Language of document : ECLI:EU:T:2013:322

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

18 giugno 2013 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato mondiale del fluoruro di alluminio – Decisione che constata una violazione dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE – Fissazione dei prezzi e ripartizione dei mercati – Prova dell’infrazione – Diritti della difesa – Concordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione impugnata – Ammende – Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende – Accordo euromediterraneo»

Nella causa T‑406/08,

Industries chimiques du fluor (ICF), con sede in Tunisi (Tunisia), rappresentata inizialmente da M. van der Woude e T. Hennen, successivamente da P. Wytinck e D. Gillet, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da É. Gippini Fournier, K. Mojzesowicz e N. von Lingen, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione C(2008) 3043 della Commissione, del 25 giugno 2008, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (COMP/39.180 – Fluoruro di alluminio), concernente un’intesa sul mercato mondiale del fluoruro di alluminio in merito alla fissazione dei prezzi e alla ripartizione dei mercati su scala mondiale, nonché, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da J. Azizi (relatore), presidente, I. Labucka e S. Frimodt Nielsen, giudici,

cancelliere: C. Kristensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 giugno 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Circostanze all’origine della controversia

I –  Fatti

1        La decisione C(2008) 3043 della Commissione, del 25 giugno 2008, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (COMP/39.180 – Fluoruro di alluminio) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), riguarda un’intesa sul mercato mondiale del fluoruro di alluminio avente ad oggetto la fissazione dei prezzi e la ripartizione dei mercati su scala mondiale, alla quale avrebbe attivamente partecipato la ricorrente, la Industries chimiques du fluor (in prosieguo: la «ICF»).

2        La ricorrente è una società per azioni di diritto tunisino, quotata alla borsa di Tunisi (Tunisia) e dedita alla produzione e alla vendita del fluoruro di alluminio (punto 23 della decisione impugnata).

3        La Boliden Odda A/S (in prosieguo: la «Boliden») è un’impresa norvegese dedita alla produzione e alla vendita di zinco e di fluoruro di alluminio (punto 5 della decisione impugnata). Il 23 marzo 2005 la Boliden ha depositato presso la Commissione delle Comunità europee una domanda di immunità ai sensi della comunicazione della Commissione del 2002 relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»). Nell’aprile 2005 la Boliden ha fornito ulteriori chiarimenti e informazioni e ha reso dichiarazioni orali. Il 28 aprile 2005 la Commissione ha concesso alla Boliden l’immunità condizionale dalle ammende ai sensi del punto 8, lettera a), della comunicazione sulla cooperazione (punto 56 della decisione impugnata).

4        Il 25 e il 26 maggio 2005 la Commissione ha effettuato delle ispezioni, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), presso i locali di alcuni fornitori europei di fluoruro di alluminio (punto 57 della decisione impugnata), segnatamente della Fluorsid SpA, società di diritto italiano, della Alufluor AB, della Derivados del Fluor SA e della C.E. Giulini & – C. Srl.

5        Il 23 e il 31 agosto 2006 la Commissione ha interrogato il sig. O., ex direttore commerciale della divisione «Noralf» della Boliden addetta al fluoruro di alluminio, a norma dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 (punto 58 della decisione impugnata).

6        Tra il settembre 2006 e il febbraio 2007 la Commissione ha inviato, a norma dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, varie richieste di informazioni alle imprese coinvolte in tale fase del procedimento amministrativo, segnatamente alla ricorrente, alla Boliden, alla Alufluor, alla Derivados del Fluor, alla Fluorsid, alla C.E. Giulini & C., alla Minmet, società con sede in Svizzera e principale azionista della Fluorsid, e alla Industrial Quimica de Mexico (in prosieguo: la «IQM»), società di diritto messicano, ricevendo risposta da tali imprese (punto 59 della decisione impugnata).

