Language of document : ECLI:EU:T:2021:639

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

29 settembre 2021 (*)

«Relazioni esterne – Accordi internazionali – Accordo euromediterraneo di associazione CE-Maroc – Accordo in forma di scambio di lettere relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo – Decisione che approva la conclusione dell’accordo – Ricorso di annullamento – Ricevibilità – Capacità di stare in giudizio – Incidenza diretta – Incidenza individuale – Ambito di applicazione territoriale – Competenza – Interpretazione del diritto internazionale adottata dalla Corte – Principio di autodeterminazione – Principio dell’effetto relativo dei trattati – Invocabilità – Nozione di consenso – Attuazione – Potere discrezionale – Limiti – Mantenimento degli effetti della decisione impugnata»

Nella causa T‑279/19,

Fronte popolare per la liberazione del Saguia-el-Hamra e del Rio de Oro (Fronte Polisario), rappresentato da G. Devers, avvocato,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da P. Plaza García e V. Piessevaux, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da

Repubblica francese, rappresentata da A.-L. Desjonquères, C. Mosser, J.-L. Carré e T. Stehelin, in qualità di agenti,

da

Commissione europea, rappresentata da F. Castillo de la Torre, F. Clotuche-Duvieusart, A. Bouquet e B. Eggers, in qualità di agenti,

e da

Confédération marocaine de l’agriculture et du développement rural (Comader), con sede in Rabat (Marocco), rappresentata da G. Forwood, N. Colin e A. Hublet, avvocati,

intervenenti,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e volta all’annullamento della decisione (UE) 2019/217 del Consiglio, del 28 gennaio 2019, relativa alla conclusione dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (GU 2019, L 34, pag. 1),


IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata),

composto da M.J. Costeira, presidente, D. Gratsias (relatore), M. Kancheva, B. Berke e T. Perišin, giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 marzo 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

A.      Contesto internazionale

1        Gli sviluppi del contesto internazionale relativo alla questione del Sahara occidentale possono essere riassunti come segue.

2        Il 14 dicembre 1960 l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni unite (ONU) ha adottato la risoluzione 1514 (XV), intitolata «Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali», che enuncia, in particolare, che «[t]utti i popoli hanno il diritto di libera determinazione[,] in base [al quale] essi decidono liberamente del proprio statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale», che «[n]ei territori di amministrazione fiduciaria, nei territori non autonomi e in tutti gli altri territori non ancora acceduti all’indipendenza, saranno adottate misure immediate per trasferire tutti i poteri alle popolazioni dei territori stessi, senza condizione o riserva alcuna, in conformità alla loro volontà e ai loro voti liberamente espressi», e che «[t]utti gli Stati sono tenuti a osservare fedelmente e strettamente le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite (…) sulla base dell’uguaglianza, della non ingerenza negli affari interni degli Stati e del rispetto dei diritti sovrani e dell’integrità territoriale di tutti i popoli».

3        Il Sahara occidentale è un territorio dell’Africa nord-occidentale, che è stato colonizzato dal Regno di Spagna alla fine del XIX secolo e che, alla data della risoluzione 1514 (XV), era divenuto provincia spagnola. Nel 1963 esso è stato inserito dall’ONU nell’«elenco preliminare dei territori ai quali si applica la Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali [risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale]», quale territorio non autonomo amministrato dal Regno di Spagna, ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26 giugno 1945. Esso figura tuttora nell’elenco dei territori non autonomi redatto dal segretario generale dell’ONU sulla base delle informazioni trasmesse in applicazione dell’articolo 73, lettera e), di tale Carta.

4        Il 20 dicembre 1966 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione 2229 (XXI) sulla questione dell’Ifni e del Sahara spagnolo, nella quale essa ha «[r]ibadi[to] il diritto inalienabile de[l] popol[o] (…) del Sahara spagnolo all’autodeterminazione in conformità alla risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale» e ha chiesto al Regno di Spagna, nella sua veste di potenza amministratrice, di «definire quanto prima (…) le modalità dell’organizzazione di un referendum da svolgersi sotto l’egida dell’[ONU] per consentire alla popolazione autoctona del territorio di esercitare liberamente il proprio diritto all’autodeterminazione».

5        Il 24 ottobre 1970 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione 2625 (XXV), con la quale essa ha approvato la «Dichiarazione relativa ai principi del diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati conformemente alla Carta delle Nazioni Unite», il cui testo è allegato a detta risoluzione. Tale dichiarazione «proclama solennemente», in particolare, il «principio dell’uguaglianza dei diritti dei popoli e del loro diritto all’autodeterminazione». Per quanto riguarda tale principio, essa enuncia, segnatamente, quanto segue:

«In base al principio dell’uguaglianza di diritti dei popoli e del loro diritto all’autodeterminazione, principio consacrato nella Carta delle Nazioni Unite, tutti i popoli hanno il diritto di determinare il proprio assetto politico, in piena libertà e senza ingerenze esterne e di perseguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale, ed ogni Stato ha il dovere di rispettare tale diritto in conformità con le disposizioni della Carta.

(…)

La creazione di uno Stato sovrano e indipendente, la libera associazione o integrazione con uno Stato indipendente o l’acquisto di ogni altro status politico liberamente deciso da un popolo costituiscono per tale popolo modi di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione.

(…)

Il territorio di una colonia o di un altro territorio non autonomo ha, in virtù della Carta, uno status separato e distinto da quello dello Stato che l’amministra; questo status separato e distinto in virtù della Carta sussiste finché il popolo della colonia o del territorio non autonomo non eserciti il suo diritto all’autodeterminazione conformemente alla Carta e, più in particolare, ai suoi scopi e principi».

6        Il Fronte popolare per la liberazione del Saguia-el-Hamra e del Rio de Oro (Fronte Polisario) è un’organizzazione costituita il 10 maggio 1973 nel Sahara occidentale. Esso si definisce all’articolo 1  del suo statuto come un «movimento di liberazione nazionale» i cui membri «combatt[ono] per l’indipendenza totale e per il recupero della sovranità del popolo saharawi su tutto il territorio della Repubblica araba saharawi democratica».

7        Il 20 agosto 1974 il Regno di Spagna ha informato l’ONU del proprio intento di organizzare, sotto l’egida di tale organizzazione, un referendum nel Sahara occidentale.

8        Il 13 dicembre 1974 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione 3292 (XXIX), con la quale essa, in particolare, ha deciso di chiedere alla Corte internazionale di giustizia (CIG) un parere consultivo sulle seguenti questioni:

«I. Se il Sahara occidentale (Rio de Oro e Sakiet El Hamra), al momento della sua colonizzazione da parte della Spagna, fosse un territorio di nessuno (terra nullius).

In caso di risposta negativa alla prima questione,

II. Se vi fossero vincoli giuridici di tale territorio con il Regno del Marocco e con l’insieme mauritano».

9        Il 16 ottobre 1975 la CIG ha rilasciato il parere consultivo (v. Sahara occidentale, parere consultivo, CIG, Raccolta 1975, pag. 12; in prosieguo: il «parere consultivo sul Sahara occidentale»). Al paragrafo 162 di tale parere essa ha considerato quanto segue:

«Gli elementi e le informazioni a conoscenza della Corte mostrano l’esistenza, al momento della colonizzazione spagnola, di vincoli giuridici di fedeltà fra il Sultano del Marocco e alcune tribù che vivevano nel territorio del Sahara occidentale. Essi mostrano parimenti l’esistenza di diritti, inclusi taluni diritti relativi alla terra, che costituivano vincoli giuridici fra l’insieme mauritano, nel senso inteso dalla Corte, e il territorio del Sahara occidentale. Per contro, la Corte conclude che gli elementi e le informazioni portati a sua conoscenza non dimostrano l’esistenza di alcun vincolo di sovranità territoriale tra il territorio del Sahara occidentale, da un lato, e il Regno del Marocco o l’insieme mauritano, dall’altro. La Corte non ha pertanto rilevato l’esistenza di vincoli giuridici tali da modificare l’applicazione della risoluzione 1514 (XV) [dell’Assemblea generale dell’ONU] con riferimento alla decolonizzazione del Sahara occidentale e, in particolare, all’applicazione del principio di autodeterminazione mediante la libera e autentica espressione della volontà delle popolazioni del territorio».

10      Al paragrafo 163 del parere consultivo sul Sahara occidentale, la CIG ha dichiarato in particolare quanto segue:

«[La Corte è del parere], [p]er quanto riguarda la questione I, (…) che il Sahara occidentale (Rio de Oro e Sakiet el Hamra) non fosse un territorio di nessuno (terra nullius) al momento della colonizzazione da parte della Spagna; (…) per quanto riguarda la questione II, (…) che il territorio avesse, con il Regno del Marocco, taluni vincoli giuridici aventi i caratteri indicati al paragrafo 162 del presente parere [e] che il territorio avesse, con l’insieme mauritano, taluni vincoli giuridici aventi i caratteri indicati al paragrafo 162 del presente parere».

11      In un discorso pronunciato il giorno della pubblicazione del parere consultivo sul Sahara occidentale, il re del Marocco ha dichiarato che «tutti [avevano] riconosciuto che il Sahara [occidentale] era [in] possesso» del Regno del Marocco e che ad esso «incomb[eva] recuperare pacificamente tale territorio», facendo appello, a tal fine, all’organizzazione di una marcia.

12      Il 22 ottobre 1975, il Consiglio di sicurezza dell’ONU, adito dal Regno di Spagna, ha adottato la risoluzione 377 (1975), nella quale esso ha «invit[ato] il [s]egretario generale [dell’ONU] ad avviare consultazioni immediate con le parti coinvolte e interessate» e ha «[e]sort[ato] [queste ultime] a dar prova di cautela e moderazione». Il 2 novembre 1975 esso ha adottato la risoluzione 379 (1975), con la quale ha «[e]sort[ato] tutte le parti coinvolte e interessate ad evitare qualsiasi azione unilaterale o altro che potrebbe aggravare ulteriormente la tensione nella regione» e ha «[i]nvit[ato] il [s]egretario generale a proseguire ed intensificare le sue consultazioni». Il 6 novembre 1975, a seguito dell’avvio della marcia annunciata dal re del Marocco, cui hanno partecipato 350 000 persone, e dell’attraversamento della frontiera fra il Regno del Marocco e il Sahara occidentale da parte di queste ultime, esso ha adottato la risoluzione 380 (1975), con la quale ha, in particolare, ««[d]eplor[ato] lo svolgimento [di tale] marcia» e ha «[c]hie[sto] al [Regno del] Marocco l’immediato ritiro dal territorio del Sahara occidentale di tutti i partecipanti a [detta] marcia».

13      Il 26 febbraio 1976 il Regno di Spagna ha comunicato al segretario generale dell’ONU che, a partire da tale data, esso poneva fine alla propria presenza nel Sahara occidentale e si riteneva svincolato da qualsiasi responsabilità di carattere internazionale relativa all’amministrazione di tale territorio. L’elenco dei territori non autonomi di cui al precedente punto 3 si riferisce, per quanto riguarda il Sahara occidentale, a tale dichiarazione che è riprodotta in una nota a piè di pagina.

14      Nel frattempo, in tale regione è esploso un conflitto armato tra il Regno del Marocco, la Repubblica islamica di Mauritania e il Fronte Polisario. Una parte della popolazione del Sahara occidentale è fuggita da tale conflitto e ha trovato rifugio in campi situati nel territorio algerino, nelle vicinanze del confine con il Sahara occidentale.

15      Il 14 aprile 1976 il Regno del Marocco ha concluso con la Repubblica islamica di Mauritania un trattato di ripartizione del territorio del Sahara occidentale e ha annesso la parte di tale territorio che gli era stata assegnata da tale trattato. Il 10 agosto 1979 la Repubblica islamica di Mauritania ha concluso un accordo di pace con il Fronte Polisario, in forza del quale essa ha rinunciato a qualsiasi rivendicazione territoriale sul Sahara occidentale. Il Regno del Marocco ha assunto il controllo del territorio evacuato dalle forze mauritane e ha provveduto alla sua annessione.

16      Il 21 novembre 1979 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione 34/37 sulla questione del Sahara occidentale, nella quale essa ha «[r]iafferm[ato] il diritto inalienabile del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e all’indipendenza, conformemente alla Carta dell’[ONU] (…) e agli obiettivi della [sua] risoluzione 1514 (XV)», ha «[d]eplor[ato] vivamente l’aggravarsi della situazione derivante dalla persistenza dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco», ha «[e]sorta[to] il Marocco ad impegnarsi a sua volta nel processo di pace e a porre fine all’occupazione del territorio del Sahara occidentale» e ha «[r]accomand[ato] a tal fine che il [Fronte Polisario], rappresentante del popolo del Sahara occidentale, partecip[asse] pienamente ad ogni ricerca di una soluzione politica equa, duratura e definitiva della questione del Sahara occidentale, conformemente alle risoluzioni e dichiarazioni dell’[ONU]». Tale risoluzione è stata seguita dalla risoluzione 35/19, dell’11 novembre 1980, al punto 10 della quale l’Assemblea generale ha «[e]sort[ato] (…) il Marocco e il [Fronte Polisario], rappresentante del popolo del Sahara occidentale, ad avviare negoziati diretti al fine di giungere ad una composizione definitiva della questione del Sahara occidentale».

17      Il conflitto tra il Regno del Marocco e il Fronte Polisario è proseguito fino a quando, il 30 agosto 1988, le parti hanno accettato, in via di principio, talune proposte di accordo formulate, segnatamente, dal Segretario generale dell’ONU e che prevedevano, in particolare, la proclamazione di un cessate il fuoco, nonché l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione sotto il controllo dell’ONU.

18      Il 27 giugno 1990 il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha adottato la risoluzione 658 (1990), nella quale ha «[a]pprov[ato] la relazione del [s]egretario generale [dell’ONU] contenente (…) le proposte di accordo [di cui al precedente punto 17] nonché l’esposizione del piano [della loro attuazione]» e ha «[c]hie[sto] alle due parti di cooperare pienamente con il [s]egretario generale [dell’ONU] e il [p]residente in carica della Conferenza dei capi di Stato e di governo dell’Organizzazione dell’Unità africana nell’ambito degli sforzi che essi dispiega[va]no per pervenire ad una composizione rapida della questione del Sahara occidentale». Il 29 aprile 1991 il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 690 (1991) che istituisce la missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum nel Sahara occidentale (Minurso).

19      Ad oggi, nonostante le consultazioni e gli scambi organizzati sotto l’egida dell’ONU, le parti non sono pervenute a risolvere la situazione nel Sahara occidentale. Il Regno del Marocco controlla la maggior parte del territorio del Sahara occidentale, mentre il Fronte Polisario ne controlla l’altra parte; queste due zone sono separate da un muro di sabbia costruito e sorvegliato dall’esercito marocchino. Un numero rilevante di profughi originari di tale territorio vive tuttora nei campi amministrati dal Fronte Polisario, nel territorio algerino.

B.      Accordo di associazione e accordo di liberalizzazione

20      Il 1° marzo 2000 è entrato in vigore l’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 (GU 2000, L 70, pag. 2; in prosieguo: l’«accordo di associazione»).

21      L’articolo 1, paragrafo 1, dell’accordo di associazione prevede quanto segue:

«È istituita un’associazione tra la Comunità e i suoi Stati membri, da una parte, e il Marocco, dall’altra».

22      L’articolo 1, paragrafo 2, dell’accordo di associazione così recita:

«Il presente accordo si prefigge i seguenti obiettivi:

–        costituire un ambito adeguato per il dialogo politico tra le parti che consenta di consolidare le loro relazioni in tutti i campi che esse riterranno pertinenti a tale dialogo;

–        stabilire le condizioni per la progressiva liberalizzazione degli scambi di beni, di servizi e di capitali;

–        sviluppare gli scambi e stimolare l’espansione di relazioni economiche e sociali equilibrate tra le parti, segnatamente attraverso il dialogo e la cooperazione, per favorire lo sviluppo e la prosperità del Marocco e del popolo marocchino;

–        incoraggiare l’integrazione nel Magreb e favorire gli scambi e la cooperazione tra il Marocco e i paesi della regione;

–        promuovere la cooperazione in campo economico, sociale, culturale e finanziario».

23      L’articolo 16 dell’accordo di associazione prevede quanto segue:

«La Comunità e il Marocco attuano progressivamente una maggiore liberalizzazione nei reciproci scambi di prodotti agricoli e di prodotti della pesca».

24      L’articolo 94 dell’accordo di associazione prevede quanto segue:

«Il presente accordo si applica ai territori in cui si applicano i trattati che istituiscono la Comunità europea e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, alle condizioni in essi indicate, da una parte, e al territorio del Regno del Marocco, dall’altra».

25      Sono stati conclusi diversi protocolli all’accordo di associazione. In particolare, il protocollo n. 1 è relativo ai regimi applicabili all’importazione nell’Unione europea di prodotti agricoli, di prodotti agricoli trasformati, di pesci e di prodotti della pesca originari del Marocco (in prosieguo: il «protocollo n. 1»), mentre il protocollo n. 4 concerne la definizione della nozione di «prodotti originari» e i metodi di cooperazione amministrativa (in prosieguo: il «protocollo n. 4»).

26      Il 13 dicembre 2010 l’Unione e il Regno del Marocco hanno firmato a Bruxelles (Belgio) l’accordo in forma di scambio di lettere in merito a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli, i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca, alla sostituzione dei protocolli nn. 1, 2 e 3 e dei relativi allegati e a modifiche dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (GU 2012, L 241, pag. 4; in prosieguo: l’«accordo di liberalizzazione»). L’8 marzo 2012 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la decisione 2012/497/UE, relativa alla conclusione dell’accordo di liberalizzazione (GU 2012, L 241, pag. 2).

27      Come risulta dall’accordo di liberalizzazione e dai considerando da 1 a 3 della decisione 2012/497, tale accordo ha per scopo l’attuazione della progressiva liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli e della pesca prevista all’articolo 16 dell’accordo di associazione. In particolare, l’accordo di liberalizzazione ha sostituito i protocolli nn. 1, 2 e 3 dell’accordo di associazione con i testi figuranti ai suoi allegati I e II.

28      L’articolo 2, paragrafo 2, del protocollo n. 4 all’accordo di associazione prevede quanto segue:

«Ai fini dell’applicazione dell’accordo, si considerano prodotti originari del Marocco:

a)      i prodotti interamente ottenuti in Marocco ai sensi dell’articolo 5;

b)      i prodotti ottenuti in Marocco in cui sono incorporati materiali non interamente ottenuti sul suo territorio, a condizione che detti materiali siano stati oggetto in Marocco di lavorazioni o trasformazioni sufficienti ai sensi dell’articolo 6».

29      Ai sensi dell’articolo 16 del protocollo n. 4, i prodotti originari del Marocco beneficiano delle disposizioni dell’accordo all’importazione nell’Unione su presentazione di una delle prove dell’origine elencate a tale articolo.

C.      Controversie connesse all’accordo di associazione

1.      Cause T512/12 e C104/16 P

30      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 novembre 2012 e registrato con il numero di ruolo T‑512/12, il Fronte Polisario, ricorrente, ha proposto un ricorso volto all’annullamento della decisione 2012/497 (sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Fronte Polisario, C‑104/16 P, EU:C:2016:973, punto 38; in prosieguo: la «sentenza Consiglio/Fronte Polisario»).

31      A sostegno del suo ricorso in tale causa, il ricorrente aveva dedotto, segnatamente, un certo numero di violazioni, da parte del Consiglio, dei suoi obblighi alla luce del diritto internazionale, sulla base del rilievo che esso aveva approvato, con la decisione 2012/497, l’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al territorio del Sahara occidentale (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punto 44).

32      Con sentenza del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953), il Tribunale ha annullato la decisione 2012/497 nella parte in cui approvava l’applicazione al Sahara occidentale dell’accordo di liberalizzazione, con la motivazione che il Consiglio era venuto meno al proprio obbligo di esaminare tutti gli elementi del caso di specie preliminarmente all’adozione della decisione 2012/497, non verificando se lo sfruttamento dei prodotti originari di tale territorio esportati verso l’Unione non avvenisse a danno della popolazione di detto territorio e non implicasse la violazione dei diritti fondamentali delle persone interessate (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti 47 e 48).

33      Il 19 febbraio 2016 il Consiglio ha impugnato la sentenza del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953).

34      Con la sentenza Consiglio/Fronte Polisario, che statuisce sull’impugnazione del Consiglio, la Corte ha annullato la sentenza del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953), e ha respinto il ricorso del ricorrente dinanzi al Tribunale in quanto irricevibile.

35      A tal riguardo, da un lato, la Corte ha accolto il secondo motivo di impugnazione, vertente sull’errore di diritto in cui era incorso il Tribunale nell’analisi della legittimazione ad agire del ricorrente e, più specificamente, la censura relativa al fatto che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che l’accordo di liberalizzazione si applicasse al Sahara occidentale (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punto 126).

36      Infatti, in primo luogo, la Corte ha considerato che, in conformità al principio di autodeterminazione, applicabile nelle relazioni fra l’Unione e il Regno del Marocco, il Sahara occidentale, territorio non autonomo ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, godeva di uno status separato e distinto rispetto a quello di qualsiasi Stato, compreso il Regno del Marocco. La Corte ne ha concluso che i termini «territorio del Regno del Marocco» figuranti all’articolo 94 dell’accordo di associazione non potevano essere interpretati in modo da includere il Sahara occidentale nell’ambito di applicazione territoriale di tale accordo (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 86 a 93).

37      In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che occorresse parimenti prendere in considerazione la norma consuetudinaria codificata all’articolo 29 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 1155, pag. 331; in prosieguo: la «convenzione di Vienna»), secondo la quale, a meno che un’intenzione diversa non si ricavi da un trattato o non risulti per altra via, tale trattato vincola ciascuna delle parti rispetto all’intero suo territorio. Essa ha concluso che anche tale norma consuetudinaria ostava a che il Sahara occidentale fosse considerato come rientrante nell’ambito di applicazione dell’accordo di associazione. Cionondimeno, essa ha constatato che da detta norma consuetudinaria discendeva altresì che un trattato poteva, in deroga, vincolare uno Stato rispetto a un altro territorio se una siffatta intenzione si ricavava da tale trattato o risultava per altra via (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 94 a 98).

38      In terzo luogo, la Corte ha ritenuto che il principio di diritto internazionale generale dell’effetto relativo dei trattati dovesse parimenti essere preso in considerazione, dal momento che, in quanto «terzo» all’accordo di associazione, ai sensi di tale principio, il popolo del Sahara occidentale poteva essere interessato dall’attuazione di tale accordo in caso di inclusione del territorio del Sahara occidentale nel suo ambito di applicazione e doveva acconsentire ad una siffatta attuazione. Orbene, in assenza di qualsivoglia manifestazione di un siffatto consenso, la Corte ne ha concluso che ritenere che il territorio del Sahara occidentale rientrasse nell’ambito di applicazione dell’accordo di associazione era contrario al principio dell’effetto relativo dei trattati (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 100 a 107).

39      In quarto luogo, constatando che l’accordo di liberalizzazione doveva essere considerato come un trattato subordinato all’accordo di associazione, la Corte ne ha dedotto che l’accordo di liberalizzazione non poteva essere inteso nel senso che si applicava al territorio del Sahara occidentale, cosicché non era necessario farvi figurare una clausola che escludesse tale applicazione. Secondo la Corte, la prassi del Consiglio e della Commissione europea successiva alla conclusione dell’accordo di associazione non poteva rimettere in discussione tale analisi, dal momento che ciò equivaleva a ritenere che l’Unione intendesse eseguire l’accordo di associazione e l’accordo di liberalizzazione in modo incompatibile con i principi di autodeterminazione e dell’effetto relativo dei trattati, e dunque in maniera inconciliabile con il principio di buona fede nell’esecuzione dei trattati (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 110 a 125).

40      Dall’altro lato, la Corte ha statuito definitivamente sulla controversia. A tal riguardo, essa ha dichiarato che, dal momento che l’accordo di liberalizzazione doveva essere interpretato conformemente alle regole pertinenti di diritto internazionale applicabili nei rapporti tra l’Unione e il Regno del Marocco, nel senso che esso non si applicava al territorio del Sahara occidentale, il ricorrente doveva essere considerato, in ogni caso, tenuto conto degli argomenti da esso invocati, come non avente la legittimazione ad agire per l’annullamento della decisione 2012/497, senza che fosse necessario esaminare le altre eccezioni di irricevibilità del Consiglio e della Commissione (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 128 a 134).

2.      Causa C266/16

41      Con decisione del 27 aprile 2016, la High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione amministrativa), Regno Unito], ha investito la Corte di questioni pregiudiziali concernenti, in sostanza, la validità, alla luce dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE, di atti dell’Unione relativi agli accordi internazionali conclusi dall’Unione e dal Regno del Marocco nel settore della pesca, nell’ambito dell’accordo di associazione, tenuto conto della circostanza che essi consentivano lo sfruttamento delle risorse provenienti dalle acque adiacenti al Sahara occidentale (sentenza del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK, C‑266/16, EU:C:2018:118, punti 1, 41 e 54; in prosieguo: la «sentenza Western Sahara Campaign UK»).

42      Sulla base, segnatamente, delle constatazioni effettuate nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario (v. precedenti punti da 36 a 39), la Corte ha dichiarato che, poiché gli accordi internazionali in questione non erano applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque adiacenti al medesimo, l’esame della prima questione del giudice del rinvio non aveva rivelato alcun elemento tale da inficiare la validità dei relativi atti dell’Unione alla luce dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE (sentenza Western Sahara Campaign UK, punto 85).

3.      Ordinanze nelle cause T180/14, T275/18, T376/18

43      Con ordinanze del 19 luglio 2018, Fronte Polisario/Consiglio (T‑180/14, non pubblicata, EU:T:2018:496), del 30 novembre 2018, Fronte Polisario/Consiglio (T‑275/18, non pubblicata, EU:T:2018:869), e dell’8 febbraio 2019, Fronte Polisario/Consiglio (T‑376/18, non pubblicata, EU:T:2019:77), il Tribunale ha respinto in quanto irricevibili i ricorsi del ricorrente diretti avverso taluni atti del Consiglio relativi alla conclusione o alla modifica di diversi accordi internazionali fra l’Unione e il Regno del Marocco.

44      In particolare, nelle prime due ordinanze citate al precedente punto 43, il Tribunale si è fondato sulle sentenze Consiglio/Fronte Polisario e Western Sahara Campaign UK per dichiarare il difetto di legittimazione ad agire del ricorrente, a causa dell’inapplicabilità degli accordi controversi al Sahara occidentale o alle acque adiacenti (ordinanze del 19 luglio 2018, Fronte Polisario/Consiglio, T‑180/14, non pubblicata, EU:T:2018:496, punti da 69 a 71, e del 30 novembre 2018, Fronte Polisario/Consiglio, T‑275/18, non pubblicata, EU:T:2018:869, punti 41 e 42).

45      Nella terza delle ordinanze citate al precedente punto 43, il Tribunale ha ritenuto che, in conformità all’articolo 218, paragrafi 3 e 4, TFUE, la decisione del Consiglio del 16 aprile 2018, che autorizza l’apertura di negoziati con il Regno del Marocco per la modifica dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco e per la conclusione di un protocollo che attua detto accordo, aveva unicamente come oggetto quello di designare il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell’Unione e di impartire loro direttive. Si trattava dunque di un atto che produceva effetti giuridici soltanto nei rapporti fra l’Unione e i suoi Stati membri, nonché fra le istituzioni dell’Unione. Il Tribunale ne ha concluso che tale decisione non produceva effetti sulla situazione giuridica del ricorrente e che quest’ultimo non poteva dunque essere considerato direttamente interessato da detta decisione (ordinanza dell’8 febbraio 2019, Fronte Polisario/Consiglio, T‑376/18, non pubblicata, EU:T:2019:77, punti 28 e 29).

D.      Decisione impugnata e accordo controverso

46      A seguito della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, il Consiglio, con decisione del 29 maggio 2017, ha autorizzato la Commissione ad aprire negoziati, a nome dell’Unione, con il Regno del Marocco, al fine di concludere un accordo internazionale che apportasse modifiche ai protocolli n. 1 e n. 4.

47      Nell’ambito dell’autorizzazione ad aprire negoziati accordata alla Commissione, il Consiglio ha chiesto a quest’ultima, da un lato, di garantire che le popolazioni interessate dall’accordo internazionale fossero adeguatamente coinvolte, e, dall’altro, di valutare le potenziali ripercussioni di detto accordo sullo sviluppo sostenibile del Sahara occidentale, in particolare i vantaggi per le popolazioni locali e l’impatto dello sfruttamento delle risorse naturali sui territori interessati.

48      La Commissione ha riportato il risultato delle consultazioni e dell’analisi da essa effettuate concernenti le questioni di cui al precedente punto 47 nella sua relazione dell’11 giugno 2018 sui benefici per la popolazione del Sahara occidentale dell’estensione di preferenze tariffarie ai prodotti originari di tale territorio e sulla consultazione della suddetta popolazione (in prosieguo: la «relazione dell’11 giugno 2018»). Tale relazione accompagnava la proposta relativa alla conclusione dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra [COM (2018) 481 final].

49      Il 25 ottobre 2018 l’Unione e il Regno del Marocco hanno firmato, a Bruxelles, l’accordo in forma di scambio di lettere relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (in prosieguo: l’«accordo controverso»).

50      Il 28 gennaio 2019 il Consiglio ha adottato la decisione (UE) 2019/217, relativa alla conclusione dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (GU 2019, L 34, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

51      Ai considerando da 3 a 10 della decisione impugnata, il Consiglio afferma quanto segue:

«(3)      L’Unione non pregiudica l’esito del processo politico sullo status definitivo del Sahara occidentale che ha luogo sotto l’egida delle Nazioni Unite ed ha costantemente ribadito l’importanza che annette alla risoluzione della controversia relativa al Sahara occidentale, attualmente iscritto dalle Nazioni Unite nell’elenco dei territori non autonomi, oggi in gran parte amministrato dal Regno del Marocco (…).

