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Cause riunite da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02

Raiffeisen Zentralbank Österreich AG e altri

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza — Intese — Mercato bancario austriaco — “Club Lombard” — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri — Calcolo delle ammende»

Massime della sentenza

1.      Ricorso di annullamento — Competenza del giudice comunitario

(Artt. 229 CE e 230, quarto comma, CE)

2.      Ricorso di annullamento — Ricorso proposto dalla persona fisica o giuridica destinataria dell’atto impugnato — Trasferimento del ricorso ad un terzo — Inammissibilità

(Artt. 229 CE e 230, quarto comma, CE)

3.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Domanda di accertamento di un’infrazione proposta da una persona fisica o giuridica

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 3, nn. 1 e 2, e n. 2842/98, artt. 6‑8)

4.      Concorrenza — Intese — Divieto — Infrazioni — Accordi e pratiche concordate idonei ad essere considerati costitutivi di un’infrazione unica

(Art. 81, n. 1, CE)

5.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione

6.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione

7.      Concorrenza — Intese — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri

(Art. 81, n. 1, CE)

8.      Concorrenza — Intese — Delimitazione del mercato — Oggetto

(Artt. 81, n. 1, CE e 82 CE)

9.      Concorrenza — Intese — Delimitazione del mercato — Oggetto

(Art. 81 CE)

10.    Concorrenza — Intese — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri

(Art. 81 CE)

11.    Concorrenza — Intese — Accordi fra imprese — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri

(Art. 81, n. 1, CE)

12.    Concorrenza — Intese — Intese considerate come elementi costitutivi di un unico accordo anticoncorrenziale

(Art. 81 CE)

13.    Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Intenzionalità dell’infrazione

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

14.    Concorrenza — Intese — Notifica — Effetti

[Art. 81, nn. 1 e 3, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 5, lett. a)]

15.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in caso di infrazioni alle regole di concorrenza

(Carta dei diritti fondamentali, art. 49; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

16.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Contesto giuridico

(Regolamento del Consiglio n. 17, artt. 3 e 15, n. 2; comunicazioni della Commissione 96/C 207/04 e 98/C 9/03)

17.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

18.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

19.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Art. 81, n. 1, CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

20.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

21.    Concorrenza — Regole comunitarie— Infrazioni — Imputazione

22.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punti 1 A, 2 e 3)

23.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 17)

24.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

25.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Durata dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

26.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3)

27.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, primo trattino)

28.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, secondo trattino)

29.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti o attenuanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, terzo trattino)

30.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti

31.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

32.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata

(Regolamento del Consiglio n. 17, artt. 11, nn. 1, 2, 4 e 5, e 15, n. 2; comunicazione della Commissione 96/C 207/04)

33.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Richiesta di informazioni

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11, nn. 2 e 5)

34.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11, n. 5; comunicazione della Commissione 96/C 207/04)

35.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11, n. 5; comunicazione della Commissione 96/C 207/04, titolo D, punto 2)

36.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Riduzione giustificata da irregolarità nel corso del procedimento amministrativo — Presupposto

1.      I giudici comunitari possono prendere atto del mutamento di nome di una parte della causa e un ricorso d’annullamento avviato dal destinatario di un atto può essere proseguito dal suo successore a titolo universale, in particolare in caso di decesso di una persona fisica o nell’ipotesi in cui una persona giuridica cessi di esistere e il complesso dei suoi diritti ed obblighi venga trasferito ad un nuovo titolare. In questo caso, il successore a titolo universale si sostituisce necessariamente di pieno diritto al suo predecessore in quanto destinatario dell’atto impugnato.

Il giudice comunitario, invece, non è competente nell’ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE e nemmeno nell’esercizio della sua competenza anche di merito ai sensi dell’art. 229 CE, per quanto riguarda le sanzioni, a riformare la decisione di un’istituzione comunitaria sostituendo al destinatario di questa un’altra persona fisica o giuridica, qualora il destinatario esista ancora. Tale competenza spetta solo all’istituzione che ha adottato la decisione in questione. In tal modo, una volta che l’istituzione competente ha adottato una decisione e ha pertanto determinato l’identità della persona alla quale occorre inviarla, non spetta al Tribunale sostituire un’altra persona a quest’ultima.

(v. punti 71-72)

2.      Il ricorso presentato da una persona in qualità di destinatario di un atto per far valere i propri diritti nell’ambito di una domanda di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE e/o di una domanda di riforma ai sensi dell’art. 229 CE non può essere trasferito ad un terzo non destinatario dello stesso. Infatti, se venisse ammesso un simile trasferimento vi sarebbe discordanza tra la qualità a titolo della quale è stato presentato il ricorso e la qualità a titolo della quale esso verrebbe asseritamente proseguito. Inoltre, un trasferimento di tale tipo creerebbe una discordanza tra l’identità del destinatario dell’atto e quella della persona che agisce in giudizio in qualità di destinatario.

(v. punto 73)

3.      Se, ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento n. 17, la Commissione può constatare, «su domanda o d’ufficio», un’infrazione alle disposizioni dell’art. 81 CE o dell’art. 82 CE e obbligare, mediante decisione, le imprese ed associazioni di imprese interessate a porre fine all’infrazione constatata, in quanto, ai sensi del n. 2 del medesimo articolo, sono autorizzate a presentare tale domanda a tal fine le persone fisiche o giuridiche che sostengano di avervi interesse, risulta dagli artt. 6‑8 del regolamento n. 2842/88, relativo alle audizioni in taluni procedimenti a norma dell’articolo 81 CE e dell’articolo 82 CE, che le persone che hanno presentato tale domanda hanno taluni diritti di ordine processuale, tra cui in particolare quello di ottenere copia della versione non riservata della comunicazione degli addebiti.

Tale domanda può essere validamente presentata, allorché è stata avviata d’ufficio una procedura di infrazione. Infatti, i regolamenti n. 17 e n. 2842/98 non esigono, per poter riconoscere la qualità di richiedente, che la domanda in oggetto sia all’origine dell’apertura, da parte della Commissione, della procedura di infrazione e che l’indagine sull’infrazione denunciata non sia stata ancora avviata. In caso contrario, i soggetti aventi un interesse legittimo a far constatare una violazione delle regole di concorrenza non potrebbero far valere, durante lo svolgimento della procedura, i diritti procedurali connessi a tale qualità, ai sensi degli artt. 6-8 del regolamento n. 2842/98.

In proposito, un partito politico può validamente invocare la sua condizione di cliente di servizi bancari e il fatto che i suoi interessi economici siano stati lesi da pratiche contrarie alla concorrenza, per giustificare un interesse legittimo a presentare una domanda volta a far constatare dalla Commissione che le dette pratiche costituivano una violazione degli artt. 81 CE e 82 CE.

In effetti, nulla si oppone al fatto che un cliente finale che acquista beni o servizi possa vantare un interesse legittimo ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 17. Un cliente finale il quale dimostri di essere stato leso o di poter essere leso nei suoi interessi economici a causa della restrizione della concorrenza in esame possiede un interesse legittimo, ai sensi di tale disposizione, a depositare una domanda o una denuncia allo scopo di far constatare dalla Commissione una violazione degli artt. 81 CE e 82 CE.