7        Il 29 marzo 2007, nel corso di una riunione con la Commissione, la Fluorsid ha fornito taluni documenti. Il 22 aprile 2007 la Fluorsid ha presentato una «domanda d’immunità o di riduzione dell’ammenda» ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, che la Commissione ha interpretato come domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda. Il 27 maggio 2007 la Fluorsid ha presentato un addendum a questa domanda. Il 13 luglio 2007 la Commissione ha informato la Fluorsid che non intendeva concederle una riduzione dell’importo delle ammende in base alla comunicazione sulla cooperazione (punti 60, 248 e 249 della decisione impugnata).

8        Il 24 aprile 2007 la Commissione ha formalmente avviato il procedimento nei confronti, in particolare, della ricorrente, della Boliden, della Fluorsid, della Minmet e della IQM ed ha adottato una comunicazione degli addebiti, che è stata inviata alle predette società il 25 aprile 2007 e notificata alle stesse tra il 26 e il 30 aprile successivi. Allo stesso tempo, la Commissione ha concesso alle imprese suddette l’accesso al fascicolo sotto forma di CD‑ROM (punto 61 della decisione impugnata).

9        Ad eccezione della Boliden, tutti i destinatari della comunicazione degli addebiti hanno presentato le loro osservazioni sugli addebiti mossi nei loro confronti (punto 62 della decisione impugnata).

10      Il 13 settembre 2007 si è svolta un’audizione, alla quale hanno partecipato tutti i destinatari della comunicazione degli addebiti (punto 63 della decisione impugnata).

11      L’11 e il 14 aprile 2008 la Commissione ha inviato richieste di informazioni a tutti i destinatari della comunicazione degli addebiti, invitandoli ad indicare il proprio fatturato globale nonché le loro vendite di fluoruro di alluminio e a fornire chiarimenti su eventuali imminenti cambiamenti significativi in termini di attività o di proprietà (punto 64 della decisione impugnata).

II –  Decisione impugnata

A –  Dispositivo della decisione impugnata

12      Il dispositivo della decisione impugnata è così formulato:

«Articolo 1

Le seguenti imprese hanno violato l’articolo 81 [CE] e l’articolo 53 dell’Accordo SEE partecipando, dal 12 luglio 2000 al 31 dicembre 2000, a un accordo/pratica concordata nel settore del fluoruro di alluminio:

a) Boliden (…)

b) Fluorsid (…) e Minmet (…)

c) [ICF]

d) [IQM] e Q.B. Industrias S.A.B.

Articolo 2

Per le infrazioni di cui all’articolo 1 sono inflitte le seguenti ammende:

a)      Boliden (…): EUR 0;

b)       Fluorsid (…) e Minmet (…), in solido: EUR 1 600 000;

c)       [ICF]: EUR 1 700 000;

d)       [IQM] e Q.B. Industrias S.A.B., in solido: EUR 1 670 000.

(…)».

B –  Motivazione della decisione impugnata

13      Nella motivazione della decisione impugnata, la Commissione ha considerato sostanzialmente quanto segue.

1.     Sul settore del fluoruro di alluminio

14      Secondo la Commissione, il fluoruro di alluminio è un composto chimico utilizzato per la produzione dell’alluminio, che consente di ridurre il consumo di elettricità richiesto al momento della fusione durante il processo produttivo dell’alluminio primario e che, dunque, contribuisce notevolmente alla riduzione dei costi di produzione dell’alluminio. I produttori di alluminio sarebbero i principali utilizzatori del fluoruro di alluminio. La produzione annuale di alluminio sarebbe di più di 20 milioni di tonnellate nel mondo, di cui il 30% circa in Europa (punti 2 e 3 della decisione impugnata).

15      Nel 2000, le vendite di fluoruro di alluminio della ricorrente nello Spazio economico europeo (SEE) avrebbero originato un fatturato di EUR 8 146 129, mentre nel mondo intero esse avrebbero ammontato ad EUR 34 339 694. Nel 2007 il fatturato mondiale avrebbe raggiunto EUR 36 891 574 (punto 25 della decisione impugnata).