(4)      Dall’entrata in vigore dell’accordo di associazione, alcuni prodotti provenienti dal Sahara occidentale e certificati di origine marocchina sono stati importati nell’Unione beneficiando delle preferenze tariffarie previste dalle pertinenti disposizioni di detto accordo.

(5)      Nella sentenza relativa alla causa C‑104/16 P (…), la Corte di giustizia ha tuttavia precisato che l’accordo di associazione riguardava unicamente il territorio del Regno del Marocco e non il Sahara occidentale, un territorio non-autonomo.

(6)      È importante garantire che i flussi commerciali che si sono sviluppati nel corso degli anni non siano perturbati, creando nel contempo adeguate salvaguardie del diritto internazionale, compresi i diritti umani, e dello sviluppo sostenibile dei territori interessati. Il 29 maggio 2017, il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad aprire i negoziati con il Regno del Marocco al fine di istituire, in conformità della sentenza della Corte di giustizia, una base giuridica per la concessione ai prodotti originari del Sahara occidentale delle preferenze tariffarie previste dall’accordo di associazione. Un accordo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco rappresenta la sola possibilità di garantire che l’importazione di prodotti originari del Sahara occidentale possa beneficiare di un’origine preferenziale, considerato che le autorità marocchine sono le uniche in grado di garantire il rispetto delle norme necessarie per la concessione di tali preferenze.

(7)      La Commissione ha valutato le potenziali ripercussioni di tale accordo sullo sviluppo sostenibile, in particolare per quanto riguarda i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalle preferenze tariffarie concesse ai prodotti del Sahara occidentale per gli interessati e gli effetti sullo sfruttamento delle risorse naturali dei territori interessati (…).

(8)      Dalla valutazione emerge (…) che, nel complesso, per l’economia del Sahara occidentale, i benefici derivanti dalla concessione delle preferenze tariffarie previste dall’accordo di associazione ai prodotti originari del Sahara occidentale e, in particolare, il potente effetto di leva economica e, quindi, di sviluppo sociale che la concessione rappresenta, superano gli svantaggi menzionati nel corso delle consultazioni, tra cui l’uso estensivo delle risorse naturali (…).

(9)      Si è valutato che l’estensione delle preferenze tariffarie ai prodotti originari del Sahara occidentale avrà un impatto complessivamente positivo per gli interessati (…).

(10)      Viste le considerazioni sul consenso nella sentenza della Corte di giustizia, la Commissione, in collaborazione con il Servizio europeo per l’azione esterna, ha adottato tutte le misure ragionevoli e possibili nel contesto attuale atte a consultare adeguatamente gli interessati al fine di acquisire il loro consenso all’accordo. Sono state svolte vaste consultazioni e la maggioranza degli operatori socioeconomici e politici che hanno partecipato alle consultazioni si è espressa a favore dell’estensione delle preferenze tariffarie dell’accordo di associazione al Sahara occidentale. Quelli che hanno respinto la proposta di estensione hanno ritenuto in sostanza che detto accordo perpetuerebbe l’attuale posizione del Marocco sul territorio del Sahara occidentale. Nessun elemento dello stesso accordo induce a ritenere che esso riconosca la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale. L’Unione continuerà del resto, impegnandosi a tale scopo in misura ancora maggiore, a sostenere il processo di risoluzione pacifica della controversia avviato e proseguito sotto l’egida delle Nazioni Unite».

52      L’articolo 1, primo comma, della decisione impugnata dispone che l’accordo controverso è approvato a nome dell’Unione. Tale accordo è entrato in vigore il 19 luglio 2019 (GU 2019, L 197, pag. 1).

53      I commi dal terzo al nono dell’accordo controverso prevedono quanto segue:

«Il presente accordo è concluso senza pregiudizio delle rispettive posizioni dell’Unione europea sullo status del Sahara occidentale e del Regno del Marocco su tale regione.

Le due parti riaffermano il loro sostegno al processo delle Nazioni Unite e appoggiano gli sforzi del segretario generale volti a pervenire a una soluzione politica definitiva, conformemente ai principi e agli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite e sulla base delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.

L’Unione europea e il Regno del Marocco hanno convenuto di inserire la seguente dichiarazione congiunta dopo il protocollo n. 4 dell’accordo di associazione:

“Dichiarazione comune concernente l’applicazione dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra ( ‘accordo di associazione’)

1.      I prodotti originari del Sahara occidentale che sono soggetti al controllo delle autorità doganali del Regno del Marocco beneficiano delle stesse preferenze commerciali concesse dall’Unione europea ai prodotti contemplati dall’accordo di associazione.

2.      Il protocollo n. 4 si applica, mutatis mutandis, ai fini della definizione del carattere originario dei prodotti di cui al paragrafo 1, anche per quanto riguarda le prove dell’origine.

3.      Le autorità doganali degli Stati membri dell’Unione europea e del Regno del Marocco sono responsabili dell’applicazione del protocollo n. 4 a tali prodotti”.

L’Unione europea e il Regno del Marocco riaffermano il proprio impegno ad applicare i protocolli in conformità delle disposizioni dell’accordo di associazione riguardanti il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani.

L’inserimento della presente dichiarazione comune si basa sul partenariato privilegiato che lega da lunga data l’Unione europea e il Regno del Marocco, sancito in particolare dallo status avanzato concesso a quest’ultimo, e sull’ambizione condivisa delle parti di approfondire e ampliare il partenariato.

In questo spirito di partenariato e per consentire alle parti di valutare l’impatto del presente accordo, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile, in particolare per quanto concerne i vantaggi per gli interessati e lo sfruttamento delle risorse naturali dei territori interessati, l’Unione europea e il Regno del Marocco hanno convenuto di scambiarsi reciprocamente informazioni nell’ambito del comitato di associazione almeno una volta all’anno.

Le modalità specifiche di tale esercizio saranno determinate in una fase successiva, in vista della loro adozione da parte del consiglio di associazione, al più tardi due mesi dall’entrata in vigore del presente accordo».

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

54      Con atto introduttivo registrato presso la cancelleria del Tribunale il 27 aprile 2019, il ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

55      Il 1° agosto 2019 il Consiglio ha depositato il controricorso.

56      Con decisioni del presidente della Quinta Sezione del Tribunale, rispettivamente, del 10 e del 18 settembre 2019, la Repubblica francese, da un lato, e la Commissione, dall’altro, sono state ammesse a intervenire a sostegno del Consiglio.

57      Il 1° ottobre 2019 il ricorrente ha depositato la replica.

58      Con decisione del 16 ottobre 2019, in seguito alla modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Nona Sezione del Tribunale, alla quale è stata di conseguenza attribuita la presente causa.

59      La Repubblica francese e la Commissione hanno depositato la loro memoria di intervento, rispettivamente, il 23 e il 29 ottobre 2019.

60      Con ordinanza del 15 novembre 2019, Fronte Polisario/Consiglio (T‑279/19, non pubblicata, EU:T:2019:808), la presidente della Nona Sezione del Tribunale ha ammesso la Confédération marocaine de l’agriculture et du développement rural (Comader) a intervenire a sostegno del Consiglio.

61      Il 5 dicembre 2019 il Consiglio ha depositato la controreplica.

62      Il ricorrente ha presentato, rispettivamente, il 20 dicembre 2019 e il 6 gennaio 2020, osservazioni sulle memorie di intervento, da un lato, della Repubblica francese e, dall’altro, della Commissione.

63      Il 23 gennaio 2020 la Comader ha depositato la sua memoria di intervento. Il 17 febbraio 2020 il ricorrente ha presentato osservazioni in relazione a tale memoria.

64      Il 23 novembre 2020 su proposta della Nona Sezione, il Tribunale, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento di procedura, ha deciso di rinviare la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

65      Il 9 dicembre 2020, sulla base dell’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il Tribunale ha deciso, d’ufficio, di avviare la fase orale del procedimento.

66      Tramite due misure di organizzazione del procedimento, rispettivamente del 17 e del 18 dicembre 2020, il Tribunale, da un lato, ha posto quesiti per risposta scritta alle parti e ha invitato il ricorrente e la Commissione a fornirgli informazioni complementari e, dall’altro, ha invitato le parti a precisare, in udienza, la loro posizione su talune questioni di principio rilevanti per la presente controversia.

67      Il Consiglio, da un lato, e il ricorrente, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader, dall’altro, hanno presentato le loro risposte scritte ai quesiti del Tribunale, rispettivamente, il 24 e il 25 gennaio 2021. Il ricorrente e la Commissione hanno fornito le informazioni richieste nell’ambito di tali risposte.

68      L’udienza di discussione si è tenuta il 2 marzo 2021. La chiusura della fase orale del procedimento è stata pronunciata al termine di tale udienza.

69      Il 19 aprile 2021 la Commissione ha presentato osservazioni sul verbale d’udienza di discussione. Con ordinanza del 30 aprile 2021 il Tribunale ha riaperto la fase orale del procedimento, al fine di versare nel fascicolo tali osservazioni e di invitare il ricorrente, il Consiglio, la Repubblica francese e la Comader a presentare le loro osservazioni al riguardo. Il Consiglio e la Repubblica francese, da un lato, e il ricorrente e la Comader, dall’altro, hanno presentato le loro osservazioni, rispettivamente, il 12 e il 17 maggio 2021. La chiusura della fase orale è stata pronunciata il 19 maggio 2021 e la causa è stata trattenuta in decisione. Un verbale modificato è stato trasmesso alle parti il 22 giugno 2021.

70      A seguito del decesso del giudice Berke, avvenuto il 1° agosto 2021, i tre giudici firmatari della presente sentenza hanno proseguito le deliberazioni, conformemente all’articolo 22 e all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

71      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader alle spese.

72      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

73      La Repubblica francese chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

74      La Commissione, senza presentare formalmente delle conclusioni, indica di sostenere quelle del Consiglio.

75      La Comader chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

III. In diritto

76      In via preliminare, occorre rilevare che la presente controversia concerne la conclusione, a nome dell’Unione, di un accordo tra la stessa e il Regno del Marocco, con il quale tali parti hanno convenuto di inserire, dopo il protocollo n. 4 dell’accordo di associazione, una dichiarazione congiunta, intitolata «Dichiarazione comune concernente l’applicazione dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra» (in prosieguo: la «dichiarazione comune sul Sahara occidentale»), la quale estende ai prodotti originari del Sahara occidentale «soggetti al controllo delle autorità doganali [marocchine]» il beneficio delle preferenze commerciali concesse ai prodotti di origine marocchina esportati nell’Unione in forza del protocollo n. 1 (v. precedente punto 53).

77      Con il suo ricorso, il ricorrente, che afferma di agire «in nome del popolo saharawi», chiede l’annullamento della decisione impugnata, con la motivazione, in sostanza, che, approvando l’accordo controverso senza il consenso di tale popolo, sebbene detto accordo si applicherebbe al Sahara occidentale, il Consiglio, con siffatta decisione, ha violato gli obblighi incombenti all’Unione nell’ambito dei suoi rapporti con il Regno del Marocco, ai sensi del diritto dell’Unione e del diritto internazionale. In particolare, il ricorrente sostiene che l’accordo controverso non è conforme alla giurisprudenza della Corte enunciata nelle sentenze Consiglio/Fronte Polisario e Western Sahara Campaign UK, la quale avrebbe escluso una tale applicazione territoriale.

78      Senza presentare formalmente un’eccezione di irricevibilità, il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, sostiene, in via principale, l’irricevibilità del ricorso in esame per due motivi relativi, da un lato, al difetto di capacità del ricorrente di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione e, dall’altro, al suo difetto di legittimazione ad agire nei confronti della decisione impugnata. In particolare, nell’ambito di tali censure di irricevibilità, essi rimettono in discussione la portata e l’esclusività del ruolo rivendicato dal ricorrente nei confronti del popolo del Sahara occidentale. Inoltre, la Comader, da parte sua, rimette in questione la validità del mandato che il ricorrente ha conferito al suo avvocato. In subordine, il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader chiedono il rigetto dell’argomento del ricorrente nel merito. In particolare, il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese, fa valere in sostanza che, approvando l’accordo controverso, esso si è conformato alla giurisprudenza della Corte. Da parte loro, la Commissione e la Comader, pur approvando tale argomento, ritengono in ogni caso che detta giurisprudenza non sia rilevante ai fini dell’esame del ricorso, segnatamente in quanto essa riguarderebbe l’interpretazione degli accordi conclusi dall’Unione con il Regno del Marocco e non la loro validità. Inoltre, il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader ritengono che i principi del diritto internazionale, sui quali il ricorrente fonda il suo argomento, non possano essere invocati.

A.      Sulla ricevibilità del ricorso

1.      Sulla prima censura di irricevibilità del Consiglio, relativa al difetto di capacità di stare in giudizio del ricorrente

79      A sostegno della prima censura di irricevibilità, il Consiglio fa valere che il ricorrente non è una persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, munita della capacità di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione. In primo luogo, il Consiglio sostiene che il ricorrente non è dotato di personalità giuridica in forza del diritto interno di uno Stato membro. In secondo luogo, il Consiglio afferma che il ricorrente non è un soggetto di diritto internazionale. In terzo luogo, il Consiglio fa valere che il ricorrente non soddisfa i criteri stabiliti dai giudici dell’Unione ai fini del riconoscimento della capacità di stare in giudizio a un’entità priva di personalità giuridica e, in particolare, la condizione concernente il fatto che l’entità in questione deve essere considerata dall’Unione come un soggetto distinto dotato di diritti e di obblighi.

80      La Commissione, la Repubblica francese e la Comader elaborano, in sostanza, lo stesso argomento del Consiglio. La Comader sostiene inoltre che il ricorrente non dispone dell’autonomia necessaria per agire come un’entità responsabile nei rapporti giuridici, alla luce dei suoi rapporti con la Repubblica araba saharawi democratica (RASD), non riconosciuta dall’ONU e dall’Unione.

81      A sostegno della sua capacità di stare in giudizio, il ricorrente fa valere di essere un movimento di liberazione nazionale, il quale trae direttamente i propri diritti e i propri obblighi dal diritto internazionale, a causa dello status separato e distinto del Sahara occidentale e del diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi. Tale status sarebbe confermato, segnatamente, dalla sua capacità di concludere accordi e dal suo riconoscimento come unico rappresentante di tale popolo da parte dell’Assemblea generale dell’ONU. In quanto soggetto di diritto internazionale, esso soddisferebbe, a maggior ragione, i criteri fissati dalla giurisprudenza per verificare che un’entità priva di personalità giuridica possa essere considerata come una persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

82      In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo comma di tale articolo, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione.

83      Inoltre, secondo la giurisprudenza, anche se la nozione di persona giuridica che figura all’articolo 263, paragrafo 4, TFUE, comporta, in linea di principio, la sussistenza della personalità giuridica, la quale deve essere verificata alla luce del diritto nazionale ai sensi del quale la persona giuridica in questione è stata costituita, essa non coincide necessariamente con quelle proprie dei vari ordinamenti giuridici degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 6 aprile 2017, Saremar/Commissione, T‑220/14, EU:T:2017:267, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, la giurisprudenza ha già riconosciuto la capacità di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione ad entità indipendentemente dalla questione della loro costituzione come persona giuridica di diritto interno.

84      Ciò è avvenuto, segnatamente, allorché, da un lato, l’entità in questione disponeva di una rappresentatività sufficiente rispetto alle persone delle quali essa sosteneva di difendere i diritti tratti dal diritto dell’Unione, nonché dell’autonomia e della responsabilità necessarie per agire nell’ambito di rapporti giuridici determinati da questo stesso diritto e, dall’altro, essa era stata riconosciuta dalle istituzioni come interlocutrice nel corso delle trattative concernenti tali diritti (v., in tal senso, sentenze dell’8 ottobre 1974, Union syndicale – Service public européen e a./Consiglio, 175/73, EU:C:1974:95, punti da 9 a 17, e dell’8 ottobre 1974, Syndicat général du personnel des organismes européens/Commissione, 18/74, EU:C:1974:96, punti da 5 a 13).

85      Lo stesso dicasi per il caso in cui le istituzioni dell’Unione avevano trattato tale entità come un soggetto distinto, dotato di diritti ed obblighi propri. Infatti, la coerenza e la giustizia impongono di riconoscere la capacità di stare in giudizio di una siffatta entità per contestare le misure restrittive dei suoi diritti o le decisioni sfavorevoli adottate nei suoi confronti dalle istituzioni (v., in tal senso, sentenze del 28 ottobre 1982, Groupement des Agences de voyages/Commissione, 135/81, EU:C:1982:371, punti da 9 a 11; del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio, C‑229/05 P, EU:C:2007:32, punti da 107 a 112, e del 15 giugno 2017, Al-Faqih e a./Commissione, C‑19/16 P, EU:C:2017:466, punto 40).

86      Dalle sentenze citate ai precedenti punti 84 e 85 può desumersi che la Corte ha tentato di adeguare la sua giurisprudenza a circostanze estremamente diverse, escludendo un approccio troppo formalista o troppo rigido della nozione di persona giuridica (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Consiglio/Fronte Polisario, C‑104/16 P, EU:C:2016:677, paragrafo 140). Infatti, tale nozione non può essere oggetto di un’interpretazione restrittiva, come confermato recentemente dalla Corte [sentenza del 22 giugno 2021, Venezuela/Consiglio (Incidenza su uno Stato terzo), C‑872/19 P, EU:C:2021:507, punto 44]. Di conseguenza, tale giurisprudenza non esclude che, con riferimento a circostanze diverse da quelle esaminate nelle sentenze in questione, la capacità di stare in giudizio dinanzi al giudice dell’Unione sia riconosciuta ad un’entità indipendentemente dalla sua personalità giuridica di diritto interno, segnatamente qualora i requisiti della tutela giurisdizionale effettiva lo impongano.

87      Infine, dalla giurisprudenza si può dedurre che soggetti di diritto internazionale pubblico, come Stati terzi, costituiscono persone giuridiche ai sensi del diritto dell’Unione [v., in tal senso, ordinanza del 10 settembre 2020, Cambodge e CRF/Commissione, T‑246/19, EU:T:2020:415, punti 47, 49 e 50 e giurisprudenza ivi citata; v. parimenti, in tal senso e per analogia, ordinanza del vicepresidente della Corte del 17 maggio 2018, Stati Uniti d’America/Apple Sales International e a., C‑12/18 P(I), non pubblicata, EU:C:2018:330, punto 9 e giurisprudenza citata], come del resto confermato recentemente dalla Corte [v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2021, Venezuela/Consiglio (Incidenza su uno Stato terzo) C‑872/19 P, EU:C:2021:507, punto 53].

88      Nel caso di specie, è pacifico che il ricorrente non è dotato di personalità giuridica in forza del diritto di uno Stato membro o di uno Stato terzo. In particolare, dalle spiegazioni del ricorrente emerge che, alla luce dello status di territorio non autonomo del Sahara occidentale, esso intende unicamente far valere il diritto internazionale pubblico e non un ordinamento giuridico interno qualunque. La sua qualità di persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, non può dunque essere accertata con riferimento ad un siffatto ordinamento giuridico.

89      Per contro, per quanto riguarda la questione dell’esistenza della personalità giuridica del ricorrente sotto il profilo del diritto internazionale pubblico, le parti non concordano, in particolare, sugli effetti su quest’ultima del ruolo del ricorrente nell’ambito del processo di autodeterminazione del Sahara occidentale. Il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader sostengono che la sua rappresentatività rispetto al popolo di tale territorio è limitata a tale ruolo e che gli organi dell’ONU non hanno inteso conferirgli altre competenze sul piano internazionale, sicché, non essendo né uno Stato né un’organizzazione internazionale, la sua personalità giuridica non gli conferirebbe alcuna legittimazione ad agire al di fuori di tale processo. Al contrario, il ricorrente sostiene di trarre la propria personalità giuridica internazionale direttamente dal diritto all’autodeterminazione di detto popolo e dal ruolo che gli sarebbe stato riconosciuto da tali stessi organi, nonché da altre organizzazioni internazionali, da Stati terzi e dall’Unione.

90      Occorre dunque verificare, alla luce della giurisprudenza relativa alla nozione di persona giuridica, richiamata ai precedenti punti da 83 a 87, se gli elementi invocati dal ricorrente, relativi al ruolo che esso svolge nell’ambito del processo di autodeterminazione del Sahara occidentale, siano idonei a conferirgli la capacità di stare in giudizio dinanzi al giudice dell’Unione.

91      A tal riguardo, in primo luogo, occorre ricordare che, al punto 89 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, sul quale il ricorrente si fonda nell’ambito del ricorso in esame, la Corte ha dichiarato che il principio consuetudinario di autodeterminazione faceva parte delle norme di diritto internazionale applicabili nelle relazioni tra l’Unione e il Regno del Marocco, di cui si imponeva al Tribunale la presa in considerazione. Più specificamente, al punto 105 di detta sentenza, la Corte ha ricordato che la CIG aveva sottolineato, nel suo parere consultivo sul Sahara occidentale, che la popolazione di tale territorio godeva, in forza del diritto internazionale generale, del diritto all’autodeterminazione, come esposto ai punti 90 e 91 della stessa sentenza. Inoltre, essa ha precisato che, da parte sua, l’Assemblea generale dell’ONU, al punto 7 della sua risoluzione 34/37 sulla questione del Sahara occidentale, aveva raccomandato che il ricorrente, «rappresentante del popolo del Sahara occidentale, partecip[asse] pienamente ad ogni ricerca di una soluzione politica equa, duratura e definitiva della questione del Sahara occidentale» (v. precedente punto 16).

92      Da tali considerazioni risulta dunque che il diritto internazionale riconosce al popolo del Sahara occidentale il diritto all’autodeterminazione, circostanza della quale spetta ai giudici dell’Unione tenere conto, e che, sul fondamento di tale diritto, il ricorrente, in quanto rappresentante di detto popolo, si è visto riconoscere dall’Assemblea generale dell’ONU il diritto di partecipare «pienamente» alla ricerca di una soluzione politica della questione dello status definitivo di tale territorio. Inoltre, si deve ricordare che tale diritto è stato confermato dalla risoluzione 35/19 (v. precedente punto 16) e che il ricorrente l’ha esercitato nell’ambito delle trattative condotte sotto l’egida dell’ONU, delle quali il Regno del Marocco e lo stesso sono parti dal 1988 (v. precedenti punti da 17 a 19).

93      Orbene, nell’ambito della censura di irricevibilità in esame, il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader non contestano l’esercizio, da parte del ricorrente, del suo diritto di partecipare al processo di autodeterminazione del Sahara occidentale, in quanto rappresentante del popolo di tale territorio, riconosciutogli dagli organi dell’ONU.

94      Peraltro, come esposto dal ricorrente, esso ha assunto un certo numero di impegni in forza del diritto internazionale nella sua qualità di rappresentante del popolo del Sahara occidentale. Infatti, anzitutto, il ricorrente è parte di un accordo di pace concluso con la Repubblica islamica di Mauritania, in forza del quale quest’ultima ha rinunciato a qualsiasi rivendicazione territoriale su tale territorio (v. precedente punto 15). Inoltre, il ricorrente e il Regno del Marocco hanno raggiunto accordi su un certo numero di questioni relative all’applicazione delle proposte di accordo del Segretario generale dell’ONU, approvate dal Consiglio di sicurezza nella risoluzione 658 (1990). Orbene, è giocoforza constatare che, come fatto valere dal ricorrente nella replica, e come risulta dalle lettere e dalle risoluzioni degli organi dell’ONU che esso cita in proposito, tali organi rammentano regolarmente al Regno del Marocco e al ricorrente gli obblighi ad essi incombenti derivanti dal diritto internazionale e ritengono dunque che quest’ultimo, segnatamente, sia vincolato dagli impegni contratti in forza di tali accordi. Infine, come indicato parimenti dal ricorrente, esso è assoggettato ai requisiti del diritto internazionale umanitario sanciti, in particolare, dalle quattro convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e dal protocollo aggiuntivo alle convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali (Protocollo I), firmato l’8 giugno 1977, ai quali esso ha aderito il 23 giugno 2015.

95      Oltre a ciò, il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader non contestano che, come fatto valere dal ricorrente, esso partecipa ai lavori del comitato speciale sulla decolonizzazione relativi alla questione del Sahara occidentale, nonché ai lavori congiunti della Commissione economica per l’Africa (CEA), istituita in seno al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, e del Comitato tecnico specializzato dell’Unione africana su finanza, questioni monetarie, pianificazione economica e integrazione.

96      Il ricorrente è dunque riconosciuto sul piano internazionale quale rappresentante del popolo del Sahara occidentale, anche supponendo che, come sostenuto dal Consiglio, dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, tale riconoscimento si iscriva nell’ambito limitato del processo di autodeterminazione di detto territorio. Inoltre, la sua partecipazione a tale processo implica che esso dispone dell’autonomia e della responsabilità necessarie per agire in detto ambito, come peraltro confermato dal suo statuto versato nel fascicolo.

97      È vero che, come affermato, in sostanza, dal Consiglio, dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, la natura e la portata dei diritti e degli obblighi del ricorrente non sono equivalenti a quelle dei diritti e degli obblighi degli Stati o delle organizzazioni internazionali, circostanza peraltro non contestata dal medesimo. Tuttavia, è giocoforza constatare che la sua capacità, quale rappresentante del popolo di un territorio non autonomo, di negoziare e di contrattare impegni internazionali nel contesto del processo di autodeterminazione del Sahara occidentale e di partecipare ai lavori delle organizzazioni internazionali relativi a tale questione costituiscono elementi di base della personalità giuridica (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Consiglio/Fronte Polisario, C‑104/16 P, EU:C:2016:677, paragrafo 146; v. parimenti, in tal senso e per analogia, ordinanza dell’11 dicembre 1973, Générale sucrière e a./Commissione, 41/73, da 43/73 a 48/73, 50/73, 111/73, 113/73 e 114/73, EU:C:1973:151, punto 3).

98      In secondo luogo, il ricorrente fa valere, giustamente, che le istituzioni hanno preso atto del suo ruolo e della sua rappresentatività. Da un lato, al punto 105 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, la stessa Corte ha preso atto del riconoscimento, da parte dell’Assemblea generale dell’ONU, di tale rappresentatività (v. precedente punto 91). Dall’altro, il ricorrente fornisce elementi che indicano che lo stesso intrattiene regolarmente scambi con la Commissione in relazione alle questioni concernenti la situazione del Sahara occidentale. Peraltro, occorre rilevare che, anche se le parti divergono sulla qualificazione degli scambi tra il ricorrente e il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), avvenuti prima della conclusione dell’accordo controverso, è pacifico che questi ultimi hanno avuto luogo il 5 febbraio 2018 e che hanno avuto ad oggetto, segnatamente, la questione dell’applicazione dell’accordo di associazione ai prodotti originari del Sahara occidentale. Nella sua relazione dell’11 giugno 2018, la Commissione ha riferito in merito alla posizione del ricorrente sulla prevista conclusione dell’accordo controverso, facendo espressamente riferimento a tali scambi. Pertanto, benché non abbia partecipato alle trattative relative all’accordo controverso, il ricorrente può legittimamente sostenere di essere considerato come un interlocutore legittimo dalle istituzioni dell’Unione per quanto riguarda le questioni che possono concernere tale territorio, inclusa la possibilità di esprimere la sua posizione nei confronti della stipulazione di tale accordo.

99      In terzo luogo, occorre ricordare che, al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, la Corte ha ritenuto che, tenuto conto degli elementi richiamati al punto 105 della stessa sentenza (v. precedente punto 91), il popolo del Sahara occidentale dovesse essere considerato come un «terzo» ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati, sul quale, in quanto tale, poteva incidere l’attuazione dell’accordo di associazione in caso di inclusione del territorio del Sahara occidentale nell’ambito di applicazione di detto accordo, cosicché detta attuazione doveva, in ogni caso, avere il suo consenso.

100    Orbene, tramite il ricorso in esame, il ricorrente intende difendere il diritto all’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, con la motivazione che, in sostanza, la decisione impugnata, approvando la stipulazione di un accordo con il Regno del Marocco applicabile a tale territorio, senza il suo consenso, contrariamente a quanto avrebbe statuito la Corte (v. precedente punto 77), non rispetterebbe tale diritto. Di conseguenza, si deve ritenere che, in tale situazione particolare, i requisiti della tutela giurisdizionale effettiva impongano, in ogni caso, di riconoscere al ricorrente la capacità di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale per difendere tale diritto.

101    Alla luce dell’insieme di tali circostanze, il ricorrente deve essere qualificato come persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, munita della capacità di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione ai fini della proposizione del ricorso in esame. Tale capacità lascia impregiudicato l’obbligo ad esso incombente di dimostrare che esso soddisfa le altre condizioni di ricevibilità e, in particolare, che esso è legittimato ad agire nei confronti della decisione impugnata.

102    Gli argomenti del Consiglio, della Repubblica francese, della Commissione e della Comader non rimettono in discussione tale conclusione.

103    In primo luogo, poiché è pacifico che il ricorrente si è visto riconoscere, dagli organi dell’ONU, la qualità di rappresentante del popolo del Sahara occidentale nell’ambito del processo di autodeterminazione di tale territorio non autonomo, i loro argomenti relativi al fatto che esso non sarebbe l’unico rappresentante del popolo del Sahara occidentale e che la sua rappresentatività rispetto a tale popolo sarebbe limitata a detto processo devono essere, in ogni caso, respinti. Lo stesso vale per gli argomenti vertenti sulla circostanza che esso non è stato definito esplicitamente dagli organi dell’ONU come un movimento di liberazione nazionale o sul fatto che non gli è stato riconosciuto lo status di osservatore presso tali organi. Per le stesse ragioni, l’argomento in base al quale esso sarebbe dotato soltanto di una personalità giuridica tutt’al più «funzionale» o «transitoria» è destinato ad essere respinto. Infatti, tali argomenti vertono unicamente sui limiti del ruolo e della rappresentatività del ricorrente, ma non ne rimettono in discussione l’esistenza.

