Language of document : ECLI:EU:T:2011:362

Causa T‑138/07

Schindler Holding Ltd e altri

contro

Commissione europea

«Concorrenza — Intese — Mercato dell’installazione e della manutenzione degli ascensori e delle scale mobili — Decisione che constata un’infrazione all’art. 81 CE — Manipolazione delle gare d’appalto — Ripartizione dei mercati — Fissazione dei prezzi»

Massime della sentenza

1.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Diritto ad un processo equo — Inapplicabilità dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

(Art. 81 CE; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47)

2.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione con cui la Commissione constata un’infrazione e infligge ammende — Natura penale — Insussistenza

(Artt. 81 CE e 229 CE; regolamento n. 1/2003, artt. 23, n. 5, e 31)

3.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Utilizzo di dichiarazioni di altre imprese che hanno partecipato all’infrazione come elemento di prova — Ammissibilità — Presupposti

(Artt. 81 CE e 82 CE)

4.      Atti delle istituzioni — Notifica — Irregolarità — Effetti — Sospensione del termine di ricorso

(Artt. 230, quinto comma, CE, e 254, n. 3, CE)

5.      Concorrenza — Regole dell’Unione — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Unità economica — Criteri di valutazione — Presunzione di un’influenza determinante esercitata dalla società controllante sulle controllate da essa detenute al 100%

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

6.      Concorrenza — Regole dell’Unione — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Presunzione di un’influenza determinante esercitata dalla società controllante sulle controllate da essa detenute al 100%

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

7.      Diritto dell’Unione — Principi generali del diritto — Certezza del diritto — Legalità delle pene — Portata

8.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale conferito alla Commissione dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 — Violazione del principio di legalità delle pene — Insussistenza — Prevedibilità delle modifiche introdotte dagli orientamenti

(Art. 229 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, artt. 23, n. 2, e 31; comunicazioni della Commissione 98/C 9/03 e 2002/C 45/03)

9.      Concorrenza — Regole dell’Unione – Infrazioni — Ammende — Determinazione — Criteri — Inasprimento generale delle ammende

(Regolamenti n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2)

10.    Concorrenza — Ammende — Competenza propria della Commissione derivante dal Trattato

[Artt. 81 CE, 82 CE, 83, nn. 1 e 2, lett. a) e d), CE, 202, terzo trattino, CE e 211, primo trattino, CE; regolamenti del Consiglio n. 17 e n. 1/2003]

11.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende — Violazione del principio di irretroattività delle leggi penali — Insussistenza

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

12.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende — Ammissibilità — Violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di trasparenza e di prevedibilità — Insussistenza

(Comunicazione della Commissione 1998/C 9/03)

13.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Applicazione della comunicazione sulla cooperazione — Violazione dei principi di irretroattività e di tutela del legittimo affidamento — Insussistenza

(Comunicazione della Commissione 2002/C 45/03)

14.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata — Violazione del diritto a non contribuire alla propria incriminazione e dei principi di presunzione di innocenza e di proporzionalità — Insussistenza — Eccesso di potere discrezionale della Commissione nell’adozione della comunicazione sulla cooperazione — Insussistenza

(Art. 81 CE; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 48; regolamento del Consiglio n. 1/2003, artt. 18‑21 e 23; comunicazione della Commissione 2002/C 45/03, punti 11 e 23)

15.    Diritto dell’Unione — Principi — Diritti fondamentali — Diritto di proprietà — Restrizioni — Ammissibilità

(Artt. 81 CE, 82 CE e 295 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

16.    Concorrenza — Ammende — Orientamenti per il calcolo delle ammende — Natura giuridica

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

17.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Obbligo di prendere in considerazione l’impatto concreto sul mercato — Insussistenza — Ruolo fondamentale del criterio vertente sulla natura dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

18.    Concorrenza — Ammende — Decisione con cui vengono inflitte ammende — Obbligo di motivazione — Portata

(Art. 253 CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

19.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Obbligo di prendere in considerazione le dimensioni del mercato — Insussistenza

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, secondo comma, terzo trattino)

20.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Presa in considerazione dell’effettiva capacità economica dell’impresa di arrecare un danno — Obbligo di fissare l’importo dell’ammenda in modo proporzionale alle dimensioni dell’impresa — Insussistenza — Determinazione dell’importo dell’ammenda in funzione di una ripartizione dei membri dell’intesa in categorie — Presupposti — Sindacato giurisdizionale

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

21.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti — Cessazione dell’infrazione prima dell’intervento della Commissione — Ipotesi di un’infrazione grave — Esclusione

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, terzo trattino)

22.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti — Obbligo per la Commissione di prendere in considerazione un programma di messa in conformità dell’impresa interessata alle regole di concorrenza — Insussistenza

(Art. 81 CE; regolamento n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

23.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Riduzione dell’importo dell’ammenda in contropartita di una cooperazione dell’impresa incriminata

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 2002/C 45/03)

24.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Comportamento dell’impresa durante il procedimento amministrativo — Valutazione del grado della cooperazione fornita da ciascuna delle imprese partecipanti all’intesa

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 2002/C 45/03)

25.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Margine di discrezionalità riservato alla Commissione — Limiti — Rispetto del principio di proporzionalità — Presupposti