16      Nel 2000, il valore di mercato totale stimato del fluoruro di alluminio venduto sul libero mercato nel SEE sarebbe stato all’incirca di EUR 71 600 000. Il valore di mercato del fluoruro di alluminio venduto sul libero mercato a livello mondiale interessato dall’intesa sarebbe stato, nel 2000, di EUR 340 000 000 circa. La quota di mercato aggregata stimata delle imprese interessate dalla decisione impugnata ammonterebbe al 33% sul mercato del SEE, e al 35% sul mercato mondiale (punto 33 della decisione impugnata).

17      Secondo la decisione impugnata, il fluoruro di alluminio viene scambiato in tutto il mondo. Gli scambi verrebbero realizzati dagli Stati Uniti verso il SEE e dal SEE verso gli Stati Uniti, l’Africa, l’America del Sud e l’Australia (punto 35 della decisione impugnata). La ricorrente venderebbe ingenti quantitativi del prodotto nel SEE (punto 36 della decisione impugnata). A partire dal 1997, l’associazione dei produttori di fluoruro di alluminio (Inorganic Fluorine Producers Association; in prosieguo: la «IFPA») riunisce i produttori di tutto il mondo (punto 38 della decisione impugnata).

2.     Sulla riunione di Milano e sull’attuazione dell’intesa

18      Secondo la Commissione, alcune pratiche collusive nel settore del fluoruro di alluminio risalgono già al periodo compreso tra la creazione dell’IFPA, nel 1997, e la riunione di Milano (Italia) del 12 luglio 2000, ma non esistono prove concludenti in tal senso (punto 73 della decisione impugnata). La Commissione ha precisato che alla riunione di Milano avrebbero presenziato alcuni rappresentanti della Fluorsid, della ricorrente e della IQM, mentre un rappresentante della divisione «Noralf» della Boliden avrebbe partecipato a tale riunione per telefono. Durante la riunione, i partecipanti avrebbero concordato un obiettivo di aumento dei prezzi del 20%. Essi avrebbero passato in rassegna varie regioni del mondo, compresa l’Europa, al fine di stabilire un livello generale di prezzo e, in alcuni casi, una ripartizione del mercato. Secondo il loro accordo, l’obiettivo generale era di ottenere un livello di prezzo maggiore e di scoraggiare l’applicazione di sconti elevati. I partecipanti avrebbero altresì scambiato informazioni commercialmente sensibili. A questo proposito, la Commissione si è basata sul resoconto della riunione di Milano redatto dal sig. R., rappresentante della Fluorsid, sulle note del sig. O., rappresentante della divisione «Noralf» della Boliden, e sulla dichiarazione del sig. O. (punti da 77 a 91 della decisione impugnata).

19      Dopo la riunione di Milano, le imprese interessate sarebbero rimaste in contatto tra loro (punto 93 della decisione impugnata).

20      Il 25 ottobre 2000, il sig. T., della divisione «Noralf» della Boliden, e il sig. A., della IQM, si sarebbero scambiati telefonicamente informazioni sulle loro rispettive offerte ad un cliente in Australia, comprese quelle riguardanti il livello di prezzo, la durata del contratto e il volume offerto. Il contenuto di questa telefonata sarebbe riportato in una nota manoscritta dell’epoca inviata dal sig. T. al sig. O., anch’egli della divisione «Noralf» della Boliden (punto 94 della decisione impugnata).

21      L’8 novembre 2000 il sig. C., amministratore delegato della Minmet, avrebbe inviato una nota alla Fluorsid su una conversazione telefonica da lui avuta quello stesso giorno con il sig. G., della ricorrente, riguardante i prezzi di vendita del fluoruro di alluminio (punto 95 della decisione impugnata).