104    In secondo luogo, quanto all’argomento della Comader relativo all’asserita assenza di indipendenza del ricorrente rispetto alla RASD, è giocoforza constatare che è in quanto rappresentante del popolo del Sahara occidentale, e non per rappresentare la RASD, che al ricorrente è stato riconosciuto il diritto di partecipare al processo relativo allo status definitivo di tale territorio condotto sotto l’egida del l’ONU e che esso ha assunto obblighi connessi a tale processo. In ogni caso, come rilevato dal ricorrente, dall’integralità dell’articolo 31 della «costituzione» della RASD, citata parzialmente dalla Comader a sostegno del suo argomento, risulta che tale testo riconosce al ricorrente un’autonomia come organizzazione politica incaricata di strutturare e promuovere la lotta per l’indipendenza di detto territorio. Gli elementi prodotti dalla Comader non consentono dunque di ritenere che i legami del ricorrente con la RASD lo priverebbero dell’autonomia e della responsabilità necessarie per agire nell’ambito di rapporti giuridici.

105    In terzo luogo, la capacità di stare in giudizio del ricorrente non viene rimessa in discussione dalla circostanza addotta in base alla quale non esisterebbe fra il ricorrente e l’Unione, o fra il ricorrente e gli Stati membri, alcun tipo di rapporto giuridico, dal quale discenderebbero, per lo stesso, diritti e obblighi e che costituirebbe, da parte dell’Unione o degli Stati membri, una forma di «riconoscimento internazionale».

106    Occorre rammentare in proposito che l’Unione è un’unione di diritto nel senso che né i suoi Stati membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale fondamentale costituita dai Trattati UE e FUE e che quest’ultimo ha istituito un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia dell’Unione europea il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 281 e giurisprudenza citata).

107    Nel caso di specie, il Tribunale è chiamato a pronunciarsi su un ricorso di annullamento avverso un atto dell’Unione, sul quale lo stesso è competente a statuire ai sensi dell’articolo 256, paragrafo 1, e dell’articolo 263 TFUE. Inoltre, il ricorrente sostiene di essere interessato direttamente e individualmente dalla decisione impugnata, in quanto rappresentante del popolo del Sahara occidentale. Infine, le istituzioni sono tenute a rispettare il diritto di autodeterminazione di tale popolo, che il ricorrente intende difendere nell’ambito del presente ricorso. Di conseguenza, nella fase dell’esame della sua capacità di stare in giudizio, l’esistenza di un rapporto giuridico fra l’Unione e il ricorrente, che occorrerà verificare nell’ambito dell’esame dell’incidenza diretta e individuale nei confronti di quest’ultimo da parte della decisione impugnata, non può essere esclusa. Tale analisi non può essere rimessa in discussione dal riferimento fatto dal Consiglio al punto 22 dell’ordinanza del 3 aprile 2008, Landtag Schleswig-Holstein/Commissione (T‑236/06, EU:T:2008:91), che, come rilevato dal ricorrente, è irrilevante nel caso di specie. Infatti, tale punto di detta ordinanza concerne la qualità di persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, di un’entità infra-statale di uno Stato membro.

108    In ogni caso, al precedente punto 98 si è già rilevato che le istituzioni avevano preso atto della rappresentatività del ricorrente e che esse lo trattavano come un interlocutore legittimo per quanto riguardava la questione del Sahara occidentale. Il fatto che esso non sia destinatario di alcun atto dell’Unione non è dunque determinante ai fini della valutazione della sua capacità di stare in giudizio.

109    In quarto luogo, contrariamente a quanto sostenuto, in sostanza, dalla Commissione, il Tribunale, riconoscendo al ricorrente la capacità di stare in giudizio dinanzi al medesimo, non si trasforma in organo giurisdizionale «quasi internazionale» che può essere adito da una parte di una «controversia» internazionale, persino priva di personalità giuridica ai sensi del diritto di uno Stato membro o di uno Stato terzo.

110    Infatti, da un lato, è già stato ricordato che la presente lite verteva su un ricorso di annullamento di un atto dell’Unione. Essa non verte sulla «controversia» internazionale della quale il ricorrente è parte.

111    Dall’altro, un accordo internazionale o atti di un’organizzazione internazionale non possono pregiudicare il sistema delle competenze definito dai Trattati e, di conseguenza, l’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione di cui la Corte di giustizia dell’Unione europea assicura il rispetto in forza della competenza esclusiva di cui essa è investita a norma dell’articolo 19 TUE. Inoltre, occorre rilevare che la Carta delle Nazioni Unite non impone ai membri dell’ONU o alle organizzazioni regionali composte da taluni di essi, come l’Unione, un modello prestabilito per assicurare, nel proprio ordinamento giuridico interno, il rispetto o la presa in considerazione delle risoluzioni dei suoi organi (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti 282 e 298).

112    Di conseguenza, nel caso di specie, è necessario soltanto che il ricorrente soddisfi le condizioni di ricevibilità proprie del diritto dell’Unione, e in particolare le condizioni risultanti dalla nozione di persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Il riconoscimento della capacità di stare in giudizio del ricorrente nell’ambito della presente controversia non determina dunque in alcun caso la trasformazione del Tribunale in «organo giurisdizionale quasi internazionale», posto che tale riconoscimento viene effettuato nell’ambito ristretto dell’esercizio delle competenze conferite a quest’ultimo dal diritto dell’Unione.

113    In quinto luogo, per quanto riguarda l’affermazione della Commissione in base alla quale il Tribunale si sostituirebbe alle istituzioni che gestiscono le relazioni esterne dell’Unione e adotterebbe una decisione «politica» riconoscendo al ricorrente la capacità di stare in giudizio, occorre ricordare che l’esercizio delle competenze attribuite alle istituzioni dell’Unione nel campo internazionale non può tuttavia essere sottratto al controllo giurisdizionale. Del resto, il giudice dell’Unione non può far prevalere considerazioni di politica internazionale e di opportunità sulle norme in materia di ricevibilità di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE, circostanza che andrebbe al di là delle sue competenze (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 25 settembre 2019, Magnan/Commissione, T‑99/19, EU:T:2019:693, punti 34 e 42 e la giurisprudenza ivi citata).

114    Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che la censura di irricevibilità del Consiglio vertente sul difetto di capacità di stare in giudizio del ricorrente deve essere respinta.

2.      Sulla validità del mandato rilasciato dal ricorrente al suo avvocato

115    La Comader esprime dubbi sulla validità del mandato conferito dal ricorrente al suo avvocato. Infatti, essa si chiede se tale mandato possa essere validamente firmato dal «segretario politico» del ricorrente, come nel caso di specie. Inoltre, la funzione di «segretario politico» non sarebbe menzionata nell’estratto dello statuto del ricorrente prodotto da quest’ultimo. Essa chiede al Tribunale di verificare la regolarità di tale mandato. Essa sostiene che, in ipotesi di mancata regolarità, il ricorso deve essere dichiarato irricevibile sul fondamento, in particolare, dell’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

116    Interrogato al riguardo nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento del 17 dicembre 2020, in primo luogo, il ricorrente afferma di non essere una «persona giuridica di diritto privato» ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento di procedura. In secondo luogo, esso fa valere che tutti i ricorsi da esso presentati dal 2012 lo sono stati sulla base di mandati firmati dal suo «segretario politico», senza che la validità di tali mandati sia mai stata messa in discussione. In terzo luogo, il «segretariato dell’organizzazione politica», a capo del quale si troverebbe il firmatario del mandato, farebbe parte delle «strutture principali del Fronte» e sarebbe oggetto degli articoli da 119 a 130 del suo statuto. In quarto luogo, tale firmatario e le sue funzioni sarebbero perfettamente identificate da documenti disponibili online. Da tutti siffatti elementi risulterebbe che, in conformità alla giurisprudenza, non sussisterebbe alcun dubbio sull’intenzione del ricorrente di presentare il ricorso in esame. A sostegno di tali argomenti, il ricorrente fornisce il testo integrale del suo statuto, approvato in occasione del suo quattordicesimo congresso, tenutosi dal 16 al 23 dicembre 2015, nonché i documenti disponibili online ai quali esso si riferisce.

117    In via preliminare, occorre ricordare che spetta al giudice dell’Unione esaminare d’ufficio le eccezioni di irricevibilità di ordine pubblico, anche qualora esse siano state sollevate, per la prima volta, da una parte interveniente (v., per analogia, sentenza del 14 aprile 2005, Sniace/Commissione, T‑88/01, EU:T:2005:128, punto 52 e giurisprudenza citata).

118    A tal riguardo, da un lato, si può ricordare che il ricorrente non è una persona giuridica di diritto privato costituita in forza del diritto di uno Stato membro o di uno Stato terzo (v. precedente punto 88).

119    Inoltre, come risulta dai precedenti punti da 91 a 114, il ricorrente è dotato della capacità di stare in giudizio dinanzi al giudice dell’Unione in quanto persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

120    Orbene, occorre ricordare che le disposizioni dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e del regolamento di procedura, in particolare quelle relative alle persone giuridiche di diritto privato, come l’articolo 51, paragrafo 3, e l’articolo 78, paragrafo 4, di tale regolamento, non sono state concepite in funzione della proposizione di ricorsi da parte di organizzazioni prive di personalità giuridica costituita in forza del diritto interno. In tale situazione, le regole di procedura che disciplinano la ricevibilità di un ricorso di annullamento devono essere applicate adattandole, nella misura necessaria, alle circostanze del caso di specie (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio, C‑229/05 P, EU:C:2007:32, punto 114).

121    Dall’altro lato e in ogni caso, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento di procedura, gli avvocati, quando la parte che rappresentano è una persona giuridica di diritto privato, sono tenuti a depositare in cancelleria un mandato rilasciato da quest’ultima. Per contro, il regolamento di procedura non contiene un obbligo, per le persone giuridiche di diritto privato, di fornire la prova che tale mandato conferito all’avvocato sia stato regolarmente redatto da un rappresentante abilitato a tal fine.

122    Ciò premesso, affinché il suo ricorso sia ricevibile, ogni entità deve dimostrare non solo la sua capacità di stare in giudizio, ma anche il fatto che essa ha effettivamente preso la decisione di presentare il ricorso e che gli avvocati che sostengono di rappresentarla hanno effettivamente ricevuto un mandato a tal fine (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2019, BCE e a./Trasta Komercbanka e a., C‑663/17 P, C‑665/17 P e C‑669/17 P, EU:C:2019:923, punto 57).

123    Nel caso di specie, il mandato conferito dal ricorrente all’avvocato, prodotto al fine di conformarsi all’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento di procedura, è rilasciato a nome del ricorrente e firmato, in data 12 aprile 2019, da A, designato come «segretario politico» di tale organizzazione.

124    A tal riguardo, in primis, la determinazione degli organi del ricorrente abilitati ad adottare la decisione di proporre il ricorso non può essere effettuata, per definizione, alla luce di un diritto interno qualsiasi, non essendo il ricorrente disciplinato da un siffatto diritto. Inoltre, nessuna disciplina dell’Unione è stata adottata in materia (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2019, BCE e a./Trasta Komercbanka e a., C‑663/17 P, C‑665/17 P e C‑669/17 P, punto 58). Occorre pertanto pronunciarsi su tale questione facendo riferimento al solo statuto di tale organizzazione, versato nel fascicolo nell’ambito della sua risposta ai quesiti del Tribunale del 25 gennaio 2021.

125    Anzitutto, come risulta dalle spiegazioni del ricorrente e dai documenti forniti a sostegno, il cui contenuto non è contestato, l’espressione «segretario politico» deve essere intesa come riferita alla persona a capo dell’organo denominato, nel suo statuto, «Segretariato dell’organizzazione politica». Non è poi neanche contestato che, come risulta, del resto, in modo esplicito da detti documenti, la persona che ha firmato il mandato conferito dal ricorrente all’avvocato svolgeva effettivamente le funzioni di «segretario politico» del ricorrente alla data di proposizione del ricorso.

126    Inoltre, ai sensi dell’articolo 92, punto 7, dello statuto del ricorrente, il segretariato nazionale, che, in base all’articolo 76 dello stesso statuto, costituisce l’«organo supremo» del ricorrente «nel periodo tra i due Congressi», ha le funzioni, segnatamente, di «[r]appresentare il Fronte nei suoi rapporti con i partiti politici, i governi, i movimenti di liberazione, nonché le altre organizzazioni». Ai sensi dell’articolo 120 del medesimo statuto, «il Segretariato dell’Organizzazione politica assicura l’attuazione e il monitoraggio delle decisioni e dei programmi del Segretariato nazionale e del suo Ufficio connessi alla natura e alle funzioni dell’Organizzazione politica».

127    Da tali articoli dello statuto del ricorrente si può quindi dedurre, come confermato da quest’ultimo in udienza, che l’attuazione delle decisioni del segretariato nazionale nei suoi rapporti con i governi e le altre organizzazioni, segnatamente con l’Unione, può rientrare nella competenza del segretariato dell’organizzazione politica e che, a tale titolo, A era abilitato a firmare il mandato dell’avvocato del ricorrente.

128    È vero che la Comader ha fatto valere, in udienza, che il ruolo del «segretario politico» di rappresentanza presso organizzazioni internazionali, come l’Unione, e presso organi giurisdizionali, come il Tribunale, non risultava dall’elenco dei compiti del segretariato dell’organizzazione politica, di cui agli articoli 122 e 131 del suo statuto, e che tale ruolo sembrava piuttosto discendere dalla sola competenza del segretariato nazionale.

129    Tuttavia, da un lato, come è già stato rilevato, la determinazione degli organi del ricorrente abilitati ad adottare la decisione di proporre il ricorso non dipende dalle norme di un ordinamento giuridico interno qualsiasi. Inoltre, occorre tenere conto della natura di tale organizzazione, la quale non è stata costituita in base alle norme usualmente applicabili ad una persona di diritto privato o di diritto pubblico istituita in forza di un siffatto ordinamento giuridico (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio, C‑229/05 P, EU:C:2007:32, punto 121). Dall’altro lato, l’articolo 120 dello statuto conferisce al segretariato dell’organizzazione politica la competenza ad attuare e monitorare le decisioni e i programmi del segretariato nazionale e dagli articoli 122 e 131 di tale statuto non risulta che l’elenco dei suoi compiti, ivi figurante, sia esaustivo.

130    Da tali considerazioni si deve quindi dedurre che, nel caso di specie, A, «segretario politico» del ricorrente, era abilitato ad attuare la decisione dell’«organo supremo» di quest’ultimo, ossia il segretariato nazionale, di proporre il presente ricorso.

131    Inoltre, si può rilevare che l’avvocato del ricorrente, membro dell’ordine forense di uno Stato membro e sottoposto, in quanto tale, ad un codice di deontologia professionale, ha dichiarato, nella risposta ai quesiti del Tribunale del 25 gennaio 2021, che il ricorrente aveva «effettivamente avuto l’intenzione di proporre il [ricorso]» e che «la sua determinazione ad ottenere il rispetto effettivo delle sentenze della Corte [era] totale», circostanza confermata in udienza (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio, C‑229/05 P, EU:C:2007:32, punto 119).

132    Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che i dubbi della Comader concernenti la validità del mandato conferito dal ricorrente al suo avvocato devono essere respinti.

3.      Sulla seconda censura di irricevibilità del Consiglio, relativa al difetto di legittimazione ad agire del ricorrente

133    Nell’ambito della seconda censura di irricevibilità, il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, fa valere che il ricorrente, il quale non è destinatario della decisione impugnata, non è interessato direttamente e individualmente dalla stessa.

134    Il ricorrente, da parte sua, sostiene di essere interessato direttamente e individualmente dalla decisione impugnata, nella misura in cui l’accordo controverso si applica al Sahara occidentale e interessa, per tale ragione, il popolo di detto territorio.

135    In via preliminare, da un lato, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, un atto come la decisione impugnata, che approva un accordo internazionale concluso dall’Unione, è impugnabile (v., in tal senso, sentenze del 9 agosto 1994, Francia/Commissione, C‑327/91, EU:C:1994:305, punti da 14 a 17; del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti da 285 a 289, e Western Sahara Campaign UK, punti da 45 a 51). Infatti, la decisione di conclusione di un accordo internazionale costituisce un «atto», ai sensi dell’articolo 263 TFUE, nozione che riguarda tutte le disposizioni adottate dalle istituzioni, a prescindere dalla loro forma, intese a produrre effetti di diritto obbligatori (v., in tal senso, ordinanza del 19 marzo 2019, Shindler e a./Consiglio, C‑755/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:221, punto 36 e giurisprudenza citata).

136    Dall’altro lato, occorre ricordare che l’articolo 263 TFUE opera una netta distinzione tra il diritto di ricorso delle istituzioni dell’Unione e degli Stati membri e quello delle persone fisiche e giuridiche. In tal senso, mentre, in conformità al secondo comma di tale articolo, le istituzioni e gli Stati membri hanno il diritto di contestare, con un ricorso di annullamento, la legittimità di qualsiasi «atto», ai sensi di detto articolo, senza che l’esercizio di tale diritto sia subordinato alla dimostrazione di un interesse ad agire o di una legittimazione ad agire, il quarto comma dell’articolo di cui trattasi dispone che le persone fisiche e giuridiche possono proporre un ricorso contro gli atti adottati nei loro confronti o che li riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che li riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione (v. sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punti 53 e 54 e giurisprudenza citata; v. parimenti, in tal senso, ordinanza del 19 marzo 2019, Shindler e a./Consiglio, C‑755/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:221, punti 38 e 39).

137    Nel caso di specie, il ricorrente non è il destinatario della decisione impugnata né dell’accordo controverso.

138    A tal riguardo, da un lato, occorre sottolineare che gli accordi internazionali conclusi dall’Unione occupano una posizione particolare nel suo ordinamento giuridico dal momento che, in forza dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, siffatti accordi vincolano le istituzioni dell’Unione e, di conseguenza, prevalgono sugli atti dell’Unione, e più precisamente sugli atti legislativi (v., in tal senso, sentenza del 18 marzo 2014, Z., C‑363/12, EU:C:2014:159, punti 71 e 72 e giurisprudenza citata). Dall’altro, occorre rilevare che le modalità specifiche di adozione della decisione impugnata, fondata sull’articolo 218, paragrafo 6, lettera a), i), TFUE, richiedono l’approvazione del Parlamento europeo e riflettono dunque, sul piano esterno, la ripartizione dei poteri tra il Parlamento e il Consiglio applicabile per quanto riguarda l’adozione, a livello interno, degli atti legislativi (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio, C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 55).

139    Di conseguenza, il ricorso del ricorrente avverso la decisione impugnata non può essere assoggettato a condizioni di ricevibilità meno restrittive di quelle applicabili ad un ricorso contro gli atti legislativi, i quali non sono interessati dall’attenuazione di tali condizioni prevista all’articolo 263, quarto comma, terza parte di frase, TFUE, dal momento che la nozione di atto regolamentare ai sensi di questa ultima parte di frase esclude proprio tali atti (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punti 60 e 61, e del 6 novembre 2018, Scuola Elementare Maria Montessori/Commissione, Commissione/Scuola Elementare Maria Montessori e Commissione/Ferracci, da C‑622/16 P a C‑624/16 P, EU:C:2018:873, punti 23, 24 e 28).

140    Ne consegue che incombe al ricorrente dimostrare di essere direttamente ed individualmente interessato dalla decisione impugnata, circostanza che, del resto, esso non contesta. Occorre iniziare con l’esame dell’incidenza diretta nei confronti del ricorrente.

a)      Sullincidenza diretta nei confronti del ricorrente

141    Il Consiglio sostiene che il ricorrente non soddisfa i criteri fissati dalla giurisprudenza per stabilire se una persona fisica o giuridica sia direttamente interessata dall’atto impugnato. A tal riguardo, esso sostiene che il ricorrente non è destinatario dell’atto impugnato e che quest’ultimo non produce, nei suoi confronti, effetti giuridici. Infatti, secondo il Consiglio, la decisione impugnata produce effetti giuridici soltanto nei confronti dell’Unione o delle sue istituzioni, e non nei confronti di terzi. Peraltro, il Consiglio ritiene che la decisione impugnata non produca effetti al di fuori dell’ambito di applicazione dei Trattati. Inoltre, esso sostiene che, fondandosi sugli effetti dell’accordo controverso su un territorio al di fuori dell’Unione per determinare l’incidenza diretta nei confronti del ricorrente, il Tribunale sarebbe indotto a pronunciarsi sulla legittimità dei diritti e degli obblighi del Regno del Marocco risultanti da detto accordo, al quale quest’ultimo ha liberamente e sovranamente acconsentito, il che eccederebbe le sue competenze. Nella controreplica, il Consiglio aggiunge che, anche ammettendo che la decisione impugnata produca effetti al di fuori del territorio dell’Unione, l’accordo controverso può unicamente riguardare gli operatori attivi nei settori economici interessati.

142    Da parte sua, il ricorrente fa valere di soddisfare i due criteri che devono entrambi sussistere ai fini del soddisfacimento della condizione dell’incidenza diretta. Infatti, da un lato, esso deduce dalla sentenza Consiglio/Fronte Polisario che, poiché la decisione impugnata reca conclusione di un accordo che include esplicitamente il territorio del Sahara occidentale e le sue risorse naturali nel suo ambito di applicazione senza il consenso del popolo di tale territorio, detto accordo interessa direttamente quest’ultimo, in quanto soggetto terzo rispetto all’accordo. Solo per tale fatto, detto accordo produrrebbe effetti sulla sua situazione giuridica, in quanto solo ed unico rappresentante di tale popolo. Dall’altro, esso afferma che, poiché l’oggetto dell’accordo è costituito unicamente dall’estensione della zona geografica interessata dalle preferenze tariffarie, la sua attuazione ha un carattere meramente automatico e non richiede l’adozione di altre norme intermedie.

143    L’argomento fatto valere dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader si ricollega, in sostanza, a quello del Consiglio.

144    In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la condizione secondo la quale una persona fisica o giuridica deve essere direttamente interessata dalla decisione oggetto del ricorso, come prevista all’articolo 263, quarto comma, TFUE, richiede la compresenza di due criteri cumulativi. In primo luogo, il provvedimento dell’Unione contestato deve produrre effetti direttamente sulla situazione giuridica del singolo. In secondo luogo, esso non deve riconoscere alcun potere discrezionale ai propri destinatari, che sono incaricati della sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie (v. sentenza del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C‑463/10 P e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punto 66 e giurisprudenza citata; ordinanza del 6 marzo 2012, Northern Ireland Department of Agriculture and Rural Development/Commissione, T‑453/10, non pubblicata, EU:T:2012:106, punto 42).

145    Occorre dunque esaminare, in maniera distinta, se il ricorrente soddisfi ciascuno di tali due criteri.

1)      Sul rispetto, da parte del ricorrente, del primo criterio dell’incidenza diretta, in base al quale il provvedimento contestato deve produrre effetti direttamente sulla sua situazione giuridica

146    Per quanto riguarda il rispetto del primo dei criteri dell’incidenza diretta, dall’argomento del Consiglio, della Repubblica francese, della Commissione e della Comader risulta che la loro contestazione dell’esistenza di effetti diretti della decisione impugnata sulla situazione giuridica del ricorrente consta, in sostanza, di tre parti. La prima è fondata sugli effetti giuridici intrinseci di una decisione di conclusione, a nome dell’Unione, di un accordo internazionale. La seconda è relativa agli effetti giuridici specifici della decisione impugnata, alla luce della sua applicazione territoriale. La terza riguarda l’assenza di modifica della situazione giuridica del ricorrente, considerato il suo ruolo limitato alla partecipazione al processo di autodeterminazione del Sahara occidentale.

i)      Sulla prima parte dell’argomento del Consiglio, relativo agli effetti giuridici intrinseci di una decisione di conclusione, a nome dell’Unione, di un accordo internazionale

147    Da un lato, il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese, fa valere, in sostanza, che una decisione di conclusione, a nome dell’Unione, di un accordo internazionale non produce effetti nei confronti dei terzi e che gli asseriti effetti dell’accordo controverso nei confronti del ricorrente non possono essere invocati per dimostrare che la sua situazione giuridica è interessata da tale decisione. Dall’altro, il Consiglio, sostenuto, in sostanza, dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, afferma che una decisione di tale natura può produrre effetti giuridici soltanto all’interno dell’Unione.

148    Da parte sua, il ricorrente fa valere, da un lato, che la decisione impugnata, in quanto reca conclusione dell’accordo controverso, è indissociabile da quest’ultimo, salvo sottrarre un simile atto, il quale è impugnabile, al controllo di legittimità effettuato dal giudice, e, dall’altro, che la decisione impugnata reca conclusione di un accordo che include esplicitamente il territorio del Sahara occidentale e le sue risorse naturali nel suo ambito di applicazione. Infine, esso sostiene che, in ogni caso, l’incidenza nei confronti del Sahara occidentale discende dal diritto dell’Unione, giacché l’importazione nel territorio dell’Unione di prodotti originari del Sahara occidentale con certificati di origine marocchina non tiene debito conto dello status separato e distinto di tale territorio.

149    A tal riguardo, in primo luogo, occorre rilevare che una decisione di conclusione di un accordo internazionale, la quale è fondata sull’articolo 218, paragrafo 6, TFUE, non può essere confusa con le decisioni adottate in base ai paragrafi 3 e 4 di tale articolo, che riguardano lo svolgimento di negoziati internazionali e producono dunque, in linea di principio, effetti giuridici soltanto nei rapporti fra l’Unione e i suoi Stati membri, nonché fra le istituzioni dell’Unione (v. ordinanza dell’8 febbraio 2019, Fronte Polisario/Consiglio, T‑376/18, non pubblicata, EU:T:2019:77, punti 28 e 30 e giurisprudenza citata).

150    Infatti, una decisione di conclusione di un accordo internazionale materializza il consenso dell’Unione ad essere vincolata da tale accordo [v., in tal senso, parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza), del 6 dicembre 2001, EU:C:2001:664, punto 5]. Essa è dunque un elemento costitutivo di detto accordo, allo stesso titolo dell’atto con il quale le altre parti dell’accordo in questione vi hanno esse stesse aderito [v., in tal senso e per analogia, parere 1/13 (Adesione di Stati terzi alla convenzione dell’Aia), del 14 ottobre 2014, EU:C:2014:2303, punti da 39 a 41 e 65]. Pertanto, siffatta decisione produce effetti giuridici nei confronti di tali parti, nella misura in cui formalizza l’accettazione da parte dell’Unione degli impegni verso le medesime, che la stessa ha sottoscritto nell’ambito dell’accordo interessato.

151    Inoltre, in conformità alla norma consuetudinaria codificata all’articolo 29 della convenzione di Vienna, un accordo internazionale, in deroga alla regola generale secondo la quale un siffatto atto vincola ciascuna delle parti rispetto all’intero suo territorio, può vincolare uno Stato rispetto a un altro territorio se una siffatta intenzione si ricava da tale trattato o risulta per altra via. In tale contesto, un simile accordo può riguardare un terzo, ai sensi del principio di diritto internazionale generale dell’effetto relativo dei trattati, il quale deve acconsentirvi (v., in tal senso, sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti 94, 98, 103 e 106).

152    Di conseguenza, alla luce del carattere indissociabile di un siffatto accordo internazionale e della decisione di conclusione del medesimo, a nome dell’Unione, gli effetti dell’attuazione di tale accordo sulla situazione giuridica di tale terzo sono rilevanti al fine di valutare l’incidenza diretta di detta decisione nei confronti di quest’ultimo o del suo rappresentante.

153    Ne consegue che erroneamente il Consiglio afferma che, per sua natura, la decisione impugnata produrrebbe effetti soltanto nei confronti dell’Unione e delle sue istituzioni. Per le stesse ragioni, deve essere respinto l’argomento della Repubblica francese secondo il quale la decisione impugnata non produrrebbe, da sola, effetti giuridici nei confronti del ricorrente, poiché essa non sarebbe sufficiente a far entrare in vigore l’accordo controverso, sulla base del rilievo che tale entrata in vigore richiede una ratificazione secondo le procedure applicabili. Infatti, tale concezione si basa, come rilevato dal ricorrente, sulla premessa in base alla quale gli effetti giuridici della decisione impugnata e dell’accordo controverso sono dissociabili. Orbene, per le ragioni esposte ai precedenti punti da 149 a 152, tale premessa è erronea.

154    In secondo luogo, come ricordato dalla stessa Repubblica francese, un ricorso di annullamento proposto avverso un accordo internazionale deve essere inteso nel senso che esso è rivolto contro la decisione che lo ha concluso a nome dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 9 agosto 1994, Francia/Commissione, C‑327/91, EU:C:1994:305, punti da 15 a 17). Analogamente, la Corte ha dichiarato che, nella misura in cui gli accordi internazionali conclusi dall’Unione vincolavano non soltanto le sue istituzioni, ma anche gli Stati terzi parti di tali accordi, occorreva ritenere che una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla validità di un accordo internazionale concluso dall’Unione dovesse essere intesa come riferita all’atto con il quale l’Unione aveva concluso un tale accordo internazionale (v. sentenza Western Sahara Campaign UK, punti 49 e 50 e giurisprudenza citata).

155    Tuttavia, alla luce della competenza della Corte, sia nell’ambito di un ricorso di annullamento sia in quello di una domanda di pronuncia pregiudiziale, per valutare se un accordo internazionale concluso dall’Unione sia compatibile con i trattati e con le norme di diritto internazionale che vincolano quest’ultima, è stato dichiarato che il controllo di validità di una decisione di conclusione di un accordo internazionale da parte della Corte, nel contesto di una questione pregiudiziale, poteva vertere sulla legittimità di tale atto alla luce del contenuto stesso dell’accordo internazionale in questione (v. sentenza Western Sahara Campaign UK, punti 48 e 51 e giurisprudenza citata).