È irrilevante, in proposito, il fatto che, in un primo tempo, tale cliente finale che acquista beni o servizi aveva fatto valere un interesse generale che intendeva difendere in quanto partito politico di opposizione, e che solo in un secondo tempo esso abbia dichiarato di aver subito un pregiudizio di ordine economico, in quanto cliente finale dei servizi in questione, a causa dell’intesa denunciata. Infatti, questa prima presa di posizione non poteva privarlo della possibilità di far valere in seguito, per dimostrare un interesse legittimo ai sensi del regolamento n. 17, la propria condizione di cliente delle banche contro le quali la procedura era stata avviata, così come il pregiudizio di ordine economico che esso avrebbe asseritamente subìto a causa degli accordi in esame.

Non è possibile subordinare l’ammissione di una parte interessata in qualità di denunciante e la trasmissione ad essa della comunicazione degli addebiti alla condizione che tutto questo avvenga prima di qualunque audizione orale dinanzi alla Commissione. Infatti, i regolamenti n. 17 e n. 2842/98 non impongono ai terzi richiedenti o denunzianti che dimostrano di avere un interesse legittimo alcun termine specifico per l’esercizio del loro diritto a ricevere la comunicazione degli addebiti e ad essere ascoltati nell’ambito di una procedura di infrazione. Ad esempio, gli artt. 7 e 8 del regolamento n. 2842/98 stabiliscono solo che la Commissione trasmette gli addebiti al richiedente o al denunziante e stabilisce un termine entro il quale detti soggetti possono manifestare il proprio punto di vista per iscritto, potendo essi esprimersi anche oralmente qualora lo richiedano. Pertanto, il diritto di un richiedente o di un denunziante a ottenere la trasmissione della comunicazione degli addebiti e ad essere sentiti nella fase amministrativa del procedimento diretto alla constatazione di una violazione agli artt. 81 CE e 82 CE può essere esercitato finché è in corso il procedimento stesso.

(v. punti 95-98, 100-101)

4.      Una violazione dell’art. 81, n. 1, CE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o perfino da un comportamento continuato. Tale interpretazione non può essere contestata sulla base del fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero altresì costituire di per sé e presi isolatamente una violazione della detta disposizione. Ove le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto, consistente nel distorcere il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme.

La qualificazione come intesa globale unica può essere attribuita ad un sistema di gruppi di discussione istituito dalle banche interessate per coordinare regolarmente il loro comportamento in merito ai più importanti parametri concorrenziali sul mercato dei prodotti e dei servizi bancari in uno Stato membro, allorché uno di essi, quale istanza suprema di tutti gli altri gruppi di discussione, sia investito di questioni rientranti in numerosi gruppi di discussione specifici, prenda le decisioni fondamentali, svolga una funzione arbitrale tra i diversi gruppi in caso di problemi disciplinari relativi al rispetto degli accordi e qualora sussista uno stretto collegamento tra i gruppi di discussione e i loro processi decisionali, in quanto si svolgono riunioni comuni tra i gruppi di discussione, si hanno sovrapposizioni fra le competenze dei gruppi e i gruppi di discussione si tengono reciprocamente informati circa le loro attività.

(v. punti 111, 114, 117-120, 126)

5.      Nell’ambito dei procedimenti di applicazione delle regole di concorrenza, il fatto che nei confronti di un operatore economico che si trovasse in una situazione analoga a quella dell’operatore sanzionato non sia stato formulato, dalla Commissione, alcun addebito non può in nessun caso costituire un motivo per non tener conto dell’infrazione addebitata all’operatore sanzionato, se questa è stata regolarmente accertata.

(v. punto 138)

6.      Di fronte ad una rete di accordi molto complessa, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità per stabilire quali, tra le diverse intese, considerare come particolarmente significative, scelta che può costituire oggetto solo di un controllo giurisdizionale ristretto.

(v. punto 144)

7.      Un accordo tra imprese, per poter pregiudicare il commercio fra Stati membri, deve consentire di prevedere con sufficiente grado di probabilità, in base ad un insieme di elementi oggettivi di fatto o di diritto, che esso sia atto ad incidere direttamente o indirettamente, effettivamente o potenzialmente, sulle correnti commerciali fra Stati membri, in modo da poter nuocere alla realizzazione degli obiettivi di un mercato unico fra Stati. Dunque, il pregiudizio per gli scambi intracomunitari deriva in generale dalla combinazione di diversi fattori che, considerati isolatamente, non sarebbero necessariamente determinanti.

Poco importa, a questo riguardo, che l’influenza di un’intesa sugli scambi sia sfavorevole, neutra o favorevole. Infatti, una restrizione della concorrenza può influire sul commercio tra Stati membri quando è idonea a sviare le correnti commerciali dall’orientamento che avrebbero altrimenti. Pertanto, per decretare l’idoneità dell’intesa ad incidere sul commercio tra Stati membri, non possono essere presi in considerazione soltanto gli effetti di compartimentazione dei mercati.

La mera idoneità di un’intesa ad incidere sul commercio fra gli Stati membri, ossia il suo effetto potenziale, è peraltro sufficiente perché essa rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 81 CE e non occorre dimostrare un pregiudizio effettivo agli scambi. Il fatto che si tratti della valutazione ex post di un’infrazione passata non può modificare tale criterio, poiché anche in tal caso è sufficiente un effetto potenziale dell’intesa sugli scambi.

È tuttavia necessario che l’effetto potenziale dell’intesa sul commercio tra Stati sia sensibile o, in altri termini, che non sia poco significativo.

(v. punti 163-164, 166-167)

8.      La definizione del mercato rilevante non ha la stessa funzione a seconda che si tratti di applicare l’art. 81 CE o l’art. 82 CE. Infatti, per l’applicazione dell’art. 81 CE, si deve definire il mercato di cui trattasi per determinare se l’accordo, la decisione di associazione di imprese o la pratica concordata di cui è causa possano incidere sugli scambi tra Stati membri ed abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. È per questo che, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, le censure mosse alla definizione del mercato utilizzata dalla Commissione non possono avere una dimensione autonoma rispetto a quelle relative all’incidenza sugli scambi tra Stati membri e agli effetti negativi sulla concorrenza. Pertanto, la contestazione della definizione del mercato rilevante è ininfluente ove la Commissione abbia concluso a buon diritto che l’accordo in questione falsava la concorrenza e poteva incidere in maniera sensibile sugli scambi fra Stati membri.

(v. punto 172)

9.      In materia di concorrenza, il mercato da prendere in considerazione è quello comprendente tutti i prodotti che, in ragione delle loro caratteristiche, sono particolarmente idonei a soddisfare esigenze costanti e non sono facilmente intercambiabili con altri prodotti.