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

1.      Il principio in forza del quale ogni persona ha diritto ad un processo equo è un principio generale del diritto dell’Unione, riaffermato dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e garantito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale principio si ispira ai diritti fondamentali che fanno parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione dei quali la Corte garantisce l’osservanza ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite in particolare dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Anche se, adottando un’interpretazione autonoma della nozione di «accusa penale», gli organi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo hanno gettato le basi per una progressiva estensione dell’applicazione della parte penale dell’art. 6 a settori che formalmente non rientrano nelle categorie classiche del diritto penale, quali le sanzioni pecuniarie inflitte per violazione delle norme in materia di concorrenza, tuttavia, per quanto riguarda le categorie che non fanno parte del nucleo centrale del diritto penale, le garanzie penalistiche scaturenti dall’art. 6 non devono essere necessariamente applicate in tutto il loro rigore.

(v. punti 51-52)

2.      Le decisioni della Commissione mediante le quali vengono inflitte ammende per violazione del diritto della concorrenza non hanno carattere penale. Pertanto, un procedimento nel quale la Commissione adotta una decisione con cui constata un’infrazione e infligge ammende che può essere successivamente sottoposta al controllo del giudice dell’Unione soddisfa i requisiti di cui all’art. 6, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sebbene la Commissione non sia un tribunale ai sensi dell’art. 6 di tale Convenzione, tuttavia, essa ha l’obbligo di rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico dell’Unione durante il procedimento amministrativo.

Peraltro, il controllo esercitato dal giudice dell’Unione sulle decisioni della Commissione garantisce che siano soddisfatti i requisiti di un processo equo, quale previsto dall’art. 6, n. 1, della suddetta Convenzione. A tal riguardo, occorre che l’impresa interessata possa impugnare qualsiasi decisione presa nei suoi confronti dinanzi ad un organo giurisdizionale dotato di una competenza anche di merito, che possa in particolare riformare in qualunque punto, in fatto come in diritto, la decisione adottata. Orbene, allorché verifica la legittimità di una decisione che constata un’infrazione all’art. 81 CE, il giudice dell’Unione può essere invitato dai ricorrenti a procedere ad un esame esaustivo sia della ricostruzione materiale dei fatti, sia della loro valutazione giuridica da parte della Commissione. Inoltre, per quanto concerne le ammende, esso dispone di una competenza giurisdizionale estesa anche al merito, in forza dell’art. 229 CE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003.

(v. punti 53-56)

3.      Nessuna disposizione né alcun principio generale del diritto dell’Unione vieta alla Commissione di avvalersi, nei confronti di un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese. Se ciò non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari agli artt. 81 CE e 82 CE, che incombe alla Commissione, sarebbe insostenibile e incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuita dal Trattato. Tuttavia, la dichiarazione di un’impresa accusata di avere preso parte ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da varie imprese incriminate, non può essere considerata una prova sufficiente dei fatti controversi qualora non sia confermata da altri elementi probatori.

(v. punto 57)

4.      Le irregolarità nel procedimento di notifica di una decisione sono estranee all’atto e non possono quindi inficiarne la legittimità. Irregolarità del genere possono solo ostacolare, in talune circostanze, la decorrenza del termine d’impugnazione di cui all’art. 230, quinto comma, CE. Non è questo il caso nell’ipotesi in cui la ricorrente abbia incontestabilmente preso conoscenza del contenuto della decisione e si sia avvalsa del proprio diritto di ricorso entro il termine previsto da detto articolo.

(v. punto 61)

5.      Il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra i due soggetti giuridici. Infatti, in una simile situazione la società controllante e la sua controllata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa. Così, il fatto che una società controllante e la propria controllata costituiscano una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE consente alla Commissione di emanare una decisione che infligge ammende alla società controllante, senza necessità di dimostrare l’implicazione personale di quest’ultima nell’infrazione.

Nel caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata, la quale abbia infranto le norme dell’Unione in materia di concorrenza, da un lato, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e, dall’altro, esiste una presunzione relativa secondo cui detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata.

In simili circostanze, è sufficiente che la Commissione dimostri che l’intero capitale di una controllata è detenuto dalla sua società controllante per presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale di tale controllata. La Commissione potrà poi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla propria controllata, a meno che tale società controllante, cui incombe l’onere di confutare la suddetta presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la propria controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato.

(v. punti 69-72, 82)

6.      Nel caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata, la quale abbia infranto le norme dell’Unione in materia di concorrenza, ai fini dell’imputazione del comportamento illecito di una controllata alla sua società controllante non occorre la prova che la società controllante influenzi la politica della propria controllata nel settore specifico oggetto dell’infrazione. Per contro, i vincoli organizzativi, economici e giuridici esistenti tra la società controllante e la sua controllata possono provare l’esistenza di un’influenza della prima sulla strategia della seconda e, pertanto, giustificare il fatto di considerarle come un’unica entità economica. Pertanto, se la Commissione dimostra che tutto il capitale di una controllata è detenuto dalla sua controllante, può considerare la società controllante come responsabile in solido per il pagamento dell’ammenda inflitta alla sua controllata, salvo quando la società controllante dimostri che la sua controllata agisce autonomamente sul mercato. Infatti, non è una relazione di istigazione a commettere l’illecito tra la controllante e la sua controllata né, a maggior ragione, un’implicazione della prima in tale illecito, ma il fatto che esse costituiscono un’unica impresa ai sensi dell’art. 81 CE che permette alla Commissione di adottare la decisione che impone ammende nei confronti della società controllante di un gruppo di società.

