Language of document : ECLI:EU:T:2005:367

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

25 ottobre 2005 (*)

«Concorrenza – Intese – Ammende – Orientamenti per il calcolo delle ammende – Comunicazione sulla cooperazione»

Nella causa T‑38/02,

Groupe Danone, con sede in Parigi (Francia), rappresentata dagli avv.ti A. Winckler e M. Waha,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. A. Bouquet e W. Wils, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2003/569/CE, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 del trattato CE (Caso IV/37.614/F3 PO/Interbrew e Alken-Maes) (GU 2003, L 200, pag. 1), e, in subordine, una domanda di riduzione dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 2 della detta decisione,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dal sig. M. Vilaras, presidente, e dalle sig.re E. Martins Ribeiro e K. Jürimäe, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale dell’8 dicembre 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        L’art. 15, n. 2, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), dispone quanto segue:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille [EUR] ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1, o dell’articolo [82] del Trattato,

b)      non osservino un onere imposto in virtù dell’articolo 8, paragrafo 1 [del regolamento].

Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

2        Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») istituiscono una metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare delle dette ammende, «che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti» (orientamenti, secondo capoverso). Conformemente ai medesimi orientamenti, «[l’]importo di base è determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, che sono i soli criteri indicati all’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17» (orientamenti, punto 1).

3        La comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione») «definisce le condizioni alle quali le imprese che cooperano con la Commissione nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro ammontare» (punto A 3 della comunicazione).

4        Il punto D della comunicazione sulla cooperazione prevede quanto segue:

«D. Significativa riduzione dell’ammontare dell’ammenda

1.      Un’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B o C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione.

2.      Ciò può verificarsi in particolare:

–        se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,

–        se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

 Fatti all’origine della controversia

5        All’epoca dei fatti, la Interbrew NV (in prosieguo: la «Interbrew») e la Brouwerijen Alken-Maes NV (in prosieguo: la «Alken-Maes») erano, rispettivamente, il primo e il secondo operatore sul mercato belga della birra. Alken-Maes era una controllata del gruppo Danone SA (in prosieguo: la «ricorrente»), che operava anche sul mercato francese della birra attraverso un’altra controllata, la Brasseries Kronenbourg SA (in prosieguo: la «Kronenbourg»). Nel 2000 la ricorrente ha cessato le sue attività nel settore della birra.

6        Nel 1999 la Commissione ha aperto un’indagine, con il numero IV/37.614/F3, relativa a eventuali violazioni delle regole comunitarie di concorrenza nel settore belga della birra.

7        Il 29 settembre 2000, nell’ambito della detta indagine, la Commissione ha avviato un procedimento e ha adottato una comunicazione degli addebiti nei confronti della ricorrente e delle imprese Interbrew, Alken-Maes, NV Brouwerij Haacht (in prosieguo: la «Haacht») e NV Brouwerij Martens (in prosieguo: la «Martens»). Il procedimento avviato nei confronti della ricorrente e la comunicazione degli addebiti inviatale riguardavano unicamente la sua presunta partecipazione al cartello denominato «Interbrew/Alken-Maes», relativo al mercato belga della birra.

8        Il 5 dicembre 2001 la Commissione ha adottato la decisione 2003/569/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 del trattato CE (caso IV/37.614/F3 PO/Interbrew e Alken-Maes) (GU 2003, L 200, pag. 1), riguardante la ricorrente e le imprese Interbrew, Alken-Maes, Haacht e Martens (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

9        Nella decisione impugnata si constatano due distinte violazioni delle regole di concorrenza, vale a dire, da un lato, un complesso insieme di accordi e/o pratiche concordate nel settore belga della birra (in prosieguo: il «cartello Interbrew/Alken-Maes») e, dall’altro, pratiche concordate in relazione al mercato della birra a marchio privato. Nella decisione impugnata si constata che la ricorrente, la Interbrew e la Alken-Maes hanno partecipato alla prima infrazione, mentre la Interbrew, la Alken-Maes, la Haacht e la Martens hanno partecipato alla seconda.

10      Benché, all’epoca dei fatti, la ricorrente fosse la società controllante della Alken-Maes, nella decisione impugnata le viene imputata un’unica infrazione. Infatti, tenuto conto del suo ruolo attivo nel cartello Interbrew/Alken-Maes, la ricorrente è stata ritenuta responsabile sia della propria partecipazione che di quella della Alken-Maes al suddetto cartello. Per contro, la Commissione ha considerato che non si poteva attribuire alla ricorrente la responsabilità della partecipazione della sua controllata alla pratica concordata relativa al mercato della birra a marchio privato, dal momento che essa non era direttamente coinvolta in tale cartello.

11      L’infrazione contestata alla ricorrente consiste nella sua partecipazione, diretta e tramite la controllata Alken-Maes, ad un insieme complesso di accordi e/o pratiche concordate riguardanti un patto generale di non aggressione, i prezzi e le promozioni nel commercio al dettaglio, la ripartizione dei clienti nel settore alberghiero e della ristorazione (in prosieguo: l’«horeca»), ivi compresi i clienti nazionali, la limitazione degli investimenti e della pubblicità sul mercato horeca, una nuova struttura tariffaria per il settore horeca e per il settore del commercio al dettaglio e lo scambio di informazioni sulle vendite per il settore horeca e per il settore del commercio al dettaglio.

12      Nella decisione impugnata si constata che la suddetta infrazione si è protratta per un periodo compreso tra il 28 gennaio 1993 e il 28 gennaio 1998.

13      Ritenendo che un insieme di elementi le consentisse di concludere che l’infrazione era cessata, la Commissione non ha considerato necessario obbligare le imprese interessate a porre fine all’infrazione ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 17.

14      La Commissione ha invece ritenuto che si dovesse infliggere un’ammenda, in forza dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, alla Interbrew e alla ricorrente per la loro partecipazione al cartello Interbrew/Alken-Maes.

15      A tale proposito, nella decisione impugnata la Commissione ha rilevato che tutti i partecipanti al cartello Interbrew/Alken-Maes avevano commesso l’infrazione deliberatamente.

16      Ai fini del calcolo dell’ammenda da infliggere, nella decisione impugnata la Commissione ha seguito la metodologia definita negli orientamenti e la comunicazione sulla cooperazione.

17      Il dispositivo della decisione impugnata è così formulato:

«Articolo 1

[La Interbrew], [la Alken-Maes] e [la ricorrente] hanno violato l’articolo 81, paragrafo 1, [CE] per aver partecipato, nel periodo che va dal 28 gennaio 1993 al 28 gennaio 1998 incluso, a un complesso insieme di accordi e/o pratiche concordate riguardanti un patto generale di non aggressione, i prezzi e le promozioni nel settore del commercio al dettaglio, la ripartizione dei clienti sul mercato horeca (sia l’horeca “classico” che i clienti nazionali), la limitazione degli investimenti e della pubblicità sul mercato horeca, una nuova struttura tariffaria per il settore horeca e per il settore del commercio al dettaglio, e lo scambio di informazioni sulle vendite per il settore horeca e per il settore del commercio al dettaglio.

Articolo 2

Per le infrazioni di cui all’articolo 1 sono inflitte [alla Interbrew] e [alla ricorrente] le seguenti ammende:

a)      [Interbrew]: un’ammenda di 45,675 milioni di EUR;

b)      [ricorrente]: un’ammenda di 44,043 milioni di EUR.

(…)».

 Procedimento e conclusioni delle parti

18      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 22 febbraio 2002, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

19      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale. Il Tribunale, ai sensi dell’art. 64 del suo regolamento di procedura, ha chiesto alle parti di produrre determinati documenti e di rispondere ad alcuni quesiti scritti. Le parti hanno dato seguito a tali richieste entro il termine prescritto.

20      Con lettera 30 novembre 2004 la ricorrente ha chiesto al Tribunale, da un lato, di allegare al fascicolo la decisione della Commissione 29 settembre 2004, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 del trattato CE (Caso COMP/C.37750/B2 – Brasseries Kronenbourg, Brasseries Heineken), notificata con il numero C (2004) 3597 def. (in prosieguo: la «decisione Kronenbourg/Heineken»), e, dall’altro, a titolo di misure di organizzazione del procedimento ai sensi dell’art. 64, n. 4, del regolamento di procedura, di invitare la Commissione a pronunciarsi, prima dell’udienza o nel corso della stessa, sui risultati dell’indagine relativa ad eventuali abusi di posizione dominante della Interbrew sul mercato belga della birra.

21      Con decisione 3 dicembre 2004 il Tribunale, da un lato, ha allegato al fascicolo la suddetta lettera e ha informato la Commissione che, nel corso dell’udienza, sarebbe stata invitata a presentare le proprie osservazioni in merito alla domanda con cui la ricorrente chiedeva che fosse allegata al fascicolo la decisione Kronenbourg/Heineken. Dall’altro, il Tribunale ha respinto la domanda di misure di organizzazione del procedimento diretto a far sì che la Commissione si pronunciasse sui risultati dell’indagine relativa a eventuali abusi di posizione dominante da parte della Interbrew sul mercato belga della birra.

22      Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti del Tribunale in occasione dell’udienza dell’8 dicembre 2004. In udienza, la Commissione ha dichiarato che non si opponeva alla richiesta della ricorrente di allegare al fascicolo la decisione Kronenbourg/Heineken, cosa che è stata fatta con decisione del Tribunale.

23      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata in forza dell’art. 230 CE e, in subordine, ridurre l’ammenda inflittale all’art. 2 della detta decisione in forza dell’art. 229 CE;

–        condannare la Commissione alle spese.

24      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

25      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce otto motivi. Due di essi, dedotti a titolo principale, mirano all’annullamento della decisione impugnata e sono fondati sulla violazione dei diritti della difesa e del principio di buona amministrazione (primo motivo), nonché sulla violazione dell’obbligo di motivazione (secondo motivo). Gli altri sei motivi, dedotti in subordine, sono diretti alla riduzione dell’ammenda inflitta. Essi sono fondati, rispettivamente, sull’errata valutazione della gravità dell’infrazione ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda, in violazione dei principi di proporzionalità, della parità di trattamento e del ne bis in idem (terzo motivo), sull’erronea valutazione della durata dell’infrazione (quarto motivo), sull’insussistenza della circostanza aggravante consistente nell’avere esercitato pressioni sulla Interbrew (quinto motivo), sull’insussistenza della circostanza aggravante della recidiva a carico della ricorrente (sesto motivo), sull’insufficiente presa in considerazione delle circostanze attenuanti applicabili (settimo motivo) e sull’errata valutazione dell’importanza della cooperazione della ricorrente, in violazione del principio della parità di trattamento e della comunicazione sulla cooperazione (ottavo motivo).

A –  Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

1.     Sul motivo concernente la violazione dei diritti della difesa e del principio di buona amministrazione

26      Il motivo è suddiviso in tre capi. Nel primo, la ricorrente fa valere di non essere stata posta in condizione di esaminare il contesto in cui è stato redatto un documento utilizzato a suo carico dalla Commissione. Nel secondo capo, la ricorrente osserva che la Commissione non le ha consentito di conoscere, prima dell’adozione della decisione impugnata, gli elementi considerati ai fini del calcolo dell’ammenda. Infine, nel terzo capo, la ricorrente fa valere che la mancanza di documentazione relativa alle riunioni tra la Commissione e la Interbrew, nonché il rifiuto della Commissione di comunicarle la risposta della Interbrew alla comunicazione degli addebiti costituiscono non solo una violazione dei diritti della difesa, ma anche una violazione del principio di buona amministrazione.

a)     Sul primo capo, relativo al fatto che la ricorrente non sarebbe stata messa in condizione di esaminare il contesto in cui è stato redatto un documento utilizzato a suo carico dalla Commissione

 Argomenti delle parti

27      La ricorrente fa valere che la decisione impugnata dev’essere annullata in quanto essa non è stata messa in condizione di commentare e contestare l’estratto di un documento inizialmente ottenuto in copia dalla Commissione presso l’impresa Heineken NV (in prosieguo: la «Heineken») nell’ambito di un’indagine relativa ai Paesi Bassi (in prosieguo: il «documento Heineken»). La Commissione avrebbe menzionato tale documento, al punto 55 della decisione impugnata, a sostegno della conclusione secondo cui la ricorrente ha esercitato pressioni sulla Interbrew, minacciandola di rappresaglie sul mercato francese per costringerla ad ampliare l’ambito dell’intesa. Gli altri elementi dedotti a sostegno di tale conclusione, che sarebbero menzionati al punto 54 della decisione impugnata, consisterebbero esclusivamente in dichiarazioni unilaterali della Interbrew.

28      La ricorrente ammette che il documento Heineken è citato nella comunicazione degli addebiti e che essa ne è venuta a conoscenza quando ha avuto accesso al fascicolo. Tuttavia, la Commissione si sarebbe limitata ad indicare, nella decisione impugnata, il luogo e le circostanze in cui è stato acquisito il documento Heineken, dando fede a tale documento senza ulteriori formalità, e non avrebbe consentito alla ricorrente di esaminare il contesto in cui esso è stato redatto.

29      Infatti, la ricorrente non avrebbe avuto accesso alle lettere o alle note interne che hanno preceduto o hanno fatto seguito a tale documento, in quanto non sono state accluse al fascicolo. Non sarebbe stato allegato al fascicolo alcun documento connesso al documento Heineken che sarebbe stato possibile reperire nel corso dell’indagine svolta nei Paesi Bassi, nonostante la domanda della ricorrente in tal senso. Non sarebbero state allegate al fascicolo neanche le eventuali osservazioni della Heineken e della Interbrew relative alla portata del detto documento. Inoltre, la corrispondenza tra la Commissione e la Heineken riguardante la riservatezza del documento Heineken, che è stata comunicata dalla Commissione, non apporterebbe alcuna informazione supplementare, né dimostrerebbe che la stessa Commissione ha potuto disporre degli elementi necessari ai fini dell’interpretazione di tale documento.

30      A tale proposito, la ricorrente formula due censure alternative. O tali elementi d’interpretazione esistevano e non sono stati allegati al fascicolo, e l’accesso a quest’ultimo è stato pertanto irregolare, in violazione dei diritti della difesa, oppure non esistevano, e spettava alla Commissione, in virtù del suo obbligo di raccogliere anche elementi a difesa, verificare la verosimiglianza delle informazioni contenute nel documento Heineken, cercando di conoscere il contesto in cui esso è stato redatto.

31      La ricorrente sostiene che, in ogni caso, se essa avesse conosciuto l’identità dell’autore e il contesto in cui è stato redatto il documento Heineken, il procedimento amministrativo avrebbe potuto avere un esito diverso, in quanto essa avrebbe eventualmente potuto dimostrare la mancanza di autenticità o di veridicità del documento in questione. In tal caso, le dichiarazioni individuali della Interbrew non sarebbero state sufficienti per dimostrare le pressioni presuntivamente esercitate nei suoi confronti. Pertanto, vi sarebbe stata una violazione dei diritti della difesa, conformemente alla giurisprudenza del Tribunale (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, detta «Cemento», Racc. pag. II‑491, punto 247).

32      La Commissione osserva che la ricorrente ha avuto accesso al documento Heineken, di cui ha potuto conoscere pienamente il «contesto», e che essa inoltre non ha mai contestato la violazione dei diritti della difesa durante il procedimento amministrativo. In ogni caso, il documento Heineken non sarebbe l’unico elemento comprovante la minaccia rivolta dalla ricorrente nei confronti della Interbrew.

 Giudizio del Tribunale

33      Conformemente ad una giurisprudenza costante, l’accesso al fascicolo nelle cause in materia di concorrenza ha per oggetto in particolare di consentire ai destinatari di una comunicazione degli addebiti di prendere conoscenza degli elementi di prova contenuti nel fascicolo della Commissione, affinché possano pronunciarsi in maniera efficace, in base a tali elementi, sulle conclusioni cui la Commissione è pervenuta nella comunicazione degli addebiti (v. sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 334, e giurisprudenza ivi citata). L’accesso al fascicolo rientra così tra le garanzie procedurali dirette a garantire i diritti della difesa e ad assicurare, in particolare, l’effettivo esercizio del diritto di essere sentiti (v. sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, citata, punto 334, e giurisprudenza ivi richiamata).

34      La Commissione ha quindi l’obbligo di rendere accessibile alle imprese coinvolte in un procedimento ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE tutta la documentazione a carico ed a favore da essa raccolta nel corso dell’indagine, fatti salvi i segreti aziendali di altre imprese, i documenti interni della Commissione e altre informazioni riservate (v. sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, citata al precedente punto 33, punto 335, e giurisprudenza ivi citata).

35      Qualora si accertasse che la Commissione si è basata, nella decisione impugnata, su documenti a carico che non erano presenti nel fascicolo dell’istruttoria e che non erano stati comunicati alla ricorrente, si dovrebbero stralciare tali elementi quali mezzi di prova (v., in tal senso, sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione, Racc. pag. 3151, punti 24-30, sentenze Cemento, citata al precedente punto 31, punto 382, e Atlantic Container Line e a./Commissione, citata al precedente punto 33, punto 338).

36      Per quanto riguarda i documenti che potrebbero contenere elementi a favore, si deve rilevare che, quando detti documenti sono contenuti nel fascicolo dell’istruttoria della Commissione, l’eventuale constatazione di una violazione dei diritti della difesa è indipendente dal modo in cui l’impresa interessata si è comportata nel corso del procedimento amministrativo e dalla questione se tale impresa fosse tenuta a chiedere alla Commissione l’accesso al proprio fascicolo o che le fossero comunicati determinati documenti (sentenze del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775, punto 96, e Atlantic Container Line e a./Commissione, citata al precedente punto 33, punto 340).

37      Per contro, in relazione ai documenti che avrebbero potuto contenere elementi a favore e che non figurano nel fascicolo d’istruttoria della Commissione, la ricorrente è tenuta a presentare alla Commissione un’espressa richiesta di accesso a questi documenti, la cui omissione nel corso del procedimento amministrativo ha un effetto preclusivo sul punto per quanto riguarda il ricorso d’annullamento eventualmente proposto contro la decisione definitiva (sentenze Cemento, citata al precedente punto 31, punto 383, e Atlantic Container Line e a./Commissione, citata al precedente punto 33, punto 340).

38      La fondatezza delle censure formulate dalla ricorrente va esaminata alla luce di tali principi.

39      In limine, si deve rilevare come sia pacifico che la Commissione è inizialmente entrata in possesso del documento Heineken nel corso di accertamenti svolti ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17, nei locali della Heineken nei Paesi Bassi il 22 e 23 marzo 2000, nell’ambito di un diverso procedimento. Il 14 aprile 2000 la Commissione ha inoltre chiesto alla Heineken, nell’ambito del procedimento amministrativo concernente il caso ora in esame e mediante una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, di trasmetterle una nuova copia del documento, che è stata allegata al fascicolo.

40      È inoltre importante rilevare come la ricorrente ammetta che il documento Heineken viene menzionato nella comunicazione degli addebiti e che essa ne è venuta a conoscenza quando ha avuto accesso al fascicolo durante il procedimento amministrativo. Per quanto riguarda specificamente tale documento, la ricorrente ha quindi potuto esercitare effettivamente il proprio diritto di essere sentita.

41      Tuttavia, la ricorrente fa valere di non avere avuto accesso alle eventuali lettere o note interne che potrebbero aver preceduto o seguito la redazione del documento Heineken e che potevano contenere elementi a difesa.

42      La censura della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe omesso di comunicarle tali lettere o note interne in suo possesso non può essere accolta. Si deve infatti rammentare che, conformemente alla giurisprudenza, la ricorrente può far valere una violazione dei diritti della difesa solo se durante il procedimento amministrativo ha presentato alla Commissione un’espressa richiesta di accesso ai documenti in questione (v. precedente punto 37).

43      Orbene, la ricorrente non ha mai formulato una domanda del genere. Infatti, da un lato, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, essa si limita ad affermare, in relazione al documento Heineken, che «la valenza probatoria di tale documento è dubbia [e che] [n]essun elemento della [comunicazione degli addebiti] o concernente il documento permette [alla ricorrente] di identificarne l’autore o di esaminarne il contesto». Tale affermazione non può essere considerata una richiesta esplicita di accesso alle lettere o alle note interne in questione. In udienza, interrogata su questo punto dal Tribunale, la ricorrente ha peraltro confermato che la richiesta di accesso al fascicolo ch’essa aveva formulato durante il procedimento amministrativo era di natura generale. D’altro canto, nelle lettere 24 e 28 gennaio 2002, la ricorrente si limita a formulare, in termini molto generici e senza alcun riferimento esplicito ai documenti in questione, una seconda richiesta di accesso al fascicolo, che, in ogni caso, è intervenuta dopo la chiusura della fase amministrativa.

44      Per quanto riguarda la censura della ricorrente secondo cui, qualora la Commissione non fosse in possesso di alcuna lettera o nota interna precedente o successiva alla redazione del documento Heineken, essa avrebbe omesso di verificare la veridicità del contenuto di tale documento, in violazione del suo obbligo di imparzialità, è sufficiente rilevare che tale censura non riguarda la problematica dei diritti della difesa. Infatti, la ricorrente chiede che si accerti se la Commissione abbia verificato in misura sufficiente ciò che intende dimostrare in particolare con il documento Heineken e se sia sufficientemente dimostrata, nel caso in cui detto documento sia necessario per fornire tale dimostrazione, l’attendibilità del suo contenuto. La ricorrente mette quindi in dubbio la valenza probatoria del documento Heineken, questione irrilevante ai fini dell’esame di questo motivo, attinente ad una violazione dei diritti della difesa (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑37/91, ICI/Commissione, Racc. pag. II‑1901, punto 72), che sarà analizzata in prosieguo ai punti 260, 261, 271-273 e 284-290.

45      Il primo capo del motivo va quindi disatteso.

b)      Sul secondo capo, relativo al fatto che la Commissione non avrebbe consentito alla ricorrente di conoscere, prima dell’adozione della decisione impugnata, gli elementi considerati ai fini del calcolo dell’ammenda

 Argomenti delle parti

46      La ricorrente deduce una violazione dei diritti della difesa derivante dal fatto che la Commissione non le avrebbe mai dato la possibilità di conoscere o di commentare gli elementi che essa intendeva utilizzare ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda. La Commissione si sarebbe limitata a riassumere in poche righe, nella comunicazione degli addebiti, la metodologia prevista dagli orientamenti e la detta comunicazione non avrebbe permesso alla ricorrente di prevedere il trattamento particolarmente sfavorevole che la Commissione le riservava e la disparità di trattamento che ne risultava rispetto alla Interbrew.

47      In particolare, nessun elemento della comunicazione degli addebiti l’avrebbe informata che la Commissione intendeva far valere la recidiva nei suoi confronti, mentre tale circostanza aggravante verrebbe applicata solo in modo erratico nella prassi decisionale della detta istituzione. Infatti, nel 2001 la Commissione avrebbe condannato a più riprese imprese recidive senza tuttavia applicare tale circostanza aggravante nei loro confronti ai fini della determinazione dell’ammenda. Ciò sarebbe avvenuto nel caso dell’impresa F. Hoffmann-La Roche AG (in prosieguo: la «Hoffmann-La Roche») nella decisione della Commissione 21 novembre 2001, 2003/2/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E‑1/37.512 – Vitamine) (GU 2003, L 6, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Vitamine»), nella decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2002/742/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E‑1/36.604 – Acido citrico) (GU 2002, L 239, pag. 18; in prosieguo: la «decisione Acido citrico»), e nel caso dell’impresa Stora Kopparbergs Bergslags AB (in prosieguo: la «Stora»), ancorché destinataria della decisione sotto un altro nome, nel procedimento che ha dato origine alla decisione della Commissione 20 dicembre 2001, 2004/337/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E‑1/36.212 – Carta autocopiante) (GU 2004, L 115, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Carta autocopiante»), o ancora dell’impresa Volkswagen AG (in prosieguo: la «Volkswagen») nella decisione della Commissione 29 giugno 2001, 2001/711/CE, in un procedimento ai sensi dell’art. 81 del trattato CE (Caso COMP/F‑2/36.693 – Volkswagen) (GU L 262, pag. 14; in prosieguo: la «decisione Volkswagen II»). Orbene, tale disparità di trattamento non sarebbe giustificata.

48      La mancanza di tale indicazione sarebbe ancor più pregiudizievole se si considera che nel procedimento che ha dato origine alla decisione della Commissione 20 giugno 2001, 2002/405/CE, relativa ad un procedimento in forza dell’articolo 82 del trattato CE (COMP/E-2/36.041/PO – Michelin) (GU 2002, L 143, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Michelin II»), in cui la Commissione ha parimenti preso in considerazione la recidiva quale circostanza aggravante, l’impresa in questione sarebbe stata messa in condizione di far valere i propri argomenti su questo punto prima che fosse adottata la decisione.

49      La Commissione fa valere che essa dispone di un potere discrezionale ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda e che nella comunicazione degli addebiti ha menzionato tutti gli elementi che intendeva prendere in considerazione a tal fine, compresi quelli necessari per adempiere all’obbligo di motivazione. Inoltre, essa non sarebbe tenuta a indicare la propria intenzione di tener conto della circostanza aggravante della recidiva. In ogni caso, la ricorrente non poteva ignorare che gli orientamenti menzionano espressamente la recidiva quale circostanza aggravante, né che le era già stata contestata un’infrazione a due riprese.

 Giudizio del Tribunale

50      Secondo costante giurisprudenza, la Commissione, quando dichiara espressamente, nella comunicazione degli addebiti, che vigila se sia il caso di infliggere ammende alle imprese interessate e indica altresì le principali considerazioni di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione, ed il fatto di averla commessa intenzionalmente o per negligenza, adempie l’obbligo di rispettare il diritto delle imprese di essere sentite. In tal modo, essa fornisce loro gli elementi necessari per difendersi non solo contro la constatazione dell’infrazione, ma anche contro l’inflizione delle ammende (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 21, e sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑31/99, ABB Asea Brown Boveri/Commissione, Racc. pag. II‑1881, punto 78).

51      Per quanto riguarda la determinazione dell’ammontare dell’ammenda, i diritti della difesa delle imprese interessate vengono garantiti dinanzi alla Commissione attraverso la possibilità di presentare osservazioni in ordine alla durata, alla gravità e alla prevedibilità del carattere anticoncorrenziale dell’illecito. Inoltre, le imprese fruiscono di una garanzia supplementare per quanto concerne la determinazione dell’importo dell’ammenda, in quanto il Tribunale ha cognizione anche di merito e può in particolare annullare o ridurre l’ammenda in forza dell’art. 17 del regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 6 ottobre 1994, causa T‑83/91, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. II‑755, punto 235, e, nello stesso senso, sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 50, punto 79).

52      Nella fattispecie si deve constatare, in primo luogo, che la Commissione ha manifestato, al punto 213 della comunicazione degli addebiti, alla luce dei fatti contestati, l’intenzione di infliggere ammende alle imprese destinatarie, compresa la ricorrente. Al punto 214 della suddetta comunicazione, la Commissione ha aggiunto che, per determinare l’importo delle ammende da infliggere, essa doveva tenere conto di tutte le circostanze della fattispecie e in particolare della gravità e della durata dell’infrazione. La Commissione ha peraltro precisato, al punto 216 della medesima comunicazione, che, tra i fatti ivi esposti, essa avrebbe tenuto conto in particolare del fatto che le intese considerate costituivano una violazione deliberata dell’art. 81, n. 1, CE.

53      La Commissione ha inoltre precisato, al medesimo punto 216, che gli accordi sulla ripartizione dei mercati e la fissazione dei prezzi, quali descritti nella comunicazione degli addebiti, costituivano per loro stessa natura il tipo più grave di violazione dell’art. 81, n. 1, CE. Essa ha precisato, al punto 215 della comunicazione degli addebiti, che per valutare la gravità dell’infrazione avrebbe tenuto conto della sua natura, della sua reale incidenza sul mercato, ove misurabile, nonché dell’estensione del mercato geografico in questione. Essa ha inoltre affermato, al punto 216 della detta comunicazione, che avrebbe determinato il ruolo di ciascuna impresa che aveva partecipato all’infrazione, tenendo conto, tra gli altri elementi, del ruolo svolto da ciascuna negli accordi segreti considerati e della durata di ciascuna di tali partecipazioni all’infrazione.

54      La Commissione ha precisato altresì, al punto 217 della comunicazione degli addebiti, che sull’ammontare dell’ammenda inflitta a ciascuna impresa avrebbero inciso le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti e che essa avrebbe applicato, se del caso, la comunicazione sulla cooperazione. Infine, al punto 218, la Commissione ha dichiarato che intendeva fissare l’importo delle ammende a un livello sufficiente a garantirne l’effetto dissuasivo.

55      Da quanto precede emerge che la Commissione, conformemente alla giurisprudenza sopra citata, ha espressamente manifestato, nella comunicazione degli addebiti (punti 213-218), l’intenzione di infliggere ammende alle imprese destinatarie e ha indicato gli elementi di fatto e di diritto di cui avrebbe tenuto conto ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda da infliggere alla ricorrente, per cui, sotto questo profilo, il diritto di quest’ultima di essere sentita è stato rispettato.

56      In secondo luogo, per quanto riguarda più in particolare la circostanza aggravante della recidiva applicata nei confronti della ricorrente, si deve rilevare, da un lato, che gli orientamenti citano quale esempio di circostanza aggravante la recidiva della medesima impresa per un’infrazione del medesimo tipo e, dall’altro, che la Commissione ha dichiarato nella comunicazione degli addebiti che avrebbe tenuto conto del ruolo svolto individualmente da ciascuna impresa negli accordi segreti in questione e che sull’importo dell’ammenda avrebbero inciso le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti. Pertanto, la ricorrente non poteva ignorare che la Commissione avrebbe preso in considerazione tale circostanza aggravante qualora avesse concluso che sussistevano le condizioni per la sua applicazione.

57      In terzo luogo, per quanto riguarda più specificamente l’argomento secondo cui la ricorrente sarebbe stata oggetto di un trattamento discriminatorio rispetto ad altre imprese recidive cui non sarebbe stata contestata tale circostanza aggravante, è importante evidenziare come il semplice fatto che nelle decisioni precedenti la Commissione abbia considerato che certi elementi non costituivano una circostanza aggravante ai fini della determinazione dell’ammontare dell’ammenda non implica che essa sia tenuta ad effettuare la medesima valutazione in una decisione successiva (v. in particolare, per analogia, sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 357; 14 maggio 1998, causa T‑347/94, Mayr‑Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 368, e 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punti 234 e 337). D’altro canto, dalle considerazioni svolte al precedente punto 56 discende che la possibilità concessa ad un’impresa, nell’ambito di un diverso procedimento, di pronunciarsi sull’intenzione di contestarle una recidiva non implica affatto che la Commissione sia tenuta ad agire nello stesso modo in tutti i casi né che, in mancanza di tale possibilità, alla ricorrente si impedisca di esercitare pienamente il suo diritto di essere sentita.

58      Pertanto, il secondo capo del motivo va disatteso.

c)     Sul terzo capo, relativo alla mancanza di documentazione concernente le riunioni tra la Commissione e la Interbrew e al rifiuto della Commissione di comunicare alla ricorrente la risposta della Interbrew alla comunicazione degli addebiti

 Argomenti delle parti

59      La ricorrente fa valere, da un lato, che né la comunicazione degli addebiti né la decisione impugnata contengono elementi precisi che le consentano di valutare il contenuto e la portata delle riunioni svoltesi tra gli agenti della Commissione e i rappresentanti della Interbrew menzionate al punto 34 della decisione impugnata. Inoltre, al fascicolo della Commissione non sarebbe stato allegato alcun verbale di tali riunioni, che peraltro non sarebbero state portate a conoscenza della ricorrente prima dell’adozione della decisione impugnata. Dall’altro, negandole, con lettera 7 febbraio 2002, l’accesso alla risposta della Interbrew alla comunicazione degli addebiti, la Commissione avrebbe violato i suoi diritti della difesa e il principio di buona amministrazione.

60      La ricorrente afferma, in primo luogo, di non essere stata posta in condizione di verificare e, se del caso, di contestare le eventuali dichiarazioni rese dalla Interbrew durante le suddette riunioni, nonostante tali dichiarazioni possano aver inciso in misura rilevante sulla valutazione della Commissione relativa ai fatti di causa e alla cooperazione delle imprese sottoposte all’indagine.

61      A tale proposito, la ricorrente sostiene in particolare che la Commissione ha manifestato nei confronti della Interbrew un atteggiamento complessivamente indulgente, che contrasta con la severità mostrata nei suoi confronti. Così, il fatto che nel corso del procedimento non si sia tenuto conto della posizione dominante della Interbrew, che peraltro sarebbe stata all’origine dell’inchiesta, potrebbe essere spiegato alla luce del contenuto delle riunioni informali in questione. D’altro canto, la menzione, nella decisione impugnata, di un contatto telefonico tra il signor L. B. (Alken-Maes) e il signor A. B. (Interbrew) del 9 dicembre 1996 non troverebbe riscontro nel fascicolo. Lo stesso varrebbe per il riferimento all’oggetto di una riunione interna della Interbrew del 5 maggio 1994, in cui il Chief Executive Officer (in prosieguo: il «CEO») della Interbrew (il signor M.), vale a dire il massimo dirigente di tale impresa, avrebbe esposto uno scenario, assertivamente conforme alla richiesta della ricorrente, in cui la Interbrew avrebbe dovuto trasferire 500 000 ettolitri di birra alla Alken-Maes.

62      In secondo luogo, la ricorrente fa valere di non avere avuto accesso alla risposta della Interbrew alla comunicazione degli addebiti, accesso che le sarebbe stato negato dalla Commissione. Infatti, la ricorrente avrebbe espressamente chiesto a quest’ultima, con lettere 24 e 28 gennaio 2002, di avere nuovamente accesso al fascicolo e in particolare alla risposta della Interbrew alla comunicazione degli addebiti, accesso che la Commissione avrebbe negato con lettera 7 febbraio 2002.

63      La Commissione fa valere che la ricorrente sapeva dell’esistenza delle riunioni informali e che durante il procedimento amministrativo essa non ha mai chiesto di avere accesso ad eventuali resoconti di tali riunioni, peraltro inesistenti e che in ogni caso sarebbero stati irrilevanti. Tutti gli elementi di fatto contenuti nella decisione impugnata sarebbero fondati su documenti del fascicolo, cui la ricorrente non avrebbe mai negato di avere avuto accesso. Quanto alla richiesta di accesso ai documenti presentata in forza del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43), essa sarebbe stata ritirata.

 Giudizio del Tribunale

64      In primo luogo, per quanto riguarda le riunioni informali con le parti, va rilevato che né la ricorrente né la Commissione contestano, nelle loro memorie, il fatto che non siano stati redatti resoconti di tali riunioni. Pertanto, in questo capo del primo motivo, relativo alle suddette riunioni, si afferma sostanzialmente che l’obbligo di rispettare il diritto di accesso al fascicolo durante i procedimenti in materia di concorrenza impone alla Commissione di redigere e di rendere accessibili alle parti tali resoconti.

65      A tale proposito, si deve ricordare che, conformemente alla giurisprudenza citata ai precedenti punti 33 e 34, l’accesso al fascicolo nelle cause in materia di concorrenza ha per oggetto in particolare di permettere ai destinatari di una comunicazione degli addebiti di prendere conoscenza degli elementi di prova contenuti nel fascicolo della Commissione, affinché possano esercitare efficacemente il diritto di essere sentiti. La Commissione è quindi tenuta a rendere accessibile alle imprese interessate tutti i documenti a carico o a favore raccolti durante l’indagine, ad eccezione dei segreti commerciali di altre imprese, dei documenti interni della Commissione e di altre informazioni riservate.

66      Risulta inoltre dalla giurisprudenza che non sussista, per contro, alcun obbligo generale, per la Commissione, di redigere resoconti delle discussioni avute con le altre parti, nell’ambito dell’applicazione delle regole di concorrenza del Trattato, nel corso di riunioni con esse (v., in tal senso, sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, citata al precedente punto 33, punto 351).

67      Tuttavia, la mancanza di tale obbligo non basta per sottrarre la Commissione agli obblighi ad essa incombenti in materia di accesso al fascicolo. Infatti, non sarebbe ammissibile che il ricorso alla prassi dei rapporti verbali con i terzi pregiudicasse i diritti della difesa. Pertanto, se la Commissione intende utilizzare, nella sua decisione, un elemento a carico trasmesso verbalmente da un altro partecipante all’infrazione, deve renderlo accessibile all’impresa interessata, affinché quest’ultima possa pronunciarsi utilmente sulle conclusioni cui la Commissione è pervenuta sulla base di tale elemento. Se del caso, essa deve redigere a questo scopo un documento scritto destinato a comparire nel suo fascicolo (v., in tal senso, sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, citata al precedente punto 33, punto 352).

68      Nella fattispecie, si deve constatare che, a parte due allegazioni concrete, l’argomento della ricorrente consiste nell’affermare genericamente, anzitutto, che le riunioni informali possono avere inciso in misura rilevante sulla valutazione dei fatti e della cooperazione delle imprese sottoposte all’indagine; in secondo luogo, che, nel corso del procedimento, la Commissione ha manifestato un atteggiamento globalmente indulgente nei confronti della Interbrew, che contrasta con la severità mostrata nei suoi confronti nella decisione impugnata, e, infine, che se le informazioni comunicate durante le riunioni formali erano utili alla Interbrew, esse non potevano non influire sulla sua posizione.

69      Tale argomentazione generica, che non precisa i motivi per cui gli elementi a carico considerati dalla Commissione nella decisione impugnata sarebbero fondati su elementi trasmessi durante riunioni informali, non è atta a dimostrare l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa, che va esaminata in relazione alle circostanze specifiche del caso di specie (v., in tal senso, sentenza Solvay/Commissione, citata al precedente punto 36, punto 60). Infatti, come si è rilevato al precedente punto 33, il diritto di accesso al fascicolo nelle cause in materia di concorrenza viene riconosciuto esclusivamente allo scopo di consentire alle imprese interessate di pronunciarsi utilmente sulle conclusioni cui la Commissione è pervenuta nella comunicazione degli addebiti. Orbene, poiché la ricorrente non ha indicato, a parte le due allegazioni concrete già menzionate, alcuna censura formulata nella comunicazione negli addebiti e successivamente nella decisione impugnata che si fondasse su elementi trasmessi verbalmente durante riunioni informali cui la ricorrente stessa non avrebbe avuto accesso, quest’ultima non può contestare alla Commissione una violazione dei diritti della difesa su questo punto (v., in tal senso, sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, citata al precedente punto 33, punti 353 e 354).

70      Per quanto riguarda le due allegazioni concrete sopra menzionate, secondo cui i riferimenti ad un contatto telefonico del 9 dicembre 1996 e all’oggetto di una riunione interna del 5 maggio 1994 che compaiono nella decisione impugnata potrebbero trovare la propria fonte solo nel contenuto di riunioni informali, occorre esaminare se i fatti in questione poggino su elementi precisi che figurano nel fascicolo.

71      Per quanto riguarda, anzitutto, il contatto telefonico del 9 dicembre 1996, menzionato al punto 91 della decisione impugnata, si deve constatare come al punto 93 della comunicazione degli addebiti si rilevi che «a seguito [di un] incontro [svoltosi il] 19 settembre, il signor L. B. (Alken-Maes) ha contattato telefonicamente, in data 9 dicembre 1996, il signor A. B. (Interbrew)». Tale frase è corredata della nota 116, la quale precisa quanto segue: «Lettera di Alken-Maes del 7 marzo 2000 e relativi allegati 42 e 44 ([pagg.] 7884, 8513, e 8528-8530 [del fascicolo della Commissione]), che contiene riferimenti ai documenti di seguito indicati: accertamenti presso Alken-Maes, documento AvW19 ([pagg.] 150-153 [del fascicolo della Commissione]) e documento MV17 ([pagg.] 532-541 [del fascicolo della Commissione])». Gli stessi riferimenti compaiono alla nota 123, relativa al punto 91.

72      In risposta ad un quesito scritto con cui il Tribunale le chiedeva di precisare gli elementi che l’avevano indotta a concludere che in data 9 dicembre 1996 vi era stato un contatto telefonico, avente per oggetto i prezzi della Interbrew, tra il signor L. B. (Alken-Maes) e il signor A. B. (Interbrew), la Commissione ha risposto che era giunta a tale conclusione in base alla pag. 8513 del fascicolo della Commissione, che costituisce l’ultima pagina dell’allegato 42 della lettera del 7 marzo 2000 della Alken-Maes alla Commissione.

