carattere «suggestivo» considerato dalla commissione di ricorso.

 Giudizio del Tribunale

45      Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore. Peraltro, in forza dell’art. 8, n. 2, lett. a), sub ii) e iii), del regolamento n. 40/94, si intendono per marchi anteriori i marchi registrati in uno Stato membro e i marchi registrati in base ad accordi internazionali con effetto in uno Stato membro, la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio comunitario.

46      Secondo una costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente tra loro collegate.

47      Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente secondo la percezione che il pubblico pertinente ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi designati [v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II‑2821, punti 31‑33 e giurisprudenza ivi citata].

48      Nella fattispecie, i marchi anteriori bebe sono registrati, da un lato, come marchio internazionale, con effetto in particolare in Austria, in Italia e nei paesi del Benelux, al momento del deposito della domanda di marchio comunitario, e, dall’altro, in Germania, come marchio nazionale. Poiché l’opposizione si fonda su quest’ultimo e sulla registrazione internazionale con effetto in Austria, il territorio pertinente per l’analisi del rischio di confusione è costituito segnatamente dalla Germania e dall’Austria.

49      Dato che i prodotti controversi sono prodotti di consumo corrente, il pubblico interessato è il consumatore medio ritenuto normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto.

50      Alla luce delle considerazioni che precedono, per determinare se la registrazione del segno monBeBé possa ingenerare un rischio di confusione con i marchi anteriori bebe, occorre procedere, in primo luogo, alla comparazione dei prodotti interessati, in secondo luogo, alla comparazione dei segni in conflitto e, in terzo luogo, all’esame dell’asserito carattere distintivo elevato dei marchi anteriori.

 Sulla comparazione dei prodotti

51      A questo proposito, la ricorrente contesta unicamente la valutazione della commissione di ricorso, secondo cui esiste una somiglianza tra i pannolini di cotone idrofilo appartenenti alla classe 5, rivendicati per il marchio monBebé, e i prodotti della classe 3 designati dai marchi anteriori e costituiti da prodotti per la cura della pelle e del corpo e da prodotti cosmetici.

52      Occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, per valutare la somiglianza tra i prodotti controversi, si deve tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il loro rapporto. Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità [sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C‑39/97, Canon, Racc. pag. I‑5507, punto 23; sentenza del Tribunale 4 novembre 2003, causa T‑85/02, Díaz/UAMI – Granjas Castelló (CASTILLO), Racc. pag. II‑4835, punto 32].

53      Occorre rilevare che i pannolini, destinati ai neonati o agli adulti incontinenti, e i prodotti cosmetici sono venduti negli stessi punti vendita. Peraltro, questi ultimi prodotti, qualora servano all’igiene dei bambini piccoli, sono utilizzati in modo strettamente associato ai primi. I pannolini sono quindi prodotti igienici normalmente utilizzati contemporaneamente e in modo complementare ai prodotti per la cura del corpo e della pelle. Di conseguenza, i pannolini di cotone idrofilo designati dal marchio richiesto così come i prodotti per la cura della pelle e del corpo e i prodotti cosmetici tutelati dai marchi anteriori possono essere considerati prodotti simili.

54      La commissione di ricorso, pertanto, non ha commesso errori nella comparazione dei prodotti controversi.

 Sulla comparazione dei segni

55      Come risulta da una costante giurisprudenza, la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti (v. sentenza del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II‑4335, punto 47 e giurisprudenza ivi citata].

56      La commissione di ricorso ha constatato che la comparazione, sul piano visivo, del marchio denominativo anteriore con l’elemento verbale del marchio richiesto rivela una certa somiglianza visiva. La differenza riguardante l’aggiunta della parola «mon» nel marchio richiesto non è stata considerata sufficientemente significativa per escludere del tutto la somiglianza originata dal fatto che la sua parte essenziale, il vocabolo «bebe», è identica al vocabolo che costituisce i marchi anteriori.

57      Occorre rilevare che i marchi anteriori sono costituiti unicamente dalla parola «bebe», scritta in caratteri minuscoli.

58      Il marchio richiesto, per parte sua, si compone dell’elemento verbale «monBeBé», con caratteri maiuscoli e minuscoli che si alternano, il tutto collocato in una cornice ovale nera. Esso può essere diviso nei due elementi «mon» e «BeBé».