La circostanza che la società controllante non abbia fornito alle proprie controllate istruzioni che abbiano consentito o favorito contatti contrari all’art. 81 CE e non abbia avuto conoscenza di simili contatti non costituisce un elemento idoneo a dimostrare l’autonomia di dette controllate. Neanche il fatto che le controllate abbiano partecipato ad infrazioni distinte, di natura diversa, in quattro differenti paesi, può confutare la presunzione di responsabilità, in quanto la Commissione non si è basata su un eventuale parallelismo tra le infrazioni accertate per imputare alla società controllante la responsabilità del comportamento delle sue controllate. Analogamente, il fatto che la controllante abbia adottato un codice di condotta diretto ad impedire le violazioni da parte delle sue controllate del diritto della concorrenza e degli orientamenti ad esso relativi, da un lato, non muta in nulla la realtà dell’infrazione rilevata nei suoi confronti e, dall’altro, non consente di dimostrare che dette controllate determinassero autonomamente la loro politica commerciale. Al contrario, l’applicazione in seno alle controllate del menzionato codice di condotta sembra indicare semmai che la società controllante esercitava un controllo effettivo sulla politica commerciale delle sue controllate.

(v. punti 82, 85, 87-88)

7.      Il principio di legalità delle pene è un corollario del principio della certezza del diritto, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione ed esige, segnatamente, che la normativa dell’Unione, in particolare quando impone o consente di imporre sanzioni, sia chiara e precisa, affinché le persone interessate possano essere inequivocabilmente consapevoli dei diritti e degli obblighi che ne derivano e possano agire in modo adeguato.

Il principio della legalità delle pene, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione e che fonda le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, è stato anche riconosciuto da molteplici trattati internazionali e, in particolare, dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Detto principio postula che la legge definisca chiaramente gli illeciti e le pene che li reprimono. Tale condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, sulla base del testo della disposizione rilevante e, se necessario, mediante l’aiuto della sua interpretazione da parte dei giudici, quali atti o omissioni fanno sorgere la sua responsabilità penale. Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la chiarezza della legge si valuta con riguardo non solo al tenore della disposizione rilevante, ma anche alle precisazioni apportate da una giurisprudenza costante e pubblicata.

Tale principio si impone sia alle disposizioni penali che agli strumenti amministrativi specifici che impongono o consentono di imporre sanzioni amministrative. Esso si applica non soltanto alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma altresì a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da una violazione delle prime.

L’art. 7, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non esige una precisione dei termini delle disposizioni a norma delle quali queste sanzioni vengono inflitte tale da rendere prevedibili con assoluta certezza le conseguenze potenzialmente risultanti da un’infrazione alle disposizioni stesse. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il fatto che una legge conferisca un potere discrezionale non è di per sé incompatibile con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un potere siffatto vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo obiettivo in gioco, per fornire all’individuo una protezione adeguata contro l’arbitrio. Al riguardo, oltre al testo normativo stesso, la Corte europea dei diritti dell’uomo tiene conto del fatto se le nozioni indeterminate utilizzate siano state precisate da una giurisprudenza costante e pubblicata.

(v. punti 95-97, 99)

8.      Per quanto riguarda la legittimità dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 rispetto al principio di legalità delle pene, il legislatore dell’Unione non ha attribuito alla Commissione un potere discrezionale eccessivo o arbitrario per la determinazione delle ammende per violazione delle regole di concorrenza.

Infatti, in primo luogo, detta disposizione limita l’esercizio del summenzionato potere discrezionale, stabilendo criteri oggettivi ai quali la Commissione deve attenersi. A tal proposito, da un lato, l’importo dell’ammenda applicabile è soggetta ad un limite massimo calcolabile e assoluto, calcolato in rapporto a ciascuna impresa e per ciascuna ipotesi di infrazione, di talché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a un’impresa è determinabile anticipatamente. Dall’altro, questa disposizione impone alla Commissione di stabilire le ammende in ciascuna fattispecie prendendo in considerazione, oltre alla gravità dell’infrazione, la durata della stessa.

In secondo luogo, nell’esercizio del suo potere discrezionale per quanto riguarda le ammende inflitte in forza dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione deve rispettare i principi generali del diritto, e particolarmente i principi di parità di trattamento e di proporzionalità.

In terzo luogo, per garantire la prevedibilità e la trasparenza della sua azione, l’esercizio da parte della Commissione del suo potere discrezionale è limitato altresì dalle regole di condotta che essa si è imposta con la comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese e con gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA. Al riguardo, tale comunicazione e tali orientamenti, da un lato, enunciano regole di condotta dalle quali la Commissione non può discostarsi, pena una sanzione a titolo di violazione dei principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento, e, dall’altro, garantiscono la certezza del diritto nei confronti delle imprese interessate stabilendo la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende inflitte in forza dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

Peraltro, l’adozione da parte della Commissione dei suddetti orientamenti e, successivamente, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, dal momento che rientra nel contesto normativo stabilito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, ha soltanto contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione già risultante da tali disposizioni, senza che se ne possa dedurre l’insufficiente determinazione iniziale, da parte del legislatore dell’Unione, dei limiti della competenza della Commissione nel settore in parola.