73      Dall’analisi di tale documento, che consiste in note manoscritte del signor L. B. (Alken-Maes), emerge che, sebbene non vi si faccia menzione di un contatto telefonico avvenuto il 9 dicembre 1996, tuttavia nel documento in questione compaiono varie annotazioni, chiaramente aggiunte in un momento successivo alla sua prima stesura, che apparentemente contengono risposte a domande, redatte in un primo tempo, relative alle condizioni tariffarie della Interbrew. Orbene, in tre di tali annotazioni compare la data «(9/12/96)» e in altre due l’abbreviazione «IB» (Interbrew), una delle quali contiene anche le iniziali del signor A. B. (Interbrew).

74      Pertanto, si deve concludere, anzitutto, che la menzione dell’esistenza di un contatto avvenuto il 9 dicembre 1996 tra la Interbrew e la Alken-Maes e avente per oggetto le condizioni tariffarie della Alken-Maes compare effettivamente nella comunicazione degli addebiti e che l’esistenza del contatto cui si riferisce la Commissione è dimostrata da un documento che, essendo accluso al fascicolo, è stato accessibile alla ricorrente, dal momento che è stata la sua stessa ex controllata Alken-Maes a fornirlo alla Commissione. Il fatto che il contatto sia stato telefonico o meno è irrilevante sotto il profilo dell’esercizio del diritto di essere sentiti, dal momento che, sebbene sia increscioso che l’affermazione della Commissione su questo punto non sia dimostrata, la ricorrente doveva fruire del diritto di essere sentita in relazione all’esistenza di un contatto ed eventualmente al suo contenuto, e non in merito alla natura telefonica o meno del contatto stesso, in quanto tale circostanza è irrilevante ai fini dell’accertamento del suo carattere illecito o meno.

75      Per quanto riguarda, poi, l’affermazione contenuta al punto 53 della decisione impugnata, secondo cui lo «scenario» esposto dal CEO della Interbrew durante una riunione interna del 5 maggio 1994 era «corrispondente alla richiesta di Danone/Kronenbourg», vale a dire che la Interbrew trasferisse «500 000 ettolitri alla Alken-Maes (soprattutto nel commercio al dettaglio)», si deve constatare che il punto 55 della comunicazione degli addebiti riporta che «nel corso di una discussione interna di Interbrew, [il signor M.] espone il seguente scenario corrispondente alla richiesta di Danone/Kronenbourg. Interbrew dovrebbe trasferire 500 000 ettolitri ad Alken-Maes (soprattutto nel commercio al dettaglio)» e che qualora «Interbrew non accogliesse tale richiesta, Interbrew France verrebbe distrutta con la complicità di Heineken ed in Belgio verrebbe sferrata un’offensiva contro Interbrew mediante prezzi estremamente bassi». Il seguente punto 56 precisa che «[l]o scenario illustrato da Kronenbourg è stato esaminato nel corso di una riunione interna di Interbrew del 5 maggio 1994». Il punto 55 della comunicazione degli addebiti è corredato delle note 35 e 36, che fanno riferimento ad una lettera della Interbrew 28 febbraio 2000 e al relativo allegato 18 (pag. 7683 del fascicolo della Commissione). Gli stessi riferimenti documentali sono contenuti nella decisione impugnata, al punto 53.

76      A tale proposito, si deve rilevare che l’allegato 18 della lettera della Interbrew 28 febbraio 2000, che consiste in una dichiarazione del signor C. della Interbrew, contiene, a pag. 2 della detta dichiarazione, la seguente frase:

«[Il signor. M.] ha prospettato con noi, durante una riunione interna (del 5 maggio 1994), lo scenario richiesto da Kronenbourg. In sostanza, KRO esercita un ricatto affinché ITW trasferisca 500 000 [ettolitri] da AM (soprattutto nel ‘Food’). In mancanza, distruggeranno ITW-France con la complicità di Heineken e sferreranno un attacco contro ITW-Belgique mediante prezzi estremamente bassi».

77      Di conseguenza, è giocoforza constatare che l’affermazione contenuta al punto 53 della decisione impugnata e ai punti 55 e 56 della comunicazione degli addebiti riprende in sostanza il contenuto di un’informazione fornita per iscritto dalla Interbrew, che compare nel fascicolo e che quindi è stata accessibile alla ricorrente. Quest’ultima pertanto non può far valere che, riguardo all’affermazione contenuta al punto 53 della decisione impugnata, essa non ha potuto esercitare effettivamente il suo diritto di essere sentita.

78      Ne consegue, da un lato, che le affermazioni asseritamente rese durante le riunioni informali con la Interbrew comparivano nella comunicazione degli addebiti e, dall’altro, che esse erano comunque fondate, in quanto erano necessarie per acquisire la prova della violazione dell’art. 81, n. 1, CE, su documenti cui la ricorrente ha avuto accesso. Pertanto, si deve concludere che la ricorrente ha potuto pronunciarsi efficacemente su tali affermazioni e che il suo diritto di essere sentita è stato rispettato.

79      In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui alla ricorrente sarebbe stato negato, in violazione dei suoi diritti di difesa, l’accesso ai documenti allegati al fascicolo dopo che essa aveva consultato quest’ultimo in data 5 ottobre 2002, in particolare alla risposta della Interbrew alla comunicazione degli addebiti, in quanto avrebbe potuto contenere elementi a favore, è sufficiente ricordare che la richiesta di accesso ai documenti supplementari del fascicolo è stata presentata con lettere del 24 e 28 gennaio 2002, dopo la chiusura del procedimento amministrativo. Orbene, la mancata presentazione di tale domanda nel corso del procedimento amministrativo ha un effetto di preclusione su questo punto per quanto riguarda il ricorso di annullamento proposto successivamente (v., in tal senso, sentenza Cemento, citata al precedente punto 31, punto 383). Tale argomento va quindi disatteso.

80      Quanto alla richiesta d’accesso presentata il 4 marzo 2002 in forza del regolamento n. 1049/2001, è sufficiente constatare che l’art. 7, n. 2, di detto regolamento dispone che, «[n]el caso di rifiuto totale o parziale, il richiedente può, entro 15 giorni lavorativi dalla ricezione della risposta dell’istituzione, chiedere alla stessa di rivedere la sua posizione, presentando una domanda di conferma». Orbene, si deve constatare che, dopo il rifiuto della Commissione, intervenuto il 26 marzo 2002, di accogliere la richiesta di accesso della ricorrente, quest’ultima, non avendo presentato una domanda di conferma entro i termini prescritti, come essa ha confermato in udienza in risposta ad un quesito del Tribunale, ha ritirato la sua domanda del 4 marzo 2002.

81      Ne consegue che il terzo capo del motivo va disatteso e che quest’ultimo va quindi respinto nella sua interezza.

2.     Sul motivo concernente l’inosservanza dell’obbligo di motivazione

a)     Argomenti delle parti

82      La ricorrente fa valere che la decisione impugnata non è sufficientemente motivata in quanto, da un lato, non contiene alcuna definizione dei mercati rilevanti, mentre ciò costituisce una condizione necessaria e preliminare di qualsiasi giudizio su un comportamento anticoncorrenziale, e, dall’altro, in quanto essa, ai fini del calcolo dell’ammontare dell’ammenda, si limita a fare semplicemente riferimento agli orientamenti, senza indicare l’esatta portata dei criteri impiegati per determinare l’importo dell’ammenda inflitta.

83      Così, in primo luogo, la decisione impugnata non sarebbe sufficientemente motivata in quanto, contrariamente alla condizione posta dalla giurisprudenza del Tribunale (sentenza del Tribunale 10 marzo 1992, cause riunite T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, SIV e a./Commissione, detta «Vetro piano», Racc. pag. II‑1403, punto 159), non sarebbe fondata su una definizione adeguata del mercato rilevante nella fattispecie, ma solo sulla constatazione dell’esistenza di un «mercato belga della birra». La Commissione ometterebbe erroneamente di svolgere un’analisi dell’esatta estensione geografica del mercato o dei mercati, nonché dell’eventuale sostituibilità dei vari prodotti brassicoli. La sostituzione, effettuata dalla Commissione nel controricorso, dell’espressione «mercato belga della birra» con quella di «settore della birra in Belgio» non risponderebbe all’obiezione della ricorrente secondo cui, nella fattispecie, la definizione del mercato era consustanziale alla definizione dell’infrazione. I mercati geografici menzionati, vale a dire i mercati belga e francese, sarebbero definiti in maniera non sufficientemente documentata nella decisione impugnata.

84      D’altro canto, la Commissione avrebbe tenuto conto degli elementi di fatto relativi al mercato francese, senza considerare necessario analizzarne la portata alla luce delle caratteristiche peculiari di tale mercato. In particolare, la Commissione si baserebbe sull’argomento relativo ad una minaccia di rappresaglie sul mercato francese, asseritamente rivolta dalla ricorrente nei confronti della Interbrew, mentre l’esistenza di siffatto comportamento restrittivo della concorrenza potrebbe essere dimostrato solo in base alla constatazione di un certo potere su un mercato correttamente definito.

85      Nella fattispecie, alcuni fatti utilizzati a sostegno della constatazione dell’infrazione oggetto della decisione impugnata, tra i quali la riunione dell’11 maggio 1994, il contatto telefonico del 6 luglio 1994 e la riunione del 17 aprile 1997, secondo la Commissione, avevano un oggetto più ampio del Belgio. Inoltre, l’interazione tra la Francia e il Belgio e la similitudine dei comportamenti in questi due paesi, secondo la Commissione, sarebbero stati elementi importanti dell’infrazione, in particolare per quanto riguarda la presunta minaccia.

86      A tale proposito, la scelta della Commissione di trattare in ambiti distinti comportamenti che presentano analogie si discosterebbe dalla sua prassi tradizionale, consistente nel constatare in un’unica decisione comportamenti illeciti diversi qualora esista un nesso tra questi ultimi, costituito dall’identità delle parti del cartello, dall’analogia dei meccanismi dell’intesa nei vari paesi o dall’interazione tra territori o prodotti diversi [v., ad esempio, decisione della Commissione 10 gennaio 1996, 96/478/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CE (IV/34.279/F3 – ADALAT) (GU L 201, pag. 1; in prosieguo: la «decisione ADALAT»), e le decisioni Vitamine e Carta autocopiante].

87      Orbene, la scelta di adottare più decisioni collocherebbe la ricorrente in una situazione di incertezza giuridica e avrebbe l’effetto di consentire alla Commissione di gonfiare artificiosamente, mediante l’applicazione ripetuta di importi di base ed eventualmente di coefficienti moltiplicatori, l’importo totale delle ammende inflitte in considerazione di un determinato complesso di fatti, senza che le imprese in questione abbiano avuto la possibilità di capire perché si trattava di comportamenti diversi e per quali motivi essi costituivano infrazioni separate.

88      In secondo luogo, la decisione impugnata sarebbe insufficientemente motivata anche per quanto riguarda il calcolo dell’ammontare dell’ammenda. Limitandosi a fare riferimento, al punto 294 della decisione impugnata, alla metodologia definita dagli orientamenti, mentre questi ultimi hanno lo scopo di «consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia», la Commissione sarebbe venuta meno all’obbligo di motivazione ad essa incombente e avrebbe violato il principio della certezza del diritto.

89      Poiché la motivazione relativa all’ammontare dell’ammenda si fonda su una metodologia consistente nel prendere una cifra di base e applicarle alcuni correttivi, sarebbe essenziale che la Commissione indicasse in maniera sufficientemente precisa la portata dei criteri utilizzati nel calcolo dell’ammontare dell’ammenda, al fine di conseguire lo scopo dell’obbligo di motivazione, ossia consentire alla ricorrente di valutare la coerenza e la legittimità della determinazione dell’importo dell’ammenda allo scopo di tutelare i propri diritti, al Tribunale e alla Corte di esercitare il loro controllo e a tutti gli interessati di conoscere le condizioni di applicazione del Trattato CE da parte della Commissione.

90      Nella fattispecie, sebbene la Commissione non sia tenuta ad applicare una formula aritmetica, la decisione impugnata non indicherebbe né i dettagli del calcolo dell’ammenda inflitta né l’esatta portata di ciascuno dei criteri enunciati per determinarne l’importo. Infatti, contrariamente al criterio applicato in altre decisioni adottate in materia di cartelli, quali le decisioni Vitamine e Carta autocopiante, la scelta arbitraria di un importo forfettario di 25 milioni di EUR e la portata della ricerca di un effetto dissuasivo dell’ammenda, menzionata al punto 305 della decisione impugnata, non sarebbero giustificate da criteri quantificati. La mancanza di una definizione adeguata del mercato rilevante determinerebbe anche l’insufficienza della motivazione per quanto riguarda il calcolo dell’ammontare dell’ammenda, dal momento che, conformemente agli orientamenti, la scelta dell’importo dell’ammenda è legata a considerazioni relative alle dimensioni del mercato geografico in questione, all’incidenza del cartello su tale mercato e al volume d’affari realizzato nell’ambito dello stesso.

91      In particolare, la Commissione avrebbe applicato, in base a due circostanze aggravanti contestate alla ricorrente, vale a dire l’esercizio di pressioni sulla Interbrew e la recidiva, un’unica percentuale di aumento dell’ammenda pari al 50%, senza specificare la rispettiva portata di ciascuna delle circostanze aggravanti considerate. La mancanza di precisazioni in merito alla rispettiva importanza dei diversi criteri applicati nel calcolo dell’ammontare dell’ammenda non avrebbe consentito alla ricorrente di valutare in quale misura avrebbe dovuto essere ridotta l’ammenda.

92      D’altro canto, questa mancanza di elementi chiari e pertinenti sarebbe inammissibile a maggior ragione se si considera che la Commissione ammette l’esistenza di documenti redatti dai suoi servizi a fini di consultazione e deliberazione interna relativi al calcolo dell’importo dell’ammenda, e che tali documenti non erano accessibili. Orbene, tale circostanza dimostrerebbe che la Commissione, nella decisione impugnata, ha tenuto conto di elementi diversi da quelli resi accessibili alla ricorrente, senza però menzionarli nella detta decisione.

93      La ricorrente fa valere, più specificamente, che la Commissione non ha motivato in maniera sufficiente la circostanza aggravante della recidiva posta a suo carico. Tale difetto di motivazione sarebbe particolarmente pregiudizievole per la ricorrente in quanto la Commissione non aumenterebbe sistematicamente l’importo dell’ammenda per recidiva, ma darebbe invece prova di esitazioni, nelle sue decisioni precedenti, per quanto riguarda la rilevanza da attribuire a tale circostanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’ammenda, e l’adozione degli orientamenti non sarebbe sufficiente per eliminare l’incertezza che ne deriva.

94      La Commissione contesta l’argomento della ricorrente.

b)     Giudizio del Tribunale

95      Per quanto riguarda i ricorsi proposti contro le decisioni della Commissione che infliggono ammende ad imprese per violazione delle regole di concorrenza, il Tribunale è competente sotto un duplice profilo. Da un lato, ad esso incombe il sindacato della loro legittimità ai sensi dell’art. 230 CE. In tale ambito, esso deve in particolare verificare l’osservanza dell’obbligo di motivazione ex art. 253 CE, la cui violazione rende la decisione annullabile. Dall’altro, il Tribunale ha competenza per valutare, nell’ambito della sua competenza anche di merito riconosciutagli dagli artt. 229 CE e 17 del regolamento n. 17, l’adeguatezza dell’importo delle ammende. Quest’ultima valutazione può giustificare la produzione e la presa in considerazione di elementi aggiuntivi d’informazione, la cui menzione nella decisione non è, in quanto tale, prescritta in forza dell’obbligo di motivazione ex art. 253 CE (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑248/98 P, KNP BT/Commissione, Racc. pag. I‑9641, punti 38‑40, e sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione, Racc. pag. II‑2473, punto 215).

96      Per quanto riguarda il controllo dell’osservanza dell’obbligo di motivazione, secondo costante giurisprudenza la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui promana l’atto, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità di motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi dedotti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone che questo riguardi direttamente e individualmente possono avere alle relative spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi le condizioni di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenze della Corte 13 marzo 1985, cause riunite 296/82 e 318/82, Paesi Bassi e Leeuwarder Papierwarenfabriek/Commissione, Racc. pag. 809, punto 19; 29 febbraio 1996, causa C‑56/93, Belgio/Commissione, Racc. pag. I‑723, punto 86; 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63, e sentenza Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 95, punto 216).

97      Per quanto riguarda la portata dell’obbligo di motivazione in ordine al calcolo di un’ammenda inflitta per violazione del diritto comunitario della concorrenza, occorre ricordare, da un lato, che tale portata va stabilita in base alle disposizioni dell’art. 15, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 17, a norma del quale, «[p]er determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata». Ora, i requisiti della formalità sostanziale costituita dall’obbligo di motivazione vengono soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione (sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑291/98 P, Sarrió/Commissione, Racc. pag. I‑9991, punto 73, e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 463). D’altro lato, gli orientamenti, nonché la comunicazione sulla cooperazione, contengono regole indicative sugli elementi di valutazione di cui la Commissione si avvale per misurare la gravità e la durata dell’infrazione (sentenza Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 95, punto 217). Di conseguenza, i requisiti della formalità sostanziale costituita dall’obbligo di motivazione sono soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione di cui si è servita nell’applicare i suoi orientamenti e, all’occorrenza, la sua comunicazione sulla cooperazione, elementi che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione ai fini del calcolo dell’ammenda (sentenza Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 95, punto 218).

98      Nella fattispecie, la Commissione ha soddisfatto tali requisiti.

99      Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura relativa alla mancanza di una previa definizione del mercato rilevante da parte della Commissione, si deve constatare che quest’ultima, nella fattispecie, non era affatto tenuta a delimitare il mercato in questione. Emerge infatti dalla giurisprudenza che, per l’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, si deve definire il mercato di cui trattasi per determinare se l’accordo possa incidere sugli scambi tra Stati membri e abbia per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (sentenze del Tribunale 21 febbraio 1995, causa T‑29/92, SPO e a./Commissione, Racc. pag. II‑289, punto 74; Cemento, citata al precedente punto 31, punto 1093, e 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punto 230). Di conseguenza, l’obbligo di operare una definizione del mercato in una decisione adottata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE si impone alla Commissione unicamente quando, senza siffatta definizione, non è possibile stabilire se l’accordo, la decisione di associazione di imprese o la pratica concordata di cui è causa possa incidere sugli scambi tra Stati membri e abbia per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (sentenze del Tribunale 15 settembre 1998, cause riunite T‑374/94, T‑375/94, T‑384/94 e T‑388/94, European Night Services e a./Commissione, Racc. pag. II‑3141, punti 93‑95 e 105, e Volkswagen/Commissione, citata, punto 230). Orbene, la ricorrente non contesta che gli accordi o le pratiche concordate in questione potessero incidere sugli scambi tra Stati membri e avessero per oggetto di restringere e falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Di conseguenza, poiché l’applicazione dell’art. 81 CE fatta dalla Commissione non imponeva, nella fattispecie, la previa definizione del mercato rilevante, non si può constatare alcuna violazione dell’obbligo di motivazione su questo punto.

100    Per gli stessi motivi, la constatazione, da parte della Commissione, ai fini dell’applicazione degli orientamenti, di una minaccia rivolta dalla ricorrente, se pur deve far apparire in forma chiara e inequivocabile, per soddisfare i requisiti di cui all’art. 253 CE, il ragionamento seguito, tuttavia non deve essere necessariamente preceduta dalla delimitazione del mercato di cui è causa. La tesi opposta dedotta dalla ricorrente va quindi disattesa.

101    Lo stesso vale per il ragionamento relativo alla presa in considerazione dell’estensione del mercato geografico. Poiché la ricorrente fa valere che la motivazione insufficiente del carattere nazionale del mercato consentirebbe alla Commissione di dichiarare l’intenzione di constatare infondatamente infrazioni distinte, con il conseguente aumento artificioso dell’importo delle ammende imposte alla ricorrente, è sufficiente rilevare che tale intenzione viene imputata alla Commissione in via del tutto ipotetica e che la suddetta affermazione si fonda su mere congetture, dal momento che non è sostenuta da alcun principio di prova. L’argomento che ne viene tratto va quindi disatteso.

102    Per quanto attiene, in secondo luogo, alla censura relativa alla motivazione insufficiente del calcolo dell’importo dell’ammenda, è importante rilevare che la Commissione ha esposto, ai punti 296-328 della decisione impugnata, gli elementi di cui ha tenuto conto ai fini del calcolo dell’ammontare delle ammende di ognuna delle imprese interessate. Orbene, dai punti citati della decisione impugnata emerge che la Commissione ha fatto apparire in modo chiaro e dettagliato il ragionamento seguito, consentendo in tal modo alla ricorrente di conoscere gli elementi di valutazione considerati per misurare la gravità e la durata dell’infrazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda e al Tribunale di esercitare il suo controllo. Si deve quindi concludere che la decisione impugnata rispondeva all’obbligo di motivazione che incombe alla Commissione in forza dell’art. 253 CE.

103    Occorre quindi respingere il presente motivo e, di conseguenza, tutte le domande di annullamento della decisione impugnata.

B –  Sulle domande in subordine di riduzione dell’ammenda inflitta

104    La ricorrente deduce sei motivi diretti a ottenere la riduzione dell’ammenda inflitta. Tali motivi vertono, rispettivamente, sull’erronea valutazione della gravità dell’infrazione ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda, in violazione dei principi di proporzionalità, della parità di trattamento e del ne bis in idem, sull’erronea valutazione della durata dell’infrazione, sull’infondatezza della circostanza aggravante consistente nell’avere esercitato pressioni sulla Interbrew, sull’erronea presa in considerazione della circostanza aggravante della recidiva a carico della ricorrente, sull’insufficiente presa in considerazione delle circostanze attenuanti applicabili e, infine, sull’erronea valutazione dell’importanza della cooperazione della ricorrente, in violazione del principio della parità di trattamento e della comunicazione sulla cooperazione.

1.     Sul motivo concernente l’erronea valutazione della gravità dell’infrazione ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda, in violazione dei principi della parità di trattamento, di proporzionalità e del ne bis in idem

a)     Argomenti delle parti

 Argomenti della ricorrente

105    La ricorrente contesta la fondatezza dell’importo di base specifico determinato dalla Commissione in base alla gravità dell’infrazione deducendo quattro censure successive, vale a dire l’errata valutazione, in violazione degli orientamenti e di taluni principi generali del diritto comunitario, in primo luogo della gravità dell’infrazione, in secondo luogo dell’effettiva capacità economica della ricorrente di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, in terzo luogo del livello dell’ammenda tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo e in quarto luogo della presa in considerazione del fatto che la ricorrente disponeva di conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici per poter facilmente discernere il carattere trasgressivo del suo comportamento e per rendersi conto delle conseguenze che potevano derivarne dal punto di vista del diritto di concorrenza.

106    La ricorrente sostiene che, tenuto conto in particolare dell’importanza quantitativa molto limitata del prodotto oggetto dell’intesa rispetto al consumo totale di birra nell’Unione europea, dell’estensione geografica molto limitata della detta intesa e del carattere molto modesto della cifra d’affari realizzata per il prodotto in questione, l’importo di base che la riguarda, in ogni caso, non avrebbe potuto superare gli otto milioni di EUR.

–       Sulla valutazione della gravità dell’infrazione: violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità

107    Per quanto riguarda la valutazione della Commissione relativa alla gravità dell’infrazione ai sensi del punto 1 A, primo capoverso, degli orientamenti, la ricorrente non contesta le caratteristiche dell’infrazione menzionate al punto 297 della decisione impugnata, che essa afferma di avere, insieme alla Alken-Maes, ammesso e portato a conoscenza della Commissione, bensì solo l’importanza che quest’ultima attribuisce al complesso degli elementi di fatto menzionati nella sezione della decisione impugnata dedicata alla gravità dell’infrazione, nonché la qualifica finale di infrazione molto grave che ne consegue. La ricorrente sostiene che la Commissione, adottando tale qualifica, mentre non ha mai qualificato molto gravi infrazioni equiparabili, ha violato il principio della parità di trattamento trattando situazioni equiparabili in maniera differente (sentenza Hercules Chemicals/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 295).

108    La ricorrente fa anzitutto valere che, pur richiamandosi alla metodologia di determinazione della gravità delle infrazioni indicata negli orientamenti, la Commissione non ha esaminato la questione dell’incidenza concreta sul mercato del cartello in questione.

109    Inoltre, essa sostiene che la conclusione della Commissione relativa al carattere molto grave dell’infrazione è in contrasto sia con gli esempi da questa menzionati negli orientamenti che con la prassi decisionale successiva alla loro pubblicazione. Di norma, la qualifica di un’intesa come infrazione molto grave è riservata ai cartelli organizzati, o addirittura istituzionalizzati, che comportano sofisticati meccanismi di verifica, di organizzazione e di controllo che non hanno nulla in comune con il comportamento contestato nel caso ora in esame e operano su scala mondiale o a livello di diversi grandi Stati membri, dato che il territorio più limitato oggetto di infrazioni considerate molto gravi comprendeva quattro tra i maggiori Stati membri della Comunità [decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’articolo 81 del trattato CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B – Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Tubi d’acciaio senza saldatura»)].

110    La ricorrente sostiene, in primo luogo, che l’infrazione, tenuto conto del suo carattere poco formale, avrebbe dovuto essere considerata grave e non molto grave, tanto più che la Commissione ha qualificato gravi infrazioni il cui grado di sofisticazione equivaleva quanto meno a quello dell’infrazione considerata nel caso ora in esame [decisione della Commissione 11 dicembre 2001, 2003/25/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE – Caso COMP/E‑1/37.919 (ex. 37.391) – Spese bancarie per il cambio delle valute della zona euro – Germania (GU 2003, L 15, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Banche tedesche»); decisione della Commissione 9 dicembre 1998, 1999/271/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 85 del trattato CE (IV/34.466 – Traghetti greci) (GU 1999, L 109, pag. 24; in prosieguo: la «decisione Traghetti greci»), e decisione della Commissione 14 ottobre 1998, 1999/210/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CE (IV/F‑3/33.708 – British Sugar plc, IV/F‑3/33.709 – Tate & Lyle plc, IV/F‑3/33.710 – Napier Brown & Company Ltd, IV/F‑3/33.711 – James Budgett Sugars Ltd) (GU 1999, L 76, pag. 1; in prosieguo: la «decisione British Sugar»)].

111    In secondo luogo, tenuto conto della limitata estensione del territorio belga, la Commissione avrebbe mostrato nella fattispecie una severità eccessiva, in violazione dei principi di proporzionalità e della parità di trattamento, in quanto dalle decisioni precedenti emergerebbe che essa ha considerato a più riprese quale circostanza che giustifica la qualifica di infrazione grave, e non molto grave, il fatto che l’infrazione riguardava un mercato di importanza modesta o di portata geograficamente limitata (decisioni Traghetti greci, British Sugar e Banche tedesche).

112    In terzo luogo, sarebbe irrilevante l’argomento della Commissione secondo cui uno dei criteri applicati per valutare la gravità dell’infrazione è stato l’impatto diretto di quest’ultima sui consumatori. Secondo la ricorrente, da un lato, le intese considerate nelle decisioni Banche tedesche e British Sugar avevano le stesse caratteristiche e tuttavia la Commissione non le ha qualificate molto gravi, e, dall’altro, la struttura, nella fattispecie, della distribuzione dei prodotti in questione, sia per quanto riguarda la grande distribuzione che il settore horeca – date le dimensioni dei depositari –, avrebbe avuto un ruolo di contrappeso rispetto all’intesa, che avrebbe consentito di mitigare parzialmente gli effetti negativi di quest’ultima sui consumatori.

113    La ricorrente conclude che la Commissione non poteva, salvo violare il principio della parità di trattamento, qualificare molto grave l’infrazione constatata nella decisione impugnata, dal momento che detta infrazione non ha assunto la forma di un cartello organizzato dotato di strutture o di meccanismi sofisticati che garantissero il rispetto di accordi tra imprese e ha riguardato una quota modesta della produzione di birra nell’Unione europea. Pertanto, l’importo dell’ammenda andrebbe ridotto in maniera sostanziale.

114    In ogni caso, quand’anche la Commissione non avesse violato il principio della parità di trattamento qualificando molto grave l’infrazione, nondimeno occorrerebbe ridurre l’importo di base dell’ammenda per tenere conto dell’impatto molto modesto dell’infrazione sul mercato comunitario e dell’esiguo volume di vendita dei prodotti oggetto dell’intesa, come la Commissione avrebbe fatto ad esempio nella decisione Tubi d’acciaio senza saldatura. Infatti, in detta decisione, la Commissione, senza modificare la qualifica dell’infrazione, avrebbe applicato un importo di base inferiore della metà a quello che negli orientamenti prevede di applicare per le infrazioni molto gravi, in quanto le vendite dei prodotti in questione dei partecipanti al cartello nei quattro Stati membri interessati rappresentavano solo il 19% circa del consumo comunitario. Orbene, nella fattispecie ora in esame, i prodotti oggetto dell’intesa rappresentavano meno del 2,5% del consumo totale nell’Unione europea. Pertanto, l’importo di base specifico applicato dalla Commissione sarebbe sproporzionato rispetto al volume e al valore di tali prodotti e andrebbe quindi ridotto.

–       Sulla valutazione dell’effettiva capacità economica della ricorrente di arrecare un danno consistente agli altri operatori: violazione del principio di proporzionalità

115    Per quanto riguarda il giudizio della Commissione relativo alla capacità economica di pregiudicare la concorrenza, la ricorrente fa valere che la Commissione deve prendere come quadro di riferimento il mercato su cui si è manifestata l’infrazione e che l’importo dell’ammenda deve presentare un nesso ragionevole con la cifra d’affari realizzata su tale mercato (sentenza del Tribunale 14 luglio 1994, causa T‑77/92, Parker Pen/Commissione, Racc. pag. II‑549, punto 94).

116    D’altro canto, sarebbe importante tener conto della posizione delle imprese in questione sul mercato di riferimento per valutarne la capacità di influire sulla concorrenza.

117    Orbene, questi due principi, ancorché enunciati nella decisione impugnata, non sarebbero stati applicati dalla Commissione. Mentre la Interbrew avrebbe realizzato, nel periodo in questione, un fatturato relativo alle vendite sul mercato quattro volte superiore a quello della ricorrente, l’importo di base specifico determinato per detta impresa sarebbe pari a meno del doppio di quello applicato nei confronti della ricorrente. Tale mancanza di proporzionalità sarebbe contraria alla prassi recente della Commissione, quale emerge dalla sua decisione 2 luglio 2002, 2003/674/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso C.37.519 – Metionina) (GU 2003, L 255, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Metionina»), in cui essa avrebbe considerato che la differenza tra le ammende stabilite doveva rispecchiare la sproporzione tra la quota di mercato del primo produttore mondiale e quella dei concorrenti le cui quote di mercato erano cinque volte inferiori.

118    Inoltre, la Commissione avrebbe omesso di prendere in considerazione la posizione dominante della Interbrew sul mercato belga della birra, che avrebbe necessariamente limitato in ampia misura l’effettiva capacità economica della ricorrente di influenzare il mercato o di pregiudicare gravemente la concorrenza. Peraltro, la ricorrente si sarebbe limitata a tentare di arginare la propria marginalizzazione progressiva.

119    Considerato che si poteva determinare l’importo di base dell’ammenda in relazione al fatturato globale della ricorrente, che costituirebbe un indizio della sua «capacità di nuocere», anziché in relazione al fatturato ottenuto sul mercato di cui trattasi, la Commissione avrebbe perduto di vista il criterio del «potere di compromettere considerevolmente il gioco della concorrenza» enunciato nella decisione impugnata. Per tener conto di un fatturato superiore a quello ottenuto sul mercato belga della birra, la Commissione avrebbe dovuto definire i mercati in questione e dimostrare perché le attività della ricorrente su tali diversi mercati le consentissero di pregiudicare la concorrenza sul mercato della birra.

120    Gli importi delle ammende inflitte rispettivamente alla Interbrew e alla ricorrente, lungi dal rispecchiare l’evidente squilibrio che caratterizza la loro rispettiva situazione, confermerebbe semmai il carattere palesemente sproporzionato dell’importo di base specifico applicato nei confronti della ricorrente rispetto alla sua reale capacità di influenzare il mercato.

121    Infatti, mentre l’importo di 45 milioni di EUR applicato nei confronti della Interbrew corrisponderebbe a meno del 6,6% del suo fatturato relativo al 1998, la Commissione, calcolando un importo di 25 milioni di EUR, avrebbe inflitto alla ricorrente un’ammenda superiore al 20% del fatturato ottenuto nel 2000 dall’impresa realmente implicata nel cartello, la Alken-Maes, di modo che, se quest’ultima fosse stata condannata per il suo comportamento, il limite del 10% del fatturato totale indicato dal regolamento n. 17 sarebbe stato largamente superato.

–       Sulla determinazione dell’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un effetto sufficientemente dissuasivo: violazione del principio di proporzionalità

122    La ricorrente fa valere, da un lato, che la Commissione non ha individualizzato l’elemento di dissuasione considerato nel calcolo dell’importo dell’ammenda e che, pur avendo rilevato, nella decisione impugnata, che la ricorrente e la Interbrew sono grandi imprese internazionali e che la prima è anche un’impresa a produzione diversificata, la Commissione non avrebbe esplicitato i principi su cui si basa l’applicazione del criterio di dissuasione.

123    D’altro canto, l’aumento dell’importo dell’ammenda applicato dalla Commissione al fine di attribuire efficacia dissuasiva alla sanzione sarebbe fondata su motivi irrilevanti e sproporzionata.

124    Infatti, la determinazione del livello dissuasivo dell’ammenda dovrebbe rispondere ad un obiettivo di concorrenza e, secondo la ricorrente, potrebbe essere valutata solo in relazione alle dimensioni dell’impresa sul mercato di cui trattasi e delle sue aspettative di trarre vantaggio dal comportamento contestatole su tale mercato. Fattori quali la dimensione internazionale dell’impresa o il fatto che essa sia recidiva non potrebbero essere pertinenti. A differenza di quanto la Commissione ha constatato in relazione all’impresa ABB Asea Brown Boveri nella decisione 21 ottobre 1998, 1999/60/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CE (Caso IV/35.691/E-4 – Intesa tubi preisolati) (GU 1999, L 24, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Intesa tubi preisolati»), nella fattispecie non si affermerebbe neanche che la struttura della ricorrente e la presenza di controllate straniere nel mercato della birra hanno agevolato il comportamento controverso.

125    Peraltro, secondo la teoria economica, l’importo di un’ammenda è sufficiente quando supera i vantaggi conseguiti dalle parti dell’intesa. Orbene, nella fattispecie, un importo dell’ammenda notevolmente inferiore avrebbe soddisfatto tale condizione, in quanto la redditività della ricorrente sul mercato in questione sarebbe stata negativa durante l’intero periodo considerato.

126    Inoltre, anche se, come sostiene la Commissione, ai fini della dissuasione era importante che l’ammenda fosse tanto superiore quanto più ridotte erano le possibilità di individuare l’infrazione, come avviene in materia di cartelli segreti, la ricorrente sostiene che il relativo importo avrebbe dovuto, a maggior ragione, essere notevolmente inferiore a quello applicato dalla Commissione. D’altro canto, il cartello in questione non sarebbe stato segreto, dal momento che varie riunioni concernenti l’intesa si sono svolte in presenza di concorrenti – come le riunioni del gruppo di lavoro «Visione 2000» – o di distributori – come la riunione del 28 gennaio 1993 – e questi ultimi hanno seguito molto da vicino le azioni delle parti dell’intesa, come dimostrerebbe una lettera indirizzata ai produttori dalla federazione dei distributori.

127    Infine, la presa in considerazione di un qualsiasi obiettivo di dissuasione sarebbe stata inutile, dato che l’effetto dissuasivo – dimostrato dall’immediata cessazione dello scambio di informazioni sulle vendite – nella fattispecie sarebbe stato ottenuto all’inizio dell’indagine e della cooperazione cui la ricorrente si è impegnata.

–       Sulla presa in considerazione delle conoscenze e delle infrastrutture giuridico-economiche di cui dispongono in generale le grandi imprese: violazione del principio del ne bis in idem

128    La ricorrente sostiene che, tenendo conto del fatto che essa disponeva delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici per poter facilmente discernere il carattere trasgressivo del suo comportamento e per rendersi conto delle conseguenze che potevano derivarne dal punto di vista delle regole di concorrenza, la Commissione avrebbe violato il principio del ne bis in idem, in quanto nella decisione impugnata avrebbe aumentato l’importo dell’ammenda anche in considerazione della recidiva.

 Argomenti della Commissione

129    Per quanto riguarda il giudizio relativo alla gravità dell’infrazione, la Commissione sottolinea la gravità dei fatti contestati e fa valere che l’attribuzione della qualifica «molto gravi» ad infrazioni limitate ad un unico Stato membro non contrasta con le sue decisioni precedenti. D’altro canto, le dimensioni di un mercato non si misurerebbero solo in base alla sua estensione geografica, ma andrebbero definite anche in termini d’importanza economica. Poiché il mercato belga della birra ha un valore approssimativo di 1 200 milioni di EUR, l’infrazione sarebbe stata commessa in un settore molto importante. Infine, l’infrazione avrebbe avuto un impatto diretto sui consumatori che le caratteristiche della distribuzione della birra non avrebbero attenuato in alcun modo.

130    Per quanto riguarda il criterio dell’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, la Commissione fa valere che il fatturato globale della ricorrente supera ampiamente quello della Interbrew. Inoltre, la Commissione sarebbe libera di determinare il tipo di fatturato da prendere in considerazione, vale a dire quello complessivo o quello realizzato nel settore di cui trattasi, e, se del caso, di combinare tali fatturati. Infine, il fatto che l’importo di base specifico applicato corrisponda al 20% del fatturato annuo totale della Alken-Maes sarebbe irrilevante, dato che il limite fissato dal regolamento n. 17, nella fattispecie, si applicherebbe al volume d’affari della ricorrente.

131    Per quanto riguarda la ricerca di un effetto sufficientemente dissuasivo dell’ammenda, la Commissione rileva che, in presenza di un’infrazione segreta, l’importo dell’ammenda dev’essere fissato ad un livello molto più elevato rispetto al vantaggio conseguito, e le dimensioni e il carattere diversificato delle attività della ricorrente costituiscono criteri pertinenti ai fini della determinazione del carattere dissuasivo. Peraltro, né la cessazione dell’infrazione né la cooperazione della ricorrente consentirebbero di concludere che è stato raggiunto un livello adeguato di dissuasione.

132    Per quanto attiene, infine, alla presa in considerazione delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici di cui dispongono in generale le grandi imprese, l’argomento relativo alla violazione del principio del ne bis in idem non sarebbe fondato in fatto. Per determinare l’importo di base specifico, la Commissione si sarebbe basata sulla valutazione, da parte della ricorrente, della natura illecita del proprio comportamento, mentre la recidiva sarebbe stata applicata in considerazione della persistenza del comportamento illecito della ricorrente.

b)     Giudizio del Tribunale

133    Va ricordato, in via preliminare, che, ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, «[l]a Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille [EUR] ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza (…) commettano un’infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1, (…) del trattato». La medesima disposizione prevede che, «[p]er determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata» (sentenza del Tribunale LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 223).

134    D’altro canto, secondo costante giurisprudenza, la Commissione dispone, nell’ambito del regolamento n. 17, di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59; 11 dicembre 1996, T‑49/95, Van Megen Sports/Commissione, Racc. pag. II‑1799, punto 53, e 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127).

135    Inoltre, il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 17, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 50, punto 109; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punto 309, e 14 maggio 1998, causa T‑304/94, Europa Carton/Commissione, Racc. pag. II‑869, punto 89). L’efficace applicazione delle regole comunitarie in materia di concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 50, punto 109, e LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punti 236 e 237).