156    Tali considerazioni sono applicabili all’ipotesi di un ricorso di annullamento proposto da una persona giuridica, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, contro una decisione di conclusione di un accordo internazionale, come il ricorso in esame, sul quale, in conformità all’articolo 256, paragrafo 1, TFUE, il Tribunale è competente a statuire.

157    Infatti, dal momento che una siffatta decisione costituisce un atto impugnabile e che le persone fisiche e giuridiche sono legittimate a chiederne l’annullamento, purché soddisfino le condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE, esse possono chiedere al Tribunale, nell’ambito del loro ricorso, di controllare la legittimità di tale decisione alla luce del contenuto stesso dell’accordo da essa approvato. Ogni altra interpretazione porterebbe, come rilevato in sostanza dal ricorrente, a sottrarre, in larga misura, la decisione impugnata al controllo della sua legittimità nel merito, il che sarebbe incompatibile con il principio della tutela giurisdizionale effettiva.

158    Di conseguenza, l’esame dell’incidenza diretta e individuale nei confronti di una persona fisica o giuridica da parte di una siffatta decisione deve prendere in considerazione, se del caso, gli effetti prodotti sulla sua situazione giuridica dall’accordo internazionale concluso in forza di tale decisione (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 24 giugno 2020, Price/Consiglio, T‑231/20 R, non pubblicata, EU:T:2020:280, punti da 39 a 43).

159    In caso contrario, ciò equivarrebbe, in sostanza, a privare le persone fisiche e giuridiche, interessate direttamente e individualmente dalle pattuizioni dell’accordo internazionale in questione, della possibilità di chiedere al giudice dell’Unione di verificare se queste ultime siano compatibili con i trattati e con le norme di diritto internazionale che, conformemente agli stessi, vincolano l’Unione (v., in tal senso, Western Sahara Campaign UK, punto 48 e giurisprudenza citata) e, di conseguenza, di verificare se essa abbia potuto legittimamente acconsentire ad essere vincolata da tali pattuizioni.

160    Nel caso di specie, è stato constatato che il ricorrente, alla luce del suo ruolo di rappresentante del popolo del Sahara occidentale, era dotato della capacità di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione per difendere i diritti che tale popolo traeva dalle norme di diritto internazionale che vincolano l’Unione. Di conseguenza, come fatto valere in sostanza dal ricorrente, quest’ultimo deve poter far valere, al fine di dimostrare l’incidenza diretta e individuale nei suoi confronti, gli effetti dell’accordo controverso su tali diritti, salvo privare la tutela giurisdizionale effettiva degli stessi di una parte significativa del suo effetto utile.

161    In terzo luogo, per quanto riguarda la questione se gli effetti della decisione impugnata siano limitati al territorio dell’Unione, occorre distinguere, anzitutto, gli effetti di una decisione di conclusione di un accordo internazionale, fondata sull’articolo 218, paragrafo 6, TFUE, come la decisione impugnata, e quelli di una misura dell’Unione adottata a livello interno. In tal senso, nel caso di quest’ultima misura, in conformità alle norme rilevanti di diritto internazionale, la sua sfera di applicazione va circoscritta, in linea di principio, ai territori sui quali l’Unione esercita pienamente la sua giurisdizione (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punti 123 e 124 e giurisprudenza citata).

162    Per contro, una decisione come la decisione impugnata, che reca conclusione di un accordo bilaterale con il Regno del Marocco, produce necessariamente effetti nell’ordinamento giuridico internazionale. Infatti, come risulta dal precedente punto 150, una decisione di tal genere è destinata a produrre effetti giuridici nell’ambito dei rapporti fra l’Unione e tale paese terzo, in quanto elemento costitutivo dell’espressione di un concorso di volontà di tali due soggetti di diritto internazionale.

163    Peraltro, un accordo internazionale concluso dall’Unione è idoneo a produrre effetti giuridici nel territorio dell’altra parte dell’accordo oppure, come è stato ricordato al precedente punto 151, in un altro territorio, se una siffatta intenzione risulta da tale accordo o se è stata altrimenti accertata. Di conseguenza, tali effetti possono essere fatti valere al fine di dimostrare l’incidenza diretta e individuale nei confronti di una persona fisica e giuridica da parte della decisione di conclusione di tale accordo, nella misura in cui quest’ultima esprime il consenso dell’Unione a che detto accordo produca effetti di tal genere.

164    Inoltre, dalla giurisprudenza risulta che l’analisi degli effetti di un accordo, come l’accordo controverso, su un territorio diverso dal territorio dell’Unione, e segnatamente un territorio distinto da quello delle parti dell’accordo, alla luce delle pattuizioni di tale accordo e del contesto nel quale esso è stato concluso, può essere rilevante al fine di stabilire se una parte ricorrente che faccia valere tali effetti sia interessata direttamente dalla decisione di conclusione dell’accordo di cui trattasi.

165    Infatti, ai punti 81, 83 e 116 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, la Corte ha esaminato la fondatezza del ragionamento in base al quale il Tribunale, al punto 103 della sentenza del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953), aveva dichiarato che l’accordo di liberalizzazione si applicava anche al territorio del Sahara occidentale, al fine di stabilire se tale conclusione potesse costituire una premessa dell’analisi della legittimazione ad agire del ricorrente. Al termine della propria analisi dell’accordo di associazione e dell’accordo di liberalizzazione alla luce delle norme di diritto internazionale, la Corte ha dichiarato che tale interpretazione non poteva essere giustificata né dal testo dell’accordo di associazione, né da quello dell’accordo di liberalizzazione, né, infine, dalle circostanze che avevano caratterizzato la stipulazione di tali due accordi.

166    Orbene, nel caso di specie, il ricorrente, facendo valere la sentenza Consiglio/Fronte Polisario, si fonda sull’applicazione dell’accordo controverso nel territorio del Sahara occidentale e sulla qualità di terzo all’accordo, ai sensi dell’effetto relativo dei trattati, del popolo di detto territorio, per sostenere di essere direttamente interessato dalla decisione impugnata, in qualità di rappresentante di tale popolo.

167    Il fatto che, come sottolineato dal Consiglio e dalla Repubblica francese, gli effetti dell’accordo e la sua attuazione nel territorio dell’altra parte, ossia il Regno del Marocco, rientrino, in conformità ai principi del diritto internazionale rilevanti, nella competenza sovrana di quest’ultimo non può rimettere in discussione il diritto del ricorrente di far valere una siffatta incidenza diretta.

168    Infatti, da un lato, nel caso di specie, non sono gli effetti dell’accordo controverso né quelli della sua attuazione nel territorio del Marocco, ai sensi dell’articolo 94 dell’accordo di associazione, ad essere fatti valere dal ricorrente a sostegno dell’incidenza diretta nei suoi confronti, bensì quelli che esso produce, a suo avviso, nel territorio del Sahara occidentale.

169    Dall’altro lato, in ogni caso, l’analisi dell’incidenza diretta nei confronti del ricorrente con riferimento agli effetti che l’accordo controverso produce nel territorio del Sahara occidentale non determina che il Tribunale si pronunci sulla legittimità dei diritti e degli obblighi di uno Stato terzo, ossia, nella specie, il Regno del Marocco, derivanti dall’accordo controverso. Infatti, in conformità alla giurisprudenza (v. precedente punto 154), il Tribunale, nel caso di specie, non può pronunciarsi sulla legittimità del consenso di tale Stato terzo ai diritti e agli obblighi risultanti da detto accordo, ma soltanto sulla legittimità del consenso dell’Unione ai medesimi. Inoltre, i punti 90 e 94 dell’ordinanza del 3 luglio 2007, Commune de Champagne e a./Consiglio e Commissione (T‑212/02, EU:T:2007:194), citati dal Consiglio e dalla Repubblica francese in proposito, non possono rimettere in discussione le considerazioni svolte ai precedenti punti da 161 a 165, fondate sulla giurisprudenza della Corte successiva alla pronuncia di tale ordinanza.

170    In ogni caso, come rilevato dal ricorrente, in sostanza, nella misura in cui l’accordo controverso disciplina l’importazione, nell’Unione, di prodotti originari del Sahara occidentale, gli effetti di tale accordo, e dunque della decisione impugnata, nel territorio dell’Unione sono idonei ad essere fatti valere ai fini dell’incidenza diretta nei suoi confronti.

171    Dalle suesposte considerazioni risulta che, alla luce della natura di una decisione di conclusione di un accordo internazionale e dei suoi effetti giuridici propri, l’esistenza di effetti diretti della decisione impugnata sulla situazione giuridica del ricorrente, in ragione del contenuto dell’accordo controverso, non può essere esclusa a priori. La prima parte dell’argomento del Consiglio deve pertanto essere respinta.

ii)    Sulla seconda parte dell’argomento del Consiglio, relativa agli effetti giuridici specifici della decisione impugnata, alla luce della sua applicazione territoriale

172    Il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, contesta l’esistenza di effetti giuridici della decisione impugnata e dell’accordo controverso sul territorio del Sahara occidentale. In tal senso, gli effetti di siffatti atti su tale territorio sarebbero meramente economici e non giuridici. Essi non creerebbero pertanto né diritti né obblighi nei confronti del popolo di tale territorio e non sarebbero opponibili al medesimo. In particolare, nell’ambito delle loro risposte scritte ai quesiti del Tribunale posti nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento del 17 dicembre 2020 e in udienza, il Consiglio, la Commissione e la Comader hanno affermato, in sostanza, che l’accordo controverso si applicava ai prodotti provenienti da tale territorio e non al territorio stesso.

173    Da parte sua, il ricorrente sostiene che, a causa dell’inclusione esplicita del territorio del Sahara occidentale e delle sue risorse naturali nell’ambito di applicazione dell’accordo controverso, quest’ultimo e dunque la decisione impugnata riguardano il popolo di tale territorio, alla luce del suo diritto all’autodeterminazione. Inoltre, a causa dell’introduzione nel territorio dell’Unione di prodotti provenienti dal Sahara occidentale con certificati di origine marocchina, l’incidenza nei confronti del popolo del Sahara occidentale discenderebbe, in ogni caso, dal diritto dell’Unione.

174    Tali argomenti esigono un’analisi distinta, da un lato, della questione dell’applicazione dell’accordo controverso al Sahara occidentale e, dall’altro, dell’incidenza nei confronti del popolo di tale territorio a causa di siffatta applicazione.

–       Sull’applicazione dell’accordo controverso al Sahara occidentale

175    A tal riguardo, in primo luogo, occorre ricordare che, come è stato rilevato al precedente punto 76, l’accordo controverso ha ad oggetto, per effetto dell’inserimento della dichiarazione comune sul Sahara occidentale dopo il protocollo n. 4, l’estensione ai prodotti provenienti dal Sahara occidentale esportati sotto il controllo delle autorità doganali marocchine, in base a pattuizioni espresse, dell’ambito di applicazione delle preferenze tariffarie concesse inizialmente nell’ambito dell’accordo di associazione ai prodotti di origine marocchina. Tale oggetto risulta esplicitamente dal paragrafo 1 di tale dichiarazione, nonché dai suoi paragrafi 2 e 3, i quali prevedono, da un lato, che il protocollo n. 4 sia applicabile «mutatis mutandis» ai fini della definizione del carattere originario di tali prodotti e, dall’altro, che le autorità doganali degli Stati membri e del Regno del Marocco siano responsabili dell’applicazione delle disposizioni dei protocolli n. 1 e n. 4 a detti prodotti (v. precedente punto 53).

176    In secondo luogo, occorre rilevare che, come si può dedurre dalla giurisprudenza, qualora, nell’ambito di un accordo internazionale, l’Unione acconsenta ad accordare preferenze tariffarie applicabili a prodotti esportati verso il suo territorio in funzione della zona geografica della quale tali prodotti sono originari, tale zona determina l’ambito di applicazione territoriale di tali preferenze (v., in tal senso, sentenze del 5 luglio 1994, Anastasiou e a., C‑432/92, EU:C:1994:277, punti 37 e 66; del 25 febbraio 2010, Brita, C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 64, e Consiglio/Fronte Polisario, punti 121 e 122).

177    Nel caso di specie, sebbene il Consiglio e la Commissione indichino che, nella prassi, i prodotti ai quali sono applicabili le pattuizioni di cui alla dichiarazione comune sul Sahara occidentale provengono dalla parte di tale territorio controllata dal Regno del Marocco, tale precisazione non rimette in discussione il fatto che dette pattuizioni sono idonee ad essere applicate a qualsiasi prodotto originario del Sahara occidentale e che viene esportato sotto il controllo delle autorità doganali del Marocco.

178    Inoltre, anche se, come indicato dal Consiglio e dalla Commissione, le preferenze tariffarie vengono applicate ai prodotti originari del Sahara occidentale al momento della loro importazione nel territorio dell’Unione, dalla dichiarazione comune sul Sahara occidentale risulta espressamente che la loro concessione dipende dalla conformità alle disposizioni del protocollo n. 4, incluse quelle relative alle prove dell’origine, della cui applicazione sono responsabili le autorità doganali marocchine.

179    Di conseguenza, l’accordo controverso produce effetti non solo nel territorio dell’Unione, ma anche nei territori sui quali le autorità doganali marocchine esercitano le loro competenze, inclusa la parte del Sahara occidentale controllata dal Regno del Marocco (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 febbraio 2010, Brita, C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 51).

180    Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, l’accordo controverso non produce unicamente effetti economici nel territorio del Sahara occidentale. Infatti, da un lato, è evidente che gli esportatori stabiliti nel Sahara occidentale, i cui prodotti possono beneficiare delle preferenze tariffarie da esso previste, sono tenuti ad assoggettarsi alle disposizioni del protocollo n. 4 dell’accordo di associazione, in conformità al paragrafo 2 della dichiarazione comune sul Sahara occidentale. Dall’altro, la soppressione totale o parziale dei dazi doganali sui prodotti che tali operatori esportano, al momento del loro ingresso nell’Unione, è disciplinata in maniera esaustiva dal protocollo n. 1 dell’accordo di associazione, sicché i vantaggi che essi possono trarne dipendono strettamente dall’applicazione delle disposizioni di quest’ultimo. Si deve dunque ritenere che l’accordo controverso produca effetti giuridici nei confronti di tali operatori.

181    In terzo luogo, dalle pattuizioni dell’accordo controverso risulta chiaramente che l’Unione e il Regno del Marocco hanno manifestato un’intenzione comune di applicare detto accordo al Sahara occidentale.

182    Infatti, da un lato, le dichiarazioni di tali parti contenute al terzo e al quarto comma dell’accordo controverso possono essere comprese unicamente in siffatta ipotesi. Così, ai sensi di detto terzo comma, tale accordo «è concluso senza pregiudizio delle rispettive posizioni dell’Unione europea sullo status del Sahara occidentale e del Regno del Marocco su tale regione». Analogamente, ai sensi del suo quarto comma, «le due parti riaffermano il loro sostegno al processo delle Nazioni Unite» in tale territorio e «appoggiano gli sforzi del segretario generale volti a pervenire a una soluzione politica definitiva».

183    Dall’altro, l’ottavo comma dell’accordo controverso istituisce, fra le parti, un meccanismo di scambi reciproci di informazioni per quanto riguarda, segnatamente, «i vantaggi per gli interessati» e «lo sfruttamento delle risorse naturali dei territori interessati». Orbene, alla luce della definizione della zona interessata dall’estensione geografica delle preferenze tariffarie operata da detto accordo, limitata al Sahara occidentale, tali due espressioni riguardano necessariamente, da una parte, i vantaggi per le popolazioni del medesimo e, dall’altra, lo sfruttamento delle risorse naturali di tale territorio. Detto meccanismo di monitoraggio riflette quindi gli obiettivi delle parti dell’accordo controverso di sviluppo economico del territorio in questione e di preservazione delle sue risorse naturali.

184    Tale intenzione comune dell’Unione e del Regno del Marocco è confermata dai considerando 5 e 6 della decisione impugnata, i quali enunciano chiaramente la volontà del Consiglio, muovendo dalla constatazione che la Corte ha considerato che «l’accordo di associazione riguardava unicamente il territorio del Regno del Marocco e non il Sahara occidentale», di «garantire che i flussi commerciali che si sono sviluppati nel corso degli anni» fra il Sahara occidentale e l’Unione «non siano perturbati, creando nel contempo adeguate salvaguardie del diritto internazionale, compresi i diritti umani» in tale territorio «e dello sviluppo sostenibile» del medesimo (v. precedente punto 51). Analogamente, dai considerando 7 e 10 della decisione impugnata risulta che, al fine di creare tali salvaguardie, la Commissione, da un lato, ha svolto una valutazione degli impatti delle preferenze tariffarie concesse ai prodotti del Sahara occidentale sulle popolazioni di tale territorio e dello sfruttamento delle sue risorse naturali e, dall’altro, ha «consulta[to]» le popolazioni di tale territorio «al fine di acquisire il loro consenso».

185    Ne consegue che il ricorrente può legittimamente sostenere che l’accordo controverso si applica al territorio del Sahara occidentale e che, pertanto, l’incidenza diretta nei suoi confronti da parte della decisione impugnata, la quale esprime il consenso dell’Unione ad una siffatta applicazione, può basarsi su tale premessa.

186    Tale analisi non è rimessa in discussione dall’interpretazione dell’accordo di associazione e dell’accordo di liberalizzazione adottata dalla Corte ai punti da 86 a 126 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario.

187    Infatti, nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte non ha escluso che una pattuizione contenuta in un accordo successivo all’accordo di associazione possa estendere espressamente l’ambito di applicazione di quest’ultimo al Sahara occidentale. Essa ha unicamente escluso che, in assenza di una siffatta pattuizione espressa, tale ambito di applicazione, il quale, per quanto riguarda il Regno del Marocco, è limitato in linea di principio al suo territorio, possa essere interpretato, alla luce dei principi di diritto internazionale applicabili, nel senso che esso si estende a tale territorio non autonomo (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti 86, 87, 92 e da 94 a 98).

188    In tal senso, in detta sentenza la Corte non ha esaminato una controversia relativa ad un accordo fra l’Unione e il Marocco, successivo all’accordo di associazione, contenente una pattuizione espressa che prevede l’estensione dell’ambito di applicazione del medesimo al Sahara occidentale, bensì, al contrario, una controversia relativa ad un accordo analogo privo di una siffatta pattuizione esplicita.

189    Orbene, nel caso di specie, come appena ricordato ai precedenti punti da 175 a 184, l’accordo controverso inserisce nell’ambito dell’accordo di associazione una dichiarazione comune che prevede esplicitamente l’estensione ai prodotti originari del Sahara occidentale delle preferenze tariffarie concesse dall’Unione al Regno del Marocco a titolo di detto accordo e che concretizza l’intento chiaro e univoco delle parti di istituire una base giuridica per una siffatta estensione. In particolare, si deve rilevare che, a differenza dell’accordo di liberalizzazione esaminato dalla Corte (v., in tal senso, sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 111 a 114), l’accordo controverso deve essere inteso nel senso che esso deroga all’articolo 94 dell’accordo di associazione, relativo all’ambito di applicazione territoriale di quest’ultimo, nella misura in cui è interessato l’ambito di applicazione del regime applicabile all’importazione nell’Unione dei prodotti agricoli, dei prodotti agricoli trasformati, dei pesci e dei prodotti della pesca, che costituisce l’oggetto del protocollo n. 1.

190    Inoltre, occorre rilevare che, se è vero che risulta segnatamente dall’articolo 31, paragrafo 3, lettera c), della convenzione di Vienna che gli accordi di un trattato devono essere interpretati tenendo conto di qualsiasi regola di diritto internazionale applicabile fra le parti, tale requisito non può servire da fondamento a un’interpretazione di detti accordi che sia contraria al loro testo, qualora il senso di questi ultimi sia chiaro e sia inoltre accertato che esso corrisponda a quello che le parti del trattato avevano inteso conferire loro (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 13 luglio 2018, Confédération nationale du Crédit mutuel/BCE, T‑751/16, EU:T:2018:475, punto 34 e giurisprudenza citata).

191    In particolare, l’attuazione del principio di interpretazione sancito all’articolo 31, paragrafo 3, lettera c), della convenzione di Vienna non deve essere incompatibile con il principio sancito al paragrafo 1 di tale articolo, ai sensi del quale un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

192    Inoltre, nel caso di specie, un’interpretazione delle disposizioni della dichiarazione comune sul Sahara occidentale nel senso che esse non si applicherebbero al territorio del Sahara occidentale avrebbe l’effetto di privare tale dichiarazione comune e, pertanto, l’accordo controverso, di tutta la sua sostanza (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 23 novembre 2016, Commissione/Stichting Greenpeace Nederland e PAN Europe, C‑673/13 P, EU:C:2016:889, punto 50). Infatti, come risulta dall’analisi effettuata ai precedenti punti da 175 a 184, tale accordo ha come unico oggetto l’estensione ai prodotti originari del Sahara occidentale, tramite tale dichiarazione comune, delle preferenze tariffarie concesse inizialmente ai prodotti di origine marocchina nell’ambito dell’accordo di associazione. Una siffatta interpretazione osterebbe, inoltre, a qualsiasi attuazione effettiva di detto accordo, il che non sarebbe conforme al principio di certezza del diritto.

193    In ogni caso, come è già stato rilevato al precedente punto 170, l’incidenza diretta nei confronti del ricorrente può risultare dagli effetti che l’accordo controverso e la decisione impugnata producono nel territorio dell’Unione, a causa della concessione delle preferenze tariffarie ai prodotti originari del Sahara occidentale al momento della loro importazione nell’Unione.

–       Sull’incidenza dell’accordo controverso nei confronti del popolo del Sahara occidentale, in quanto soggetto terzo rispetto al medesimo

194    In via preliminare, come ricordato dalla Corte al punto 100 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, in forza del principio di diritto internazionale generale dell’effetto relativo dei trattati, del quale la regola di cui all’articolo 34 della convenzione di Vienna costituisce un’espressione particolare, i trattati non devono né nuocere né operare a vantaggio di soggetti terzi senza il loro consenso. Nel caso di specie, come già ricordato dal Tribunale al punto 106 della medesima sentenza, la Corte ha ritenuto che, in applicazione di tale principio, il popolo del Sahara occidentale dovesse essere considerato come un «terzo» sul quale può incidere l’attuazione dell’accordo di associazione in caso d’inclusione del territorio del Sahara occidentale nell’ambito di applicazione di detto accordo. Inoltre, al medesimo punto di detta sentenza la Corte ne ha dedotto che una siffatta inclusione doveva, in ogni caso, avere il consenso di detto popolo, sia qualora una tale attuazione fosse tale da nuocergli sia qualora essa fosse tale da operare a suo vantaggio.

195    Tali considerazioni possono essere rilevanti per ogni pattuizione dell’accordo di associazione o di un accordo successivo che preveda esplicitamente la sua applicazione al Sahara occidentale. Infatti, dal momento che l’eventuale attuazione di un siffatto accordo in tale territorio sarebbe tale da interessare il popolo del medesimo, in quanto soggetto terzo, lo stesso vale, a maggior ragione, per la sua applicazione esplicita a detto territorio. Orbene, come è stato concluso al precedente punto 189, l’accordo controverso, che è successivo all’accordo di associazione, deroga all’articolo 94 di quest’ultimo, nella misura in cui esso estende esplicitamente a tale territorio il regime di importazione dei prodotti agricoli verso l’Unione previsto dal protocollo n. 1.

196    In ogni caso, dalla giurisprudenza si deve dedurre che la concessione di preferenze tariffarie ai prodotti originari del Sahara occidentale, al momento della loro importazione nell’Unione in base a certificati rilasciati dalle autorità doganali del Regno del Marocco, necessita del consenso del popolo di tale territorio (v., in tal senso, sentenza del 25 febbraio 2010, Brita, C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 52 e la giurisprudenza ivi citata).

197    Tale conclusione non viene rimessa in discussione dall’argomento della Comader, in base al quale l’accordo controverso non sarebbe opponibile, in ogni caso, al popolo del Sahara occidentale, sicché il ricorrente non potrebbe proporre un ricorso dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione.

198    A tal riguardo, da un lato, come risulta dal punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, l’incidenza di una convenzione internazionale nei confronti di un soggetto terzo rispetto alla stessa, ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati, costituisce una questione preliminare a quella se detto soggetto terzo abbia espresso il suo consenso alla convenzione di cui trattasi. Di conseguenza, anche supponendo che, come affermato dalla Comader, l’assenza di consenso di detto soggetto terzo a tale convenzione renda quest’ultima inopponibile sotto tale profilo, tale inopponibilità non inciderebbe sulla ricevibilità di un ricorso dinanzi al giudice dell’Unione, ai fini della difesa dei diritti di tale soggetto terzo interessato dalla convenzione di cui trattasi. In ogni caso, la ricevibilità di un ricorso fondato sull’articolo 263, quarto comma, TFUE è determinata unicamente dalle condizioni definite a tale articolo, come interpretate dalla giurisprudenza. Essa non può essere disciplinata dalle condizioni di opponibilità di un accordo internazionale a un soggetto terzo nell’ordinamento giuridico internazionale.

199    Dall’altro lato, si deve rilevare che le considerazioni della Comader relative all’asserita inopponibilità dell’accordo controverso al popolo del Sahara occidentale non sono tali da rimettere in discussione il fatto che la Corte ha constatato l’esistenza di un’incidenza eventuale nei confronti di tale popolo, quale soggetto terzo, ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati, ad un accordo fra l’Unione e il Regno del Marocco, nel caso in cui esso fosse attuato in tale territorio. Inoltre, per quanto riguarda il parere del professore di diritto internazionale pubblico sul quale si fonda la Comader, occorre rilevare che, anche se il giudice dell’Unione è legittimato, se del caso, ad ispirarsi a scritti di dottrina ai fini dell’esame di una questione che non è ancora stata affrontata dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 1957, Algera e a./Assemblea comune, 7/56 e da 3/57 a 7/57, EU:C:1957:7, pag. 115), il Tribunale non può, invece, fondarsi su siffatti scritti per rimettere in discussione l’interpretazione del diritto internazionale adottata dalla Corte.

200    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’ambito di applicazione territoriale dell’accordo controverso include il territorio del Sahara occidentale e che, per tale motivo, detto accordo può riguardare il popolo di tale territorio e necessitare dunque del suo consenso. Occorre quindi verificare se, alla luce del ruolo che il ricorrente svolge nell’ambito del processo di autodeterminazione di tale territorio, in quanto rappresentante di detto popolo, tali circostanze siano idonee a dimostrare l’incidenza diretta nei suoi confronti.

iii) Sulla terza parte dell’argomento del Consiglio, relativa all’assenza di modifica della situazione giuridica del ricorrente, alla luce del suo ruolo limitato alla partecipazione al processo di autodeterminazione del Sahara occidentale

201    Secondo il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader, il ruolo conferito al ricorrente nell’ambito del processo di autodeterminazione del Sahara occidentale non implica che la decisione impugnata e l’accordo controverso producano effetti diretti sulla sua situazione giuridica. Infatti, il suo potere di rappresentanza sarebbe limitato e non esclusivo, ed esso non sarebbe un operatore economico. Inoltre, la decisione impugnata e l’accordo controverso non pregiudicherebbero l’esito di tale processo. Pertanto, gli effetti della decisione impugnata nei confronti del ricorrente sarebbero, tutt’al più, indiretti e politici.

202    Da parte sua, il ricorrente sostiene che, per il solo fatto che la decisione impugnata riguarda il popolo del Sahara occidentale, ai sensi del punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, essa produce effetti giuridici diretti sulla sua situazione in quanto solo ed unico rappresentante del popolo del Sahara occidentale. Inoltre, in risposta agli argomenti del Consiglio, esso replica che il processo politico di autodeterminazione include «evidentemente» le questioni economiche connesse allo sfruttamento delle risorse naturali e che, in ogni caso, l’accordo controverso solleva una questione «territoriale», sicché la controversia rientra pienamente nell’ambito in cui lo stesso esercita i suoi compiti.

203    A tal riguardo, anzitutto, occorre ricordare la situazione peculiare del Sahara occidentale, quale risulta dall’evoluzione del contesto internazionale richiamata ai precedenti punti da 2 a 19. Infatti, mentre il processo di autodeterminazione di tale territorio non autonomo è tuttora in corso, la potenza amministratrice dello stesso, ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, ossia il Regno di Spagna, ha rinunciato, a partire dal 26 febbraio 1976, ad esercitare qualsivoglia responsabilità di carattere internazionale relativa all’amministrazione di tale territorio, circostanza della quale hanno preso atto gli organi dell’ONU (v. precedente punto 13). Di conseguenza, le parti di tale processo, svolto sotto l’egida di tale organizzazione, sono, da un lato, il Regno del Marocco, il quale rivendica l’esercizio di diritti sovrani su tale territorio e, dall’altro, il ricorrente, in quanto rappresentante del popolo di tale territorio. Pertanto, come esposto in sostanza dalla Commissione nella sua memoria di intervento, sussiste un «conflitto di legittimità» tra il Regno del Marocco e il ricorrente con riferimento alla rappresentatività di tale territorio e del suo popolo. In particolare, come risulta dal dibattito fra le parti nell’ambito della presente controversia, non vi è accordo fra il Regno del Marocco e il ricorrente per quanto attiene alla questione della competenza a concludere un accordo internazionale applicabile a tale territorio.

204    Per quanto riguarda, poi, la portata della rappresentatività del ricorrente rispetto al popolo del Sahara occidentale e il suo impatto sull’incidenza diretta nei suoi confronti da parte di una decisione di conclusione di un accordo fra l’Unione e il Regno del Marocco che si applichi esplicitamente a tale territorio, occorre rilevare che né nelle sentenze Consiglio/Fronte Polisario e Western Sahara Campaign UK, né nelle ordinanze di cui al precedente punto 43, i giudici dell’Unione hanno preso posizione su tale questione.