59      Gli elementi figurativi del marchio richiesto monBeBé, ossia la grafia della parola «monbebé» e la cornice ovale che circonda la parola, non sono sufficientemente importanti per colpire la mente del consumatore più di quanto farebbe il suo elemento verbale. Per giunta, l’accento posto sulla lettera finale «e» del segno monBeBé è appena percettibile e l’uso di maiuscole per le lettere «b» non produce una differenza percepibile rispetto alle lettere che le circondano, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente. L’uso delle maiuscole attira invece l’attenzione sul secondo elemento, «BeBé», sicché quest’ultimo può essere ritenuto l’elemento dominante del segno monBeBé.

60      Posto che il marchio anteriore bebe è interamente contenuto nel marchio richiesto monBeBé, la differenza legata all’aggiunta dell’elemento verbale «mon» all’inizio del marchio richiesto non è sufficientemente rilevante per escludere la somiglianza originata dalla coincidenza della parte essenziale del marchio richiesto, vale a dire il vocabolo «bebe» (v., in tale senso, sentenza CONFORFLEX, cit., punto 46).

61      Ne discende cha la commissione di ricorso non ha commesso errori nel rilevare l’esistenza di una somiglianza visiva tra i segni.

62      Per quel che riguarda la comparazione fonetica dei segni in conflitto, la commissione di ricorso è pervenuta alla conclusione che sussiste una certa somiglianza sul piano fonetico.

63      Bisogna rilevare che, considerata la presenza dell’elemento «bebe» nei marchi anteriori e nel marchio richiesto, i segni confliggenti presentano una certa somiglianza sul piano fonetico. L’aggiunta del vocabolo «mon» al termine «bebe» nel marchio richiesto rivela, tuttavia, nell’ambito di una valutazione complessiva dal punto di vista visivo, una differenza tra i segni configgenti (v, in tal senso, sentenza CONFORFLEX, cit., punto 47). La differenza rilevata non rimette in discussione l’esistenza di una somiglianza fonetica, in quanto non riguarda l’elemento dominante del marchio richiesto.

64      Pertanto, la commissione di ricorso non ha commesso errori nel considerare che i segni controversi presentano una certa somiglianza dal punto di vista fonetico.

65      Quanto alla somiglianza concettuale, la commissione di ricorso ha dichiarato che, poiché il pubblico pertinente in Germania ben comprende sia il significato della parola «bebe» sia quello della parola «mon», i segni controversi sono simili in quanto hanno in comune la parola «bebe».

66      Bisogna rilevare che, contrariamente a quanto sostiene l’interveniente, il pubblico germanofono capisce senza difficoltà che la parola «bebe» significa neonato.

67      Quanto alla questione se il pubblico stabilisca un nesso concettuale tra le parole «bebe» e «monbebé», non è escluso che il consumatore germanofono comprenda che il vocabolo «mon» significa «mein» (ossia «mio» in tedesco). Le persone di lingua tedesca, infatti, hanno familiarità con certe espressioni francesi come «mon chéri» o «mon amour», che designano determinati prodotti commercializzati in Germania. Pertanto, nell’ipotesi in cui il pubblico pertinente comprenda il significato del vocabolo «mon», non vi è una vera differenza concettuale tra i segni in conflitto. L’aggiunta di un pronome possessivo, infatti, non cambia molto il contenuto concettuale del segno, che fa riferimento al neonato. Anche nel caso in cui il pubblico pertinente non capisca il senso della parola francese «mon», riconoscerà la parola francese «bebe» e la presenza del vocabolo «mon» non modificherà il contenuto concettuale attribuito dal pubblico a tale segno.

68      Ciò premesso, la commissione di ricorso è giustamente pervenuta alla conclusione che sussiste una somiglianza concettuale tra i segni confliggenti.

69      Di conseguenza, tra i segni sussistono una somiglianza visiva e concettuale e una certa somiglianza fonetica. Nell’ambito della valutazione complessiva del rischio di confusione, bisogna ora esaminare l’eventuale carattere distintivo elevato dei marchi anteriori.

