Language of document : ECLI:EU:C:2023:498

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

22 giugno 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2012/13/UE – Articoli 3 e 4 – Obbligo per le autorità competenti di informare prontamente le persone indagate o imputate del loro diritto di restare in silenzio – Articolo 8, paragrafo 2 – Diritto di far valere la violazione di tale obbligo – Normativa nazionale che vieta al giudice penale di merito di rilevare d’ufficio una siffatta violazione – Articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»

Nella causa C‑660/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunal correctionnel de Villefranche‑sur‑Saône (Tribunale penale di Villefranche‑sur‑Saône) (Francia), con decisione del 26 ottobre 2021, pervenuta in cancelleria il 29 ottobre 2021, nel procedimento penale

Procureur de la République

contro

K.B.,

F.S.,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, C. Lycourgos, E. Regan, M. Safjan (relatore), P.G. Xuereb, L.S. Rossi, D. Gratsias e M.L. Arastey Sahún, presidenti di sezione, S. Rodin, F. Biltgen, N. Piçarra, I. Ziemele e J. Passer, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: S. Beer, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza del 20 settembre 2022,

considerate le osservazioni presentate:

–        per K.B., da C. Lallich e B. Thellier de Poncheville, avocats;

–        per F.S., da B. Thellier de Poncheville e S. Windey, avocates;

–        per il governo francese, da A. Daniel e A.‑L. Desjonquères, in qualità di agenti;

–        per l’Irlanda, da M. Browne, Chief State Solicitor, A. Joyce, M. Lane e J. Quaney, in qualità di agenti, assistiti da R. Farell, SC, D. Fennelly, BL, e P. Gallagher, SC;

–        per la Commissione europea, da A. Azéma e M. Wasmeier, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale presentate all’udienza del 26 gennaio 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 3 e 4 della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (GU 2012, L 142, pag. 1), dell’articolo 7 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (GU 2016, L 65, pag. 1), e dell’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento penale instaurato nei confronti di K.B. e F.S. per dei reati di furto di carburante.

 Contesto giuridico

 Diritto dellUnione

 Direttiva 2012/13

3        I considerando 3, 4, 10, 14, 19 e 36 della direttiva 2012/13 sono così formulati:

«(3)      L’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale presuppone che gli Stati membri ripongano fiducia reciproca nei rispettivi sistemi di giustizia penale. La portata del reciproco riconoscimento è strettamente vincolata a numerosi parametri, inclusi i meccanismi di protezione dei diritti degli indagati o degli imputati e le norme minime comuni necessarie ad agevolare l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento.

(4)      Il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale può realizzarsi efficacemente soltanto in uno spirito di fiducia, nel quale non solo le autorità giudiziarie, ma tutti i soggetti coinvolti nel procedimento penale considerano le decisioni delle autorità giudiziarie degli altri Stati membri equivalenti alle proprie, il che presuppone fiducia non solo nell’adeguatezza delle normative degli altri Stati membri, bensì anche nella corretta applicazione di tali normative.

(…)

(10)      Le norme minime comuni dovrebbero incrementare la fiducia nei sistemi di giustizia penale di tutti gli Stati membri, la quale a sua volta dovrebbe generare una più efficace cooperazione giudiziaria in un clima di fiducia reciproca. Tali norme minime comuni dovrebbero essere fissate nel settore dell’informazione nei procedimenti penali.

(…)

(14)      La presente direttiva (…) stabilisce norme minime comuni da applicare in materia di informazioni relative ai diritti e all’accusa da fornire alle persone indagate o imputate per un reato, al fine di rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri. La presente direttiva muove dai diritti enunciati nella Carta, in particolare gli articoli 6, 47 e 48, fondandosi sugli articoli 5 e 6 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. (…)

(…)

(19)      Le autorità competenti dovrebbero informare prontamente gli indagati o imputati, oralmente o per iscritto, sui diritti essenziali per la salvaguardia dell’equità del procedimento, quali applicabili in base alla legislazione nazionale, come previsto dalla presente direttiva. Per l’esercizio pratico ed effettivo di questi diritti, le informazioni dovrebbero essere fornite tempestivamente nel corso del procedimento e al più tardi anteriormente al primo interrogatorio [ufficiale] degli indagati o imputati da parte della polizia o di un’altra autorità competente.

(…)

(36)      Le persone indagate o imputate o i loro avvocati dovrebbero avere il diritto di contestare, in conformità del diritto nazionale, l’eventuale [omissione o] rifiuto delle autorità competenti di fornire le informazioni richieste [o di divulgare determinati documenti attinenti al caso] ai sensi della presente direttiva. Tale diritto non comporta, per gli Stati membri, l’obbligo di prevedere una specifica procedura di impugnazione, un meccanismo separato o una procedura di ricorso con cui impugnare la mancanza o il rifiuto suddetti».

4        L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Diritto all’informazione sui diritti», prescrive quanto segue:

«1.      Gli Stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano tempestivamente fornite le informazioni concernenti almeno i seguenti diritti processuali, ai sensi del diritto nazionale, onde consentire l’esercizio effettivo di tali diritti:

a)      il diritto a un avvocato;

b)      le condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio;

c)      il diritto di essere informato dell’accusa, a norma dell’articolo 6;

d)      il diritto all’interpretazione e alla traduzione;

e)      il diritto al silenzio.

2.      Gli Stati membri assicurano che le informazioni fornite a norma del paragrafo 1 siano fornite oralmente o per iscritto, in un linguaggio semplice e accessibile, tenendo conto delle eventuali necessità delle persone indagate o imputate in condizioni di vulnerabilità».