Posto che, pur se le diverse prestazioni bancarie oggetto degli accordi non sono fungibili le une rispetto alle altre, tuttavia la maggior parte dei clienti delle banche a livello universale richiede un insieme di servizi bancari, come i depositi, i crediti e le operazioni di pagamento, ed è possibile che una concorrenza tra dette banche riguardi tutti questi servizi, una definizione rigida del mercato in questione sarebbe artificiosa in questo settore di attività. Inoltre, un esame separato non permetterebbe di capire a pieno gli effetti di accordi che, pur riguardando prodotti o servizi e clienti diversi (privati o imprese), rientrano comunque nello stesso settore di attività. Infatti, l’incidenza sugli scambi fra Stati membri può essere indiretta e il mercato su cui essa può prodursi non è necessariamente identico al mercato dei prodotti o dei servizi i cui prezzi sono fissati dall’intesa. Orbene, la determinazione dei prezzi per un’ampia gamma di servizi bancari offerti ai privati e alle imprese può ripercuotersi, nel suo insieme, su altri mercati.

Di conseguenza, la Commissione non è tenuta, in un caso del genere, ad esaminare separatamente i mercati dei diversi prodotti bancari oggetto dei detti accordi per valutare gli effetti sul commercio fra Stati nel caso di specie.

(v. punti 173-175)

10.    Il fatto che determinate clausole di un accordo non abbiano per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza non osta all’esame dell’accordo stesso nel suo insieme. A maggior ragione, lo stesso vale quando alcuni accordi nell’ambito di un’intesa unica possono usufruire di un’esenzione.

Ne risulta che, nell’esaminare un sistema di gruppi di discussione istituito dalle banche interessate per coordinare regolarmente il loro comportamento in merito ai più importanti parametri concorrenziali sul mercato dei prodotti e dei servizi bancari in uno Stato membro, la Commissione può tener conto dell’effetto potenziale cumulativo di tutti i gruppi di discussione per stabilire se l’intesa nel suo insieme possa incidere sul commercio fra Stati membri. Per contro, non è pertinente, a questo riguardo, sapere se ognuno dei gruppi di discussione, considerato in sé e per sé, possa pregiudicare il commercio intracomunitario. Di conseguenza, non è neppure necessario stabilire se l’uno o l’altro gruppo di discussione, isolatamente considerato, sia idoneo ad incidere sul commercio fra Stati membri per poter dichiarare che l’intesa nel suo insieme possiede tale capacità. Pertanto, l’idoneità dei gruppi di discussione a pregiudicare il commercio intracomunitario non presuppone che l’uno o l’altro degli accordi avesse ad oggetto prestazioni a carattere transfrontaliero.

(v. punti 176-178, 195-196, 208)

11.    Un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione dei mercati a livello nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato.

Da ciò risulta che esiste, quanto meno, una forte presunzione che una pratica restrittiva della concorrenza applicata all’insieme del territorio di uno Stato membro possa contribuire alla compartimentazione dei mercati e pregiudicare gli scambi intracomunitari. Tale presunzione può cadere solo se l’analisi delle caratteristiche dell’accordo e del contesto economico in cui si inserisce dimostri il contrario.

A questo proposito, per quanto riguarda il settore bancario, possono esistere accordi che riguardano tutto il territorio di uno Stato membro e che non producono effetti sensibili sul commercio tra Stati membri.

Ciò non avviene tuttavia nel caso di un’infrazione complessa consistente in intese in seno ad un gruppo di discussione che coinvolgano non solo quasi tutti gli istituti di credito in uno Stato membro, ma anche un’ampia gamma di prodotti e di servizi bancari, in particolare i depositi e i crediti, e quindi sono atte a modificare le condizioni della concorrenza nell’insieme di tale Stato membro.

In un’ipotesi siffatta, la circostanza che i membri dell’intesa non abbiano adottato misure dirette ad escludere concorrenti stranieri dal mercato non consente di concludere per l’assenza di effetti transfrontalieri.

Un’infrazione di questo tipo può aver contribuito a mantenere le barriere all’accesso al mercato, nel senso che ha potuto consentire di conservare le strutture del mercato dello Stato membro considerato, la cui inefficacia è stata peraltro ammessa persino da uno dei partecipanti, nonché le abitudini dei corrispondenti consumatori.

(v. punti 180-185)

12.    Per provare la partecipazione di un’impresa ad un accordo unico, la Commissione deve dimostrare che la detta impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o attuati da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi.

Ciò avviene allorché, nell’ambito un sistema di gruppi di discussione istituito dalle banche interessate per coordinare regolarmente il loro comportamento in merito ai più importanti parametri concorrenziali sul mercato dei prodotti e dei servizi bancari in uno Stato membro, una di esse ha preso parte ai più importanti gruppi di discussione sulle condizioni dei crediti e dei depositi e tra questi gruppi di discussione e l’istanza suprema di tale sistema vi erano relazioni particolarmente strette, poiché la detta banca non poteva ignorare che i gruppi di discussione ai quali interveniva erano parte di un complesso più vasto di accordi e che la sua partecipazione alle intese sulle condizioni attive e passive rientrava nel perseguimento degli obiettivi dell’intesa complessiva.

Poco importa, al riguardo, che la banca di cui trattasi non abbia partecipato a taluni gruppi di discussione. Il fatto che un’impresa non abbia preso parte a tutti gli elementi costitutivi di un’intesa o che abbia svolto un ruolo secondario negli aspetti cui ha partecipato non è rilevante per dimostrare l’esistenza di un’infrazione nei suoi confronti. Occorre prendere in considerazione tali elementi solo in sede di valutazione della gravità dell’infrazione e, eventualmente, della determinazione dell’ammenda.

Parimenti, è irrilevante che la banca considerata non conoscesse nei dettagli le intese raggiunte in seno ai vari gruppi di discussione cui non aveva partecipato o che essa ignorasse l’esistenza di alcuni gruppi di discussione.

(v. punti 189-193)

13.    Affinché una violazione delle regole di concorrenza possa considerarsi intenzionalmente commessa non è necessario che l’impresa abbia avuto consapevolezza di contravvenire a dette regole; è sufficiente che essa non potesse ignorare che il suo comportamento aveva per oggetto di restringere la concorrenza nel mercato comune.

Al riguardo, non è decisivo accertare se l’impresa in questione sapesse come la Commissione o la giurisprudenza interpretano il criterio del carattere transfrontaliero, mentre è necessario sapere se essa fosse a conoscenza delle circostanze da cui risulta in concreto l’idoneità dell’intesa a pregiudicare il commercio fra Stati membri o, almeno, che non poteva ignorarle.

Ciò avviene quando, nell’ambito un sistema di gruppi di discussione istituito dalle banche interessate per coordinare regolarmente il loro comportamento in merito ai più importanti parametri concorrenziali sul mercato dei prodotti e dei servizi bancari in uno Stato membro, le dette banche sapevano, in forza della loro partecipazione ai principali gruppi di discussione, che la rete riguardava tutto il territorio dello Stato membro ed un’ampia gamma di importanti prodotti bancari, tra cui i crediti e i depositi, e dunque esse erano a conoscenza dei fatti essenziali dai quali risultano le conseguenze negative per il commercio tra Stati membri.

