Language of document : ECLI:EU:C:2009:710

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO Mengozzi

presentate il 17 novembre 2009 (1)

Causa C‑451/08

Helmut Müller GmbH

contro

Bundesanstalt für Immobilienaufgaben

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberlandesgericht Düsseldorf, Germania)

«Appalti pubblici di lavori – Concessioni di lavori pubblici – Vendita di un terreno da parte di una pubblica amministrazione – Lavori da effettuarsi successivamente»





1.        La presente causa, che trova origine in una serie di questioni pregiudiziali sollevate dall’Oberlandesgericht Düsseldorf, permette alla Corte di tornare ancora una volta sul problema della distinzione tra appalti pubblici di lavori e attività di disciplina urbanistica esercitate dai pubblici poteri.

2.        Più precisamente, al centro della causa sulla quale il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi sta la vendita di un terreno da una pubblica amministrazione ad un soggetto privato. Tipicamente, tale fattispecie può indurre a riflessione circa l’esistenza di un possibile aiuto di Stato (2). Nel presente caso, tuttavia, simili preoccupazioni non sembrano sussistere. La specificità della vicenda consiste invece nel fatto che la pubblica amministrazione ha deciso di cedere il terreno all’offerente che ha dimostrato di avere, in relazione al terreno stesso, i progetti di utilizzo e di costruzione ritenuti più interessanti e meritevoli da parte delle autorità comunali, titolari dei poteri in materia di ordinamento urbanistico del territorio. Il giudice del rinvio si chiede se, in tale contesto, debbano trovare applicazione le norme che disciplinano gli appalti pubblici, e più specificamente quelle in materia di concessioni di lavori pubblici.

I –    Contesto normativo

3.        Le disposizioni sulle quali la Corte è chiamata a pronunciarsi sono contenute nella direttiva 2004/18/CE (3) (in prosieguo anche: la «direttiva»).

4.        L’art. 1 della direttiva prevede:

«1.      Ai fini della presente direttiva si applicano le definizioni di cui ai paragrafi da 2 a 15.

2.      a) Gli “appalti pubblici” sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva.

b) Gli “appalti pubblici di lavori” sono appalti pubblici aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione e l’esecuzione di lavori relativi a una delle attività di cui all’allegato I o di un’opera, oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice. Per “opera” si intende il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica.

(…)

3.      La “concessione di lavori pubblici” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo».

II – Fatti, causa principale e questioni pregiudiziali

5.        La Bundesanstalt für Immobilienaufgaben (agenzia federale che gestisce il patrimonio immobiliare pubblico; in prosieguo: la «Bundesanstalt») ha reso nota nell’ottobre 2006, mediante annunci sulla stampa e su Internet, l’intenzione di vendere un terreno di circa 24 ettari nel comune di Wildeshausen. Il terreno era occupato, in particolare, da una caserma, dismessa nei primi mesi del 2007.

6.        L’annuncio pubblicato dalla Bundesanstalt precisava che gli utilizzi ammessi per il terreno avrebbero dovuto essere concordati con il comune di Wildeshausen.

7.        Nel maggio 2007 una perizia commissionata dalla Bundesanstalt ha stimato in EUR 2,33 milioni il valore del terreno.

8.        La società Helmut Müller GmbH (in prosieguo: la «Helmut Müller») aveva presentato, già nel novembre 2006, un’offerta di acquisto del terreno al prezzo di EUR 4 milioni, subordinata tuttavia alla condizione che la pianificazione edilizia relativa all’area si conformasse ai suoi progetti. Tale proposta non ha avuto seguito.

9.        Nel gennaio 2007 la Bundesanstalt ha richiesto ai possibili interessati di formulare un’offerta per il terreno senza una pianificazione edilizia predeterminata. In tale contesto, la Helmut Müller ha presentato un’offerta di acquisto per EUR 1 milione. Un’altra società, la Gut Spascher Sand Immobilien GmbH (in prosieguo: la «GSSI»), ha invece presentato un’offerta per EUR 2,5 milioni.

10.      Successivamente il comune di Wildeshausen ha chiesto agli offerenti di presentare i propri progetti per l’utilizzo dell’area. Tali progetti sono stati discussi con il comune, in presenza anche della Bundesanstalt. In data 24 maggio 2007 il consiglio comunale di Wildeshausen ha espresso la propria preferenza per il progetto della GSSI, dichiarandosi pronto ad avviare un procedimento per definire il piano edilizio dell’area sulla base di tale progetto. La decisione del consiglio comunale, comunque, indicava esplicitamente di non considerare tale preferenza vincolante rispetto alle competenze urbanistiche del comune, che il consiglio comunale si riservava di esercitare liberamente.

11.      Il 6 giugno 2007 la Bundesanstalt ha venduto il terreno alla GSSI. Il contratto di vendita non contiene alcun riferimento alla futura utilizzazione del terreno ceduto.

12.      La vendita del terreno è stata impugnata dinanzi ai giudici nazionali dalla Helmut Müller, sostenendo in particolare che tale vendita avrebbe dovuto avvenire sulla base delle norme in materia di appalti pubblici.

13.      Investito della controversia, il giudice del rinvio ha sollevato le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, ai fini della sussistenza di un appalto pubblico di lavori ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. b), della [direttiva 2004/18], occorra che l’opera, intesa in senso oggettivo o materiale, sia acquisita dall’amministrazione aggiudicatrice e costituisca per essa un vantaggio economico diretto.

2)      Nel caso in cui la definizione dell’appalto pubblico di lavori di cui all’art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18 non consenta di prescindere dall’elemento dell’acquisizione: se, nell’ambito della seconda variante di tale disposizione, debba ammettersi che si ha un’acquisizione allorché per l’amministrazione aggiudicatrice i lavori siano funzionali al soddisfacimento di un determinato scopo pubblico (per esempio, contribuiscono allo sviluppo urbanistico di una parte del territorio comunale) e dall’appalto scaturisca per l’amministrazione aggiudicatrice la facoltà di assicurare che lo scopo pubblico sia raggiunto e che l’opera permanga in futuro al servizio di tale scopo.

3)      Se la nozione di appalto pubblico di lavori, nella prima e seconda variante di cui all’art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, richieda che l’imprenditore si obblighi direttamente o indirettamente all’esecuzione delle opere, e, eventualmente, che si tratti di un obbligo giuridicamente esigibile.

4)      Se la nozione di appalto pubblico di lavori, nella terza variante di cui all’art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, richieda che l’imprenditore si obblighi all’esecuzione di opere oppure che queste ultime costituiscano l’oggetto dell’appalto.

5)      Se rientrino nella nozione di appalto pubblico di lavori di cui alla terza variante dell’art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18/CE gli appalti attraverso i quali, tramite le esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice, deve essere garantito che l’opera da realizzare sia al servizio di uno scopo pubblico, e attraverso i quali viene conferita all’aggiudicatrice (in forza di una clausola contrattuale) la facoltà di assicurare (nel proprio interesse indiretto) la destinazione pubblica dell’opera.

6)      Se la condizione delle “esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice” di cui all’art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18 sia soddisfatta quando i lavori devono essere eseguiti conformemente a progetti esaminati ed approvati dall’amministrazione aggiudicatrice.

7)      Se debba escludersi la sussistenza di una concessione di lavori pubblici ai sensi dell’art. 1, n. 3, della direttiva 2004/18 qualora il concessionario sia o divenga proprietario dell’immobile sul quale l’opera deve essere realizzata, oppure qualora la concessione di lavori venga rilasciata a tempo indeterminato.

8)      Se la direttiva 2004/18 debba applicarsi – con il conseguente obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di indire una gara – anche nel caso in cui la cessione di un immobile ad opera di un terzo e l’aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori avvengono in forma differita, qualora al momento della stipulazione del negozio giuridico concernente l’immobile l’appalto pubblico di lavori non sia stato ancora aggiudicato, ma l’amministrazione aggiudicatrice si sia già prefissata l’obiettivo di aggiudicare tale appalto.

9)      Se due negozi giuridici, aventi ad oggetto rispettivamente la cessione di beni immobili e un appalto pubblico di lavori, che sono distinti tra loro, eppure connessi, debbano essere valutati come un insieme unitario dal punto di vista della normativa sugli appalti nel caso in cui, al momento della stipulazione del contratto di cessione di beni immobili, l’aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori fosse già prevista, e le parti contraenti avessero consapevolmente messo in atto una stretta connessione tra i contratti dal punto di vista materiale e, eventualmente, temporale (v. sul punto sentenza della Corte di giustizia 10 novembre 2005, causa C‑29/04, detta “Stadt Mödling”)».