5        L’articolo 4 della medesima direttiva, intitolato «Comunicazione dei diritti al momento dell’arresto», recita:

«1.      Gli Stati membri garantiscono che le persone indagate o imputate che siano arrestate o detenute, ricevano prontamente una comunicazione dei diritti per iscritto. A queste persone è data la possibilità di leggere la comunicazione e hanno la facoltà di conservarla per tutto il periodo in cui esse sono private della libertà.

2.      Oltre alle informazioni di cui all’articolo 3, la comunicazione di cui al paragrafo 1 del presente articolo contiene informazioni sui seguenti diritti che si applicano ai sensi del diritto nazionale:

a)      il diritto di accesso alla documentazione relativa all’indagine;

b)      il diritto di informare le autorità consolari e un’altra persona;

c)      il diritto di accesso all’assistenza medica d’urgenza; e

d)      il numero massimo di ore o giorni in cui l’indagato o l’imputato può essere privato della libertà prima di essere condotto dinanzi a un’autorità giudiziaria.

3.      La comunicazione dei diritti contiene anche informazioni su qualsiasi possibilità prevista dal diritto nazionale di contestare la legittimità dell’arresto, ottenere un riesame della detenzione o presentare una domanda di libertà provvisoria.

4.      La comunicazione dei diritti è redatta in linguaggio semplice e accessibile. L’allegato I contiene un modello indicativo della comunicazione.

5.      Gli Stati membri provvedono affinché l’indagato o l’imputato riceva la comunicazione redatta in una lingua a lui comprensibile. Qualora la comunicazione non sia disponibile nella lingua appropriata, l’indagato o l’imputato è informato dei suoi diritti oralmente in una lingua a lui comprensibile. Senza indugio gli verrà quindi fornita la comunicazione dei diritti in una lingua a lui comprensibile».

6        L’articolo 8 della medesima direttiva, intitolato «Verifica e ricorsi», è così formulato:

«1.      Gli Stati membri provvedono a che, quando le informazioni siano fornite all’indagato o imputato a norma degli articoli da 3 a 6, ciò sia verbalizzato secondo la procedura di documentazione degli atti prevista dal diritto dello Stato membro interessato.

2.      Gli Stati membri assicurano che le persone indagate o imputate o i loro avvocati abbiano il diritto di impugnare, secondo le procedure del diritto nazionale, l’eventuale rifiuto delle autorità competenti di fornire le informazioni di cui alla presente direttiva o l’eventuale mancata comunicazione delle stesse».

 Direttiva 2013/48/UE

7        La direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari (GU 2013, L 294, pag. 1), contiene un articolo 3, intitolato «Diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale», il quale prevede, al paragrafo 1, quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che gli indagati e [gli] imputati abbiano diritto di avvalersi di un difensore in tempi e secondo modalità tali da permettere agli interessati di esercitare i propri diritti di difesa in modo concreto ed effettivo».

8        L’articolo 9 di tale direttiva, intitolato «Rinuncia», è redatto nei termini che seguono:

«1.      Fatt[o] salvo il diritto nazionale che impone la presenza o l’assistenza obbligatoria di un difensore, gli Stati membri garantiscono che, in relazione a qualunque rinuncia a un diritto di cui agli articoli 3 e 10:

a)      l’indagato o imputato abbia ricevuto, oralmente o per iscritto, informazioni chiare e sufficienti in un linguaggio semplice e comprensibile sul contenuto del diritto in questione e sulle possibili conseguenze della rinuncia allo stesso; e

b)      la rinuncia avvenga in maniera volontaria ed inequivocabile.

2.      La rinuncia, che può essere effettuata oralmente o per iscritto, nonché le circostanze in cui è avvenuta sono verbalizzate utilizzando la procedura di verbalizzazione conformemente al diritto dello Stato membro interessato.

3.      Gli Stati membri garantiscono che indagati e imputati possano successivamente revocare una rinuncia in qualunque momento nel corso del procedimento penale e che siano informati di tale possibilità. Tale revoca produce effetto dal momento in cui è effettuata».

 Direttiva 2016/343

9        L’articolo 7 della direttiva 2016/343, intitolato «Diritto al silenzio e diritto di non autoincriminarsi», così dispone:

«1.      Gli Stati membri assicurano che agli indagati e [agli] imputati sia riconosciuto il diritto di restare in silenzio in merito al reato che viene loro contestato.

2.      Gli Stati membri assicurano che gli indagati e [gli] imputati godano del diritto di non autoincriminarsi.

3.      L’esercizio del diritto di non autoincriminarsi non impedisce alle autorità competenti di raccogliere prove che possono essere ottenute lecitamente ricorrendo a poteri coercitivi legali e che esistono indipendentemente dalla volontà dell’indagato o imputato.

4.      Gli Stati membri possono consentire alle proprie autorità giudiziarie di tenere conto, all’atto della pronuncia della sentenza, del comportamento collaborativo degli indagati e [degli] imputati.

5.      L’esercizio da parte degli indagati e [degli] imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro.

6.      Il presente articolo non impedisce agli Stati membri di prevedere che, in relazione ai reati minori, lo svolgimento del procedimento, o di alcune sue fasi, possa avvenire per iscritto o senza un interrogatorio dell’indagato o imputato da parte delle autorità competenti in merito al reato ascritto loro, purché ciò rispetti il diritto a un equo processo».