In proposito non importa sapere in quale misura le dette banche fossero consapevoli dell’incompatibilità del loro comportamento con l’art. 81 CE. Parimenti, il fatto che nel diritto nazionale alcune intese non fossero vietate di diritto, ma che potessero essere vietate, su domanda, dal giudice competente non incide affatto sul carattere intenzionale dell’infrazione all’art. 81 CE. Infine, il carattere pubblico delle riunioni e il fatto che ad esse abbiano partecipato delle autorità nazionali non incidono né sull’intenzione di restringere la concorrenza né sulla conoscenza delle circostanze dalle quali emerge l’idoneità dell’intesa a pregiudicare il commercio fra Stati membri.

(v. punti 205-207, 209)

14.    La notifica non costituisce una formalità imposta alle imprese, bensì una condizione sostanziale indispensabile per ottenere determinati vantaggi. A norma dell’art. 15, n. 5, lett. a), del regolamento n. 17, non può essere inflitta alcuna ammenda per atti posteriori alla notifica, a condizione che rientrino nei limiti dell’attività descritta nella notifica stessa. Il vantaggio che traggono le imprese che hanno notificato un accordo o una pratica concertata rappresenta la contropartita del rischio corso dall’impresa nel denunciare spontaneamente l’accordo o la pratica concertata. Questa impresa corre infatti il rischio, non solo che venga accertato che l’accordo o la pratica sono incompatibili con l’art. 81, n. 1, CE e che le venga negata l’applicazione del n. 3, ma anche che le venga inflitta un’ammenda per la condotta precedente alla notifica. L’impresa che ha voluto evitare questo rischio non può eccepire, contro l’ammenda inflittale per una trasgressione non notificata, l’ipotetica possibilità che la notifica le facesse ottenere l’esenzione.

(v. punto 213)

15.    Poiché gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA e, in particolare, il nuovo metodo di calcolo delle ammende che essi contengono erano ragionevolmente prevedibili per un’impresa al momento, precedente alla loro adozione, in cui essa ha commesso un’infrazione, tale impresa non può contestare il metodo seguito per il calcolo delle ammende sostenendo che la Commissione, applicando i detti orientamenti e avendo nuovamente irrigidito la sua prassi successivamente, ha violato il principio di irretroattività sancito dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

(v. punti 217-218)

16.    Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA sono uno strumento volto a precisare, nel rispetto del diritto di rango superiore, i criteri che la Commissione intende applicare nell’esercizio del potere discrezionale nella determinazione delle ammende ad essa conferito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

Esponendo nei suoi orientamenti il metodo che intendeva applicare per calcolare le ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione è rimasta nell’ambito normativo costituito da tale disposizione e non ha assolutamente superato i limiti del potere discrezionale attribuitole dal legislatore.

Tali orientamenti, diretti a produrre effetti esterni, non possono essere considerati come norme giuridiche alla cui osservanza l’amministrazione sarebbe comunque tenuta; essi tuttavia pongono regole di condotta indicative della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un caso particolare, senza fornire giustificazioni compatibili con il principio della parità di trattamento.

L’istituzione di cui si tratta, adottando simili regole di condotta e annunciando con la loro pubblicazione che d’ora in avanti le applicherà ai casi interessati dalle stesse, si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali regole, pena vedersi, se del caso, sanzionata per violazione di principi generali del diritto, come la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento.

Benché i detti orientamenti non costituiscano la base giuridica della decisione che sanziona un’impresa per violazione delle regole comunitarie di concorrenza, poiché questa si basa sugli artt. 3 e 15, n. 2, del regolamento n. 17, essi indicano comunque, in modo generale e astratto, il metodo che la Commissione si è data per stabilire l’importo delle ammende inflitte con tale decisione e di conseguenza garantiscono la certezza del diritto delle imprese.

L’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione derivante dall’adozione degli orientamenti non è tuttavia incompatibile con il mantenimento da parte sua di un margine di valutazione sostanziale. Infatti, tali orientamenti contengono vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto dell’art. 15 del regolamento n. 17, come interpretato dalla Corte.

Al pari degli orientamenti, la comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese ha creato legittime aspettative da parte delle imprese; la Commissione è dunque tenuta a conformarvisi al momento della valutazione – in sede di determinazione dell’ammontare dell’ammenda – della loro cooperazione.

Spetta pertanto al Tribunale, in sede di controllo della legalità della decisione impugnata, verificare se la Commissione abbia esercitato il proprio potere discrezionale secondo il metodo indicato negli orientamenti e nella comunicazione sulla cooperazione e, nel caso in cui dovesse rilevare che essa se ne è discostata, verificare se ciò sia giustificato dalla legge e sufficientemente motivato.

Tuttavia, il margine di valutazione della Commissione e i limiti che essa vi ha apportato non pregiudicano l’esercizio, da parte del giudice comunitario, della propria competenza giurisdizionale anche di merito.

(v. punti 219-227)

17.    Il fatto che la Commissione con gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA abbia precisato l’approccio da seguire per valutare la gravità di un’infrazione non le impedisce di analizzare detta gravità in maniera globale, in funzione di tutte le circostanze pertinenti del caso di specie, compresi elementi che non sono espressamente menzionati negli orientamenti.

Infatti, per determinare l’importo delle ammende, si deve tener conto della durata nonché di tutti i fattori che possono entrare nella valutazione della gravità delle infrazioni. La gravità delle infrazioni dev’essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere in considerazione.

Al riguardo, è proprio la valutazione della natura dell’infrazione che permette di prendere in considerazione diversi fattori rilevanti, che non sarebbe possibile elencare esaurientemente nei detti orientamenti, e tra i quali rientra l’impatto potenziale (che si distingue dall’impatto concreto e misurabile) dell’infrazione sul mercato.

(v. punti 237-239)

18.    I tre aspetti da prendere in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione, ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA, che sono la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante, non hanno lo stesso peso nell’ambito dell’esame complessivo. La natura dell’infrazione svolge un ruolo primario, in particolare, per qualificare le infrazioni come «molto gravi». A questo proposito, dalla descrizione delle infrazioni molto gravi contenuta negli orientamenti di cui trattasi emerge che accordi o pratiche concordate specificamente diretti alla determinazione dei prezzi possono già solo per questa loro natura essere qualificati come «molto gravi» e non occorre che tali comportamenti abbiano una portata geografica o un impatto particolari. Tale conclusione è avvalorata dal fatto che, mentre la descrizione delle infrazioni gravi menziona espressamente l’impatto sul mercato e gli effetti su ampie zone del mercato comune, quella delle infrazioni molto gravi, viceversa, non indica alcuna necessità di un concreto impatto sul mercato, né di spiegamento degli effetti in una zona geografica particolare.

Se esiste un’interdipendenza fra i tre criteri, nel senso che un livello elevato di gravità in base ad uno di essi può compensare la minor gravità dell’infrazione sotto altri aspetti, l’estensione del mercato geografico rappresenta tuttavia solo uno dei tre criteri rilevanti per una valutazione globale della gravità dell’infrazione e, fra questi criteri interdipendenti, non è un criterio autonomo, nel senso che soltanto violazioni che interessano la maggior parte degli Stati membri potrebbero essere qualificate come «molto gravi». Né il Trattato, né il regolamento n. 17, né gli orientamenti, né la giurisprudenza permettono, infatti, di considerare che solo restrizioni geograficamente molto estese possono ricevere detta qualifica. Di conseguenza, ai sensi degli orientamenti, la qualifica di un’infrazione come molto grave non può esser riservata soltanto per le infrazioni alle quali partecipi la quasi totalità delle imprese del mercato europeo.