III – Osservazioni preliminari

A –    La giurisprudenza del giudice del rinvio

14.      La comprensione delle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio richiede un chiarimento. Si deve in particolare osservare, come la stessa giurisdizione nazionale mette in evidenza nella propria ordinanza, che la giurisprudenza attuale del giudice del rinvio (l’Oberlandesgericht Düsseldorf) presenta alcune particolarità che la contrappongono alla maggior parte della giurisprudenza e della dottrina in materia di diritto degli appalti pubblici.

15.      In particolare, la posizione del giudice del rinvio muove dal presupposto che la natura essenzialmente urbanistica di un procedimento non esclude, in linea di principio, l’applicabilità delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici. A tale proposito, il giudice nazionale richiama la giurisprudenza della Corte nelle cause Ordine degli architetti e a. (4) e Commissione/Francia (5).

16.      In secondo luogo, il giudice del rinvio ricava dalla giurisprudenza Auroux e a. (6) il principio secondo il quale l’applicabilità delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici è del tutto indipendente dal fatto che l’amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire in proprietà, o anche soltanto possedere ed utilizzare, le opere che devono essere costruite. In altri termini, la disciplina comunitaria in materia di appalti potrebbe trovare applicazione a prescindere dall’esistenza di un elemento di acquisizione materiale di un bene da parte dell’amministrazione aggiudicatrice. In particolare, l’utilità perseguita dall’amministrazione aggiudicatrice potrebbe anche avere una natura immateriale, consistendo ad esempio, come nel caso in esame, nel raggiungimento di determinate finalità di sviluppo urbanistico del territorio comunale (7).

17.      Sulla base di tale giurisprudenza, la situazione oggetto della causa principale viene interpretata dal giudice del rinvio nei termini seguenti. Alla società GSSI sarebbe stata affidata una concessione di lavori pubblici (8), per la quale si sarebbero dovute applicare le pertinenti disposizioni del diritto comunitario (9). Il fatto che la società GSSI acquisisca sui beni interessati un diritto di proprietà non contrasterebbe con tale interpretazione, dal momento che la nozione di «concessione» definita dalla direttiva non escluderebbe né la durata indeterminata della stessa né il riconoscimento, a favore del concessionario, di un diritto di proprietà sui beni oggetto della concessione.

18.      Il fatto che il comune di Wildeshausen, pur avendo espresso la propria preferenza per la sistemazione urbanistica prospettata dalla società GSSI, non si sia formalmente vincolato ad autorizzare tale sistemazione, non costituirebbe secondo il giudice del rinvio un elemento in grado di infirmare la sua interpretazione della vicenda. In particolare il giudice nazionale richiama la sentenza della Corte nella causa Commissione/Austria (detta «Mödling») (10) per sostenere che anche un evento cronologicamente successivo all’aggiudicazione, se concretamente determinante ai fini della stessa, può dover essere tenuto in conto ai fini di una valutazione giuridica della fattispecie. In caso contrario, l’effetto utile delle disposizioni del diritto comunitario potrebbe essere facilmente compromesso.

19.      Come ho più sopra accennato, tuttavia, lo stesso giudice del rinvio riconosce che la sua interpretazione del diritto comunitario, nelle parti applicabili nella presente causa, è ben lontana dal trovare un consenso unanime. Con le sue questioni pregiudiziali, dunque, l’Oberlandesgericht Düsseldorf chiede alla Corte, in sostanza, se tale interpretazione sia o meno corretta.

B –    Le differenze tra le versioni linguistiche dell’art. 1 della direttiva

20.      L’art. 1 della direttiva individua, nella maggior parte delle versioni linguistiche (11), tre tipi diversi di «appalto pubblico di lavori». Si tratta, in particolare, di:

–        esecuzione, eventualmente accompagnata da progettazione, di lavori (12) edilizi dei tipi specificati nell’allegato I alla direttiva (prima variante);

–        esecuzione, eventualmente accompagnata da progettazione, di un’opera (13) (seconda variante);

–        esecuzione con qualsiasi mezzo di un’opera (14) rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice (terza variante).

21.      La direttiva specifica subito dopo che per «opera» (15) si intende «il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica».

22.      Si deve osservare subito che le versioni linguistiche della direttiva presentano alcune differenze di un certo rilievo.

23.      Vi sono, innanzitutto, le differenze che risultano dall’uso di terminologie non sempre coerenti all’interno delle tre varianti indicate: ciò si evidenzia, in particolare, osservando i termini a cui fanno ricorso alcune delle versioni linguistiche, come si è indicato nelle note alle varianti in questione.

24.      In aggiunta, la versione tedesca presenta due ulteriori significative differenze. Innanzitutto, la terza variante precisa che l’esecuzione dell’attività ivi prevista deve avvenire «tramite terzi» (durch Dritte): tale precisazione è assente nelle altre versioni linguistiche (16). In secondo luogo, l’attività di cui alla terza variante non è indicata come «opera» (Bauwerk), ma come «attività edilizia» (Bauleistung): con la conseguenza che la successiva definizione di «opera» appare applicabile, nel testo tedesco, alla sola seconda variante, e non alla terza (17).

25.      L’esistenza dei problemi testuali appena accennati sconsiglia fortemente di cercare l’interpretazione «corretta» delle disposizioni attraverso un’analisi strettamente letterale delle stesse, magari limitata per di più ad una sola versione linguistica. In realtà, solo l’interpretazione sistematica e quella teleologica possono, insieme ad una certa dose di buon senso interpretativo, guidare la ricerca del significato da attribuire alle disposizioni.

IV – Analisi giuridica

A –    Premessa: la nozione di appalto di lavori pubblici

26.      Al fine di poter dare una risposta il più possibile completa alle questioni sollevate dal giudice del rinvio è necessario, a titolo preliminare, individuare le caratteristiche essenziali di un appalto di lavori.

27.      Si tratta, è bene precisarlo subito, di una nozione che attiene in modo esclusivo al diritto comunitario, cosicché la qualificazione di una fattispecie sulla base del diritto nazionale di uno Stato membro non è pertinente in questa sede (18).

28.      Per quanto concerne l’oggetto dell’appalto, la direttiva 2004/18 individua, come si è visto più sopra, tre tipi fondamentali. Sintetizzando, tuttavia, si può dire che, ai sensi dell’art. 1 della citata direttiva, rientrano nella nozione di appalto di lavori pubblici, da un lato, lo svolgimento di specifici lavori, riconducibili ai tipi elencati nell’allegato I alla direttiva, e, dall’altro, la realizzazione di opere. In altri termini, la nozione comprende sia attività di costruzione, indipendentemente dal fatto che il risultato di lavori costituisca un bene avente natura definita e/o conclusa, sia attività di realizzazione, eventualmente anche attraverso terze parti, di specifici beni «compiuti». Tali beni, la cui natura «compiuta» viene individuata dalla direttiva osservando che gli stessi esplicano «una funzione economica o tecnica», sono normalmente definiti come «opere».

29.      Rispetto alle singole specifiche situazioni che devono essere valutate, il loro rientrare o meno nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/18 deve naturalmente essere esaminato caso per caso. Mi sembra tuttavia che, in generale, un approccio flessibile, fondato, più che sulla tripartizione presente nella maggior parte delle versioni linguistiche dell’art. 1, sulla bipartizione lavori/opere, così come esposta nel paragrafo precedente, permetta nella maggior parte dei casi di risolvere il problema relativo alla sussistenza dei presupposti oggettivi per l’applicazione della direttiva.

30.      Indipendentemente dall’approccio seguito, tuttavia, non si deve dimenticare che un elemento che caratterizza tutti gli appalti di lavori pubblici è la presenza dell’elemento della costruzione. In altri termini, le attività svolte devono comportare una realizzazione di beni. La semplice compravendita di beni già esistenti è infatti esplicitamente esclusa dall’ambito applicativo della direttiva (19).

31.      Lo stesso art. 1 della direttiva individua esplicitamente altri caratteri essenziali di un appalto di lavori. Si stabilisce, infatti, che l’appalto di lavori è un contratto, stipulato in forma scritta e a titolo oneroso. Tale ultima caratteristica implica, dunque, che alla prestazione dell’appaltatore corrisponda una controprestazione della pubblica amministrazione, non necessariamente in denaro, ma certo economicamente valutabile (20).

32.      La direttiva stessa, tuttavia, prevede, com’è noto, un’alternativa rispetto al modello «tipico» in cui la pubblica amministrazione paga (in senso lato, come si è visto) il costruttore di un’opera. In tale modello alternativo, che è quello della concessione di lavori pubblici, «il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo». Secondo il giudice del rinvio, al caso di specie dovrebbe trovare applicazione la disciplina della concessione di lavori pubblici, dal momento che la pubblica amministrazione si limita a permettere al soggetto che intende svolgere taluni lavori edilizi di profittare pienamente, secondo le norme del diritto di proprietà, dei risultati della sua attività costruttiva. Tale problema sarà discusso nei dettagli più sotto, in particolare nell’ambito dell’analisi della settima questione pregiudiziale.