136    Tuttavia, è importante rilevare che, in virtù dell’art. 17 del regolamento n. 17, il Tribunale dispone di una competenza anche di merito, ai sensi dell’art. 229 CE, sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione infligge un’ammenda e, pertanto, può sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda inflitta. Nell’ambito del suo sindacato anche di merito, spetta al Tribunale verificare se l’importo dell’ammenda irrogata sia proporzionato alla gravità e alla durata dell’infrazione (v., in tal senso, sentenze Deutsche Bahn/Commissione, citata al precedente punto 134, punti 125 e 127, e Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 95, punto 93) e soppesare la gravità dell’infrazione e le circostanze invocate dalla ricorrente (v., in tal senso, sentenza della Corte 14 novembre 1996, causa C‑333/94 P, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. I‑5951, punto 48).

137    Occorre inoltre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza della Corte 25 marzo 1996, causa C‑137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 54; sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33; sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑334/94, Sarrió/Commissione, Racc. pag. II‑1439, punto 328, e LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 236). In particolare, la valutazione della gravità dell’infrazione deve avvenire tenendo conto della natura delle restrizioni imposte alla concorrenza (sentenza della Corte 15 luglio 1970, causa 45/69, Boehringer/Commissione, Racc. pag. 769, punto 53; sentenza del Tribunale 22 ottobre 1997, cause riunite T‑213/95 e T‑18/96, SCK e FNK/Commissione, Racc. pag. II‑1739, punto 246). La Commissione deve inoltre curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo, soprattutto per tipi di trasgressioni particolarmente nocivi per il conseguimento degli scopi della Comunità (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 50, punti 105 e 106, e ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 50, punto 166).

138    Tuttavia, secondo la giurisprudenza, quando la Commissione adotta orientamenti destinati a precisare, nel rispetto del Trattato, i criteri che intende applicare nell’esercizio del suo potere discrezionale, ne deriva un’autolimitazione di questo potere in quanto la detta istituzione è tenuta a conformarsi alle norme indicative che essa stessa si è imposta (sentenza 17 dicembre 1991, Hercules Chemicals/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 53, confermata a seguito di ricorso con sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4235, punto 75). Pertanto, per accertare la gravità delle infrazioni, la Commissione è ora tenuta a prendere in considerazione, tra una molteplicità di elementi, quelli che emergono dagli orientamenti, salvo illustrare specificamente i motivi che giustifichino l’eventuale scostamento su un determinato punto (sentenza del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA, CGM e a./Commissione, detta «FETTCSA», Racc. pag. II‑913, punto 271).

139    Conformemente agli orientamenti, la Commissione, nel calcolo delle ammende, prende quale punto di partenza un importo di base generale, determinato in funzione della gravità dell’infrazione. Per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante (punto 1 A, primo capoverso). Le infrazioni sono pertanto qualificate in tre categorie, ossia le «infrazioni poco gravi», per le quali l’importo delle ammende che possono essere inflitte è compreso tra 1 000 e un milione di EUR, le «infrazioni gravi», per le quali l’importo delle ammende che possono essere inflitte può variare tra un milione e 20 milioni di EUR, e le «infrazioni molto gravi», per le quali l’importo delle ammende che possono essere inflitte supera i 20 milioni di EUR (punto 1 A, secondo capoverso, primo‑terzo trattino).

140    A tale proposito, la Commissione precisa che le infrazioni poco gravi possono consistere ad esempio in restrizioni, per lo più verticali, intese a limitare gli scambi, ma il cui impatto sul mercato resta circoscritto e che riguardano inoltre una parte sostanziale, ma relativamente ristretta del mercato comunitario (punto 1 A, secondo capoverso, primo trattino). Quanto alle infrazioni gravi, la Commissione precisa che si tratta per lo più di restrizioni orizzontali o verticali dello stesso tipo delle infrazioni poco gravi, ma applicate in maniera più rigorosa, il cui impatto sul mercato è più vasto e che sono atte a produrre effetti su ampie zone del mercato comune. Essa osserva inoltre che può trattarsi di abusi di posizione dominante (punto 1 A, secondo capoverso, secondo trattino). Per quanto riguarda, infine, le infrazioni molto gravi, la Commissione rileva che si tratta essenzialmente di restrizioni orizzontali quali «cartelli di prezzi» e di quote di ripartizione dei mercati, o di altre pratiche che pregiudicano il buon funzionamento del mercato interno, ad esempio quelle miranti a compartimentare i mercati nazionali, o di abusi incontestabili di posizione dominante da parte di imprese in situazione di quasi monopolio (punto 1 A, secondo capoverso, terzo trattino).

141    Gli orientamenti enunciano che, nell’ambito di ciascuna delle categorie di infrazioni sopra menzionate, in particolare per le categorie definite «gravi» e «molto gravi», la forcella di sanzioni previste consentirà di differenziare il trattamento da riservare alle imprese in funzione della natura delle infrazioni commesse (punto 1 A, terzo capoverso). È inoltre necessario valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e occorre fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo (punto 1 A, quarto capoverso). Inoltre, si può tenere conto del fatto che generalmente le imprese di grandi dimensioni dispongono quasi sempre di conoscenze e di infrastrutture giuridico-economiche che consentono loro di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento e delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo del diritto della concorrenza (punto 1 A, quinto capoverso).

142    Nell’ambito di ciascuna delle tre categorie predette, può essere opportuno, nei casi che coinvolgono più imprese, come i cartelli, ponderare l’importo determinato, in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione, e quindi adeguare l’importo di base generale in funzione del carattere specifico di ciascuna impresa (punto 1 A, sesto capoverso).

143    Gli orientamenti precisano altresì che il principio di parità della sanzione per un medesimo comportamento può dar luogo, in determinate circostanze, all’applicazione di importi differenziati per le imprese interessate, senza che tale differenziazione derivi da un calcolo rigorosamente aritmetico (punto 1 A, settimo capoverso).

144    È alla luce di tali principi che occorre esaminare, anzitutto, se la Commissione, nell’applicare alla fattispecie la metodologia definita negli orientamenti per la determinazione della gravità dell’infrazione, abbia violato i principi invocati dalla ricorrente. Si deve quindi accertare se – presumendo, come fa la ricorrente in subordine, che l’infrazione debba essere qualificata molto grave – l’importo di base specifico di 25 milioni di EUR applicato nei confronti della ricorrente sia esso stesso adeguato rispetto alle circostanze da questa dedotte, ossia il modestissimo impatto dell’infrazione sul mercato comunitario e lo scarso volume di vendita dei prodotti oggetto del cartello.

 Sul giudizio relativo alla gravità dell’infrazione

145    Nella fattispecie, dalla decisione impugnata emerge che la Commissione ha valutato la gravità dell’infrazione in base agli elementi che seguono: la natura stessa dell’infrazione, il fatto che il cartello toccava tutti i segmenti del mercato della birra, che i colloqui controversi sono stati condotti ai vertici delle imprese e che gli accordi e le concertazioni riguardavano una grande varietà di parametri della concorrenza, il fatto che non si possa concludere nel senso che il cartello non ha avuto alcuna incidenza o ha avuto un’incidenza limitata sul mercato e il fatto che il mercato geografico copriva l’intero territorio del Belgio.

146    In primo luogo, per quanto riguarda la conformità del giudizio sulla gravità dell’infrazione agli orientamenti e al principio di proporzionalità, è importante esaminare il modo in cui la Commissione ha valutato tale gravità alla luce dei tre criteri pertinenti, ossia la natura stessa dell’infrazione, la sua incidenza concreta sul mercato, ove misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante (v. precedente punto 139).

147    Per quanto riguarda, anzitutto, la natura stessa dell’infrazione, si deve rilevare che la ricorrente non contesta gli elementi menzionati al punto 297 della motivazione della decisione impugnata, vale a dire che l’intesa comportava segnatamente un patto generale di non aggressione, uno scambio di informazioni sulle vendite, degli accordi e una concertazione diretti e indiretti sui prezzi e le promozioni nel settore alimentare, la ripartizione dei clienti sul mercato horeca, nonché, su questo stesso mercato, la limitazione degli investimenti e della pubblicità. Orbene, secondo costante giurisprudenza, le intese orizzontali in materia di prezzi sono ricomprese nelle infrazioni più gravi alle disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e pertanto possono essere qualificate, di per sé sole, molto gravi (sentenze del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 103, e FETTCSA, citata al precedente punto 138, punto 262). I meccanismi descritti dalla Commissione al punto 297 della decisione impugnata, oltre a costituire un cartello in materia di prezzi, rientrano tra le forme più gravi di pregiudizio alla concorrenza, in quanto sono dirette alla pura e semplice eliminazione di quest’ultima tra le imprese partecipanti. Ne consegue che non può contestarsi la conclusione della Commissione secondo cui gli accordi e le concertazioni controversi costituivano per loro stessa natura un’infrazione molto grave. Tale constatazione non può essere rimessa in discussione soprattutto se si considera che la Commissione ha anche rilevato come gli accordi e le concertazioni riguardassero una grande varietà di parametri della concorrenza e toccassero tutti i segmenti del mercato della birra, constatazioni che discendono direttamente e logicamente dagli elementi di fatto menzionati al punto 297 della decisione impugnata e che non sono contestate dalla ricorrente. Quanto alla circostanza, anch’essa non contestata, che le riunioni relative al cartello si sono svolte ai vertici delle imprese, ossia a livello di direzioni generali della ricorrente e della sua controllata, neanch’essa può attenuare l’estrema gravità della natura stessa dell’infrazione.

148    Inoltre, per quanto riguarda il criterio dell’impatto dell’intesa, si deve constatare che, sebbene la Commissione, nella decisione impugnata, abbia rilevato che determinati aspetti non sono stati applicati, o lo sono stati solo in parte, essa, tuttavia, ha osservato che non si può concludere nel senso che il cartello non ha avuto alcuna incidenza o ha avuto un’incidenza limitata sul mercato. A sostegno di tale constatazione, la Commissione ha invocato non solo la prova documentale costituita dalle note redatte da un rappresentante della Interbrew durante la riunione del 28 gennaio 1998, che prendono atto di determinati elementi realizzati, ma anche il fatto, accertato dalla stessa Commissione, che lo scambio di informazioni sulle vendite tra la Alken-Maes e la Interbrew è stato effettivamente posto in atto. Orbene, l’attuazione, ancorché parziale, di un accordo avente un oggetto anticoncorrenziale è sufficiente per escludere la possibilità di concludere che il detto accordo non ha avuto alcuna incidenza sul mercato.

149    L’argomento della ricorrente secondo cui il cartello ha avuto carattere poco elaborato e poco formale, il che dimostrerebbe una scarsa volontà di commettere un’infrazione, è smentito dai fatti. La molteplicità e la simultaneità degli obiettivi perseguiti dal cartello, che non sono contestati dalla ricorrente, confermano infatti l’esistenza di un autentico piano anticoncorrenziale, che è indice non di una debole, bensì di una forte volontà di commettere un’infrazione. Pertanto, quand’anche il cartello si caratterizzasse per un modesto grado di formalismo, esso tuttavia presenterebbe un elevato livello di elaborazione.

150    Per quanto riguarda, infine, il criterio dell’estensione del mercato geografico rilevante, nella decisione impugnata la Commissione ha constatato che il cartello copriva l’intero territorio del Belgio, circostanza che la ricorrente non contesta. Orbene, risulta dalla giurisprudenza che un mercato geografico di dimensioni nazionali costituisce una parte sostanziale del mercato comune (sentenza della Corte 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punto 28). D’altro canto, negli orientamenti la Commissione ha precisato che nella maggior parte dei casi sarebbero state giudicate molto gravi le restrizioni orizzontali di tipo «cartelli di prezzi», le compartimentazioni dei mercati o altre pratiche che pregiudicano il buon funzionamento del mercato interno (v. precedente punto 140). Da tale descrizione indicativa emerge che gli accordi o le pratiche concordate dirette in particolare, come nel caso ora in esame, a determinare i prezzi e a ripartire la clientela possono comportare, solo per la loro stessa natura, una qualifica di questo tipo, senza che occorra valutare tali comportamenti in funzione di un’incidenza o di un’estensione geografica particolari. Tale conclusione è corroborata dal fatto che, se nella descrizione delle infrazioni che possono essere considerate gravi si precisa che si tratterà di infrazioni dello stesso tipo di quelle definite poco gravi «ma applicate in maniera più rigorosa, il cui impatto sul mercato è più vasto e che sono atte a produrre effetti su ampie zone del mercato comune», in quella delle infrazioni molto gravi, invece, non si menziona alcuna condizione relativa all’incidenza o alla produzione di effetti su una determinata zona geografica.

151    Risulta da quanto precede che, qualificando l’infrazione molto grave ai sensi del punto 1 A degli orientamenti, la Commissione non ha violato il principio di proporzionalità.

152    A tale proposito è importante rilevare che il Tribunale, in relazione a un cartello di prezzi operante su un mercato geografico ristretto, ha dichiarato che la qualifica di «grave» dell’intesa a causa della sua incidenza limitata sul mercato rappresentava già una qualifica attenuata rispetto ai criteri generalmente applicati nella fissazione delle ammende nel caso di cartelli di prezzi, che avrebbero dovuto condurre la Commissione a qualificare l’intesa molto grave (sentenza Tate & Lyle e a./Commissione, citata al precedente punto 147, punto 103).

153    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui, nella fattispecie, la Commissione si sarebbe discostata dalle sue precedenti decisioni, in violazione del principio della parità di trattamento, occorre ricordare, da un lato, che la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 234) e, dall’altro, che, secondo costante giurisprudenza (v. precedente punto 134), la Commissione dispone, nell’ambito del regolamento n. 17, di un margine di discrezionalità nel fissare gli importi delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza. Spetta quindi alla Commissione, nell’ambito del suo potere discrezionale e alla luce delle indicazioni contenute al punto 1 A, secondo capoverso, terzo trattino, degli orientamenti, stabilire se le circostanze della fattispecie da essa esaminate consentano di qualificare molto grave l’infrazione. Orbene, dai precedenti punti 146-152 emerge che tale condizione sussisteva.

154    Come si è già rilevato ai precedenti punti 134 e 135, il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 17, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria in materia di concorrenza. L’efficace applicazione delle regole comunitarie della concorrenza richiede al contrario che la Commissione possa adeguare in qualunque momento il livello delle ammende alle esigenze di tale politica. Tale comportamento non può costituire una violazione, da parte della Commissione del principio della parità di trattamento rispetto alla sua prassi anteriore (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, detta «PVC II», Racc. pag. II‑931, punto 1232).

155    Pertanto, si deve concludere che, constatando il carattere molto grave dell’infrazione di cui è causa ai sensi del punto 1 A, primo capoverso, degli orientamenti, la Commissione si è conformata ai propri orientamenti e non ha violato né il principio di proporzionalità, né quello della parità di trattamento.

 Sulla valutazione dell’effettiva capacità della ricorrente di arrecare un danno consistente agli altri operatori

156    Dagli orientamenti emerge che, per un’infrazione di una determinata gravità, può essere opportuno, nei casi che coinvolgono più imprese, come i cartelli, ponderare l’importo di base generale per stabilire un importo di base specifico tenendo conto del peso e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione (punto 1 A, sesto capoverso; v. precedente punto 142). In particolare, è necessario valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori (punto 1 A, quarto capoverso; v. precedente punto 141).

157    Dalla giurisprudenza discende inoltre che gli orientamenti non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione. Tuttavia, essi non ostano neppure a che tali fatturati siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto comunitario e qualora le circostanze lo richiedano. In particolare, il fatturato può essere preso in considerazione al momento della valutazione dei diversi elementi elencati ai precedenti punti 141-143 (sentenze LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punti 283 e 284, e Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 95, punto 82).

158    Peraltro, secondo costante giurisprudenza, tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono rientrare, a seconda dei casi, il volume e il valore delle merci oggetto della trasgressione nonché le dimensioni e la potenza economica dell’impresa e, quindi, l’influenza che questa ha potuto esercitare sul mercato. Ne consegue, da un lato, che è possibile, per commisurare l’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, anche se approssimativa e imperfetta, delle dimensioni di questa e della sua potenza economica, quanto della parte di tale fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell’infrazione e che può quindi fornire un’indicazione dell’entità della medesima. Ne consegue, dall’altro, che non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto ad altri criteri di valutazione e, quindi, che la determinazione dell’ammenda adeguata non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 50, punti 120 e 121; sentenze del Tribunale Parker Pen/Commissione, citata al precedente punto 115, punto 94; 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 176, e Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 95, punto 83).

159    Nella fattispecie, occorre constatare, in primo luogo, la limitata rilevanza dell’argomento della ricorrente secondo cui la differenza esistente tra i rapporti percentuali che caratterizzano, da un lato, gli importi di base applicati rispettivamente a ciascuna impresa e, dall’altro, le quote di mercato di queste stesse imprese sul mercato belga della birra dimostra che la Commissione si è basata sul principio secondo cui l’effettiva capacità di arrecare un danno è adeguatamente comprovata dal volume e dal valore dei prodotti venduti da ciascuna impresa. Occorre infatti rilevare che gli importi di base cui si riferisce la ricorrente rispecchiano non solo l’adeguamento operato in considerazione dell’effettiva capacità di pregiudicare la concorrenza sul mercato, ma anche quello effettuato allo scopo di ottenere un effetto dissuasivo.

160    A tale proposito, dal punto 305 della decisione impugnata emerge che l’adeguamento dell’importo delle ammende al fine di ottenere un effetto dissuasivo è stato effettuato dalla Commissione in due fasi. Nella prima, la ricorrente e la Interbrew sono state collocate su un piano di parità, in quanto la Commissione, nel fissare il rispettivo importo di base specifico, ha tenuto conto del fatto che esse «[erano] delle grandi imprese internazionali». Nella seconda, la Commissione ha osservato che era importante «considerare che [la ricorrente era] un’impresa a produzione diversificata», e che nei suoi confronti si poneva quindi un’esigenza supplementare di dissuasione. Ne consegue che, a scopo di dissuasione e senza pregiudicare, in questa fase, la validità delle conclusioni tratte dalla Commissione a tale proposito, l’importo di base specifico dell’ammenda determinato per la ricorrente teneva conto di un’esigenza di dissuasione più cogente rispetto a quella che si poneva nei confronti della Interbrew.

161    Orbene, è giocoforza constatare che, nondimeno, l’importo di base specifico applicato nei confronti alla ricorrente è inferiore di circa il 45% rispetto a quello applicato nei confronti della Interbrew. Inoltre, la Commissione ha evidenziato, da un lato, al punto 303 della decisione impugnata, il fatto di avere tenuto conto dell’effettivo potere economico degli autori dell’infrazione, tale da compromettere considerevolmente il gioco della concorrenza, e, dall’altro, al punto 304, che esisteva una notevole differenza nelle dimensioni tra la Interbrew, leader sul mercato belga con una quota di mercato del 55% circa, e la Alken‑Maes, impresa numero due su tale mercato con circa il 15%.

162    Risulta quindi che la Commissione ha tenuto conto, conformemente agli orientamenti, dell’effettiva capacità economica delle due imprese di arrecare danno agli altri operatori, ponderando in misura significativa verso il basso, ai fini della determinazione dell’importo di base specifico applicabile alla ricorrente, l’importo di base generale corrispondente alla gravità dell’infrazione commessa, ai sensi del punto 1 A, primo capoverso, degli orientamenti. Il fatto che il punto 303 della motivazione della decisione impugnata si riferisca al potere di «compromettere considerevolmente il gioco della concorrenza», anziché riprendere alla lettera l’espressione che figura negli orientamenti, è irrilevante. Del pari, il fatto che il rapporto percentuale tra gli importi di base applicati a ciascuna impresa sia diverso dall’esatto rapporto percentuale esistente tra le loro rispettive quote di mercato è privo di incidenza sulla validità del metodo adottato dalla Commissione. Quest’ultima ha infatti precisato, al punto 1 A, settimo capoverso, degli orientamenti, che l’applicazione di importi differenziati non deriva necessariamente da un calcolo aritmetico.

163    Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli argomenti della ricorrente secondo cui gli importi di base specifici definiti non rispecchierebbero l’evidente squilibrio determinato dalla posizione dominante della Interbrew sul mercato belga della birra, che avrebbe indotto la Alken-Maes a tentare di limitare la propria marginalizzazione progressiva e costituirebbe, in ogni caso, la prova dell’incapacità della ricorrente di compromettere il gioco della concorrenza, si deve ricordare che l’infrazione constatata nella decisione impugnata non è oggetto di contestazione da parte della ricorrente. Orbene, tale infrazione, che consiste in un insieme di accordi e/o pratiche concordate, presuppone, da un lato, un incontro tra le volontà delle parti e, dall’altro, che il danno causato alla concorrenza derivasse da tale accordo e quindi dalla volontà di ciascuna delle parti. Pertanto, la ricorrente non può far valere, allo scopo di esentarsi dalla responsabilità del danno che ha arrecato alla concorrenza, il fatto di avere subito pressioni.

164    Ad abundantiam, si deve peraltro sottolineare che, secondo costante giurisprudenza, un’impresa che partecipa con altre ad attività anticoncorrenziali non può far valere a proprio vantaggio la circostanza di avervi partecipato sotto la pressione delle altre partecipanti. Infatti, essa avrebbe potuto denunciare alle autorità competenti le pressioni cui era sottoposta e presentare alla Commissione un reclamo a norma dell’art. 3 del regolamento n. 17, piuttosto che partecipare alle attività in questione (sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑9/89, Hüls/Commissione, Racc. pag. II‑499, punti 123 e 128; 6 aprile 1995, causa T‑141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punto 58, e LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 142).

165    Per quanto riguarda, infine, l’argomento secondo cui l’importo di base specifico applicato nei confronti della ricorrente rappresenta una percentuale del volume d’affari della Alken‑Maes di gran lunga superiore a quella rappresentata dall’importo applicato nei confronti della Interbrew in funzione del suo fatturato, va ricordato anzitutto che detti importi, come si è già rilevato ai precedenti punti 159 e 160, non corrispondono solo al danno effettivamente arrecato alla concorrenza da ognuna delle parti, bensì rispondono anche all’obiettivo di dissuasione enunciato negli orientamenti. Quanto all’argomento relativo al fatto che l’importo applicato, nel caso della Alken‑Maes, è superiore al limite fissato dal regolamento n. 17 in termini di percentuale sul fatturato, esso è comunque irrilevante, dal momento che la destinataria della decisione impugnata è la ricorrente.

166    Vanno quindi disattesi tutti gli argomenti relativi all’erronea valutazione, da parte della Commissione, in violazione del principio di proporzionalità, dell’effettiva capacità dei partecipanti di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori.

 Sulla determinazione dell’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo

167    Risulta dagli orientamenti che, nei casi che coinvolgono più imprese, come i cartelli, l’importo di base generale può essere ponderato, al fine di fissare un importo di base specifico, in modo da tenere conto del peso specifico, e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza, del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione (v. precedente punto 142). In particolare, occorre fissare l’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo (v. precedente punto 141).

168    La presa in considerazione, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda applicato in funzione della gravità, di tale obiettivo di dissuasione si fonda su una giurisprudenza ben consolidata, secondo cui l’effetto dissuasivo delle ammende costituisce uno degli elementi di cui la Commissione può tener conto per valutare la gravità dell’infrazione e, di conseguenza, per determinare il livello dell’ammenda, dal momento che la gravità delle infrazioni va accertata sulla scorta di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente dei criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza SPO e a./Commissione, citata al precedente punto 137, punto 54; sentenze Ferriere Nord/Commissione, citata al precedente punto 137, punto 33, e 14 maggio 1998, Sarrió/Commissione, citata al precedente punto 137, punto 328).

169    Del pari, secondo la giurisprudenza, il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese che, intenzionalmente o per negligenza, trasgrediscono l’art. 81 CE costituisce uno dei mezzi di cui dispone la Commissione per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario, compito che comprende il dovere di perseguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese. Ne consegue che, per valutare la gravità di un’infrazione, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo, soprattutto per i tipi di trasgressioni particolarmente nocivi per il conseguimento degli scopi della Comunità (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 50, punti 105 e 106, e ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 50, punto 166).

170    Alla luce di quanto precede, la Commissione poteva legittimamente prendere in considerazione l’obiettivo di dissuasione al fine di fissare l’importo di base specifico dell’ammenda, che rispecchia appunto la gravità dell’infrazione commessa. Infatti, la ricerca dell’effetto dissuasivo delle ammende è parte integrante della ponderazione delle stesse in funzione della gravità dell’infrazione, in quanto mira ad impedire che un metodo di calcolo conduca ad importi delle ammende che, per talune imprese, non raggiungerebbero il livello adeguato per garantire un effetto sufficientemente dissuasivo (sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 50, punto 167).

171    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo alla mancata individualizzazione dell’elemento di dissuasione considerato nel calcolo dell’ammenda, è importante rilevare che, ai fini della presa in considerazione dell’obiettivo di dissuasione, la Commissione non ha definito, negli orientamenti, una metodologia o criteri individualizzati la cui esposizione puntuale possa rivestire carattere obbligatorio. Tale argomento va quindi respinto.

172    Lo stesso vale per l’argomento secondo cui non sono stati esplicitati i principi sui quali si fonda nella fattispecie il giudizio relativo all’esigenza di dissuasione. Infatti, occorre rilevare come la stessa ricorrente ammetta che la Commissione ha osservato, al punto 305 della decisione impugnata, che la ricorrente e la Interbrew sono grandi imprese internazionali e che la ricorrente è inoltre un’impresa a produzione diversificata. La Commissione ha aggiunto, al punto 306, di aver tenuto conto del fatto che la ricorrente dispone delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici per poter facilmente discernere il carattere trasgressivo del proprio comportamento e per rendersi conto delle conseguenze che possono derivarne dal punto di vista delle regole della concorrenza. Risulta quindi che, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, i principi sui quali è stato fondato il giudizio relativo all’esigenza di dissuasione sono stati esplicitati.

173    Infine, occorre analizzare i vari argomenti della ricorrente secondo cui sarebbe irrilevante e sproporzionato il ragionamento seguito dalla Commissione a sostegno della constatazione di una particolare esigenza di effetto dissuasivo.

174    Va subito respinto l’argomento secondo cui la recidiva non sarebbe pertinente, dal momento che la Commissione non ha fondato su tale censura il proprio ragionamento relativo alla dissuasione.

175    Per quanto riguarda l’argomento secondo cui le dimensioni complessive dell’impresa e il suo carattere internazionale sarebbero irrilevanti rispetto all’obiettivo di concorrenza che la Commissione sarebbe tenuta a perseguire, occorre evidenziare anzitutto come il fatto che la ricorrente disponesse delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici per poter facilmente discernere il carattere trasgressivo del proprio comportamento e per rendersi conto delle conseguenze che potevano derivarne dal punto di vista delle regole della concorrenza possa considerarsi connesso alle risorse globali dell’impresa e quindi alle sue dimensioni, il cui carattere internazionale costituisce uno dei vari indizi. Pertanto, la Commissione poteva legittimamente tenerne conto. Infatti, la circostanza che la ricorrente abbia partecipato all’intesa constatata nonostante disponesse dei mezzi per rendersi conto del suo carattere illecito e delle sue conseguenze denota obiettivamente un’esigenza supplementare di dissuasione rispetto a un’impresa che non disponga di tali mezzi.

176    L’argomento secondo cui, ai fini della determinazione del livello di dissuasione necessario, sarebbe irrilevante la valutazione relativa alla segretezza dell’intesa, in quanto essa non era stata tenuta segreta, o per lo meno non era stata tenuta segreta dalla ricorrente, si fonda sul rilievo che, nell’ambito del cartello, varie riunioni si sono svolte in presenza di concorrenti – ad esempio le riunioni del gruppo di lavoro «Visione 2000» – o di distributori, come la riunione del 28 gennaio 1993 cui hanno partecipato i distributori di birra. D’altro canto, una lettera del 4 agosto 1997 indirizzata ai produttori dalla federazione dei distributori dimostrerebbe che questi ultimi seguivano molto da vicino le attività delle partecipanti al cartello.

177    Per quanto riguarda, anzitutto, le riunioni del gruppo di lavoro «Visione 2000», occorre rilevare che, ai punti 128‑155 della decisione impugnata, la Commissione non sostiene che le dette riunioni – ufficiali, in quanto si svolgevano nel quadro della Confederazione dei produttori di birra del Belgio (in prosieguo: la «CBB») e riunivano gran parte degli operatori – hanno rappresentato, in quanto tali, elementi costitutivi dell’infrazione. La Commissione constata che, nel quadro dei loro contatti bilaterali, la Interbrew e la Alken-Maes hanno seguito una linea comune ed erano consapevoli dei vantaggi connessi al lancio di determinate iniziative nell’ambito della CBB e che la Interbrew e la Alken-Maes avevano convenuto che una parte dell’intesa, ossia quella relativa agli investimenti e alla pubblicità sul mercato horeca e al nuovo sistema di tariffazione, poteva essere portata avanti nell’ambito della CBB. La Commissione fa quindi riferimento a una strumentalizzazione della CBB al fine di dare attuazione, all’insaputa degli altri partecipanti alle riunioni in questione, a un accordo tra la Interbrew e la ricorrente diretto a indirizzare determinate discussioni in materia di prezzi svolte nell’ambito della suddetta organizzazione in un senso conforme agli obiettivi della loro intesa, e non rileva che gli altri partecipanti erano stati informati dell’esistenza di quest’ultima. D’altro canto, si deve osservare che, in ogni caso, gli obiettivi che la Interbrew e la ricorrente hanno tentato di realizzare attraverso la CBB e le riunioni del gruppo di lavoro «Visione 2000», ossia la limitazione degli investimenti e della pubblicità sul mercato horeca e lo sviluppo di una nuova struttura tariffaria, rappresentavano soltanto un aspetto limitato dell’intesa, che comprendeva altri elementi segreti, quali un patto generale di non aggressione, un accordo sui prezzi e le promozioni nel settore alimentare, nonché uno scambio di informazioni sulle vendite. Pertanto, il fatto che si siano svolte le riunioni del gruppo di lavoro «Visione 2000» non consente di concludere che l’intesa non fosse segreta.

178    Per quanto riguarda poi la riunione del 28 gennaio 1993 (v. precedenti punti 126 e 131), si deve rilevare che, sebbene il resoconto di tale riunione, redatto da un rappresentante della Interbrew, riguardi effettivamente un «incontro dei distributori di birra» e riporti il contenuto di un’intesa volta ad aumentare i prezzi e ad imporre prezzi minimi per la birra venduta attraverso determinati canali di distribuzione, da detto resoconto non può assolutamente evincersi che gli elementi anticoncorrenziali siano stati portati, in quanto tali, a conoscenza dei distributori di birra durante la riunione del 28 gennaio 1993. Tali elementi, anche se confermano che esisteva uno stretto coordinamento tra la politica commerciale della Alken-Maes e quella della Interbrew, non consentono invece di concludere che i distributori di birra fossero stati informati circa l’esistenza dell’intesa.

179    Quanto alla lettera del 4 agosto 1997 inviata alla Alken-Maes dalla federazione dei distributori, è giocoforza constatare ch’essa si limita a denunciare la politica di distribuzione della Alken-Maes, in quanto essa avrebbe compromesso il futuro dei distributori indipendenti. La lettera in questione, pertanto, non consente affatto di concludere che i distributori di birra fossero a conoscenza dell’intesa.

180    Occorre quindi respingere l’argomento secondo cui l’intesa constatata dalla decisione impugnata non avrebbe avuto carattere di segretezza.

181    Pertanto, la Commissione, nell’ambito della sua missione, quale definita dalla giurisprudenza citata ai precedenti punti 134 e 135 e nel rispetto del quadro giuridico definito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, poteva tenere conto dei suddetti elementi ai fini del giudizio relativo all’esigenza di effetto dissuasivo.

182    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui la presa in considerazione di un obiettivo di dissuasione diverrebbe superfluo qualora l’intervento della Commissione abbia posto fine all’infrazione, esso va respinto sottolineando che la ricerca di un effetto dissuasivo è volta a orientare il comportamento futuro dell’impresa e che il fatto che un’impresa ponga fine a un comportamento illecito dopo che esso è stato rilevato dalla Commissione, posto che tale iniziativa costituisce il risultato di una coercizione oggettiva, non basta per concludere che l’impresa in questione sarà effettivamente dissuasa dal reiterare in futuro tale comportamento.

183    Vanno quindi disattesi tutti gli argomenti relativi alla determinazione errata del livello dissuasivo dell’ammenda in violazione del principio di proporzionalità.

 Sulla presa in considerazione delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici di cui dispongono in generale le grandi imprese

184    Risulta dalla giurisprudenza che il principio del ne bis in idem, sancito anche dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, costituisce un principio generale del diritto comunitario di cui il giudice garantisce il rispetto (sentenze della Corte 5 maggio 1966, cause riunite 18/65 e 35/65, Gutmann/Commissione, Racc. pag. 142, in particolare pag. 163, e 14 dicembre 1972, causa 7/72, Boehringer/Commissione, Racc. pag. 1281, punto 3; sentenza PVC II, citata al precedente punto 154, punto 96, confermata su questo punto dalla sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, citata al precedente punto 97, punto 59).

185    Nell’ambito del diritto comunitario della concorrenza, il detto principio vieta che un’impresa venga condannata o perseguita di nuovo dalla Commissione per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione della Commissione non più impugnabile. L’applicazione del principio del ne bis in idem è soggetta ad una triplice condizione di identità dei fatti, di unità del contravventore e di unità dell’interesse giuridico tutelato (sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 338).

186    Nella fattispecie, occorre constatare che, al punto 306 della decisione impugnata, la Commissione ha dedotto, a sostegno di un aumento del livello dell’ammenda da infliggere alla ricorrente, il fatto che quest’ultima disponeva di conoscenze e di mezzi giuridici ed economici per poter facilmente discernere il carattere trasgressivo del proprio comportamento e per rendersi conto delle conseguenze che potevano derivarne dal punto di vista delle regole di concorrenza. Peraltro, al punto 314 della decisione impugnata, la Commissione ha fatto valere, a sostegno di un aumento dell’ammenda da infliggere alla ricorrente, il fatto che quest’ultima era già stata condannata a due riprese per violazione dell’art. 81 CE.

187    A tale proposito, è giocoforza constatare, anzitutto, che le condizioni di applicazione del principio del ne bis in idem quale è stato definito dalla giurisprudenza in materia di concorrenza (v. precedente punto 185), nella fattispecie non sono soddisfatte, in quanto la Commissione, ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, si è limitata a svolgere considerazioni di fatto, ossia, da un lato, che la ricorrente, viste le sue conoscenze e dati i mezzi giuridici ed economici di cui disponeva, era in grado di rendersi conto del carattere trasgressivo del suo comportamento e delle sue conseguenze e, dall’altro, che essa era già stata condannata a due riprese per violazione dell’art. 81 CE. In ogni caso, la Commissione ha proceduto, ai punti 306 e 314 della decisione impugnata, a un aumento del livello dell’ammenda in base a considerazioni diverse. Pertanto, il quarto capo del motivo va disatteso.

 Sull’adeguatezza dell’importo di base specifico alla luce delle circostanze invocate dalla ricorrente

188    In subordine, la ricorrente sostiene che, quand’anche la Commissione non avesse violato il principio della parità di trattamento qualificando molto grave l’infrazione, nondimeno si dovrebbe ridurre l’ammenda in considerazione della modestissima incidenza dell’infrazione sul mercato comunitario e dello scarso volume di vendita dei prodotti oggetto dell’intesa.

189    Si deve ricordare che, conformemente al metodo definito negli orientamenti (v. precedenti punti 139-143), la Commissione ha anzitutto preso quale punto di partenza, ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, un importo di base generale determinato in base alla gravità dell’infrazione, che ha successivamente ponderato detto importo in funzione, in primo luogo, dell’effettiva capacità delle imprese in questione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, in secondo luogo, dell’esigenza di determinare l’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo e, in terzo luogo, dell’esigenza di tenere conto del fatto che le imprese di grandi dimensioni dispongono quasi sempre di conoscenze e di infrastrutture giuridico-economiche che consentono loro di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento e delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo del diritto della concorrenza.

190    Ai precedenti punti 133-187 si è rilevato che la Commissione, qualificando molto grave l’infrazione, da un lato, e procedendo agli adeguamenti successivi sopra menzionati, dall’altro, non ha violato nessuno dei principi invocati dalla ricorrente. D’altro canto, è importante rilevare che, in relazione alle infrazioni molto gravi, gli orientamenti prevedono ammende d’importo superiore ai 20 milioni di EUR.

191    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui l’importo di base specifico applicato era comunque sproporzionato, dato che i prodotti oggetto dell’intesa rappresentavano meno del 2,5% del consumo totale di tali prodotti nell’Unione europea, si deve rilevare che la gravità di un’infrazione non può dipendere unicamente né dalla sua estensione geografica né dalla percentuale che le vendite oggetto dell’infrazione rappresentano rispetto alle vendite realizzate nell’intera Unione europea. Infatti, a prescindere dai suddetti criteri, anche il valore assoluto delle vendite di cui trattasi costituisce un indice pertinente della gravità dell’infrazione, in quanto rispecchia fedelmente l’importanza economica delle operazioni che l’infrazione mira a sottrarre al normale gioco della concorrenza. Orbene, nella fattispecie è pacifico che il valore delle vendite in questione poteva essere stimato a circa 1 200 milioni di EUR, il che denota una considerevole importanza economica del settore. Di conseguenza, l’importo di base specifico di 25 milioni di EUR applicato nei confronti della ricorrente non può essere considerato eccessivo.

192    Quanto al riferimento alla prassi seguita dalla Commissione nella decisione Tubi d’acciaio senza saldatura, è sufficiente constatare che, alla luce della giurisprudenza citata al precedente punto 153, detta prassi risulta irrilevante.

193    Occorre peraltro rilevare che la Commissione ha tenuto conto, nella detta decisione, del fatto che il tipo di tubi senza saldatura oggetto dell’infrazione rappresentava solo il 19% di tutti i tubi senza saldatura utilizzati dall’industria petrolifera e del gas, per cui l’impatto dell’infrazione era limitata, dal momento che l’industria poteva fare ricorso ad altri prodotti non rientranti nell’accordo. Orbene, nella fattispecie ora in esame, l’infrazione riguardava una percentuale molto più importante della birra consumata in Belgio, dato che la Commissione ha precisato, al punto 4 della decisione impugnata, senza essere contraddetta su questo punto, che, nel 1998, le imprese partecipanti al cartello hanno prodotto circa il 70% del volume totale di birra venduto in Belgio.

194    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve respingere l’argomento della ricorrente relativo alla presunta inadeguatezza dell’importo dell’ammenda inflitta.

195    Il motivo va quindi respinto nella sua interezza.

2.     Sul motivo concernente l’erronea valutazione della durata dell’infrazione

a)     Argomenti delle parti

196    Pur affermando di non contestare la sostanza dei fatti posti a suo carico, la ricorrente sostiene che la Commissione ha attribuito una valenza errata ad alcuni elementi al fine di determinare la durata dell’infrazione. La Commissione farebbe riferimento in particolare a un contatto telefonico e a due riunioni tra la ricorrente e la Interbrew, successivi al luglio 1996 e intervallati da vari mesi, invocati a sostegno della conclusione secondo cui l’infrazione si è protratta fino al 28 gennaio 1998. Mediante tali riferimenti, la Commissione non avrebbe dimostrato che l’infrazione si è protratta dopo il mese di luglio 1996. Pertanto, si dovrebbe ammettere che il comportamento contestato non è durato più di tre anni e sei mesi, il che giustificherebbe un aumento dell’importo di base specifico dell’ammenda di gran lunga inferiore al 45%. Di conseguenza, il Tribunale, conformemente alla sua giurisprudenza, dovrebbe ridurre l’ammenda inflitta alla ricorrente in considerazione della reale durata dell’infrazione.

197    Per quanto riguarda, in primo luogo, il contatto telefonico del 9 dicembre 1996 tra la Interbrew e la ricorrente, quest’ultima rileva che, contrariamente a quanto lascia presumere il riferimento della Commissione ad altri documenti del fascicolo, le note manoscritte redatte dal responsabile del controllo di gestione della Alken-Maes, il signor L. B., recanti la data del 27 novembre 1996, costituiscono l’unico documento sul quale la Commissione fonda le proprie conclusioni.