In quarto luogo, ai sensi dell’art. 229 CE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003, il giudice dell’Unione ha competenza giurisdizionale estesa anche al merito sui ricorsi proposti avverso le decisioni con le quali la Commissione fissa un’ammenda e possono, quindi, non solo annullare queste ultime, ma anche eliminare, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta. Conseguentemente, la prassi amministrativa nota e accessibile della Commissione è sottoposta al sindacato anche nel merito del giudice dell’Unione. Tale controllo ha permesso, secondo giurisprudenza costante e pubblicata, di precisare le nozioni indeterminate che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e successivamente l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 potevano contenere. Quindi, un operatore avveduto, avvalendosi se necessario dell’assistenza legale, può prevedere con sufficiente precisione il metodo di calcolo e l’ordine di grandezza delle ammende nelle quali può incorrere per un dato comportamento. La circostanza che detto operatore non possa conoscere in anticipo l’importo delle ammende che la Commissione infliggerà in ciascuna fattispecie non può costituire una violazione del principio di legalità delle pene.

(v. punti 101-102, 105-108)

9.      Per quanto riguarda l’aumento del livello delle ammende a seguito dell’adozione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, la Commissione può adattare in ogni momento il livello delle ammende qualora l’efficace applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione lo richieda e una siffatta modificazione di una prassi amministrativa può essere considerata oggettivamente giustificata dall’obiettivo di prevenzione generale delle infrazioni alle regole di concorrenza dell’Unione. L’aumento dell’entità delle ammende non può pertanto, di per sé, essere considerato illegittimo rispetto al principio di legalità delle pene, poiché esso rimane all’interno del contesto normativo definito nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e nell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

(v. punto 112)

10.    Per quanto attiene alla competenza della Commissione di imporre ammende per violazioni alle norme dell’Unione in materia di concorrenza, il potere di infliggere siffatte ammende non può essere considerato come appartenente originariamente al Consiglio, il quale l’avrebbe trasferito o ne avrebbe delegato l’esecuzione alla Commissione, ai sensi dell’art. 202, terzo trattino, CE. Conformemente agli artt. 81 CE, 82 CE, 83, nn. 1 e 2, lett. a) e d), CE e 202, terzo trattino, CE, tale potere è connaturato al ruolo, proprio della Commissione, di vigilare sull’applicazione del diritto dell’Unione, ruolo che è stato precisato, delimitato e formalizzato, relativamente all’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE, dai regolamenti n. 17 e n. 1/2003. Il potere di infliggere sanzioni, che tali regolamenti attribuiscono alla Commissione, proviene quindi dalle previsioni del Trattato stesso ed è diretto a consentire l’applicazione effettiva dei divieti previsti nei detti articoli.

(v. punto 115)

11.    Il principio di irretroattività delle leggi penali, sancito dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione il cui rispetto si impone ove vengano inflitte ammende per violazione delle norme sulla concorrenza e richiede che le sanzioni irrogate corrispondano a quelle che erano state fissate all’epoca in cui la violazione è stata commessa. L’adozione di orientamenti atti a modificare la politica generale della Commissione in materia di concorrenza per quanto riguarda le ammende può rientrare, in linea di principio, nell’ambito di applicazione del principio di irretroattività.

Per quanto riguarda il rispetto del principio di irretroattività da parte degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, l’aumento dell’entità delle ammende rimane nel contesto normativo definito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, dato che gli orientamenti prevedono espressamente, al punto 5, lett. a), che le ammende irrogate non possono in alcun caso superare il limite del 10% del fatturato, previsto da dette disposizioni.

La principale innovazione di detti orientamenti consiste nel prendere come punto di partenza per il calcolo un importo di base, determinato a partire da forcelle a tale riguardo previste, le quali riflettono i differenti gradi di gravità delle infrazioni, ma che, in quanto tali, non sono in rapporto con il fatturato pertinente. Questo metodo essenzialmente si fonda quindi su di una tariffazione, per quanto relativa e flessibile, delle ammende.

Il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dai regolamenti n. 17 e n. 1/2003, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza dell’Unione. Al contrario, l’efficace applicazione delle norme della concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica.

Ne consegue che le imprese implicate in un procedimento amministrativo che può dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende precedentemente praticato né nel metodo di calcolo di queste ultime. Di conseguenza, tali imprese devono tenere conto della possibilità che, in qualsiasi momento, la Commissione decida di aumentare il livello delle ammende rispetto a quello praticato nel passato.

In tali condizioni, i detti orientamenti non violano il principio di irretroattività, in quanto avrebbero condotto all’imposizione di ammende più elevate rispetto a quelle irrogate in passato, o in quanto siano stati superati i limiti della prevedibilità. Gli orientamenti e, in particolare, il nuovo metodo di calcolo delle ammende da essi previsto, supposto che esso abbia un effetto aggravante sul livello delle ammende inflitte erano ragionevolmente prevedibili.