33.      Un’ulteriore osservazione che deve essere fatta concerne la finalità che i pubblici poteri perseguono mediante le opere e/o i lavori che intendono realizzare. Ebbene, come la giurisprudenza della Corte ha avuto modo di precisare, ai fini dell’applicabilità delle norme della direttiva la finalità perseguita è irrilevante (21). Ciò che rileva, dunque, è esclusivamente la sussistenza dei presupposti oggettivi delineati dal testo normativo.

34.      Tale indifferenza della disciplina comunitaria rispetto ai fini perseguiti nei singoli casi concreti dai pubblici poteri si spiega osservando che, come suggeriscono i ‘considerando’ della direttiva, obiettivo principale della disciplina comunitaria degli appalti pubblici è quello di eliminare le restrizioni alle libertà fondamentali e di favorire una concorrenza effettiva (22). Di conseguenza, la prospettiva è quella dei soggetti che potrebbero essere interessati ad eseguire i lavori: e per tali soggetti, come è chiaro, il fine che la pubblica amministrazione intende perseguire è irrilevante.

35.      Le ampie e ambiziose finalità della direttiva, che pure devono essere tenute presenti nell’interpretazione della stessa, non devono tuttavia far ritenere che, facendo leva sullo scopo di tale testo normativo, il suo ambito di applicazione possa essere esteso senza limiti. In particolare, va osservato che taluni specifici settori in cui la direttiva non trova applicazione sono indicati già nel testo della stessa: si vedano, in particolare, gli artt. 10-16. Di conseguenza, non è ammissibile un’interpretazione esclusivamente «funzionale» della direttiva, condotta tenendo in considerazione soltanto gli obiettivi di fondo della stessa.

36.      Ponendosi infatti in un’ottica di interpretazione «funzionale», come sembra essere quella caldeggiata in particolare dalla Commissione, si pone il problema cruciale di individuare quale sia il parametro in funzione del quale la direttiva deve trovare applicazione. Orbene, la Commissione stessa indica che la sua preoccupazione principale è quella che taluni soggetti possano acquisire una posizione di vantaggio senza essere stati prima collocati in una situazione di parità rispetto ad altri soggetti potenzialmente interessati ad acquisire tale posizione. In casi come quello in esame, la posizione di vantaggio sarebbe costituita dall’aumento di valore di un terreno derivante dal fatto che sullo stesso la pubblica amministrazione permette la realizzazione di talune attività edilizie. Di conseguenza, seguendo l’interpretazione della Commissione, ogni «aumento di valore» di un bene immobile, qualora riconducibile ad un’attività dei poteri pubblici, dovrebbe sottostare alle disposizioni della direttiva. È però evidente che, accettando tale posizione, si rischia di dover accettare l’ipotesi, per quanto assurda, di una sottoposizione alle regole della direttiva di ogni attività di disciplina urbanistica: per definizione, infatti, i provvedimenti che disciplinano le possibilità di realizzare opere edilizie modificano, in maniera anche sostanziale, il valore dei terreni ai quali fanno riferimento.

37.      Tale posizione estrema, in realtà, non è sostenuta da nessuno. Essa costituisce però, si deve sottolineare, la logica conseguenza di una lettura esclusivamente funzionale della direttiva.

38.      È vero che, come è noto, in taluni ambiti la giurisprudenza della Corte ha seguito un’interpretazione dichiaratamente «funzionale» delle disposizioni del diritto comunitario. In particolare, nell’ambito del diritto degli appalti pubblici ciò è avvenuto relativamente alle nozioni di «amministrazione aggiudicatrice» e di «organismo di diritto pubblico» (23). Si deve però innanzitutto osservare, a questo proposito, che in tali occasioni l’interpretazione funzionale è stata utilizzata per chiarire la portata di una specifica nozione, e non per definire in generale l’ambito applicativo dell’intero corpus normativo in materia di appalti pubblici. Inoltre, nei casi citati il ricorso all’interpretazione funzionale ha avuto essenzialmente lo scopo di evitare la formazione di macroscopiche lacune, in cui si sarebbero aperti ampi spazi per abusi: mi riferisco, ad esempio, al caso in cui la funzione tipica di un organismo di diritto pubblico sia stata assunta in un momento successivo alla costituzione di una società, senza adeguamento del suo statuto (24), o a quello in cui il finanziamento pubblico (nella fattispecie, di un organismo radiotelevisivo) sia avvenuto, anziché tramite il versamento diretto di risorse pubbliche, imponendo il pagamento di un canone a tutti i possessori di un apparecchio ricevente (25).

39.      Mi sembra dunque chiaro che, invece, l’ambito di applicazione della direttiva deve essere individuato facendo riferimento, in primo luogo, ai presupposti oggettivi che sono individuati dalla direttiva stessa. Ciò non significa, naturalmente, che l’interprete debba evitare qualunque considerazione di tipo «funzionale». In realtà, gli obiettivi perseguiti dalla direttiva sono, come è evidente, uno dei principali punti di riferimento ai fini dell’interpretazione (26): essi non possono, tuttavia, costituire il solo parametro di riferimento, e non possono aggirare la volontà del legislatore di definire il campo di applicazione della norma.

40.      Passerò ora all’esame delle questioni pregiudiziali. Per ragioni di connessione logica delle questioni, mi occuperò prima di tutto della prima, della seconda, della quinta e della sesta di esse.

B –    La prima e la seconda questione

41.      Con le prime due questioni pregiudiziali, che possono essere affrontate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte di chiarire se, in generale, al fine dell’esistenza di un appalto pubblico di lavori ai sensi della direttiva 2004/18, sia necessario che l’oggetto dell’appalto costituisca un bene materialmente acquisito dalla pubblica amministrazione, il quale rappresenti per la stessa un’utilità economica diretta. Nel caso di risposta affermativa, cioè qualora, per utilizzare la terminologia del giudice del rinvio, non sia possibile «prescindere dall’elemento dell’acquisizione», si chiede se tale elemento possa o meno essere ravvisato nel semplice perseguimento, in via generale, di uno scopo pubblico, ad esempio di una determinata sistemazione urbanistica del territorio comunale.

1.      Le posizioni delle parti

42.      Le posizioni sostenute dai soggetti che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento coprono un ventaglio assai ampio.

43.      Da un lato, il governo tedesco, sostenuto sul punto dalla Bundesanstalt e in larga misura del governo austriaco, sostiene con forza la necessità che, affinché si possa parlare di un appalto di lavori pubblici, l’elemento dell’acquisizione sia presente. In realtà, tale governo afferma che non deve trattarsi necessariamente di un’acquisizione di tipo materiale, e che anche un semplice vantaggio economico per la pubblica amministrazione può essere sufficiente. Tuttavia, ciò che a giudizio del governo tedesco non è sufficiente è il semplice perseguimento, in generale, di un obiettivo pubblico, come nel caso presente. Per quanto riguarda la sentenza Auroux e a. della Corte, che costituisce come abbiamo visto uno dei cardini della posizione verso la quale tende il giudice nazionale, il governo tedesco osserva che, nella causa che ha dato origine a tale decisione, l’esistenza di un’utilità economica diretta per la pubblica amministrazione era scontata, cosicché la Corte non ha considerato necessario concentrare la propria attenzione su tale punto. Ciò tuttavia non dovrebbe in alcun modo essere interpretato nel senso di un’esclusione della necessità del requisito dell’utilità economica: tale requisito, anche se non esplicitamente indicato nella direttiva, sarebbe implicito nell’economia generale della stessa. Quanto agli argomenti fondati sulla necessità di garantire l’effetto utile della direttiva e di prevenire il rischio di abusi, secondo il governo tedesco essi non possono consentire di applicare surrettiziamente la direttiva al di fuori del suo ambito naturale di applicazione. Eventuali necessità di prevenire abusi al di fuori del settore degli appalti pubblici dovrebbero essere affrontate utilizzando strumenti normativi diversi, ma non la direttiva 2004/18.

44.      Diametralmente opposta a quella del governo tedesco è invece la posizione sostenuta dalla Commissione. In particolare, secondo la Commissione l’unico elemento determinante per fornire una risposta al giudice del rinvio consiste nel fatto che il testo della direttiva non richiede che, al fine dell’esistenza di un appalto di lavori pubblici, la pubblica amministrazione acquisisca qualcosa da un soggetto esterno ad essa. Richiedere l’esistenza dell’elemento dell’acquisizione significherebbe dunque introdurre una condizione non richiesta dal testo normativo.