198    La ricorrente non nega che tali note manoscritte sono state redatte nel corso di una riunione interna svoltasi nel novembre 1996, il cui oggetto, a suo dire, era l’analisi delle nuove tariffe applicate dalla Interbrew dopo che la Alken-Maes era riuscita, tramite suoi clienti, a fare in modo che la Interbrew applicasse nuove condizioni generali di vendita. La ricorrente contesta invece l’interpretazione data dalla Commissione a tre serie di annotazioni sovrapposte alle suddette note, tutte recanti la data «9/12/96» e contenenti chiaramente risposte a tre domande formulate nelle note originarie, relative a punti non ancora chiariti della politica tariffaria della Interbrew. La Commissione avrebbe erroneamente concluso che a tale proposito si dovesse chiedere il parere del signor A. B. della Interbrew, cosa che sarebbe stata fatta il 9 dicembre 1996, e che la Interbrew ha dato una risposta positiva e due negative. Secondo la ricorrente, gli altri elementi del fascicolo menzionati nella decisione impugnata non consentono di confermare tale interpretazione. Le annotazioni apportate sulle note del 27 novembre 1996 potrebbero aver tratto origine da una verifica indipendente da qualsiasi contatto diretto con la Interbrew, effettuata, ad esempio, presso distributori, che avrebbero semplicemente riportato l’interpretazione loro fornita dal signor A. B. Orbene, nella sua qualità di distributore parziale dei prodotti della Interbrew, sarebbe stato normale che la Alken‑Maes tentasse di comprendere il nuovo sistema tariffario della Interbrew, trattandosi di condizioni logistiche. Pertanto, il documento in questione non sarebbe sufficiente per confermare la tesi sostenuta dalla Commissione.

199    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la riunione del 17 aprile 1997, la ricorrente fa valere che tale incontro non costituisce una prova dell’intesa relativa al mercato belga, in quanto avrebbe avuto per oggetto, stando alla dichiarazione del signor J. D. della Interbrew, citata al punto 96 della decisione impugnata, le sinergie potenziali tra i due gruppi e l’aumento di redditività delle imprese, nel caso in cui la Interbrew avesse acquistato la Alken-Maes, controllata della ricorrente.

200    La ricorrente contesta l’interpretazione della Commissione secondo cui dalla suddetta dichiarazione del signor J. D. emerge il carattere anticoncorrenziale della riunione di cui trattasi. Detta dichiarazione conterrebbe un riassunto di tutti i contatti avvenuti tra la Interbrew e la Alken-Maes. Per quanto riguarda in particolare la riunione del 17 aprile 1997, il signor J. D. annoterebbe soltanto che i partecipanti alla riunione hanno effettuato un’analisi riga per riga del bilancio di esercizio della Alken-Maes, procedura obbligata in qualsiasi trattativa concernente l’eventuale cessione di un’impresa. Quanto ai cinque punti menzionati nel documento, sarebbero tutti elementi che influiscono sul bilancio d’esercizio della Alken-Maes o sulla relativa modalità di analisi.

201    La ricorrente contesta anche la conclusione della Commissione secondo cui la presenza alla suddetta riunione del signor R. V., dirigente della Alken-Maes, è poco plausibile se si trattava di una discussione sulla cessione della Alken-Maes, dato il carattere per lui potenzialmente sfavorevole di tale operazione. Secondo la ricorrente, tale presenza non sarebbe affatto anormale, soprattutto se il dirigente in questione intendeva mantenere un ruolo all’interno della società. Inoltre, tale presenza sarebbe stata giustificata in quanto la Interbrew intendeva realizzare un’acquisizione mediante «management buy out» – tecnica che implica un ruolo importante della direzione in carica – come dimostrerebbero due dichiarazioni allegate al fascicolo, ossia le dichiarazioni del signor C. e del signor T.

202    Per quanto riguarda, in terzo luogo, la riunione del 28 gennaio 1998, cui hanno partecipato in particolare il signor A. D. della Interbrew e il signor N. V. della Alken-Maes, la ricorrente fa valere che la discussione riguardava essenzialmente i precedenti rapporti. La ricorrente osserva inoltre che, secondo il rappresentante della Interbrew, il rappresentante della Alken-Maes non era al corrente di tali avvenimenti.

203    Secondo la ricorrente, nessun elemento conferma la tesi della Commissione relativa alla portata delle note manoscritte del signor A. D. recanti la data del 28 gennaio 1998, vale a dire che queste ultime dimostrano l’esistenza del cartello alla suddetta data. In particolare, nulla consentirebbe di concludere che il contenuto delle note in questione possa essere attribuito alle due parti, come farebbe erroneamente la Commissione, secondo cui le note del signor A. D. fanno riferimento a una presunta conversazione, mentre esse potrebbero soltanto riportare il punto di vista della Interbrew. Nella fattispecie, sarebbe sorprendente che il rappresentante della Alken-Maes potesse descrivere con precisione gli accordi conclusi nel 1994, di cui non era al corrente. Inoltre, nella decisione impugnata non si contesterebbe che la riunione del 28 gennaio 1998 non ha avuto alcun seguito. Ne discenderebbe quindi che le note controverse non dimostrano l’esistenza o l’avvenuta attuazione di un accordo o di una pratica concordata alla data indicata, ma costituiscono soltanto la prova del fatto che la Interbrew valutava positivamente l’intesa conclusa nel 1994 e intendeva rinnovarla.

204    La ricorrente conclude pertanto che il comportamento contestato non si è protratto per più di tre anni e sei mesi e che, di conseguenza, occorre ridurre la maggiorazione dell’ammenda applicata in funzione della durata.

205    La Commissione evidenzia anzitutto che la ricorrente, sostenendo che l’intesa è terminata nel luglio 1996, ne contesta la durata, pur affermando di non rimettere in discussione la sostanza dei fatti. Inoltre, la Commissione avrebbe dimostrato sufficientemente l’esistenza di contatti anticoncorrenziali tra la ricorrente e la Interbrew fino al 28 gennaio 1998. Infine, poiché la ricorrente non ha pubblicamente preso le distanze dalle riunioni il cui oggetto anticoncorrenziale sarebbe accertato e cui essa ammette di avere preso parte, sarebbe comunque provata la sua responsabilità fino al 28 gennaio 1998.

b)     Giudizio del Tribunale

206    Conformemente all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la durata dell’infrazione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alle imprese responsabili di violazioni delle regole di concorrenza.

207    Gli orientamenti distinguono tra le infrazioni di breve durata (in generale per periodi inferiori a un anno), per le quali l’importo di base applicato in considerazione della gravità non dovrebbe essere maggiorato, le infrazioni di media durata (in generale per periodi da uno a cinque anni), per le quali il detto importo può essere maggiorato del 50%, e le infrazioni di lunga durata (in generale per periodi superiori a cinque anni), per le quali l’importo in questione può essere maggiorato del 10% per ciascun anno (punto 1 B, primo capoverso, primo-terzo trattino).

208    Al punto 281 della decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato di disporre di elementi di prova relativi al cartello Interbrew/Alken-Maes per il periodo che va almeno dal 28 gennaio 1993 al 28 gennaio 1998. Essa ha osservato che «[i]n data 28 gennaio 1993 viene fatto un resoconto di una prima riunione con un chiaro obiettivo anticoncorrenziale» e che «[i]l 28 gennaio 1998 ha avuto luogo, nell’ambito del cartello, l’ultima riunione su cui la Commissione abbia prove documentali». La Commissione ha concluso che «[l]a durata dell’infrazione è quindi di cinque anni e un giorno». Tale conclusione è stata ripresa nel dispositivo della decisione impugnata, in cui la Commissione ha dichiarato che l’infrazione è durata «dal 28 gennaio 1993 al 28 gennaio 1998».

209    Al punto 282 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che la durata dell’infrazione era contestata dalla ricorrente e che quest’ultima sosteneva che i colloqui tra la Alken-Maes e la Interbrew sono cominciati solo il 12 ottobre 1994 e sono terminati nel luglio 1996. Tuttavia, la Commissione ha respinto tale argomento considerando che la durata dell’infrazione era sufficientemente dimostrata.

210    Nell’ambito del presente motivo, l’argomento svolto dalla ricorrente riguarda nuovamente il fatto che la Commissione non avrebbe determinato in modo corretto la durata dell’infrazione. La ricorrente contesta la maggiorazione dell’ammenda solo in quanto l’infrazione, a suo parere, non si sarebbe protratta oltre il luglio 1996.

211    D’altro canto, occorre constatare che la ricorrente non chiede espressamente l’annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata, che definisce la durata della sua partecipazione al cartello. Infatti, la ricorrente ha dedotto il motivo concernente la durata dell’infrazione solo in via subordinata, a sostegno di una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflittale.

212    Nondimeno, nella fattispecie risulta dalle memorie della ricorrente che essa contesta, in sostanza, la legittimità della decisione impugnata nella parte in cui constata, come precisato all’art. 1 del dispositivo, che l’infrazione è durata dal 28 gennaio 1993 al 28 gennaio 1998. Infatti, nell’atto introduttivo, la ricorrente ha affermato che «la decisione [impugnata] è infondata nella parte in cui constata che l’infrazione è durata dal 28 gennaio 1993 al 28 gennaio 1998» e che la Commissione «non [ha dimostrato] (…) sufficientemente che l’infrazione si sia protratta oltre il luglio 1996». Nella memoria di replica, la ricorrente ha inoltre affermato che «la lettura corretta del fascicolo avrebbe dovuto (…) indurre [la Commissione] a constatare che il comportamento costituente infrazione ha avuto una durata inferiore e a trarne le conseguenze sotto il profilo dell’importo dell’ammenda». D’altro canto, è pacifico che la ricorrente ha contestato la durata dell’infrazione durante il procedimento amministrativo, in particolare nella risposta alla comunicazione degli addebiti, come si rileva al successivo punto 512.

213    Alla luce di quanto precede, si deve quindi considerare che, con il presente motivo concernente la durata dell’infrazione, la ricorrente mira non solo alla riduzione dell’ammenda, ma anche all’annullamento parziale della decisione impugnata e in particolare dell’art. 1 del dispositivo della medesima, nella parte in cui la Commissione constaterebbe erroneamente che l’infrazione si è protratta fino al 28 gennaio 1998.

214    Pertanto, nell’ambito del presente motivo, occorre accertare se la Commissione abbia dimostrato sufficientemente, sul fondamento degli elementi di fatto invocati, che l’infrazione si è protratta fino al 28 gennaio 1998.

215    A tale proposito si deve ricordare che, sotto il profilo dell’onere della prova relativa a una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (sentenze della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 58, e 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 86). L’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si constata un’infrazione. Il giudice pertanto non può concludere che la Commissione ha dimostrato sufficientemente l’esistenza dell’infrazione di cui è causa se nutre ancora dubbi al riguardo, soprattutto nel contesto di un ricorso volto all’annullamento di una decisione con cui viene inflitta un’ammenda.

216    In tale ambito, infatti, occorre tener conto del principio della presunzione d’innocenza, quale risulta in particolare dall’art. 6, n. 2, della CEDU, facente parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dal preambolo dell’Atto unico europeo e dall’art. 6, n. 2, del Trattato sull’Unione europea, nonché dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea adottata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1), sono oggetto di tutela nell’ordinamento giuridico comunitario. Considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi, nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica segnatamente alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (v. sentenze della Corte 8 luglio 1999, causa, C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punti 149 e 150, e causa C‑235/92 P, Montecatini/Commissione, Racc. pag. I‑4539, punti 175 e 176).

217    Pertanto, è necessario che la Commissione produca prove precise e concordanti per corroborare la ferma convinzione che l’infrazione abbia avuto luogo (v. sentenza Volkswagen/Commissione, citata al precedente punto 99, punti 43 e 72, e giurisprudenza ivi citata).

218    Tuttavia, occorre sottolineare che ciascuna delle prove prodotte dalla Commissione non deve necessariamente rispondere a tali criteri in relazione a ciascun elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocati dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v., in tal senso, sentenza PVC II, citata al precedente punto 154, punti 768-778, in particolare punto 777, confermata su questo punto dalla Corte, in seguito a impugnazione, nella sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, citata al precedente punto 97, punti 513‑523).

 Sul contatto telefonico del 9 dicembre1996

219    Per quanto riguarda il presunto contatto telefonico configurante infrazione del 9 dicembre 1996, si deve constatare anzitutto come la Commissione affermi, al punto 91 della decisione impugnata, che «[a] seguito dell’incontro del 19 settembre [1996], il responsabile del controllo di gestione di Alken‑Maes ha contattato telefonicamente, in data 9 dicembre 1996, il direttore del settore food di Interbrew per sottoporgli alcuni quesiti di Alken‑Maes in merito allo studio sul sistema tariffario». A sostegno di questa conclusione, la Commissione fa riferimento all’ultima pagina di un documento che costituisce l’allegato 42 della lettera della Alken‑Maes alla Commissione del 7 marzo 2000 (v. precedente punto 72), ripreso a pag. 8513 del suo fascicolo. È pacifico tra le parti che il detto documento contiene note manoscritte redatte dal signor L. B. della Alken‑Maes il 27 novembre 1996, durante una riunione interna avente ad oggetto l’analisi del nuovo sistema tariffario della Interbrew, e che l’autore ha apportato su tale documento ulteriori annotazioni, contenenti risposte a quesiti che egli aveva formulato in un primo tempo nelle sue note.

220    Dopo essere stata invitata dal Tribunale, a mezzo di quesito scritto, a precisare gli elementi che l’hanno indotta a concludere, al punto 91 della decisione impugnata, che il 9 dicembre 1996 aveva avuto luogo un contatto telefonico tra il signor L. B. (Alken‑Maes) e il signor A. B. (Interbrew), avente ad oggetto il sistema tariffario della Interbrew, la Commissione ha anzitutto affermato che il contesto della riunione interna del 27 novembre 1996, durante la quale sono state redatte le note manoscritte, è costituito da una riunione svoltasi il 29 luglio 1996 tra la Interbrew e la Alken‑Maes, in cui sono state discusse in modo approfondito le intenzioni della Interbrew per quanto riguarda la componente logistica della sua politica commerciale, quale doveva essere modificata e applicata con l’entrata in vigore del nuovo sistema tariffario a partire dal 1° gennaio 1997.

221    La Commissione ha dichiarato di avere dedotto dall’esame delle note redatte il 27 novembre 1996, che contenevano sei trattini seguiti da un testo manoscritto di una o due righe contenenti ciascuna un punto interrogativo, che le dette note contenevano domande che il signor L. B. (Alken‑Maes) si è posto alla suddetta data in merito al sistema tariffario della Interbrew e che le annotazioni aggiunte successivamente sul documento menzionavano sia il contesto in cui andava cercata la risposta, sia la risposta stessa ai suddetti quesiti. Nella fattispecie, le annotazioni che costituivano le risposte a determinati quesiti consentirebbero di dimostrare che tali risposte sono state fornite dalla Interbrew in data 9 dicembre 1996.

222    Tenuto conto del fatto che la ricorrente contesta formalmente tale interpretazione, occorre esaminare in quale misura tali note aggiuntive risultino e costituiscano quindi la prova di un contatto anticoncorrenziale tra la Alken-Maes e la Interbrew.

223    A tale proposito si deve rilevare che il documento, recante la data del 27 novembre 1996 e intitolato «Tariefstudie» presenta, nell’ultima pagina, un elenco di sei domande relative al sistema tariffario della Alken-Maes.

224    Ora, sembra che ciascuna delle sei domande formulate richiedesse, secondo l’autore delle note iniziali, una risposta che era ancora in sospeso alla data in cui le note sono state redatte. Infatti, dal documento sembra emergere che, in relazione a ciascuna delle sei domande, erano stati presi provvedimenti al fine di trovare una risposta. Così, la prima domanda e la sesta, che riguardano aspetti giuridici, rinviano esplicitamente a una persona indicata come «[P. V. D.]» e si riferiscono con ogni probabilità al consulente legale della Alken-Maes dell’epoca. Del pari, la terza domanda invita ad effettuare una verifica presso i clienti tramite i distributori (checken bij klanten via distributie).

225    Per quanto riguarda la seconda, quarta e quinta domanda, di fianco alle quali sono state successivamente apportate le tre annotazioni in esame, è importante rilevare che la seconda domanda inizia con le parole «check IB», in cui «IB» significa evidentemente Interbrew. Orbene, proprio a fianco di questa seconda domanda è stata successivamente inserita la nota manoscritta «Ja, volgen [il signor A. B.] (IB) 9/12/96». Tale annotazione sembra indicare che, conformemente al provvedimento adottato per ottenere una risposta a tale domanda, il signor L. B. (Alken-Maes) ha contattato la Interbrew, in data 9 dicembre 1996, nella persona del signor A. B., che ha dato una risposta affermativa. Si devono quindi interpretare nello stesso senso le altre due aggiunte manoscritte recanti la data del 9 dicembre 1996.

226    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui è plausibile che le risposte menzionate siano state ottenute presso distributori, si deve constatare che tale tesi è contraddetta dal fatto che le note relative alla terza domanda invitano specificamente a cercare una risposta presso i clienti e i distributori e che di fianco a questa terza domanda non è stata aggiunta una nota analoga a quelle che compaiono in relazione alla seconda, quarta e quinta domanda.

227    È quindi dimostrato che le risposte apportate, da un lato, alla terza domanda e, dall’altro, alla seconda, quarta e quinta domanda sono state ottenute attraverso i canali d’informazione menzionati. In tale contesto, il fatto che la terza questione dovesse essere chiarita dai clienti e che la formulazione del secondo quesito inviti esplicitamente ad effettuare una verifica presso la Interbrew conferma che si prevedeva di contattare quest’ultima al fine di ottenere la risposta a determinati interrogativi. Inoltre, il fatto che tre frasi costituenti risposte alle domande rechino tutte la data del 9 dicembre 1996 e che una di esse menzioni esplicitamente la Interbrew e uno dei suoi rappresentanti consente di confermare al di là di qualsiasi ragionevole dubbio che il 9 dicembre 1996 ha effettivamente avuto luogo un contatto anticoncorrenziale, telefonico o meno.

228    Pertanto, si deve concludere che è stata fornita la prova di un contatto configurante infrazione avvenuto il 9 dicembre 1996.

 Sulla riunione del 17 aprile 1997

229    Per quanto riguarda la riunione asseritamene illecita del 17 aprile 1997, la Commissione afferma, al punto 95 della decisione impugnata, che dirigenti della Interbrew, della ricorrente e della Alken-Maes si sono incontrati a Parigi il 17 aprile 1997. La ricorrente non nega che tale incontro abbia avuto luogo.

230    La Commissione riporta inoltre, al punto 96 della decisione impugnata, la dichiarazione del direttore generale della Interbrew dell’epoca, il signor. J. D., relativa al contenuto di tale riunione e ne desume, al punto 284, che la riunione di cui trattasi ha avuto ad oggetto la concertazione del comportamento sul mercato della Interbrew e della ricorrente, il che è formalmente contestato da quest’ultima.

231    A tale proposito occorre rilevare, in limine, che la ricorrente non contesta il carattere probatorio della dichiarazione della Interbrew, in quanto essa consisterebbe unicamente in una dichiarazione unilaterale di un’impresa, ma solo il fatto che il resoconto della riunione dimostri che essa ha avuto un oggetto anticoncorrenziale.

232    Il passaggio della dichiarazione della Interbrew relativa alla riunione del 17 aprile 1997 è redatto come segue:

«Si sono avute riunioni tra i vertici con Kronenbourg, cui io non ho partecipato. Dopo tali incontri ad alto livello si tenevano “riunioni in cui venivano impartite istruzioni” cui partecipavamo tutti (i direttori generali e i direttori dei settori food e horeca).

(…)

La riunione del [17 aprile 1997] non è che una delle riunioni aventi il predetto scopo, organizzate con [la ricorrente] (per [la ricorrente] era presente il signor K.). Noi (direttori per il “Belgio” e la “Francia”, dovevamo rendere conto (individualmente) delle sinergie. In tale riunione abbiamo esaminato il conto profitti e perdite (P & L – Profit & Loss) riga per riga e studiato sistematicamente come ridurre i costi e incrementare la redditività. Le questioni affrontate erano: 1) produzione; 2) piattaforme comuni di distribuzione; 3) sconti sul prezzo prima o dopo l’applicazione delle accise (questa era una tematica trattata anche dalla CBB); 4) marketing e investimenti in campo pubblicitario (“share of voice”); 5) espansione del mercato della birra e metodi per incrementare il volume, basati sul successo ottenuto nel mercato delle acque in Francia.

Per quanto riguarda le realizzazioni concrete, le cose non sono andate male nel settore food; molto meglio che nel settore horeca, dove non è successo niente o quasi niente.

Nel settore food sono intervenuti accordi per quanto riguarda:

–        sconti attraverso promozioni destinate al consumatore (ad es. 5 + 1 gratis)

–        le questioni commerciali (ad es. valore dei tagliandi nelle iniziative promozionali)

–        la frequenza degli opuscoli pubblicitari (ad es. massimo 10 opuscoli da GIB per cestelli di birra)

(…)».

233    Si deve rilevare che il riferimento, nella detta dichiarazione, a un’analisi «riga per riga» del conto profitti e perdite non consente di stabilire con certezza se la detta dichiarazione si riferisca a un esame congiunto del bilancio della Kronenbourg/Alken-Maes o piuttosto a un’analisi parallela del conto profitti e perdite di quest’ultima, da un lato, e della Interbrew, dall’altro.

234    Occorre peraltro rilevare che, a prescindere dalle divergenze tra le spiegazioni fornite dalle parti in risposta a un quesito scritto del Tribunale, dal passaggio della dichiarazione relativo alla riunione del 17 aprile 1997 emerge che quest’ultima ha avuto, al di là di qualsiasi ragionevole dubbio, carattere di infrazione.

235    L’oggetto anticoncorrenziale della riunione emerge, in primo luogo, dalle specifiche tematiche trattate. Il semplice fatto che questioni quali la «produzione», gli «sconti sul prezzo» o il «marketing e [gli] investimenti in campo pubblicitario» siano stati oggetto di una concertazione tra i massimi dirigenti dei due principali concorrenti sul mercato della birra consente di concludere che la detta riunione ha avuto un oggetto anticoncorrenziale.

236    In secondo luogo, dall’estratto della dichiarazione della Interbrew riportato al punto 96 della decisione impugnata emerge chiaramente che la riunione del 17 aprile 1997 viene presentata come un esempio delle «riunioni in cui venivano impartite istruzioni» dirette a dare seguito ad altre riunioni di cartello ai vertici, per cui è indubbio che essa avesse carattere anticoncorrenziale.

237    In terzo luogo, e in tale contesto, l’impiego del termine «sinergie» nell’estratto della dichiarazione riprodotto al punto 96 indica che tale passaggio si riferisce genericamente ai risultati che i responsabili ai vertici del cartello si attendevano dalle «riunioni in cui venivano impartite istruzioni», di cui la riunione del 17 aprile 1997 viene citata a titolo di esempio, e non alla specifica questione dell’acquisizione della Kronenbourg/Alken‑Maes. Peraltro, come evidenzia giustamente la Commissione nella controreplica, il termine in questione viene precedentemente impiegato dall’autore della dichiarazione per designare non le discussioni sull’eventuale acquisizione della Kronenbourg/Alken‑Maes, bensì alcuni aspetti della collaborazione tra la Interbrew e la Alken‑Maes in Francia. Anche tali elementi confermano il carattere anticoncorrenziale della riunione del 17 aprile 1997.

238    In quarto luogo, come osserva la Commissione, occorre analizzare l’insieme degli elementi sopra menzionati alla luce di altre dichiarazioni rese dalla Alken‑Maes nel corso del procedimento amministrativo. Orbene, si deve rilevare che, nella risposta del 27 dicembre 1999 alla richiesta di informazioni della Commissione dell’11 novembre 1999, la Alken‑Maes ha dichiarato, chiedendo al contempo di beneficiare della comunicazione sulla cooperazione, che «si [erano] tenute molte riunioni tra collaboratori di Alken‑Maes, principalmente il signor R. V., all’epoca amministratore delegato, tra il 1992 e il 1998, e collaboratori della Interbrew, principalmente il signor T. e il signor J. D., durante le quali [erano] state oggetto di concertazione la distribuzione e la vendita della birra in Belgio».

239    Quanto all’argomento relativo alla presenza del signor R. V. alla riunione del 17 aprile, si deve ritenere che da tale presenza non si possa trarre alcuna conclusione in un senso o nell’altro e che il detto argomento vada quindi disatteso.

240    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve concludere che il carattere di infrazione della riunione del 17 aprile 1997 è stato dimostrato sufficientemente dalla Commissione.

 Sulla riunione del 28 gennaio 1998

241    Per quanto attiene al contenuto della riunione del 28 gennaio 1998, la cui esistenza non è contestata dalla ricorrente, l’importanza da attribuire alle note manoscritte del direttore commerciale per il Belgio della Interbrew, il signor A. D., dipende dalle conclusioni che si possono trarre da due elementi, vale a dire la natura del loro contenuto e il loro grado di attualità.

242    Per quanto riguarda, anzitutto, la natura del loro contenuto, il carattere omogeneo e strutturato delle note del rappresentante della Interbrew, il signor A. D., che non contengono cancellature, induce a concludere che si tratti non già del resoconto di una conversazione, bensì di un promemoria.

243    Per quanto riguarda poi il grado di attualità del contenuto delle note, risulta che un certo numero di elementi sia stato percepito come attuale dal loro autore. Ciò vale, ad esempio, per i primi due punti intitolati rispettivamente «organizzazione, concertazione» e «questioni all’ordine del giorno» che compaiono sotto la prima rubrica intitolata «Questioni». Del pari, la terza rubrica «Concertazione horeca» sembra riguardare l’organizzazione futura della concertazione di cui trattasi. Inoltre, la seconda rubrica, intitolata «Seguito 1.1.1994», fa riferimento agli «elementi realizzati» e non consente di escludere che tali realizzazioni, secondo l’autore, producessero ancora i loro effetti.

244    Posto che l’esistenza della riunione del 28 gennaio 1998 tra la Interbrew e la ricorrente non è contestata, occorre stabilire, come si è fatto per la riunione del 17 aprile 1997 (v. precedente punto 237), quale rilevanza occorra attribuire a tali note alla luce della risposta della Alken‑Maes del 27 dicembre 1999 alla richiesta di informazioni della Commissione dell’11 novembre 1999, secondo cui «si sono tenute molte riunioni tra collaboratori della Alken‑Maes, principalmente il signor R. V., all’epoca amministratore delegato, tra il 1992 e il 1998, e collaboratori della Interbrew, principalmente [il signor T.] e [il signor J. D.], durante le quali sono state oggetto di concertazione la distribuzione e la vendita della birra in Belgio». Tale dichiarazione costituisce di per sé un’ammissione, da parte della ricorrente, del fatto che si sono svolte riunioni anticoncorrenziali fino al 1998. Pertanto, il contenuto di tale dichiarazione consente di attribuire alle note manoscritte del signor A. D. la valenza di prova del carattere anticoncorrenziale della riunione del 28 gennaio 1998.

245    Si deve inoltre rilevare come dalla giurisprudenza emerga che, qualora sia dimostrato che un’impresa ha partecipato a riunioni tra imprese aventi carattere manifestamente anticoncorrenziale, incombe all’impresa in questione l’onere di dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni era priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando che essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipare alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro (sentenze Hüls/Commissione, citata al precedente punto 216, punto 155; Montecatini/Commissione, citata al precedente punto 216, punto 181, e Aalborg Portland e a./Commissione, citata al precedente punto 185, punto 81). In mancanza di siffatta prova di una presa di distanze, la partecipazione, ancorché passiva, a tali riunioni consente di considerare che l’impresa partecipi all’intesa che ne risulta (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, citata al precedente punto 185, punto 84, e sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 223). Inoltre, la circostanza che l’impresa in questione non si conformi ai risultati delle dette riunioni non è atta a escludere la piena responsabilità della medesima per la sua partecipazione all’intesa (sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, citata al precedente punto 185, punto 85; Mayr‑Melnhof/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 135, e Cemento, citata al precedente punto 31, punto 1389).

246    Nella fattispecie, è giocoforza constatare che la ricorrente non ha dedotto indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione, non contestata, alla riunione del 28 gennaio 1998 era priva di qualsiasi spirito anticoncorrenziale dimostrando, in particolare, che essa ha dichiarato al rappresentante della Interbrew di partecipare alla riunione in un’ottica diversa dalla sua.

247    Ne consegue che la Commissione ha dimostrato sufficientemente che l’infrazione di cui è causa si è protratta fino al 28 gennaio 1998.

248    Il motivo va quindi respinto.

3.     Sul motivo concernente l’infondatezza della circostanza aggravante applicata in considerazione delle pressioni esercitate sulla Interbrew

a)     Argomenti delle parti

249    Secondo la ricorrente, la Commissione, nel concludere che, nel corso della riunione dell’11 maggio 1994, essa ha esercitato sulla Interbrew pressioni che consistendo in una minaccia di eliminarla dal mercato francese qualora si fosse rifiutata di concederle una quota di vendita pari a 500 000 ettolitri sul mercato belga hanno determinato un ampliamento dell’intesa a partire da tale data, la Commissione fornirebbe un’interpretazione errata dei fatti in questione.

250    In primo luogo, benché sia vero che nel periodo precedente alla riunione dell’11 maggio 1994 i colloqui hanno riguardato essenzialmente i prezzi, l’introduzione di elementi aggiuntivi dopo il detto periodo, ossia il rispetto della clientela di ciascuna impresa e un nuovo sistema di tariffazione, non può essere interpretata come un ampliamento significativo dell’infrazione. In particolare, l’intenzione di rispettare le reciproche clientele sarebbe derivata unicamente dai problemi sollevati dall’inosservanza, da parte della Interbrew, degli accordi di esclusiva che legavano la Alken-Maes ad alcuni suoi clienti. Inoltre, potrebbero essere state messe all’ordine del giorno altre questioni, sia prima che dopo la riunione dell’11 maggio 1994, per cui sarebbe eccessivo qualificare gli argomenti discussi dalle parti quali l’ampliamento della cooperazione nel maggio 1994.

251    In secondo luogo, sebbene dopo il 1994 vi sia stata un’evoluzione dei rapporti verso un’intesa maggiormente strutturata, tale evoluzione avrebbe risposto agli interessi delle due parti, vale a dire, per quanto riguarda il sistema di tariffazione, a quelli della Interbrew in particolare, e nessun aspetto dell’intesa sarebbe stato sviluppato nell’interesse esclusivo della ricorrente.

252    Infatti, l’interesse della Interbrew a concludere un patto di non aggressione prima del maggio 1994 sarebbe dimostrato dalla sua preoccupazione che non venissero ridotti i prezzi sul mercato belga. Come ammetterebbe la Commissione nella decisione impugnata, la Interbrew avrebbe fortemente voluto una concertazione sui prezzi in Belgio al fine di sottrarsi alla politica aggressiva della ricorrente in tale materia, pur perseguendo una politica aggressiva in relazione agli accordi di esclusiva che legavano la Alken-Maes ad alcuni suoi clienti, e avrebbe voluto evitare le importazioni parallele a basso prezzo dalla Francia. Benché la Interbrew, data la sua potenza, fosse in grado di eliminare la Alken-Maes dal mercato mediante una guerra commerciale, la Interbrew si sarebbe fissata l’obiettivo di pacificare un mercato belga che essa dominava onde poter finanziare la propria espansione internazionale grazie agli utili realizzati in Belgio, in cui i prezzi erano superiori. Orbene, la Alken-Maes avrebbe opposto una concorrenza feroce, quanto meno inizialmente, a tale volontà di pacificazione, nel dichiarato intento di raggiungere la massima redditività. Pertanto, la Interbrew avrebbe avuto un interesse immediato a concludere un patto di non aggressione.

253    Inoltre, la Interbrew avrebbe avuto interesse ad accordarsi con la ricorrente per acquisirne l’intera divisione «birra». La sua intesa con la Alken-Maes si spiegherebbe quindi con l’intenzione di disporre di un partner con cui imporre al mercato una nuova struttura tariffaria. Inoltre, poiché rischiava una condanna per abuso di posizione dominante, la Interbrew avrebbe potuto essere interessata più ad accordarsi con la Alken-Maes che a eliminarla dal mercato.

254    D’altro canto, le presunte esitazioni della Interbrew prima del 1994, cui la Commissione farebbe riferimento nella decisione impugnata e nel controricorso, richiamandosi in particolare a una nota interna della Interbrew del marzo 1993, risulterebbero da un’errata interpretazione da parte della stessa Commissione della portata di tale documento. Benché l’estratto citato dalla Commissione faccia effettivamente riferimento a «riserve», il suo utilizzo sarebbe tuttavia tendenzioso, in quanto da tale documento emergerebbe non solo che le dette riserve riguardavano una censura fondata sull’art. 82 CE, ma altresì che il CEO di allora della Interbrew aveva costretto l’autore della nota in questione a discutere con la Alken‑Maes, il che proverebbe semmai una partecipazione volontaria e senza riserve all’intesa, decisa all’epoca dal massimo dirigente della Interbrew. Infine, la Commissione avrebbe omesso di rilevare che l’autore della nota che esprimeva riserve nel marzo 1993 è lo stesso che, sei mesi dopo, divenuto CEO della Interbrew, avrebbe assunto iniziative volte a obbligare la Alken‑Maes a cooperare per raggiungere il prezzo voluto dalla Interbrew.

255    La Commissione avrebbe anche ignorato il fatto che la Interbrew ha fissato obiettivi chiari per il cartello già nel 1994, come emergerebbe da vari punti della decisione impugnata, il che proverebbe il suo ruolo guida nell’intesa prima del 1994, anch’esso menzionato nella decisione impugnata. La designazione dell’intesa con un nome in codice da parte della Interbrew confermerebbe inoltre il suo approccio strutturato alle pratiche in questione. Infine, anche la dichiarazione dell’ex amministratore delegato della Alken-Maes, secondo cui la grande maggioranza dei dirigenti della Interbrew voleva raggiungere un’intesa prima del 1994, dimostrerebbe che le presunte esitazioni della Interbrew non sussistevano.

256    In terzo luogo, sebbene la ricorrente riconosca, da un lato, di aver effettivamente messo in guardia la Interbrew, durante la riunione dell’11 maggio 1994, in relazione alla sua complicità nella violazione dei suoi contratti di distribuzione in Francia, essa tuttavia non avrebbe vigilato sul rispetto scrupoloso di tali contratti e pertanto non avrebbe esercitato alcuna pressione. La tesi della minaccia rivolta alla Interbrew sarebbe peraltro contraddetta, nella decisione impugnata, dalla constatazione che la Interbrew non avrebbe prestato attenzione alla richiesta della ricorrente di trasferire 500 000 ettolitri alla Alken-Maes.

257    D’altro canto, l’asimmetria dei rapporti di forza tra la ricorrente e la Interbrew rispettivamente in Francia e in Belgio sarebbe stata molto evidente. Poiché non deteneva una posizione dominante in Francia, la ricorrente, in ogni caso, non sarebbe stata in grado di eliminare la Interbrew da tale territorio. I punti di vendita oggetto di accordi di distribuzione conclusi con la ricorrente rappresentavano solo il 16% degli sbocchi in Francia, per cui sarebbe manifestamente infondata la tesi secondo cui la Interbrew poteva considerare credibile un rischio di eliminazione. Inoltre, le eventuali conseguenze di un’applicazione rigorosa, da parte della ricorrente, dei suoi contratti di distribuzione in Francia sarebbero state sproporzionate rispetto al rischio corso dalla controllata della ricorrente in Belgio, tenuto conto della reale influenza del peso della Interbrew in tale paese. Pertanto, vi sarebbe una palese sproporzione tra la presunta esistenza di una minaccia che non avrebbe potuto essere messa in pratica e la maggiorazione dell’importo dell’ammenda effettuata in funzione di tale circostanza.

258    Inoltre, mentre avrebbe attribuito rilevanza all’avvertimento rivolto alla Interbrew, che secondo la ricorrente riguardava solo il ricorso a mezzi legali – nella fattispecie non utilizzati – per far cessare la complicità della Interbrew nella violazione dei suoi contratti in Francia, la Commissione avrebbe trascurato le minacce e le ritorsioni poste in essere dalla Interbrew contro la Alken‑Maes durante l’intero periodo. Infatti, la reazione sproporzionata della Interbrew alla politica commerciale aggressiva della Alken‑Maes nel 1994, la disinvoltura con cui essa tentava di convincere la Alken‑Maes a seguire la sua politica di aumento dei prezzi nel 1993 o gli attacchi portati dalla Interbrew sui pubblici esercizi legati alla Alken‑Maes che quest’ultima subiva sarebbero altrettante prove della costante aggressione di cui la ricorrente sarebbe stata oggetto da parte della Interbrew, impresa dominante che avrebbe «terrorizzato il mercato» ed era infatti in procinto di eliminare la Alken-Maes.

259    Quanto alla soddisfazione, espressa dalla Interbrew nel gennaio 1998 per i risultati dell’accordo, che emergerebbe dalle note redatte dal suo direttore commerciale per il Belgio, essa non si concilierebbe con la tesi di una minaccia rivolta dalla Alken-Maes alla stessa Interbrew.

260    In quarto e ultimo luogo, la ricorrente sostiene che, in ogni caso, non è stata fornita la prova della sua presunta minaccia. Tutte le dichiarazioni della Interbrew sarebbero state rese nel 2000 e comunicate alla Commissione in una fase avanzata della procedura d’indagine. Esse sarebbero funzionali alla strategia difensiva della Interbrew e pertanto non potrebbero essere considerate dalla Commissione quali elementi probanti. Quanto all’unico documento proveniente da terzi e utilizzato a sostegno della tesi della Commissione, ossia il documento Heineken, neanch’esso costituirebbe una prova valida.

261    Tale documento, poiché riporta dichiarazioni della Interbrew, non costituirebbe una constatazione indipendente della presunta coercizione. Inoltre, non essendo noti né l’autore né la data, si dovrebbe dubitare della veridicità del suo contenuto, tanto più che sarebbe impossibile stabilire se il documento sia stato redatto da un responsabile della Heineken o da uno della Interbrew. Inoltre sarebbe difficile determinarne la natura e il suo contenuto sarebbe sibillino. Infatti, il documento non costituirebbe né una lettera né un appunto, ma piuttosto l’estratto di un elenco nel quale figurerebbe il nome, ortograficamente errato, di un dirigente della Interbrew in carica negli anni ‘90 (il signor C.) e in relazione al quale comparirebbero tre pezzi di frase corredati di trattini, che sembrerebbero far parte di un elenco. Il secondo trattino sarebbe seguito dalle seguenti parole, scritte in olandese: «tre anni fa [il signor K.] ha messo la Interbrew dinanzi alla scelta: o [dare] 500 000 [ettolitri] supplementari [alla Maes] o essere messi fuori mercato in Francia». Orbene, il termine «dare» non risulterebbe dal testo olandese e le parole «ad Alken‑Maes» sarebbero state aggiunte a mano. Sarebbe quindi impossibile attribuire un senso chiaro alle quattro righe, isolate dal loro contesto, che costituiscono il documento Heineken. Poiché la Commissione non ha cercato di ottenere maggiori informazioni sul documento Heineken e sul significato del suo contenuto, tale documento sarebbe privo di qualsiasi valore probatorio.

262    Secondo la Commissione, dai punti 45 e 46 della motivazione della decisione impugnata, che non sarebbero contestati dalla ricorrente, emerge, da un lato, che prima della riunione dell’11 maggio 1994 la Interbrew era restia a estendere la sua collaborazione con la ricorrente in Belgio e si era prefissata «di non scatenare una guerra» e, dall’altro, che dopo la suddetta data è stato stipulato un patto di non aggressione. La tesi svolta dalla ricorrente secondo cui la Interbrew, prima del 1994, intendeva accordarsi con la Alken‑Maes per porre fine alla politica aggressiva di quest’ultima avrebbe natura meramente speculativa, mentre sarebbe comprovato il carattere aggressivo della politica adottata dalla Alken‑Maes nei confronti della Interbrew. Considerata l’evidente evoluzione del comportamento della Interbrew, se ne sarebbe dovuta desumere l’esistenza di un nesso causale tra la minaccia proferita dalla ricorrente, che peraltro ammette l’estensione della collaborazione a partire dall’11 maggio 1994, e l’evoluzione del comportamento della Interbrew.