(v. punti 240-241, 311, 313, 381)

19.    Gli accordi orizzontali sui prezzi rientrano tra le infrazioni «molto gravi», ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA, e ciò anche in assenza di altre restrizioni alla concorrenza, come una compartimentazione dei mercati.

La natura «molto grave» di tali infrazioni è accentuata quando queste ultime sono commesse in un settore, quale quello bancario, importante per l’economia complessiva e quando gli accordi di cui trattasi sono di ampia portata, poiché riguardano un’ampia gamma di prodotti bancari importanti e ad essi partecipa la grande maggioranza degli operatori economici del mercato interessato, comprese le imprese più importanti. In effetti, la gravità di un’infrazione in ragione della sua natura dipende soprattutto dal pericolo che essa rappresenta per una concorrenza non falsata. Al riguardo, l’ampiezza di un’intesa sui prezzi, tanto sul piano dei prodotti interessati quanto su quello delle imprese che vi partecipano, svolge un ruolo decisivo e un’intesa orizzontale sui prezzi di ampia portata, vertente su un settore economico di tale importanza, sarà normalmente qualificata come infrazione molto grave, a prescindere dal suo contesto.

La mancanza di segretezza dell’intesa, il fatto che quest’ultima sia stata creata e mantenuta con il sostegno dello Stato membro interessato, il tener conto di considerazioni legate al carattere dissuasivo dell’ammenda, il fatto che l’infrazione consista in una pratica concordata, l’approvazione o la tolleranza del comportamento illecito da parte delle autorità pubbliche, il fatto che siano stati affrontati anche altri argomenti, neutrali rispetto al diritto della concorrenza, o ancora il fatto che lo Stato membro interessato al momento dei fatti avesse da poco aderito all’Unione europea sono tutte circostanze prive di incidenza sulla gravità intrinseca dell’infrazione.

(v. punti 249-250, 252, 254-257, 260, 262-263)

20.    Per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, la Commissione è tenuta a far riferimento al gioco della concorrenza che sarebbe normalmente esistito in assenza d’infrazione.

Per quel che riguarda un’intesa sui prezzi, è legittimo che la Commissione desuma che l’infrazione ha prodotto effetti dal fatto che i membri dell’intesa hanno adottato provvedimenti per applicare i prezzi concordati, per esempio annunciandoli ai clienti, dando ai propri dipendenti istruzione di utilizzarli come base delle trattative e vigilando sull’applicazione degli stessi da parte dei propri concorrenti e dei propri servizi di vendita. Infatti, per concludere nel senso dell’esistenza di un impatto sul mercato, è sufficiente che i prezzi concordati siano serviti come base per la fissazione dei prezzi di transazione individuali, limitando in tal modo il margine di negoziazione dei clienti.

Per contro, una volta accertata l’attuazione di un’intesa, non si può esigere che la Commissione dimostri in modo sistematico che gli accordi hanno effettivamente permesso alle imprese interessate di raggiungere un livello di prezzi di transazione superiore a quello che vi sarebbe stato se l’intesa non fosse stata conclusa.

Infatti, per valutare la gravità dell’infrazione, è decisivo sapere che i membri dell’intesa hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per dare un effetto concreto alle loro intenzioni. Ciò che si è verificato in seguito, a livello dei prezzi di mercato effettivamente realizzati, ha potuto essere influenzato da altri fattori, non controllabili dai membri dell’intesa. Costoro non possono addurre a proprio vantaggio, presentandoli come elementi atti a giustificare una riduzione dell’ammenda, fattori esterni che hanno controbilanciato gli sforzi da essi profusi.

(v. punti 284-287)

21.    In via di principio la responsabilità per l’infrazione incombe alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa interessata al momento in cui l’infrazione è stata commessa, pur se, alla data di adozione della decisione che ha constatato l’infrazione, la gestione dell’impresa fosse stata posta sotto la responsabilità di un’altra persona. Fintanto che continua ad esistere la persona giuridica responsabile della gestione dell’impresa al momento in cui è stata commessa l’infrazione, la responsabilità del comportamento illecito dell’impresa deve accompagnarla, anche se gli elementi materiali ed umani che hanno concorso alla commissione dell’infrazione sono stati ceduti a terzi dopo il periodo dell’infrazione stessa.

Tuttavia, qualora tra il momento in cui viene commessa l’infrazione e il momento in cui l’impresa deve risponderne la persona responsabile della gestione dell’impresa abbia cessato di esistere giuridicamente, occorre dapprima localizzare l’insieme degli elementi materiali ed umani che hanno concorso alla commissione dell’infrazione e poi identificare la persona che è divenuta responsabile della gestione del detto insieme, allo scopo di evitare che, a seguito della scomparsa della persona che era responsabile della sua gestione al momento in cui è stata commessa l’infrazione, l’impresa possa non rispondere di quest’ultima.

Quando l’impresa interessata cessa di esistere perché assorbita dall’acquirente, quest’ultimo risponde dei suoi attivi e passivi, ivi comprese le sue responsabilità per violazione del diritto comunitario. In tal caso, la responsabilità per l’infrazione commessa dall’impresa assorbita può essere imputata all’acquirente.

La suddetta responsabilità dell’acquirente permane anche nell’ipotesi in cui la responsabilità per un’infrazione commessa dall’impresa assorbita prima dell’acquisizione possa essere imputata ad una precedente società capogruppo della stessa.

Questa possibilità non osta infatti, di per sé, a che la controllata stessa venga sanzionata. Un’impresa – ossia un’unità economica che comprende elementi personali, materiali e immateriali – è diretta dagli organi previsti dal suo statuto giuridico e qualsiasi decisione avente ad oggetto l’applicazione di un’ammenda può essere indirizzata alla direzione statutaria dell’impresa, ancorché siano i proprietari a subirne, in definitiva, le conseguenze finanziarie. Tale norma sarebbe violata qualora si pretendesse che la Commissione, di fronte all’infrazione di un’impresa, debba verificare sempre chi sia il proprietario che esercita un’influenza determinante sull’impresa, per consentirle di sanzionare solamente detto proprietario. Poiché la facoltà di sanzionare la società capogruppo per il comportamento di una controllata non incide sulla legalità di una decisione rivolta alla sola controllata che ha preso parte all’infrazione, la Commissione può decidere di sanzionare o la filiale che ha partecipato all’infrazione, o la società capogruppo che l’ha controllata durante tale periodo.

Questa possibilità di scelta spetta alla Commissione anche in caso di successione economica nel controllo della filiale. In questo caso, la Commissione può – è vero – imputare il comportamento della filiale alla precedente società capogruppo per il periodo anteriore alla cessione e alla nuova società capogruppo per quello successivo, ma non è tenuta a farlo, e può decidere di sanzionare unicamente la controllata per il suo comportamento.

(v. punti 324-326, 329, 331-332, 372)

22.    Ai fini della classificazione in categorie delle imprese, ai sensi del punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA, si debbono prendere in considerazione le qualità oggettive o strutturali delle imprese, nonché la situazione sul mercato interessato.