45.      In una posizione intermedia si colloca, infine, il governo dei Paesi Bassi. Secondo tale governo, in particolare, sebbene l’acquisizione dell’opera da parte della pubblica amministrazione non sia necessaria, e ciò anche alla luce delle giurisprudenza della Corte, è tuttavia necessario, al fine dell’esistenza di un appalto pubblico di lavori, che sussista un interesse economico diretto della pubblica amministrazione. In particolare, tale interesse economico diretto può consistere, a seconda dei casi, sia in un vantaggio economico per la pubblica amministrazione sia in quello che il governo dei Paesi Bassi definisce come un «rischio di perdite» sopportato dalla stessa. Nella fattispecie sottoposta all’esame del giudice del rinvio, a giudizio del governo dei Paesi Bassi, tale interesse economico non esiste, o almeno non è ravvisabile sulla base degli elementi forniti dalla giurisdizione nazionale.

2.      Valutazione

46.      A mio modo di vedere, la corretta interpretazione della direttiva 2004/18 si colloca a metà strada tra le due posizioni «estreme» del governo tedesco e della Commissione. D’altra parte, non condivido pienamente neppure la posizione del governo dei Paesi Bassi, che mi sembra faccia eccessivamente perno, al fine di definire la nozione di appalto pubblico di lavori, su un elemento di tipo economico.

47.      Al fine di poter dare una risposta alla questione sottoposta alla Corte, ritengo importante partire dall’interpretazione che deve essere data alla già citata sentenza Auroux e a. (27). Nella fattispecie all’origine del procedimento che ha dato luogo a tale sentenza, com’è noto, un’amministrazione comunale aveva affidato senza gara ad una seconda amministrazione aggiudicatrice la realizzazione di un’opera di sistemazione urbanistica. In tale contesto, la seconda amministrazione aggiudicatrice avrebbe dovuto, utilizzando in parte i fondi erogati dal comune, realizzare svariate opere edilizie, destinate in parte ad essere vendute a terzi e in parte ad essere consegnate all’amministrazione comunale. La Corte ha considerato tale situazione come un appalto pubblico di lavori, dichiarando a tal fine irrilevante il fatto che fosse previsto o meno che la prima amministrazione aggiudicatrice, vale a dire il comune, divenisse proprietaria in tutto o in parte dell’opera da realizzare (28).

48.      È vero che, come fa osservare il governo tedesco, nelle circostanze di tale causa non c’erano dubbi sul fatto che, almeno in parte, talune delle opere da realizzare sarebbero andate direttamente a beneficio dell’amministrazione comunale. È altrettanto vero però che la formulazione assai larga scelta dalla Corte esclude, a mio avviso, la necessità di considerare l’acquisizione diretta a favore di una pubblica amministrazione come un requisito di un appalto di lavori pubblici.

49.      D’altra parte, tuttavia, deve essere messa in rilievo un’altra caratteristica della fattispecie esaminata nella sentenza appena citata: in tale occasione, l’amministrazione comunale aveva versato una somma importante di denaro, e si era attivata direttamente con la seconda amministrazione aggiudicatrice per ottenere la realizzazione delle opere volute.

50.      La nozione di appalto pubblico di lavori, per quanto debba essere interpretata in modo ampio, al fine di evitare possibili abusi, non può, come già osservato più sopra, essere dilatata in modo indefinito (29). Una simile lettura «funzionalistica» non può ignorare completamente i limiti del campo di applicazione della direttiva. Se infatti è certamente vero che l’obiettivo principale delle direttive in materia di appalti pubblici è quello di favorire la concorrenza tra le imprese e di aprire i mercati, è vero al tempo stesso che, al di fuori del campo di applicazione della direttiva, tale obiettivo dovrà essere perseguito utilizzando opportuni e diversi strumenti legislativi, senza ampliare oltre misura l’ambito applicativo delle disposizioni in materia di appalti pubblici.

51.      È dunque necessario individuare con una certa precisione i confini di tale ambito applicativo, i quali debbono rappresentare limiti invalicabili per l’applicabilità delle norme della direttiva.

52.      Ebbene, mi sembra che da una considerazione complessiva del testo normativo, tenendo altresì presente l’interpretazione che finora la Corte ne ha dato, sia possibile ricavare il principio di fondo secondo il quale, al fine di poter far rientrare una determinata attività nell’ambito del diritto degli appalti pubblici di lavori, è necessario che sussista un solido legame diretto tra la pubblica amministrazione e i lavori o le opere da realizzare. Tale legame deriva, normalmente, dal fatto che i lavori o le opere sono realizzati in seguito ad una iniziativa della pubblica amministrazione.

53.      Non è dunque sufficiente, come ritiene invece il giudice del rinvio, un’utilità di tipo meramente immateriale e indiretto. Né può bastare il semplice fatto che l’attività da valutare risponda, in generale, all’interesse pubblico. Si deve infatti osservare che, nei casi in cui l’attività richieda un’autorizzazione da parte di una pubblica amministrazione (come è normalmente il caso di tutte le attività edilizie), al fine di poter essere autorizzata l’attività stessa deve evidentemente essere conforme all’interesse pubblico, che costituisce il parametro di riferimento dell’attività di autorizzazione svolta dai pubblici poteri. La generica esistenza di un interesse pubblico, il quale giustifica l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività, non può dunque, a pena di un’incontrollata estensione dell’ambito applicativo della direttiva, costituire il criterio determinante per individuare le fattispecie che vi rientrano. In particolare, si deve tenere presente che un’autorizzazione edilizia, cioè l’espressione tipica dei poteri dell’amministrazione nell’ambito oggettivamente urbanistico, si limita di regola a rimuovere un limite per lo svolgimento di un’iniziativa che parte da un soggetto privato, e non dalla pubblica amministrazione.

54.      Ritengo che richiedere l’esistenza di un legame diretto tra la pubblica amministrazione e le opere o i lavori da realizzare permetta di conciliare le necessità, tendenzialmente contrapposte, di prevenire abusi da un lato, e di evitare un’estensione incontrollata dell’ambito di applicazione della direttiva dall’altro. In particolare, tale formulazione permette di rispettare appieno quanto affermato dalla Corte nella già più volte citata sentenza Auroux e a., secondo la quale l’acquisizione in proprietà delle opere da parte dell’amministrazione non è condizione necessaria per applicare la normativa sui contratti pubblici. Tale sentenza non può tuttavia essere utilizzata come giustificativa di un approccio che prescinda completamente da un solido collegamento tra i pubblici poteri e le opere da realizzare: proprio il criterio del legame diretto può costituire, mi sembra, un’adeguata formulazione di tale necessario collegamento.

55.      Tale legame diretto è evidentemente ravvisabile, innanzitutto, nelle situazioni in cui la pubblica amministrazione ottiene direttamente la proprietà del bene da realizzare. Si tratta, come è evidente, del caso più tipico, e in tale modello di riferimento ricadono la maggioranza dei casi in cui la direttiva deve trovare applicazione. A tale situazione tipica vanno anche accostate le situazioni in cui, pur non essendo acquisiti in proprietà dalla pubblica amministrazione, i beni da realizzare costituiscono comunque, per l’amministrazione stessa, un vantaggio economico diretto. Si può trattare, ad esempio, dei casi in cui i pubblici poteri acquisiscono, sui beni costruiti, un diritto che, pur diverso dal diritto di proprietà, permette comunque, almeno in una certa misura, il godimento del bene.

56.      Una seconda ipotesi di legame diretto tra la pubblica amministrazione e le opere o i lavori da realizzare può essere individuata, a mio avviso, nei casi in cui la pubblica amministrazione utilizza, per la realizzazione dei lavori e/o delle opere, risorse pubbliche. Si tratta evidentemente, nella maggior parte dei casi, di situazioni che ricadono anche nella prima ipotesi indicata al paragrafo precedente, dal momento che, nel modello più classico di utilizzo di risorse pubbliche per la realizzazione di lavori od opere, vale a dire quello dell’appalto, i pubblici poteri pagano al fine di ottenere la proprietà dei beni che saranno realizzati. Peraltro, come si è visto, anche nel modello della concessione può esservi un utilizzo di risorse pubbliche, sebbene queste non possano coprire la totalità del valore delle opere o dei lavori da realizzare.

57.      Tale seconda ipotesi abbraccia tuttavia anche situazioni in cui, a fronte di un esborso di denaro o di altre risorse pubbliche, la pubblica amministrazione non acquisisce la proprietà dei beni da realizzare. Come la Corte ha precisato nella sentenza Auroux e a., l’acquisizione in proprietà non è infatti un elemento indispensabile. Del resto, appare perfettamente conforme a ragioni di equità e di rispetto dei principi di fondo della direttiva il fatto che, nel momento in cui i pubblici poteri intendono utilizzare risorse pubbliche, la selezione dei soggetti che riceveranno tali risorse sia effettuata in presenza delle garanzie offerte dalla direttiva.

58.      Va da sé che rientrano in tale ipotesi anche le situazioni in cui le risorse pubbliche utilizzate non hanno natura pecuniaria: si pensi ad esempio al caso in cui, per realizzare le opere o i lavori, sono messi a disposizione dell’appaltatore o del concessionario terreni pubblici a titolo gratuito, o ad un prezzo inferiore a quello di mercato.