 Diritto francese

10      L’articolo 53, primo comma, del codice di procedura penale prevede quanto segue:

«È qualificato crimine o delitto in flagranza il crimine o delitto nell’atto di essere commesso o che è appena stato commesso. Sussiste altresì crimine o delitto in flagranza quando, in un momento assai prossimo all’azione, la persona sospettata viene inseguita dalle grida del pubblico, oppure viene trovata in possesso di oggetti o con addosso tracce o indizi tali da far pensare che abbia partecipato al crimine o al delitto»

11      L’articolo 63‑1 di detto codice ha il seguente tenore:

«La persona posta in stato di fermo di polizia è immediatamente informata da un ufficiale di polizia giudiziaria oppure, sotto il controllo di quest’ultimo, da un agente di polizia giudiziaria, in una lingua che essa comprende, se del caso mediante il modulo di cui al tredicesimo comma:

1°      della sua sottoposizione a fermo di polizia, così come della durata del provvedimento e della o delle possibili proroghe di quest’ultimo;

2°      della qualificazione, della data e del luogo presunti del reato che essa è sospettata di aver commesso o aver tentato di commettere, nonché dei motivi menzionati all’articolo 62‑2, punti da 1 a 6, che giustificano la sua sottoposizione a fermo di polizia;

3°      del fatto che le spetta:

–        il diritto di far avvisare un congiunto e il suo datore di lavoro nonché, se è di nazionalità estera, le autorità consolari dello Stato di cui ha la cittadinanza e, se del caso, di comunicare con tali persone, ai sensi dell’articolo 63‑2;

–        il diritto di essere esaminata da un medico, ai sensi dell’articolo 63‑3;

–        il diritto di essere assistita da un avvocato, ai sensi degli articoli da 63‑3‑1 a 63‑4‑3;

–        se del caso, il diritto di essere assistita da un interprete;

–        il diritto di consultare, quanto prima e al più tardi prima dell’eventuale proroga del fermo di polizia, i documenti di cui all’articolo 63‑4‑1;

–        il diritto di presentare osservazioni al Procureur de la République (Procuratore della Repubblica) o, se del caso, al Juge des libertés et de la détention (Giudice competente per l’adozione di misure restrittive della libertà personale), quando tale magistrato decide sull’eventuale proroga del fermo di polizia, finalizzate a porre fine a tale provvedimento. Se la persona non viene portata dinanzi al magistrato, può far conoscere le proprie osservazioni oralmente in un verbale di audizione, che viene comunicato al magistrato prima che questi si pronunci sulla proroga del provvedimento;

–        il diritto, nel corso delle audizioni, dopo aver declinato le proprie generalità, di fare dichiarazioni, di rispondere alle domande che le sono poste, o di tacere.

(…)

Delle informazioni fornite ai sensi del presente articolo viene fatta menzione nel verbale dell’esecuzione del fermo di polizia ed il verbale è firmato dalla persona sottoposta al fermo. L’eventuale rifiuto di sottoscrizione deve esservi menzionato.

Ai sensi dell’articolo 803‑6, al momento della notificazione del fermo viene consegnato all’interessato un documento che enuncia i diritti di cui sopra».

12      L’articolo 63‑4‑1 di detto codice recita:

«A sua richiesta, l’avvocato può consultare il verbale redatto ai sensi del penultimo comma dell’articolo 63‑1 che constata la notificazione della sottoposizione a fermo di polizia e dei diritti che vi sono collegati, il certificato medico stilato a norma dell’articolo 63‑3, nonché il verbale di audizione della persona che egli assiste. Di tali documenti l’avvocato non può chiedere o fare copia. Egli può tuttavia prendere annotazioni.

Anche la persona in stato di fermo può consultare i documenti menzionati nel primo comma del presente articolo o una copia degli stessi».

13      L’articolo 73 del medesimo codice dispone quanto segue:

«Nel caso di crimine in flagranza oppure di delitto in flagranza punito con una pena detentiva, ogni persona è legittimata a procedere all’arresto dell’autore e a condurre il medesimo dinanzi al più vicino ufficiale di polizia giudiziaria.

Quando la persona viene presentata dinanzi all’ufficiale di polizia giudiziaria, la sua messa in stato di fermo, ove sussistano i presupposti di tale misura previsti dal presente codice, non è obbligatoria qualora detta persona non si trovi sotto il vincolo di restare a disposizione degli investigatori e sia stata informata che può lasciare in qualsiasi momento i locali di polizia o della gendarmeria. Il presente comma non è però applicabile se la persona è stata portata, coattivamente, dalla forza pubblica dinanzi all’ufficiale di polizia giudiziaria.»

14      L’articolo 385, primo e sesto comma, del codice di procedura penale, dispone:

«Il Tribunal correctionnel (Tribunale penale) ha il potere di constatare le nullità dei procedimenti che gli vengono sottoposti, tranne quando esso venga adito per effetto del rinvio ordinato dal giudice istruttore o dalla sezione istruttoria.

(…)

In tutti i casi, le eccezioni di nullità devono essere presentate prima di qualsiasi difesa nel merito».

 Procedimenti principali e questione pregiudiziale

15      Nella serata del 22 marzo 2021, K.B. e F.S. sono stati notati da agenti di polizia giudiziaria a causa della loro presenza sospetta nel parcheggio di un’impresa. Gli agenti hanno constatato che il serbatoio di un mezzo pesante stazionato in tale parcheggio era aperto e che nelle vicinanze vi erano delle taniche. Alle ore 22.25, detti agenti hanno arrestato e ammanettato K.B. e F.S. che tentavano di nascondersi ed hanno immediatamente aperto un’inchiesta per reato in flagranza relativo a fatti di furto di carburante, a norma dell’articolo 53, primo comma, del codice di procedura penale.