263    Il fatto che la Interbrew sia l’operatore principale sul mercato belga della birra non consentirebbe di escludere che essa sia stata restia ad ampliare l’intesa né che sia stata oggetto di minacce di guerra commerciale da parte di un operatore economico complessivamente più importante di lei e particolarmente potente in Francia, paese in cui la Interbrew occupava invece una posizione debole. Tale scenario sarebbe ancor più credibile se si considera che la minaccia in questione consisteva in un’azione concordata tra la ricorrente e la Heineken e che la Alken‑Maes non era un’impresa isolata, bensì una controllata della ricorrente e quindi di un gruppo internazionale. Infine, il fatto che la Interbrew, verso la fine dell’intesa, abbia potuto dichiararsi soddisfatta dei risultati ottenuti non basterebbe a concludere che le esitazioni iniziali non sono esistite.

264    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la citazione degli appunti del signor M. del 12 marzo 1993 costituisce una presentazione tendenziosa della realtà, la Commissione fa valere, anzitutto, che l’uso di tale citazione al punto 45 della decisione impugnata non nasconde affatto le pressioni esercitate dai vertici della Interbrew. Inoltre, dalla medesima citazione emergerebbe che la ricorrente intendeva rafforzare tale collaborazione e ne avrebbe tratto maggiori vantaggi rispetto alla Interbrew, circostanza che la ricorrente si guarderebbe bene dal menzionare. Il fatto che le esitazioni della Interbrew potessero essere motivate dal timore di essere perseguita per violazione del diritto in materia di concorrenza sarebbe irrilevante rispetto all’esistenza di tali esitazioni. Lo stesso varrebbe per l’iniziativa di cui l’autore delle riserve iniziali della Interbrew si sarebbe successivamente reso responsabile per costringere la Alken‑Maes ad applicare il prezzo voluto dalla Interbrew. Quanto alla dichiarazione dell’ex amministratore della Alken‑Maes secondo cui la grande maggioranza dei dirigenti della Interbrew desiderava concludere un accordo prima del 1994 sarebbe successiva ai fatti e l’uso che ne è stato fatto sarebbe eccessivamente selettivo, in quanto passerebbe sotto silenzio alcuni passaggi che fanno riferimento alla minaccia rivolta nei confronti della Interbrew.

265    La Commissione ribadisce di non avere mai messo in dubbio l’interesse della Interbrew a concludere un accordo, ma di avere semplicemente dimostrato che l’ampliamento di tale accordo è stata la conseguenza della minaccia proferita dalla ricorrente.

266    L’argomento della ricorrente secondo cui, prima del 1994, la Interbrew intendeva accordarsi sui prezzi al fine di far cessare la politica commerciale aggressiva della Alken‑Maes e di impedire importazioni parallele a basso prezzo dalla Francia non sarebbe corroborato da alcun elemento di prova. Dai documenti che si ritiene forniscano la prova della politica di prezzo aggressiva della Alken-Maes emergerebbe l’esistenza di un incontro tra i responsabili della Alken-Maes e della Interbrew successivo al maggio 1994, il che non consentirebbe di desumere che l’ampliamento dell’intesa in tale data sia stato voluto dalla Interbrew. I documenti relativi alle importazioni parallele non sarebbero decisivi, non più di quelli che si ritiene dimostrino la volontà della Interbrew di finanziare la propria espansione internazionale grazie agli utili realizzati in Belgio. Quanto alle trattative relative all’eventuale acquisizione della Kronenbourg da parte della Interbrew, esse non fornirebbero la prova di un interesse spontaneo di quest’ultima per l’intesa, non più di quanto il timore di essere perseguita per abuso di posizione dominante possa aver indotto la Interbrew a concludere un accordo, altrettanto illegittimo sotto il profilo del diritto della concorrenza.

267    La Commissione fa inoltre valere che la spiegazione della riunione dell’11 maggio 1994 e della richiesta relativa ai 500 000 ettolitri da parte della ricorrente non è credibile e osserva altresì che quest’ultima non contesta di aver effettivamente fatto riferimento a tale quantitativo, nonché ad una certa forma di minaccia.

268    Per quanto riguarda la contestazione, da parte della ricorrente, della prova della minaccia, la Commissione fa valere, anzitutto, che la ricorrente ha dichiarato nella risposta alla contestazione degli addebiti che un responsabile della Alken‑Maes (il signor R. V.) ha informato la Interbrew, «la quale era irritata dalla sua politica aggressiva, che non contava di ottenere più di 500 000 ettolitri, corrispondenti alla sua massima redditività». Inoltre, sarebbe stato comunicato alla Interbrew, in relazione alle pratiche predatrici nel settore horeca in Belgio, che la ricorrente «avrebbe potuto adottare una politica più risoluta nei confronti della Interbrew in Francia qualora quest’ultima non avesse posto fine ai suoi abusi in Belgio». Da queste due affermazioni emergerebbe una certa minaccia, dal momento che il fatto di chiedere a un concorrente di porre fine a determinate pratiche informandolo al contempo dell’esigenza di disporre di un certo quantitativo per diventare redditizia equivarrebbe a chiedere il trasferimento di tale quantitativo sotto minaccia di ritorsioni.

269    La Commissione osserva inoltre che un rappresentante della Interbrew (il signor C.) ha dichiarato che un rappresentante della Alken-Maes [il signor K.] «ha reiterato la richiesta di 500 000 [ettolitri] ad [Alken-Maes], pena la distruzione di [Interbrew] in Francia». Egli avrebbe inoltre «raccomandato l’instaurazione di rapporti [Interbrew]/[Alken-Maes] nel mercato belga, sul calco degli “accordi vigenti in Francia”», osservando che il «meccanismo francese si può così riassumere. I direttori di vendita nel settore food di Heineken e Kronenbourg si consultano regolarmente per controllare le rispettive quote di mercato e manipolare le promozioni, i prezzi e le condizioni».

270    Inoltre, nella controreplica, in risposta all’affermazione della ricorrente secondo cui la Commissione, per dimostrare l’esistenza di una minaccia, si sarebbe basata esclusivamente sul documento Heineken, la stessa Commissione produce anche una dichiarazione della Interbrew del 14 gennaio 2000, in cui l’autore della dichiarazione appunta quanto segue: «[l]a posizione [della ricorrente] era che la situazione [della Alken-Maes] era molto difficile e che [la Interbrew] doveva aiutarla. L’arma di ricatto di cui disponevano per convincerci consisteva nel fatto che Kronenbourg poteva renderci la vita molto difficile in Francia».

271    La minaccia sarebbe inoltre dimostrata in modo indipendente dal documento Heineken, citato nella comunicazione degli addebiti e nella decisione impugnata. Da tale documento, privo di data e di firma, ma rinvenuto in un cassetto dell’ufficio di un membro del consiglio di amministrazione della Heineken, emergerebbe che, tre anni prima, un responsabile della Alken-Maes, il signor K., «ha messo Interbrew di fronte alla scelta: o trasferire 500 000 hl supplementari a Maes o essere messi fuori mercato in Francia. E ha loro indicato le modalità di collaborazione tra Heineken e Kronenbourg in Francia».

272    La Commissione ritiene che la forza probatoria di tale documento, cui la ricorrente ha avuto accesso nella sua versione non riservata, non è sminuita dalla mancanza della data e dell’indicazione dell’autore o delle persone che ne erano a conoscenza. Considerato il luogo in cui è stato rinvenuto, tutto indurrebbe a credere che il documento sia stato redatto da un membro del consiglio di amministrazione della Heineken. Inoltre, il legale della Heineken avrebbe confermato che la sua cliente è effettivamente all’origine del documento.

273    Secondo la Commissione, la concordanza tra le ammissioni della ricorrente, le dichiarazioni della Interbrew e il contenuto del documento Heineken dimostrerebbe che nei confronti della Interbrew è stata effettivamente proferita una minaccia.

274    Per quanto riguarda gli argomenti svolti dalla ricorrente nella replica a sostegno della tesi secondo cui la minaccia non ha avuto effetti, la Commissione osserva, in via preliminare, come essi presuppongano implicitamente che è stata effettivamente proferita una minaccia. Peraltro, le dichiarazioni, fatte valere dalla ricorrente, di uno dei suoi direttori dell’epoca sarebbero incoerenti. Infatti, se quest’ultimo afferma che «Kronenbourg non era assolutamente in grado di eliminare Interbrew», ciò sarebbe in contraddizione con il fatto che egli ha rilevato «che Danone potrebbe adottare una politica più risoluta nei confronti di Interbrew in Francia qualora essa non ponesse fine ai suoi abusi in Belgio». Non sarebbe verosimile che sia stata proferita una minaccia sapendo che non avrebbe potuto concretizzarsi. Quanto alla presunta mancanza di attenzione alla minaccia da parte della Interbrew, la ricorrente non sarebbe in grado di dimostrarla, mentre dal fascicolo emergerebbe al contrario che la Interbrew ha preso sul serio le sue minacce.

275    Inoltre, un eventuale contrattacco della Interbrew a seguito delle iniziative della Alken‑Maes relative ai pubblici esercizi non permetterebbe di escludere che la Interbrew abbia preso sul serio quella che avrebbe percepito come una minaccia. Quanto ai documenti fatti valere per dimostrare che la Interbrew aveva fatto regnare il «terrore» sul mercato, essi non sarebbero decisivi. Da nessuno di tali documenti emergerebbe che la Interbrew aveva sistematicamente attaccato i punti di vendita della Alken‑Maes.

276    Infine, la Commissione evidenzia che la ricorrente, pur negando di avere proferito una minaccia, non sembra contestare che una minaccia, ancorché rimasta senza esito, costituisca una circostanza aggravante.

b)     Giudizio del Tribunale

277    Emerge dalla giurisprudenza che, qualora un’infrazione sia stata commessa da più imprese, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende occorre determinare la gravità relativa della partecipazione di ciascuna di esse (sentenza della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73‑48/73, 50/73, 54/73‑56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punto 623), il che implica, in particolare, l’accertamento dei ruoli rispettivamente svolti nell’infrazione durante il periodo della loro partecipazione (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, citata al precedente punto 215, punto 150; sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑6/89, Enichem Anic/Commissione, Racc. pag. II‑1623, punto 264).

278    Tale conclusione costituisce la logica conseguenza del principio del carattere individuale delle pene e delle sanzioni, in virtù del quale un’impresa può essere sanzionata solo per i fatti che le vengono contestati individualmente, principio applicabile in qualsiasi procedimento amministrativo che possa sfociare in sanzioni in forza delle regole comunitarie di concorrenza (v., per quanto riguarda l’irrogazione di un’ammenda, sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punto 63).

279    Conformemente a tali principi, i punti 2 e 3 degli orientamenti dispongono che l’importo di base dell’ammenda va stabilito in funzione di determinate circostanze aggravanti e attenuanti proprie a ciascuna impresa interessata. Il punto 2 contiene, in particolare, un elenco non tassativo delle circostanze aggravanti applicabili.

280    Nella fattispecie, la Commissione, al punto 315 della decisione impugnata, ha tenuto conto, per quanto riguarda la ricorrente, del fatto che essa ha «obbligato Interbrew ad ampliare la cooperazione, minacciandola di ritorsioni qualora essa non avesse accettato».

281    In limine, occorre rilevare che la Commissione ha legittimamente ritenuto che il fatto che un’impresa partecipante a un’intesa obblighi un’altra partecipante ad ampliare l’ambito dell’intesa stessa minacciandola di ritorsioni in caso di rifiuto possa essere considerato una circostanza aggravante. Infatti, tale comportamento ha l’effetto diretto di aggravare i danni causati dall’intesa e a un’impresa che abbia tenuto siffatto comportamento va attribuita una responsabilità particolare (v., per analogia con la valutazione del ruolo di «capofila» di un’intesa, sentenze della Corte 8 novembre 1983, cause riunite 96/82‑102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ e a./Commissione, Racc. pag. 3369, punti 57 e 58; 16 novembre 2000, causa C‑298/98 P, Finnboard/Commissione, Racc. pag. I‑10157, punto 45, e Mayr-Melnhof/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 291).

282    A sostegno dell’applicazione della suddetta circostanza aggravante, la Commissione ha accertato l’esistenza di un nesso di causalità tra l’ampliamento della cooperazione, quale è riassunto in particolare ai punti 236, 239, 243 e 244 della decisione impugnata, che si fondano a loro volta sui fatti relativi al 1994 descritti ai punti 51‑68, e la minaccia di ritorsioni rivolta dalla ricorrente alla Interbrew qualora essa si fosse rifiutata di ampliare la cooperazione.

283    Per determinare la fondatezza dell’applicazione, da parte della Commissione, della circostanza aggravante nei confronti della ricorrente, occorre verificare in ordine successivo l’esistenza di una minaccia di ritorsioni e quella dell’ampliamento della cooperazione, nonché, qualora questi due elementi di fatto risultino confermati, se la minaccia proferita abbia effettivamente avuto per effetto l’ampliamento della cooperazione.

284    Per quanto riguarda, in primo luogo, la prova dell’esistenza di una minaccia, si deve constatare come la Commissione abbia concluso in tal senso sulla base, da un lato, della dichiarazione del signor C. della Interbrew del 12 gennaio 2000, acclusa quale allegato 18 alla lettera della Interbrew alla Commissione del 28 febbraio 2000, e, dall’altro, del contenuto del documento Heineken (v. precedente punto 271). Secondo la Commissione, la veridicità della dichiarazione della Interbrew secondo cui è stata proferita una minaccia durante la riunione dell’11 maggio 1994 è confermata dal documento Heineken, che ne riporta il contenuto.

285    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la dichiarazione della Interbrew non può essere considerata probante, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, nessuna norma né principio generale del diritto comunitario impediscono alla Commissione di avvalersi nei confronti di un’impresa di dichiarazioni di altre imprese sottoposte a indagine. Se così non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari agli artt. 81 CE e 82 CE, che incombe alla Commissione, sarebbe insostenibile e incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuito dal Trattato CE (sentenza PVC II, citata al precedente punto 154, punto 512). Tuttavia, la dichiarazione di un’impresa accusata di avere preso parte ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da varie imprese sottoposte ad indagine, non può essere considerata una prova sufficiente dei fatti controversi qualora non sia confermata da altri elementi probatori (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑337/94, Enso-Gutzeit/Commissione, Racc. pag. II‑1571, punto 91). Poiché, nella fattispecie, l’intesa riguarda solo due parti, la contestazione del contenuto della dichiarazione della Interbrew da parte della ricorrente è sufficiente per esigere che tale dichiarazione sia confermata da altri elementi di prova. Ciò vale a maggiore ragione nel caso di una dichiarazione diretta ad attenuare la responsabilità dell’impresa in nome della quale tale dichiarazione viene resa mettendo in rilievo la responsabilità di un’altra impresa. Occorre quindi stabilire se la dichiarazione della Interbrew sia corroborata da ulteriori elementi di prova.

286    Poiché la Commissione, per dimostrare la veridicità della dichiarazione della Interbrew, si è avvalsa anche del documento Heineken, da cui emergerebbe l’esistenza di tale minaccia e la cui valenza probatoria è anch’essa contestata dalla ricorrente, si deve accertare se il detto documento dimostri l’esistenza di una minaccia in maniera sufficiente perché possa considerarsi provata, sulla base di tale documento e della dichiarazione della Interbrew, l’esistenza di una minaccia. A tale proposito occorre ricordare che, per valutare la forza probatoria di un documento, si deve verificare la verosimiglianza dell’informazione in esso contenuta, tener conto dell’origine del documento, delle circostanze in cui è stato elaborato dal suo destinatario e chiedersi se, in base al contenuto, esso appaia ragionevole e affidabile (conclusioni del giudice Vesterdorf facente funzioni di avvocato generale nella causa T‑1/89, Rhône-Poulenc/Commissione, decisa con sentenza del Tribunale 24 ottobre 1991, Racc. pag. II‑867; pag. II-869, in particolare pag. II‑956, e sentenza Cemento, citata al precedente punto 31, punto 1838).

287    Nella fattispecie, si deve constatare anzitutto che il documento Heineken attribuisce al direttore generale della divisione «birra» della ricorrente in carica all’epoca dei fatti di aver «messo Interbrew di fronte alla scelta: o trasferire 500 000 [ettolitri] supplementari a Maes o essere messi fuori mercato in Francia [e] indicato le modalità di collaborazione tra Heineken e Kronenbourg in Francia». A tale proposito, poiché menziona una richiesta corredata di eventuali misure di ritorsione, tale documento fa riferimento a una minaccia.

288    Per quanto riguarda poi il grado di affidabilità del documento, si deve rilevare, in primo luogo, che, sebbene sia privo di data, il documento Heineken è stato necessariamente redatto prima del 22 marzo 2000, dal momento che inizialmente ne è stata estratta copia presso i locali della Heineken nel corso di accertamenti svolti alla suddetta data in forza dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17 (v. precedente punto 39), e che tale documento era quindi preesistente all’inizio del procedimento e all’invio della comunicazione degli addebiti alle imprese interessate. In secondo luogo, si deve considerare che, sebbene il documento Heineken non sia firmato, il fatto che sia stato rinvenuto in un cassetto di un membro del consiglio di amministrazione della Heineken, ossia nell’ufficio di un alto dirigente di un’impresa terza, consente di concludere che il contenuto del documento è affidabile. In terzo luogo, il fatto che le frasi in questione avrebbero potuto essere riportate alla Heineken dalla Interbrew, come afferma la ricorrente, non è atto a rimettere in discussione la veridicità del loro contenuto. Infatti non si può dare alcun credito all’unica tesi su cui potrebbe fondarsi tale messa in discussione della veridicità del contenuto del documento, ossia che la Interbrew avrebbe potuto riportare fatti immaginari alla Heineken al solo scopo di rafforzare, in vista di una decisione della Commissione di infliggere un’ammenda, una tesi relativa alla coercizione che le consentisse di minimizzare il proprio ruolo nell’ambito dell’intesa.

289    Infine, si deve rilevare che, se la ricorrente nega che nel corso della riunione dell’11 maggio 1994 sia stata formulata una minaccia, essa tuttavia non contesta né che in tale occasione è stato dato un avvertimento (v. precedente punto 256), né che durante la riunione è stato chiesto il trasferimento di 500 000 ettolitri né, infine, che il documento Heineken si riferisce alla riunione dell’11 maggio 1994.

290    Risulta da quanto precede che il documento Heineken ha una notevole forza probatoria e che, tenuto conto degli elementi contestuali che la ricorrente non mette in discussione, combinando la dichiarazione del signor C. della Interbrew del 12 gennaio 2000 con il documento Heineken emerge che la ricorrente ha effettivamente rivolto una minaccia nei confronti della Interbrew in data 11 maggio 1994.

291    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione dell’effettività dell’ampliamento della cooperazione constatato, si deve anzitutto rilevare che, se la ricorrente ritiene eccessivo qualificare come ampliamento della cooperazione la modifica delle questioni discusse dalle parti, essa tuttavia ammette che nel maggio 1994 vi è stata un’evoluzione nei colloqui, anche se tale evoluzione, a suo dire, in un primo tempo avrebbe riguardato solo il «rispetto della clientela dell’altra parte» in quanto tale clientela era vincolata da accordi di esclusiva.

292    Occorre altresì rilevare che la ricorrente non contesta le conclusioni contenute nella decisione impugnata, secondo cui l’intesa comprendeva un accordo di ripartizione del mercato sotto forma di un patto di non aggressione. Infatti, la stessa ricorrente ha informato la Commissione che esisteva un patto di non aggressione, come dimostra la lettera della Alken-Maes alla Commissione del 7 marzo 2000, in cui si afferma quanto segue:

«Sembra in particolare che alla fine del 1994 sia stato concluso un accordo tra le due società relativo all’insieme dei circuiti di distribuzione in Belgio, ma riguardante in particolare i circuiti dell’horeca. L’accordo avrebbe comportato segnatamente (…) un patto di non aggressione (…)».

293    Infine, è giocoforza constatare che, in particolare ai punti 56, 59‑65, 73 e 104 della decisione impugnata, la Commissione ha dimostrato sufficientemente che l’intesa ha comportato, a partire dal secondo semestre del 1994, un accordo di ripartizione del mercato. Dai punti 53‑58 della decisione impugnata emerge inoltre che il processo che ha condotto a tale ampliamento è stato avviato nel maggio 1994.

294    Si deve quindi concludere che vi è stato effettivamente un ampliamento della cooperazione nel senso di una ripartizione del mercato della birra mediante un patto di non aggressione a partire dal maggio 1994.

295    In terzo luogo, occorre esaminare se la minaccia proferita dalla ricorrente l’11 maggio 1994 abbia esercitato una coercizione decisiva sulla Interbrew per obbligarla ad acconsentire a un ampliamento dell’intesa mediante un patto di non aggressione. Tale esame deve fondarsi su un’analisi comparata del comportamento tenuto, da un lato, dalla ricorrente e dalla sua controllata Alken-Maes e, dall’altro, dalla Interbrew, sia prima che durante il secondo semestre del 1994, nel corso del quale il processo di ampliamento dell’intesa è sfociato nel patto di non aggressione stipulato il 12 ottobre 1994. A tale proposito riveste particolare importanza l’esame del comportamento della Interbrew.

296    In limine, si deve rilevare che la Commissione, al punto 313 della decisione impugnata, ha osservato che sia la ricorrente sia la Interbrew hanno preso iniziative in relazione a diversi aspetti del cartello, per cui nessuna delle imprese implicate ha svolto un ruolo guida nell’insieme dell’intesa.

297    Per quanto riguarda, in primo luogo, il rispettivo comportamento delle partecipanti al cartello prima e durante il secondo semestre del 1994, si deve anzitutto constatare come dalla decisione impugnata risulti che la ricorrente e la sua controllata Alken‑Maes sono effettivamente state all’origine dell’ampliamento dell’intesa a un patto di non aggressione, implicante una concertazione sulle quote di mercato o quanto meno sulla ripartizione della clientela.

298    Infatti, pur essendo vero che in una prima fase l’intesa ha riguardato i prezzi e la riduzione degli investimenti commerciali, la posizione espressa dalla ricorrente, quale è stata riportata, secondo la Interbrew, durante una riunione interna della medesima Interbrew del 5 maggio e confermata durante l’incontro dell’11 maggio 1994 – quest’ultima circostanza è dimostrata dal documento Heineken – consisteva nel chiedere per la prima volta la presa in considerazione dei volumi di vendita, il che può essere assimilato a una proposta di estendere l’intesa alla ripartizione del mercato. Inoltre, dalla dichiarazione della Interbrew citata ai punto 54 e 57 della decisione impugnata, confermata dal contenuto di una nota interna dell’autore di detta dichiarazione, datata 5 ottobre 1994 e citata al punto 58 della detta decisione, risulta che l’intenzione di ripartire il mercato è stata manifestata dalla Alken‑Maes e percepita dalla Interbrew come una volontà di trasporre in Belgio meccanismi di concertazione cui la ricorrente prendeva parte in Francia. Dagli stessi documenti risulta inoltre che la Interbrew era restia ad accogliere tale proposta.

299    Tuttavia, occorre rilevare che l’atteggiamento tenuto dalla Interbrew fino al maggio 1994 è indice di un comportamento attivo nell’ambito del cartello. Infatti, al punto 310 della decisione impugnata la Commissione afferma che lo scambio di informazioni avviato nel 1992 è cominciato su iniziativa della Interbrew e che da prove documentali emerge che, nell’agosto e nel novembre 1993, la Interbrew ha svolto un ruolo guida per quanto riguarda gli accordi sui prezzi nel settore del commercio al dettaglio. Si deve inoltre concludere, sulla base della nota interna della Interbrew del 12 marzo 1993, che i vertici di tale impresa avevano svolto un ruolo attivo nella prima fase dell’intesa, imponendo ai loro sottoposti di partecipare alla concertazione. La nota contiene infatti il seguente passaggio: «[p]robabilmente vorranno ampliare la “collaborazione” in Belgio. [Il precedente CEO di Interbrew] ci ha costretto a discutere la questione “visto che abbiamo bisogno di denaro”, ma siamo estremamente restii, poiché vogliamo evitare eventuali problemi connessi agli articoli 8[1] e 8[2] [CE]».

300    Risulta inoltre che, cinque mesi dopo, l’autore della suddetta nota, divenuto CEO della Interbrew, ha fatto proprio tale atteggiamento attivo nei confronti dell’intesa. In una nota interna della Interbrew del 19 agosto 1993, il signor M. dichiara infatti la propria disponibilità ad aiutare a convincere la Alken-Maes ad applicare un aumento dei prezzi del 4%. Inoltre, una nota del 3 novembre 1993 contiene un resoconto dei contatti tra il signor M e il grande distributore, in cui si legge:

«(…) apprezzerebbe molto se Interbrew si mettesse in contatto con (…) e (…) [NB: le tre principali catene di supermercati alimentari in Belgio] al fine di pervenire ad un incremento graduale dei prezzi della birra (…) per raggiungere il livello auspicato da [Interbrew]. (…) Quando si profilerà un consenso, si potrà considerare di riunirci con i [tre] (…). Non mi sembra una cattiva idea invitare anche me all’incontro con i vertici di (…) e (…). (…) L’iniziativa di Maes dell’anno scorso si è dimostrata irrealizzabile: a) mancava la fiducia, ma anche e senza dubbio b) Maes non aveva abbastanza peso. Solo [Interbrew] può riuscirci».

301    Risulta da quanto precede che, se il comportamento della ricorrente e della sua controllata Alken‑Maes durante il secondo semestre del 1994 dimostra la loro volontà di estendere la collaborazione ad una ripartizione del mercato, il comportamento della Interbrew nel corso della prima fase dell’infrazione è stato attivo, come dimostrano le iniziative il cui scopo anticoncorrenziale non può essere contestato.

302    Per quanto riguarda, in secondo luogo, il comportamento delle partecipanti al cartello tra l’11 maggio 1994, data in cui è stata proferita la minaccia, e il 24 novembre 1994, data in cui le parti hanno nuovamente discusso il patto di non aggressione concluso il 12 ottobre 1994, si deve constatare che, nonostante la minaccia proferita dalla ricorrente, il comportamento della Interbrew non corrisponde a quello di un’impresa obbligata ad accettare, sotto l’effetto di pressioni, l’ampliamento dell’accordo restrittivo della concorrenza di cui era parte.

303    Si deve infatti rilevare che, il 7 luglio 1994, il CEO della Interbrew ha dichiarato di avere concordato con il massimo dirigente della ricorrente «di non scatenare una guerra, ma di cercare invece di guadagnare tempo» (punto 56 della decisione impugnata). Orbene, la posizione adottata dalla ricorrente e dalla Alken-Maes durante la prima fase dell’accordo, che è durata dall’inizio del 1993 alla fine del primo semestre del 1994, era aggressiva nei confronti della Interbrew, e la posizione adottata dalla ricorrente l’11 maggio 1994, pur assumendo la forma di una minaccia, nascondeva la possibilità di scatenare una guerra commerciale in Francia. Il comportamento della Interbrew può quindi essere considerato non solo come un adeguamento alla minaccia della ricorrente, ma anche come un rifiuto di scatenare una guerra commerciale, ossia di adottare un comportamento concorrenziale. A tale proposito si deve anche osservare che la Commissione ha rilevato, al punto 51 della decisione impugnata, dopo avere fatto riferimento alla formulazione di una minaccia, che «[p]ur non avendo soddisfatto la richiesta [della ricorrente] di trasferire 500 000 ettolitri di birra ad Alken-Maes, Interbrew non vuole la guerra e le parti restano in stretto contatto».

304    Risulta pertanto, da un lato, che la Interbrew ha prestato un’attenzione moderata alla minaccia che le era stata rivolta e, dall’altro, che il suo comportamento è conseguenza della volontà di non entrare in conflitto con la ricorrente, il che sembra indicare che l’ampliamento dell’intesa è stato non già il risultato di una coercizione, quanto piuttosto la conseguenza di una scelta operata dalla Interbrew. Inoltre, al punto 235 della decisione impugnata, la Commissione osserva che la Interbrew non ha proceduto al richiesto trasferimento di 500 000 ettolitri alla Alken-Maes, ma tale constatazione viene immediatamente temperata rilevando che la Interbrew si è tuttavia mostrata disposta, a partire da quel momento, ad ampliare la portata degli accordi con la Alken-Maes e a non limitarsi più a uno scambio di informazioni e ad accordi relativi ai prezzi al dettaglio.

305    D’altro canto, dalla nota redatta dal direttore commerciale del settore horeca per il Belgio della Interbrew in vista della riunione del 12 ottobre 1994, durante la quale è stato concluso il patto di non aggressione, non emerge un rifiuto di principio a un possibile accordo sulla ripartizione del mercato né la percezione di pressioni che avrebbero condotto alla conclusione di siffatto accordo. Dalla nota in questione emerge semmai una valutazione ragionata, da parte del suo autore, dei vantaggi e degli inconvenienti derivanti dalla conclusione di tale accordo da parte della Interbrew, anche rispetto ai vantaggi che ne avrebbe potuto trarre la Alken-Maes. Nella nota in questione si legge infatti: «data la sua posizione dominante e la legge dell’aprile 1993 in materia, [la Interbrew] corre un ulteriore rischio», o ancora che «tali accordi offrono più vantaggi per i concorrenti che per il leader del mercato». Dalla nota non emerge una prospettiva favorevole per quanto riguarda la conclusione dell’accordo con la Alken-Maes, poiché il suo autore annota: «Giudizio personale: non ho fiducia in tali accordi, in quanto non possono essere messi in pratica e non arrecano vantaggi sostanziali [alla Interbrew]». Tuttavia, la nota in questione non costituisce necessariamente la prova di una coercizione subita dalla Interbrew, in quanto il suo contenuto può essere interpretato anche come il risultato di una riflessione avviata all’interno della Interbrew in merito alle modalità con cui gli accordi concorrenziali avrebbero potuto essere attuati in maniera efficace.

306    Inoltre, si deve rilevare che dalla nota interna della Interbrew del 14 ottobre 1994, che riporta i risultati della riunione del 12 ottobre 1994, non sembra emergere che la Interbrew si sia vista imporre il patto di non aggressione sotto l’effetto della coercizione, ma piuttosto che la stessa Interbrew ha preso parte alla discussione, arrivando a sottoporre alla Alken‑Maes la propria strategia. Infatti, nella suddetta nota del direttore per il Belgio della Interbrew si legge: «[s]i allega un documento dei nostri amici e la strategia da me proposta (sintetizzata in una pagina) e che i nostri amici hanno approvato in linea di massima». Orbene, la «strategia sintetizzata in una pagina» proposta dalla Interbrew, che viene riprodotta dalla Commissione al punto 60 della decisione impugnata, fa appunto riferimento ad un «[g]entlemen’s agreement» che includeva in particolare i punti seguenti: «nessun attacco agli impegni» (ossia pubblici esercizi con cui si sono stipulati accordi di acquisto esclusivo) e «nessun attacco sistematico dei marchi nell’ambito degli impegni dell’altra parte».

307    Per quanto riguarda, in terzo luogo, il comportamento delle parti dopo il secondo semestre del 1994, si deve constatare anzitutto come la Commissione rilevi, al punto 77 della decisione impugnata, sulla base dei documenti interni della Interbrew del luglio 1995, che i dirigenti di quest’ultima ritengono di avere rispettato l’accordo in Belgio. Inoltre, al punto 310 della decisione impugnata, la Commissione evidenzia che nel 1995 la Interbrew ha preso l’iniziativa di avviare discussioni sul sistema tariffario. La descrizione, ai punti 83‑92, dei colloqui tenutisi tra le due parti nel 1996 in merito ai loro progetti concernenti il nuovo sistema tariffario conferma l’esistenza di uno spirito di collaborazione spontanea. Al punto 92, la Commissione cita ad esempio il contenuto di un fax dell’11 ottobre 1996 inviato da un dirigente della Interbrew a un azionista dell’impresa, in cui si precisa: «[d]a un anno stiamo discutendo di una concorrenza costruttiva in Belgio. In pratica, nulla di fatto. Probabilmente di ciò sono responsabili tutte le parti. Cercheremo di rilanciare tale processo la settimana prossima».

308    Infine, è giocoforza constatare che gli appunti del direttore commerciale del settore horeca per il Belgio della Interbrew redatti in occasione della riunione del 28 gennaio 1998 costituiscono la prova di un atteggiamento positivo nei confronti dell’intesa e prevedono, per quanto riguarda l’horeca, il «rispetto degli obblighi e dei diritti di fornitura». Gli appunti fanno anche riferimento, per quanto riguarda la concertazione horeca, ad un «contatto diretto nel caso di problematiche importanti e concorrenza relativa ai clienti nazionali» (punto 104 della decisione impugnata).

309    Risulta da quanto precede che, per tutto il periodo dell’infrazione, ciascuna parte del cartello ha preso iniziative aventi un oggetto anticoncorrenziale e che, in particolare, non si può concludere, in base agli elementi del fascicolo, che la Interbrew abbia acconsentito all’ampliamento dell’accordo a un patto di non aggressione solo sotto l’effetto di una coercizione. Sebbene, nelle sue memorie, la Commissione precisi che la circostanza aggravante applicata nei confronti della ricorrente non esonera la Interbrew dalla sua responsabilità nell’intesa, il comportamento tenuto da quest’ultima durante l’intero periodo dell’infrazione non consente di concludere che esisteva un nesso di causalità diretto tra la minaccia proferita dalla ricorrente l’11 maggio 1994 e l’ampliamento dell’accordo.

310    Ne consegue che, considerato l’atteggiamento delle parti nei confronti dell’intesa prima e dopo il secondo semestre del 1994, nonché l’importanza che la minaccia in questione può avere avuto, dato il contesto in cui è stata formulata, la Commissione non ha dimostrato sufficientemente il nesso di causalità esistente tra la minaccia proferita e l’ampliamento dell’accordo, le cui cause potevano non consistere soltanto in una minaccia, bensì discendere più in generale dall’obiettivo di eliminare la concorrenza perseguito congiuntamente dalle due partecipanti al cartello.

311    Risulta quindi da quanto precede che la Commissione ha a torto applicato alla ricorrente la circostanza aggravante secondo cui l’impresa avrebbe obbligato la Interbrew ad ampliare la loro collaborazione minacciandola di ritorsioni nel caso in cui si fosse rifiutata.

312    Interrogata in udienza sulle percentuali di aumento rispettivamente applicate in funzione di ciascuna delle due circostanze aggravanti constatate nei confronti della ricorrente, considerato che l’importo di base è stato maggiorato complessivamente del 50%, la Commissione ha dichiarato che, tenuto conto, da un lato, dell’importanza relativa attribuita a ciascuna di queste due circostanze aggravanti nella motivazione della decisione impugnata e, dall’altro, delle sue precedenti decisioni in materia, si deve ritenere che la circostanza aggravante della recidiva abbia avuto un ruolo preponderante e che la circostanza aggravante applicata in considerazione delle pressioni abbia avuto un’importanza minore.

313    Pertanto, il Tribunale ritiene di dover esercitare la competenza di merito conferitagli dall’art. 17 del regolamento n. 17 fissando al 40% l’aumento complessivo dell’importo di base dell’ammenda applicato in funzione delle circostanze aggravanti.

4.     Sul motivo concernente l’erronea applicazione della circostanza aggravante della recidiva nei confronti della ricorrente

a)     Argomenti delle parti

314    In primo luogo, la ricorrente fa valere che la presa in considerazione, da parte della Commissione, di una sua presunta recidiva costituisce una violazione della delega di poteri conferita dall’art. 15 del regolamento n. 17, in quanto la Commissione può determinare l’importo delle ammende inflitte solo in base alla gravità intrinseca e alla durata dell’infrazione.

315    Dalle normative nazionali degli Stati membri emergerebbe che la recidiva non rientra tra le circostanze aggravanti dell’infrazione, ossia nella valutazione obiettiva della gravità dei fatti, bensì costituisce il riconoscimento di un fatto proprio all’autore dell’infrazione, vale a dire la sua tendenza a commettere tali infrazioni.

316    In risposta all’argomento della Commissione secondo cui la recidiva è prevista dagli orientamenti quale circostanza aggravante, la ricorrente afferma di non rimettere in discussione il potere della Commissione di enunciare mediante una comunicazione interpretativa la sua metodologia in materia di irrogazione delle ammende. La ricorrente contesta invece quello che considera uno sviamento di potere, vale a dire il fatto che la Commissione si arroghi il potere di aggravare una sanzione in funzione della recidiva senza esservi legittimata e che decida discrezionalmente le modalità di applicazione di tale istituto.

317    Per quanto riguarda l’osservazione della Commissione secondo cui la ricorrente non ha sollevato una questione di legittimità in virtù dell’art. 241 CE, la stessa ricorrente fa valere che l’esistenza di tale strumento giuridico non osta a che essa invochi l’illegittimità della decisione impugnata in forza del regolamento n. 17, anche nel caso in cui la medesima decisione dia esecuzione agli orientamenti. Quanto al rigetto da parte del Tribunale, anch’esso invocato dalla Commissione, dell’eccezione di legittimità sollevata nella causa decisa con sentenza HFB e a./Commissione, citata al precedente punto 245, la ricorrente sottolinea che la sentenza in questione riguardava solo un punto specifico degli orientamenti e quindi non la portata generale che la Commissione vorrebbe attribuirle.

318    Quanto all’argomento della Commissione secondo cui il Tribunale avrebbe riconosciuto in vari procedimenti la nozione della recidiva, la ricorrente replica che in nessuno di essi il Tribunale si è espressamente pronunciato sulla legittimità dell’applicazione della recidiva nell’ambito del regolamento n. 17, né in relazione ai principi generali del diritto comunitario. Infatti, nella sentenza PVC II, citata al precedente punto 154, il Tribunale si sarebbe basato sul fatto che un’impresa aveva già commesso un’infrazione analoga non per aumentare l’importo dell’ammenda inflitta, bensì unicamente per constatare la fondatezza del rifiuto, da parte della Commissione, di applicare una circostanza attenuante. Pertanto, il Tribunale non avrebbe sancito il principio della recidiva.

319    Secondo la ricorrente, se è vero che la Commissione, ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda, può prendere in considerazione infrazioni precedenti per giustificare la constatazione del carattere deliberato di una nuova infrazione commessa dalla ricorrente, ciò non implica tuttavia che l’esistenza di un’infrazione precedente possa giustificare l’applicazione di una sanzione più grave in funzione della recidiva senza un’esplicita autorizzazione legale. Un aumento del genere, infatti, equivarrebbe a creare un nuovo tipo di sanzione che si sommerebbe alla sanzione principale, il che spiegherebbe il motivo per cui la nozione di recidiva sia considerata negli ordinamenti nazionali quale istituto la cui applicazione dev’essere prevista dalla legge e come nozione che va interpretata restrittivamente. Orbene, il regolamento n. 17 non conterrebbe alcuna autorizzazione espressa che consenta alla Commissione di aggravare una sanzione in funzione della recidiva.

320    Quanto alle sentenze del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione (Racc. pag. II‑347), ed Enichem Anic/Commissione, citata al precedente punto 277, la ricorrente fa valere che, se è vero che il Tribunale ha effettivamente menzionato la recidiva quale circostanza aggravante, l’illegittimità dell’applicazione di tale istituto nel contesto del regolamento n. 17 non era stata sollevata dalle parti ricorrenti.

321    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione ha violato il principio nulla poena sine lege, in quanto la presa in considerazione della circostanza aggravante della recidiva non ha fondamento giuridico nell’ordinamento comunitario. Orbene, la Corte avrebbe dichiarato che il principio generale di diritto nulla poena sine lege impone un limite al potere discrezionale delle istituzioni nel senso che una sanzione, anche di natura non penale, può essere inflitta solo qualora abbia un fondamento giuridico chiaro e inequivoco (sentenza della Corte 25 settembre 1984, causa 117/83, Könecke, Racc. pag. 3291, punto 11). Inoltre, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe dichiarato che i principi generali e le garanzie connesse ai diritti della difesa si applicano a qualsiasi sanzione il cui scopo sia al contempo preventivo e repressivo, a prescindere dalla qualifica data all’infrazione nel diritto interno (v. sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 21 febbraio 1984, Ostürk, serie A n. 73). Soltanto il Consiglio e il Parlamento disporrebbero, in virtù del loro potere legislativo, della facoltà di conferire all’istituto della recidiva il fondamento giuridico necessario affinché esso venga applicato dalla Commissione in quanto circostanza aggravante.