59.      Una terza ipotesi di legame diretto tra la pubblica amministrazione e i lavori o le opere da realizzare ha natura residuale, e riguarda i casi in cui tali opere e/o tali lavori, al di là dell’esistenza della prima o della seconda ipotesi, siano comunque il risultato di un’iniziativa della pubblica amministrazione stessa. In particolare, tale fattispecie è realizzata qualora i pubblici poteri attivino, di propria iniziativa, un procedimento che conduce alla realizzazione delle opere o dei lavori. Una situazione di questo tipo è quella che è stata valutata dalla Corte nella già citata sentenza Auroux e a. (30).

60.      La terza e ultima ipotesi richiede tuttavia una importante precisazione. L’attività svolta in tale contesto dalla pubblica amministrazione deve andare al di là del semplice utilizzo dei poteri che all’amministrazione stessa sono riconosciuti, in generale, nell’ambito urbanistico. Solo in tal modo, infatti, è possibile tracciare una chiara linea di demarcazione tra l’attività che rientra nell’ambito applicativo della direttiva e la «normale» attività di disciplina urbanistica, che di per sé è invece sottratta a tale applicazione. In concreto, la valutazione relativa al tipo di attività svolta dalla pubblica amministrazione nei singoli casi concreti dovrà essere svolta dal giudice nazionale, con una valutazione caso per caso.

61.      In tale quadro, non si può escludere che anche il raggiungimento di una certa sistemazione urbanistica del territorio possa essere oggetto di un contratto rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva. Ciò, tuttavia, a condizione che sussista, tra la pubblica amministrazione e i lavori o le opere da realizzare, un legame diretto nel senso indicato nei paragrafi precedenti. Il semplice perseguimento dell’interesse pubblico realizzato attraverso il ricorso agli ordinari poteri in materia urbanistica non è sufficiente per condurre all’applicazione delle norme comunitarie in materia di appalti e concessioni.

62.      Nel caso di specie spetta naturalmente al giudice del rinvio valutare l’esistenza o meno di tale legame diretto. Osservo però che, sulla base degli elementi che il giudice nazionale ha fornito alla Corte, mi sembra difficile che il legame diretto possa considerarsi sussistente. Da un lato infatti, come sembra pacifico, la pubblica amministrazione non acquisirà nel caso in esame alcun bene, e non otterrà alcun vantaggio economico diretto. Né sembrano ricorrere le altre possibili situazioni in cui un legame diretto può essere ravvisato, dal momento che il comune di Wildeshausen non ha preso una specifica iniziativa per la realizzazione delle opere, limitandosi invece a valutare i diversi progetti che gli sono stati sottoposti, e nemmeno ha dovuto affrontare alcuna spesa ai fini della costruzione. Allo stesso modo, tali elementi di collegamento non appaiono ravvisabili neppure rispetto alla Bundesanstalt.

C –    La quinta e la sesta questione

63.      La quinta e la sesta questione pregiudiziale sono relative alla sola terza «variante» della nozione di appalto pubblico di lavori (31), e costituiscono in una certa misura la riproposizione, con riferimento a tale ipotesi, dei problemi sollevati nell’ambito delle prime due questioni, e della seconda in particolare.

64.      Più precisamente, con la quinta questione il giudice del rinvio chiede di sapere se le «esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice» di cui alla citata variante possano consistere semplicemente nel fatto che la pubblica amministrazione ha il potere di garantire che le opere da realizzare rispondano ad un interesse pubblico.

65.      Con la sesta questione, invece, si chiede alla Corte di specificare se le citate «esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice» possano consistere, di fatto, nel potere riconosciuto alla pubblica amministrazione di esaminare ed approvare i progetti edilizi.

1.      Argomenti delle parti

66.      Tutte le parti che hanno presentato osservazioni, con la sola ovvia eccezione della Helmut Müller, concordano in linea di principio sul fatto che, in una situazione come quella di cui alla causa principale, non sussistono le condizioni per configurare un appalto di lavori pubblici ai sensi della terza variante.

67.      Più in particolare, la Commissione, il governo dei Paesi Bassi e quello francese insistono sulla necessità di distinguere fra un ruolo «attivo» della pubblica amministrazione, in cui quest’ultima prende l’iniziativa per l’esecuzione delle opere, o comunque esercita un’influenza determinante, e un ruolo meramente «passivo», in cui i pubblici poteri si limitano a funzioni di approvazione e controllo rispetto a progetti che promanano da soggetti privati. In tale secondo caso non si sarebbe in presenza di un appalto pubblico, ma tutt’al più dello svolgimento, da parte delle pubbliche amministrazioni, delle proprie ordinarie funzioni di pianificazione, approvazione, controllo, ecc.

68.      Dal canto suo, il governo tedesco fonda la propria posizione sulla considerazione che anche per la terza variante della nozione di appalto pubblico di lavori è necessario sussistano le condizioni che tale governo ritiene necessarie ai fini dell’esistenza di una delle prime due varianti, tra le quali, in particolare, quella di un’utilità economica diretta per la pubblica amministrazione.

2.      Valutazione

69.      La scelta del giudice del rinvio di separare, nell’articolare le proprie questioni alla Corte, la problematica relativa alle prime due varianti della nozione di appalto pubblico di lavori, oggetto in particolare della seconda questione, da quella relativa alla terza variante, che è al centro della quinta e della sesta questione, si fonda, mi sembra, sulla volontà di ricavare dal tenore letterale della terza variante un considerevole ampliamento del campo di applicazione della direttiva.

70.      Ora, è indubbio, come del resto ha messo bene in evidenza la Commissione nelle sue osservazioni, che la terza variante della nozione di appalto pubblico di lavori è stata concepita effettivamente al fine di evitare elusioni della norma, permettendo di farvi rientrare fattispecie di vario tipo che sarebbe stato impossibile individuare preventivamente in modo esaustivo.

71.      Tuttavia, come ho osservato più sopra, non è possibile utilizzare la lettera del testo normativo per estenderne la portata in modo del tutto incontrollato. In particolare, se le «esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice» potessero inglobare tutte le funzioni di approvazione e programmazione urbanistica di cui godono i pubblici poteri, il campo di applicazione della direttiva si espanderebbe oltre misura.

72.      In realtà, anche in relazione alla terza variante devono essere applicate le considerazioni che ho svolto più sopra in relazione alle prime due questioni pregiudiziali. Non vi è alcuna ragione per ritenere che, con riferimento alla terza variante, si possa prescindere dalla necessità, al fine di poter applicare la direttiva 2004/18, di un legame diretto tra la pubblica amministrazione e le opere da realizzare.

D –    Conclusioni parziali

73.      Concludendo dunque la mia analisi della prima, della seconda, della quinta e della sesta questione pregiudiziale, suggerisco alla Corte di risolverle dichiarando che, ai fini della sussistenza di un appalto pubblico di lavori o di una concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva 2004/18, è necessario che sussista un legame diretto tra l’amministrazione aggiudicatrice e i lavori o le opere da realizzare. Tale legame diretto può consistere, in particolare, nel fatto che l’opera sia destinata ad essere acquisita dalla pubblica amministrazione, o che fornisca alla stessa un vantaggio economico diretto, oppure ancora nel fatto che l’amministrazione aggiudicatrice abbia assunto l’iniziativa della realizzazione o sostenga almeno in parte i costi della stessa.

E –    La terza e la quarta questione

74.      Con la terza e la quarta questione l’Oberlandesgericht Düsseldorf chiede in sostanza se sia essenziale, nella nozione di appalto pubblico di lavori, il fatto che l’appaltatore si obblighi alla realizzazione delle opere o dei lavori. Le questioni, apparentemente singolari, si spiegano considerando che, nella fattispecie oggetto di esame dinanzi al giudice nazionale, è pacifico che l’acquirente dei terreni non ha assunto, con l’acquisto degli stessi, alcun obbligo di costruire.

75.      Quasi tutti i soggetti che hanno presentato osservazioni concordano in generale sulla necessità di rispondere in modo affermativo alle questioni, senza che tra le loro posizioni emergano sostanziali differenze. Soltanto la società Helmut Müller, ricorrente nella causa principale, suggerisce per ovvie ragioni alla Corte di accogliere invece l’impostazione del giudice del rinvio, secondo il quale tale obbligo non è necessario.

76.      Mi sembra tuttavia chiaro che alle questioni va data una risposta in senso affermativo, e che l’obbligo di realizzare i lavori e/o le opere costituisce un elemento irrinunciabile affinché possa esistere un appalto pubblico di lavori o una concessione di lavori pubblici.