205    Per contro, il Consiglio fa riferimento ai paragrafi da 183 a 194 delle conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Consiglio/Fronte Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:677). A tal riguardo, in particolare, ai paragrafi 185 e 186 di tali conclusioni l’avvocato generale ha indicato che, a suo avviso, il ricorrente era riconosciuto dall’ONU come il rappresentante del popolo del Sahara occidentale soltanto nell’ambito del processo politico destinato a risolvere la questione dell’autodeterminazione del popolo di tale territorio. Orbene, l’avvocato generale ha rilevato che la controversia oggetto delle cause T‑512/12 e C‑104/16 P non rientrava in tale processo politico.

206    Tuttavia, dal punto 7 della risoluzione 34/37 risulta che l’Assemblea generale dell’ONU ha invece considerato che era necessario che il ricorrente partecipasse a negoziati con il Regno del Marocco relativi allo status definitivo del Sahara occidentale poiché esso era un rappresentante legittimo del popolo di tale territorio (v. precedenti punti 16 e 91). In tal senso, il riconoscimento, da parte degli organi dell’ONU, della rappresentatività del ricorrente rispetto a detto popolo precede logicamente il riconoscimento del suo diritto di partecipare al processo di autodeterminazione di tale territorio. Siffatta interpretazione è confermata dal punto 10 della risoluzione 35/19 (v. precedente punto 16).

207    Di conseguenza, se è vero che il processo svolto nel Sahara occidentale sotto l’egida dell’ONU non presenta un risvolto commerciale o dogale, la partecipazione del ricorrente a tale processo non significa che esso non potrebbe rappresentare il popolo del Sahara occidentale nel contesto di un accordo fra l’Unione e il Regno del Marocco relativo a tali settori, laddove tale rappresentanza risulti necessaria per salvaguardare il diritto all’autodeterminazione di tale popolo. A tal riguardo, occorre sottolineare che, come rilevato correttamente dal ricorrente, l’accordo controverso non solleva soltanto questioni commerciali o doganali, ma anche una questione specifica di ordine territoriale che lo riguarda, dal momento che esso si applica al territorio sul quale tale popolo dispone del diritto all’autodeterminazione.

208    Infine, per quanto riguarda l’esclusività della rappresentatività del ricorrente rispetto al popolo del Sahara occidentale, è sufficiente rilevare, in questa fase, che dai documenti del fascicolo non emerge che gli organi dell’ONU, come rilevato in sostanza dal ricorrente, abbiano rimesso in discussione la posizione espressa nelle risoluzioni 34/37 e 35/19 e abbiano riconosciuto organizzazioni diverse dal medesimo come abilitate a rappresentare il popolo di cui trattasi. Contrariamente alle affermazioni della Commissione e della Comader, il fatto che, nell’ambito del loro monitoraggio del processo di autodeterminazione, tali organi, in conformità al loro mandato, abbiano rapporti e scambi con organizzazioni diverse dal ricorrente, provenienti in particolare dalla società civile, nonché con le autorità marocchine, non è decisivo al riguardo.

209    Analogamente, la questione se, nonostante la dichiarazione del Regno di Spagna del 26 febbraio 1976, quest’ultimo abbia conservato la sua qualità di potenza amministratrice, ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, questione affrontata ai paragrafi da 187 a 192 delle conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Consiglio/Fronte Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:677), non è rilevante nel caso di specie. Infatti, da un lato, dal punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario si deduce che la Corte ha ritenuto che il popolo del Sahara occidentale fosse un soggetto terzo rispetto all’accordo di associazione distinto dal Regno di Spagna, in grado di esprimere esso stesso il proprio consenso all’attuazione di tale accordo o di un accordo successivo in tale territorio. Dall’altro, come sostenuto in sostanza dal ricorrente, poiché esso è stato riconosciuto dall’ONU come il rappresentante di tale popolo e, come rilevato al precedente punto 207, la sua partecipazione al processo di autodeterminazione non esclude che esso possa esprimere il consenso di quest’ultimo ad un accordo applicabile a detto territorio, le competenze eventualmente conservate dal Regno di Spagna non sono comunque opponibili nei suoi confronti.

210    In ogni caso, occorre rilevare che la stipulazione, da parte dell’Unione, dell’accordo controverso con una delle parti del processo di autodeterminazione in corso nel territorio del Sahara occidentale, che rivendica diritti di sovranità sul medesimo e ha concluso essa stessa detto accordo su tale fondamento, produce necessariamente effetti giuridici nei confronti dell’altra parte di tale processo, alla luce del «conflitto di legittimità» che contrappone tali parti con riferimento a siffatto territorio.

211    Del resto, la motivazione dell’accordo controverso e i punti della decisione impugnata indicano che le parti stesse, e in particolare l’Unione, sono consapevoli del fatto che la conclusione di tale accordo non è scollegata dal processo di autodeterminazione in corso nel Sahara occidentale.

212    Ciò è testimoniato dal fatto che, al terzo comma dell’accordo controverso, le parti hanno voluto precisare che la stipulazione di tale accordo non pregiudicava le loro rispettive posizioni sullo status del Sahara occidentale, ossia, da un lato, per quanto riguarda l’Unione, che esso costituisce un territorio non autonomo e, dall’altro, per quanto riguarda il Regno del Marocco, che si tratta di una parte del suo territorio. Lo stesso vale per la riaffermazione, al quarto comma di tale accordo, del loro sostegno al «processo delle Nazioni Unite». Se ne deve desumere che le parti hanno considerato che la stipulazione dell’accordo controverso rischiava di essere interpretata nel senso che essa rispecchiava una posizione comune sullo status di tale territorio e che arrecava pregiudizio al processo di autodeterminazione in questione, e che fosse necessario apportare tali precisazioni al fine di scongiurare un siffatto rischio.

213    Tali preoccupazioni sono rispecchiate anche ai considerando 3 e 10 della decisione impugnata (v. precedente punto 51). In particolare, in quest’ultimo considerando il Consiglio risponde agli «operatori socioeconomici e politici» che hanno partecipato alle consultazioni svolte dalla Commissione e dal SEAE e che hanno «respinto la proposta di estensione [delle preferenze tariffarie dell’accordo di associazione al Sahara occidentale]» in quanto «hanno ritenuto in sostanza che detto accordo perpetuerebbe l’attuale posizione del Marocco sul territorio del Sahara occidentale». A tal riguardo, il Consiglio indica che «[n]essun elemento dello stesso accordo induce a ritenere che esso riconosca la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale» e che «[l]’Unione continuerà del resto, impegnandosi a tale scopo in misura ancora maggiore, a sostenere il processo di risoluzione pacifica della controversia avviato e proseguito sotto l’egida delle Nazioni Unite».

214    Inoltre, sebbene il ricorrente non sia stato formalmente invitato a partecipare alle consultazioni di cui al precedente punto 213, fra lo stesso e il SEAE hanno avuto luogo scambi in merito all’accordo controverso il 5 febbraio 2018, come è già stato rilevato, e la Commissione, nella sua relazione dell’11 giugno 2018, ha riferito in merito alla posizione del ricorrente riguardo alla prevista stipulazione di tale accordo, facendo riferimento in modo esplicito a detti scambi. Tale posizione aderiva a quella degli «operatori socioeconomici e politici» di cui al considerando 10 della decisione impugnata, nel senso che il ricorrente si opponeva alla stipulazione dell’accordo controverso. Di conseguenza, anche se il ricorrente non è parte di tale accordo e non ha partecipato ai negoziati in vista della sua conclusione, che hanno coinvolto soltanto le autorità dell’Unione e quelle marocchine, esso è stato considerato dalle istituzioni come un interlocutore legittimo per esprimere il suo punto di vista in relazione a detto accordo (v. precedente punto 98).

215    Pertanto, nella misura in cui la stipulazione dell’accordo controverso riguarda il popolo del Sahara occidentale e richiede il suo consenso, la decisione impugnata produce effetti diretti sulla situazione giuridica del ricorrente, in quanto rappresentante di tale popolo. Inoltre, poiché tale accordo è stato concluso con il Regno del Marocco, esso lo riguarda direttamente in quanto parte del processo di autodeterminazione in tale territorio. Infatti, da un lato, è pacifico che il ricorrente non ha acconsentito alla stipulazione dell’accordo controverso. Dall’altro, nell’ambito del ricorso in esame esso sostiene che il consenso del popolo del Sahara occidentale non è stato ottenuto in maniera valida, a causa, segnatamente, del fatto che non è stato da esso rappresentato.

216    Gli argomenti del Consiglio, della Repubblica francese, della Commissione e della Comader non rimettono in discussione tale conclusione.

217    Infatti, da una parte, la circostanza che il ricorrente non sia un operatore economico è irrilevante, poiché esso non rivendica tale qualità né intende far risultare l’incidenza diretta nei suoi confronti dall’applicazione allo stesso delle norme che condizionano la concessione di preferenze tariffarie ai prodotti provenienti dal Sahara occidentale, bensì dall’ambito di applicazione territoriale stesso di tale accordo. Inoltre, per quanto riguarda il confronto fra la presente causa e la causa che si è conclusa con la pronuncia della sentenza del 20 settembre 2019, Venezuela/Consiglio (T‑65/18, EU:T:2019:649, oggetto di impugnazione), fatta valere dal Consiglio e dalla Commissione a sostegno del loro argomento, è sufficiente rilevare che, con sentenza del 22 giugno 2021, Venezuela/Consiglio (Incidenza su uno Stato terzo) (C‑872/19 P, EU:C:2021:507), la Corte ha annullato la sentenza del Tribunale citata dal Consiglio, con la motivazione che il Tribunale era incorso in un errore di diritto nel considerare che le misure restrittive di cui trattasi non producessero direttamente effetti sulla situazione giuridica della Repubblica bolivariana del Venezuela e nell’accogliere, su tale base, il secondo motivo di irricevibilità sollevato dal Consiglio [sentenza del 22 giugno 2021, Venezuela/Consiglio (Incidenza su uno Stato terzo), C‑872/19 P, EU:C:2021:507, punto 73]. Di conseguenza, il Consiglio non potrebbe fondarsi sulla summenzionata sentenza del Tribunale per rimettere in discussione l’incidenza diretta nei confronti del ricorrente. Inoltre, la controversia in questione fra il suddetto Stato terzo e il Consiglio concerneva atti unilaterali applicabili unicamente nel territorio dell’Unione e il consenso di un soggetto terzo a tali atti non era necessario, sicché tale confronto non è, in ogni caso, pertinente.

218    Dall’altra, il fatto che l’accordo controverso e la decisione impugnata non pregiudichino l’esito del processo di autodeterminazione non significa che tali atti non siano idonei a modificare la situazione giuridica del ricorrente, in quanto rappresentante di un soggetto terzo rispetto a tale accordo e parte di tale processo. Lo stesso vale per quanto riguarda la produzione di effetti «politici» «indiretti» su tale processo.

219    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che le tre parti dell’argomento del Consiglio per quanto riguarda il primo criterio dell’incidenza diretta devono essere respinte e che il ricorrente soddisfa tale criterio.

2)      Sul secondo criterio dell’incidenza diretta, relativo al carattere meramente automatico dell’attuazione della misura contestata e derivante dalla sola normativa dell’Unione

220    Per quanto riguarda il secondo criterio dell’incidenza diretta, relativo al carattere meramente automatico dell’attuazione della misura contestata, derivante dalla sola normativa dell’Unione, si deve rilevare che il Consiglio non ha presentato un argomento specifico in merito a tale criterio.

221    A tal riguardo, si può rilevare che, come sostenuto dal ricorrente, l’accordo controverso costituisce una semplice estensione geografica delle preferenze tariffarie già accordate al Regno del Marocco, senza modificare il volume o i prodotti interessati da tali preferenze. Di conseguenza, l’attuazione di tale accordo nel territorio dell’Unione non riconosce alcuna discrezionalità alle autorità incaricate di applicare dette preferenze tariffarie, poiché, essendo i prodotti in questione prodotti originari del Sahara occidentale, le preferenze tariffarie previste dall’accordo controverso devono essere ad essi applicate.

222    Inoltre, come è stato rilevato al precedente punto 215, dal momento che il ricorrente, in quanto rappresentante del popolo del Sahara occidentale, non ha acconsentito alla stipulazione dell’accordo controverso, che si applica a tale territorio, la decisione impugnata, che approva detto accordo, modifica immediatamente la sua situazione giuridica, senza che siano necessarie altre misure.

223    È vero che la Commissione contesta il fatto che l’incidenza diretta nei confronti del ricorrente possa risultare dall’effetto diretto che l’accordo controverso produrrebbe sui singoli. Tuttavia, dalla giurisprudenza (v. precedente punto 144) risulta che, al fine di stabilire se il secondo criterio dell’incidenza diretta sia soddisfatto, è necessario risolvere la questione se l’attuazione delle pattuizioni di cui all’accordo controverso abbia un carattere meramente automatico e derivi dalla sola normativa dell’Unione, senza applicazione di altre norme intermedie. La rilevanza di tale questione non può essere rimessa in discussione dal fatto che, peraltro, l’effetto diretto di tali pattuizioni è tale da determinare la loro invocabilità nel merito da parte di singoli.

224    Pertanto, si deve dichiarare che il ricorrente è interessato direttamente dalla decisione impugnata.

b)      Sullincidenza individuale nei confronti del ricorrente

225    Il Consiglio sostiene che la partecipazione del ricorrente ai negoziati sullo status del Sahara occidentale non è tale da contraddistinguerlo con riguardo alla decisione impugnata e che l’accordo controverso non incide sulla sua posizione nell’ambito di tali negoziati. Nella controreplica, il Consiglio aggiunge che, anche ammettendo che il ricorrente sia competente per le questioni economiche del Sahara occidentale, risulterebbe in particolare dal punto 69 della sentenza del 10 aprile 2003, Commissione/Nederlandse Antillen (C‑142/00 P, EU:C:2003:217), che tale competenza non sarebbe sufficiente a dimostrare che esso è individualmente interessato dall’accordo controverso.

226    La Commissione, la Repubblica francese e la Comader sviluppano, in sostanza, il medesimo argomento del Consiglio.

227    Il ricorrente sostiene di essere individualmente interessato, sulla base del rilievo che dai punti da 100 a 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario risulterebbe che il popolo del Sahara occidentale, del quale esso è il rappresentante, dovrebbe acconsentire a ogni accordo internazionale applicabile al territorio del Sahara. Pertanto, alla luce del ruolo che il ricorrente rivestirebbe nei confronti di tale popolo, segnatamente nell’esprimere il suo consenso ad essere vincolato tramite trattato, esso presenterebbe qualità particolari idonee a caratterizzarlo rispetto a chiunque altro e sarebbe pertanto interessato individualmente dalla decisione impugnata. Nella replica, il ricorrente aggiunge che il Consiglio, svolgendo le consultazioni descritte al precedente punto 48, gli ha impedito di esercitare la propria competenza ad esprimere il consenso del popolo saharawi e ribadisce, in sostanza, l’argomentazione esposta al fine di dimostrare di essere direttamente interessato da tale decisione.

228    Secondo una costante giurisprudenza, i soggetti diversi dai destinatari di una decisione possono sostenere che essa li riguarda individualmente solamente qualora detta decisione li concerna a causa di determinate qualità loro personali o di una situazione di fatto che li caratterizzi rispetto a chiunque altro e, quindi, li distingua in modo analogo ai destinatari (sentenza del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C‑463/10 P e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punto 71 e giurisprudenza citata).

229    Nel caso di specie, occorre rilevare che, in quanto rappresentante del popolo di un territorio non autonomo, che gode del diritto all’autodeterminazione, il ricorrente dispone, in forza del diritto internazionale, di competenze proprie e distinte da quelle delle parti dell’accordo controverso. Pertanto, esso può utilmente fa valere, al fine di dimostrare di essere individualmente interessato dalla decisione impugnata, che quest’ultima gli impedisce di esercitare, come intende, dette competenze.

230    Orbene, in primo luogo, nell’ambito dell’esame dell’incidenza diretta nei confronti del ricorrente, è stato affermato che la partecipazione del ricorrente al processo politico in corso nel Sahara occidentale non significava che esso non potrebbe rappresentare il popolo di tale territorio nel contesto di un accordo tra l’Unione e il Regno del Marocco in materia commerciale e doganale e applicabile a quest’ultimo, qualora tale rappresentanza risultasse necessaria al fine di salvaguardare il diritto all’autodeterminazione di quest’ultimo. In secondo luogo, è stato parimenti rilevato che dagli elementi del fascicolo non risultava che gli organi dell’ONU avessero riconosciuto organizzazioni diverse del medesimo come abilitate a rappresentare il popolo in questione. In terzo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, la stipulazione, da parte dell’Unione, dell’accordo controverso con una delle parti del processo di autodeterminazione nel territorio del Sahara occidentale solleva questioni che non possono essere considerate totalmente estranee a tale processo e che riguardano, di conseguenza, il ricorrente in quanto parte dello stesso (v. precedenti punti da 206 a 215).

231    In tali circostanze, si deve ritenere che la decisione impugnata riguardi il ricorrente a causa di determinate qualità sue personali e che lo distinguono in modo analogo al destinatario di tale decisione, in quanto rappresentante del popolo del Sahara occidentale e in quanto parte del processo di autodeterminazione. Esso deve dunque poter sottoporre tale decisione al controllo del giudice dell’Unione affinché quest’ultimo verifichi se l’Unione abbia potuto legittimamente acconsentire a che l’accordo controverso si applichi a tale territorio.

232    Tali considerazioni non vengono rimesse in discussione dagli argomenti del Consiglio, della Repubblica francese, della Commissione e della Comader.

233    In primo luogo, per quanto riguarda la sentenza del 10 aprile 2003, Commissione/Nederlandse Antillen (C‑142/00 P, EU:C:2003:217), si deve rilevare che, in tale causa, la Corte era chiamata a pronunciarsi su un’impugnazione proposta dalla Commissione concernente una sentenza del Tribunale relativa ad una controversia nella quale le Antille olandesi, territorio d’oltremare vincolato alla Comunità europea da un accordo di associazione, contestavano misure di salvaguardia per l’importazione di riso proveniente dai paesi e territori d’oltremare (PTOM). Tali misure avevano portata generale e, nonostante colpissero il settore delle riserie nelle Antille olandesi e queste ultime fossero all’origine della maggior parte delle importazioni di tale prodotto provenienti dagli PTOM nella Comunità, esse non riguardavano in modo particolare le importazioni provenienti da tale specifico territorio d’oltremare, bensì tutti gli PTOM.

234    È in tale contesto che la Corte ha ritenuto che l’interesse generale che le Antille olandesi potevano nutrire per la prosperità economica nel loro territorio e l’incidenza delle misure contestate sul settore della trasformazione del riso, attività che poteva essere esercitata da qualsiasi operatore in qualsiasi PTOM, non costituissero circostanze idonee ad individuare le parti ricorrenti (v., in tal senso, sentenza del 10 aprile 2003, Commissione/Nederlandse Antillen, C‑142/00 P, EU:C:2003:217, punti da 66 a 79).

235    Le circostanze di cui alla controversia conclusasi con la pronuncia della sentenza del 10 aprile 2003, Commissione/Nederlandse Antillen (C‑142/00 P, EU:C:2003:217), non sono dunque comparabili a quelle della presente causa. Infatti, da un lato, le misure contestate nell’ambito di tale controversia non riguardavano specificamente il territorio delle parti ricorrenti. Dall’altro, e in ogni caso, l’adozione di siffatte misure non implicava di richiedere il consenso del popolo di tale territorio.

236    In secondo luogo, il riferimento della Commissione e della Repubblica francese alla giurisprudenza relativa all’incidenza individuale nei confronti delle associazioni (v. sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio, C‑229/05 P, EU:C:2007:32, punto 70 e giurisprudenza citata, e ordinanza del 3 aprile 2014, ADEAS/Commissione, T‑7/13, non pubblicata, EU:T:2014:221, punto 32 e giurisprudenza citata) non è rilevante nella specie. Infatti, l’incidenza individuale nei confronti di un’associazione che rappresenta gli interessi privati di un insieme di singoli o di imprese non può essere paragonata a quella di un’organizzazione, come il ricorrente, che rappresenta il popolo di un territorio non autonomo.

237    In terzo luogo, alla luce del ruolo del ricorrente e delle circostanze ricordate al precedente punto 230, che sono sufficienti a contraddistinguerlo con riguardo alla decisione impugnata, la circostanza di non aver partecipato ai negoziati svolti dall’Unione in vista della stipulazione dell’accordo controverso non potrebbe essergli opposta. Inoltre, nell’ambito del ricorso in esame il ricorrente rimette in discussione la legittimità della decisione impugnata proprio a causa del fatto che esso non è stato coinvolto nella stipulazione di detto accordo per esprimere il consenso del popolo del Sahara occidentale a detto accordo.

238    Ne consegue che il ricorrente è non solo direttamente ma anche individualmente interessato dalla decisione impugnata. Pertanto, occorre respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio e relativa al difetto di legittimazione ad agire del ricorrente ed esaminare il ricorso nel merito.

B.      Sulla fondatezza del ricorso

239    A sostegno del suo ricorso il ricorrente solleva dieci motivi. Il primo motivo riguarda l’incompetenza del Consiglio ad adottare la decisione impugnata; il secondo verte sulla violazione dell’obbligo incombente a quest’ultimo di verificare il rispetto dei diritti fondamentali e del diritto internazionale umanitario; il terzo concerne la violazione dell’obbligo di eseguire le sentenze della Corte; il quarto riguarda la violazione dei diritti fondamentali, in quanto principi e valori che devono guidare l’azione esterna dell’Unione; il quinto verte sulla violazione del principio di tutela del legittimo affidamento; il sesto concerne l’applicazione erronea del principio di proporzionalità; il settimo riguarda la violazione del diritto all’autodeterminazione; l’ottavo concerne la violazione del principio dell’effetto relativo dei trattati; il nono verte sulla violazione del diritto internazionale umanitario, e, il decimo riguarda la violazione degli obblighi incombenti all’Unione in forza del diritto della responsabilità internazionale.

1.      Sul primo motivo, relativo allincompetenza del Consiglio ad adottare la decisione impugnata

240    Il ricorrente sostiene che il Consiglio, in quanto organo dell’Unione, non era competente ad adottare la decisione impugnata, poiché quest’ultima recava conclusione di un accordo internazionale applicabile ad un territorio rientrante nella sovranità di un popolo terzo, nei confronti del quale né l’Unione né la sua controparte contrattuale erano dotati di autorità.

241    Il Consiglio sostiene che con il presente motivo il ricorrente contesta, in realtà, la competenza dell’Unione sulla base della violazione del principio di autodeterminazione e del principio dell’effetto relativo dei trattati e fa riferimento alla risposta da esso data ai motivi settimo e ottavo. Inoltre, esso rileva che la competenza a concludere accordi internazionali gli è conferita dall’articolo 218, paragrafo 6, TFUE.

242    Da parte sua, la Commissione sostiene che il diritto internazionale non osta alla stipulazione, da parte della potenza amministratrice di un territorio non autonomo, di un accordo internazionale che si applica a detto territorio. Nel caso di specie, il Regno del Marocco dovrebbe essere considerato essere, de facto, l’autorità amministratrice del Sahara occidentale. La Repubblica francese sostiene, in sostanza, una posizione analoga. La Comader approva, in sostanza, la risposta del Consiglio al motivo in esame.

243    In via preliminare, occorre ricordare che, conformemente al principio di attribuzione sancito all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi ultimi stabiliti. Per quanto riguarda, più in particolare, le istituzioni dell’Unione, l’articolo 13, paragrafo 2, TUE precisa che ciascuna di queste ultime agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai Trattati, secondo le procedure, le condizioni e le finalità da essi previste (sentenza del 12 settembre 2017, Anagnostakis/Commissione, C‑589/15 P, EU:C:2017:663, punti 97 e 98).

244    Nel caso di specie, come indica il primo visto della decisione impugnata, il Consiglio ha adottato tale decisione sul fondamento dell’articolo 207, paragrafo 4, primo comma, TFUE in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 6, secondo comma, lettera a), i), TFUE.

245    Il ricorrente non contesta che il Consiglio si sia conformato alle procedure e alle condizioni applicabili ad un atto adottato sulla base delle disposizioni del Trattato FUE ricordate al precedente punto 244. In realtà, nell’ambito del motivo in esame il ricorrente contesta unicamente la competenza dell’Unione a concludere l’accordo controverso, sulla base del rilievo che tale accordo sarebbe applicabile ad un territorio straniero, rientrante nella sovranità del popolo del Sahara occidentale. A tal riguardo, il ricorrente fa riferimento, in particolare, al principio generale di diritto sancito dalla locuzione latina «nemo plus juris ad alium transferre potest quam ipse habet».

246    A tal riguardo, è vero che può essere rilevato che talune norme di diritto internazionale possono ostare a che l’Unione, a causa del suo status di organizzazione internazionale, aderisca essa stessa ad una convenzione internazionale o, quantomeno, che esse possono inquadrare rigorosamente una siffatta adesione [v., in tal senso, parere 2/91 (Convenzione n. 170 dell’OIL), del 19 marzo 1993, EU:C:1993:106, punto 5, e sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartide), C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punti da 128 a 130]. Analogamente, in taluni casi, il diritto internazionale ha potuto ostare a che trattati applicabili ad un territorio non autonomo fossero conclusi con uno Stato terzo particolare a causa delle violazioni commesse su tale territorio da detto Stato [parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 21 giugno 1971, Conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza continua del Sudafrica in Namibia (Africa del Sud‑Ovest) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza (CIG, Raccolta 1971, pag. 16, punti da 122 a 126)].

247    Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente non ha fatto valere alcuna norma di diritto internazionale che sarebbe tale da limitare il potere dell’Unione di concludere un accordo bilaterale come l’accordo controverso, a causa del suo status di organizzazione internazionale. Inoltre, sebbene il ricorrente ritenga che taluni principi del diritto internazionale consuetudinario ostino a che l’Unione concluda detto accordo, esso non fa valere alcuna norma di tale diritto, segnatamente risultante da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU oppure sancita da una sentenza della CIG, la quale metta esplicitamente al bando ogni accordo internazionale con il Regno del Marocco applicabile al territorio del Sahara occidentale.

248    Inoltre, dal punto 98 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario risulta che la Corte non ha escluso, in linea di principio, che, alla luce dei principi del diritto internazionale applicabili ai rapporti fra l’Unione e il Regno del Marocco nell’ambito dell’accordo di associazione, l’Unione sia legittimata a stipulare con tale paese terzo un accordo che si inserisca in tale ambito e preveda esplicitamente la sua applicazione al Sahara occidentale.

249    Per siffatte ragioni, il primo motivo deve essere respinto.

250    Occorre proseguire l’esame della fondatezza del ricorso analizzando il terzo motivo.

2.      Sul terzo motivo, vertente in sostanza sulla violazione, da parte del Consiglio, del suo obbligo di conformarsi ai requisiti che la giurisprudenza ha desunto dal principio di autodeterminazione e dal principio delleffetto relativo dei trattati

251    Il ricorrente sostiene che, concludendo con il Regno del Marocco un accordo esplicitamente applicabile al territorio del Sahara occidentale senza il suo consenso, il Consiglio ha violato l’obbligo di esecuzione delle sentenze della Corte risultante dall’articolo 266 TFUE. Infatti, la Corte avrebbe ritenuto che l’inclusione implicita di tale territorio nell’ambito di applicazione degli accordi conclusi fra l’Unione e il Regno del Marocco sarebbe giuridicamente impossibile, in forza del principio di autodeterminazione e del principio dell’effetto relativo dei trattati. Il ricorrente ne deduce che, per i medesimi motivi, l’applicazione esplicita di tali accordi a detto territorio è, a maggior ragione, esclusa. Inoltre, nella prima parte del ricorso, nonché nelle considerazioni preliminari della replica e nelle osservazioni sulle memorie di intervento, il ricorrente fa valere segnatamente che la conclusione dell’accordo controverso è contraria alla giurisprudenza nella misura in cui essa non rispetta lo status separato e distinto del Sahara occidentale e il requisito del consenso del popolo di tale territorio.

252    Il Consiglio sostiene che, concludendo un accordo che consente esplicitamente all’accordo di associazione di produrre effetti nel territorio del Sahara occidentale, dopo aver ottenuto il consenso del popolo di tale territorio, esso si è conformato alla sentenza Consiglio/Fronte Polisario.

253    A tal riguardo, nelle considerazioni preliminari del controricorso, intitolate «Questioni orizzontali», il Consiglio sostiene in sostanza che, alla luce della situazione particolare del Sahara occidentale, la quale rende impossibile una consultazione diretta del popolo di tale territorio o tramite un rappresentante istituzionale, le istituzioni hanno potuto avvalersi del loro potere discrezionale per svolgere consultazioni fondate su un criterio oggettivo, relativo ai benefici per le popolazioni di tale territorio, e si sarebbero conformate, in proposito, ai principi del diritto internazionale applicabili. Inoltre, il Consiglio sostiene che le disposizioni e i principi del diritto internazionale applicabili alle potenze amministratrici sono rilevanti nel caso di specie, alla luce dell’«amministrazione di fatto» di tale territorio da parte del Regno del Marocco e che il ricorrente non avrebbe, in ogni caso, né la capacità giuridica, né gli strumenti amministrativi per concludere un accordo commerciale con l’Unione. Infine, esso sostiene che il ricorrente non soddisfa le condizioni enunciate dalla giurisprudenza per far valere norme di diritto internazionale e che il controllo giurisdizionale della decisione impugnata alla luce dei principi del diritto internazionale consuetudinario è necessariamente limitato all’errore manifesto di valutazione.