22      Il 9 novembre 2000 la Minmet avrebbe inviato alla Fluorsid un altro resoconto di una riunione tenutasi con la ricorrente a Losanna (Svizzera) riguardante la clientela e i prezzi su alcuni mercati, in particolare il Brasile e il Venezuela (punto 96 della decisione impugnata).

3.     Sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE e dell’articolo 53, paragrafo 1, dell’Accordo SEE

23      La Commissione ha concluso che la riunione di Milano e i successivi comportamenti volti a darvi attuazione presentavano tutte le caratteristiche di un accordo e/o di una pratica concordata ai sensi dell’articolo 81 CE o dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (punti da 115 a 122 della decisione impugnata) e che tale intesa costituiva un’infrazione unica e continuata (punti da 123 a 129 della decisione impugnata).

24      Tale infrazione avrebbe avuto per oggetto una restrizione della concorrenza nella Comunità europea e nel SEE (punti da 130 a 135 della decisione impugnata), ma la sua portata geografica sarebbe stata mondiale, estendendosi alle regioni menzionate nel resoconto della riunione di Milano, ossia, in particolare, l’Europa, la Turchia, l’Australia, l’America del Sud, l’Africa del Sud, l’America del Nord (punto 136 della decisione impugnata).

25      Secondo la Commissione, l’intesa era idonea ad avere un effetto considerevole sul commercio tra gli Stati membri «e/o» le parti contraenti dell’Accordo SEE (punti da 137 a 142 della decisione impugnata).

4.     Sulla durata dell’infrazione

26      Malgrado vi fossero indicazioni secondo cui i produttori di fluoruro di alluminio si erano già dedicati a pratiche collusive durante la seconda metà degli anni ‘90, in particolare a seguito di una riunione tenutasi in Grecia nel 1999, la Commissione ha ritenuto di essere in possesso di elementi di prova che attestavano l’esistenza di un’intesa soltanto a partire dal 12 luglio 2000 «almeno», data della riunione di Milano (punto 144 della decisione impugnata).

27      Nell’industria del fluoruro di alluminio, i contratti di fornitura verrebbero negoziati in anticipo, durante un periodo che inizia nel secondo semestre di un anno solare e termina alla fine di tale anno o nei primi cinque mesi dell’anno successivo. Ciò varrebbe anche per i contratti pluriennali. Alcuni contratti pluriennali prevedrebbero ancora o una negoziazione annuale dei prezzi alla fine di ogni anno solare o una revisione semestrale dei prezzi alla fine di ogni semestre. Il resoconto della riunione di Milano confermerebbe che la pratica del settore consisteva nel fissare i prezzi in anticipo per l’esercizio sociale successivo. La Commissione ne ha dedotto che il risultato dei contatti collusivi nel mese di luglio 2000 si sarebbe applicato ai negoziati svolti nel secondo semestre del 2000 (punto 146 della decisione impugnata).

28      La Commissione è così giunta alla conclusione che l’intesa perdurava e aveva continuato a produrre effetti anticoncorrenziali, relativamente al comportamento dei membri dell’intesa, «almeno» fino al 31 dicembre 2000 (punto 147 della decisione impugnata).

5.     Sulla determinazione dell’importo dell’ammenda

29      La Commissione ha fissato l’importo di base dell’ammenda da infliggere alla ricorrente a EUR 1 700 000 (punto 243 della decisione impugnata), precisando che, secondo gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»), «l’importo di base dell’ammenda è legato ad una proporzione del valore delle vendite, determinata in funzione del grado di gravità dell’infrazione, moltiplicata per il numero di anni dell’infrazione» (punto 234 della decisione impugnata).