16      Dopo aver interrogato K.B. e F.S., senza però prima notificare loro i diritti previsti dall’articolo 63‑1 del codice di procedura penale, gli agenti di polizia giudiziaria hanno avvisato un ufficiale di polizia giudiziaria, il quale ha chiesto la presentazione immediata dei due sospettati ai fini della loro sottoposizione a fermo di polizia ai sensi dell’articolo 73, ultima parte, del codice di procedura penale.

17      Ignorando questa consegna, gli agenti di polizia giudiziaria hanno contattato un altro ufficiale di polizia giudiziaria, il quale si è presentato in loco alle ore 22.40 e, anziché porre in stato di fermo i due sospettati, notificare loro i suddetti diritti e avvisare il Procureur de la République come richiesto dal diritto francese, ha proceduto alla perquisizione del veicolo delle persone interessate. Nel corso di tale perquisizione, sono stati scoperti elementi a carico, tra cui dei tappi, un imbuto e una pompa elettrica. L’ufficiale di polizia ha posto a K.B. e F.S. delle domande alle quali costoro hanno risposto.

18      Alle ore 22.50, il Procureur de la République è stato avvisato della messa in stato di fermo di F.S. e di K.B., i quali sono stati informati dei loro diritti, rispettivamente, alle ore 23.00 e alle ore 23.06, compreso il loro diritto di restare in silenzio.

19      Investito nel merito del procedimento penale avviato nei confronti di K.B. e di F.S. per reati di furto di carburante, il Tribunal correctionnel de Villefranche‑sur‑Saône (Tribunale penale di Villefranche‑sur‑Saône, Francia), odierno giudice del rinvio, constata che, nel caso di specie, sono stati effettuati atti investigativi e sono state raccolte dichiarazioni autoincriminanti prima che K.B. e F.S. venissero informati dei loro diritti, in violazione dell’articolo 63‑1 del codice di procedura penale che ha trasposto gli articoli 3 e 4 della direttiva 2012/13. Considerata la tardività della loro messa in stato di fermo, dell’avviso al Procureur de la République e dell’informazione sui loro diritti, segnatamente quello di restare in silenzio, il giudice del rinvio ritiene che il diritto di non autoincriminarsi sia stato violato. Date tali circostanze, la perquisizione del veicolo, la messa in stato di fermo dei sospettati e tutti gli atti che ne derivano dovrebbero, in linea di principio, essere annullati, conformemente alla giurisprudenza della Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia).

20      In tale contesto, risulta dal fascicolo a disposizione della Corte che, a norma dell’articolo 385 del codice di procedura penale, le eccezioni di nullità procedurale, ad esempio per violazione dell’obbligo, previsto dall’articolo 63‑1 di tale codice, di informare una persona del diritto di restare in silenzio nel momento in cui viene posta in stato di fermo, devono essere sollevate dalla persona interessata o dal suo avvocato prima di qualsiasi difesa nel merito. Risulta altresì da detto fascicolo che K.B. e F.S. sono stati assistiti da un avvocato, ma che quest’ultimo, e così anche K.B. e F.S., non hanno sollevato, prima della difesa nel merito, un’eccezione di nullità, ai sensi dell’articolo 385 di detto codice, vertente sulla violazione dell’obbligo suddetto.

21      Inoltre, il giudice del rinvio rileva che la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha interpretato l’articolo 385 del codice di procedura penale nel senso che esso vieta ai giudici di merito di rilevare d’ufficio la nullità del procedimento, fatta eccezione per la nullità derivante dalla loro incompetenza, dal momento che l’imputato, il quale dispone del diritto di essere assistito da un avvocato allorché compare o è rappresentato dinanzi ad un giudice con funzioni giudicanti, può eccepire una tale nullità prima di qualsiasi difesa nel merito, tenendo presente che detto imputato dispone della medesima facoltà in grado di appello se non è comparso o se non è stato rappresentato in primo grado. Pertanto, l’articolo 385 del codice di procedura penale così interpretato vieterebbe al giudice del rinvio di rilevare d’ufficio la violazione dell’obbligo contemplato al punto precedente della presente sentenza.

22      In tale contesto, il giudice del rinvio si chiede se il divieto impostogli dall’articolo 385 di detto codice di rilevare d’ufficio la violazione di un obbligo previsto dal diritto dell’Unione, come l’obbligo, contemplato dagli articoli 3 e 4 della direttiva 2012/13, di informare prontamente le persone indagate e quelle imputate del loro diritto di restare in silenzio, sia conforme al diritto dell’Unione.

23      A questo proposito, il giudice del rinvio ricorda che l’applicazione d’ufficio del diritto dell’Unione da parte del giudice nazionale rientra, in assenza di norme di tale diritto in materia procedurale, nell’autonomia procedurale degli Stati membri, entro i limiti dei principi di equivalenza e di effettività. Orbene, nella sentenza del 14 dicembre 1995, Peterbroeck (C‑312/93, EU:C:1995:437), la Corte avrebbe statuito che il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una norma procedurale nazionale che vieta al giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, di valutare d’ufficio la compatibilità di un atto di diritto interno con una disposizione dell’Unione, qualora quest’ultima non sia stata invocata entro un certo termine dal soggetto interessato.

24      Inoltre, il giudice del rinvio richiama la giurisprudenza della Corte nel settore delle clausole abusive, nella quale quest’ultima ha concluso per l’esistenza di un obbligo, per il giudice nazionale, di esaminare d’ufficio la violazione di determinate disposizioni della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), a motivo del fatto che un tale esame permette di giungere ai risultati prescritti da tale direttiva. Detta giurisprudenza riconoscerebbe così al giudice nazionale il suo status di autorità di uno Stato membro, così come il suo corrispondente obbligo di attore a pieno titolo nel processo di trasposizione delle direttive, in un contesto specifico caratterizzato dall’inferiorità di una parte del procedimento. Orbene, questo ragionamento relativo al consumatore potrebbe essere trasposto all’imputato in materia penale, tanto più che quest’ultimo non è necessariamente assistito da un avvocato per far valere i propri diritti.