254    Nella parte della sua memoria di intervento intitolata «Considerazioni giuridiche preliminari», la Commissione elabora, in sostanza, un argomento analogo a quello del Consiglio per quanto riguarda l’invocabilità dei principi del diritto internazionale consuetudinario da parte di un singolo e il carattere limitato del controllo giurisdizionale degli atti dell’Unione alla luce di tali principi. Inoltre, nell’ambito dei motivi settimo e ottavo la Commissione fa valere, da un lato, che la violazione del diritto all’autodeterminazione non può essere fatta valere nei confronti di un atto del Consiglio e, dall’altro, che il principio dell’effetto relativo dei trattati può solo rendere un accordo internazionale non opponibile ad un terzo, ma non rimetterne in discussione la validità. Infine, essa sostiene che il ricorrente travisa le conseguenze da trarre dalle sentenze Consiglio/Fronte Polisario e Western Sahara Campaign UK. Infatti, tali sentenze si sarebbero limitate ad interpretare gli accordi applicabili al territorio del Marocco sotto il profilo dei principi del diritto internazionale rilevanti, ma non riguarderebbero la validità di tali accordi.

255    Nella parte «Considerazioni preliminari sui “fatti”» della sua memoria di intervento, la Commissione sviluppa, in sostanza, la stessa analisi del Consiglio per quanto riguarda il processo terminato con la stipulazione dell’accordo controverso. Essa precisa poi che tale accordo non considera i prodotti originari del Sahara occidentale come di provenienza marocchina, bensì li considera in modo esplicito come originari di detto territorio. Peraltro, essa sostiene che il processo di negoziazione svolto sotto l’egida dell’ONU non conferisce al ricorrente il compito esclusivo di «parlare a nome» del popolo del Sahara occidentale.

256    La Repubblica francese condivide, in sostanza, l’analisi del Consiglio e della Commissione.

257    Nella parte «Considerazioni fattuali» della sua memoria di intervento, la Comader aderisce, in parte, all’analisi della Commissione e del Consiglio relativa al processo di consultazione precedente la conclusione dell’accordo controverso. Inoltre, la Comader afferma che gli eletti locali, i quali hanno partecipato a tale consultazione, sono i rappresentanti legittimi della popolazione del Sahara occidentale e godono della legittimità democratica. Peraltro, essa sostiene, in particolare, che l’articolo 266 TFUE non sarebbe applicabile nel caso di specie. Infine, essa fa valere che il principio dell’effetto relativo dei trattati non è applicabile nel caso di specie e che, in ogni caso, l’accordo controverso non è opponibile al ricorrente.

258    In via preliminare, occorre rilevare che il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader rimettono in discussione, segnatamente, le basi giuridiche del motivo in esame e che i loro argomenti sollevano, in definitiva, la questione se quest’ultimo sia inoperante. Occorre dunque esaminare tale questione prima di pronunciarsi, se del caso, sulla fondatezza di detto motivo.

a)      Sugli argomenti del Consiglio, della Repubblica francese, della Commissione e della Comader relativi, in sostanza, al carattere inoperante del terzo motivo

259    Gli argomenti del Consiglio, della Repubblica francese, della Commissione e della Comader rimettono in discussione le basi giuridiche del motivo in esame sotto tre profili. Anzitutto, l’articolo 266 TFUE non sarebbe applicabile. Inoltre, le sentenze citate dal ricorrente non potrebbero essere utilmente fatte valere al fine di contestare la validità degli accordi fra l’Unione e il Regno del Marocco. Infine, il ricorrente non potrebbe avvalersi dei principi del diritto internazionale consuetudinario dei quali esso fa valere, nella specie, la violazione.

260    In primo luogo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 266, paragrafo 1, TFUE, l’istituzione, l’organo o l’organismo da cui emana l’atto annullato o la cui astensione sia stata dichiarata contraria ai trattati sono tenuti a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea comporta.

261    Secondo una giurisprudenza costante, l’obbligo previsto all’articolo 266 TFUE, applicabile per analogia alle sentenze che dichiarano invalido un atto dell’Unione, implica che le istituzioni interessate sono tenute a rispettare non solo il dispositivo della sentenza di annullamento o d’invalidità, ma anche la motivazione da cui quest’ultima discende e che ne costituisce il sostegno necessario, nel senso che essa è indispensabile per determinare il senso esatto di quanto è stato dichiarato nel dispositivo. Infatti è questa motivazione che, da un lato, identifica la disposizione considerata come illegittima e, dall’altro, evidenzia le ragioni dell’illegittimità accertata nel dispositivo e che l’istituzione interessata deve prendere in considerazione nel sostituire l’atto annullato o dichiarato invalido (v. sentenza del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punti 48 e 49 e giurisprudenza citata).

262    Tuttavia, non risulta né dal testo dell’articolo 266 TFUE né dalla giurisprudenza citata al precedente punto 261 che l’obbligo previsto a tale articolo si estende alla motivazione di una sentenza che ha respinto un ricorso di annullamento avverso un atto dell’Unione.

263    Orbene, nel caso di specie, come è stato ricordato ai precedenti punti 34 e 40, nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte, dopo aver annullato la sentenza del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953), ha statuito definitivamente sulla controversia rigettando il ricorso del ricorrente in quanto irricevibile, per difetto di legittimazione ad agire.

264    Per quanto riguarda la sentenza Western Sahara Campaign UK, oltre al fatto che essa non ha rimesso in discussione la validità degli atti dell’Unione contestati, oggetto delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte, è sufficiente rilevare, in ogni caso, che la stessa concerneva una decisione e accordi internazionali in materia di pesca, il cui ambito di applicazione ratione materiae differisce da quello della decisione impugnata e dell’accordo controverso. Constatazioni analoghe possono essere fatte, mutatis mutandis, per quanto riguarda le ordinanze del 19 luglio 2018, Fronte Polisario/Consiglio (T‑180/14, non pubblicata, EU:T:2018:496), e del 30 novembre 2018, Fronte Polisario/Consiglio (T‑275/18, non pubblicata, EU:T:2018:869).

265    Di conseguenza, come rilevato in sostanza dalla Comader, il ricorrente nel caso di specie non può trarre dall’articolo 266 TFUE un obbligo, per le istituzioni, di eseguire le decisioni dei giudici dell’Unione di cui ai precedenti punti 263 e 264. Pertanto, nei limiti in cui è fondato sulle disposizioni di tale articolo, il motivo in esame deve essere respinto in quanto inoperante.

266    Ciò premesso, occorre rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, non è necessario che una parte invochi esplicitamente le disposizioni su cui fonda i motivi da essa dedotti, a condizione che l’oggetto della domanda di tale parte nonché i principali elementi di fatto e di diritto sui quali la domanda si fonda siano esposti nel ricorso con sufficiente chiarezza. Tale giurisprudenza è applicabile, mutatis mutandis, in caso di errore nell’enunciazione delle disposizioni su cui si basano i motivi di ricorso [v. sentenza del 23 novembre 2017, Aurora/OCVV – SESVanderhave (M 02205), T‑140/15, EU:T:2017:830, punto 38 e giurisprudenza citata].

267    Nel caso di specie, come risulta dal precedente punto 251, l’argomento sviluppato a sostegno del motivo in esame si fonda su una censura vertente in sostanza sulla violazione, da parte delle istituzioni, dell’obbligo su di esse incombente di conformarsi alla giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione degli accordi fra l’Unione e il Regno del Marocco alla luce delle norme di diritto internazionale applicabili. A tal riguardo il ricorrente, interpellato in udienza in merito alla base giuridica di tale motivo, ha affermato in sostanza che, essendo indicato nella motivazione della decisione impugnata che quest’ultima è stata adottata per conformarsi alla sentenza Consiglio/Fronte Polisario, esso può utilmente far valere le considerazioni di quest’ultima per sostenere che detta decisione non le rispetta. Del resto, è in tal senso che il Consiglio e la Commissione l’hanno intesa, come emerge dai loro argomenti in risposta a quelli del ricorrente.

268    A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’Unione è un’Unione di diritto nella quale le sue istituzioni sono assoggettate alla verifica della conformità dei loro atti, segnatamente, ai Trattati e ai principi generali del diritto e in cui le persone fisiche e giuridiche devono beneficiare di una tutela giurisdizionale effettiva (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 35 e giurisprudenza citata).

269    In particolare, le istituzioni dell’Unione sono tenute a conformarsi agli obblighi risultanti dal diritto dell’Unione, come interpretato da una sentenza dichiarativa dell’inadempimento, da una sentenza pregiudiziale o da una giurisprudenza consolidata in materia (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punti 31 e 40 e giurisprudenza citata).

270    Nell’ambito di un ricorso di annullamento, spetta dunque al giudice dell’Unione, investito di un motivo in tal senso, verificare la conformità della decisione impugnata con la giurisprudenza della Corte, allorché quest’ultima ha desunto dal diritto dell’Unione o dal diritto internazionale applicabile requisiti rilevanti per la valutazione della legittimità di tale decisione.

271    Ciò avviene, nel caso di specie, per quanto concerne gli obblighi risultanti, secondo la sentenza Consiglio/Fronte Polisario, in particolare, dal principio di autodeterminazione e dal principio dell’effetto relativo dei trattati. Infatti, come emerge dai considerando 6 e 10 della decisione impugnata (v. precedente punto 51), le istituzioni hanno negoziato e stipulato l’accordo controverso al fine di trarre le conseguenze da tale sentenza, prevedendo una base giuridica esplicita per l’applicazione del regime preferenziale dell’accordo di associazione ai prodotti originari del Sahara occidentale, munita di salvaguardie per il rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali, segnatamente al fine di tenere conto delle «considerazioni sul consenso» figuranti al punto 106 di detta sentenza.

272    Ne consegue che il motivo in esame, nella misura in cui riguarda in sostanza la violazione, da parte del Consiglio, del suo obbligo di conformarsi all’interpretazione dell’accordo di associazione alla luce delle norme di diritto internazionale pubblico applicabili, adottata dalla giurisprudenza, in particolare nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario, non è inoperante, nonostante il riferimento erroneo operato dal ricorrente all’articolo 266 TFUE.

273    In secondo luogo, il fatto che nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte abbia interpretato il principio di autodeterminazione e quello dell’effetto relativo dei trattati nel contesto dell’interpretazione dell’accordo di associazione e dell’accordo di liberalizzazione, e non del controllo della validità di questi ultimi, non è determinante.

274    Infatti, da un lato, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 269, le istituzioni sono tenute a conformarsi alle norme del diritto dell’Unione, come interpretate dalla giurisprudenza, indipendentemente dal contesto in cui tale giurisprudenza è enunciata. Tale principio è applicabile all’interpretazione, da parte della Corte, di norme di diritto internazionale, poiché l’Unione è tenuta, conformemente a una giurisprudenza costante, a esercitare le sue competenze nel rispetto del diritto internazionale nel suo complesso (v. sentenza Western Sahara Campaign UK, punto 47 e giurisprudenza citata). Inoltre, come è stato ricordato, il giudice dell’Unione è competente a valutare se un accordo internazionale concluso dall’Unione sia compatibile con i trattati e con le norme di diritto internazionale che, in conformità ai medesimi, vincolano quest’ultima (v. precedenti punti 155 e 156).

275    Dall’altro, come è stato ricordato al precedente punto 195, le regole che la Corte ricava dai principi del diritto internazionale da essa interpretati nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario erano rilevanti al fine di stabilire se l’accordo di associazione potesse legittimamente essere applicato, in maniera implicita, al Sahara occidentale. Esse lo sono dunque, a maggior ragione, al fine di esaminare se sia possibile introdurre in tale accordo una pattuizione che preveda in modo esplicito una siffatta applicazione territoriale. La legittimità della decisione impugnata può quindi essere esaminata alla luce di tali regole.

276    In terzo luogo, per quanto riguarda l’invocabilità dei principi del diritto internazionale interpretati dalla Corte, in particolare il principio di autodeterminazione e il principio dell’effetto relativo dei trattati, anzitutto, è stato ribadito più volte che il giudice dell’Unione era competente a valutare la compatibilità con, segnatamente, le norme di diritto internazionale di una decisione di conclusione di un accordo internazionale, dal momento che l’Unione deve esercitare le sue competenze nel rispetto di tali norme, che la vincolano in forza dei trattati.

277    A tal riguardo, si deve ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, e dell’articolo 21, paragrafo 1, TUE, l’azione dell’Unione sul piano internazionale si basa sui valori e i principi che hanno presieduto alla sua creazione, al suo sviluppo e al suo allargamento. Essa contribuisce, in particolare, al rigoroso rispetto e allo sviluppo del diritto internazionale, segnatamente al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.

278    Occorre aggiungere che, in conformità all’articolo 207, paragrafo 1, TFUE, e come risulta, inoltre, dal considerando 12 della decisione impugnata, la politica commerciale comune è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell’azione esterna dell’Unione, inclusi quelli richiamati al precedente punto 277. L’Unione ha l’obbligo di recepire tali obiettivi e principi nella gestione di tale politica [v., in tal senso, parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore), del 16 maggio 2017, EU:C:2017:376, punti da 142 a 147].

279    Inoltre, si deve ricordare che ai punti 88 e 89 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte ha dichiarato che il diritto all’autodeterminazione costituiva un diritto opponibile erga omnes, nonché uno dei principi essenziali del diritto internazionale e che, a tale titolo, detto principio faceva parte delle norme di diritto internazionale applicabili nelle relazioni tra l’Unione e il Regno del Marocco, di cui si imponeva al giudice dell’Unione la presa in considerazione. Inoltre, ai punti da 90 a 93 della stessa sentenza la Corte, sulla base delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU e del parere consultivo sul Sahara occidentale, ha dichiarato che lo status separato e distinto del Sahara occidentale doveva essere rispettato nell’ambito dei rapporti fra l’Unione e il Regno del Marocco e che si doveva tenere conto di tale requisito ai fini dell’interpretazione dell’accordo di associazione.

280    Analogamente, dopo aver ricordato ai punti 104 e 105 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, da un lato, le constatazioni della CIG nel parere consultivo sul Sahara occidentale, in particolare la constatazione in base alla quale la popolazione di tale territorio godeva del diritto all’autodeterminazione e, dall’altro, la raccomandazione dell’Assemblea generale dell’ONU concernente la partecipazione del ricorrente alla ricerca di una soluzione allo status definitivo di tale territorio, la Corte, al punto 106 della medesima sentenza, ha dedotto da tali elementi che detto popolo doveva essere considerato un soggetto terzo, ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati, che doveva acconsentire all’attuazione dell’accordo di associazione in detto territorio.

281    Ne risulta che, nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte ha dedotto dal principio di autodeterminazione e dal principio dell’effetto relativo dei trattati obblighi chiari, precisi e incondizionati (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 55) che si impongono nei confronti del Sahara occidentale nell’ambito dei rapporti fra l’Unione e il Regno del Marocco, ossia, da un lato, il rispetto del suo status separato e distinto e, dall’altro, l’obbligo di acquisire il consenso del suo popolo in caso di attuazione dell’accordo di associazione in tale territorio. Come è stato esposto al precedente punto 275, se ne deve dedurre che tali obblighi sono rilevanti, a maggior ragione, al fine di pronunciarsi sulla legittimità di pattuizioni che prevedono un’applicazione esplicita di siffatto accordo o dei suoi protocolli a tale territorio.

282    Pertanto, nel caso di specie, al fine di difendere i diritti che il popolo del Sahara occidentale trae dal principio di autodeterminazione e dal principio dell’effetto relativo dei trattati, il ricorrente deve avere la facoltà di far valere la violazione di tali obblighi chiari, precisi e incondizionati nei confronti della decisione impugnata, nella misura in cui tale asserita violazione può riguardare detto popolo, in quanto soggetto terzo rispetto ad un accordo concluso fra l’Unione e il Regno del Marocco (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 16 giugno 1998, Racke, C‑162/96, EU:C:1998:293, punto 51).

283    Contrariamente a quanto suggerito dal Consiglio, dalla Repubblica francese, dalla Commissione e dalla Comader, l’invocabilità, da parte del ricorrente, del principio di autodeterminazione e del principio dell’effetto relativo dei trattati non confligge con la giurisprudenza della Corte relativa alla questione dell’invocabilità dei principi del diritto internazionale consuetudinario risultante, segnatamente, dalla sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864).

284    A tal riguardo, si deve ricordare che al punto 107 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), la Corte ha dichiarato che i principi di diritto internazionale consuetudinario menzionati al punto 103 della medesima sentenza potevano essere invocati da un singolo ai fini dell’esame, da parte della stessa, della validità di un atto dell’Unione se e in quanto, da un lato, tali principi erano idonei a mettere in discussione la competenza dell’Unione ad adottare tale atto, e, dall’altro, l’atto in questione poteva incidere su diritti attribuiti al singolo dal diritto dell’Unione oppure far sorgere in capo a tale singolo obblighi correlati al diritto dell’Unione stesso. Si trattava, nel caso di specie, del principio in base al quale ciascuno Stato gode di una sovranità piena ed esclusiva sul proprio spazio aereo, del principio in base al quale nessuno Stato può legittimamente pretendere di assoggettare alla propria sovranità una parte qualsivoglia dell’alto mare e del principio che garantisce la libertà di sorvolo dell’alto mare.

285    Pertanto, la Corte ha dichiarato che, poiché tali principi erano invocati nel procedimento principale affinché essa esaminasse se l’Unione fosse competente ad adottare la direttiva 2008/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra (GU 2009, L 8, pag. 3), e tale direttiva era idonea a far sorgere obblighi in capo alle ricorrenti del procedimento principale, non si poteva escludere che queste ultime potessero invocare detti principi, anche se essi sembravano essere destinati unicamente a creare obblighi tra Stati (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punti 108 e 109).

286    Orbene, occorre rilevare che le circostanze nelle quali la Corte ha enunciato le considerazioni richiamate ai precedenti punti 284 e 285 divergono da quelle del caso di specie.

287    In primo luogo, dalla sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), non risulta che obblighi chiari, precisi e incondizionati che si impongono all’Unione nei confronti di imprese di paesi terzi come le parti ricorrenti nel procedimento principale fossero già stati desunti dai principi del diritto internazionale consuetudinario menzionati al punto 103 di tale sentenza anteriormente alla stessa. In tal senso, nell’ambito delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte in tale causa, le veniva chiesto, in sostanza, di verificare la validità dell’atto impugnato direttamente alla luce di detti principi, enunciati in termini generali.

288    In secondo luogo, le parti ricorrenti nel procedimento principale erano imprese di trasporto aereo e associazioni professionali che raggruppavano tali imprese. Si trattava dunque di singoli nei confronti dei quali i principi del diritto internazionale consuetudinario che essi invocavano non erano, in linea di principio, costitutivi di diritto, dal momento che, come rilevato dalla Corte al punto 109 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), tali principi sembravano creare obblighi soltanto tra Stati. Come sottolineato dal ricorrente, in sostanza, nelle sue osservazioni sulla memoria di intervento della Commissione, nonché in udienza, la situazione di siffatti singoli non è comparabile alla sua situazione nel caso di specie, quale rappresentante di un soggetto terzo all’accordo concluso con la decisione impugnata, che trae dal principio di autodeterminazione e dal principio dell’effetto relativo dei trattati diritti che lo stesso può far valere nei confronti di tale decisione.

289    In terzo luogo, la direttiva 2008/101, la cui validità era contestata dalle parti ricorrenti nel procedimento principale, era un atto adottato nell’ambito dell’esercizio delle competenze interne dell’Unione e il suo ambito di applicazione doveva, in linea di principio, essere limitato al territorio dell’Unione. Orbene, tali parti invocavano proprio i principi del diritto internazionale consuetudinario menzionati al punto 103 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864) per far valere, in sostanza, la violazione, da parte dell’Unione, delle sue competenze, sulla base del rilievo che tale direttiva era idonea ad essere applicata alle parti di voli internazionali effettuate al di fuori dello spazio aereo degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punti da 121 a 130).

290    Per contro, nel caso di specie, la decisione impugnata è stata adottata nell’ambito non delle competenze interne dell’Unione, bensì della sua azione esterna, la quale si basa, segnatamente, ai sensi dell’articolo 21 TUE, sul rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Orbene, come è stato rilevato al precedente punto 247, nell’ambito del primo motivo di ricorso relativo all’incompetenza del Consiglio ad adottare la decisione impugnata, il mero fatto che l’accordo controverso sia applicabile al Sahara occidentale non costituisce, di per sé, una violazione da parte del Consiglio di una norma del diritto internazionale che limita le competenze dell’Unione a concludere un siffatto accordo.

291    Da tutto quanto suesposto risulta che, nel caso di specie, l’invocabilità del principio di autodeterminazione e del principio dell’effetto relativo dei trattati non può essere valutata alla luce delle considerazioni di cui ai punti da 107 a 109 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), poiché tali considerazioni si basavano su una valutazione delle circostanze particolari del caso di specie, relative alla natura dei principi del diritto internazionale invocati e dell’atto contestato, nonché alla situazione giuridica delle parti ricorrenti nel procedimento principale, le quali non sono comparabili a quelle del caso di specie in esame. In particolare, l’invocabilità dei due summenzionati principi non potrebbe essere limitata, nel caso di specie, alla contestazione della competenza dell’Unione ad adottare la decisione impugnata, dal momento che, da un lato, il ricorrente fa valere obblighi chiari, precisi e incondizionati che si impongono all’Unione nell’ambito dell’adozione di tale decisione e, dall’altro, tale invocazione è intesa ad assicurare il rispetto dei diritti di un soggetto terzo all’accordo idonei ad essere interessati dalla violazione di tali obblighi.

292    In ogni caso, come è stato rilevato ai precedenti punti 267, 271 e 272, nell’ambito del motivo in esame il ricorrente solleva una censura relativa, in sostanza, alla violazione, da parte del Consiglio e della Commissione, dell’obbligo ad essi incombente di conformarsi alla giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione degli accordi fra l’Unione e il Regno del Marocco alla luce delle norme di diritto internazionale applicabili e, in particolare, del loro obbligo di conformarsi alla sentenza Consiglio/Fronte Polisario, a sostegno di un ricorso diretto avverso una decisione adottata per trarre le conseguenze da tale sentenza. Di conseguenza, in tale contesto, al medesimo non può essere negato il diritto di mettere in discussione la legittimità della decisione impugnata invocando, nell’ambito di tale censura, siffatte norme, di natura fondamentale, considerato che l’Unione è vincolata da tali norme e detta decisione è stata adottata per conformarsi all’interpretazione che la Corte ne ha dato (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 16 giugno 1998, Racke, C‑162/96, EU:C:1998:293, punti 48 e 51 e giurisprudenza citata).

293    Infine, è giocoforza rilevare che l’argomento della Commissione e della Comader vertente sull’invocabilità specifica, da un lato, del principio di autodeterminazione e, dall’altro, del principio dell’effetto relativo dei trattati, non può che essere respinto.

294    Da un lato, per quanto riguarda l’argomento della Commissione, in base al quale il principio di autodeterminazione sancisce un diritto «collettivo» che dà luogo ad un processo di natura essenzialmente politica, il cui esito non è definito in anticipo, si deve rilevare che dai punti da 88 a 106 della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Fronte Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973) non risulta che tali asserite peculiarità del diritto di autodeterminazione debbano essere prese in considerazione al fine di esaminare il rispetto degli obblighi chiari, precisi e incondizionati richiamati al precedente punto 281.

295    In ogni caso, il fatto che il diritto di autodeterminazione sia un diritto collettivo è irrilevante, dal momento che il soggetto terzo che il ricorrente rappresenta è appunto il titolare di tale diritto. Analogamente, l’argomento secondo il quale il diritto di autodeterminazione apre un processo politico il cui esito non è determinato in anticipo si basa, in definitiva, sulla premessa erronea secondo la quale il popolo del Sahara occidentale non godrebbe già del diritto all’autodeterminazione in quanto, in tale fase, il processo relativo allo status definitivo di tale territorio non è terminato e detto popolo non è dunque in grado di esercitare pienamente tale diritto. Orbene, come rilevato dalla Corte al punto 105 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, gli organi dell’ONU hanno riconosciuto che tale popolo godeva di siffatto diritto ed è esattamente a tale titolo che il ricorrente ha partecipato a detto processo. Di conseguenza, la circostanza che l’esito di siffatto processo non sia ancora determinato in tale fase non può ostare all’invocabilità di detto principio.

296    Dall’altro lato, per quanto riguarda l’invocabilità del principio dell’effetto relativo dei trattati, principio del diritto internazionale generale che si impone a tutte le parti di una convenzione internazionale (v., in tal senso, sentenza del 25 febbraio 2010, Brita, C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 44), si deve rilevare che le considerazioni svolte ai precedenti punti da 197 a 199 sono trasponibili mutatis mutandis alla questione dell’invocabilità di tale principio nell’ambito del ricorso in esame. In particolare, come affermato in sostanza dal ricorrente, occorre distinguere le conseguenze dell’inosservanza del principio dell’effetto relativo dei trattati nell’ordinamento giuridico internazionale da quelle, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, di una violazione, da parte delle istituzioni, di un obbligo derivante da tale principio, alla luce della competenza del giudice dell’Unione ad esaminare il rispetto di tale obbligo.

297    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che, nell’ambito del motivo in esame, il ricorrente può invocare utilmente la sentenza Consiglio/Fronte Polisario e l’interpretazione ivi adottata del principio di autodeterminazione e del principio dell’effetto relativo dei trattati a sostegno del motivo in esame. Quest’ultimo non è, dunque, inoperante.

b)      Sulla fondatezza degli argomenti invocati dal ricorrente a sostegno del motivo in esame

298    L’argomento del ricorrente sul quale si basa il motivo in esame consta, in sostanza, di tre parti vertenti, anzitutto, sull’impossibilità, per l’Unione e per il Regno del Marocco, di concludere un accordo applicabile al Sahara occidentale; poi, sulla violazione dello status separato e distinto di tale territorio, contrariamente al principio di autodeterminazione, e, infine, sulla violazione del requisito del consenso del popolo di tale territorio, in quanto soggetto terzo rispetto all’accordo controverso ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati.

1)      Sulla prima parte del terzo motivo, vertente sull’impossibilità per l’Unione e per il Regno del Marocco di concludere un accordo applicabile al Sahara occidentale

299    Con la prima parte del terzo motivo il ricorrente sostiene che, come risulterebbe dalle sentenze Consiglio/Fronte Polisario e Western Sahara Campaign UK, l’applicazione di un accordo fra l’Unione e il Regno del Marocco al Sahara occidentale è giuridicamente impossibile a causa, in particolare, della violazione del principio di autodeterminazione e del principio dell’effetto relativo dei trattati. Orbene, l’accordo controverso mirerebbe, in realtà, a «perpetuare» l’applicazione de facto dell’accordo di associazione alla parte di tale territorio controllata dalle autorità marocchine, che era stata esclusa dalla prima di tali sentenze.

300    A tal riguardo, come ricordato al precedente punto 187, nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte si è limitata ad escludere che, in assenza di una pattuizione espressa che estenda al territorio del Sahara occidentale l’ambito di applicazione dell’accordo di associazione, limitato, per quanto riguarda il Regno del Marocco, al suo territorio, l’accordo di liberalizzazione possa essere interpretato nel senso che esso ha proceduto a siffatta estensione.

301    Infatti, anzitutto, la Corte ha rilevato che in forza del principio di autodeterminazione il Sahara occidentale, territorio non autonomo ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, si era visto riconoscere dall’Assemblea generale dell’ONU e dalla CIG uno status separato e distinto rispetto a quello di qualsiasi Stato, incluso il Regno del Marocco. Inoltre, per quanto riguarda la regola codificata all’articolo 29 della convenzione di Vienna, essa ha riscontrato, in sostanza, che secondo tale regola un trattato poteva vincolare uno Stato nei confronti di un territorio diverso dal proprio solo se una siffatta intenzione si ricavava da tale trattato o risultava per altra via. Infine, dopo aver rilevato che in forza del principio dell’effetto relativo dei trattati l’attuazione dell’accordo di associazione in caso di inclusione del Sahara occidentale nell’ambito di applicazione di quest’ultimo doveva avere il consenso del popolo di tale territorio, in quanto soggetto terzo rispetto a tale accordo, la Corte ha constatato che dalla sentenza del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953) non emergeva che il popolo del Sahara occidentale avesse manifestato un simile consenso. Essa ne ha concluso che tali tre norme di diritto internazionale ostavano a che tale territorio non autonomo fosse considerato come rientrante nell’ambito di applicazione territoriale dell’accordo di associazione e dell’accordo di liberalizzazione in forza di un accordo tacito fra l’Unione e il Regno del Marocco (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 92 a 116).

302    Inoltre, la Corte ha ritenuto che la prassi successiva alla stipulazione dell’accordo di associazione non potesse giustificare un’interpretazione di tale accordo e dell’accordo di liberalizzazione nel senso che essi si applicavano giuridicamente al Sahara occidentale, dal momento che, contrariamente all’articolo 31, paragrafo 3, lettera b), della convenzione di Vienna, il Tribunale non aveva verificato se tale prassi rivelava l’esistenza di un accordo fra le parti e un’asserita volontà dell’Unione di eseguire tali accordi in modo incompatibile con i principi di autodeterminazione e dell’effetto relativo dei trattati sarebbe stata inconciliabile con il principio di buona fede nell’esecuzione dei trattati (sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punti da 122 a 125).

303    Le decisioni dei giudici dell’Unione di cui ai precedenti punti 42 e 44, che sono posteriori alla sentenza Consiglio/Fronte Polisario, hanno applicato un ragionamento analogo, facendo riferimento in modo esplicito a tale sentenza. Infatti, le cause che si sono concluse con la pronuncia di tali decisioni concernevano accordi fra l’Unione e il Regno del Marocco che non contenevano pattuizioni esplicite che estendevano il loro ambito di applicazione territoriale al Sahara occidentale o alle acque adiacenti (v., in tal senso, sentenza Western Sahara Campaign UK, punti 62, 63, da 71 a 73, 79 e 83; ordinanze del 19 luglio 2018, Fronte Polisario/Consiglio, T‑180/14, non pubblicata, EU:T:2018:496, punti da 44 a 69, e del 30 novembre 2018, Fronte Polisario/Consiglio, T‑275/18, non pubblicata, EU:T:2018:869, punti da 27 a 41).