322    La ricorrente fa inoltre valere che la Corte non ha mai avuto occasione di pronunciarsi sulla legittimità del principio della recidiva alla luce del principio nulla poena sine lege nelle cause richiamate dalla Commissione nel controricorso, vale a dire le sentenze PVC II, citata al precedente punto 154, Thyssen Stahl/Commissione, citata al precedente punto 320, ed Enichem Anic/Commissione, citata al precedente punto 277.

323    Peraltro, dall’analisi delle legislazioni nazionali emergerebbe che negli Stati membri la nozione di recidiva viene applicata in maniera estremamente restrittiva e che gli atti che la istituiscono hanno natura legislativa.

324    In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione ha violato il principio della certezza del diritto e i principi della legalità della sanzione e del rispetto dei diritti della difesa (sentenza della Corte 22 marzo 1961, cause riunite 42/59 e 49/59, Snupat/Alta Autorità, Racc. pag. 97, punto 159), dal momento che, in mancanza di qualsiasi base giuridica che comporti in particolare la determinazione dell’intervallo massimo tra due condanne entro il quale è consentito applicare la nozione della recidiva, la Commissione ha preso in considerazione infrazioni sanzionate rispettivamente nel 1984 e nel 1974.

325    Dall’analisi delle legislazioni nazionali emergerebbe che, tra le condizioni restrittive di applicazione della nozione di recidiva, figura un intervallo massimo, generalmente non superiore a dieci anni, che separa l’infrazione esaminata da una condanna precedente. La mancanza, negli orientamenti, di un limite temporale alla facoltà di tenere conto della recidiva, che la Commissione fa valere nel controricorso, sarebbe appunto l’elemento che secondo la ricorrente rende inammissibile la situazione da essa lamentata, motivo per cui la stessa ricorrente ritiene che la Commissione avrebbe dovuto definire tale limite nei propri orientamenti. Infatti, non sarebbe ammissibile che la Commissione possa prendere in considerazione infrazioni commesse 40 anni prima, oltre tutto da un soggetto diverso.

326    In quarto luogo, la ricorrente fa valere che la decisione impugnata viola a due riprese il principio generale di diritto comunitario del ne bis in idem. Infatti, l’irrogazione di una sanzione più grave in caso di recidiva si fonderebbe su due motivi fondamentali, ossia l’esigenza di dissuadere il soggetto recidivo dal commettere una nuova infrazione in futuro e il fatto che egli fosse consapevole del carattere illecito delle proprie azioni, per le quali era stato condannato in precedenza. Orbene, la Commissione, pur ammettendo che questi due motivi costituiscono il fondamento della sua constatazione della recidiva, commetterebbe l’errore di invocarli entrambi per la seconda volta nella decisione impugnata e di aumentare quindi l’importo dell’ammenda a due riprese per gli stessi motivi.

327    Infatti, nella decisione impugnata la Commissione avrebbe già preso in considerazione, da un lato, la ricerca di un effetto dissuasivo in relazione alla valutazione della gravità dell’infrazione e, dall’altro, la circostanza che la ricorrente era consapevole del carattere illecito del proprio comportamento, laddove la medesima Commissione dichiara di tenere conto del fatto che la ricorrente disponeva delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici per poter facilmente discernere il carattere trasgressivo dei propri comportamenti e per rendersi conto delle conseguenze che potevano derivarne dal punto di vista delle regole della concorrenza. Pertanto, aumentando ulteriormente, in funzione della recidiva, l’importo dell’ammenda per gli stessi due motivi sui quali si fondava la fissazione dell’importo dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione avrebbe violato il principio del ne bis in idem.

328    In quinto luogo, la ricorrente fa valere che, prendendo in considerazione la recidiva in base a fatti risalenti a circa 40 anni prima, che costituiscono quindi un periodo superiore al termine di cinque anni previsto dall’art. 1 del regolamento (CEE) del Consiglio 26 novembre 1974, n. 2988, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea (GU L 319, pag. 1), la Commissione ha violato le norme sulla prescrizione applicabili in materia di azioni e di esecuzione nel settore della concorrenza.

329    In sesto e ultimo luogo, la ricorrente deduce, in subordine, che la Commissione ha interpretato la nozione di recidiva in maniera manifestamente sproporzionata.

330    Da un lato, il ragionamento della Commissione non sarebbe del tutto fondato in fatto, dal momento che la decisione della Commissione 15 maggio 1974, 74/292/CEE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 85 del Trattato CEE (IV/400 – Accordo fra produttori di vetro per contenitori) (GU L 160, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Vetro per contenitori»), non avrebbe inflitto una condanna all’impresa Boussois-Souchon-Neuvesel (BSN) SA (predecessore della ricorrente), ma avrebbe semplicemente sancito il rifiuto, in seguito alla notifica degli accordi, di esentare questi ultimi ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE. La Commissione avrebbe peraltro ammesso implicitamente tale circostanza affermando, nel controricorso, che, quand’anche non si fosse potuto tener conto di detta decisione, la decisione Vetro piano Benelux sarebbe stata sufficiente per constatare l’esistenza di una recidiva.

331    Orbene, la severità eccessiva mostrata nei confronti della ricorrente emergerebbe dal fatto stesso di tenere conto, ai fini della constatazione della recidiva, di una decisione adottata in base a una notifica, il cui scopo è garantire certezza giuridica alle imprese per tutto il periodo in cui la Commissione non si è pronunciata. Pertanto, sarebbe tendenzioso qualificare la suddetta decisione come «constatazione di un’infrazione» al fine di giustificare l’aumento dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

332    D’altro lato, quand’anche il potere della Commissione di constatare una recidiva non fosse soggetto ad alcun limite temporale, la maggiorazione dell’ammenda in considerazione di fatti molto datati – risalenti nella fattispecie a quasi 40 anni prima – oltre a creare incertezza giuridica, sarebbe manifestamente eccessiva. Essa, infatti, equivarrebbe ad irrogare alla più piccola tra le due imprese un’ammenda equivalente a quella inflitta all’impresa che era l’operatore dominante sul mercato. Tale maggiorazione indurrebbe anche a far ritenere che la ricorrente sia un’impresa plurirecidiva che trasgredisce il diritto comunitario da 40 anni.

333    La Commissione sostiene che la recidiva viene menzionata negli orientamenti quale circostanza aggravante e che essa poteva legittimamente tenerne conto. Essa avrebbe preso in considerazione tale circostanza aggravante a più riprese senza essere contraddetta dal Tribunale.

334    Il principio nulla poena sine lege apparterrebbe al diritto penale e non sarebbe applicabile nella fattispecie. Inoltre, la ricorrente trascurerebbe il fatto che il fondamento giuridico delle sanzioni inflitte per violazione delle norme sulla concorrenza è costituito dall’art. 15 del regolamento n. 17 e che la Commissione, in tale ambito, dispone di un potere discrezionale per la determinazione dell’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese. Prevedendo la recidiva tra le circostanze aggravanti, gli orientamenti non avrebbero affatto istituito una sanzione supplementare priva di fondamento giuridico.

335    Per quanto riguarda la presunta violazione del principio della certezza del diritto, gli esempi nazionali citati dalla ricorrente sarebbero confinati all’ambito penale e gli orientamenti non prevederebbero un termine massimo tra la constatazione di un’infrazione precedente e la presa in considerazione della recidiva. Infine, la ricorrente ricollegherebbe erroneamente la recidiva a fatti risalenti a 40 anni prima, mentre le due infrazioni constatate risalirebbero rispettivamente a 19 e 9 anni prima dell’inizio dell’infrazione ora in esame, e tenterebbe di far valere che le relative decisioni riguardavano entità giuridiche diverse, mentre è cambiata soltanto la denominazione.

336    Per quanto riguarda la presunta violazione del principio del ne bis in idem, la Commissione fa valere che la presa in considerazione della recidiva non costituisce un doppione di quella del fatto, attinente alla gravità, che la ricorrente, date le sue conoscenze giuridiche ed economiche, era in grado di rendersi conto del carattere di infrazione dei suoi comportamenti.

337    Quanto all’asserita violazione del regolamento n. 2988/74, i fatti in questione non ricadrebbero nell’ambito di applicazione della prescrizione in materia di irrogazione delle ammende e sarebbe assurdo applicare la prescrizione in base alla data cui risalgono i fatti oggetto di una precedente constatazione d’infrazione. Il punto di partenza dei fatti relativi alle precedenti infrazioni non sarebbe comunque pertinente, dal momento che, in materia di recidiva, sarebbe determinante la constatazione dell’infrazione costituita dai fatti ora in esame.

338    Infine, la Commissione nega di avere interpretato in modo palesemente sproporzionato la nozione di recidiva e osserva che quest’ultima, in ogni caso, è stata constatata alla luce della decisione Vetro piano Benelux.

b)     Giudizio del Tribunale

339    Per quanto riguarda l’asserita violazione del regolamento n. 17, occorre anzitutto ricordare che, ai sensi dell’art. 15, n. 2, di detto regolamento, «[l]a Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille [EUR] ad un massimo di un milione di [EUR], con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza (…) commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1 (…) del Trattato». Nella stessa disposizione si prevede che, «[p]er determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata» (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 223).

340    Orbene, gli orientamenti enunciano, al punto 1, primo capoverso, che ai fini del calcolo dell’importo delle ammende l’importo di base è determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, che sono i soli criteri indicati all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 224).

341    In seguito, gli orientamenti riportano, a titolo d’esempio, un elenco di circostanze aggravanti e attenuanti che possono essere prese in considerazione per aumentare o diminuire l’importo di base riferendosi poi alla comunicazione sulla cooperazione (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente 57, punto 229).

342    Come osservazione generale, gli orientamenti precisano che l’ammenda calcolata secondo lo schema di cui sopra (importo di base più o meno le percentuali di maggiorazione e riduzione) non può in alcun caso superare il 10% del volume d’affari mondiale delle imprese, come previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 [punto 5, lett. a)]. Inoltre gli orientamenti prevedono che, dopo aver effettuato i calcoli di cui sopra, occorrerà prendere in considerazione, secondo le circostanze, taluni elementi obiettivi quali il contesto economico specifico, il vantaggio economico o finanziario realizzato dagli autori dell’infrazione, le caratteristiche delle imprese in questione nonché la loro capacità contributiva reale in un contesto sociale particolare, adeguando di conseguenza, in fine, gli importi delle ammende [punto 5, lett. b)] (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 230).

343    Ne consegue che, secondo la metodologia enunciata negli orientamenti, il calcolo delle ammende viene effettuato in funzione dei due criteri citati all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, vale a dire la gravità dell’infrazione e la sua durata, nel rispetto del limite massimo in relazione al volume d’affari di ciascuna impresa, stabilito con la medesima disposizione (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 231).

344    Di conseguenza, non si può ritenere che gli orientamenti trascendano il contesto giuridico delle sanzioni come definito da tale disposizione (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 232).

345    Al punto 2, primo trattino, degli orientamenti, la Commissione ha previsto la possibilità di aumentare l’importo di base dell’ammenda in base alla circostanza aggravante costituita dalla recidiva di una o più imprese per un’infrazione del medesimo tipo.

346    Secondo costante giurisprudenza, l’effetto dissuasivo delle ammende costituisce uno degli elementi di cui la Commissione può tenere conto per valutare la gravità dell’infrazione e, di conseguenza, per determinare il livello dell’ammenda, dal momento che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (v., in tal senso, ordinanza SPO e a./Commissione, citata al precedente punto 137, punto 54; sentenze Ferriere Nord/Commissione, citata al precedente punto 137, punto 33; 14 maggio 1998, Sarrió/Commissione, citata al precedente punto 137, punto 328, e HFB e a./Commissione, citata al precedente punto 245, punto 443).

347    Dalla giurisprudenza discende inoltre che, per valutare la gravità di un’infrazione, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve tener conto non solo delle circostanze particolari della fattispecie, ma anche del contesto in cui si colloca l’infrazione e curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo, soprattutto per i tipi di trasgressioni particolarmente nocive al conseguimento degli scopi della Comunità (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 50, punti 105 e 106, e ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 50, punto 166).

348    A tale proposito, nell’analisi della gravità dell’infrazione commessa si deve tenere conto di un’eventuale recidiva (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, citata al precedente punto 185, punto 91). Orbene, in un’ottica di dissuasione, la recidiva costituisce una circostanza che giustifica un notevole aumento dell’importo di base dell’ammenda, poiché prova infatti che la sanzione precedentemente imposta non è stata abbastanza dissuasiva (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071, punto 293).

349    D’altro canto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la circostanza della recidiva, nonostante sia connessa a una caratteristica propria all’autore dell’infrazione, ossia la propensione a commettere tali infrazioni, costituisce appunto, proprio per questo motivo, un indice molto significativo della gravità del comportamento considerato e quindi dell’esigenza di aumentare il livello della sanzione ai fini di un’effettiva dissuasione.

350    Si deve pertanto constatare che, poiché la Commissione è tenuta a cercare un effetto sufficientemente dissuasivo, soprattutto per quanto riguarda le infrazioni più nocive, e considerato che l’obiettivo della dissuasione rientra nella valutazione della gravità di un’infrazione operata dalla Commissione nell’ambito dell’art. 15 del regolamento n. 17, la Commissione, applicando la circostanza aggravante della recidiva nei confronti della ricorrente, non ha commesso alcuna violazione del suddetto articolo.

351    La Commissione, constatando una recidiva della ricorrente, non potrebbe neanche aver violato il principio nulla poena sine lege, in quanto è pacifico che tale possibilità è contemplata al punto 2, primo trattino, degli orientamenti e che non si può ritenere che questi ultimi trascendano il contesto giuridico delle sanzioni quale definito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 57, punti 231 e 232).

352    Per quanto riguarda la presunta violazione del principio della certezza del diritto, si deve ricordare che un termine di prescrizione può garantire una funzione di tutela della certezza del diritto e la sua violazione costituire un’inosservanza di tale principio solo se tale termine di prescrizione è stato stabilito in precedenza (v., in tal senso, sentenza della Corte 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 19).

353    Orbene, né l’art. 15 del regolamento n. 17, che costituisce il contesto normativo delle sanzioni che possono essere inflitte dalla Commissione per un’infrazione alle regole comunitarie in materia di concorrenza (v. precedenti punti 133‑135), né gli orientamenti prevedono un termine massimo per constatare una recidiva nei confronti di un’impresa. Pertanto, nella fattispecie non è stata rilevata alcuna violazione del principio della certezza del diritto.

354    In ogni caso, si deve rilevare che la Commissione, ai fini dell’applicazione della recidiva, si è basata quanto meno sul fatto che nei confronti della ricorrente era stata precedentemente constatata un’infrazione in data 23 luglio 1984, nella decisione Vetro piano Benelux. Ora, alla luce dell’obiettivo perseguito dalla Commissione allorché aumenta l’ammenda per recidiva, vale a dire dissuadere l’autore di un’infrazione dal commetterne un’altra analoga, il fatto di avere tenuto conto a tal fine di un’infrazione constatata diciassette anni prima non può costituire una violazione del principio della certezza del diritto. Ciò vale a maggiore ragione in quanto, nella fattispecie, l’infrazione è iniziata il 28 gennaio 1993, ossia soltanto otto anni e sei mesi dopo l’adozione della decisione Vetro piano Benelux. Infatti, una politica intesa a sanzionare la recidiva produce un effetto utile sull’autore di una prima infrazione solo se la minaccia di una sanzione più severa dispiega i suoi effetti nel tempo, orientando in tal modo il comportamento del trasgressore.

355    La validità di tale ragionamento non può essere inficiata dal fatto che la Commissione, nella decisione impugnata, ha anche rilevato che nei confronti della ricorrente era stata constatata una prima infrazione analoga il 15 maggio 1974, nella decisione Vetro per contenitori, ossia 27 anni prima dell’infrazione ora in esame. Ciò vale a maggior ragione in quanto, come ha osservato giustamente la stessa Commissione in udienza, il fatto che, a due riprese, siano trascorsi meno di dieci anni tra gli accertamenti di infrazione effettuati rispettivamente il 15 maggio 1974 e il 23 luglio 1984 e la reiterazione di un comportamento illecito da parte della ricorrente dimostra una propensione di quest’ultima a non trarre le debite conseguenze da una constatazione nei suoi confronti di una violazione delle regole comunitarie in materia di concorrenza.

356    Per quanto riguarda l’asserita violazione del principio del ne bis in idem, è importante rilevare, da un lato, che la Commissione, al punto 1 A, quarto capoverso, degli orientamenti, ha annunciato la propria intenzione di tener conto, ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda in funzione della gravità, dell’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno economico consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e di fissare l’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo. D’altro canto, al quinto capoverso del medesimo punto degli orientamenti, la Commissione ha aggiunto che si può anche tener conto del fatto che le imprese di grandi dimensioni dispongono quasi sempre di conoscenze e di infrastrutture giuridico-economiche che consentono loro di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento e delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo del diritto della concorrenza. Infine, al punto 2 degli orientamenti, la Commissione ha menzionato, a titolo d’esempio di circostanze aggravanti che possono determinare un aumento dell’importo di base, la recidiva della stessa impresa per un’infrazione del medesimo tipo.

357    Nella fattispecie, al punto 305 della decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato di prendere in considerazione, data l’esigenza di fissare l’importo delle ammende a un livello tale da garantire loro un effetto sufficientemente dissuasivo, il fatto che la ricorrente è una grande impresa internazionale e, soprattutto, un’impresa a produzione diversificata. La Commissione ha inoltre precisato, al punto 306, di avere tenuto conto del fatto che la ricorrente e, alla data in cui è stata adottata la decisione, la sua controllata Alken‑Maes disponevano delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici per poter facilmente discernere il carattere trasgressivo dei propri comportamenti e per rendersi conto delle conseguenze che potevano derivarne dal punto di vista del diritto di concorrenza. Infine, al punto 314 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato, nell’ambito delle osservazioni dedicate all’aumento dell’ammenda in funzione delle circostanze aggravanti, che la ricorrente era già stata condannata a due riprese per analoghe violazioni dell’art. 81 CE.

358    A tale proposito, si deve constatare, anzitutto, che le condizioni di applicazione del principio del ne bis in idem, quale definito dalla giurisprudenza in materia di concorrenza (v. precedente punto 185), nella fattispecie non sono soddisfatte, in quanto la Commissione, nel calcolare l’importo dell’ammenda, si è limitata a tener conto di un insieme di considerazioni di fatto ritenute pertinenti al fine di fissare l’ammenda a un livello tale da garantirle un effetto sufficientemente dissuasivo.

359    In ogni caso, risulta che la presa in considerazione di ciascuno dei criteri di valutazione della gravità si fonda su motivi distinti. Infatti, la valutazione relativa, anzitutto, alla qualità di impresa internazionale e a produzione diversificata della ricorrente è giustificata dall’esigenza di fissare l’ammenda a un livello sufficientemente dissuasivo, tenuto conto della sua potenza economica e finanziaria (v. precedenti punti 167‑182). Inoltre, la presa in considerazione del fatto che la ricorrente disponeva delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici che le consentivano di poter facilmente discernere il carattere trasgressivo dei propri comportamenti e di rendersi conto delle loro conseguenze si giustifica a sua volta con l’esigenza supplementare di dissuasione comprovata dal fatto che la ricorrente ha commesso l’infrazione di cui è causa nonostante avesse gli strumenti, data la sua capacità d’analisi, per comprendere il carattere trasgressivo del proprio comportamento e rendersi conto delle sue conseguenze (v. precedente punto 175). Infine, la presa in considerazione della recidiva si giustifica con l’esigenza di dissuasione supplementare comprovata dal fatto che due precedenti constatazioni d’infrazione non sono bastate per impedire che fosse commessa una terza infrazione.

360    Per quanto riguarda l’asserita violazione del regolamento n. 2988/74, è sufficiente constatare che esso prevede il termine di prescrizione applicabile in relazione al potere della Commissione di infliggere ammende per violazione delle regole in materia di concorrenza, ma non contiene alcuna disposizione che ne limiti il potere di prendere in considerazione, in quanto circostanza aggravante e ai fini della determinazione dell’importo di un’ammenda per violazione delle regole di concorrenza, il fatto che un’impresa sia già stata condannata per una trasgressione delle medesime regole. Pertanto, l’applicazione di siffatta circostanza aggravante nei confronti della ricorrente non può comportare alcuna violazione del regolamento n. 2988/74.

361    Per quanto riguarda l’argomento secondo cui la Commissione avrebbe adottato un’interpretazione manifestamente sproporzionata della nozione di recidiva, occorre rilevare che, al punto 2 degli orientamenti, la stessa Commissione ha definito la circostanza aggravante della recidiva come «recidiva della/delle medesima/e impresa/e per un’infrazione del medesimo tipo».

362    Occorre peraltro rilevare che la nozione di recidiva, quale è intesa in un certo numero di ordinamenti giuridici nazionali, implica che una persona abbia commesso nuove infrazioni dopo essere stata punita per violazioni analoghe (sentenze Thyssen Stahl/Commissione, citata al precedente punto 320, punto 617, e 30 settembre 2003, Michelin/Commissione, citata al precedente punto 348, punto 284).

363    Tuttavia, si deve precisare che la nozione di recidiva, tenuto conto dell’obiettivo perseguito, non implica necessariamente che sia stata in precedenza inflitta una sanzione pecuniaria, ma solo che sia stata constatata una precedente infrazione. Infatti, la presa in considerazione della recidiva comporta, per una determinata infrazione, una più severa punizione dell’impresa che si è resa responsabile dei fatti che costituiscono l’infrazione stessa, qualora risulti che la precedente constatazione di un’infrazione da essa commessa non sia stata sufficiente a impedire la reiterazione di un comportamento illecito. A tale proposito, l’elemento decisivo della recidiva non è costituito dalla precedente irrogazione di una sanzione, bensì dalla precedente constatazione di un’infrazione da parte del medesimo soggetto.

364    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la decisione Vetro per contenitori, di cui essa è stata destinataria nel 1974, non può essere presa in considerazione al fine di determinare la circostanza della recidiva nella fattispecie ora in esame, in quanto la suddetta decisione aveva tratto origine da una notifica e non ha comportato l’irrogazione di ammende, si deve rilevare che l’art. 3 della detta decisione dispone che «[l]e imprese partecipanti agli accordi di cui all’articolo 1 sono tenute a porre immediatamente fine alle infrazioni constatate».

365    Pertanto, la ricorrente è già stata oggetto di un accertamento di infrazione per fatti analoghi a quelli ora in esame. Orbene, tale circostanza non le ha impedito di reiterare il suo comportamento illecito. La Commissione ha quindi giustamente applicato la recidiva nei suoi confronti.

366    In ogni caso, è giocoforza constatare che la decisione Vetro piano Benelux del 1984 ha comportato una sanzione pecuniaria e la recidiva è stata applicata in considerazione di tale circostanza. Orbene, da nessun elemento della decisione impugnata emerge che la constatazione, da parte della Commissione, del fatto che la recidiva discende da due precedenti ha determinato un aumento dell’ammenda in funzione di una circostanza aggravante superiore a quello che sarebbe stato applicato nel caso in cui fosse stato rilevato un unico precedente.

367    Per quanto riguarda, infine, l’argomento secondo cui l’aumento dell’ammenda per recidiva è eccessivo in quanto conduce a infliggere alla ricorrente, nonostante le sue modeste dimensioni, un’ammenda equivalente a quella applicata nei confronti della Interbrew, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, tra i fattori considerati per valutare la gravità di un’infrazione possono rientrare, a seconda dei casi, il volume e il valore delle merci oggetto della trasgressione nonché le dimensioni e la forza economica dell’impresa e, quindi, l’influenza che questa ha potuto esercitare sul mercato. Ne consegue che è possibile, per commisurare l’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa quanto della parte di tale fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell’infrazione, ma che non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto ad altri criteri di valutazione (v., in tal senso, sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 50, punti 120 e 121; Parker Pen/Commissione, citata al precedente punto 115, punto 94, e SCA Holding/Commissione, citata al precedente punto 158, punto 176).

368    D’altro canto, l’effetto dissuasivo delle ammende costituisce uno degli elementi di cui la Commissione può tenere conto per valutare la gravità dell’infrazione e, di conseguenza, per determinare il livello dell’ammenda, dal momento che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza SPO e a./Commissione, citata al precedente punto 137, punto 54; sentenze Ferriere Nord/Commissione, citata al precedente punto 137, punto 33, e 14 maggio 1998, Sarrió/Commissione, citata al precedente punto 137, punto 328).

369    Ne consegue che il fatto che alla ricorrente sia stata inflitta un’ammenda non proporzionata alla sua importanza sul mercato in questione discende non già da un’interpretazione manifestamente sproporzionata della nozione della recidiva, bensì dal complesso delle considerazioni di cui la Commissione poteva legittimamente tener conto per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alla ricorrente.

370    Vanno quindi disattese tutte le censure formulate dalla ricorrente nell’ambito del presente motivo, che va quindi respinto nella sua interezza.

5.     Sul motivo concernente l’insufficiente presa in considerazione delle circostanze attenuanti applicabili

371    Il motivo si articola in quattro parti. Nella prima parte, la ricorrente lamenta che la Commissione non abbia tenuto conto del fatto che l’infrazione non ha avuto effetti sul mercato. Nella seconda, la ricorrente fa valere che la Commissione ha erroneamente trascurato l’influenza esercitata sui comportamenti controversi dal regime di controllo dei prezzi e della secolare tradizione di concertazione che caratterizza il settore della birra. Nella terza parte, la ricorrente fa valere la situazione di crisi esistente all’epoca dei fatti. Infine, nella quarta parte, essa si richiama al carattere minaccioso della posizione della Interbrew.

a)     Sulla prima parte, relativa al rifiuto della Commissione di tener conto del fatto che l’infrazione non ha avuto effetti sul mercato

 Argomenti delle parti

372    La ricorrente fa valere che, conformemente agli orientamenti, che su questo punto hanno codificato una prassi corrente della Commissione, quest’ultima deve tener conto, in quanto circostanza attenuante, del fatto che l’intesa ha avuto solo un effetto limitato sulla concorrenza. In vari procedimenti, infatti, la Commissione avrebbe preso in considerazione, quale circostanza attenuante, la mancanza di effetti sul mercato degli accordi controversi, nonché il fatto che tali accordi non erano stati attuati, o erano stati attuati solo in parte. Il fatto che la Commissione non sia vincolata dalla sua prassi precedente non può giustificare che tale prassi venga ignorata in presenza di fatti analoghi.

373    Inoltre, la Commissione confonderebbe la valutazione della gravità dell’intesa con la presa in considerazione di circostanze attenuanti. Benché debba tener conto degli effetti dell’infrazione sul mercato al fine di valutarne la gravità, essa sarebbe tenuta a considerare quale circostanza attenuante la mancata applicazione effettiva degli accordi o delle pratiche illecite considerate.

374    Concludendo che le parti non hanno applicato tutti gli specifici accordi dell’intesa non significa che detta intesa, in quanto tale, non è stata effettivamente attuata e che il fatto che alcuni elementi dell’infrazione non siano stati posti in atto era insufficiente, di per sé, per ammettere l’esistenza di una circostanza attenuante, la Commissione avrebbe ignorato la realtà dei fatti.

375    Da questi ultimi emergerebbe, anzitutto, che gli accordi tra la Interbrew e la ricorrente relativi alla struttura tariffaria e alla politica promozionale sono stati realizzati solo in misura molto parziale e avrebbero quindi avuto un effetto molto limitato sul mercato.

376    Inoltre, la Alken‑Maes e la Interbrew avrebbero ripetutamente dichiarato, non ultimo nei documenti interni contemporanei alle concertazioni, che le discussioni sono rimaste allo stadio di tentativi e non hanno prodotto alcun effetto sulla concorrenza. Da vari documenti e da varie dichiarazioni menzionati nella decisione impugnata emergerebbe che i colloqui non hanno avuto alcuna efficacia pratica. Sarebbero rimasti intatti vari aspetti del gioco della concorrenza, come dimostrerebbe in particolare la lotta accanita tra le imprese partecipanti al cartello per stipulare contratti di esclusiva con i pubblici esercizi. Peraltro, il fascicolo della Commissione conterrebbe vari documenti da cui emergerebbe la mancanza di effetti sulla concorrenza.

377    Inoltre, le statistiche relative alle vendite dimostrerebbero sufficientemente l’assenza di effetti concreti o, quanto meno, la scarsa incidenza sul mercato degli incontri tra la Interbrew e la Alken‑Maes. Le parti avrebbero continuato a farsi una concorrenza feroce in tutti i segmenti del mercato. Dal fascicolo risulterebbe in particolare che la Alken‑Maes ha adottato una politica aggressiva di sconti commerciali nel settore della distribuzione alimentare nel 1992 e nel 1993. La Alken‑Maes avrebbe inoltre continuato a perdere quote di mercato tra il 1993 e il 1998 e sarebbe stata la principale perdente nel periodo considerato, sia nel settore delle birre pils che in quello delle birre analcoliche.

378    Nel 1994, peraltro, la Alken-Maes, al fine di orientare la propria politica commerciale, avrebbe continuato a effettuare studi sull’elasticità dei prezzi dai quali emergeva che la Interbrew sarebbe stata la principale perdente in caso di riduzione dei prezzi. La Alken‑Maes avrebbe quindi perseguito una politica concorrenziale il cui obiettivo principale consisteva nell’acquisire quote di vendita della Interbrew, nonostante l’esistenza di colloqui sulla struttura tariffaria, avviati dalla Interbrew.

379    La ricorrente fa valere, infine, la mancanza di meccanismi di coercizione atti a garantire il rispetto e l’attuazione pratica dell’accordo, circostanza che sarebbe stata considerata dalla Commissione come circostanza attenuante nella decisione Polipropilene.

380    La Commissione sostiene che i precedenti citati dalla ricorrente sono irrilevanti, in quanto sono antecedenti alla pubblicazione degli orientamenti e riguardano situazioni non sempre paragonabili al caso in esame. Nella fattispecie, gli accordi anticoncorrenziali sarebbero stati posti in atto e l’attuazione parziale di alcuni aspetti sarebbe stata debitamente presa in considerazione per valutare la gravità dell’intesa.

381    Sarebbe irrilevante l’argomento secondo cui la lotta accanita tra le parti per stipulare contratti con i pubblici esercizi dimostrerebbe l’esistenza di un gioco concorrenziale ancora aperto. Quanto ai dubbi espressi da un responsabile della Interbrew in merito all’efficacia dell’intesa, essi non basterebbero per minimizzare la portata della constatazione, effettuata dalle partecipanti al cartello durante la riunione del 28 gennaio 1998, che determinati obiettivi erano stati realizzati. Infine, la riduzione della quota di mercato della Alken‑Maes non dimostrerebbe la mancanza di effetti, dal momento che tale riduzione avrebbe potuto essere ancora più consistente nel caso in cui il cartello non fosse esistito. Quanto agli studi della Alken-Maes sull’elasticità dei prezzi, essi non sarebbero che progetti preliminari che non sollevano alcun dubbio circa il carattere illecito della concertazione.

 Giudizio del Tribunale

382    Come risulta dalla giurisprudenza citata ai precedenti punti 277 e 278, qualora un’infrazione sia stata commessa da più imprese, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende occorre determinare la gravità relativa della partecipazione di ciascuna di esse, il che implica, in particolare, l’accertamento dei ruoli rispettivamente svolti nell’infrazione durante il periodo della loro partecipazione.

383    Il punto 3 degli orientamenti contiene, nella sezione relativa alle circostanze attenuanti, un elenco non tassativo di circostanze che possono determinare una riduzione dell’importo di base dell’ammenda. Vi si fa riferimento ad esempio al ruolo esclusivamente passivo ed emulativo di un’impresa nella realizzazione dell’infrazione, alla non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite, alla cessazione delle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione, all’esistenza di un ragionevole dubbio dell’impresa circa il carattere di infrazione del comportamento restrittivo della concorrenza, al fatto che l’infrazione sia stata commessa per negligenza e non deliberatamente, nonché alla collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Le circostanze menzionate sono tutte connesse al comportamento di ciascuna impresa.

384    Ne consegue che, ai fini della valutazione delle circostanze attenuanti, compresa quella relativa alla mancata applicazione degli accordi, occorre prendere in considerazione non già gli effetti risultanti dall’infrazione nel suo complesso, di cui si deve tenere conto per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato ai fini della valutazione della sua gravità (punto 1 A, primo capoverso, degli orientamenti), bensì il comportamento individuale di ciascuna impresa, onde esaminare la gravità relativa della sua partecipazione all’infrazione.

385    Nella fattispecie, è quindi importante verificare se gli argomenti dedotti dalla ricorrente siano atti a dimostrare che essa, durante il periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, si è effettivamente sottratta alla loro applicazione adottando sul mercato un comportamento concorrenziale (v., in tal senso, sentenza Cemento, citata al precedente punto 31, punti 4872-4874).

386    La ricorrente deduce sostanzialmente cinque argomenti a sostegno della circostanza attenuante fatta valere relativamente alla non attuazione effettiva degli accordi.

387    Per quanto riguarda il primo argomento, relativo all’attuazione molto parziale dei colloqui intervenuti tra la Interbrew e la ricorrente, si deve constatare che quest’ultima non fa valere la mancata applicazione dei risultati della concertazione sulla struttura tariffaria e la politica promozionale, ma solo la loro messa in atto parziale. D’altro canto, si deve sottolineare che la detta concertazione rappresenta solo una parte dell’infrazione constatata, che comprende in particolare un patto generale di non aggressione, un accordo sui prezzi nel commercio al dettaglio, la ripartizione dei clienti nel settore horeca, la limitazione degli investimenti e della pubblicità nel mercato horeca e uno scambio di informazioni sulle vendite nel settore horeca e nel commercio al dettaglio.

388    Per quanto riguarda il secondo argomento, relativo al fatto che i colloqui sono rimasti allo stadio di tentativo e non hanno avuto alcun effetto sulla concorrenza, è sufficiente rilevare che tale circostanza, quand’anche si fosse verificata, dimostrerebbe non già la mancata applicazione degli accordi, bensì, al contrario, una volontà, sia pure rimasta senza conseguenze, di mettere in atto gli accordi in questione. Lo stesso vale per la rilevanza che occorre attribuire alla corrispondenza tra la Interbrew e Alken-Maes relativa ai pubblici esercizi legati da contratti di esclusiva. La formulazione di reciproche recriminazioni in tale contesto dev’essere valutata alla luce del patto generale di non aggressione concluso dalle due imprese (v. precedente punto 147) e dimostra, a tale riguardo, più la volontà di far rispettare il detto accordo che quella di non dargli effettivamente esecuzione. In ogni caso, la corrispondenza che asseritamente costituisce la prova di una lotta accanita per concludere contratti di esclusiva con i pubblici esercizi riguarda soltanto un periodo di sei mesi, vale a dire dall’agosto 1996 al gennaio 1997.

389    Per quanto riguarda il terzo argomento, ossia quello relativo alla dimostrazione statistica della mancanza di effetti sul mercato, occorre constatare che tale dimostrazione, quand’anche sussistesse, sarebbe irrilevante, in quanto non proverebbe affatto la mancata applicazione effettiva degli accordi. Lo stesso vale per la presunta politica aggressiva di sconti, poiché la ricorrente non ha dimostrato che detta politica possa essere considerata come prova del fatto che essa si è sottratta agli accordi di cui era parte. In ogni caso, è giocoforza constatare che tale comportamento inciderebbe sull’applicazione degli accordi solo in misura limitata, dal momento che questi ultimi superano per ampiezza, sotto il profilo sia della sostanza che della durata, gli episodi di lotta concorrenziale menzionati. Infatti, la presunta politica aggressiva di sconti commerciali che la Alken-Maes avrebbe adottato nella distribuzione alimentare sarebbe limitata, secondo la stessa ricorrente, agli esercizi 1992 e 1993.

390    Per quanto riguarda il quarto argomento, occorre rilevare come il fatto che la Alken-Maes abbia continuato nel 1994 a effettuare studi sull’elasticità, quand’anche questi ultimi dimostrassero che la Interbrew aveva maggiormente da perdere da una riduzione del prezzo della birra Maes, non è affatto dimostrato che la ricorrente e la sua controllata si siano effettivamente sottratte agli accordi adottando un comportamento concorrenziale sul mercato.

391    Pertanto, nessuno dei primi quattro argomenti dedotti dalla ricorrente consente di concludere che quest’ultima, durante il periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, si è effettivamente sottratta alla loro applicazione adottando un comportamento concorrenziale sul mercato.

392    Si deve inoltre rilevare che la conclusione che la stessa ricorrente trae dai propri argomenti, ossia l’impatto limitato delle concertazioni sul mercato, dimostra di per sé che tali argomenti riguardano non la tematica delle circostanze attenuanti, bensì la gravità complessiva dell’infrazione, che non costituisce l’oggetto del presente motivo.

393    Lo stesso vale per quanto riguarda il quinto argomento addotto dalla ricorrente, ossia la mancanza di meccanismi di coercizione tali da garantire il rispetto e l’attuazione pratica dell’accordo, dal momento che, conformemente agli orientamenti, tale circostanza, quand’anche sussistesse, andrebbe presa in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione e non potrebbe costituire una circostanza attenuante basata sul comportamento individuale della ricorrente. Infatti, secondo costante giurisprudenza, l’assenza di misure di controllo dell’attuazione di un’intesa non può di per sé costituire una circostanza attenuante (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑348/94, Enso Española/Commissione, Racc. pag. II‑1875, punto 318).

394    D’altro canto, occorre rilevare che, nella decisione Polipropilene, cui fa riferimento la ricorrente, la Commissione non ha considerato l’assenza di meccanismi di coercizione come una circostanza attenuante di cui si poteva tenere conto a titolo individuale per le imprese destinatarie, bensì, al contrario, come un fattore da prendere in considerazione al fine di valutare la gravità complessiva dell’infrazione.

395    Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo cui, in passato, sia l’assenza di effetti sul mercato che la mancanza di meccanismi coattivi sarebbero state considerate quali circostanze attenuanti dalla Commissione, si deve rilevare come il semplice fatto che quest’ultima, nelle decisioni precedenti, abbia considerato che certi elementi costituivano circostanze attenuanti ai fini della determinazione dell’ammontare dell’ammenda non implica che essa sia tenuta ad effettuare la medesima valutazione in una decisione successiva (v. precedente punto 57). Infatti, la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza (v. la giurisprudenza citata al precedente punto 153). Ora, risulta dalla giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 134 e 135 che la Commissione dispone, nell’ambito del regolamento n. 17, di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza e che il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 17, se ciò è necessario a garantire l’attuazione della politica comunitaria in materia di concorrenza. L’efficace applicazione delle norme comunitarie della concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica.

396    La prima parte del motivo va quindi disattesa.

b)     Sulla seconda parte, relativa al fatto che la Commissione non ha preso in considerazione l’influenza del regime di controllo dei prezzi e la tradizione secolare di concertazione che caratterizza il settore della birra

 Argomenti delle parti

397    La ricorrente fa valere che la Commissione, analogamente a quanto ha stabilito nella decisione Traghetti greci, che, contrariamente a quanto si afferma al punto 320 della decisione impugnata, sarebbe paragonabile al presente procedimento, avrebbe dovuto considerare quale circostanza attenuante l’influenza delle pratiche tradizionali di determinazione del prezzo sul mercato della birra.

398    Infatti, la Commissione avrebbe ignorato che la legge sui prezzi, in vigore dal 1945 al 1993, imponeva a ogni impresa sotto controllo − compresa la ricorrente e gli altri produttori di birra − di presentare domande di autorizzazione all’aumento dei prezzi, sia individuali sia collettive, e questo fino al maggio 1993, conformemente a una tradizione secolare di concertazione e di scambio di informazioni tra produttori di birra. La ricorrente ricorda inoltre che, nonostante l’esistenza di due procedure distinte, le richieste di aumento di prezzo venivano presentate collettivamente dalla CBB, in quanto tale procedura corrispondeva alla preferenza espressa dal Ministro degli Affari economici per motivi di semplicità amministrativa. Peraltro, esigendo che la domanda collettiva presentata dalla CBB in relazione ai prezzi e alle altre condizioni di vendita fosse molto dettagliata, il regime di controllo dei prezzi avrebbe necessariamente favorito la concertazione sui prezzi tra produttori di birra.