25      Alla luce di tali circostanze, il Tribunal correctionnel de Villefranche‑sur‑Saône (Tribunale penale di Villefranche‑sur‑Saône) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli articoli 3 (Diritto all’informazione sui diritti) e 4 (Comunicazione dei diritti al momento dell’arresto) della [direttiva 2012/13], l’articolo 7 (Diritto al silenzio) della [direttiva 2016/343], in combinato disposto con l’articolo 48 (Presunzione di innocenza e diritti della difesa) della [Carta], debbano essere interpretati nel senso che essi ostano al divieto imposto al giudice nazionale di rilevare d’ufficio una violazione dei diritti della difesa, quali garantiti dalle direttive menzionate, e più in particolare al fatto che gli sia vietato rilevare d’ufficio, ai fini dell’annullamento del procedimento, la mancata notificazione del diritto al silenzio al momento dell’arresto o una notificazione tardiva di tale diritto».

 Sulla questione pregiudiziale

26      Secondo una consolidata giurisprudenza, nell’ambito del procedimento di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituito dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli permetta di risolvere la controversia sottoposta alla sua cognizione. In tale ottica, incombe, eventualmente, alla Corte riformulare le questioni che le vengono sottoposte. Inoltre, la Corte può essere indotta a prendere in considerazione norme di diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella formulazione della sua questione (sentenza del 15 luglio 2021, Ministrstvo za obrambo, C‑742/19, EU:C:2021:597, punto 31).

27      Infatti, la circostanza che un giudice nazionale abbia, sul piano formale, formulato una questione pregiudiziale facendo riferimento a determinate disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la decisione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o no riferimento nell’enunciazione delle sue questioni. Spetta, a questo proposito, alla Corte estrarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, e in particolare dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia [sentenza del 22 dicembre 2022, Ministre de la Transition écologique e Premier ministre (Responsabilità dello Stato per l’inquinamento atmosferico), C‑61/21, EU:C:2022:1015, punto 34 nonché la giurisprudenza ivi citata].

28      Nel caso di specie, occorre osservare, da un lato, che la questione pregiudiziale riguarda, tra l’altro, l’articolo 7 della direttiva 2016/343, il quale dispone, al paragrafo 1, che gli Stati membri devono provvedere affinché agli indagati e agli imputati sia riconosciuto il diritto di restare in silenzio in merito al reato che essi sono sospettati o accusati di aver commesso.

29      Tuttavia, occorre rilevare che la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata formulata in un contesto in cui l’informazione relativa al diritto di restare in silenzio è stata fornita tardivamente alle persone interessate, dal momento che, come risulta dai punti da 16 a 19 della presente sentenza, a tali persone sono state poste alcune domande da parte di agenti e di un ufficiale di polizia giudiziaria e che questi ultimi hanno raccolto dichiarazioni autoincriminanti prima che l’informazione suddetta venisse fornita a detti interessati. Tale domanda verte dunque sulle conseguenze che il giudice di merito deve, eventualmente, trarre dalla tardività della suddetta informazione qualora quest’ultima non sia stata fatta valere dagli interessati o dal loro avvocato nel termine fissato dal diritto dello Stato membro di cui trattasi. Orbene, l’obbligo incombente alle autorità competenti di fornire prontamente alle persone indagate o imputate determinate informazioni e una comunicazione dei diritti riguardanti, segnatamente, il diritto di restare in silenzio, come pure l’obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché possano essere contestati l’eventuale omissione o rifiuto di fornire siffatte informazioni o comunicazioni, sono specificamente disciplinati dalla direttiva 2012/13, e in particolare, per quanto riguarda il primo obbligo, dagli articoli 3 e 4 di quest’ultima nonché, per quanto riguarda il secondo obbligo, dall’articolo 8, paragrafo 2 della medesima direttiva. Pertanto, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi da 31 a 35 delle sue conclusioni, è solo alla luce di questa direttiva che occorre rispondere alla questione pregiudiziale.

30      Dall’altro lato, risulta dal considerando 14 della direttiva 2012/13 che quest’ultima prende le mosse dai diritti enunciati segnatamente negli articoli 47 e 48 della Carta e mira a promuovere tali diritti nei confronti delle persone indagate o imputate nell’ambito di procedimenti penali (v., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2019, Rayonna prokuratura Lom, C‑467/18, EU:C:2019:765, punto 37).

31      Orbene, sebbene la questione pregiudiziale faccia riferimento soltanto all’articolo 48 della Carta relativo alla presunzione di innocenza e ai diritti della difesa, occorre ricordare come la Corte abbia già statuito che il diritto di restare in silenzio è garantito non soltanto da tale articolo, ma anche dell’articolo 47, secondo comma, della Carta relativo al diritto a che la propria causa sia esaminata equamente (v., in tal senso, sentenza del 2 febbraio 2021, Consob, C‑481/19, EU:C:2021:84, punto 45). Pertanto, la questione pregiudiziale deve essere esaminata anche alla luce di quest’ultima disposizione della Carta.