30      Nel caso di specie, l’infrazione sarebbe consistita, segnatamente, in un accordo orizzontale di fissazione dei prezzi, il quale, per sua stessa natura, figurerebbe tra le più gravi restrizioni della concorrenza. Ciò dovrebbe riflettersi nella percentuale del valore delle vendite presa in considerazione (punto 236 della decisione impugnata). La quota di mercato aggregata delle imprese che hanno partecipato a detta infrazione, stimata nel 2000, non avrebbe superato il 35% nel SEE (punto 237 della decisione impugnata). L’estensione geografica dell’intesa sarebbe stata mondiale (punto 238 della decisione impugnata). La Commissione «ha inoltre tenuto conto del grado di attuazione dell’infrazione [punti 134, 135, da 154 a 156, 172 e 185 della decisione impugnata] nel definire la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione» (punto 239 della decisione impugnata).

31      La Commissione ne ha concluso che, alla luce dei fattori sopra elencati relativi alla natura dell’infrazione e alla sua portata geografica, la percentuale del valore delle vendite di ciascuna delle imprese, sul cui fondamento doveva essere stabilito l’importo di base delle ammende da infliggere, era del 17% (punto 240 della decisione impugnata).

32      Poiché la durata dell’infrazione aveva corrisposto «almeno» al periodo intercorrente dal 12 luglio al 31 dicembre 2000, il coefficiente di moltiplicazione da applicare all’importo di base sarebbe stato di 0,5 (punto 241 della decisione impugnata). L’importo supplementare al fine di dissuadere le imprese dal prendere parte ad accordi orizzontali di fissazione dei prezzi quale quello di cui al caso di specie sarebbe stato pari al 17% del valore delle vendite (punto 242 della decisione impugnata).

33      La Commissione ha stabilito nel seguente modo gli importi di base dell’ammenda da infliggere alle partecipanti all’intesa:

–        Boliden: EUR 1 milione;

–        Fluorsid e Minmet: EUR 1,6 milioni;

–        ICF: EUR 1,7 milioni;

–        IQM, Q.B. Industrias S.A.B.: EUR 1,67 milioni.

34      In applicazione della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha alla fine concesso l’immunità alla Boliden, che è stata esentata da qualsiasi ammenda.

6.     Sulle circostanze attenuanti

35      La Commissione ha ritenuto che gli elementi di prova addotti dalla ricorrente non dimostrassero che il suo comportamento effettivo sul mercato «fosse idoneo a prevalere sugli effetti anticoncorrenziali dell’infrazione constatata, né che essa si [fosse] comportata sempre in maniera indipendente sul mercato nel corso del periodo d’infrazione». Al contrario, dalle prove contenute nel fascicolo della Commissione sarebbe emerso che la ricorrente aveva intrattenuto contatti bilaterali con le sue concorrenti, anche dopo la riunione di Milano (punti da 245 a 247 della decisione impugnata). La Commissione non ha constatato alcuna circostanza attenuante a favore della ricorrente atta a comportare una riduzione dell’importo dell’ammenda.

36      La Commissione ha concluso che l’importo dell’ammenda da infliggere alla ricorrente in forza dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 doveva essere di EUR 1,7 milioni (punto 276 della decisione impugnata).

 Procedimento e conclusioni delle parti

37      La ricorrente ha proposto il presente ricorso per posta elettronica e per fax, depositati presso la cancelleria del Tribunale rispettivamente il 19 e il 20 settembre 2008. La versione cartacea del ricorso è pervenuta in cancelleria il 24 settembre 2008. Ciascuna spedizione era accompagnata da una lettera di trasmissione.

38      Il 27 ottobre 2008 la ricorrente, su invito del Tribunale, ha presentato le proprie osservazioni sul carattere originale della versione cartacea del ricorso ricevuto il 24 settembre 2008.

39      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, ridurre sostanzialmente l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta;

–        condannare la Commissione alle spese.

40      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile ovvero, in subordine, in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

41      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

42      A motivo dell’impedimento di un membro della Sezione, il presidente del Tribunale ha designato, in applicazione dell’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, un altro giudice per completare il collegio.