304    Per contro, nell’ambito di tale giurisprudenza, i giudici dell’Unione non si sono pronunciati su controversie relative ad accordi fra l’Unione e il Regno del Marocco contenenti una pattuizione esplicita che includeva il Sahara occidentale nell’ambito di applicazione territoriale di tale accordo.

305    Orbene, come appena ricordato al precedente punto 301 e come sottolineato del resto dalla Commissione e dalla Repubblica francese, nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte ha constatato che la regola codificata all’articolo 29 della convenzione di Vienna non osta a che un trattato vincoli uno Stato nei confronti di un territorio diverso dal proprio qualora una siffatta intenzione si ricavi da tale trattato. Orbene, nel caso di specie una simile intenzione emerge esplicitamente dal testo della dichiarazione comune sul Sahara occidentale ed è corroborata dal considerando 6 della decisione impugnata. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, l’accordo controverso non può dunque essere considerato come «confermativo» di una prassi esclusa dalla giurisprudenza. Infatti, da un lato, quest’ultima non ha escluso totalmente la possibilità che un accordo fra l’Unione e il Regno del Marocco possa legittimamente essere applicato al Sahara occidentale. Dall’altro, tale applicazione non risulta, nel caso di specie, da una mera «prassi», bensì dai termini espliciti dell’accordo controverso stesso, che riflettono la volontà comune delle parti e, segnatamente, dell’Unione. La parte in esame deve pertanto essere respinta.

306    Occorre proseguire l’esame del motivo in esame analizzando la terza parte.

2)      Sulla terza parte del terzo motivo, relativa alla violazione del requisito in base al quale il popolo del Sahara occidentale doveva acconsentire all’accordo controverso, in quanto soggetto terzo rispetto al medesimo, ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati

307    Con la terza parte del terzo motivo il ricorrente contesta, in particolare, la validità delle consultazioni effettuate dalla Commissione e dal SEAE e la rilevanza della relazione dell’11 giugno 2018, che riferisce segnatamente in ordine alle medesime. Infatti, tali consultazioni e tale relazione sarebbero incentrate sui benefici dell’accordo controverso, sebbene l’unico criterio rilevante, enunciato dalla Corte, sarebbe il consenso del popolo del Sahara occidentale a tale accordo. Inoltre, secondo il ricorrente tali consultazioni, nei confronti delle quali a suo avviso le istituzioni e il Regno del Marocco non avevano alcuna competenza, non hanno potuto avere ad oggetto o per effetto l’ottenimento di detto consenso, sulla base del rilievo che, da un lato, quest’ultimo non potrebbe risultare da un processo informale di consultazione e, dall’altro, quest’ultimo riguarderebbe enti istituiti in forza della legge marocchina e non avrebbe incluso la parte di tale popolo che vive al di fuori della zona controllata dal Regno del Marocco. Inoltre, al considerando 10 della decisione impugnata il Consiglio avrebbe cambiato la natura e la portata di dette consultazioni, considerandole una manifestazione del consenso delle «[popolazioni] interessat[e]». Tali considerazioni del Consiglio non sarebbero conformi alla sentenza Consiglio/Fronte Polisario, segnatamente al suo punto 106.

308    Il Consiglio, la Repubblica francese, la Commissione e la Comader sostengono, in sostanza, che le consultazioni effettuate rispettano i principi applicabili del diritto internazionale, avuto riguardo alla situazione particolare del Sahara occidentale, la quale non consentirebbe di ottenere direttamente il consenso del suo popolo o unicamente tramite il ricorrente, e al potere discrezionale rilevante delle istituzioni (v. precedenti punti da 252 a 257).

309    L’esame della parte in questione implica di verificare, in primo luogo, l’applicazione del principio dell’effetto relativo dei trattati nel caso di specie; in secondo luogo, le modalità in base alle quali le istituzioni hanno inteso conformarsi, nel caso di specie, stando alla formulazione di cui al considerando 10 della decisione impugnata, alle «considerazioni sul consenso nella sentenza [Consiglio/Fronte Polisario]» e, in terzo luogo, la fondatezza dell’argomento richiamato al precedente punto 307.

i)      Sull’applicazione del principio dell’effetto relativo dei trattati al caso di specie

310    In primo luogo, occorre ricordare che, come risulta dai punti da 100 a 107 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario e contrariamente a quanto sostenuto dalla Comader, il principio dell’effetto relativo dei trattati è applicabile nel caso di specie. In particolare, il preteso fatto che, alla luce della sua posizione sul Sahara occidentale, il Regno del Marocco non avrebbe inteso accordare né diritti né obblighi al popolo di tale territorio non incide affatto sull’applicabilità di detto principio nell’ambito dell’interpretazione, da parte dei giudici dell’Unione, sotto il profilo del diritto internazionale, di un accordo fra l’Unione e il Regno del Marocco applicabile al Sahara occidentale come l’accordo controverso.

311    In secondo luogo, si deve rilevare che la Corte, nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario, non ha indicato i criteri che consentono di stabilire se il consenso del popolo del Sahara occidentale avesse dato luogo all’attuazione dell’accordo di associazione in tale territorio né il modo in cui detto consenso poteva essere espresso, essendosi limitata a riscontrare che dalla sentenza del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953), non emergeva che tale popolo aveva manifestato un siffatto consenso.

312    Inoltre, non risulta che gli organi dell’ONU abbiano preso posizione sulla questione del consenso del popolo del Sahara occidentale ad un accordo internazionale applicabile a tale territorio. Al riguardo, si può rilevare che la lettera del consigliere giuridico aggiunto agli affari giuridici dell’ONU, del 29 gennaio 2002 (in prosieguo: la «lettera del 29 gennaio 2002 del consigliere giuridico dell’ONU»), richiamata dal Consiglio, non si esprime su tale questione. Infatti, da un lato, essa riguarda la legittimità di contratti di diritto privato stipulati fra organismi pubblici marocchini e talune società petrolifere ai fini della prospezione e della valutazione di risorse petrolifere al largo delle coste del Sahara occidentale e, dall’altro, statuisce unicamente sulla necessità di prendere in considerazione gli interessi e la volontà di detto popolo, e non sulle modalità di tale presa in considerazione.

313    In terzo luogo, al precedente punto 194 è stato ricordato che, in forza del principio di diritto internazionale generale dell’effetto relativo dei trattati, del quale la regola figurante all’articolo 34 della convenzione di Vienna costituisce un’espressione particolare, i trattati non devono né nuocere né operare a vantaggio di soggetti terzi senza il loro consenso.

314    Inoltre, l’articolo 35 della convenzione di Vienna prevede quanto segue:

«Un obbligo per uno Stato terzo sorge da una disposizione di un trattato se le parti a questo trattato intendono creare l’obbligo per mezzo della suddetta disposizione e se lo Stato terzo accetta espressamente per iscritto l’obbligo suddetto».

315    L’articolo 36, paragrafo 1, della convenzione di Vienna dispone, poi, quanto segue:

«Un diritto per uno Stato terzo sorge da una disposizione di un trattato se le parti a questo trattato intendono, per mezzo di tale disposizione, conferire tale diritto vuoi allo Stato terzo vuoi a un gruppo di Stati di cui esso faccia parte, vuoi a tutti gli Stati, e se lo Stato terzo vi consente. Il consenso e' presunto fin tanto che non vi sia un’indicazione contraria, a meno che il trattato non disponga altrimenti».

316    Dalle disposizioni di cui agli articoli 35 e 36 della convenzione di Vienna, che esprimono nei confronti degli Stati regole derivanti dal principio di diritto consuetudinario dell’effetto relativo dei trattati, può dedursi che il consenso del popolo del Sahara occidentale all’accordo controverso può essere presunto soltanto nel caso in cui le parti di tale accordo abbiano inteso conferirgli un diritto, salvo indicazione contraria, e che, per contro, tale consenso deve essere esplicito in relazione agli obblighi che le medesime parti intendono imporgli.

317    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento del Consiglio e della Commissione in base al quale il requisito del consenso non può essere applicato in maniera identica ad uno Stato e ad un territorio non autonomo. Infatti, da un lato, benché le disposizioni della convenzione di Vienna facciano unicamente riferimento ai rapporti fra Stati, i principi da essa codificati sono idonei ad essere applicati ad altri soggetti di diritto internazionale (v., in tal senso, sentenza Consiglio/Fronte Polisario, punto 100). Dall’altro, è giocoforza constatare che una siffatta distinzione non risulta dal punto 106 della summenzionata sentenza. Infatti, in tale punto la Corte non ha rilevato una differenza di contenuto fra la qualificazione del popolo del Sahara occidentale come «terzo» ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati, e la qualificazione di uno Stato come «terzo» ai sensi dell’articolo 34 della convenzione di Vienna.

318    Orbene, nel caso di specie, occorre rilevare che l’accordo controverso non mira ad accordare diritti al popolo del Sahara occidentale, in quanto soggetto terzo rispetto allo stesso.

319    Da un lato, è il Regno del Marocco, in quanto parte dell’accordo controverso, ad essere titolare delle preferenze tariffarie accordate dall’Unione ai prodotti provenienti dal Sahara occidentale. Tale constatazione è confermata dal fatto che, come rilevato dal ricorrente e come precisato dalla Commissione nella motivazione della proposta relativa alla conclusione dell’accordo controverso, le pattuizioni della dichiarazione comune sul Sahara occidentale non modificano il volume né le categorie di prodotti interessati dal protocollo n. 1. Pertanto, le preferenze tariffarie riguardanti i prodotti originari del Sahara occidentale posti sotto il controllo delle autorità marocchine sono accordate nel limite dei volumi totali determinati dal protocollo n. 1 per i prodotti di origine marocchina e unicamente per le categorie di prodotti che sono coperti da quest’ultimo protocollo.

320    Inoltre, non si può ritenere che il Regno del Marocco eserciti tali diritti in nome del popolo del Sahara occidentale dal momento che, alla luce della sua posizione rispetto a tale territorio espressa al terzo comma dell’accordo controverso, e come indicato, in sostanza, dalla Comader, esso non intende riconoscergli siffatti diritti.

321    Dall’altro, se l’accordo controverso è tale da generare diritti nei confronti degli esportatori stabiliti nel Sahara occidentale, tali effetti riguardano unicamente i singoli e non un soggetto terzo rispetto allo stesso, che può acconsentirvi. Inoltre, per quanto riguarda i benefici che la popolazione di tale territorio nel suo complesso può trarre da tale accordo, si tratta in tale ipotesi, in ogni caso, di effetti meramente socioeconomici e non giuridici. Tali benefici, peraltro indiretti, non possono pertanto essere assimilati a diritti accordati ad un terzo, ai sensi dell’effetto relativo dei trattati.

322    Per contro, l’accordo controverso ha l’effetto di imporre al terzo in questione un obbligo, nella misura in cui accorda ad una delle parti dello stesso una competenza sul territorio di detto terzo, che non è dunque legittimato ad esercitare esso stesso oppure, se del caso, a delegarne l’esercizio (v., in tal senso, sentenza del 25 febbraio 2010, Brita, C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 52). La circostanza addotta dal Consiglio, in base alla quale esso non sarebbe in grado, in tale fase, di esercitare tali competenze, alla luce dello status di territorio non autonomo del territorio in questione e della situazione esistente attualmente nel medesimo, non può rimettere in discussione detta constatazione né la necessità, per tale terzo, di acconsentire a tale obbligo.

323    Ne consegue che il principio espresso all’articolo 36, paragrafo 1, della convenzione di Vienna, secondo il quale il consenso di un soggetto terzo ad un trattato può essere presunto quando da tale trattato sorge un diritto nei suoi confronti, salvo indicazione contraria, non è applicabile nel caso di specie. L’espressione di tale consenso deve dunque essere esplicita.

324    In quarto luogo, per quanto riguarda il contenuto e la portata della nozione di consenso, come utilizzata agli articoli da 34 a 36 della convenzione di Vienna e presa in considerazione al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, si deve rilevare che, come risulta dal terzo comma del preambolo di tale convenzione, il principio del libero consenso, al pari del principio di buona fede e della regola «pacta sunt servanda», è un principio «universalmente riconosciut[o]», che svolge un ruolo fondamentale in materia di diritto dei trattati.

325    Inoltre, occorre rilevare che, qualora una norma di diritto internazionale richieda il consenso di una parte o di un terzo, tale norma implica, anzitutto, che l’espressione di tale consenso condiziona la validità dell’atto per il quale esso è richiesto; poi, che la validità di detto consenso dipende dal suo carattere «libero e autentico» e, infine, che detto atto è opponibile alla parte o al terzo che abbia validamente acconsentito al medesimo (v., in tal senso, sentenza della CIG del 12 ottobre 1984, Delimitazione della frontiera marittima nella regione del golfo del Maine, CIG, Raccolta 1984, pag. 246, punti da 127 a 130 e da 138 a 140, e parere consultivo della CIG del 25 febbraio 2019, Conseguenze giuridiche della separazione dell’arcipelago delle Chagos da Mauritius nel 1965, CIG, Raccolta 2019, pag. 95, punti 160, 172 e 174; v. parimenti, in tal senso e per analogia, sentenza del 23 gennaio 2014, Manzi e Compagnia Naviera Orchestra, C‑537/11, EU:C:2014:19, punto 47 e giurisprudenza citata).

326    Si deve dunque ritenere che, in linea di principio, il consenso del popolo del Sahara occidentale, in quanto soggetto terzo rispetto all’accordo controverso, ai sensi del punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, debba soddisfare gli stessi requisiti e produrre gli stessi effetti giuridici di quelli enunciati al precedente punto 325.

327    È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare le iniziative concrete intraprese dal Consiglio e dalla Commissione per conformarsi al requisito enunciato al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario.

ii)    Sulle consultazioni effettuate dal Consiglio e dalla Commissione per conformarsi all’interpretazione del principio dell’effetto relativo dei trattati adottata nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario

328    In via preliminare, occorre ricordare che al considerando 10 della decisione impugnata il Consiglio afferma che «la Commissione, in collaborazione con il [SEAE], ha adottato tutte le misure ragionevoli e possibili nel contesto attuale atte a consultare adeguatamente gli interessati al fine di acquisire il loro consenso all’accordo». Come confermato dalle spiegazioni del Consiglio, della Commissione e della Repubblica francese dinanzi al Tribunale, è nell’ambito di tali consultazioni che le istituzioni hanno inteso tenere conto delle «considerazioni sul consenso» figuranti al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario.

329    A tal riguardo, in primo luogo, dalle spiegazioni del Consiglio, nonché dalla relazione dell’11 giugno 2018 risulta che nella decisione del Consiglio del 29 maggio 2017, che ha autorizzato la Commissione ad avviare negoziati con il Regno del Marocco in conformità all’articolo 218, paragrafo 2, TFUE, esso aveva corredato la sua autorizzazione di due condizioni, l’una riguardante la valutazione, da parte della Commissione, delle «potenziali ripercussioni dell’accordo controverso sullo sviluppo sostenibile del Sahara occidentale», l’altra che esigeva che «le popolazioni interessate dall’accordo fossero [state] adeguatamente coinvolte».

330    In secondo luogo, nella relazione dell’11 giugno 2018, nella quale la Commissione fa il bilancio della valutazione e delle consultazioni da essa svolte su richiesta del Consiglio, la stessa indica quanto segue:

«In assenza di qualsiasi alternativa concepibile, che consenta di consultare direttamente la popolazione del Sahara occidentale, i servizi della [Commissione] e il SEAE hanno di conseguenza svolto delle consultazioni con un’ampia gamma di organizzazioni rappresentative della società civile saharawi, parlamentari, operatori economici e organizzazioni, fra cui [il ricorrente] (…). Tali consultazioni si sono concentrate sull’obiettivo principale di scambiare posizioni e commenti sull’interesse che potrebbe rivestire per le popolazioni del Sahara occidentale e per l’economia del territorio l’estensione del trattamento preferenziale accordato ai prodotti marocchini ai prodotti del Sahara occidentale al momento della loro importazione nell’Unione europea».

331    Più in particolare, sempre nella relazione dell’11 giugno 2018, la Commissione precisa quanto segue:

«[L]’esercizio di consultazione perseguito dai servizi della Commissione e dal SEAE ha rivestito una triplice dimensione. In quanto partner del negoziato, il [g]overno del Marocco ha svolto da parte sua un ampio esercizio di consultazione degli eletti regionali, in forza e nel rispetto delle proprie norme istituzionali, e ne ha condiviso le conclusioni con i servizi della Commissione europea e il SEAE. Inoltre, questi ultimi hanno parimenti desiderato consultare la più ampia gamma possibile di organizzazioni politiche, socioeconomiche o provenienti dalla società civile idonee a rappresentare gli interessi locali o regionali del Sahara occidentale. Infine, hanno inoltre avuto luogo discussioni con il [ricorrente], in quanto una delle parti del processo di pace condotto dalle Nazioni Unite».

332    In terzo luogo, nelle conclusioni relative ai risultati dell’«esercizio di consultazione» delle «popolazioni interessate» della medesima relazione, la Commissione indica quanto segue:

«Il processo di consultazione condotto dai servizi della Commissione europea e dal SEAE indica che la maggioranza delle popolazioni che vivono attualmente nel Sahara occidentale è ampiamente favorevole all’estensione delle preferenze tariffarie ai prodotti del Sahara occidentale nell’ambito dell’accordo [di associazione]. Un’opinione positiva è stata parimenti espressa dai rappresentanti eletti del Sahara occidentale all’interno degli organi nazionali, regionali e locali a seguito dell’esercizio di sensibilizzazione e consultazione svolto dalle autorità nel contesto istituzionale marocchino. Tale opinione è condivisa da un’ampia maggioranza di organizzazioni socioeconomiche di base in seno alla società civile».

333    Per contro, nelle conclusioni menzionate al precedente punto 331 la Commissione indica che «[il ricorrente] respinge la modifica intesa ad estendere le preferenze tariffarie ai prodotti del Sahara occidentale nell’ambito dell’accordo [di associazione] essenzialmente in quanto la copertura del Sahara occidentale da parte di [tale] accordo è percepita nel senso che essa consolida la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale, e non in quanto l’estensione delle preferenze tariffarie verrebbe esercitata a scapito degli interessi di sviluppo delle popolazioni che vivono nel territorio».

334    Pertanto, come affermato dalla Commissione nella sua memoria di intervento, essa ha ritenuto che, da un lato, a causa dell’impossibilità di consultare direttamente o tramite un solo rappresentante «legittimo» il popolo del Sahara occidentale e, dall’altro, per ragioni di «non ingerenza» nel «conflitto di legittimità che oppone[va] [il Regno del] Marocco al ricorrente», considerato che «nessuna [di tali] [p]arti aveva l’appannaggio della legittimità», spettava alla stessa, congiuntamente al SEAE, «svolgere consultazioni il più “inclusive” possibile» allargando «la base della consultazione al di là degli interlocutori promossi da una o dall’altra delle [p]arti, estendendola, per quanto possibile, alla società civile». Il Consiglio ha approvato tale approccio al considerando 10 della decisione impugnata, indicando che tale istituzione e tale servizio avevano «adottato tutte le misure ragionevoli e possibili nel contesto attuale (…) al fine di acquisire il (…) consenso [delle popolazioni interessate] all’accordo [controverso]».

335    Da tali considerazioni possono essere tratte diverse conclusioni.

336    Anzitutto, può esserne dedotto che le istituzioni non hanno ritenuto possibile, nella prassi, ottenere, direttamente o unicamente tramite il ricorrente, il consenso del popolo del Sahara occidentale, in quanto soggetto terzo rispetto all’accordo controverso, a causa della situazione peculiare di tale territorio, ma che, al contrario, esse hanno considerato che la consultazione di «organizzazioni rappresentative» delle «popolazioni interessate» al fine di ottenere il loro consenso a tale accordo consentiva cionondimeno, avuto riguardo a tale situazione, di conformarsi, nella misura del possibile, ai requisiti che potevano essere desunti dal punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario.

337    Inoltre, è possibile dedurne che la nozione di «popolazioni interessate» presa in considerazione dalle istituzioni include essenzialmente le popolazioni che si trovano attualmente nel territorio del Sahara occidentale, indipendentemente dalla loro appartenenza o meno al popolo di tale territorio, fatta salva, cionondimeno, secondo i termini della relazione dell’11 giugno 2018, la «[raccolta del] parere della popolazione saharawi rifugiata» che «[l’]inclus[ione] [del] ricorrente fra le parti consultate» consentirebbe. In tal senso, siffatta nozione si distingue da quella di «popolo del Sahara occidentale», da un lato, nella misura in cui essa è idonea ad includere la totalità delle popolazioni locali interessate, positivamente o negativamente, dall’applicazione dell’accordo controverso in tale territorio e, dall’altro, nella misura in cui essa non possiede il contenuto politico di questa seconda nozione, derivante, segnatamente, dal diritto all’autodeterminazione riconosciuto a detto popolo.

338    Infine, come in sostanza rilevato dal ricorrente, le consultazioni effettuate dalla Commissione e dal SEAE si basano su un approccio paragonabile a quello richiesto dall’articolo 11, paragrafo 3, TUE e dall’articolo 2 del protocollo n. 2 del TFUE sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, in base ai quali la Commissione deve effettuare ampie consultazioni delle parti interessate, in particolare prima di proporre un atto legislativo.

339    Tuttavia, si può sottolineare che tale approccio implica unicamente, in linea di principio, di raccogliere le opinioni delle diverse parti interessate e di tenerne conto, in particolare ai fini dell’adozione dell’atto proposto, nell’interesse della coerenza e della trasparenza. Pertanto, anche se la presa in considerazione di tali opinioni è idonea ad influire sull’adozione o meno di detto atto, essa non produce effetti giuridici comparabili a quello proprio dell’espressione del consenso di una parte contraente o di un terzo, richiesta ai fini dell’adozione di un siffatto atto.

340    Di conseguenza, quando il Consiglio fa riferimento al «consenso delle popolazioni interessate» al considerando 10 della decisione impugnata, tale nozione non può essere interpretata nel senso che essa riveste il contenuto giuridico indicato al precedente punto 325. Infatti, come risulta, in particolare, dalle conclusioni della relazione dell’11 giugno 2018, le istituzioni e le organizzazioni considerate dalla Commissione e dal SEAE come rappresentative delle «popolazioni interessate» e consultate sia da questi ultimi sia dal Regno del Marocco si sono limitate ad esprimere un’opinione in maggioranza favorevole alla conclusione dell’accordo controverso. Per contro, non si può ritenere che tale opinione condizioni, di per sé, la validità di tale accordo e della decisione impugnata e che essa vincoli tali istituzioni e tali organizzazioni o le «popolazioni interessate» stesse, rendendo opponibile detto accordo nei loro confronti. La nozione di consenso di cui alla decisione impugnata deve dunque essere intesa, in tale particolare contesto, nel senso che essa rinvia unicamente a detta opinione in maggioranza favorevole. È nell’ambito dell’esame della fondatezza della parte in esame che occorrerà verificare se il significato particolare che la decisione impugnata conferisce alla nozione di consenso sia compatibile con l’interpretazione del principio dell’effetto relativo dei trattati adottata dalla Corte al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario.

iii) Sulla questione se il significato particolare conferito alla nozione di consenso nella decisione impugnata sia compatibile con l’interpretazione del principio dell’effetto relativo dei trattati adottata dalla Corte nella sentenza Consiglio/Fronte Polisario

341    In via preliminare, occorre rilevare che gli argomenti invocati dal ricorrente a sostegno della parte in esame del terzo motivo sollevano la questione se, alla luce della particolare situazione del Sahara occidentale, il Consiglio abbia potuto avvalersi o meno del suo potere discrezionale per interpretare il requisito in base al quale il popolo di tale territorio doveva esprimere il proprio consenso all’accordo controverso nel senso che esso implicava unicamente di ottenere l’opinione in maggioranza favorevole delle popolazioni «interessate» nell’ambito delle consultazioni effettuate dalla Commissione e dal SEAE.

342    A tal riguardo, anzitutto, occorre ricordare che, nell’ambito delle relazioni esterne, e in particolare della politica commerciale, le istituzioni godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle valutazioni, segnatamente di ordine politico ed economico, che incombe loro, in tale ambito, effettuare (v. sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale, C‑351/04, EU:C:2007:547, punto 40 e giurisprudenza citata). Inoltre, nell’ambito di un accordo di associazione, come quello di cui al caso di specie, che costituisce un insieme di norme pattizie complesso, contenente diverse parti e rispondente alla volontà comune delle parti di stabilire relazioni strette e, se del caso, di rafforzarle (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK, C‑266/16, EU:C:2018:118, punti da 59 a 61), le istituzioni devono poter operare le necessarie ponderazioni tra i diversi interessi coinvolti nei rapporti con il paese terzo partner dell’Unione e stabilire la strategia più appropriata al riguardo (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 25 settembre 2019, Magnan/Commissione, T‑99/19, EU:T:2019:693, punto 54 e giurisprudenza citata).

343    Inoltre, la Corte ha dichiarato che, poiché un principio di diritto internazionale consuetudinario non presentava lo stesso grado di precisione di una disposizione di un accordo internazionale, il controllo giurisdizionale doveva necessariamente limitarsi a stabilire se, nell’adottare l’atto in questione, le istituzioni dell’Unione avessero commesso manifesti errori di valutazione riguardo ai presupposti di applicazione di un siffatto principio (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 110 e giurisprudenza citata).

344    Ciò premesso, da un lato, la Corte ha dichiarato che il controllo giurisdizionale del manifesto errore di valutazione richiede che le istituzioni dell’Unione, da cui promana l’atto in causa, siano in grado di dimostrare dinanzi al giudice dell’Unione che l’atto è stato adottato attraverso un esercizio effettivo del loro potere discrezionale, che presuppone la valutazione di tutti gli elementi e di tutte le circostanze rilevanti della situazione che tale atto era inteso a disciplinare (sentenza del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio, C‑310/04, EU:C:2006:521, punto 122).

345    Dall’altro, la Corte ha parimenti dichiarato che, per valutare se fosse stata rispettata o meno la condizione relativa all’adozione in ultima istanza di una decisione che autorizza una cooperazione rafforzata, spettava alla stessa verificare se il Consiglio, che era nella posizione più idonea per valutare se gli Stati membri fossero in grado di pervenire all’adozione di una normativa per l’Unione nel suo insieme, avesse esaminato con cura ed imparzialità gli elementi rilevanti a tale riguardo e se la conclusione alla quale quest’ultimo era pervenuto fosse sufficientemente motivata (v., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2013, Spagna e Italia/Consiglio, C‑274/11 e C‑295/11, EU:C:2013:240, punti da 52 a 54).

346    Le considerazioni della Corte ricordate ai precedenti punti 344 e 345, enunciate nel contesto del ricorso, da un lato, avverso un atto legislativo e, dall’altro, avverso una decisione del Consiglio di autorizzare una cooperazione rafforzata, adottata sul fondamento dell’articolo 329, paragrafo 1, TFUE, ossia atti che implicano un potere discrezionale dei loro autori particolarmente rilevante, sono trasponibili, mutatis mutandis, ad un ricorso avverso una decisione di conclusione di un accordo internazionale (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Consiglio/Fronte Polisario, C‑104/16 P, EU:C:2016:677, paragrafi da 224 a 227).

347    Inoltre, il potere discrezionale delle istituzioni può essere limitato, anche nell’ambito delle relazioni esterne, da una nozione giuridica che introduce criteri oggettivi e che garantisce il grado di prevedibilità richiesto dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2014, National Iranian Oil Company/Consiglio, T‑578/12, non pubblicata, EU:T:2014:678, punto 123).

348    Nel caso di specie, come rilevato al precedente punto 281, la Corte, deducendo, da un lato, dal principio di autodeterminazione l’obbligo, nell’ambito dei rapporti fra l’Unione e il Regno del Marocco, di rispettare lo status separato e distinto del Sahara occidentale e, dall’altro, dal principio dell’effetto relativo dei trattati il requisito secondo il quale il popolo di tale territorio doveva acconsentire ad un accordo fra l’Unione e il Regno del Marocco che sarebbe stato attuato nel medesimo, ha enunciato obblighi chiari, precisi e incondizionati che si impongono alle istituzioni nei confronti del soggetto terzo rappresentato dal ricorrente.

349    Di conseguenza, il potere discrezionale di cui dispone il Consiglio al fine di concludere un accordo con il Regno del Marocco applicabile esplicitamente al Sahara occidentale è delimitato sotto il profilo giuridico dagli obblighi di cui al precedente punto 348. In particolare, per quanto riguarda il requisito in base al quale il popolo di tale territorio doveva acconsentire ad un siffatto accordo, è vero che spettava al Consiglio valutare se la situazione attuale di tale territorio giustificasse un adeguamento delle modalità di espressione di tale consenso e se fossero soddisfatte le condizioni per ritenere che esso si fosse espresso. Tuttavia, non competeva al medesimo decidere se si poteva rinunciare a detto consenso, salvo violare tale requisito.

350    Al precedente punto 203 è stata poi ricordata la situazione particolare del Sahara occidentale, territorio non autonomo, nei confronti del quale la potenza amministratrice, ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, ha rinunciato ad esercitare qualsivoglia responsabilità a carattere internazionale, e che è oggetto di un processo di autodeterminazione tuttora in corso, non essendo le parti di quest’ultimo, ossia il Regno del Marocco e il ricorrente, in quanto rappresentante del popolo di tale territorio, pervenute ad un accordo concernente la risoluzione della situazione di detto territorio, a causa, segnatamente, del «conflitto di legittimità» che le vede contrapposte in proposito.

351    Più in particolare, nel caso di specie si può rilevare che ad oggi non vi è un accordo fra tali parti in base al quale una di esse avrebbe acconsentito a che l’altra parte eserciti a vantaggio di tale territorio competenze doganali e commerciali, segnatamente nell’ambito di un accordo internazionale ivi applicabile come l’accordo controverso.