Tra questi elementi oggettivi figurano non soltanto le dimensioni e la forza sul mercato di un’impresa, così come riflesse nelle quote di mercato da essa detenute o nel suo fatturato, ma anche i legami tra l’impresa stessa ed altre imprese, quando possano influenzare la struttura del mercato. Infatti, la capacità effettiva di un’impresa di causare un danno considerevole e l’impatto reale dell’infrazione da essa compiuta debbono essere valutati tenendo conto della realtà economica. È pertanto legittimo che la Commissione, alla luce degli orientamenti, prenda in considerazione tali rapporti per stabilire l’effettiva capacità economica dei membri di un’intesa di arrecare danno e il peso specifico della loro infrazione.

A questo proposito, la struttura del mercato non può essere influenzata soltanto quando esistono legami tra imprese che conferiscono ad una di esse un potere di direzione o il controllo completo del comportamento concorrenziale di altri operatori, come nel caso delle unità economiche. La forza di un’impresa sul mercato può aumentare, al di là delle quote di mercato da questa detenute, anche nel caso in cui essa abbia rapporti stabili con altre imprese nell’ambito dei quali può esercitare, in via informale, un’influenza di fatto sul loro comportamento. Lo stesso dicasi quando i legami esistenti tra imprese producono l’effetto di ridurre o di eliminare la concorrenza tra di loro. Il fatto che legami del genere non siano idonei a giustificare la constatazione secondo la quale le imprese interessate fanno parte di una stessa entità economica non significa che la Commissione debba prescinderne e valutare la situazione sul mercato come se tali legami non esistessero.

Per contro, il comportamento concreto dei diversi membri di un’intesa o il loro grado di colpa individuale non è determinante in quanto tale ai fini della ripartizione in categorie. Il comportamento di un’impresa può certamente costituire un indice del tipo di rapporti che essa ha con altre imprese. Tuttavia, l’esistenza di comportamenti specifici, come l’organizzazione di scambi di informazioni con queste ultime o prese di posizione esplicite nel corso di riunioni del cartello, dirette alla tutela di loro interessi o a vincolarle al rispetto degli accordi anticoncorrenziali, non è indispensabile, né di per sé sufficiente, per giustificare la presa in considerazione della quota di mercato di queste ultime imprese in sede di valutazione della forza della prima impresa sul mercato. Infatti, in mancanza di rapporti stabili con le imprese con cui esistono scambi di informazioni o i cui interessi sono rappresentati, tali comportamenti non sono determinanti ai fini della ripartizione in categorie, mentre possono eventualmente essere presi in considerazione quando si valutano le circostanze aggravanti e attenuanti, come stabilito ai punti 2 e 3 degli orientamenti.

Ne consegue che, nell’ambito di un sistema di gruppi di discussione istituito dalle banche interessate per coordinare regolarmente il loro comportamento in merito ai più importanti parametri concorrenziali sul mercato dei prodotti e dei servizi bancari in uno Stato membro, giacché i legami esistenti tra gli istituti centrali e le banche decentrate dei rispettivi gruppi hanno conferito ai primi una forza economica di gran lunga maggiore di quella derivante dalle quote di mercato da essi possedute in quanto banche commerciali e pari alla quota di mercato detenuta dall’intero gruppo rispettivo, una valutazione corretta dell’effettiva capacità degli istituti centrali di produrre un danno notevole nonché del peso specifico del loro comportamento illecito presuppone che siano prese in considerazione non solo le quote di mercato da essi possedute in quanto banche commerciali, ma anche le quote di mercato delle banche decentrate, e giustifica quindi l’imputazione delle quote di mercato dei settori decentrati agli istituti centrali.

(v. punti 359-362, 377, 404, 407, 409)

23.    Qualora nella comunicazione degli addebiti la Commissione dichiari espressamente che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle imprese interessate e indichi le principali considerazioni di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione, ed il fatto che sia stata commessa «intenzionalmente o per negligenza», essa adempie al proprio obbligo di rispettare il diritti della difesa delle dette imprese. Per contro, la Commissione non è tenuta – una volta che abbia indicato gli elementi di fatto e di diritto su cui baserà il suo calcolo delle ammende – a precisare il modo in cui si avvarrà di ciascun elemento per la determinazione dell’entità dell’ammenda e ciò a maggior ragione per il fatto che le imprese fruiscono di una garanzia supplementare, per quanto concerne la determinazione dell’ammontare delle ammende, in quanto il Tribunale ha cognizione anche di merito e può in particolare annullare o ridurre l’ammenda, in forza dell’art. 17 del regolamento n. 17.

(v. punto 369)

24.    L’approccio della Commissione, consistente, per la determinazione dell’importo delle ammende, nella ripartizione dei membri dell’intesa in più categorie, con una forfettizzazione dell’importo di base stabilito per le imprese appartenenti ad una medesima categoria, non si può, in linea di principio, censurare, sebbene questo equivalga ad ignorare le differenze di dimensioni tra le imprese di una stessa categoria. Infatti, la Commissione non è tenuta ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende rendano conto di ogni differenza tra le imprese interessate in ordine alle loro dimensioni.

Nondimeno, tale ripartizione per categorie deve rispettare il principio di parità di trattamento e la determinazione dei valori limite per ciascuna delle categorie così individuata dev’essere coerente e obiettivamente giustificata.

(v. punti 422-423)

25.    Ai sensi dell’art. 15, n. 2, ultimo comma, del regolamento n. 17, per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata. Di conseguenza, l’incidenza della durata dell’infrazione sull’importo di base dell’ammenda deve, per regola generale, essere significativa. Ciò osta, salvo circostanze particolari, ad una maggiorazione puramente simbolica dell’importo di base in ragione della durata dell’infrazione. Infatti, nel caso in cui un accordo avente un oggetto restrittivo della concorrenza non sia stato attuato, occorre comunque tener conto della durata del periodo in cui l’accordo stesso è esistito, vale a dire del periodo intercorrente tra la data della sua conclusione e la data della cessazione.

Pertanto, un aumento pari al 10% dell’importo di base all’anno non può essere riservato a casi eccezionali. Infatti, gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA prevedono tale limite unicamente per le infrazioni di lunga durata, mentre, per quelle di durata media (in generale, da uno a cinque anni), il limite superiore unico è stato fissato al 50% dell’importo di base, il che non impedisce di superare un tasso di maggiorazione del 10% all’anno.

Peraltro, un aumento dell’ammenda in funzione della durata non è limitato all’ipotesi in cui esista un rapporto diretto tra la durata e un danno maggiore apportato agli obiettivi comunitari sanciti dalle regole di concorrenza.

(v. punti 465-467)

26.    La Commissione, in sede di determinazione dell’importo delle ammende, è tenuta a conformarsi alla lettera degli orientamenti da essa stessa adottati. Tuttavia, negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA, non è indicato che essa debba sempre tener conto separatamente di ciascuna delle circostanze attenuanti elencate al punto 3 degli stessi; inoltre, la Commissione non è costretta a concedere automaticamente una riduzione supplementare a questo titolo, poiché l’opportunità di un’eventuale riduzione dell’ammenda in ragione di circostanze attenuanti dev’essere valutata sotto un profilo complessivo, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti.