43      A titolo di misure di organizzazione del procedimento adottate ai sensi dell’articolo 64 del regolamento di procedura, il Tribunale ha chiesto alla Commissione di produrre taluni documenti e di rispondere per iscritto ad alcuni quesiti. La Commissione ha ottemperato a tali misure di organizzazione del procedimento entro il termine impartito.

44      Le parti hanno esposto le loro difese orali e hanno risposto alle domande formulate dal Tribunale nel corso dell’udienza del 14 giugno 2012.

 In diritto

I –  Sulla ricevibilità del ricorso

45      La Commissione eccepisce l’irricevibilità del presente ricorso.

46      La decisione impugnata del 25 giugno 2008 sarebbe stata notificata alla ricorrente il 10 luglio 2008. Il termine per proporre un ricorso di annullamento contro la decisione impugnata, aumentato del termine per la distanza di dieci giorni, sarebbe scaduto il 22 settembre 2008. Una copia del ricorso sarebbe pervenuta alla cancelleria del Tribunale per posta elettronica il 19 settembre 2008 e via fax il 20 settembre 2008, mentre la versione cartacea sarebbe pervenuta alla cancelleria solo il 24 settembre 2008. Poiché la versione cartacea non sarebbe l’originale del ricorso, bensì una fotocopia dell’originale, l’articolo 43, paragrafo 6, del regolamento di procedura non sarebbe applicabile e il ricorso, proposto tardivamente, sarebbe irricevibile. La firma figurante sulla copia del ricorso non sarebbe una sottoscrizione autografa, ma una copia della sottoscrizione stessa. L’obbligo di sottoscrizione autografa ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 1, del regolamento di procedura dovrebbe essere considerato come un requisito di forma prescritto ad substantiam e costituire oggetto di un’applicazione rigorosa, sicché la sua violazione implicherebbe l’irricevibilità del ricorso. La Commissione si rimette alla valutazione del Tribunale per stabilire la ricevibilità del ricorso.

47      Secondo la ricorrente, l’«errore di gestione amministrativa» di cui trattasi non lede né il principio della certezza del diritto né l’articolo 43 del regolamento di procedura. Il 19 settembre 2008 lo studio legale che assiste la ricorrente avrebbe inviato per fax il ricorso introduttivo del giudizio firmato dagli avv.ti M. van der Woude e T. Hennen. La lettera di accompagnamento del fax sarebbe stata firmata dagli avv.ti Hennen e P. Wytinck, associati dell’avv. van der Woude. Lo stesso giorno l’avv. Hennen avrebbe inviato per posta elettronica alla cancelleria della Corte il ricorso, la lettera di accompagnamento e l’avviso di ricevimento di tale fax, e l’avv. van der Woude avrebbe ritrasmesso tale messaggio di posta elettronica alla cancelleria del Tribunale il 20 settembre 2008. Il 23 settembre 2008 l’avv. Hennen avrebbe inviato alla cancelleria del Tribunale, tramite la società UPS, sette esemplari del ricorso, di cui uno presentato come originale e sei copie conformi. La lettera di accompagnamento del plico sarebbe stata firmata dall’avv. Hennen. I sette esemplari spediti il 23 settembre 2008 sarebbero identici al testo trasmesso via fax e per posta elettronica e tutti recherebbero la firma dell’avv. Hennen. L’esemplare del ricorso presentato come originale, ma la cui versione originale non sarebbe stata spedita a causa di un «errore di gestione», recherebbe una sottoscrizione non autografa.