(v. punti 118-119, 123-128, 133)

12.    La Commissione ha pubblicato gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA e vi ha indicato il metodo di calcolo che la stessa si è imposta in ciascuna fattispecie per ragioni di trasparenza e di maggior certezza del diritto nei confronti delle imprese interessate. Adottando siffatte norme di comportamento e annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in poi applicate alle fattispecie cui si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali quali la parità di trattamento e la tutela del legittimo affidamento. Gli orientamenti stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese. D’altra parte, un operatore accorto può, ricorrendo eventualmente ad un legale, prevedere in modo sufficientemente preciso il metodo di calcolo e l’ordine di grandezza delle ammende in cui egli incorre per un determinato comportamento. È vero che un operatore non può prevedere in base agli orientamenti l’importo esatto dell’ammenda che la Commissione infliggerà in ogni singolo caso. Tuttavia, in ragione della gravità delle infrazioni che la Commissione è chiamata a sanzionare, gli obiettivi di repressione e dissuasione giustificano la volontà di evitare che le imprese siano in grado di valutare i benefici che trarrebbero dalla loro partecipazione ad un’infrazione, tenendo conto, a monte, dell’importo della sanzione che sarebbe loro inflitta a causa di tale comportamento illecito.

(v. punti 135-136, 201-202)

13.    Non viola né il principio di irretroattività né quello di tutela del legittimo affidamento la presa in considerazione, nella determinazione dell’importo delle ammende inflitte per infrazione alle norme sulla concorrenza dell’Unione, della comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese. Infatti, di tali due principi, il primo non osta all’applicazione di orientamenti che abbiano, per ipotesi, un effetto aggravante sul livello delle ammende, a condizione che la politica che essi attuano sia ragionevolmente prevedibile. Quanto al secondo, gli operatori economici non possono riporre il loro legittimo affidamento nella conservazione di una situazione in atto che può essere modificata dalle istituzioni nell’ambito del loro potere discrezionale.

(v. punti 143-144)

14.    Sebbene sia vero che, in virtù dei principi generali del diritto dell’Unione, dei quali i diritti fondamentali costituiscono parte integrante e alla luce dei quali vanno interpretate tutte le norme di diritto dell’Unione, le imprese hanno il diritto di non essere costrette dalla Commissione ad ammettere la loro partecipazione ad un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, tuttavia non per questo viene impedito a quest’ultima di tener conto, nella fissazione dell’importo dell’ammenda, dell’aiuto che tale impresa, di sua iniziativa, le ha fornito al fine di accertare l’esistenza dell’infrazione. In proposito, la cooperazione a titolo della comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese riveste un carattere puramente volontario da parte dell’impresa interessata. Infatti, quest’ultima non è in alcun modo costretta a fornire elementi di prova relativi alla presunta intesa. Il grado di cooperazione che l’impresa intende offrire nel corso del procedimento amministrativo dipende dunque esclusivamente dalla sua libera scelta e non è, in nessun caso, imposto dalla comunicazione sulla cooperazione. Inoltre, nessuna disposizione della summenzionata comunicazione esige che l’impresa interessata si astenga dal contestare o dal rettificare i fatti erronei presentati da un’altra impresa.

Tale comunicazione non viola neanche il principio in dubio pro reo o il principio della presunzione di innocenza, quale risulta in particolare dall’art. 6, n. 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che del pari fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dall’art. 6, n. 2, UE e dall’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sono riconosciuti nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Difatti, la cooperazione ai sensi di tale comunicazione, da un lato, riveste un carattere puramente volontario da parte dell’impresa interessata e non comporta alcun obbligo per l’impresa di fornire elementi di prova e, dall’altro, non incide sull’obbligo che incombe alla Commissione, la quale ha l’onere di provare le infrazioni da essa accertate, di addurre elementi di prova idonei a dimostrare in modo giuridicamente valido l’esistenza dei fatti che costituiscono l’infrazione. A questo fine la Commissione, senza violare il principio della presunzione di innocenza, può basarsi non solo sui documenti raccolti in occasione di accertamenti ai sensi dei regolamenti nn. 17 e 1/2003 o che le siano pervenuti in risposta a richieste di informazioni a norma di detti regolamenti, ma anche sugli elementi di prova che un’impresa le abbia fornito volontariamente a titolo della suddetta comunicazione.

La comunicazione sulla cooperazione non viola neanche il principio di proporzionalità. Tale comunicazione rappresenta uno strumento adeguato e indispensabile per accertare l’esistenza delle intese orizzontali segrete e, pertanto, per orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza. Infatti, sebbene gli strumenti previsti agli artt. 18‑21 del regolamento n. 1/2003, vale a dire le richieste di informazioni e gli accertamenti, costituiscano misure indispensabili nell’ambito della repressione delle infrazioni al diritto della concorrenza, le intese segrete sono spesso difficili da scoprire e da investigare senza la cooperazione delle imprese interessate. Pertanto, il soggetto membro di un’intesa, che intenda porre fine alla propria partecipazione, può essere dissuaso dall’informarne la Commissione in ragione dell’ammenda elevata che rischia di vedersi infliggere. Prevedendo la concessione di un’immunità dalle ammende o di una riduzione significativa dell’ammenda per le imprese che forniscano alla Commissione elementi di prova dell’esistenza di un’intesa orizzontale, la comunicazione sulla cooperazione tende ad evitare che tale soggetto rinunci ad informare la Commissione dell’esistenza di un’intesa.