32      Date tali circostanze, occorre considerare che il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 3 e 4, nonché l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, la quale vieta al giudice di merito statuente in materia penale di rilevare d’ufficio, ai fini dell’annullamento del procedimento, la violazione dell’obbligo incombente alle autorità competenti, in virtù dei citati articoli 3 e 4, di informare prontamente le persone indagate o imputate del loro diritto di restare in silenzio.

33      A questo proposito, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, nonché dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2012/13, gli Stati membri devono provvedere affinché alle persone indagate o imputate vengano prontamente fornite informazioni orali o scritte e, qualora tali persone siano arrestate o detenute, una comunicazione dei diritti scritta concernente, tra l’altro, il diritto di restare in silenzio, in modo da permettere l’esercizio effettivo di tale diritto. Dette disposizioni prevedono dunque un obbligo, per le autorità competenti degli Stati membri, di informare prontamente le persone indagate o imputate in merito a tale diritto, con la precisazione che, indipendentemente dal carattere eventualmente più rigoroso di tale obbligo per quanto riguarda le persone indagate o imputate in stato di arresto o di detenzione, risulta dal considerando 19 della direttiva sopra citata che, in ogni caso, le suddette informazioni devono essere fornite al più tardi anteriormente al primo interrogatorio ufficiale della persona indagata o imputata da parte della polizia o di un’altra autorità competente.

34      Nel caso di specie, il giudice del rinvio ha constatato, in sostanza, che K.B. e F.S., i quali sono stati arrestati in flagranza di reato e avrebbero dunque dovuto, in quanto persone arrestate e sospettate di aver commesso un illecito penale, essere prontamente informati del loro diritto di restare in silenzio sul fondamento delle norme nazionali di trasposizione delle disposizioni della direttiva 2012/13 contemplate al punto precedente, sono stati informati tardivamente di tale diritto, vale a dire soltanto dopo che erano state loro poste delle domande da parte di agenti e di un ufficiale di polizia giudiziaria e che alcune loro dichiarazioni autoincriminanti erano state raccolte da questi ultimi.

35      In tale contesto, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13, gli Stati membri devono assicurare che le persone indagate o imputate, o i loro avvocati, abbiano il diritto di impugnare, secondo le procedure del diritto nazionale, il fatto che le autorità competenti eventualmente omettano o rifiutino di fornire le informazioni in conformità a tale direttiva.

36      Tale disposizione è destinata a trovare applicazione segnatamente in una situazione in cui un’informazione relativa al diritto di restare in silenzio sia stata fornita tardivamente. Infatti, dato che l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva esigono che le persone indagate o imputate vengano prontamente informate del loro diritto di restare in silenzio, un’informazione a questo proposito fornita senza rispettare tale requisito di prontezza non può considerarsi fornita con le modalità «di cui» alla direttiva in parola. Pertanto, in applicazione dell’articolo 8, paragrafo 2, di detta direttiva, le persone indagate o imputate, o i loro avvocati, devono poter impugnare tale mancata comunicazione.

37      A questo proposito, occorre ricordare che, tenuto conto dell’importanza del diritto ad un ricorso effettivo, tutelato dall’articolo 47, primo comma, della Carta, l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13 osta a qualsiasi misura nazionale che impedisca l’esercizio di mezzi di ricorso effettivi in caso di violazione dei diritti tutelati da tale direttiva (sentenza del 19 settembre 2019, Rayonna prokuratura Lom, C‑467/18, EU:C:2019:765, punto 57).

38      Tuttavia, con il rinvio da essa effettuato alle «procedure del diritto nazionale», tale disposizione della direttiva 2012/13 non precisa né le modalità e i termini con i quali le persone indagate e le persone imputate, nonché eventualmente i loro avvocati, possono far valere una violazione dell’obbligo di informare prontamente detti indagati e detti imputati in merito al loro diritto di restare in silenzio, né le eventuali conseguenze procedurali derivanti dalla mancata proposizione di una doglianza per tale violazione, come la facoltà, per il giudice di merito statuente in materia penale, di rilevare d’ufficio una tale violazione ai fini dell’annullamento del procedimento. Il margine di manovra così lasciato agli Stati membri per stabilire tali modalità e tali conseguenze è, per di più, confermato dal considerando 36 di detta direttiva, secondo il quale il diritto di contestare, conformemente al diritto nazionale, il fatto che eventualmente le autorità competenti omettano o rifiutino di fornire informazioni o di divulgare determinati documenti attinenti al caso ai sensi di detta direttiva non comporta, per gli Stati membri, l’obbligo di prevedere una specifica procedura di impugnazione, un meccanismo separato o una procedura di ricorso con cui contestare l’omissione o il rifiuto suddetti.

39      Occorre dunque constatare che la direttiva 2012/13 non enuncia regole disciplinanti l’eventuale facoltà, per il giudice di merito statuente in materia penale, di rilevare d’ufficio, ai fini dell’annullamento del procedimento, una violazione dell’obbligo di informare prontamente tali persone indagate o imputate in merito al loro diritto di restare in silenzio.

40      Occorre però ricordare che gli Stati membri, quando attuano l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13, sono tenuti, in conformità all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, ad assicurare il rispetto delle prescrizioni che si impongono in virtù sia del diritto ad un ricorso effettivo e del diritto a che la propria causa sia esaminata equamente, sanciti dall’articolo 47, primo e secondo comma, della Carta, sia dei diritti della difesa sanciti dall’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, i quali ricevono concreta attuazione attraverso le suddette disposizioni della direttiva 2012/13 [v., in tal senso, sentenza del 1° agosto 2022, TL (Assenza di interprete e di traduzione), C‑242/22 PPU, EU:C:2022:611, punto 42].