399    Quanto alla perpetuazione del comportamento contestato dopo il maggio 1993, essa si porrebbe nella continuità di una disciplina che non farebbe che rafforzare una tradizione secolare di concertazione tra produttori di birra. Tale tradizione spiegherebbe le difficoltà incontrate dalle parti nello svincolarsi immediatamente da tale schema tradizionale. È per tale motivo che il regime di controllo dei prezzi, che genera comportamenti inerziali, andrebbe considerato quale circostanza attenuante, come la Commissione avrebbe fatto nelle decisioni 15 dicembre 1982, 82/896/CEE, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 85 del Trattato CEE (IV/29.883 – UGAL/BNIC) (GU L 379, pag. 1; in prosieguo: la «decisione BNIC», punto 77), e 26 novembre 1986, 86/596/CEE, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 85 del Trattato CEE (IV/31.204 – Meldoc) (GU L 348, pag. 50; in prosieguo: la «decisione Meldoc», punto 77).

400    D’altro canto, la Commissione avrebbe erroneamente considerato che, se doveva riconoscerlo, il controllo dei prezzi aveva influenzato la concertazione solo fino al 23 dicembre 1992, data dell’ultima richiesta collettiva di aumento dei prezzi presentata dalla CBB, mentre i produttori di birra sono stati indotti, in fatto e in diritto, a concertarsi sui prezzi di alcune birre fino al 1993, data di entrata in vigore del decreto ministeriale che ha abrogato il regime di controllo dei prezzi. La Commissione avrebbe quindi errato nel concludere, al punto 247 della decisione impugnata, che la riunione del 28 gennaio 1993, essendo posteriore a quella del 23 dicembre 1992, non poteva essere considerata una riunione fra produttori di birra, nell’ambito della CBB, per una richiesta collettiva di aumento dei prezzi.

401    Infine, facendo riferimento, al punto 247 della decisione impugnata, a una riunione tenutasi con i distributori di birra per giustificare il proprio rifiuto di considerare quale circostanza attenuante il controllo dei prezzi, la Commissione trascurerebbe il fatto che il regime di controllo dei prezzi riguardava non solo i produttori, ma anche gli importatori di birra.

402    La Commissione fa valere di avere rilevato nella decisione impugnata che, a differenza dei fatti considerati nella decisione Traghetti greci, la procedura collettiva dei produttori di birra per la notifica degli aumenti di prezzo costituiva soltanto una facoltà, e non un obbligo. A tale proposito, sarebbe irrilevante il fatto che il Ministro degli Affari economici abbia espresso la propria preferenza per misure collettive. La Commissione aggiunge che, se la disciplina sui prezzi avesse avuto l’impatto che la ricorrente le attribuisce, tutti i produttori di birra sarebbero stati coinvolti nella concertazione, mentre lo sono stati solo i due principali produttori.

403    La Commissione osserva inoltre che, se il controllo dei prezzi è terminato il 1° maggio 1993, l’ultima richiesta collettiva di aumento dei prezzi, in ogni caso, è stata presentata il 23 dicembre 1992, e che i primi elementi della concertazione considerati, risalenti al 28 gennaio 1993, sono successivi a tale data. Orbene, quand’anche fosse esistita, la «tradizione di concertazione» non potrebbe costituire un’eterna circostanza attenuante. Quanto alle decisioni BNIC e Meldoc, esse sarebbero precedenti alla pubblicazione degli orientamenti e non avrebbero considerato quale circostanza attenuante l’esistenza di un regime di controllo dei prezzi.

 Giudizio del Tribunale

404    In limine, occorre rilevare che la ricorrente, anzitutto, non rimette in discussione la constatazione, da parte della Commissione, dell’esistenza di un’infrazione a partire dal 28 gennaio 1993. Inoltre, risulta dalla decisione impugnata, e neanche tale circostanza è oggetto di contestazione, che il meccanismo di controllo dei prezzi è stato applicato al settore della birra fino al 1° maggio1993, data in cui è stato abolito. Si deve quindi stabilire se l’esistenza di tale meccanismo fino alla suddetta data costituisse una circostanza attenuante che la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione. A tale proposito, si deve rilevare che l’argomento della ricorrente equivale in sostanza a invocare la circostanza attenuante menzionata al punto 3, quarto trattino, degli orientamenti, ossia l’«esistenza di un dubbio ragionevole dell’impresa circa il carattere di infrazione del comportamento restrittivo della concorrenza».

405    In primo luogo, va rilevato che, in risposta ai quesiti sottopostile dal Tribunale in udienza, concernenti l’esatta portata del meccanismo di controllo dei prezzi in vigore fino al 1° maggio 1993, la ricorrente ha dichiarato che dalle disposizioni relative al controllo dei prezzi emerge chiaramente che i produttori di birra potevano sottoporre all’approvazione del Ministro degli Affari economici sia una richiesta collettiva tramite la CBB, mantenendo, se del caso, il riserbo sui prezzi, sia richieste individuali.

406    In secondo luogo, si deve constatare che, tenuto conto, da un lato, dell’estrema gravità, per loro stessa natura, dei fatti di cui è causa (v. precedenti punti 145‑155) e, dall’altro, delle risorse intellettuali e materiali di cui disponevano la ricorrente e la sua controllata Alken‑Maes, che consentivano loro di rendersi conto delle caratteristiche del quadro normativo e delle conseguenze che, alla luce di tale contesto, potevano derivare dal loro comportamento sotto il profilo del diritto comunitario della concorrenza, non si può validamente sostenere che il meccanismo di controllo dei prezzi in vigore fino al 1° maggio 1993 abbia fatto sorgere nella ricorrente un dubbio ragionevole quanto al carattere di infrazione del comportamento restrittivo della concorrenza. Inoltre, ciò vale a maggior ragione se si considera che alla ricorrente sono state contestate in passato analoghe infrazioni del diritto comunitario della concorrenza.

407    In terzo luogo, per quanto riguarda le decisioni che, secondo la ricorrente, costituirebbero precedenti della presa in considerazione da parte della Commissione dell’esistenza di un regime di controllo dei prezzi in quanto circostanza attenuante, occorre rilevare che, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 395, il semplice fatto che la Commissione, nelle decisioni anteriori, abbia considerato che certi elementi costituivano circostanze attenuanti ai fini della determinazione dell’ammontare dell’ammenda non implica che essa sia tenuta ad effettuare la medesima valutazione in una decisione successiva. Infatti, la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza. Ora, la Commissione dispone, nell’ambito del regolamento n. 17, di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza e il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 17, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza. L’efficace applicazione delle norme comunitarie della concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica.

408    Poiché, nella fattispecie, l’esistenza di un meccanismo di controllo dei prezzi non può costituire una circostanza attenuante per il periodo compreso tra il 28 gennaio e il 1° maggio 1993, si deve concludere che, a fortiori, tale circostanza non può essere applicata alla ricorrente per il periodo successivo al 1° maggio 1993.

409    La seconda parte del motivo va quindi disattesa.

c)     Sulla terza parte, relativa al rifiuto della Commissione di tener conto della situazione di crisi del settore

 Argomenti delle parti

410    Secondo la ricorrente, la Commissione, conformemente alla prassi da essa seguita fino al 1998 e alla giurisprudenza della Corte, avrebbe dovuto tenere conto del fatto che il cartello si è sviluppato in un contesto di crisi del mercato e considerare tale contesto come una circostanza attenuante. La Commissione, invece, si sarebbe limitata ad osservare che nella fattispecie la situazione non era paragonabile a quelle considerate nelle decisioni in cui si è tenuto conto della situazione di crisi, richiamandosi senza ulteriori precisazioni alle decisioni Cemento, PVC II e Tubi d’acciaio senza saldatura.

411    Tuttavia i produttori belgi di birra avrebbero dovuto affrontare un continuo calo della domanda e una capacità di produzione eccedentaria, nonché pressioni sul prezzo delle birre pils da parte dei grandi distributori. D’altro canto, la stessa Commissione avrebbe riconosciuto nella decisione impugnata le difficoltà registrate sul mercato negli anni ‘90. Nella fattispecie, le attività della controllata della ricorrente in Belgio sarebbero state finanziariamente molto fragili nel 1993. La ricorrente aggiunge che, se è vero che può tenersi conto della situazione di crisi del settore e non di quella della singola impresa, essa ha nondimeno voluto sottolineare che la delicata situazione finanziaria cui doveva far fronte la Alken-Maes derivava direttamente dalla recessione del mercato della birra in cui il calo dei consumi, lungi dall’essere «leggero», come afferma la Commissione, è stato pari al 15% nel periodo 1993-1998 e ha generato una sovraccapacità che avrebbe dovuto anch’essa essere presa in considerazione dalla Commissione, al pari di quanto accaduto nelle decisioni PVC II e Cemento.

412    La Commissione fa valere anzitutto che la situazione finanziaria di un’impresa non costituisce la prova di una crisi del settore economico considerato di cui possa tenersi conto in quanto circostanza attenuante e che la Corte, nella propria giurisprudenza, si è sempre rifiutata di prendere in considerazione a tal fine la situazione deficitaria di un’impresa. Inoltre, le decisioni richiamate dalla ricorrente sarebbero per la maggior parte precedenti alla pubblicazione degli orientamenti e quindi irrilevanti. In ogni caso, la situazione di crisi dedotta non sarebbe affatto paragonabile a quelle considerate finora dalla Commissione.

 Giudizio del Tribunale

413    Occorre anzitutto rilevare che, secondo costante giurisprudenza, la Commissione non è tenuta a prendere in considerazione le difficoltà finanziarie di un’impresa al fine di determinare l’importo dell’ammenda, il che si risolverebbe nel procurare un ingiustificato vantaggio concorrenziale alle imprese meno adeguate alle condizioni del mercato (v., in tal senso, sentenza IAZ e a./Commissione, citata al precedente punto 281, punti 54 e 55; sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑319/94, Fiskeby Board/Commissione, Racc. pag. II‑1331, punti 75 e 76, e Enso Española/Commissione, citata al precedente punto 393, punto 316). Pertanto, gli argomenti relativi alla fragilità finanziaria della Alken‑Maes nel 1993 non possono essere presi in considerazione nell’ambito del giudizio relativo all’esistenza di una circostanza attenuante.

414    Inoltre, circostanze quali un calo continuo della domanda – che in ogni caso, come rileva la Commissione, è stato inizialmente calcolato dalla ricorrente, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, al 15% su dieci anni e non su cinque – la capacità di produzione eccedentaria che ne sarebbe derivata e le pressioni che i grandi distributori avrebbero esercitato sui prezzi rientrerebbero, quand’anche fossero esistiti, tra i rischi inerenti a qualsiasi attività economica che, in quanto tali, non caratterizzerebbero una situazione strutturale o congiunturale di carattere straordinario che possa essere presa in considerazione al fine di determinare l’importo dell’ammenda.

415    Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo cui le precedenti decisioni vincolerebbero la Commissione, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 395, il semplice fatto che la Commissione, nelle decisioni precedenti, abbia considerato che determinati elementi costituivano circostanze attenuanti ai fini della determinazione dell’ammontare dell’ammenda non implica che essa sia tenuta ad effettuare la medesima valutazione in una decisione successiva. Infatti, la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza. Ora, la Commissione dispone, nell’ambito del regolamento n. 17, di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza e il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 17, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria in materia di concorrenza. L’efficace applicazione delle norme comunitarie della concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica.

416    La terza parte del motivo va quindi disattesa.

d)     Sulla quarta parte, relativa all’atteggiamento minaccioso della Interbrew

 Argomenti delle parti

417    Secondo la ricorrente, la Commissione, conformemente alla sua prassi decisionale e alla giurisprudenza della Corte, avrebbe dovuto considerare quale circostanza attenuante la posizione di debolezza e di dipendenza in cui si trovava la Alken‑Maes di fronte alla Interbrew all’epoca dell’intesa, dato che la stessa Interbrew occupava sin dal 1987 una posizione dominante sul mercato.

418    L’atteggiamento minaccioso della Interbrew emergerebbe con chiarezza dal fascicolo. Infatti, in una nota del 19 agosto 1993 indirizzata al signor C., il signor M., all’epoca CEO della Interbrew, affermava di essere sul punto di «convincere» la Alken‑Maes a seguire la Interbrew dopo che quest’ultima aveva deciso unilateralmente di aumentare i prezzi. D’altro canto, la corrispondenza tra la Interbrew e la Alken‑Maes successiva alla protesta di quest’ultima contro le visite della Interbrew ai locali pubblici legati contrattualmente alla Alken-Maes, durante le quali la Interbrew proponeva di farsi carico delle penali per la rescissione dei contratti in cambio della sottoscrizione di un nuovo contratto con la stessa Interbrew, costituirebbe la prova della strategia di eliminazione adottata da tale impresa, rafforzata dalla sua crescente integrazione verticale. Inoltre, la reazione sproporzionata della Interbrew di fronte alla nuova politica della Alken‑Maes nel 1994 avrebbe denotato una tale nocività potenziale che la Alken‑Maes temeva per la propria sopravvivenza.

419    La ricorrente ritiene peraltro che la Commissione abbia sbagliato a sostenere che l’atteggiamento minaccioso della Interbrew nei confronti della Alken‑Maes è illogico e in contrasto con la natura dell’infrazione. La Commissione non terrebbe conto dell’interesse della Interbrew a concludere e proseguire l’intesa. Inoltre, sarebbe sorprendente che la Commissione non veda alcuna incompatibilità tra il fatto di sostenere, da un lato, che la ricorrente aveva un atteggiamento minaccioso nei confronti della Interbrew e, dall’altro, che essa si era contemporaneamente accordata con la stessa Interbrew.

420    Infine, accusando la ricorrente di non tener conto, facendo valere l’atteggiamento minaccioso della Interbrew, della propria partecipazione al cartello, la Commissione attribuirebbe un’importanza eccessiva all’influenza esercitata dalla ricorrente sulla Alken-Maes, mentre la stessa ricorrente, lungi dallo svolgere un ruolo attivo nella Alken-Maes, cercava al contrario di svolgere la propria attività «birra» nelle migliori condizioni possibili.

421    Secondo la Commissione, la ricorrente, facendo riferimento all’atteggiamento minaccioso della Interbrew, ometterebbe di tenere conto non solo delle proprie dimensioni e del proprio peso sul mercato francese della birra, ma anche del fatto che un accordo sarebbe stato privo di oggetto qualora la ricorrente o la sua controllata si fossero trovate in una situazione di totale dipendenza riguardo alla Interbrew. D’altro canto, la minaccia formulata dalla ricorrente, che mirava all’estensione dell’intesa al mercato belga, e la presunta minaccia da parte della Interbrew, che avrebbe riguardato lo stesso mercato oggetto dell’intesa, avrebbero natura diversa. Mentre sarebbe logico che una minaccia in Francia avesse indotto la Interbrew ad accettare di estendere l’intesa al Belgio, sarebbe invece poco logico che la Interbrew avesse accettato di accordarsi con un’impresa soggetta alla sua influenza.

 Giudizio del Tribunale

422    Occorre anzitutto rilevare che, nella fattispecie, la ricorrente non contesta di avere partecipato a una violazione dell’art. 81 CE, consistente in particolare in un insieme di accordi ad oggetto anticoncorrenziale. Orbene, secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un accordo ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE implica che le imprese interessate abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo (v., in tal senso, sentenze della Corte ACF Chemiefarma/Commissione, citata al precedente punto 352, punto 112, e 29 ottobre 1980, cause riunite 209/78‑215/78 e 218/78, Van Landewyck e a./Commissione, Racc. pag. 3125, punto 86; sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, Hercules Chemicals/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 256; 26 ottobre 2000, causa T‑41/96, Bayer/Commissione, Racc. pag. II‑3383, punto 67, e 14 ottobre 2004, causa T‑56/02, Bayerische Hypo- und Vereinsbank/Commissione, Racc. pag. II‑3495, punto 59). Ne consegue che la nozione di accordo, di cui all’art. 81, n. 1, CE, come interpretata dalla giurisprudenza, è incentrata sull’esistenza, tra almeno due parti, di una comune volontà (sentenze Bayerische Hypo- und Vereinsbank/Commissione, citata, punto 61, e Bayer/Commissione, citata, punto 69, e giurisprudenza ivi richiamata). Pertanto, la ricorrente non può affermare di aver agito esclusivamente sotto la coercizione della Interbrew.

423    Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata, un’impresa che partecipa a riunioni ad oggetto anticoncorrenziale, anche sotto la coercizione di altri partecipanti che hanno un potere economico superiore, dispone sempre della possibilità di denunciare alla Commissione le attività anticoncorrenziali di cui trattasi piuttosto che continuare a partecipare alle dette riunioni (sentenza HFB e a./Commissione, citata al precedente punto 245, punto 226).

424    Ne consegue che né la presunta situazione di dipendenza in cui si trovava la ricorrente riguardo alla Interbrew né l’atteggiamento minaccioso asseritamente assunto da quest’ultima nei suoi confronti sono atti a determinare una situazione che la Commissione possa considerare quale circostanza attenuante.

425    Occorre quindi disattendere la quarta parte del motivo e, di conseguenza, il motivo nella sua interezza.

6.     Sul motivo concernente l’erronea valutazione della portata della cooperazione della ricorrente, in violazione del principio della parità di trattamento e della comunicazione sulla cooperazione

426    La ricorrente fa valere che avrebbe dovuto beneficiare, in forza del punto D della comunicazione sulla cooperazione, di una riduzione pari al 50% dell’ammenda inflittale. Il motivo è composto di due parti. Nella prima, la ricorrente sostiene che la Commissione ha valutato erroneamente la sua cooperazione ai sensi del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, sottostimandone l’importanza, considerata la sua prassi decisionale e in violazione del principio della parità di trattamento. Nella seconda, la ricorrente afferma di non aver contestato, dopo avere ricevuto la comunicazione degli addebiti, la sostanza dei fatti su cui la Commissione fondava le proprie accuse e lamenta l’inosservanza della comunicazione sulla cooperazione in quanto la Commissione avrebbe considerato che la ricorrente non aveva diritto a una riduzione dell’ammenda ai sensi del punto D 2, secondo trattino, della stessa.

a)     Sulla prima parte, relativa all’erronea valutazione, da parte della Commissione, della portata della cooperazione della ricorrente, tenuto conto in particolare della sua prassi decisionale e in violazione del principio della parità di trattamento

 Argomenti delle parti

427    In primo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione ha sottostimato la portata della sua cooperazione precedente l’invio della comunicazione degli addebiti. Essa sostiene che la stessa Commissione ha riconosciuto che la Alken‑Maes le ha fornito informazioni che andavano al di là di una semplice risposta alla richiesta di informazioni che la riguardavano. La ricorrente fa inoltre valere che, al fine di fornire chiarimenti alla Commissione in merito alla storia e ai meccanismi della collaborazione tra la Alken‑Maes la Interbrew, la sua controllata ha trasmesso alla Commissione, in data 7 marzo 2000, un compendio dei fatti di causa basato sugli archivi in possesso dell’impresa alla suddetta data, che comprendeva un riassunto cronologico delle riunioni e dei contatti intervenuti tra la stessa impresa e la Interbrew dopo il 1990, menzionava tutti i documenti pertinenti e includeva documenti forniti dalla medesima Alken‑Maes. Sarebbero state fornite informazioni anche nelle lettere del 10 e del 27 dicembre 1999, che la Commissione avrebbe omesso di menzionare.

428    All’argomento della Commissione secondo cui quest’ultima era già a conoscenza della maggior parte delle informazioni fornite la ricorrente replica non solo che tale motivo non viene ripreso nella decisione impugnata, ma anche che esso è indice di un’applicazione errata del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione. Tale disposizione non sarebbe volta a limitare il beneficio della non imposizione o della riduzione delle ammende alle sole imprese che abbiano trasmesso alla Commissione elementi di cui essa non era a conoscenza, ma sarebbe intesa anche a garantire un trattamento favorevole alle imprese che, agevolando l’indagine della Commissione, le abbiano permesso di realizzare una migliore assegnazione delle risorse e, pertanto, di perseguire altre infrazioni. Infatti, il punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione prevederebbe che possono beneficiare di una riduzione dell’ammenda le imprese che abbiano trasmesso non solo elementi di cui la Commissione non era a conoscenza, ma anche elementi che «contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione». Orbene, nella fattispecie, i documenti e le informazioni trasmessi dalla Alken‑Maes sarebbero stati molto utili alla Commissione per accertare o confermare l’esistenza dell’infrazione.

429    La ricorrente afferma che la riduzione concessale è manifestamente inferiore a quelle abitualmente accordate dalla Commissione, come emergerebbe dall’analisi di alcune decisioni da essa adottate dopo il gennaio 1998.

430    Infatti, la Commissione avrebbe concesso riduzioni delle ammende comprese tra il 40 e il 50% alle imprese che, al pari della ricorrente, hanno ammesso per prime l’esistenza dell’infrazione, trasmesso le dichiarazioni di ex dipendenti ed effettuato ricerche nei propri archivi. La Commissione avrebbe accordato riduzioni comprese tra il 20 e il 50% alle imprese che le avevano trasmesso elementi che le consentivano di confermare l’esistenza dell’infrazione o di approfondirne la conoscenza – arrivando a concedere, nella decisione Intesa tubi preisolati, una riduzione del 20% a due imprese per il semplice fatto che non avevano contestato la sostanza dei fatti – e addirittura una riduzione del 50% a un’impresa che le aveva fornito delucidazioni su documenti già in suo possesso onde consentirle di avere un quadro più chiaro dei fatti esaminati.

431    Orbene, la Alken‑Maes non solo sarebbe stata la prima ad ammettere formalmente l’esistenza di un’infrazione nella sua nota del 27 dicembre 1999, ma avrebbe anche effettuato ricerche minuziose nei propri archivi, il che le avrebbe consentito di produrre alcuni documenti nuovi. D’altro canto, la Commissione, mentre contesterebbe a torto alla ricorrente di aver apportato nuovi elementi, per contro non avrebbe mai contestato che gli elementi forniti con la lettera del 10 dicembre 1999 e, soprattutto, con la lettera del 7 marzo 2000, che consisteva in un compendio cronologico completo dei fatti al quale si sarebbe ispirata la decisione impugnata, hanno confermato con dovizia di particolari i fatti in esame.

432    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che, concedendole una riduzione dell’ammenda inferiore a quella di cui ha beneficiato la Interbrew, la Commissione ha violato il principio della parità di trattamento.

433    La ricorrente osserva che, subito dopo gli accertamenti svolti il 26 e il 27 ottobre 1999, la sua controllata Alken‑Maes, al fine di agevolare le operazioni della Commissione, ha effettuato un’indagine interna, interrogato tutti i membri del proprio comitato direttivo in merito ad eventuali contatti con la Interbrew e avviato l’esame dei propri archivi. Orbene, sebbene tale lavoro sia stato reso particolarmente difficile dalla sostituzione, poco prima dell’inizio dell’indagine, di tutto il suo personale dirigente, la risposta del 10 dicembre 1999 sarebbe stata fornita entro il termine fissato dalla Commissione e la Alken‑Maes avrebbe trasmesso alla Commissione le dichiarazioni di tutti i responsabili ed ex collaboratori menzionati nella richiesta.

434    Infatti, nella lettera d’accompagnamento della sua risposta del 10 dicembre 1999 alla richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999, che farebbe espressamente riferimento all’esame dei suoi archivi, la Alken-Maes avrebbe confermato in maniera circostanziata i fatti oggetto della richiesta, allegando tabelle e note relative alle riunioni ivi menzionate. La risposta della Interbrew alla stessa richiesta, fornita tredici giorni dopo, il 23 dicembre 1999 avrebbe anche confermato elementi già noti alla Commissione.

435    Per contro, la Interbrew, sebbene il suo personale dirigente fosse in carica all’epoca dei fatti contestati, avrebbe fornito la propria risposta alla Commissione solo il 23 dicembre 1999, dopo che quest’ultima si era rifiutata di concederle un termine supplementare fino al 10 gennaio 2000. La risposta della Interbrew non avrebbe incluso, alla suddetta data, alcuna dichiarazione dei responsabili menzionati nella richiesta della Commissione e la Interbrew avrebbe trasmesso le dichiarazioni di sette delle sedici persone indicate nella detta richiesta solo il 14 gennaio 2000.

436    D’altro canto, la Alken-Maes avrebbe fornito per prima, il 27 dicembre 1999, una nota contenente una dichiarazione ufficiale in cui il suo ex amministratore delegato ammetteva formalmente l’esistenza e il contenuto dell’infrazione oggetto dell’indagine della Commissione e in particolare: a) il fatto che il cartello si è costituito nell’ambito della commissione «Visione 2000» istituita dalla CBB; b) il fatto che l’accordo è stato stipulato alla fine del 1994 tra la Alken-Maes e la Interbrew e riguardava tutti i circuiti di distribuzione in Belgio; c) il fatto che detto accordo comprendeva un patto di non aggressione, la limitazione degli investimenti commerciali nel settore horeca e della pubblicità, nonché una concertazione sulle tariffe, e d) il fatto che la corretta applicazione dell’accordo dipendeva da una concertazione periodica tra i dirigenti della Alken-Maes e della Interbrew. Orbene, se è vero che la Commissione era già a conoscenza del punto d), tuttavia i documenti acquisiti durante gli accertamenti e attraverso le richieste di informazioni non le avrebbero ancora consentito di dimostrare sufficientemente i punti a)-c).

437    A tale proposito, la ricorrente fa valere che, sebbene nel gennaio e nel febbraio 2000 la Interbrew abbia anche fornito dichiarazioni e documenti complementari, detta impresa non avrebbe potuto, nonostante la presunta qualità della sua cooperazione, fornire una dichiarazione che provasse l’esistenza della minaccia formulata dalla ricorrente, malgrado la partecipazione del suo CEO alla riunione dell’11 maggio 1994.

438    Inoltre, il 7 marzo 2000 la ricorrente avrebbe fornito una dichiarazione che completava le informazioni fornite il 10 dicembre 1999 e riguardava specificamente, come richiesto durante la riunione con la Commissione del 14 gennaio 2000, il contesto in cui erano stati redatti i documenti trasmessi dalla Alken‑Maes in risposta alla richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999, nonché il progetto «Visione 2000» della CBB. Sarebbero stati forniti anche nuovi documenti, rinvenuti nel frattempo nel fascicolo dell’ex responsabile marketing della società.

439    Da tali circostanze emergerebbe, da un lato, che alla cooperazione della ricorrente e della Alken‑Maes, ancorché precoce e completa, è stato dato troppo poco credito da parte della Commissione, considerato il trattamento riservato alla Interbrew, e, dall’altro, che la Commissione non ha affatto tenuto conto della circostanza che la ricorrente e la sua controllata, nonostante i loro sforzi, sono state penalizzate dalla presenza di un nuovo gruppo dirigente all’epoca dell’inchiesta, mentre la Interbrew avrebbe beneficiato della permanenza in carica dei responsabili delle pratiche anticoncorrenziali contestate. Tale atteggiamento integrerebbe una violazione del principio della parità di trattamento.

440    Infine e in terzo luogo, mentre nella decisione impugnata la Commissione avrebbe giustificato le differenze tra le riduzioni dell’importo delle ammende applicate in base alla cooperazione con la presunta contestazione dei fatti da parte della ricorrente dopo la ricezione della comunicazione degli addebiti, e non con l’esistenza di una differenza qualitativa tra la cooperazione delle parti prima dell’invio della detta comunicazione, la stessa Commissione, nel controricorso, farebbe valere tale differenza, tentando di sopperire in tal modo alla carenza di motivazione della decisione impugnata. Ciò costituirebbe un’ammissione implicita della disparità di trattamento di cui la ricorrente sarebbe stata vittima.

441    La Commissione non potrebbe affermare nel controricorso, senza cadere in contraddizione, che la Interbrew le ha trasmesso informazioni decisive prima della ricorrente, citando in particolare le lettere della Interbrew del 14 e 19 gennaio, nonché del 2, 8 e 28 febbraio 2000, mentre tali lettere sono posteriori a quella della Alken-Maes del 27 dicembre 1999 contenente una dichiarazione del suo ex amministratore delegato che ammette formalmente i punti essenziali dell’infrazione.

442    D’altro canto, la Commissione affermerebbe a torto che parte delle informazioni fornite riguardavano un periodo precedente il 28 gennaio 1993, non coperto dall’infrazione, mentre i documenti forniti negli allegati 3-23 e 26-29 della lettera della ricorrente del 10 dicembre 1999 riguarderebbero un periodo successivo al 28 gennaio 1993.

443    In ogni caso, la Commissione commetterebbe un errore considerando che gli elementi relativi al periodo precedente il 28 gennaio 1998 non possono beneficiare della comunicazione sulla cooperazione, dal momento che la richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999 riguardava il periodo compreso tra il settembre 1992 e il dicembre 1999. In tal modo, la Commissione confonderebbe il periodo in relazione al quale ha constatato un’infrazione con quello che costituisce l’oggetto della sua indagine. Orbene, secondo la ricorrente, sarebbe quest’ultimo il periodo che andrebbe considerato pertinente ai fini della cooperazione. Nella fattispecie, la ricorrente avrebbe fornito informazioni relative al periodo compreso tra il settembre 1992 e il gennaio 1993 che avrebbero permesso di chiarire il ruolo guida della Interbrew e l’influenza esercitata dalla regolamentazione dei prezzi.

444    La Commissione fa valere che la portata della cooperazione della ricorrente non è stata sottostimata e nega che la riduzione ad essa accordata sia manifestamente inferiore a quelle concesse abitualmente. Il grado di cooperazione della ricorrente non sarebbe equiparabile a quelli considerati nei procedimenti cui la stessa ricorrente si richiama a sostegno dei propri argomenti. Quanta alla presunta violazione del principio della parità di trattamento, la Commissione fa valere che la cooperazione della Interbrew è stata quantitativamente e qualitativamente più importante di quella della ricorrente, come dimostra l’analisi comparata dei documenti forniti dalle parti e invocati a sostegno della decisione impugnata. La differenza tra le percentuali di riduzione concesse sarebbe quindi perfettamente giustificata e non potrebbe affatto spiegarsi soltanto in base alla conclusione della Commissione secondo cui la ricorrente ha contestato i fatti.

 Giudizio del Tribunale

445    Occorre ricordare, in limine, che la Commissione, nella comunicazione sulla cooperazione, ha definito le condizioni alle quali le imprese che collaborano con essa nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende o beneficiare di riduzioni del loro ammontare (punto A 3 della comunicazione sulla cooperazione).

446    Per quanto riguarda l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione al caso della ricorrente, è pacifico che il comportamento di quest’ultima va valutato alla luce del punto D della detta comunicazione, intitolato «Significativa riduzione dell’ammontare dell’ammenda».

447    Conformemente al punto D 1 di detta comunicazione, «[u]n’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B e C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione».

448    Il punto D 2 della comunicazione sulla cooperazione precisa quanto segue:

«Ciò può verificarsi in particolare:

–        se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,

–        se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

449    Si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, una riduzione dell’ammenda per la cooperazione offerta nel procedimento amministrativo è giustificata soltanto se il comportamento dell’impresa ha consentito alla Commissione di accertare un’infrazione con minore difficoltà e, eventualmente, di mettervi fine (sentenze SCA Holding/Commissione, citata al precedente punto 158, punto 156, e Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, citata al precedente punto 278, punto 270).

450    D’altro canto si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 17, per l’assolvimento dei compiti affidatile dall’art. 85 CE e delle norme emanate in applicazione dell’art. 83 CE, la Commissione può in particolare raccogliere tutte le informazioni necessarie presso le imprese e associazioni di imprese che sono tenute, in forza del n. 4 della medesima disposizione, a fornire le informazioni richieste. Se un’impresa o un’associazione di imprese non dà le informazioni richieste nel termine stabilito dalla Commissione oppure dà informazioni incomplete, la Commissione può chiederle mediante decisione, in forza dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, e l’impresa o l’associazione di imprese che persista nel rifiuto di fornire le informazioni richieste è passibile di ammenda o di penalità di mora.

451    A tale proposito, secondo la giurisprudenza, la collaborazione di un’impresa alle indagini non dà diritto ad alcuna riduzione dell’ammenda qualora tale collaborazione non abbia oltrepassato quanto l’impresa era tenuta a fare in forza dell’art. 11, nn. 4 e 5, del regolamento n. 17 (sentenza 10 marzo 1992, Solvay/Commissione, citata al precedente punto 135, punti 341 e 342). Per contro, nel caso in cui un’impresa fornisca, in risposta a una richiesta ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, informazioni ben più dettagliate di quelle che può pretendere la Commissione in forza della detta disposizione, l’impresa in questione può beneficiare di una riduzione dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑308/94, Cascades/Commissione, Racc. pag. II‑925, punto 262).

452    Occorre inoltre rilevare che non costituisce una cooperazione rientrante nell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione né, a maggior ragione, del punto D di quest’ultima il fatto che un’impresa metta a disposizione della Commissione, nell’ambito di indagini su un’intesa, informazioni relative a fatti per i quali, in ogni caso, alla detta impresa non avrebbe potuto essere inflitta un’ammenda in forza del regolamento n. 17.

453    Va inoltre rilevato che, secondo la giurisprudenza, nell’ambito della valutazione della cooperazione fornita dalle imprese, la Commissione non può violare il principio della parità di trattamento, principio generale del diritto comunitario che, per consolidata giurisprudenza, viene trasgredito quando situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse siano trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza del Tribunale Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, citata al precedente punto 278, punto 237).

454    A tale proposito, è pacifico che la valutazione del grado di cooperazione fornita da imprese non può dipendere da fattori puramente casuali. Una disparità di trattamento tra le imprese interessate deve quindi essere imputabile a gradi di cooperazione non equiparabili, in particolare qualora le differenze siano consistite nella trasmissione di informazioni diverse o nella trasmissione di tali informazioni in fasi diverse del procedimento amministrativo, o in circostanze non analoghe (v., in tal senso, sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, citata al precedente punto 278, punti 245 e 246).

455    Inoltre, si deve considerare che quando un’impresa, nell’ambito della cooperazione, si limita a confermare in maniera meno circostanziata ed esplicita informazioni già fornite da un’altra impresa nell’ambito della cooperazione, il grado della cooperazione fornita da tale impresa, quand’anche possa presentare una certa utilità per la Commissione, non può essere considerato equiparabile a quello della prima impresa che ha trasmesso le dette informazioni. Infatti, una dichiarazione che si limiti a corroborare, in una certa misura, una dichiarazione di cui la Commissione disponeva già non agevola in misura significativa l’assolvimento dei propri compiti da parte di quest’ultima e quindi non è sufficiente a giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda in considerazione della cooperazione.

456    È alla luce di tali principi che si deve esaminare se nella fattispecie la riduzione dell’importo dell’ammenda concessa dalla Commissione alla ricorrente in forza del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione derivi da una valutazione erronea della portata della cooperazione della ricorrente, tenuto conto in particolare delle precedenti decisioni, e leda il principio della parità di trattamento.

457    In primo luogo, occorre rilevare, da un lato, che, nella comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha dichiarato che un’impresa che cooperi conformemente al punto D della detta comunicazione beneficia di una riduzione dal 10 al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione e, dall’altro, che la ricorrente non contesta che la portata della sua cooperazione dovesse essere valutata alla luce del punto D della comunicazione sulla cooperazione. Ora, per quanto riguarda la ricorrente, la Commissione ha rilevato che era adeguata una riduzione del 10% dell’ammenda ai sensi del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, tenuto conto del fatto che la controllata della ricorrente ha fornito informazioni sull’esistenza e sul contenuto dell’infrazione che andavano al di là di una semplice risposta alla richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17. Si deve quindi constatare che, concedendo alla ricorrente una riduzione pari al 10% dell’ammenda ai sensi del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione non si è discostata dalla forchetta di riduzioni delle ammende applicabile al tipo di cooperazione fornito dalla ricorrente.

458    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento relativo alle precedenti decisioni della Commissione, basta ricordare come il fatto che quest’ultima abbia concesso, nella sua precedente prassi decisionale, un certo tasso di riduzione per un determinato comportamento non implica che essa sia tenuta a concedere la medesima riduzione proporzionale in occasione della valutazione di un comportamento analogo nell’ambito di un procedimento amministrativo successivo (sentenze Mayr-Melnhof/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 368, e ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 50, punto 239). Tale argomento va quindi disatteso.

459    In terzo luogo, si deve esaminare se la riduzione dell’importo dell’ammenda concessa dalla Commissione alla ricorrente ai sensi del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione leda il principio della parità di trattamento.

460    A tale proposito si deve rilevare che dalla lettura combinata dei punti 324 e 325 della decisione impugnata risulta che la Commissione ha concesso una riduzione del 30% dell’ammenda inflitta alla Interbrew in base a due elementi cumulativi, ossia, da un lato, la circostanza che la cooperazione della ricorrente ai fini dell’accertamento dei fatti è andata al di là degli obblighi derivanti dall’art. 11 del regolamento n. 17 (punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione) e, dall’altro, il fatto che essa non contesta i fatti materiali che costituiscono l’infrazione constatata (punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione).

461    Per contro, in base alla lettura combinata dei punti 326 e 327 si può concludere che la Commissione non ha concesso alla ricorrente una riduzione del 10% solo in quanto la sua cooperazione ai fini dell’accertamento dei fatti è andata al di là degli obblighi impostile dall’art. 11 del regolamento n. 17 (punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione). La Commissione, infatti, ha ritenuto che la ricorrente abbia contestato i fatti materiali sui quali essa ha fondato le sue accuse e pertanto non avesse diritto ad alcuna riduzione ai sensi del punto D 2 , secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione.

462    Ne consegue che la differenza tra la riduzione dell’ammenda concessa rispettivamente alla Interbrew e alla ricorrente ai sensi del punto D 2 della comunicazione sulla cooperazione è inferiore a quella che sembrano indicare le rispettive percentuali finali del 30% e del 10% di riduzione dell’ammenda concesse, in quanto il 30% di riduzione concesso alla Interbrew comprende la riduzione accordatale ai sensi del punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione.

463    Per quanto riguarda le riduzioni concesse rispettivamente alla ricorrente e alla Interbrew in funzione della loro cooperazione ai sensi del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, si deve rilevare che la Commissione ha implicitamente fatto riferimento a una differenza qualitativa tra la cooperazione della Interbrew e quella della ricorrente. Infatti, sebbene abbia riconosciuto che ciascuna delle due imprese ha fornito, in risposta alla richiesta dell’11 novembre 1999, informazioni che andavano al di là della semplice replica a detta richiesta, la Commissione ha tuttavia osservato che la Interbrew ha «contribuito in misura importante alla dimostrazione dei fatti rilevanti», constatando che la ricorrente ha invece semplicemente «fornito, sull’esistenza e sul contenuto dell’infrazione, informazioni che andavano al di là di una semplice risposta alla richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17».

464    Per stabilire se esista una differenza significativa tra i gradi di cooperazione rispettivamente forniti dalla Interbrew e dalla ricorrente, si deve confrontare la portata della loro cooperazione sia sotto il profilo cronologico che sotto quello qualitativo.

465    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’analisi comparata della cooperazione delle imprese interessate sotto il profilo cronologico, occorre rilevare, da un lato, che, nel caso della ricorrente e della sua controllata Alken-Maes, quest’ultima ha anzitutto risposto alla richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999 con lettera 10 dicembre 1999. Successivamente, la Alken-Maes ha trasmesso alla Commissione, il 27 dicembre 1999, una dichiarazione in cui invocava il beneficio della comunicazione sulla cooperazione, che ha completato e precisato il 7 marzo 2000. La Alken-Maes ha inoltre risposto, il 5 aprile 2000, a una nuova richiesta di informazioni inviatale dalla Commissione ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 in data 22 marzo 2000. Infine, la ricorrente ha risposto, il 10 maggio 2000, a una nuova richiesta di informazioni che le era stata trasmessa il 14 aprile 2000.