77.      Ciò risulta, in primo e fondamentale luogo, dalle previsioni della stessa direttiva 2004/18, la quale, come si è visto, definisce l’appalto pubblico di lavori come un contratto a titolo oneroso. Esiste dunque, alla base stessa della nozione, l’idea di uno scambio di prestazioni tra l’amministrazione aggiudicatrice, che paga un prezzo (o, in alternativa, concede un diritto di uso) e l’appaltatore, chiamato a realizzare lavori o opere. È pertanto evidente la natura sinallagmatica dell’appalto pubblico. Sarebbe chiaramente contrastante con tale natura ammettere che, dopo aver ottenuto l’aggiudicazione dell’appalto, un appaltatore possa semplicemente decidere, in modo unilaterale e senza alcuna conseguenza, di non realizzare quanto previsto. In caso contrario, si finirebbe per riconoscere ad un appaltatore un potere discrezionale rispetto alle esigenze e ai bisogni dell’amministrazione aggiudicatrice.

78.      Una questione diversa e concettualmente separata, che è altresì posta dal giudice del rinvio, concerne la necessità o meno che, per configurare un appalto di lavori pubblici, l’eventuale obbligo assunto dall’appaltatore nei confronti della pubblica amministrazione debba essere giuridicamente esigibile. Il giudice nazionale chiede, cioè, se debba essere prevista la possibilità che l’amministrazione aggiudicatrice, nel caso di mancata realizzazione, possa agire in giudizio per obbligare alla stessa l’appaltatore.

79.      Se con tale formulazione il giudice del rinvio intende interrogare la Corte circa la necessità che, in materia di appalti di lavori ai sensi della direttiva 2004/18, l’ordinamento nazionale debba necessariamente prevedere meccanismi mediante i quali un appaltatore può essere obbligato a realizzare l’opera o i lavori previsti dal contratto, la risposta mi sembra debba essere negativa, dal momento che non è possibile rinvenire nella direttiva alcuna indicazione in tal senso.

80.      Ciò non significa tuttavia che l’eventuale inadempimento dell’appaltatore possa essere irrilevante. Non si deve infatti dimenticare che, come ho rilevato più sopra, un appalto di lavori pubblici è a tutti gli effetti un contratto, cioè un atto giuridico che, nella varietà degli ordinamenti giuridici nazionali, si caratterizza sempre e comunque per la sua natura vincolante. Come osserva giustamente il governo tedesco nelle sue osservazioni, affinché si possa parlare di un appalto di lavori pubblici è necessario che l’appaltatore sia contrattualmente obbligato ad effettuare la prestazione prevista. Le conseguenze dell’eventuale inadempimento sono invece rimesse al diritto nazionale: nulla impedisce che, ad esempio, nel caso di inadempimento di un appaltatore il diritto nazionale di uno Stato preveda la risoluzione del contratto, l’aggiudicazione ad un altro appaltatore e il diritto, per la pubblica amministrazione, di richiedere al primo appaltatore semplicemente il risarcimento dei danni.

81.      Propongo pertanto alla Corte di risolvere la terza e la quarta questione pregiudiziale dichiarando che la nozione di appalto pubblico di lavori e quella di concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva 2004/18 presuppongono che l’appaltatore sia contrattualmente obbligato, nei confronti della pubblica amministrazione, alla prestazione convenuta. Spetta al diritto nazionale determinare le conseguenze di un eventuale inadempimento dell’appaltatore.

F –    La settima questione

82.      Con la settima questione il giudice del rinvio chiede se si possa configurare una concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva 2004/18 qualora il «concessionario» sia titolare di un diritto di proprietà che già di per sé gli conferisce il diritto di utilizzare il bene oggetto della concessione (32). Più in generale, la questione concerne l’ammissibilità, sulla base del diritto comunitario, di una concessione di durata illimitata.

1.      Le posizioni delle parti

83.      La posizione più netta sul problema è quella del governo tedesco, il quale esclude in generale la compatibilità dell’istituto della concessione con l’esistenza di un diritto di proprietà. Ciò in quanto, per definizione, la concessione presuppone la titolarità in capo al concedente dei diritti che sono trasferiti al concessionario.

84.      Dal canto loro il governo dei Paesi Bassi e quello austriaco, pur non escludendo in assoluto la compatibilità della concessione con il diritto di proprietà, ritengono che, nel caso di specie, il ruolo della pubblica amministrazione sia stato troppo limitato per poter configurare una concessione. A tal fine, infatti, sarebbe necessario, secondo i predetti governi, che i pubblici poteri forniscano al concessionario, come minimo, precise istruzioni circa i lavori e/o le opere da realizzare.

85.      Solo la Commissione assume invece una posizione più aperta. In particolare, facendo leva sul fatto che l’elemento caratteristico della concessione di lavori è il fatto che il concessionario sopporta il rischio economico connesso alla realizzazione dei lavori o delle opere, la Commissione ritiene che, nel caso di specie, si possa ravvisare tale rischio economico nell’incertezza, per il «concessionario», circa l’accettazione, da parte della pubblica amministrazione, dei suoi progetti edilizi, per realizzare i quali è stato necessario procedere in via preliminare all’oneroso acquisto del terreno.

2.      Valutazione

86.      La settima questione è, da un certo punto di vista, la più problematica, almeno sotto un profilo di principio. Il problema della compatibilità tra concessione di lavori pubblici e diritto di proprietà, infatti, possiede significative implicazioni sia dal punto di vista teorico che da quello pratico.

87.      La scelta di una pubblica amministrazione di ricorrere ad una concessione di lavori pubblici può derivare da diverse ragioni. In taluni casi vi può essere la volontà di sfruttare specifiche esperienze esistenti nel settore privato, oppure ancora quella di costruire opere edilizie con maggiore efficienza. Non vi sono tuttavia dubbi che, nella maggior parte dei casi, la scelta della concessione risponde ad esigenze di tipo finanziario. Ricorrendo a tale istituto, infatti, è possibile realizzare opere di interesse pubblico senza gravare le casse della collettività (33).

88.      Sulla base della stessa etimologia del termine, una concessione è la possibilità, riconosciuta ad un soggetto, di godere di un bene sul quale, altrimenti, egli non potrebbe vantare alcun diritto.

89.      La direttiva 2004/18, dal canto suo, parla semplicemente, nel definire la concessione di lavori pubblici, di un «diritto di gestire l’opera» riconosciuto quale compenso al soggetto che la costruisce.

90.      Ora, per quanto tale «diritto di gestire» possa essere interpretato largamente, ciò che mi sembra da escludere, in considerazione del senso e dell’economia generale della normativa in parola, è la possibilità di configurare una concessione di lavori pubblici in cui al concessionario sia riconosciuto il diritto di proprietà sulle opere realizzate.

91.      In primo luogo, infatti, come osservato in particolare dal governo tedesco, il fatto che la direttiva parli di un diritto di gestione riconosciuto al concessionario sembra implicare, logicamente, che il concessionario non possa avere sul bene un diritto più ampio, come quello di proprietà.

92.      Tale situazione inoltre, oltre a conciliarsi con difficoltà con il tenore letterale della norma, priverebbe i pubblici poteri di quello che mi sembra essere uno dei caratteri essenziali della concessione di lavori pubblici: la possibilità per la pubblica amministrazione di entrare un giorno in possesso delle opere costruite, eventualmente anche soltanto al fine di riattribuire il diritto di gestirle.

93.      In altri termini, il problema si pone, più che per le caratteristiche oggettive del diritto di proprietà relative alla possibilità di godere del bene, a causa della natura tendenzialmente illimitata nel tempo di tale diritto. La gestione affidata al concessionario, dunque, non potrà mai essere riconosciuta per un periodo di tempo illimitato, indipendentemente dal titolo giuridico sulla base del quale essa può essere esercitata.

94.      Non si deve peraltro neppure dimenticare che, nel modello tipico di concessione sulla base del diritto comunitario, l’elemento distintivo cruciale, che serve in particolare a distinguere la concessione dall’appalto pubblico, è l’esistenza, nella concessione, di un rischio economico a carico del concessionario, rischio invece inesistente nel caso degli appalti pubblici (34). Nel caso in esame qui, al fine di riconoscere l’esistenza di un rischio di questo tipo la Commissione deve ricondurlo al fatto che, nell’esercizio delle loro funzioni in materia urbanistica, i pubblici poteri potrebbero, dopo l’acquisto del terreno da parte del soggetto interessato, rifiutare i permessi di costruire relativi alle opere progettate. Più che di un rischio legato alla gestione economica delle opere, tuttavia, tale «alea» pare costituire la normale incertezza in cui si viene a trovare qualunque soggetto privato il quale necessiti di un provvedimento discrezionale della pubblica amministrazione.