Infine, la Commissione non ha superato i limiti dei poteri ad essa conferiti dal regolamento n. 1/2003 dotandosi delle regole di condotta nella comunicazione sulla cooperazione destinate a guidarla nell’esercizio del suo potere discrezionale in materia di fissazione delle ammende, per tenere conto in particolare del comportamento delle imprese nel corso del procedimento amministrativo e, così, meglio garantire la parità di trattamento fra le imprese interessate. Invero, la Commissione ha la facoltà, ma non l’obbligo, di imporre un’ammenda ad un’impresa autrice di una violazione dell’art. 81 CE. Inoltre, l’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003 non elenca in modo tassativo i criteri di cui la Commissione può tenere conto per fissare l’importo dell’ammenda. Il comportamento dell’impresa nel corso del procedimento amministrativo può quindi far parte degli elementi di cui si deve tenere conto in sede di tale fissazione.

(v. punti 149-150, 153, 155, 160, 162-163, 168-169, 171, 174-176)

15.    Le competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale. Il diritto di proprietà non è solo protetto dal diritto internazionale, ma fa anche parte dei principi generali del diritto dell’Unione. Tuttavia, la prevalenza del diritto internazionale sul diritto dell’Unione non si estende al diritto primario e, in particolare, ai principi generali nel cui novero vi sono i diritti fondamentali. A tal riguardo, il diritto di proprietà non è una prerogativa assoluta, ma deve essere valutato alla luce della sua funzione sociale. Conseguentemente, possono essere apportate restrizioni all’esercizio del diritto di proprietà, a condizione che esse rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa del diritto garantito. Dal momento che l’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE costituisce uno degli aspetti dell’interesse pubblico comunitario, possono essere apportate restrizioni, in applicazione di questi articoli, all’uso del diritto di proprietà, a condizione che non siano sproporzionate e non pregiudichino la sostanza stessa di tale diritto.

(v. punti 187-190)

16.    Anche se gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA non possono essere qualificati come norme giuridiche alla cui osservanza l’amministrazione è comunque tenuta, essi enunciano tuttavia una norma di comportamento indicativa della prassi da seguire, dalla quale l’amministrazione non può discostarsi, in un caso specifico, senza fornire ragioni compatibili con il principio di parità di trattamento. Adottando siffatte norme di comportamento ed annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in avanti applicate ai casi a cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento. Inoltre, detti orientamenti stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese.

(v. punti 200-202)

17.    La gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le particolari circostanze del procedimento, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.

Conformemente al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, nel valutare la gravità dell’infrazione la Commissione deve procedere ad un esame dell’impatto concreto sul mercato unicamente quando risulti che tale impatto è misurabile. Per valutare tale impatto, è compito della Commissione riferirsi al gioco della concorrenza che di regola sarebbe esistito in mancanza d’infrazione. Pertanto, atteso che le ricorrenti non dimostrano che l’impatto concreto delle intese fosse misurabile, la Commissione non ha l’obbligo di tenere conto dell’impatto concreto delle infrazioni al fine di valutarne la gravità. L’effetto di una pratica anticoncorrenziale, infatti, non è un criterio decisivo ai fini della valutazione della gravità di un’infrazione. Elementi attinenti all’intenzionalità possono essere più rilevanti di quelli relativi ai detti effetti, soprattutto quando si tratti di violazioni intrinsecamente gravi, quali la ripartizione dei mercati. La natura dell’infrazione svolge quindi un ruolo preminente, in particolare, al fine di qualificare le infrazioni come «molto gravi». Dalla descrizione delle infrazioni molto gravi operata negli orientamenti risulta che accordi o pratiche concordate miranti specificamente alla ripartizione dei mercati possono già solo per questa loro natura essere qualificati come «molto gravi», senza che sia necessario che tali comportamenti siano caratterizzati da un impatto o da un’estensione geografica particolare e senza che la mancata presa in considerazione dell’impatto concreto delle infrazioni possa comportare una violazione del principio della presunzione di innocenza.

In tali condizioni, a prescindere dalla struttura asseritamente varia delle intese, le infrazioni alle norme in materia di concorrenza accertate in una decisione della Commissione rientrano per loro stessa natura nel novero delle violazioni più gravi dell’art. 81 CE, in quanto hanno ad oggetto un accordo collusivo segreto tra concorrenti per ripartirsi i mercati o congelare le quote di mercato attribuendosi i progetti relativi alla vendita e all’installazione di ascensori e/o di scale mobili nuovi, e per non farsi concorrenza nel settore della manutenzione e dell’ammodernamento di ascensori e scale mobili. Oltre alla grave alterazione del gioco della concorrenza che esse comportano, queste intese, in quanto obbligano le parti a rispettare mercati distinti, spesso delimitati dalle frontiere nazionali, provocano l’isolamento di questi mercati, ostacolando così l’obiettivo principale del Trattato di integrazione del mercato comune. Anche infrazioni di questo tipo, in particolare quando si tratta di intese orizzontali, sono qualificate dalla giurisprudenza come particolarmente gravi o come infrazioni patenti.