466    D’altro lato, per quanto riguarda la cooperazione fornita dalla Interbrew, si deve rilevare anzitutto che quest’ultima ha risposto alla richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999 in data 23 dicembre 1999. Successivamente, con lettere 14 e 19 gennaio 2000, la Interbrew ha fornito informazioni intese a completare quelle contenute nella sua lettera del 23 dicembre 1999. Sulla base di questi ulteriori ragguagli, la Commissione ha inviato alla Interbrew una richiesta di informazioni complementare e informale, mediante fax in data 21 gennaio 2000. La Interbrew ha risposto con lettera 2 febbraio 2000 e ha trasmesso informazioni complementari l’8 e il 28 febbraio 2000. Il 29 febbraio 2000 la Interbrew ha inoltre trasmesso alla Commissione una dichiarazione riguardante il mercato belga, appellandosi alla comunicazione sulla cooperazione. Infine, il 21 dicembre 2000, ossia dopo l’avvio del procedimento e l’invio della comunicazione degli addebiti, avvenuto il 20 settembre 2000, la Interbrew ha ancora trasmesso due documenti relativi a due incontri avuti con la Alken-Maes nel quadro dei loro accordi bilaterali.

467    Risulta da quanto precede che non può essere accolto l’argomento della Commissione secondo cui le informazioni trasmesse dalla ricorrente sono state meno utili di quelle trasmesse dalla Interbrew in quanto sono state comunicate più tardi. Infatti, tutte le informazioni sono state trasmesse dalle parti in un intervallo di tempo molto breve, sostanzialmente nella stessa fase del procedimento amministrativo. Pertanto, nessuna considerazione di ordine cronologico può essere ritenuta determinante ai fini della valutazione comparata dell’utilità della cooperazione della ricorrente e di quella della cooperazione della Interbrew.

468    Per quanto attiene, in secondo luogo, all’analisi comparata della cooperazione delle parti sotto il profilo qualitativo, si deve constatare, da un lato, per quanto riguarda la ricorrente e la sua controllata Alken-Maes, che, nella risposta del 10 dicembre 1999 alla richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999, la Alken‑Maes non ha esplicitamente invocato il beneficio della comunicazione sulla cooperazione. Essa ha nondimeno rilevato che «la risposta è frutto degli sforzi compiuti dalla [s]ocietà per collaborare pienamente con la Commissione in base ai documenti conservati sino alla data corrente e alle informazioni fornite dal personale interessato ancora presente all’interno della [s]ocietà». Essa afferma altresì che «Alken-Maes ha anche tentato di contattare gli ex dipendenti della [s]ocietà, le cui risposte sono allegate», e che, «[n]onostante questi notevoli sforzi, Alken‑Maes non può garantire una risposta esauriente e si riserva di completarla o modificarla». Il riferimento agli sforzi compiuti dalla società per raccogliere informazioni presso gli ex dipendenti della società mira ad accreditare l’argomento secondo cui la cooperazione della Alken-Maes è andata al di là degli obblighi che le incombevano in forza dell’art. 11 del regolamento n. 17. Tuttavia, è giocoforza constatare come non possa ritenersi che le informazioni e i documenti trasmessi dalla Alken-Maes travalichino i suddetti obblighi. Infatti, gli elementi forniti, ad eccezione forse di quelli relativi allo scambio di informazioni intercorso tra la Alken-Maes e la Interbrew, non costituiscono affatto una descrizione di comportamenti aventi un oggetto manifestamente anticoncorrenziale che, se comunicata alla Commissione, equivarrebbe a un confessione ed escluderebbe tale comunicazione dagli obblighi sanciti dall’art. 11 del regolamento n. 17.

469    Nella lettera 27 dicembre 1999 la Alken-Maes afferma espressamente per la prima volta che la sua collaborazione rientra nell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione. In detta comunicazione, inoltre, essa ammette l’esistenza di pratiche illecite, dal momento che il suo amministratore delegato vi dichiara di non contestare i fatti materiali descritti dalla Commissione nella richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999 e che esisteva una pratica concordata tra la Interbrew e la Alken-Maes in forza della quale, da un lato, esse si sono scambiate ogni mese informazioni riguardanti le rispettive vendite di birra in Belgio e, dall’altro, si sono svolte varie riunioni tra collaboratori della Alken‑Maes e della Interbrew durante le quali sono state oggetto di concertazione la distribuzione e la vendita di birra in Belgio. Infine, in allegato alla suddetta lettera, la Alken-Maes acclude una nota in cui osserva come sembra che alla fine del 1994 «sia stato concluso un accordo tra le due società relativo al complesso dei circuiti di distribuzione in Belgio ma riguardante in particolare i circuiti dell’horeca. Tale accordo «avrebbe comportato segnatamente (…) un patto di non aggressione, la limitazione degli investimenti commerciali nel settore horeca e della pubblicità all’estero, nonché una concertazione sul sistema tariffario» e «[l]a corretta applicazione dell’accordo sarebbe stato oggetto di una procedura di consultazione periodica direttamente tra i dirigenti delle due società».

470    Occorre rilevare che la Alken-Maes, nella dichiarazione del 7 marzo 2000, ha ammesso l’esistenza di fatti che potevano essere considerati pratiche anticoncorrenziali e che, in quanto tali, hanno contribuito a confermare l’esistenza dell’infrazione, come riconosce la stessa Commissione. Tuttavia, è giocoforza constatare che la dichiarazione poggia sostanzialmente su documenti o informazioni già in possesso della Commissione. Infatti, sebbene il documento fornito dalla Alken-Maes nell’allegato 42 della dichiarazione del 7 marzo 2000 si sia rivelato molto utile per la Commissione, in quanto è soprattutto in base a tale documento che essa ha potuto accertare che l’intesa, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, si è protratta oltre il luglio 1996, occorre rilevare che il detto documento era già stato fornito alla Commissione nell’allegato 37 della risposta della Alken-Maes del 10 dicembre 1999 alla richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999, il che ha ridotto il valore del contributo, a titolo di cooperazione, della trasmissione di tale documento da parte della Alken-Maes, dal momento che tale trasmissione rientrava tra gli obblighi incombenti a detta impresa in forza dell’art. 11 del regolamento n. 17 (v. precedente punto 451).

471    È altresì giocoforza constatare che una parte importante delle informazioni trasmesse dalla Alken-Maes con la dichiarazione del 7 marzo 2000 riguarda un periodo anteriore a quello in relazione al quale è stata constatata l’infrazione. Pertanto, non si può ritenere che tali informazioni, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, abbiano consentito alla Commissione di constatare con minore difficoltà l’infrazione rilevata nella decisione impugnata. A tale proposito, il fatto che un’impresa metta a disposizione della Commissione, nell’ambito delle sue indagini, informazioni relative ad atti per i quali alla detta impresa non avrebbe potuto essere inflitta un’ammenda in forza del regolamento n. 17 non può costituire una cooperazione rientrante nell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione (v., in tal senso, la giurisprudenza citata al precedente punto 451).

472    Quanto alle risposte del 5 aprile e del 10 maggio 2000 alle richieste di informazioni rispettivamente del 22 marzo e del 14 aprile 2000, si deve constatare, per quanto riguarda la prima risposta, che essa aveva chiaramente per oggetto l’intesa relativa alle vendite di birra a marchio privato e, per quanto riguarda la seconda risposta, che viene citata a sei riprese nella decisione impugnata, che, in assenza di una presa di posizione delle parti a tale riguardo, non è possibile constatare un contributo che vada al di là degli obblighi derivanti dall’art. 11 del regolamento n. 17.

473    D’altro canto, per quanto riguarda la collaborazione fornita dalla Interbrew, si deve constatare che la sua risposta del 23 dicembre 1999 alla richiesta di informazioni dell’11 novembre 1999 sebbene rientri in parte tra gli obblighi imposti all’impresa dall’art. 11 del regolamento n. 17, nondimeno li travalica in misura significativa e contribuisce chiaramente a dimostrare fatti materiali che costituiscono una violazione dell’art. 81 CE. Infatti, la Interbrew ha descritto ed esplicitato l’intesa in una misura che va molto al di là dell’obbligo che le incombeva in forza dell’art. 11 del regolamento n. 17.

474    Per quanto riguarda le lettere della Interbrew del 14 e 19 gennaio 2000, le lettere trasmesse in data 2, 8 e 28 febbraio 2000 in risposta alla richiesta informale di informazioni del 21 gennaio 2000, la dichiarazione del 29 febbraio 2000 e, infine, i due ultimi documenti trasmessi il 21 dicembre 2000, si deve rilevare che tali lettere e i loro allegati forniscono informazioni circostanziate su contatti avvenuti tra la Interbrew, la Alken-Maes e la ricorrente che rientrano chiaramente nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione.

475    Ne discende che, dal punto di vista qualitativo, la Interbrew ha contribuito in maniera più decisiva all’accertamento e alla conferma dell’esistenza dell’infrazione commessa.

476    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che la differenza tra le percentuali di riduzione dell’ammenda concesse dalla Commissione ai sensi del punto D 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione non costituisce una violazione del principio della parità di trattamento.

477    La prima parte del motivo va quindi disattesa.

b)     Sulla seconda parte, relativa all’erronea conclusione della Commissione secondo cui la ricorrente avrebbe contestato i fatti materiali sui quali la Commissione ha fondato le proprie accuse

 Argomenti delle parti

478    La ricorrente fa valere che la Commissione ha interpretato in modo manifestamente erroneo l’oggetto e il tenore della risposta alla comunicazione degli addebiti, ritenendo che tale risposta mettesse in dubbio l’esistenza dell’infrazione descritta nella medesima comunicazione. Infatti, nella sua risposta a detta comunicazione, la ricorrente si sarebbe limitata a rilevare elementi che considerava necessari affinché la Commissione valutasse i fatti in modo corretto e avrebbe contestato non i fatti materiali, ma semplicemente la portata o la qualifica loro attribuita dalla Commissione. La ricorrente avrebbe specificato che, senza contestare la sostanza dei fatti accertati dalla Commissione, desiderava chiarire alcuni punti e rimettere in prospettiva i fatti controversi al fine di dimostrare che essi non avevano la portata loro attribuita dalla Commissione. A tale proposito, la ricorrente sostiene che sarebbe in contrasto con i più elementari diritti della difesa che la Commissione possa imporre alle imprese che chiedono di beneficiare della comunicazione sulla cooperazione di rinunciare a contestare non solo i fatti, ma anche la loro qualifica, l’entità dell’ammenda o il ragionamento giuridico svolto dalla Commissione. Quest’ultima avrebbe riconosciuto essa stessa la fondatezza di tale distinzione nella decisione Intesa tubi preisolati, in cui non avrebbe penalizzato un’impresa che, pur senza negare la sostanza dei fatti, aveva contestato la portata loro attribuita dalla Commissione, ossia che essi costituivano un’infrazione. Poiché la ricorrente avrebbe semplicemente fornito una diversa qualifica dei fatti, sarebbe errata la conclusione della Commissione secondo cui la sua cooperazione non sarebbe stata continua e completa (sentenza Tate & Lyle e a./Commissione, citata al precedente punto 147, punto 162).

479    Infatti, nel ricorso, la ricorrente sottolinea anzitutto i cinque punti che essa avrebbe rilevato nella risposta alla comunicazione degli addebiti, senza che ciò possa essere interpretato nel senso che essa mette in dubbio l’esistenza dell’infrazione quale descritta dalla Commissione nella suddetta comunicazione.

480    In primo luogo, la ricorrente avrebbe evidenziato il fatto che la Commissione non ha tenuto conto degli abusi di posizione dominante della Interbrew in Belgio, mentre sarebbe esistito un nesso fra tali abusi e la cooperazione sviluppatasi tra la ricorrente e la stessa Interbrew, e che la loro presa in considerazione avrebbe consentito di chiarire il contesto dell’infrazione e i rapporti di forza effettivamente esistenti tra le parti.

481    In secondo luogo, la ricorrente avrebbe ricordato la particolarità del quadro normativo belga dell’epoca, il che, lungi dal rimettere in discussione l’esistenza dell’infrazione, consentirebbe di valutare meglio la gravità dei fatti e l’esistenza di circostanze attenuanti.

482    In terzo luogo, la ricorrente avrebbe fatto valere il ruolo di istigatore svolto dalla Interbrew, che avrebbe assunto l’iniziativa per quanto riguarda le varie intese e i vari accordi con la Alken-Maes.

483    In quarto luogo, la ricorrente avrebbe confutato la portata attribuita alle richieste da essa presentate alla Interbrew, che non avrebbero avuto forza vincolante nei confronti della destinataria.

484    In quinto luogo, la ricorrente avrebbe precisato la portata e la qualifica che, a suo parere, occorre attribuire ai fatti contestati, i quali, sebbene costituiscano un’infrazione dell’art. 81 CE, non potrebbero essere qualificati come accordi bilaterali sui prezzi e sulla ripartizione del mercato, ma solo come patto di non aggressione e limitazione degli investimenti e della pubblicità.

485    Inoltre, nella memoria di replica, la ricorrente risponde punto per punto all’argomento svolto dalla Commissione nel controricorso in relazione agli elementi di fatto che, secondo la stessa Commissione, la ricorrente avrebbe contestato durante il procedimento amministrativo. Fra tali elementi, due, a parere della Commissione, sarebbero ancora contestati dinanzi al Tribunale, mentre cinque non sembrano più costituire oggetto di contestazione. Alla luce del complesso di questi elementi, la ricorrente ribadisce di non avere contestato i fatti materiali di cui è causa, bensì unicamente la loro portata o la qualifica loro attribuita dalla Commissione.

486    In primo luogo, per quanto riguarda i due elementi di fatto contestati dinanzi al Tribunale, ossia la minaccia rivolta alla Interbrew e la durata dell’infrazione, la ricorrente afferma, in relazione alla prima, che, pur non negando che nell’ambito dei colloqui tra le parti dell’intesa concernenti le loro rispettive politiche in Francia, dopo avere constatato gli abusi commessi dalla Interbrew in Belgio, essa ha rivolto a quest’ultima un avvertimento legale e commercialmente legittimo, ma continua a contestare che tale comunicazione, sebbene facesse riferimento alla cifra di 500 000 ettolitri, possa essere considerata una coercizione nel senso in cui la interpreta la Commissione, tenuto conto in particolare dell’assenza di effetto coercitivo del suddetto avvertimento.

487    Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, la ricorrente conferma di continuare a negare che l’intesa si sia protratta oltre il luglio 1996. Tuttavia, non si tratterebbe della risoluta contestazione di alcuni fatti già accertati, come sostiene erroneamente la Commissione, bensì della contestazione della portata attribuita da quest’ultima ai contatti avvenuti tra le parti dopo il luglio 1996, che sarebbe incompatibile con il contesto e gli effetti di tali contatti, che, dopo la suddetta data, non hanno più avuto un oggetto anticoncorrenziale. Poiché la Interbrew aveva distribuito ai clienti il suo tariffario durante il 1996 e l’aveva applicato a partire dal 1° gennaio 1997, non avrebbero più potuto avere luogo colloqui di questo tipo.

488    In secondo luogo, per quanto riguarda gli altri cinque elementi di fatto che la Commissione ritiene siano stati contestati nella risposta alla comunicazione degli addebiti, ma non più nel ricorso, la ricorrente osserva quanto segue.

489    Anzitutto, per quanto concerne la presunta contestazione del fatto che l’intesa riguardava anche la ripartizione dei clienti e in particolare il livello dei prezzi, la ricorrente afferma di ammettere l’esistenza dei fatti e di non contestare che essi costituiscano una violazione dell’art. 81 CE, ma sottolinea che i fatti in questione non possono essere qualificati come accordo bilaterale sui prezzi, il che incide non già sull’esistenza dell’infrazione, ma sulla sua gravità. In particolare, pur senza contestare che nel corso della riunione del 9 novembre 1994 si siano svolti colloqui sui prezzi, la ricorrente continua a ritenere che la Commissione, considerando che tali colloqui costituiscono effettivamente un accordo sui prezzi, abbia giudicato i fatti in maniera estremamente severa. In particolare, la ricorrente avrebbe inteso contestare la portata attribuita dalla Commissione alla formula manoscritta «J=SA=A‑M=275,-».

490    Per quanto riguarda l’inizio dell’intesa, poi, la ricorrente ammette che, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, essa ha effettivamente sostenuto che l’intesa era iniziata solo nell’ottobre 1994. Tuttavia, la Commissione ometterebbe di rilevare che tale risposta riguardava i colloqui tra le parti successivi alla fine del 1992. Orbene, senza negare l’esistenza di contatti e di scambi di informazioni con i concorrenti in merito alla sua struttura tariffaria a partire dalla fine del 1992, la ricorrente sostiene che tali elementi devono essere ricollocati nel loro contesto e considerati per ciò che sono realmente, in particolare nel quadro della funzione svolta dalla CBB in materia di regolamentazione degli aumenti di prezzo.

491    Inoltre, per quanto riguarda l’argomento secondo cui l’oggetto della riunione dell’11 maggio 1994 non sarebbe stato limitato alla presentazione del nuovo direttore della divisione «birra» della ricorrente, quest’ultima rileva di aver effettivamente affermato che la riunione aveva essenzialmente per oggetto la detta presentazione, ma anche che il suo oggetto, più ampio, rientrava nell’ambito della proposta della Interbrew di concludere un patto di non aggressione comprendente la Francia.

492    Per quanto riguarda i colloqui del 6 luglio 1996, la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, essa non ha contestato che tali colloqui riguardassero la collaborazione tra la Interbrew e la Alken-Maes. La ricorrente avrebbe osservato che le discussioni riguardavano principalmente la situazione commerciale della Interbrew in Francia, ma nondimeno avrebbe subito precisato che il patto di non aggressione relativo alla Francia e al Belgio è stato proposto dalla Interbrew nell’ambito di tali discussioni.

493    Quanto alla questione dell’influenza della Interbrew in seno alla CBB, la ricorrente non avrebbe contestato la circostanza, accertata dalla Commissione, che la Interbrew non determinava la politica della CBB. Inoltre, quand’anche l’avesse contestata, si sarebbe trattato di una contestazione del modo in cui la Commissione ha interpretato l’influenza esercitata dalla Interbrew, e non della contestazione di un fatto accertato.

494    Infine, per quanto riguarda la tesi della Commissione secondo cui la ricorrente avrebbe dichiarato di non contestare unicamente i fatti indicati nella comunicazione degli addebiti che essa stessa ha ammesso, la ricorrente fa valere che la Commissione ha interpretato erroneamente il significato delle sue dichiarazioni, deformandole.

495    Infatti, la Commissione avrebbe stravolto il senso di quanto affermato dalla ricorrente aggiungendo l’avverbio «solo» alla sua dichiarazione, ossia scrivendo che essa dichiara di «non contestare i fatti solo nella misura in cui essi siano basati in parte su informazioni da lei stessa fornite alla Commissione». La ricorrente, infatti, aveva scritto di non contestare «l’esistenza dei fatti intervenuti nel periodo in questione nella misura in cui essi [erano] in parte basati su informazioni fornite dai rappresentati della Alken-Maes alla Commissione».

496    Inoltre, la Commissione interpreterebbe erroneamente l’espressione «nella misura in cui». Tale formula verrebbe impiegata non allo scopo di limitare – ancorché parzialmente – la portata dell’ammissione dei fatti materiali, bensì, al contrario, per sottolineare che sarebbe stato particolarmente fuori luogo che la ricorrente contestasse i fatti accertati dalla Commissione, dal momento che essi sono stati provati in parte sulla base di elementi forniti dalla ricorrente medesima. Tali errori di interpretazione avrebbero indotto la Commissione a concludere erroneamente che la ricorrente metteva in dubbio l’esistenza dell’infrazione.

497    Nella replica, la ricorrente afferma che la Commissione, nel controricorso, continua a dare un’interpretazione inesatta, per non dire tendenziosa, alla risposta della ricorrente alla comunicazione degli addebiti, osservando che quest’ultima «si è limitata ad ammettere i fatti “nella misura in cui siano basati in parte su informazioni fornite dai rappresentanti della stessa Alken-Maes alla Commissione”». Utilizzando l’espressione «si è limitata», la Commissione avrebbe introdotto una limitazione che il testo originale non conteneva. Infatti, se è vero che l’espressione «nella misura in cui» può avere un senso restrittivo quando si accompagna a una negazione o ad un verbo limitativo, essa per contro andrebbe intesa in senso esplicativo quando viene utilizzata indipendentemente da una negazione o da un verbo limitativo.

498    La ricorrente fa inoltre valere che averle attribuito una contestazione dei fatti risulta ancor più dannoso se si considera che dalla prassi decisionale della Commissione emerge come la semplice mancata contestazione dei fatti, senza l’apporto di elementi nuovi, può comportare una riduzione di circa il 20% dell’ammenda, come dimostrerebbero le decisioni Traghetti greci e Intesa tubi preisolati. La Commissione, in passato, avrebbe concesso una riduzione identica a quella ottenuta nella fattispecie dalla ricorrente a un’impresa che non aveva collaborato [punto 98 della decisione della Commissione 21 gennaio 1998, 98/247/CECA, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo 65 del Trattato CECA, Caso IV/35.814 – Extra di lega (GU L 100, pag. 55)].

499    La Commissione osserva anzitutto che, secondo la giurisprudenza, una riduzione dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti materiali richiede l’ammissione esplicita dei fatti quali accertati nella comunicazione degli addebiti. Orbene, sia dalla risposta alla comunicazione degli addebiti che dal ricorso risulterebbe che la ricorrente ha tentato risolutamente di negare – e continua a farlo – che sia stata rivolta una minaccia alla Interbrew e che l’intesa si sia protratta oltre il luglio 1996. D’altro canto, la ricorrente, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, avrebbe inizialmente contestato alcuni fatti fondamentali, che non ha continuato a negare nel ricorso.

500    Quanto all’argomento secondo cui la Commissione interpreterebbe come una contestazione dei fatti ciò che in realtà costituirebbe una contestazione della portata o della qualificazione giuridica loro attribuita, la Commissione osserva che la contestazione riguarda al contrario la sostanza di vari fatti.

501    In ogni caso, sarebbe errato sostenere che la mancata contestazione dei fatti giustifichi in generale una riduzione del 20% dell’importo dell’ammenda, dal momento che la riduzione accordata per tale motivo sarebbe dell’ordine del 10%. Quanto all’argomento secondo cui alcune parti che non avevano collaborato con la Commissione avrebbero ottenuto una riduzione analoga a quella concessa alla ricorrente, si tratterebbe di una tesi infondata.

502    Infine, la Commissione fa valere che, salvo ignorare la grammatica, la presunta ammissione dei fatti da parte della ricorrente è stata solo condizionale. Infatti, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente si sarebbe limitata ad ammettere i fatti «nella misura in cui siano basati in parte su informazioni fornite dai rappresentanti della stessa Alken-Maes agli agenti della Commissione».

 Giudizio del Tribunale

503    Dal punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione (v. precedente punto 448) risulta che un’impresa, quando collabora ai sensi del punto D, beneficia di una riduzione dal 10 al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse.

504    Per beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda per non aver contestato i fatti, conformemente al punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, un’impresa deve informare espressamente la Commissione che non intende contestare la sostanza dei fatti, dopo avere preso conoscenza della comunicazione degli addebiti (sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 309).

505    Tuttavia, non basta che un’impresa affermi in modo generico di non contestare i fatti invocati, conformemente alla comunicazione sulla cooperazione, se, nelle circostanze del caso di specie, tale affermazione non è di alcuna utilità per la Commissione (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑48/00, Corus UK/Commissione, Racc. pag. II−2325, punto 193). Infatti, affinché un’impresa possa beneficiare di una riduzione dell’ammenda per la collaborazione mostrata durante il procedimento amministrativo, il suo comportamento deve agevolare il compito della Commissione che consiste nel constatare e reprimere infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza (v., in tal senso, sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, citata al precedente punto 57, punto 309).

506    Alla luce di tale principi, occorre verificare se, come afferma la ricorrente, la Commissione abbia errato nel ritenere, al punto 326 della decisione impugnata, che la dichiarazione di non contestare gli elementi di fatto e la messa in dubbio dell’esistenza dell’infrazione quale descritta dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti non giustifichino una riduzione dell’ammenda ai sensi del punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione.

507    A tale proposito, per quanto riguarda, in primo luogo, le dichiarazioni generiche della ricorrente relative alla non contestazione dei fatti materiali, si deve constatare che, prima dell’invio della comunicazione degli addebiti, nella lettera del 27 dicembre 1999 indirizzata alla Commissione, la Alken-Maes ha affermato che «[essa] non contest[ava] i fatti materiali quali descritti dalla Commissione nella richiesta di informazioni inviata l’11 novembre 1999, e che, in particolare, (…) [era] esistita un[a] pratica concordata tra la Interbrew e la Alken-Maes in virtù della quale [erano] state scambiate informazioni ogni mese in merito alle rispettive vendite di birra in Belgio; (…) tra il 1992 e il 1998 vi [erano] stati molti incontri tra collaboratori della Alken-Maes, principalmente il signor Vaxelaire, all’epoca amministratore delegato, e collaboratori della Interbrew, principalmente i signori T. e J. D., nel corso dei quali [erano] state oggetto di concertazione la distribuzione e la vendita di birra in Belgio». La Alken- Maes ha aggiunto che «[f]atte salve le circostanze attenuanti indicate [ai] servizi [della Commissione], la Alken-Maes ammette e non contesterà che tali fatti costituiscono una violazione dell’art. 81 (…) CE».

508    Occorre inoltre constatare che, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente ha rilevato che, «[s]enza contestare l’esistenza di contatti e pratiche tra Interbrew e Alken-Maes nella misura in cui sono basati in parte sulle informazioni fornite dai rappresentanti della stessa Alken-Maes agli agenti della Commissione, [essa] desidera[va] (…) chiarire alcuni punti e rimettere in prospettiva i fatti controversi al fine di dimostrare che essi non hanno la portata loro attribuita dalla Commissione». A pag. 1 della risposta alla detta comunicazione, la ricorrente ha riformulato le sue dichiarazioni in maniera leggermente diversa, osservando che «[s]enza contestare l’esistenza dei fatti intervenuti nel periodo in esame nella misura in cui siano in parte fondati sulle informazioni fornite dai rappresentanti di Alken-Maes agli agenti della Commissione, su istruzioni conformi [della ricorrente], con la presente risposta [la ricorrente] intende chiarire alcuni punti e rimettere in prospettiva i fatti controversi al fine di dimostrare che essi non hanno la portata loro attribuita dalla Commissione, o che, in alcuni casi, le conclusioni in diritto della Commissione discendono da una qualifica errata delle circostanze controverse».

509    Pertanto, è giocoforza constatare, alla luce della risposta della ricorrente alla comunicazione degli addebiti, che essa, sebbene affermi di non contestare l’esistenza di «contatti e pratiche tra Interbrew e Alken-Maes» o dei «fatti intervenuti nel periodo in esame», tuttavia non ha dichiarato espressamente e in maniera chiara e precisa di non contestare i fatti materiali sui quali la Commissione ha fondato le sue accuse. Al contrario, la ricorrente ha corredato la sua affermazione di riserve relative alla propria intenzione di «chiarire alcuni punti» e «rimettere in prospettiva i fatti controversi» al fine di dimostrare che essi «non hanno la portata loro attribuita dalla Commissione» o che le conclusioni in diritto della Commissione «discendono da una qualifica errata delle circostanze controverse».

510    Per quanto riguarda, in secondo luogo, le osservazioni della ricorrente relative a fatti specifici riportati dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti (v. precedenti punti 486-493), è comprovato che la ricorrente non si è limitata a chiarire la portata loro attribuita dalla Commissione, ma ha contestato il contenuto o l’esistenza di alcuni di essi.

511    Così, per quanto riguarda la durata dell’infrazione, nella comunicazione degli addebiti la Commissione ha dichiarato che disponeva di elementi concernenti l’intesa per il periodo compreso tra il 28 gennaio 1993 e il 28 gennaio 1998 e che quest’ultima si era quindi protratta fino al 28 gennaio 1998. Per il periodo successivo al luglio 1996, la Commissione ha fondato tale conclusione su tre elementi di fatto, vale a dire, in primo luogo, che il 9 dicembre 1996 ha avuto luogo un contatto telefonico tra la Alken-Maes (nella persona del signor L. B.) e la Interbrew (nella persona del signor A. B.); in secondo luogo, che la riunione tenutasi a Parigi il 17 aprile 1997 tra la Interbrew, la Alken-Maes e la ricorrente aveva un oggetto anticoncorrenziale e, in terzo luogo, che la riunione del 28 gennaio 1998 tra la Interbrew e la Alken-Maes ha avuto per oggetto l’intesa.

512    Ora, si deve rilevare che, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente ha affermato che «si stupi[va] che la Commissione consider[asse] [la data del 28 gennaio 1998] come data che segnava la fine delle pratiche contestate, dal momento che tutti gli elementi del fascicolo d’inchiesta dimostrano che i colloqui bilaterali sono cessati dopo il secondo semestre del 1996». In particolare, la ricorrente ha affermato che «i colloqui relativi alla struttura tariffaria sono cessati dopo la decisione adottata da Interbrew nel luglio 1996 di applicare le sue nuove tariffe a partire dal 1° gennaio 1997» e che «l’assenza di colloqui dopo il luglio 1996» emergeva ad esempio da una nota di un consulente della Alken‑Maes che confrontava le nuove condizioni generali della Interbrew con il progetto della Alken‑Maes, che sarebbe stata superflua «se vi fossero stati contatti tra le due imprese relativamente a tale materia», che «la riunione [del 17 aprile 1997] non si è svolta nell’ambito dei colloqui considerati nella [comunicazione degli addebiti]» e che la riunione del 28 gennaio 1998 non aveva per oggetto di «ristabilire le vecchie pratiche».

513    Alla luce di quanto precede, in particolare delle osservazioni svolte dalla ricorrente in relazione alla durata dell’infrazione, si deve ritenere che le sue dichiarazioni secondo cui essa non contesta i fatti materiali non possono giustificare una riduzione dell’ammenda ai sensi del punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione.

514    Infatti, in primo luogo, poiché nella fattispecie si tratta di un’intesa avente un oggetto anticoncorrenziale, è importante rilevare che, in linea di principio, l’accertamento dei fatti è sufficiente di per sé a ritenere che sussistano due elementi essenziali per una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, vale a dire l’esistenza di un accordo e il suo oggetto anticoncorrenziale. Pertanto, è giocoforza constatare che la ricorrente non poteva contestare, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, la sussistenza dei fatti controversi nel luglio 1996, che la Commissione ha validamente dimostrato e che costituiscono di per sé l’infrazione di cui è causa, senza contestare i fatti materiali ai sensi del punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione (v., per analogia, sentenza Corus UK/Commissione, citata al precedente punto 505, punti 195 e 197).

515    In secondo luogo, una dichiarazione di non contestare i fatti materiali corredata, come nella fattispecie, di un insieme di osservazioni con cui la ricorrente afferma di voler chiarire la portata di alcuni fatti ma che, in realtà, costituiscono una contestazione degli stessi non può essere considerata atta ad agevolare il compito della Commissione consistente nel constatare e reprimere la violazione delle regole di concorrenza.

516    A tale proposito è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto da essa affermato, la ricorrente non contesta la portata attribuita dalla Commissione a determinati fatti, ossia i contatti del 9 dicembre 1996, 17 aprile 1997 e 28 gennaio 1998, bensì la natura stessa dei fatti in questione. Infatti, nella risposta alla comunicazione degli addebiti (v. precedente punto 512), la ricorrente non si è limitata a negare la portata del contatto avvenuto il 9 dicembre 1996 tra la Alken-Maes e la Interbrew, ma ha contestato il fatto stesso che a tale data abbia avuto luogo un contatto tra le due concorrenti. Del pari, la ricorrente ha negato il fatto stesso che la riunione del 17 aprile 1997 avesse avuto un oggetto anticoncorrenziale, e non già la portata o la rilevanza giuridica attribuitagli dalla Commissione. Infine, per quanto riguarda l’incontro del 28 gennaio 1998, la ricorrente non si è limitata a sostenere che il fatto che l’intesa sia percepita come attuale, come ha validamente dimostrato la Commissione, non riveste la portata o la qualifica giuridica attribuitagli dalla Commissione, vale a dire quella di un’infrazione, bensì il fatto stesso che il tenore della discussione sull’intesa conferisca a quest’ultima un carattere attuale.

517    Pertanto, si deve concludere, senza che occorra esaminare gli altri argomenti svolti dalla ricorrente, che la Commissione poteva legittimamente constatare, al punto 326 della decisione impugnata, che la ricorrente aveva messo in dubbio l’esistenza dell’infrazione quale descritta nella comunicazione degli addebiti e ritenere che ciò non giustificasse una riduzione dell’ammenda ai sensi del punto D 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione.

518    Di conseguenza, occorre respingere la seconda parte e pertanto il motivo nella sua interezza.

 Sul metodo di calcolo e sull’importo definitivo dell’ammenda

519    Come risulta dal precedente punto 313, occorre ridurre l’aumento dell’importo di base dell’ammenda applicato in funzione delle circostanze aggravanti dal 50 al 40%.

520    Per quanto riguarda il calcolo dell’importo definitivo dell’ammenda, quale risulta da tale modifica, si deve rilevare che la Commissione, nel calcolo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, si è discostata dalla metodologia enunciata negli orientamenti.

521    Infatti, tenuto conto della formulazione degli orientamenti, le percentuali corrispondenti agli aumenti o alle riduzioni, adottate in funzione delle circostanze aggravanti o attenuanti, devono essere applicate all’importo di base dell’ammenda, determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, e non al risultato dell’attuazione di una prima maggiorazione o riduzione per effetto di una circostanza aggravante o attenuante (v., in tal senso, sentenza Cheil Jedang/Commissione, citata al precedente punto 95, punto 229).

522    Orbene, nella fattispecie è giocoforza constatare che, mentre la Commissione ha adeguato l’importo dell’ammenda in funzione, da un lato, di due circostanze aggravanti e, dall’altro, di una circostanza attenuante, dall’importo definitivo dell’ammenda inflitta risulta che la Commissione ha applicato uno di questi due adeguamenti all’importo che risultava dall’applicazione di una prima maggiorazione o riduzione. Tale metodo di calcolo ha l’effetto di modificare l’importo definitivo dell’ammenda che risulterebbe dall’applicazione del metodo indicato negli orientamenti.

523    A tale proposito, se è vero che il metodo di calcolo dell’importo delle ammende enunciato negli orientamenti non costituisce l’unico metodo applicabile, esso tuttavia è atto a garantire una prassi decisionale coerente in materia di applicazione delle ammende che consente, a sua volta, di garantire la parità di trattamento delle imprese sanzionate per violazione delle regole in materia di concorrenza. Nella fattispecie ora in esame, il Tribunale constata che la Commissione si è discostata dagli orientamenti, per quanto riguarda il metodo di calcolo dell’importo definitivo delle ammende, senza fornire alcuna giustificazione.

524    Nella fattispecie, pertanto, all’importo di base dell’ammenda inflitta alla ricorrente occorre applicare, in virtù della competenza anche di merito conferita al Tribunale dall’art. 17 del regolamento n. 17, l’aumento del 40% determinato in funzione della circostanza aggravante connessa alla recidiva.

525    L’importo definitivo dell’ammenda inflitta alla ricorrente è quindi calcolato come segue: all’importo di base dell’ammenda (36,25 milioni di EUR) viene aggiunto anzitutto il 40% di tale importo (14,5 milioni di EUR) e sottratto il 10% dello stesso (3,625 milioni di EUR), il che conduce a un ammontare di 47,125 milioni di EUR. Tale importo viene quindi ridotto del 10% per tenere conto della cooperazione, ottenendo in tal modo un importo definitivo dell’ammenda pari a 42,4125 milioni di EUR.

 Sulle spese

526    Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. Nella fattispecie, si deve dichiarare che la ricorrente sopporterà le proprie spese e tre quarti delle spese sostenute dalla Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente è fissato in 42,4125 milioni di EUR.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      La ricorrente sopporterà le proprie spese e tre quarti delle spese sostenute dalla Commissione. La Commissione sopporterà un quarto delle proprie spese.

Vilaras

Martins Ribeiro

Jürimäe

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 25 ottobre 2005.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      M. Vilaras


Indice


Contesto normativo

Fatti all’origine della controversia

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A – Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

1. Sul motivo concernente la violazione dei diritti della difesa e del principio di buona amministrazione

a) Sul primo capo, relativo al fatto che la ricorrente non sarebbe stata messa in condizione di esaminare il contesto in cui è stato redatto un documento utilizzato a suo carico dalla Commissione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) Sul secondo capo, relativo al fatto che la Commissione non avrebbe consentito alla ricorrente di conoscere, prima dell’adozione della decisione impugnata, gli elementi considerati ai fini del calcolo dell’ammenda

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

c) Sul terzo capo, relativo alla mancanza di documentazione concernente le riunioni tra la Commissione e la Interbrew e al rifiuto della Commissione di comunicare alla ricorrente la risposta della Interbrew alla comunicazione degli addebiti

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

2. Sul motivo concernente l’inosservanza dell’obbligo di motivazione

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

B – Sulle domande in subordine di riduzione dell’ammenda inflitta

1. Sul motivo concernente l’erronea valutazione della gravità dell’infrazione ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda, in violazione dei principi della parità di trattamento, di proporzionalità e del ne bis in idem

a) Argomenti delle parti

Argomenti della ricorrente

– Sulla valutazione della gravità dell’infrazione: violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità

– Sulla valutazione dell’effettiva capacità economica della ricorrente di arrecare un danno consistente agli altri operatori: violazione del principio di proporzionalità

– Sulla determinazione dell’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un effetto sufficientemente dissuasivo: violazione del principio di proporzionalità

– Sulla presa in considerazione delle conoscenze e delle infrastrutture giuridico-economiche di cui dispongono in generale le grandi imprese: violazione del principio del ne bis in idem

Argomenti della Commissione

b) Giudizio del Tribunale

Sul giudizio relativo alla gravità dell’infrazione

Sulla valutazione dell’effettiva capacità della ricorrente di arrecare un danno consistente agli altri operatori

Sulla determinazione dell’importo dell’ammenda a un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo

Sulla presa in considerazione delle conoscenze e dei mezzi giuridici ed economici di cui dispongono in generale le grandi imprese

Sull’adeguatezza dell’importo di base specifico alla luce delle circostanze invocate dalla ricorrente

2. Sul motivo concernente l’erronea valutazione della durata dell’infrazione

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

Sul contatto telefonico del 9 dicembre1996

Sulla riunione del 17 aprile 1997

Sulla riunione del 28 gennaio 1998

3. Sul motivo concernente l’infondatezza della circostanza aggravante applicata in considerazione delle pressioni esercitate sulla Interbrew

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

4. Sul motivo concernente l’erronea applicazione della circostanza aggravante della recidiva nei confronti della ricorrente

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

5. Sul motivo concernente l’insufficiente presa in considerazione delle circostanze attenuanti applicabili

a) Sulla prima parte, relativa al rifiuto della Commissione di tener conto del fatto che l’infrazione non ha avuto effetti sul mercato

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) Sulla seconda parte, relativa al fatto che la Commissione non ha preso in considerazione l’influenza del regime di controllo dei prezzi e la tradizione secolare di concertazione che caratterizza il settore della birra

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

c) Sulla terza parte, relativa al rifiuto della Commissione di tener conto della situazione di crisi del settore

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

d) Sulla quarta parte, relativa all’atteggiamento minaccioso della Interbrew

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

6. Sul motivo concernente l’erronea valutazione della portata della cooperazione della ricorrente, in violazione del principio della parità di trattamento e della comunicazione sulla cooperazione

a) Sulla prima parte, relativa all’erronea valutazione, da parte della Commissione, della portata della cooperazione della ricorrente, tenuto conto in particolare della sua prassi decisionale e in violazione del principio della parità di trattamento

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) Sulla seconda parte, relativa all’erronea conclusione della Commissione secondo cui la ricorrente avrebbe contestato i fatti materiali sui quali la Commissione ha fondato le proprie accuse

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul metodo di calcolo e sull’importo definitivo dell’ammenda

Sulle spese



* Lingua processuale: il francese.