41      Occorre aggiungere che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i diritti enunciati da quest’ultima hanno il medesimo significato e la medesima portata dei corrispondenti diritti garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), il che non impedisce che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. Nell’interpretazione dei diritti garantiti dall’articolo 47, primo e secondo comma, e dall’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, la Corte deve dunque tener conto dei corrispondenti diritti garantiti dagli articoli 6 e 13 della CEDU, così come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto soglia di protezione minima (v., in tal senso, sentenze del 2 febbraio 2021, Consob, C‑481/19, EU:C:2021:84, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata, nonché del 9 marzo 2023, Intermarché Casino Achats/Commissione, C‑693/20 P, EU:C:2023:172, punti da 41 a 43). D’altronde, il considerando 14 della direttiva 2012/13 menziona espressamente il fatto che quest’ultima sviluppa segnatamente il citato articolo 6, così come interpretato dalla Corte suddetta.

42      A questo proposito, e salvo verifica da parte del giudice del rinvio, occorre rilevare che, come risulta dai chiarimenti forniti dal governo francese nelle sue osservazioni scritte e all’udienza, il diritto penale francese, in particolare l’articolo 63‑1, paragrafo 3, l’articolo 63‑4‑1 e l’articolo 385 del codice di procedura penale, permette alle persone indagate o imputate nonché, eventualmente, al loro avvocato di far valere con ogni mezzo e in qualsiasi momento, tra la loro sottoposizione a fermo di polizia e la presentazione della difesa nel merito, qualsiasi violazione dell’obbligo di informare prontamente le persone indagate o imputate del loro diritto di restare in silenzio, così come risultante dagli articoli 3 e 4 della direttiva 2012/13, con la precisazione che tanto queste persone indagate o imputate quanto il loro avvocato dispongono di un diritto di accesso al fascicolo e, segnatamente, al verbale che constata la notificazione della messa in stato di fermo e dei diritti che vi sono collegati.

43      Orbene, in virtù del margine di manovra ad essi lasciato dalla direttiva 2012/13, gli Stati membri possono legittimamente circoscrivere dal punto di vista temporale la proposizione della doglianza relativa a una tale violazione alla fase che precede la presentazione della difesa nel merito. In particolare, occorre considerare che il divieto imposto al giudice penale di merito di rilevare d’ufficio tale violazione ai fini dell’annullamento del procedimento rispetta, in linea di principio, il diritto ad un ricorso effettivo e a che la propria causa sia esaminata equamente sancito dall’articolo 47, primo e secondo comma, della Carta, nonché i diritti della difesa sanciti dall’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, dato che le persone indagate e quelle imputate o il loro avvocato hanno avuto la possibilità concreta ed effettiva di far valere la violazione in questione e che essi hanno beneficiato a tal fine di un termine ragionevole nonché dell’accesso al fascicolo.

44      Ciò premesso, al fine di assicurare l’effetto utile del diritto di restare in silenzio, occorre precisare che tale conclusione vale soltanto nei limiti in cui dette persone abbiano potuto disporre in maniera concreta ed effettiva, durante il decorso del termine che esse avevano per far valere una violazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), e dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2012/13, del diritto di avvalersi di un avvocato, quale sancito dall’articolo 3 della direttiva 2013/48 e così come facilitato dal meccanismo di ammissione al gratuito patrocinio previsto dalla direttiva (UE) 2016/1919 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali e per le persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo (GU 2016, L 297, pag. 1).

45      Tale interpretazione delle citate disposizioni della direttiva 2012/13, lette alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta, è corroborata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 6 della CEDU, la quale ha già statuito che la situazione di vulnerabilità particolare dell’accusato nella fase dell’inchiesta per la preparazione del processo può essere compensata in maniera adeguata soltanto attraverso l’assistenza di un avvocato, il cui compito consiste segnatamente nel fare in modo che venga rispettato il diritto di qualsiasi accusato di non autoincriminarsi (Corte EDU, 27 novembre 2008, Salduz c. Turchia, ECLI:CE:ECHR:2008:1127JUD003639102, § 54).

46      Il fatto che le persone indagate e quelle imputate debbano vedersi offrire dal diritto nazionale la possibilità concreta e effettiva di avvalersi di un avvocato non esclude però che esse, ove rinuncino a tale possibilità, siano tenute, in linea di principio, a sopportare le eventuali conseguenze di tale rinuncia, qualora questa abbia avuto luogo in conformità alle condizioni enunciate all’articolo 9 della direttiva 2013/48. In particolare, il paragrafo 1 di tale articolo stabilisce che la persona indagata o imputata deve aver ricevuto, oralmente o per iscritto, informazioni chiare e sufficienti, in un linguaggio semplice e comprensibile, sul contenuto del diritto di avvalersi di un avvocato e sulle possibili conseguenze di una rinuncia a tale diritto, e che tale rinuncia deve essere espressa volontariamente e in modo inequivoco.

47      La considerazione di cui al punto 44 della presente sentenza non viene rimessa in discussione dal fatto che l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13 stabilisce che la violazione dell’obbligo di informare prontamente le persone indagate o imputate del loro diritto di restare in silenzio deve poter essere fatta valere dalla persona indagata o imputata «o» anche dall’avvocato di questa. Infatti, occorre intendere tale congiunzione coordinativa nel senso che questo indagato o questo imputato devono far valere loro stessi una tale violazione soltanto nelle ipotesi in cui essi abbiano validamente rinunciato alla possibilità di farsi assistere da un avvocato – rinuncia la cui validità deve essere verificata da un giudice – o in cui essi preferiscano eccepire loro stessi tale violazione piuttosto che per il tramite del loro avvocato.