(v. punti 198, 214-215, 221-223, 234-235, 254)

18.    Per quanto riguarda le decisioni con cui la Commissione constata un’infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza e infligge ammende, il requisito di forma sostanziale costituito dall’obbligo di motivazione è soddisfatto quando la Commissione precisa, nella sua decisione, gli elementi di giudizio che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione, senza essere tenuta ad inserirvi una spiegazione più dettagliata ovvero i dati relativi al metodo di calcolo dell’ammenda. Dal momento che la Commissione, nella decisione impugnata, afferma che gli importi di partenza delle ammende sono stati determinati tenendo conto della natura delle infrazioni e dell’estensione del mercato geografico interessato e che essa ha analizzato la gravità delle infrazioni rispetto alle caratteristiche dei partecipanti procedendo, per ciascuna infrazione, ad una differenziazione tra le imprese interessate in funzione dei loro fatturati relativi ai prodotti costituenti l’oggetto dell’intesa nel paese interessato dall’infrazione, gli elementi di valutazione che hanno permesso alla Commissione di quantificare la gravità delle infrazioni accertate sono stati pertanto sufficientemente indicati nella decisione impugnata, nel rispetto dell’art. 253 CE.

(v. punti 203, 240, 243-245)

19.    Per quanto riguarda le decisioni con cui la Commissione constata un’infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza e infligge ammende, le dimensioni del mercato rilevante non costituiscono, in linea di principio, un fattore indispensabile, ma solo uno fra più fattori pertinenti per valutare la gravità dell’infrazione, e la Commissione non è peraltro obbligata a procedere ad una delimitazione del mercato rilevante o ad una valutazione delle sue dimensioni, dal momento che l’infrazione in questione ha un oggetto anticoncorrenziale. Infatti, gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione. Tuttavia, essi non ostano nemmeno a che tali fatturati siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto dell’Unione e qualora le circostanze lo richiedano.

In tali circostanze, non hanno carattere eccessivo importi di partenza di ammende determinati per un’infrazione commessa in Lussemburgo e che rappresentino la metà del limite minimo normalmente previsto dagli orientamenti per un’infrazione molto grave.

(v. punti 247-248)

20.    Nell’ambito del calcolo delle ammende inflitte ai sensi dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, un trattamento differenziato tra le imprese interessate rientra nell’esercizio dei poteri spettanti alla Commissione in forza di tale disposizione. Infatti, nell’ambito del suo margine discrezionale, la Commissione è chiamata a individualizzare la sanzione in funzione dei comportamenti e delle caratteristiche propri delle imprese interessate, al fine di garantire, in ogni caso di specie, la piena efficacia delle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Pertanto, secondo gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, per un’infrazione di una determinata gravità, può essere opportuno, nei casi che coinvolgono più imprese, come i cartelli, ponderare l’importo di partenza generale per stabilire un importo di partenza specifico tenendo conto del peso e, dunque, dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione. È necessario, segnatamente, valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori.

Peraltro, il diritto dell’Unione non contempla un principio di applicazione generale secondo cui la sanzione dev’essere proporzionata all’importanza dell’impresa sul mercato dei prodotti oggetto dell’infrazione.

Infine, quanto alla valutazione della gravità dell’infrazione in funzione della classificazione dei membri di un’intesa in categorie, per verificare se una simile ripartizione sia conforme ai principi di parità di trattamento e di proporzionalità, il giudice dell’Unione, nell’ambito del suo controllo di legittimità sull’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve limitarsi a verificare che la detta ripartizione sia coerente ed oggettivamente giustificata. Inoltre, secondo i summenzionati orientamenti per il calcolo delle ammende, il principio di parità della sanzione per un medesimo comportamento può dar luogo all’applicazione di importi differenziati per le imprese interessate, senza che tale differenziazione derivi da un calcolo rigorosamente aritmetico.

(v. punti 255-258, 263, 265)

21.    Una circostanza attenuante non può essere concessa ai sensi del punto 3, terzo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, nel caso in cui l’infrazione sia già terminata anteriormente ai primi interventi della Commissione. Si può logicamente parlare di una circostanza attenuante, ai sensi della suddetta disposizione, soltanto se le imprese di cui trattasi sono state indotte a terminare i loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi della Commissione. Tale disposizione mira a indurre le imprese a cessare i loro comportamenti anticoncorrenziali immediatamente quando la Commissione avvia un’indagine in proposito, di modo che una riduzione di ammenda a tale titolo non può essere applicata quando l’infrazione è già terminata anteriormente alla data dei primi interventi della Commissione. Infatti, l’applicazione di una riduzione in tali circostanze costituirebbe una ripetizione della presa in considerazione della durata delle infrazioni per calcolare l’importo delle ammende.

(v. punto 274)

22.    L’adozione, da parte di un’impresa che abbia commesso un’infrazione alle regole del diritto dell’Unione in materia di concorrenza, di un programma di messa in conformità non obbliga la Commissione a concedere una riduzione dell’ammenda in ragione di detta circostanza. Inoltre, se è certamente importante che una impresa adotti provvedimenti per impedire che in futuro siano commesse da parte di propri collaboratori nuove infrazioni al diritto dell’Unione in materia di concorrenza, l’adozione di siffatti provvedimenti non muta affatto la realtà dell’infrazione constatata. La Commissione non è quindi tenuta a considerare tale elemento come circostanza attenuante, tanto più quando le infrazioni accertate nella decisione impugnata costituiscono una manifesta violazione dell’art. 81 CE.