Infatti, l’adozione dei detti orientamenti non ha privato di rilievo la giurisprudenza secondo cui la Commissione dispone di un potere discrezionale che le consente di prendere o di non prendere in considerazione taluni elementi all’atto di stabilire l’importo delle ammende che essa intende infliggere, in funzione tra l’altro delle circostanze del caso di specie. Pertanto, in assenza di indicazioni di carattere imperativo negli orientamenti riguardo alle circostanze attenuanti che possono essere prese in considerazione, la Commissione ha conservato un certo margine per valutare in modo globale l’entità di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende in ragione di circostanze attenuanti.

(v. punti 472-473)

27.    Ai sensi del punto 3, primo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA, «il ruolo esclusivamente passivo o emulativo» di un’impresa nella realizzazione dell’infrazione può costituire, se dimostrato, una circostanza attenuante.

A tal proposito, tra gli elementi atti a dimostrare il ruolo passivo di un’impresa nell’ambito di un’intesa, può essere preso in considerazione il carattere ben più sporadico della sua partecipazione alle riunioni rispetto ai membri ordinari dell’intesa.

Tuttavia, quando un’impresa abbia partecipato, pur senza svolgervi un ruolo attivo, ad una o più riunioni aventi un obiettivo anticoncorrenziale, essa va considerata come parte dell’intesa, salvo che non dimostri di aver chiaramente preso le distanze dall’accordo illecito. Infatti, presenziando alle riunioni, l’impresa aderisce o per lo meno fa credere agli altri partecipanti di aderire, in linea di principio, al contenuto degli accordi anticoncorrenziale ivi conclusi.

A tal proposito, per valutare il ruolo passivo o emulativo di un’impresa, non è rilevante sapere se quest’ultima abbia beneficiato degli accordi. Da un lato, un emulatore può comunque avvantaggiarsi degli effetti di un’intesa. Dall’altro lato, il fatto di non aver tratto alcun vantaggio da un’infrazione non può costituire una circostanza attenuante, poiché diversamente l’ammenda inflitta perderebbe il suo carattere dissuasivo.

(v. punti 481-482, 486, 489)

28.    Ai sensi del punto 3, secondo trattino, degli orientamenti, per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA, anche la «non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite» può costituire una circostanza attenuante. Tuttavia, la circostanza che un’impresa, la cui partecipazione ad una concertazione con le sue concorrenti sia dimostrata, non abbia adeguato il proprio comportamento sul mercato a quello concordato con le sue concorrenti non costituisce necessariamente un elemento da prendere in considerazione alla stregua di circostanza attenuante in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere.

Infatti, un’impresa che, malgrado la concertazione con le proprie concorrenti, persegua una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente tentare di utilizzare l’intesa a proprio vantaggio, e un’impresa che non prenda le distanze dai risultati di una riunione a cui ha assistito mantiene, in via di principio, la piena responsabilità per la partecipazione all’intesa. Pertanto, la Commissione è tenuta a riconoscere l’esistenza di una circostanza attenuante nella mancata attuazione di un’intesa solo se l’impresa che fa valere tale circostanza può dimostrare di essersi opposta chiaramente e in modo considerevole all’attuazione di tale intesa, al punto di aver perturbato il funzionamento stesso di quest’ultima, e di non aver dato l’impressione di aderire all’accordo, istigando così altre imprese ad attuare l’intesa in questione. Sarebbe infatti troppo semplice per le imprese minimizzare il rischio di dover pagare un’ammenda ingente qualora potessero approfittare di un’intesa illecita e beneficiare in seguito di una riduzione dell’ammenda per il fatto di aver svolto solo un ruolo limitato nell’attuazione dell’infrazione, mentre il loro atteggiamento ha istigato altre imprese a comportarsi in maniera più dannosa per la concorrenza.

(v. punti 490-491)

29.    Ai sensi del punto 3, terzo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, CECA, l’«aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti)» rientra fra le circostanze attenuanti. Tuttavia, una riduzione dell’ammenda a causa della cessazione di un’infrazione sin dai primi interventi della Commissione non può avvenire automaticamente, ma dipende da una valutazione delle circostanze del caso di specie da parte della Commissione, nell’ambito del suo potere discrezionale. A questo riguardo, l’applicazione della detta disposizione degli orientamenti in favore di un’impresa sarà particolarmente adeguata in una situazione in cui la natura anticoncorrenziale del comportamento in questione non sia manifesta. Al contrario, la sua applicazione sarà meno adeguata, in via di principio, in una situazione in cui quest’ultimo sia chiaramente anticoncorrenziale, sempre che ciò sia dimostrato.

Infatti, il fatto che la Commissione abbia considerato, in passato, la cessazione volontaria di un’infrazione come una circostanza attenuante non può impedirle di tener conto, in applicazione dei suoi orientamenti, del fatto che infrazioni manifeste molto gravi, benché la loro illegittimità sia stata dimostrata sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, sono ancora relativamente frequenti e, quindi, di ritenere opportuno abbandonare questa prassi generosa e smettere di premiare l’aver posto fine a tale infrazione con una riduzione dell’ammenda.

Di conseguenza, per stabilire se sia adeguato procedere a una riduzione dell’ammenda a causa della cessazione dell’infrazione può essere necessario accertare se le imprese in questione potessero ragionevolmente dubitare del carattere illecito del loro comportamento e il riferimento al carattere manifesto dell’infrazione può costituire una motivazione sufficiente della scelta operata dalla Commissione di non applicare una riduzione dell’ammenda per tale ragione.

(v. punti 497-499)

30.    Nel contesto di una nuova adesione all’Unione europea, l’eventuale liceità degli accordi anticoncorrenziali nel diritto nazionale non è, di per sé, sufficiente a lasciar spazio ad un ragionevole dubbio circa il carattere illecito, alla luce del diritto comunitario, del comportamento delle imprese che vi hanno partecipato. E ciò a maggior ragione nel caso in cui le imprese di cui trattasi dispongano di mezzi considerevoli. Incombe a tali imprese di prepararsi alle conseguenze giuridiche dell’adesione all’Unione europea dello Stato membro in cui hanno sede, di informarsi in tempo utile circa il contenuto delle regole di concorrenza del diritto comunitario (o del diritto dello Spazio economico europeo) che saranno loro applicate e delle novità che esse apporteranno rispetto al diritto nazionale.

Infatti, se non è escluso che, in alcune circostanze, un contesto giuridico nazionale o un comportamento delle autorità nazionali possano costituire circostanze attenuanti, l’approvazione o la tolleranza dell’infrazione da parte delle autorità nazionali non può essere presa in considerazione a questo titolo quando le imprese di cui trattasi dispongono dei mezzi necessari per procurarsi informazioni giuridiche precise e corrette.

(v. punti 504-505)

31.    La Commissione, quando sanziona una violazione delle regole comunitarie di concorrenza, non è tenuta a considerare come circostanza attenuante la cattiva salute finanziaria del settore in questione e il fatto che, in casi precedenti, la Commissione abbia tenuto conto della situazione economica del settore come circostanza attenuante non implica che essa debba necessariamente continuare ad osservare tale prassi. Difatti, per regola generale, i cartelli nascono nel momento in cui un settore incontra delle difficoltà.