48      Inoltre, occorre ancora osservare che, in virtù della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, qualora venga constatato un vizio procedurale, spetta alle giurisdizioni interne procedere a valutare se tale vizio sia stato sanato nel corso del procedimento che ne è conseguito, là dove l’assenza di una tale valutazione è di per sé stessa incompatibile prima facie con le esigenze di un processo equo ai sensi dell’articolo 6 della CEDU (Corte EDU, 28 gennaio 2020, Mehme Zeki Çelebi c. Turchia, CE:ECHR:2020:0128JUD002758207, § 51). Così, nell’ipotesi in cui una persona sospettata non sia stata informata, in tempo utile, dei suoi diritti di non autoincriminarsi e di restare in silenzio, si deve valutare se, malgrado questa lacuna, il procedimento penale nel suo insieme possa essere considerato equo, tenendo conto di una serie di fattori tra i quali figurano la questione se le dichiarazioni raccolte in assenza di un’informazione siffatta siano una parte integrante o importante degli elementi a carico, nonché la forza degli altri elementi del fascicolo (v., in tal senso, Corte EDU, 13 settembre 2016, Ibrahim e altri c. Regno Unito, CE:ECHR:2016:0913JUD005054108, §§ 273 e 274).

49      Risulta dalle considerazioni sopra esposte che non si può ritenere che una normativa nazionale, la quale vieta al giudice di merito statuente in materia penale di rilevare d’ufficio, ai fini dell’annullamento del procedimento, la violazione dell’obbligo incombente alle autorità competenti, in virtù degli articoli 3 e 4 della direttiva 2012/13, di informare prontamente le persone indagate o imputate del loro diritto di restare in silenzio, violi gli articoli 47 e 48 della Carta, qualora tali persone indagate o imputate non siano state private della possibilità concreta ed effettiva di avvalersi di un avvocato conformemente all’articolo 3 della direttiva 2013/48, se necessario ricorrendo al gratuito patrocinio alle condizioni previste dalla direttiva 2016/1919, e qualora esse abbiano avuto, così come, eventualmente, il loro avvocato, il diritto di accedere al loro fascicolo e di far valere tale violazione entro un termine ragionevole, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13.

50      Tale conclusione non è rimessa in discussione dalla giurisprudenza richiamata dal giudice del rinvio e menzionata ai punti 23 e 24 della presente sentenza.

51      Infatti, da un lato, nella causa decisa dalla sentenza del 14 dicembre 1995, Peterbroeck (C‑312/93, EU:C:1995:437), il diritto nazionale attribuiva al giudice il potere di valutare d’ufficio la compatibilità di un atto di diritto interno con una disposizione del diritto dell’Unione. Tuttavia, il giudice del rinvio, a causa del fatto che il termine durante il quale tale valutazione poteva essere effettuata d’ufficio era già scaduto alla data dello svolgimento dell’udienza, si vedeva privato di questo potere. Invece, l’odierno procedimento principale verte sulla questione se il diritto dell’Unione imponga di riconoscere al giudice nazionale la facoltà di rilevare d’ufficio una violazione del diritto dell’Unione, malgrado che tale facoltà gli sia vietata dal diritto nazionale.

52      Per quanto riguarda, dall’altro lato, la giurisprudenza della Corte formatasi nel settore delle clausole abusive, occorre sottolineare che i rapporti giuridici costituenti l’oggetto di un regime inteso alla protezione dei consumatori si distinguono a tal punto da quelli in discussione nell’ambito di procedimenti penali, quali quelli oggetto del procedimento principale e ricordati al punto 45 della presente sentenza, che non si può procedere ad una semplice applicazione dei principi sviluppati nel settore delle clausole abusive a quello delle garanzie procedurali nei procedimenti penali.

53      Alla luce dell’insieme delle motivazioni sopra esposte, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che gli articoli 3 e 4 nonché l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale, la quale vieta al giudice di merito statuente in materia penale di rilevare d’ufficio, ai fini dell’annullamento del procedimento, la violazione dell’obbligo incombente alle autorità competenti, in virtù dei citati articoli 3 e 4, di informare prontamente le persone indagate o imputate del loro diritto di restare in silenzio, qualora tali persone indagate o imputate non siano state private della possibilità concreta ed effettiva di avvalersi di un avvocato conformemente all’articolo 3 della direttiva 2013/48, se necessario ricorrendo al gratuito patrocinio alle condizioni previste dalla direttiva 2016/1919, e qualora esse abbiano avuto, così come, eventualmente, il loro avvocato, il diritto di accedere al loro fascicolo e di far valere tale violazione entro un termine ragionevole, ai sensi del menzionato articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13.

 Sulle spese

54      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

Gli articoli 3 e 4 nonché l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

devono essere interpretati nel senso che:

essi non ostano ad una normativa nazionale, la quale vieta al giudice di merito statuente in materia penale di rilevare d’ufficio, ai fini dell’annullamento del procedimento, la violazione dell’obbligo incombente alle autorità competenti, in virtù dei citati articoli 3 e 4, di informare prontamente le persone indagate o imputate del loro diritto di restare in silenzio, qualora tali persone indagate o imputate non siano state private della possibilità concreta ed effettiva di avvalersi di un avvocato conformemente all’articolo 3 della direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari, se necessario ricorrendo al gratuito patrocinio alle condizioni previste dalla direttiva (UE) 2016/1919 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali e per le persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo, e qualora esse abbiano avuto, così come, eventualmente, il loro avvocato, il diritto di accedere al loro fascicolo e di far valere tale violazione entro un termine ragionevole, ai sensi del menzionato articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.