352    A tal riguardo, occorre rilevare che al considerando 6 della decisione impugnata il Consiglio ha affermato che «[u]n accordo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco rappresenta[va] la sola possibilità di garantire che l’importazione di prodotti originari del Sahara occidentale po[tesse] beneficiare di un’origine preferenziale, considerato che le autorità marocchine [erano] le uniche in grado di garantire il rispetto delle norme necessarie per la concessione di tali preferenze». Si deve dunque dedurre che è al fine di trarre le conseguenze dalla situazione particolare del Sahara occidentale, descritta ai precedenti punti 350 e 351, che il Consiglio ha deciso di stipulare l’accordo controverso con il Regno del Marocco, che a suo avviso sembrava essere l’unica delle parti del processo di autodeterminazione di tale territorio in grado di esercitare le competenze richieste da detto accordo, circostanza confermata, del resto, dagli argomenti del Consiglio e della Commissione relativi all’incapacità del ricorrente di esercitare siffatte competenze, enunciati nell’ambito della controversia in esame.

353    Tuttavia, come ricordato al precedente punto 336, le istituzioni hanno parimenti considerato che la situazione particolare del Sahara occidentale non consentiva loro, nella prassi, di ottenere il consenso del popolo di tale territorio, in quanto soggetto terzo all’accordo controverso, e che erano tenute ad effettuare una consultazione delle popolazioni locali, diretta ad ottenere la loro opinione sulla conclusione di tale accordo. In particolare, le istituzioni hanno ritenuto che non fosse possibile consultare tale popolo direttamente o tramite un unico rappresentante, ossia il ricorrente, e di essere tenute a svolgere consultazioni il più inclusive possibile per non ingerire nel conflitto di legittimità fra quest’ultimo e il Regno del Marocco.

354    Ciò premesso, è giocoforza rilevare che i diversi elementi relativi alla situazione particolare del Sahara occidentale che il Consiglio e la Commissione hanno fatto valere per giustificare la decisione di cui al precedente punto 353 non possono essere accolti.

355    Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda l’argomento del Consiglio e della Commissione in base al quale il requisito del consenso non è tale da essere applicato in maniera identica ad uno Stato o ad un territorio non autonomo, al precedente punto 317 è stato rilevato che i principi codificati dalla convenzione di Vienna erano idonei ad essere applicati a soggetti di diritto internazionale diversi dagli Stati e che, in ogni caso, al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario la Corte non aveva riscontrato una differenza di contenuto fra la qualificazione del popolo del Sahara occidentale come «terzo», ai sensi del principio dell’effetto relativo dei trattati, e la qualificazione di uno Stato come «terzo», ai sensi dell’articolo 34 della convenzione di Vienna.

356    In secondo luogo, per quanto riguarda il principio invocato dalla Commissione, sancito all’articolo 36, paragrafo 1, seconda frase, della convenzione di Vienna, e secondo il quale il consenso e' presunto quando da un accordo sorgano benefici o diritti a favore del terzo interessato, occorre ricordare che è stato dichiarato che tale principio non era applicabile, per le ragioni enunciate ai precedenti punti da 319 a 322.

357    In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento del Consiglio e della Commissione concernente la difficoltà di individuare i membri del popolo del Sahara occidentale, si deve constatare, al pari del ricorrente, che una simile difficoltà non può costituire, di per sé, un ostacolo alla possibilità per detto popolo di acconsentire all’accordo controverso. Infatti, da un lato, né dalla sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Fronte Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), né dai diversi principi di diritto internazionale interpretati in tale sentenza risulta che il consenso di tale popolo debba essere necessariamente ottenuto mediante una consultazione diretta dei suoi membri. Del resto, il ricorrente stesso non sostiene una siffatta tesi e fa valere, al contrario, nella replica, che le istituzioni non avrebbero alcuna competenza a svolgere tale tipo di consultazione. Dall’altro, come correttamente rilevato dal ricorrente, il diritto all’autodeterminazione è un diritto collettivo e detto popolo si è visto riconoscere dagli organi dell’ONU tale diritto e, di conseguenza, la sua esistenza, a prescindere dai singoli da cui esso è composto e dal loro numero. Inoltre, dal punto 106 della summenzionata sentenza si evince che la Corte ha considerato implicitamente tale popolo come un soggetto di diritto autonomo capace di esprimere il proprio consenso ad un accordo internazionale indipendentemente dall’individuazione dei suoi membri.

358    In quarto luogo, per quanto riguarda la necessità di non ingerire nel «conflitto di legittimità» fra il ricorrente e il Regno del Marocco concernente il Sahara occidentale, invocata dal Consiglio e dalla Commissione, è sufficiente rilevare che tale argomento è difficile da conciliare con il fatto che, come ricordato dal Consiglio stesso, esso ha esplicitamente precisato, al considerando 10 della decisione impugnata, che nessun elemento nel tenore letterale dell’accordo controverso consentiva di ritenere che esso riconoscesse la sovranità del Regno del Marocco sul Sahara occidentale. Infatti, poiché l’Unione, in conformità al diritto internazionale e all’interpretazione che la Corte ne ha fatto, non può riconoscere le rivendicazioni del Regno del Marocco su tale territorio, le istituzioni non possono invocare il rischio di ingerenza nella controversia che contrappone il ricorrente a tale paese terzo in merito a siffatte rivendicazioni al fine di astenersi dall’intraprendere le iniziative adeguate per acquisire il consenso del popolo dello stesso.

359    In quinto luogo, indipendentemente dalla questione se il consenso del popolo del Sahara occidentale possa essere espresso soltanto tramite il ricorrente, il fatto addotto, in particolare dal Consiglio, che il Sahara occidentale è, in questa fase, un territorio non autonomo e che non dispone dunque della capacità di esprimere il proprio consenso come uno Stato indipendente non è determinante.

360    Da un lato, tale argomento si basa, in definitiva, sulla premessa erronea menzionata al precedente punto 295, in base alla quale il popolo del Sahara occidentale non godrebbe già del diritto all’autodeterminazione sulla base del rilievo che, nella fase attuale, il processo relativo allo status definitivo di detto territorio non si è concluso e tale popolo non è in grado di esercitarlo pienamente. Orbene, come è stato constatato allo stesso punto, tale premessa non è compatibile con le constatazioni effettuate dalla Corte con riferimento al riconoscimento, da parte degli organi dell’ONU, del diritto all’autodeterminazione di cui tale popolo è titolare.

361    Dall’altro, l’asserita circostanza che i popoli dei territori non autonomi, come quello del Sahara occidentale, non sarebbero necessariamente in grado di concludere un trattato ai fini della concessione di preferenze commerciali o di esercitare le competenze che un siffatto trattato implica non significa che essi non sarebbero in grado di esprimere, in maniera valida, il loro consenso ad un simile trattato, in quanto soggetti terzi rispetto allo stesso. In particolare, dal principio dell’effetto relativo dei trattati, come interpretato dalla Corte, non si deduce che il consenso di un siffatto terzo dovrebbe necessariamente essere esso stesso ottenuto tramite un trattato.

362    In sesto luogo, il fatto che le istituzioni considerino il Regno del Marocco come la «potenza amministratrice de facto» nel Sahara occidentale non sembra idoneo ad escludere la necessità che il popolo di tale territorio acconsenta all’accordo controverso. A tal riguardo, è sufficiente ricordare che, al punto 72 della sentenza Western Sahara Campaign UK, la Corte ha dichiarato che il Regno del Marocco aveva categoricamente escluso di essere, segnatamente, una potenza amministratrice del territorio del Sahara occidentale.

363    Orbene, non risulta che la posizione del Regno del Marocco sia cambiata, poiché, come ricordato dalla Comader, tale Stato terzo continua a ritenere che «la regione del Sahara sia una parte integrante del territorio nazionale, sulla quale [esso] esercita pienamente i suoi attributi di sovranità come sul resto del territorio nazionale». Tale posizione, che è richiamata, del resto, al terzo comma dell’accordo controverso, è inconciliabile con la qualità di potenza amministratrice, ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, la quale implica, come indicato dalla risoluzione 2625 (XXV) dell’Assemblea dell’ONU (v. precedente punto 5) e come sottolineato dal ricorrente, che un territorio non autonomo abbia uno status separato e distinto dal territorio dello Stato che l’amministra. In ogni caso, anche ammettendo che il Regno del Marocco svolga il ruolo di potenza amministratrice «de facto» nei confronti del Sahara occidentale, tale circostanza non può rendere superfluo il consenso del popolo del medesimo all’accordo controverso, alla luce del suo diritto all’autodeterminazione e dell’applicazione del principio dell’effetto relativo dei trattati.

364    In settimo luogo, occorre ricordare che, come constatato nell’ambito dell’esame della legittimazione ad agire del ricorrente, la partecipazione del medesimo al processo di autodeterminazione non significa che esso non possa rappresentare tale popolo nel contesto di un accordo fra l’Unione il Regno del Marocco, e dai documenti del fascicolo non risulta che gli organi dell’ONU abbiano riconosciuto organizzazioni diverse dal medesimo abilitate a rappresentare detto popolo (v. precedenti punti 207 e 208). Di conseguenza, non era impossibile ottenere il consenso di quest’ultimo tramite il ricorrente. L’argomento del Consiglio e della Commissione in base al quale tale ipotesi conferirebbe un «diritto di veto» a detta organizzazione sull’applicazione a tale territorio dell’accordo controverso non può che essere respinto. Infatti, è sufficiente ricordare a tal riguardo che, come rilevato al precedente punto 349, non spettava al Consiglio decidere se fosse possibile fare a meno del consenso del popolo del Sahara occidentale per stipulare l’accordo controverso. Di conseguenza, la circostanza addotta che la competenza del ricorrente ad esprimere tale consenso gli conferirebbe un «diritto di veto» non può giustificare una siffatta decisione.

365    Ne consegue che gli elementi relativi alla situazione particolare del Sahara occidentale invocati dal Consiglio e dalla Commissione non sono tali da escludere la possibilità per il popolo del Sahara occidentale di esprimere il proprio consenso all’accordo, in quanto soggetto terzo rispetto al medesimo.

366    Infine, come è stato rilevato al precedente punto 339, le consultazioni svolte dalla Commissione e dal SEAE hanno avuto come unico oggetto quello di ottenere l’opinione delle «popolazioni interessate» riguardo all’accordo controverso e non il consenso del popolo del Sahara occidentale al medesimo. Di conseguenza, come sostenuto correttamente dal ricorrente, tali consultazioni non possono essere considerate come conformi ai requisiti ricavati dalla Corte dal principio dell’effetto relativo dei trattati, applicabile a detto popolo in forza del suo diritto all’autodeterminazione.

367    L’argomento del Consiglio, della Repubblica francese, della Commissione e della Comader, in base al quale le consultazioni in questione rispetterebbero i principi rilevanti del diritto internazionale, non può rimettere in discussione tale conclusione.

368    A tal riguardo, da un lato, il Consiglio sostiene che la consultazione svolta dall’Unione sarebbe conforme ai principi rilevanti del diritto internazionale, poiché essa sarebbe stata effettuata presso organi rappresentativi e al fine di ottenere un consenso. Il Consiglio deduce in particolare tali criteri dalla convenzione n. 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) relativa alle popolazioni indigene e tribali, adottata a Ginevra il 27 giugno 1989, e dalla dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 settembre 2007. In tal senso, la consultazione in questione sarebbe stata intesa ad assicurare la partecipazione più ampia possibile degli organi e delle organizzazioni rappresentativi delle popolazioni interessate. In tale contesto, il Regno del Marocco avrebbe consultato, in particolare, gli eletti regionali, designati a suffragio universale diretto nel 2015 e una parte significativa dei quali proviene dalle tribù locali. La Commissione e il SEAE avrebbero consultato un’ampia gamma di organizzazioni locali politiche e sociopolitiche e di rappresentanti della società civile, nonché il ricorrente.

369    Dall’altro, secondo il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese e dalla Commissione, le istituzioni si sarebbero fondate su un criterio oggettivo, ossia quello del carattere benefico o meno delle preferenze risultanti dall’accordo di associazione per le popolazioni del Sahara occidentale, che sarebbe conforme ai principi che possono essere ricavati dalla lettera del 29 gennaio 2002 del consigliere giuridico dell’ONU.

370    Per quanto riguarda l’argomento del Consiglio di cui al precedente punto 368, è sufficiente rilevare che, come fatto valere in sostanza dal ricorrente, i criteri che esso deduce da tale convenzione e da tale dichiarazione, ossia che ogni consultazione dovrebbe essere svolta presso organi rappresentativi delle popolazioni interessate e dovrebbe avere come scopo di ottenerne il consenso, non corrispondono ai requisiti ricavati dalla Corte dal principio dell’effetto relativo dei trattati in combinato con il principio di autodeterminazione.

371    Infatti, da un lato, si deve rilevare anzitutto che, come è già stato ribadito ripetutamente, il Consiglio non conferisce alla nozione di consenso gli effetti giuridici che discendono nel diritto internazionale in linea di principio da tale nozione, non prendendo in considerazione tale istituzione, nel caso di specie, il consenso di un soggetto terzo rispetto all’accordo controverso, ai sensi del punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, bensì il parere in maggioranza favorevole delle popolazioni locali (v. precedenti punti da 336 a 340).

372    Del resto, come sottolineato dal ricorrente, nella relazione dell’11 giugno 2018 la Commissione non fa riferimento alla nozione di consenso, ma si limita ad indicare, nelle sue conclusioni, che «la maggioranza delle popolazioni che vivono attualmente nel Sahara occidentale è ampiamente a favore dell’estensione delle preferenze tariffarie ai prodotti del Sahara occidentale nell’ambito dell’accordo [di associazione]». Analogamente, essa fa riferimento all’«opinione positiva» «espressa dai rappresentanti eletti del Sahara occidentale all’interno degli organi nazionali, regionali e locali a seguito dell’esercizio di sensibilizzazione e consultazione svolto dalle autorità nel contesto istituzionale marocchino», che «è condivisa da un’ampia maggioranza di organizzazioni socioeconomiche di base in seno alla società civile».

373    Dall’altro, come dichiarato al precedente punto 337 e come fatto valere a più riprese dal ricorrente a sostegno del suo ricorso, segnatamente nell’ambito della presente parte, la nozione di «popolazioni interessate», alla quale le istituzioni fanno riferimento, non coincide con quella di «popolo del Sahara occidentale», il cui contenuto implica il diritto all’autodeterminazione. Di conseguenza, le istituzioni non possono sostenere che queste due nozioni sono equivalenti al fine di dimostrare che esse si sono conformate ai requisiti risultanti dal rispetto di tale diritto.

374    In particolare, non risulta che, oltre al ricorrente, le parti consultate dalla Commissione possano essere considerate come «organi rappresentativi» del popolo del Sahara occidentale.

375    In primo luogo, per quanto riguarda la consultazione degli eletti locali da parte del Regno del Marocco, si deve rilevare che, come precisato dalla Commissione, tali autorità locali e regionali sono state nominate in forza dell’ordinamento costituzionale marocchino e che, come sottolineato dal ricorrente, in sostanza, l’esercizio delle loro competenze è fondato sulle rivendicazioni di sovranità del Regno del Marocco sul Sahara occidentale. Di conseguenza, le istituzioni non possono ritenere, in ogni caso, che le consultazioni svolte presso tali autorità da siffatto Stato, parte dell’accordo controverso, fossero intese ad ottenere il consenso di un soggetto terzo rispetto a tale accordo, bensì, tutt’al più, a coinvolgere nella conclusione del medesimo le collettività locali e gli organismi pubblici interessati facenti parte di detto Stato.

376    Il fatto, addotto dal Consiglio, che tali soggetti eletti siano di «origine saharawi» è al riguardo irrilevante, a maggior ragione in quanto, come precisato dalla Commissione nella relazione dell’11 giugno 2018 e come rilevato dal ricorrente, il Regno del Marocco non opera una distinzione su base etnica o della comunità fra le popolazioni che si trovano nella parte del Sahara occidentale da esso controllata.

377    In secondo luogo, per quanto riguarda la consultazione, da parte della Commissione e del SEAE, delle diverse organizzazioni non governative e degli operatori economici ai quale viene fatto riferimento nella relazione dell’11 giugno 2018, la Commissione, interpellata al riguardo dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, ha affermato che per selezionare tali enti il SEAE ed essa stessa si erano fondate essenzialmente su tre criteri. Tali criteri sono, anzitutto, la presenza effettiva dell’ente o il perseguimento di attività in maniera regolare nel Sahara occidentale; poi, il tipo di attività esercitata (attività socioeconomiche e diritti dell’uomo) e, infine, l’importanza o la rilevanza dell’attività svolta a beneficio della popolazione del Sahara occidentale e il suo riconoscimento nel suo settore di attività nel Sahara occidentale o a livello internazionale. Essa aggiunge, nella sua risposta scritta, che la maggior parte degli interlocutori consultati aveva dichiarato di essere di origine saharawi.

378    A tal riguardo, da un lato, si può rilevare che tali criteri di selezione non possono essere considerati come diretti a selezionare «organi rappresentativi» del popolo del Sahara occidentale, ma, tutt’al più, un campione di enti che esercitano attività su tale territorio, tanto nel settore socioeconomico quanto in quello dei diritti fondamentali, potenzialmente benefici per la popolazione locale. L’affermazione della Commissione, in base alla quale la maggior parte degli interlocutori consultati aveva dichiarato di essere di «origine saharawi» è, al riguardo, irrilevante. Infatti, dalle spiegazioni di tale istituzione risulta che siffatta origine non ha costituito un criterio di selezione di detti enti e che, in ogni caso, tali interlocutori non si sono espressi in quanto membri di detto popolo, bensì in quanto rappresentanti degli enti consultati.

379    Dall’altro, occorre rilevare che tali enti e organismi sono, tutt’al più, rappresentativi di diversi interessi socioeconomici e propri della società civile, ma non risulta né dalla relazione dell’11 giugno 2018, né dalle memorie del Consiglio e della Commissione che tali enti o tali organismi si considerino essi stessi o debbano essere considerati come organi rappresentativi del popolo del Sahara occidentale e abilitati ad esprimere il consenso di quest’ultimo. In ogni caso, anche ammettendo che i criteri di cui al punto 368 siano applicabili, non risulta nemmeno dai documenti del fascicolo che essi si considerano o che dovrebbero essere considerati come «organi rappresentativi» delle «popolazioni interessate».

380    Inoltre, occorre aggiungere che la rappresentatività degli enti e degli organismi consultati dalla Commissione e dal SEAE è contestata dal ricorrente, che sostiene, da una parte, che la maggior parte delle organizzazioni che la Commissione afferma di avere consultato nella relazione dell’11 giugno 2018 non ha in realtà partecipato a detta consultazione (94 su 112 organizzazioni menzionate in allegato alla relazione) e suffraga, al riguardo, la sua affermazione con elementi precisi e concreti. Dall’altra, il ricorrente fa valere che i soli enti consultati dalla Commissione sono, in gran parte, operatori marocchini, o organizzazioni favorevoli agli interessi del Regno del Marocco. Il Consiglio e la Commissione non contestano la prima di tali affermazioni e le precisazioni fornite dalla Commissione per quanto riguarda gli enti effettivamente consultati tendono a confermare la seconda di esse.

381    In terzo luogo, per quanto riguarda il ricorrente stesso, quest’ultimo afferma che l’incontro che ha avuto luogo il 5 febbraio 2018 a Bruxelles fra il suo rappresentante e quello del SEAE non si iscriveva, in quanto tale, nell’ambito delle consultazioni di cui al precedente punto 377. Infatti, il ricorrente contesta il principio stesso di tali consultazioni, in ordine alle quali, a suo avviso, la Commissione e il SEAE non erano dotati di competenza, e precisa che tale incontro era stato organizzato su sua richiesta e unicamente al fine di riprendere il dialogo con la Commissione. Da parte sua, la Commissione indica, nella relazione dell’11 giugno 2018, che «discussioni tecniche» hanno avuto luogo con il ricorrente «nella sua qualità di interlocutore delle Nazioni Unite e part[e] del processo di pace delle Nazioni Unite».

382    Ciò premesso, nella misura in cui l’opinione del ricorrente per quanto riguarda l’accordo controverso è stata cionondimeno presa in considerazione nella relazione dell’11 giugno 2018 al pari di quella degli altri enti menzionati in tale relazione, occorre rilevare, in ogni caso, che la Commissione non ha ritenuto che il ricorrente fosse un organo rappresentativo del popolo del Sahara occidentale abilitato ad esprimere il suo consenso, ma, tutt’al più, una delle numerose «parti interessate» ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, TUE, che spettava alla stessa consultare, in conformità a tali disposizioni.

383    Pertanto, non si può ritenere che le consultazioni menzionate nella relazione dell’11 giugno 2018 siano state condotte presso «organi rappresentativi» del popolo del Sahara occidentale, ma, tutt’al più, come rilevato dal ricorrente, in sostanza presso «parti interessate» che le istituzioni potevano coinvolgere, in ogni caso, nella conclusione dell’accordo controverso, in conformità ai trattati, indipendentemente dalle «considerazioni sul consenso» della Corte di cui al considerando 10 della decisione impugnata.

384    Dai precedenti punti da 371 a 383 risulta dunque che non si può ritenere che le consultazioni svolte su richiesta del Consiglio dalla Commissione e dal SEAE abbiano consentito di ottenere il consenso del popolo del Sahara occidentale all’accordo controverso, in conformità al principio dell’effetto relativo dei trattati come interpretato dalla Corte.

385    Per quanto riguarda, ad oggi, l’interpretazione del diritto internazionale fatta valere dal Consiglio in base alla lettera del 29 gennaio 2002 del consigliere giuridico dell’ONU, sostenuto, al riguardo, dalla Commissione e dalla Repubblica francese (v. precedente punto 369), anzitutto, occorre rilevare che, come è già stato ricordato al precedente punto 111, l’Unione costituisce un sistema giuridico autonomo. Ne consegue che le istituzioni non possono sottrarsi all’obbligo di conformarsi all’interpretazione data dalla Corte delle norme di diritto internazionale applicabili ad un accordo relativo ad un territorio non autonomo, sostituendo a tale interpretazione criteri diversi tratti da una lettera del consigliere giuridico dell’ONU al Consiglio di sicurezza, privi, inoltre, di carattere vincolante.

386    Del resto, i pareri del consigliere giuridico dell’ONU sono emessi agli organi della stessa nell’ambito delle funzioni incombenti al segretariato di tale organizzazione internazionale ai sensi dell’articolo 98 della Carta delle Nazioni Unite. La loro portata non è dunque equivalente a quella dei pareri consultivi emessi in conformità all’articolo 96 di detta Carta dalla CIG, principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite ai sensi dell’articolo 92 di tale Carta, che determinano il diritto applicabile alla questione sollevata (v., in tal senso, parere consultivo del 25 febbraio 2019, Conseguenze giuridiche della separazione dell’arcipelago delle Chagos da Mauritius nel 1965, CIG, Raccolta 2019, pag. 95, punto 137).

387    In secondo luogo si deve rilevare che, come ricordato al precedente punto 312, la lettera del 29 gennaio 2002 del consigliere giuridico dell’ONU non verteva sulla questione del consenso del popolo del Sahara occidentale ad un accordo internazionale applicabile a tale territorio, bensì su quella della legittimità dei contratti di diritto privato stipulati fra organismi pubblici marocchini e talune società petrolifere ai fini della prospezione e della valutazione di risorse petrolifere al largo delle coste del Sahara occidentale.

388    In terzo luogo, occorre rilevare che nella sua lettera del 29 gennaio 2002 il consigliere giuridico dell’ONU ha esaminato la questione del Consiglio di sicurezza sulla base di analogie con la questione se, più in generale, le attività di una potenza amministratrice ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, che interessano le risorse minerarie di un territorio non autonomo, siano illegali in sé o soltanto a determinate condizioni. Orbene, come è già illustrato ai precedenti punti 362 e 363, il Regno del Marocco non intende essere considerato come una potenza amministratrice del Sahara occidentale e non può essere considerato in quanto tale, tenuto conto della sua posizione riguardo allo status di tale territorio, che, del resto, è rispecchiata dal preambolo dell’accordo controverso.

389    In quarto luogo, dalla parte «Conclusioni» della lettera del 29 gennaio 2002 del consigliere giuridico dell’ONU risulta che quest’ultimo ritiene che lo sfruttamento delle risorse naturali dei territori non autonomi violi i principi del diritto internazionale applicabili a tali territori laddove siffatto sfruttamento avvenga a danno degli interessi e della volontà dei popoli di tali territori non autonomi. Pertanto, anche ammettendo che tali conclusioni possano essere trasposte, per analogia, all’estensione delle preferenze commerciali accordate dall’Unione nell’ambito dell’accordo di associazione, è giocoforza constatare che esse non avvalorano la tesi del Consiglio, della Commissione e della Repubblica francese in base alla quale le istituzioni si sono conformate ai principi di diritto internazionale applicabili. Infatti, ne risulta espressamente che attività di prospezione e di sfruttamento svolte nel Sahara occidentale devono essere conformi non solo agli interessi del popolo di tale territorio, ma anche alla sua volontà e che, altrimenti, esse sono contrarie a detti principi.

390    Di conseguenza, il Consiglio e la Commissione non potevano, in ogni caso, fondarsi sulla lettera del 29 gennaio 2002 del consigliere giuridico dell’ONU per ritenere che l’accordo controverso fosse conforme ai principi del diritto internazionale applicabili ai territori non autonomi, dal momento che esso poteva essere considerato come benefico per lo sviluppo economico del Sahara occidentale, indipendentemente dalla questione se il consenso del popolo del Sahara occidentale fosse stato espresso. Pertanto, il ricorrente sostiene correttamente che le istituzioni non potevano sostituire al requisito dell’espressione di tale consenso, enunciato dalla Corte al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, il criterio dei benefici dell’accordo controverso per le popolazioni interessate.

391    Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che il Consiglio, adottando la decisione impugnata, non ha sufficientemente preso in considerazione tutti gli elementi rilevanti relativi alla situazione del Sahara occidentale e ha considerato, erroneamente, di disporre di un potere discrezionale per decidere se occorreva conformarsi al requisito in base al quale il popolo di tale territorio doveva esprimere il proprio consenso all’applicazione dell’accordo controverso nei suoi confronti, in quanto soggetto terzo rispetto allo stesso, in conformità all’interpretazione adottata dalla Corte del principio dell’effetto relativo dei trattati in combinato con il principio di autodeterminazione. In particolare, anzitutto, il Consiglio e la Commissione hanno erroneamente ritenuto che la situazione attuale di tale territorio non consentisse di assicurarsi dell’esistenza di tale consenso e, segnatamente, tramite il ricorrente. Inoltre, nel considerare che le consultazioni svolte dalla Commissione e dal SEAE, che non avevano ad oggetto l’ottenimento di un siffatto consenso e non miravano a rivolgersi a «organi rappresentativi» di detto popolo, avessero consentito di conformarsi al principio dell’effetto relativo dei trattati come interpretato dalla Corte al punto 106 della sentenza Consiglio/Fronte Polisario, il Consiglio è incorso in errore tanto in merito alla portata di tali consultazioni quanto in ordine al requisito enunciato a tale punto. Infine, il Consiglio ha erroneamente ritenuto di potersi fondare sulla lettera del 29 gennaio 2002 del consigliere giuridico dell’ONU per sostituire a tale requisito i criteri asseritamente enunciati in tale lettera. Ne consegue che la parte in esame del terzo motivo è fondata ed è idonea a determinare l’annullamento della decisione impugnata.

392    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che, senza che sia necessario esaminare la seconda parte del terzo motivo e gli altri motivi del ricorso, la decisione impugnata deve essere annullata.

C.      Sul mantenimento nel tempo degli effetti della decisione impugnata

393    Ai sensi dell’articolo 264, secondo comma, TFUE, il Tribunale può, ove lo reputi necessario, precisare gli effetti di un atto annullato che devono essere considerati definitivi.

394    A tal riguardo, dalla giurisprudenza risulta che gli effetti di un atto impugnato, segnatamente della decisione di conclusione di un accordo internazionale, possono essere mantenuti per motivi di certezza del diritto, qualora gli effetti immediati dell’annullamento di tale atto comportino gravi conseguenze negative [v., in tal senso, sentenze del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 60 e giurisprudenza citata, e del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 51].

395    Nel caso di specie, si deve rilevare che l’annullamento della decisione impugnata con effetto immediato può comportare gravi conseguenze sull’azione esterna dell’Unione e rimettere in discussione la certezza giuridica degli impegni internazionali ai quali essa ha acconsentito e che vincolano le istituzioni e gli Stati membri.

396    In tali circostanze, si deve applicare d’ufficio l’articolo 264, secondo comma, TFUE, mantenendo gli effetti della decisione impugnata per un periodo che non può eccedere il termine previsto all’articolo 56, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea o, se un’impugnazione è proposta entro tale termine, fino alla pronuncia della sentenza della Corte su tale impugnazione.

 Sulle spese

397    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

398    Il Consiglio, rimasto soccombente, deve essere condannato a sopportare le spese, conformemente alle conclusioni del ricorrente.

399    In conformità dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la Repubblica francese e la Commissione sopporteranno le proprie spese.

400    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può decidere che anche una parte interveniente diversa da quelle menzionate ai paragrafi 1 e 2 sopporti le proprie spese.

401    Nel caso di specie, occorre statuire che la Comader sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione (UE) 2019/217 del Consiglio, del 28 gennaio 2019, relativa alla conclusione dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, è annullata.

2)      Gli effetti della decisione 2019/217 sono mantenuti per un periodo che non può eccedere il termine previsto all’articolo 56, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea o, se un’impugnazione è proposta entro tale termine, fino alla pronuncia della sentenza della Corte su tale impugnazione.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal Fronte popolare per la liberazione del Saguia-el-Hamra e del Rio de Oro (Fronte Polisario).

4)      La Repubblica francese, la Commissione europea e la Confédération marocaine de l’agriculture et du développement rural (Comader) sopportano le proprie spese.

Costeira

Gratsias

Kancheva

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 settembre 2021.

Firme

Indice



*      Lingua processuale: il francese.