(v. punto 282)

23.    La comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese configura uno strumento destinato a precisare, nel rispetto delle norme di rango superiore, i criteri che la Commissione intende applicare nell’esercizio del suo potere discrezionale nella fissazione delle ammende inflitte per infrazioni alle regole di concorrenza dell’Unione. Ne risulta un’autolimitazione di tale potere che non è tuttavia incompatibile con il mantenimento da parte della Commissione di un margine di valutazione sostanziale.

Pertanto, la Commissione dispone di un ampio margine di valutazione allorché è chiamata a stabilire se gli elementi di prova forniti da un’impresa che abbia espresso la propria intenzione di beneficiare della comunicazione sulla cooperazione costituiscano un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 di detta comunicazione.

Analogamente, la Commissione, dopo avere constatato che taluni elementi di prova costituiscono un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, dispone di un margine di valutazione quando è chiamata a stabilire il livello esatto della riduzione dell’importo dell’ammenda da concedere all’impresa interessata. Infatti, il punto 23, lett. b), primo comma, della comunicazione sulla cooperazione prevede forcelle per la riduzione dell’importo dell’ammenda per le diverse categorie di imprese considerate. Riguardo a detto margine di valutazione, solo il manifesto superamento di tale margine può essere censurato dal giudice dell’Unione.

Ciò premesso, la Commissione non supera i propri margini di valutazione discrezionale quando ritiene che non presenti un valore aggiunto significativo una dichiarazione che si limiti a corroborare, in una certa misura, una dichiarazione di cui la Commissione disponeva già, dal momento che una simile dichiarazione non agevola in misura significativa l’assolvimento dei propri compiti da parte di quest’ultima e, quindi, non è sufficiente a giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda in considerazione della cooperazione.

(v. punti 295-296, 298-300, 309, 311)

24.    Nell’ambito della valutazione della cooperazione fornita dai membri di un’intesa durante il procedimento amministrativo, la Commissione non può violare il principio di parità di trattamento. Infatti, dal momento che le situazioni delle diverse imprese, sanzionate con un’ammenda per infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza, non sono comparabili, la Commissione non ha violato il principio di parità di trattamento concedendo a talune imprese, in funzione del valore aggiunto della loro rispettiva cooperazione, riduzioni dell’importo delle ammende e negando ad un’altra impresa il beneficio di una simile riduzione ai sensi della comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese. A tale proposito, la valutazione del valore aggiunto di una cooperazione va effettuata in funzione degli elementi di prova già in possesso della Commissione. Pertanto, quando un’impresa fornisce elementi di prova che non sono determinanti per dimostrare l’esistenza di un’intesa ma che rafforzano meramente la capacità della Commissione di dimostrare l’infrazione, corroborando gli elementi di prova già in suo possesso, o quando siffatta impresa comunica alla Commissione gli elementi di prova che costituiscono un valore aggiunto significativo solo svariati mesi dopo le comunicazioni di altre imprese e, in ogni caso, non comunica prove documentali contemporanee, la Commissione non supera manifestamente i limiti del suo potere discrezionale fissando la riduzione dell’importo dell’ammenda per tale impresa in una percentuale notevolmente ridotta.

(v. punti 313, 315, 319, 335-336, 344, 347)

25.    Per quanto riguarda il rispetto del principio di proporzionalità nella determinazione dell’importo delle ammende per le infrazioni alle norme dell’Unione in materia di concorrenza, siffatte ammende non devono essere sproporzionate rispetto agli scopi perseguiti, vale a dire rispetto alle norme in materia di concorrenza, e l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionata all’infrazione, valutata complessivamente, tenendo conto in particolare della sua gravità. Inoltre, nella determinazione dell’importo delle ammende, la Commissione può tenere conto dell’esigenza di garantire alle stesse un effetto sufficientemente dissuasivo.

Al riguardo, in primo luogo, le intese consistenti principalmente in un accordo collusivo segreto tra concorrenti per ripartirsi i mercati o congelare le quote di mercato attribuendosi i progetti relativi alla vendita e all’installazione di ascensori e/o di scale mobili nuovi, e per non farsi concorrenza nel settore della manutenzione e dell’ammodernamento di ascensori e scale mobili configurano infrazioni che rientrano per loro stessa natura tra le violazioni più gravi dell’art. 81 CE.

In secondo luogo, nel calcolo dell’importo delle ammende la Commissione può prendere in considerazione segnatamente le dimensioni e la potenza economica dell’unità economica che agisce in qualità di impresa ai sensi dell’art. 81 CE. Tuttavia, l’impresa pertinente da prendere in considerazione non corrisponde a ciascuna controllata che ha partecipato alle infrazioni constatate, ma alla società controllante e alle sue controllate. In terzo luogo, per quanto concerne la proporzionalità delle ammende rispetto alle dimensioni e alla potenza economica delle unità economiche interessate, la Commissione è vincolata al tetto del 10% di cui all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, inteso ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa. Orbene, un importo totale delle ammende che rappresenti circa il 2% del fatturato consolidato dell’impresa interessata nel corso dell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione impugnata non può considerarsi sproporzionato rispetto alla dimensione di detta impresa.

(v. punti 367-370)