 Sul carattere distintivo elevato dei marchi anteriori

70      Secondo una giurisprudenza costante, il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore (v., per analogia, sentenza della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I‑6191, punto 24). I marchi che hanno un elevato carattere distintivo, o intrinsecamente o a motivo della loro notorietà sul mercato, godono di una tutela più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (v., per analogia, sentenza Canon, cit., punto 18, e sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 20).

71      Per determinare il carattere distintivo di un marchio e quindi valutare se esso abbia un carattere distintivo elevato, il giudice nazionale deve valutare globalmente i fattori che possono dimostrare che il marchio è divenuto atto a identificare i prodotti o servizi per i quali è stato registrato come provenienti da un’impresa determinata e quindi a distinguere tali prodotti o servizi da quelli di altre imprese (v., per analogia, sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I‑2779, punto 49, e sentenza Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 22).

72      Nell’effettuare tale valutazione, occorre prendere in considerazione in particolare le qualità intrinseche del marchio, ivi compreso il fatto che esso sia o meno privo di qualsiasi elemento descrittivo dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che identifica i prodotti o i servizi come provenienti da un’impresa determinata grazie al marchio nonché le dichiarazioni delle camere di commercio e industria o di altre associazioni professionali (v., per analogia, sentenze Windsurfing Chiemsee, cit., punto 51, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 23).

73      Il carattere distintivo del marchio anteriore, e in particolare la sua notorietà, è quindi un elemento che va preso in considerazione per valutare se la somiglianza tra i segni o tra i prodotti e servizi sia sufficiente per provocare un rischio di confusione [v., in tal senso, sentenza Canon, cit., punto 24; sentenze del Tribunale 22 ottobre 2003, causa T‑311/01, Éditions Albert René/UAMI – Trucco (Starix), Racc. pag. II‑4625, punto 61, e 22 giugno 2004, causa T‑66/03, «Drie Mollen sinds 1818»/UAMI – Manuel Nabeiro Silveira (Galáxia), Racc. pag. II‑1765, punto 30].

74      Nella fattispecie, la ricorrente sostiene che il marchio bebe non gode di alcun carattere distintivo intrinsecamente forte. Peraltro, l’interveniente e l’UAMI non hanno mai sostenuto che il marchio bebe avesse un carattere distintivo intrinsecamente elevato ma a tale marchio sarebbe stato riconosciuto un carattere distintivo elevato perché conosciuto nel mercato.

75      Occorre quindi esaminare se l’interveniente ha presentato all’UAMI elementi di fatto o di prova sufficienti a dimostrare che il suo marchio era effettivamente conosciuto in Germania alla data del deposito del marchio richiesto, ossia il 13 giugno 1996.

76      L’interveniente ha presentato dinanzi all’UAMI numerosi documenti a sostegno della notorietà dei suoi marchi anteriori. La commissione di ricorso ha riconosciuto l’esistenza di una siffatta notorietà sulla base del sondaggio realizzato nel 1995 dalla IMAS International GmbH (Müller, Schupfner & Gauger) (in prosieguo: il «sondaggio IMAS») e di una dichiarazione solenne del direttore del marketing dell’interveniente, sig. O. Albers. Secondo la ricorrente, tali prove non sarebbero atte a dimostrare l’esistenza della notorietà del marchio bebe in Germania alla data del 13 giugno 1996.

77      Il sondaggio IMAS, secondo l’UAMI e l’interveniente, consente da solo di dimostrare il carattere distintivo elevato del marchio bebe nel mercato tedesco, mentre, secondo la ricorrente, tale sondaggio fornisce solo percentuali molto generiche.

78      Risulta dal fascicolo che il sondaggio IMAS è stato realizzato nel corso dei mesi di ottobre e novembre 1995. Secondo la presentazione del sondaggio, l’obiettivo è quello di valutare il valore del marchio bebe presso la popolazione tedesca. Sono state quindi intervistate con domande orali 2 017 persone di età superiore a 16 anni. I risultati sono stati presentati in percentuali, secondo quattro differenti criteri: la totalità delle persone interrogate, il sesso, l’età (16‑29 anni, 30‑49 anni, più di 50 anni) e il luogo di residenza.