(v. punto 510)

32.    In materia di concorrenza una collaborazione all’inchiesta che non vada oltre ciò che discende dagli obblighi che incombono alle imprese in forza dell’art. 11, nn. 4 e 5, del regolamento n. 17 non giustifica una riduzione dell’ammenda. Per contro, tale riduzione è giustificata nel caso in cui l’impresa abbia fornito informazioni ben più dettagliate di quelle che può pretendere la Commissione in forza dell’art. 11 del regolamento n. 17.

Perché sia giustificata la riduzione dell’importo di un’ammenda a titolo di cooperazione, il comportamento di un’impresa deve agevolare il compito della Commissione, che consiste nell’accertare e reprimere infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza e testimoniare un autentico spirito di cooperazione.

Da un lato, dunque, spetta al Tribunale esaminare se la Commissione non abbia correttamente considerato in qual misura la cooperazione delle imprese di cui trattasi si fosse spinta oltre quanto prescritto ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17. In merito esso esercita un controllo pieno, in particolare sui limiti che discendono dai diritti della difesa delle imprese al loro obbligo di rispondere alle richieste di informazioni.

Dall’altro lato, il Tribunale è chiamato a verificare se la Commissione abbia correttamente valutato, alla luce della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese, l’utilità di una collaborazione ai fini dell’accertamento dell’infrazione. Nei limiti indicati in tale comunicazione, la Commissione dispone di un potere discrezionale per valutare se le informazioni o i documenti, volontariamente forniti dalle imprese, abbiano agevolato il suo compito e se vi sia ragione di concedere una riduzione ad un’impresa in forza della comunicazione stessa. Tale valutazione costituisce oggetto di un controllo giurisdizionale ristretto.

Nell’esercizio del suo potere discrezionale, la Commissione non può tuttavia violare il principio di parità di trattamento, il quale viene trasgredito quando situazioni analoghe sono trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse sono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Detto principio osta a che la Commissione tratti in modo diverso la cooperazione delle imprese interessate da una stessa decisione.

Per contro, il solo fatto che la Commissione abbia accordato, nella sua prassi decisionale anteriore, un certo tasso di riduzione per un determinato comportamento non implica che essa sia costretta a concedere la stessa riduzione proporzionale in sede di valutazione di un comportamento analogo nell’ambito di una procedura amministrativa successiva.

Nel caso in cui una richiesta di informazioni ex art. 11, nn. 1 e 2, del regolamento n. 17 sia diretta ad ottenere informazioni di cui la Commissione può imporre la diffusione tramite una decisione ai sensi del n. 5 del medesimo articolo, soltanto la velocità della risposta da parte dell’impresa interessata può essere definita come volontaria. Spetta alla Commissione verificare se tale velocità abbia agevolato il suo compito tanto da giustificare una riduzione dell’ammenda e la comunicazione sulla cooperazione non le impone di ridurre sistematicamente l’ammenda per detta ragione.

Peraltro, se il fatto di riconoscere l’esistenza di un’intesa facilita il lavoro della Commissione nel corso dell’inchiesta in misura maggiore del semplice riconoscimento della materialità dei fatti, e di conseguenza la Commissione può procedere ad una differenziazione tra le imprese che hanno riconosciuto i fatti e quelle che hanno anche ammesso l’esistenza di un’intesa, la Commissione non è però obbligata ad effettuare tale differenziazione. Ad essa spetta infatti valutare, in ogni caso individuale, se tale ammissione abbia effettivamente facilitato il suo lavoro. Ciò non avviene nel caso dell’esplicita ammissione dello scopo anticoncorrenziale di riunioni dirette ad accordarsi sui prezzi o su altri parametri di concorrenza quando il suddetto scopo risulta dal loro stesso oggetto.

(v. punti 529-534, 536, 559)

33.    Nell’ambito di un procedimento in materia di concorrenza, la Commissione non può, tramite una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, imporre ad un’impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali questa sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza della trasgressione, che deve invece essere provata dalla Commissione. Al fine di preservare l’effetto utile dell’art. 11, nn. 2 e 5, del regolamento n. 17, la Commissione può tuttavia obbligare un’impresa a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui quest’ultima sia a conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i relativi documenti di cui sia in possesso, anche qualora essi possano servire ad accertare l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale. La Commissione può quindi costringere le imprese a rispondere a domande puramente fattuali e chiedere la produzione di documenti preesistenti.

Per contro, sono incompatibili con i diritti della difesa, poiché costringono l’impresa interessata ad ammettere di aver partecipato ad una trasgressione alle regole comunitarie della concorrenza, domande che la invitano a descrivere l’oggetto e lo svolgimento delle riunioni cui essa avrebbe preso parte nonché i risultati o gli esiti di tali riunioni, nel caso in cui si sospetti che l’oggetto di tali riunioni sia restrittivo della concorrenza.

Da ciò deriva che la Commissione, allorché a seguito degli accertamenti è in possesso di numerosi indizi circa l’esistenza di una rete di accordi organizzata in un gran numero di gruppi di discussione riguardanti l’insieme dei prodotti bancari su un mercato considerato, può legittimamente esigere, tramite richieste di informazioni ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, che le banche di cui trattasi indichino le date delle riunioni dei gruppi di discussione e dei loro partecipanti, tanto per i gruppi di discussione per i quali la Commissione disponeva, dopo i detti accertamenti, di informazioni precise, come la loro denominazione e le date di alcune riunioni, quanto per tutti gli altri gruppi di discussione.

(v. punti 539-541, 543)

34.    La trasmissione da parte di un’impresa di documenti alla Commissione di cui quest’ultima avrebbe potuto esigere la produzione, ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, non si può considerare come cooperazione volontaria ai sensi della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese.

(v. punto 544)

35.    Nell’ambito di un procedimento in materia di concorrenza e laddove le imprese di cui trattasi le abbiano volontariamente fornito informazioni che andavano al di là di quanto loro richiesto, la Commissione non supera il margine di discrezionalità di cui dispone, ai sensi del titolo D, punto 2, primo trattino, della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese, per valutare se una collaborazione contribuisca «all’accertamento dell’infrazione», subordinando la presa in considerazione di tale cooperazione all’esistenza di un valore aggiunto derivante o dalla comunicazione di «fatti nuovi» o da spiegazioni che permettessero una migliore comprensione del caso. Difatti, né la comunicazione sulla cooperazione né la giurisprudenza in materia costringono la Commissione a ridurre un’ammenda in ragione di un sostegno pratico o logistico all’indagine da essa svolta.

(v. punti 552-553)

36.    Se, in materia di concorrenza, determinate irregolarità procedurali nel corso del procedimento amministrativo possono a volte giustificare una riduzione dell’ammenda anche se non sono tali da comportare l’annullamento della decisione impugnata, soltanto irregolarità procedurali che possano seriamente pregiudicare gli interessi della parte che le fa valere possono giustificare una siffatta riduzione. Ciò può verificarsi in particolare nel caso di irregolarità che costituiscono una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

(v. punti 568-569)