95.      Del resto, il rischio economico che caratterizza la concessione di lavori pubblici prevista dalla direttiva è, a ben vedere, una conseguenza diretta anche del carattere limitato nel tempo della concessione stessa. Un diritto di durata illimitata sui beni da costruire, invece, permette in linea di principio di escludere sempre l’esistenza di un rischio economico, perché nel corso del tempo è sempre possibile rimediare ad eventuali fasi di difficoltà incontrate nella gestione dei beni.

96.      Vi è infine un ulteriore elemento che milita a favore di una limitazione nel tempo, in via generale, delle concessioni nell’ambito del diritto comunitario. Si è già osservato più volte, nelle presenti conclusioni, che l’obiettivo di fondo della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici è, in generale, quello di favorire al massimo la concorrenza, eliminando tutte le restrizioni alle libertà fondamentali. In tale ottica, riconoscere la possibilità di concessioni illimitate nel tempo significherebbe precludere, a danno della concorrenza e dell’efficienza, la possibilità che, in futuro, la gestione delle opere sia assicurata, eventualmente da parte di altri soggetti, con modalità e secondo criteri maggiormente efficaci.

97.      Le conseguenze di quanto precede sono due. Da un lato, in generale, non possono essere attribuite concessioni di durata illimitata nel tempo (35). Dall’altro lato, non può essere attribuita ad un soggetto una concessione su un bene di cui egli è già proprietario, salvo che, sulla base del diritto nazionale, dopo un determinato periodo la pubblica amministrazione acquisisca sul bene un diritto di proprietà o un diritto analogo.

98.      In conclusione, propongo alla Corte di risolvere la settima questione pregiudiziale dichiarando che una concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva 2004/18 non può mai prevedere il riconoscimento al concessionario di un diritto illimitato nel tempo sul bene oggetto di concessione.

G –    L’ottava e la nona questione

99.      Anche l’ottava e la nona questione pregiudiziale possono, in considerazione del loro oggetto, essere esaminate insieme. Con l’ottava questione il giudice del rinvio chiede di sapere se la disciplina della direttiva 2004/18 debba trovare applicazione già a partire dal momento in cui una pubblica amministrazione, pur non avendo ancora formalmente deciso di procedere all’aggiudicazione di un appalto pubblico, cede un terreno con l’intenzione di aggiudicare poi un appalto relativo ad esso. Dal canto suo, invece, la nona questione riguarda la possibilità di considerare come un tutt’uno, dal punto di vista giuridico, la cessione del terreno e la successiva aggiudicazione.

100. Entrambe le questioni, come si vede, riguardano la possibilità di colpire eventuali abusi di diritto, finalizzati ad evitare l’applicazione delle disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici, attraverso un’applicazione di tali norme che prescinda dalla tipica sequenza cronologica considerata anche nella direttiva.

101. Si deve osservare che, in considerazione delle risposte che propongo di dare alle precedenti questioni pregiudiziali, e in particolare alla settima, fornire al giudice del rinvio la soluzione anche per l’ottava e la nona questione è probabilmente superfluo, dovendosi escludere la possibilità che un appalto o una concessione di lavori pubblici ai sensi del diritto comunitario siano compatibili con un diritto di proprietà del presunto appaltatore/concessionario sui relativi beni. Tuttavia, a scopo di completezza e per il caso in cui la Corte non dovesse condividere il mio approccio relativo alle precedenti questioni, svolgerò alcune brevi considerazioni sul punto.

102. Tra i soggetti che hanno presentato osservazioni nell’ambito della presente causa, soltanto la Commissione si mostra possibilista relativamente all’approccio favorito dal giudice del rinvio. Infatti, pur osservando che spetta alle giurisdizioni nazionali compiere la valutazione di ciascun caso specifico, la Commissione ammette che in via di principio, in una situazione come quella di cui alla causa principale, si possa dare luogo all’applicazione della direttiva 2004/18 già a partire dal momento in cui l’amministrazione decide di cedere il terreno. Tutte le altre parti invece, sia pure con sfumature diverse, ritengono che la semplice intenzione della pubblica amministrazione sia irrilevante.

103. Non vi sono dubbi sul fatto che, come osserva lo stesso giudice del rinvio, la risposta all’ottava e alla nona questione non può prescindere da quanto affermato dalla Corte nella sentenza «Mödling» (36). In tale sentenza la Corte era confrontata con una situazione in cui un comune austriaco aveva proceduto all’affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti ad una società interamente controllata dal comune stesso, salvo poi, pochi giorni dopo, cedere ad un soggetto privato il 49% della società stessa. La Corte ha di conseguenza affermato che, di fronte ad una chiara «costruzione artificiale» (37), il cui risultato è in sostanza quello di precludere l’effetto utile delle direttive in materia di appalti, la valutazione giuridica della fattispecie può essere compiuta «tenendo conto dell’insieme di tali fasi nonché del loro obiettivo e non in funzione dello svolgimento cronologico in senso stretto di esse» (38).

104. Mi sembra evidente che il ragionamento svolto dalla Corte nella sentenza «Mödling» si regge su due pilastri. Il primo, indicato esplicitamente, è la necessità di preservare l’effetto utile della direttiva (39). Il secondo, implicito, ma che costituisce in fondo l’altra faccia della medesima medaglia, è la volontà di colpire gli abusi di diritto.

105. Quanto affermato dalla Corte nella sentenza «Mödling» può essere certamente generalizzato, e permette quindi di affermare che, al fine di evitare abusi di diritto e di garantire l’effetto utile della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, due atti formalmente separati, anche dal punto di vista cronologico, possono essere considerati contemporanei, o anche costitutivi di un unico atto giuridico.

106. La valutazione spetta naturalmente al giudice nazionale, che è il solo a disporre di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine. È tuttavia necessario che, per ovvie ragioni connesse alla necessità di garantire la certezza del diritto, sussistano talune rigorose condizioni. In particolare, tra la cessione del terreno e l’aggiudicazione dell’appalto deve trascorrere un lasso di tempo non eccessivo, e devono esserci elementi convincenti per dimostrare che l’intenzione dell’amministrazione relativa all’appalto sussisteva già al momento della cessione del terreno. Salvo casi di abuso macroscopico, in cui la volontà di eludere le norme è del tutto evidente fin dall’inizio, soltanto una valutazione ex post potrà adeguatamente tenere in conto tutti gli elementi indicati.

107. Propongo dunque di risolvere l’ottava e la nona questione pregiudiziale, qualora necessario, dichiarando che, in presenza di chiari elementi indicativi della volontà di eludere le disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici e di concessioni, la valutazione giuridica di una fattispecie può considerare come costitutivi di un unico atto giuridico i due atti formalmente separati, anche dal punto di vista cronologico, della cessione di un terreno e dell’aggiudicazione di un appalto o di una concessione sullo stesso. Spetta al giudice nazionale, sulla base di tutte le circostanze del caso, verificare l’esistenza di tale intenzione elusiva.

V –    Conclusioni

108. In conclusione, propongo alla Corte di risolvere le questioni dell’Oberlandesgericht Düsseldorf nei termini seguenti:

Ai fini della sussistenza di un appalto pubblico di lavori o di una concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, è necessario che sussista un legame diretto tra l’amministrazione aggiudicatrice e i lavori o le opere da realizzare. Tale legame diretto può consistere, in particolare, nel fatto che l’opera sia destinata ad essere acquisita dalla pubblica amministrazione, o che fornisca alla stessa un vantaggio economico diretto, oppure ancora nel fatto che l’amministrazione aggiudicatrice abbia assunto l’iniziativa della realizzazione o sostenga almeno in parte i costi della stessa.

La nozione di appalto pubblico di lavori e quella di concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva 2004/18 presuppongono che l’appaltatore sia contrattualmente obbligato, nei confronti della pubblica amministrazione, alla prestazione convenuta. Spetta al diritto nazionale determinare le conseguenze di un eventuale inadempimento dell’appaltatore.

Una concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva 2004/18 non può mai prevedere il riconoscimento al concessionario di un diritto illimitato nel tempo sul bene oggetto di concessione.

In presenza di chiari elementi indicativi della volontà di eludere le disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici e di concessioni, la valutazione giuridica di una fattispecie può considerare come costitutivi di un unico atto giuridico i due atti formalmente separati, anche dal punto di vista cronologico, della cessione di un terreno e dell’aggiudicazione di un appalto o di una concessione sullo stesso. Spetta al giudice nazionale, sulla base di tutte le circostanze del caso, verificare l’esistenza di tale intenzione elusiva.


1 – Lingua originale: l’italiano.


2 – Un possibile aiuto di Stato si configura, com’è evidente, qualora la cessione del bene pubblico avvenga ad un prezzo inferiore a quello di mercato. V. in proposito, in particolare, la Comunicazione della Commissione relativa agli elementi di aiuto di Stato connessi alle vendite di terreni e fabbricati da parte di pubbliche autorità (GU 1997, C 209, pag. 3).


3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114).