79      Occorre rilevare che la ricorrente afferma a torto che non viene fornita nessuna indicazione sulla composizione del gruppo di persone interrogate. Come è stato accertato, si tratta di persone di età superiore a 16 anni, di sesso maschile e femminile, ripartite in tre gruppi di età distinti, e che abitano nella quasi totalità dei Länder. Sebbene la ripartizione tra tali differenti categorie non sia palesata, niente dimostra che tali categorie non rappresentano l’opinione del consumatore medio tedesco. Inoltre, occorre considerare che, nel caso di specie, il gruppo di 2 017 persone interrogate è sufficientemente ampio per essere rappresentativo.

80      Peraltro, non si tratta di «percentuali molto generiche» come sostiene la ricorrente, poiché i risultati mostrano, come sostiene l’UAMI, che il marchio bebe gode concretamente di un carattere distintivo elevato. I risultati del sondaggio, infatti, rivelano che il marchio bebe era conosciuto da una parte significativa del pubblico nel mercato tedesco prima del deposito della domanda di marchio comunitario. Secondo le tabelle I e III del sondaggio, il 64 % delle persone interrogate conoscevano, cioè avevano già letto o sentito, il vocabolo «bebe» in relazione a prodotti per la cura del corpo e del viso. Tra le donne, l’80% conosceva questa parola. Secondo le tabelle II e IV, il 66% di coloro che conoscevano il vocabolo (il 68% delle donne) pensava che esso fosse utilizzato da un unico produttore.

81      Quanto alla formulazione delle domande, che, secondo la ricorrente, non era neutra, occorre rilevare che, nonostante le domande menzionino il vocabolo «bebe», nulla rimette in discussione l’obiettività del sondaggio.

82      Per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo cui quanto affermato dalla commissione di ricorso, ossia che «il 66% della popolazione presumeva che la denominazione “bebe” fosse utilizzata da un unico produttore», è sbagliato, basta rilevare che, come ha dichiarato la stessa commissione di ricorso, il 64% della popolazione conosceva il vocabolo «bebe» e che la percentuale del 66% poteva riguardare solo la parte della popolazione che conosceva il detto vocabolo. Nonostante la formulazione ambigua impiegata dalla commissione di ricorso, quest’ultima non ha commesso errori a tale riguardo.

83      Occorre pertanto rilevare che il sondaggio IMAS è sufficiente a dimostrare che il marchio bebe aveva un carattere distintivo elevato in ragione della sua notorietà in Germania al momento del deposito della domanda di marchio.

84      Dunque, non occorre più esaminare le altre prove che l’interveniente aveva presentato alla divisione d’opposizione o alla commissione di ricorso, ma delle quali quest’ultima non ha tenuto conto, in violazione degli obblighi che le incombevano ai sensi dell’art. 61, n. 1, e dell’art. 62, n. 1, del regolamento n. 40/94 [sentenza del Tribunale 23 settembre 2003, causa T‑308/01, Henkel/UAMI – LHS (UK) (KLEENCARE), Racc. pag. II‑3253]. Non occorre pertanto annullare la decisione impugnata a tale riguardo, dato che essa ha riconosciuto il carattere distintivo elevato del marchio tedesco bebe.

85      Non occorre neanche esaminare se la commissione di ricorso ha commesso un errore nel constatare che il marchio anteriore aveva una certa notorietà in Austria, dato che è sufficiente che sussista un rischio di confusione per uno dei marchi anteriori.

86      Dati la somiglianza dei prodotti in questione, un certo grado di somiglianza tra i segni in conflitto e il carattere distintivo elevato del marchio anteriore bebe, acquisito con l’uso, occorre rilevare che sussiste un rischio di confusione, quantomeno in Germania.

87      Di conseguenza, occorre respingere il motivo unico della ricorrente e l’intero ricorso.

 Sulle spese

88      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, va condannata alle spese, conformemente alle conclusioni dell’UAMI. Poiché l’interveniente non ha proposto tale domanda, essa sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese sostenute dall’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli).

3)      L’interveniente sopporterà le proprie spese.

Jaeger

Tiili

Czúcz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 21 aprile 2005.

Il cancelliere

 

      Il presidente

H. Jung

 

      M. Jaeger


* Lingua processuale: il francese.