4 – Sentenza della Corte 12 luglio 2001, causa C-399/98, Ordine degli Architetti e a. (Racc. pag. I‑5409).


5 – Sentenza della Corte 20 ottobre 2005, causa C-264/03, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑8831).


6 – Sentenza della Corte 18 gennaio 2007, causa C-220/05, Auroux e a. (Racc. pag. I‑385).


7 – Successivamente all’ordinanza di rinvio, peraltro, la legislazione tedesca è stata modificata, con legge 20 aprile 2009 sulla modernizzazione del diritto degli appalti (Gesetz zur Modernisierung des Vergaberechts, BGBl. I, pag. 790), la quale ha emendato l’art. 99 del GWB (legge sulla tutela della concorrenza), precisando tra l’altro che, nell’ipotesi di cui alla terza variante della definizione di un appalto pubblico di lavori, è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice ottenga un beneficio economico diretto. Cfr. anche infra, nota 35.


8 – Non è ben chiaro, tuttavia, quale sarebbe il soggetto che avrebbe affidato tale concessione. La stessa Commissione, che su tale punto si è dimostrata piuttosto aperta rispetto alle posizioni del giudice del rinvio, ha dovuto riconoscere, all’udienza, che sia la Bundesanstalt sia il comune di Wildeshausen presentano, nel caso di specie, talune caratteristiche tipiche di tale ruolo, senza che sia possibile riconoscere la preminenza, in proposito, dell’una o dell’altro.


9 – Stando all’ordinanza di rinvio, non vi sono dubbi sul fatto che le soglie previste per l’applicazione della direttiva sono, nel caso di specie, ampiamente superate. In realtà, dal momento che di per sé il valore del terreno non supera le soglie, il ragionamento del giudice nazionale presenta indubbi elementi di ipoteticità. D’altra parte, in considerazione della costante giurisprudenza secondo la quale spetta in linea di principio al giudice nazionale valutare la pertinenza delle questioni al fine di pronunciarsi sulla controversia, ritengo che la Corte debba, nel caso presente, fornire una risposta ai quesiti dell’Oberlandesgericht Düsseldorf. V. in proposito, ad esempio, sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921, punto 61); 7 settembre 1999, causa C‑355/97, Beck e Bergdorf (Racc. pag. I‑4977, punto 22); 7 giugno 2007, cause riunite da C‑222/05 a C‑225/05, van der Weerd e a. (Racc. pag. I‑4233, punto 22), e 17 luglio 2008, causa C‑500/06, Corporación Dermoestética (Racc. pag. I‑5785, punto 23).


10 – Sentenza della Corte 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑9705).


11 – Non in tutte, però: ad esempio, la seconda variante indicata non ha riscontro nella versione portoghese.


12 – Tedesco: «von Bauvorhaben»; inglese: «of works»; francese: «de travaux»; spagnolo: «de obras»; olandese: «van werken»; portoghese: «de trabalhos»; greco: «εργασιών».


13 – Tedesco: «eines Bauwerks»; inglese: «a work»; francese: «d’un ouvrage»; spagnolo: «de una obra»; olandese: «van een werk»; greco: «ενός έργου».


14 – Tedesco: «einer Bauleistung»; inglese: «of a work»; francese: «d’un ouvrage»; spagnolo: «de una obra»; olandese: «van een werk»; portoghese: «de uma obra»; greco: «ενός έργου».


15 – Tedesco: «Bauwerk»; inglese: «work»; francese: «ouvrage»; spagnolo: «obra»; olandese: «werk»; portoghese: «obra»; greco: «έργο».


16 – Rilevo però che, come fatto osservare in udienza in particolare dal governo austriaco, in concreto la precisazione contenuta nel testo tedesco lo rende forse, anziché divergente, semplicemente «più specifico» rispetto alle altre versioni linguistiche. Considerata infatti la struttura della disposizione in esame, sembra difficile, anche facendo riferimento alle altre versioni linguistiche, individuare una fattispecie rientrante nella terza variante in cui le opere non siano realizzate da un «terzo». In ogni modo, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la natura divergente di una specifica versione linguistica di una norma comunitaria non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di questa disposizione, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. V. in proposito, ad esempio, sentenze 27 marzo 1990, causa C‑372/88, Cricket St. Thomas (Racc. pag. I‑1345, punto 18) e 19 aprile 2007, causa C‑455/05, Velvet & Steel Immobilien (Racc. pag. I‑3225, punto 19).


17 – Tali specificità della versione tedesca trovano origine già nella direttiva del Consiglio 18 luglio 1989, 89/440/CEE, che modifica la direttiva 71/305/CEE che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (GU L 210, pag. 1). La direttiva 89/440 ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento giuridico comunitario l’attuale definizione «tripartita» dell’appalto pubblico di lavori.


18 – Cfr. sentenza Auroux e a., cit. alla nota 6 (punto 40).


19 – Cfr. art. 16 della direttiva.


20 – Ad esempio, anziché pagare una somma di denaro la pubblica amministrazione può esentare un soggetto dal pagamento di taluni tributi: cfr. sentenza Ordine degli Architetti e a., cit. alla nota 4 (punti 76‑86).


21 – Sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria e a. (Racc. pag. I‑73, punto 32). Cfr. anche sentenze 18 novembre 2004, causa C‑126/03, Commissione/Germania, (Racc. pag. I‑11197, punto 18), e 11 gennaio 2005, causa C‑26/03, Stadt Halle e RPL Lochau (Racc. pag. I‑1, punto 26).


22 – Cfr. in particolare il secondo ‘considerando’ della direttiva 2004/18, nonché, in precedenza, il secondo e il decimo ‘considerando’ dell’abrogata direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54). V. anche, sul punto, sentenze Ordine degli Architetti e a., cit. alla nota 4 (punto 52), e 12 dicembre 2002, causa C‑470/99, Universale-Bau e a. (Racc. pag. I‑11617, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).


23 – V., ad esempio, sentenze Universale-Bau e a., cit. supra alla nota 22 (punto 53), 13 dicembre 2007, causa C‑337/06, Bayerischer Rundfunk e a. (Racc. pag. I‑11173, punto 37), e 10 aprile 2008, causa C‑393/06, Ing. Aigner (Racc. pag. I‑2339, punto 37).


24 – Sentenza Universale-Bau e a., cit. supra alla nota 22.


25 – Sentenza Bayerischer Rundfunk e a., cit. supra alla nota 23. V. anche, per una situazione simile, sentenza 11 giugno 2009, causa C‑300/07, Hans & Christophorus Oymanns (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57).


26 – V., ad esempio, sentenze 17 novembre 1983, causa 292/82, Merck (Racc. pag. 3781, punto 12), 14 ottobre 1999, causa C‑223/98, Adidas (Racc. pag. I‑7081, punto 23), e 7 giugno 2005, causa C‑17/03, VEMW e a. (Racc. pag. I‑4983, punto 41).


27 – Cit. supra alla nota 6.


28 – Ibidem, punto 47.


29 – Cfr. supra, paragrafi 35 e ss.


30 – Cit. alla nota 6 (punto 42).


31 – V. supra, paragrafo 20.


32 – Nella formulazione della questione, per essere precisi, il giudice del rinvio fa riferimento alla proprietà del terreno su cui devono essere realizzati i lavori o le opere. Come tuttavia lo stesso giudice osserva nella motivazione dell’ordinanza, sulla base del diritto tedesco il diritto di godimento di un edificio è la conseguenza diretta del diritto di proprietà relativo al terreno sul quale l’edificio è costruito. Di conseguenza, il vero problema alla base della questione è, appunto, quello del rapporto tra concessione e diritto di proprietà.


33 – V., relativamente a tale ratio legis, la Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario (GU 2000, C 121, pag. 2, punto 1.2), e la più recente Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni, del 15 novembre 2005 [COM(2005) 569 def., punto 1].


34 – V. sentenze 13 ottobre 2005, causa C‑458/03, Parking Brixen (Racc. pag. I‑8585, punto 40), e 13 novembre 2008, causa C‑437/07, Commissione/Italia (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 29‑31). Tale rischio non deve necessariamente essere elevato, dal momento che ci sono attività in cui esso è intrinsecamente ridotto: esso deve però essere la totalità, o comunque una parte significativa, del rischio a cui andrebbe incontro la pubblica amministrazione se svolgesse direttamente tale attività (sentenza 10 settembre 2009, causa C‑206/08, Eurawasser, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 69‑77).


35 – Mi sembra dunque corretta e conforme al diritto comunitario la nuova legge tedesca, cit. supra alla nota 7, che ha tra l’altro introdotto una definizione di concessione di lavori pubblici che indica esplicitamente la natura limitata nel tempo del diritto riconosciuto al concessionario.


36 – Cit. supra alla nota 10.


37 – Ibidem, punto 40.


38 – Ibidem, punto 41.


39 – Ibidem, punto 42.