48      La ricorrente sostiene che la versione cartacea del ricorso trasmesso alla cancelleria ha effettivamente natura «originale». Anche se la sottoscrizione non è autografa, nel caso di specie il principio della certezza del diritto sarebbe stato rispettato. In primo luogo, tutte le versioni del ricorso depositate in cancelleria sarebbero materialmente identiche. In secondo luogo, dalla lettera di accompagnamento del 23 settembre 2008, sottoscritta in forma autografa dall’avv. Hennen, emergerebbe chiaramente che l’intento della ricorrente era di trasmettere un originale. La firma sulla lettera sarebbe identica a quella riprodotta sul documento presentato come l’originale del ricorso, nonché a quelle apposte su tutti gli altri documenti trasmessi alla cancelleria del Tribunale. In terzo luogo, la versione presentata come l’originale del ricorso sarebbe identica a quella scannerizzata e trasmessa per posta elettronica. In quarto luogo, dato che l’avv. Hennen ha firmato tutti i documenti trasmessi alla cancelleria del Tribunale, non vi sarebbe alcun dubbio che tali documenti siano opera dell’avvocato incaricato. La ricorrente da ciò conclude che non vi potrebbe essere alcun dubbio quanto all’autore del ricorso presentato come l’originale.

49      Ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 1, del regolamento di procedura, l’originale di ogni atto processuale dev’essere sottoscritto dall’agente o dall’avvocato della parte.

50      Ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 6, del regolamento di procedura, se un atto processuale è stato previamente trasmesso alla cancelleria mediante telefax o con qualsiasi altro mezzo tecnico di comunicazione di cui dispone il Tribunale prima della scadenza del termine processuale, tale termine si considererà come rispettato, purché l’originale firmato dell’atto sia depositato in cancelleria entro i dieci giorni successivi.

51      Nel caso di specie, la versione cartacea del ricorso è stata depositata in cancelleria entro i dieci giorni successivi alla trasmissione delle versioni inviate per fax e per posta elettronica.

52      Come riconosciuto dalla giurisprudenza, l’obbligo di una sottoscrizione autografa ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 1, primo comma, è diretto, ai fini della certezza del diritto, a garantire l’autenticità del ricorso e ad escludere il rischio che esso non sia, in realtà, opera dell’autore a ciò abilitato. Tale obbligo deve dunque essere considerato un requisito di forma prescritto ad substantiam ed essere oggetto di applicazione rigorosa, di modo che la sua inosservanza comporta l’irricevibilità del ricorso (sentenza del Tribunale del 23 maggio 2007, Parlamento/Eistrup, T‑223/06 P, Racc. pag. II‑1581, punto 51).

53      L’articolo 43 del regolamento di procedura mira a garantire il rispetto del principio della certezza del diritto ed esige, a tal fine, che il ricorso sia autentico e sia opera di un avvocato debitamente abilitato dal suo cliente.

54      Nel caso di specie, come emerge dal documento dell’8 settembre 2008 allegato al ricorso, l’avv. Hennen è stato debitamente abilitato dalla ricorrente.

55      Sebbene di per sé il ricorso, inviato il 23 settembre 2008, non sia provvisto di una firma originale dell’avvocato rappresentante, ma solo di una fotocopia di quest’ultima, esso si trova unito ad una lettera di accompagnamento contenente una sottoscrizione autografa originale dello stesso avvocato rappresentante, l’avv. Hennen, che corrisponde altresì alla sottoscrizione figurante sulla lettera di accompagnamento alla trasmissione via fax. È pertanto evidente che la firma della lettera di accompagnamento, quella del ricorso in versione cartacea inviato il 23 settembre 2008 e quella della versione del ricorso spedita via fax provengono dallo stesso avvocato, ossia l’avv. Hennen. Di conseguenza, non vi è alcun dubbio circa l’identità dell’autore del ricorso che è stato presentato come originale. Inoltre, una lettera o una distinta di trasmissione, recanti la firma del rappresentante della ricorrente, e un atto, non firmato, devono essere considerati come costituenti un atto processuale unico debitamente firmato qualora facciano parte di un’unica e medesima spedizione postale, come nel caso di specie.

56      Si deve pertanto dichiarare che la trasmissione del ricorso, via posta elettronica e via fax, è stata debitamente autenticata in tempo utile in attuazione dell’articolo 43, paragrafo 5, del regolamento di procedura e che, pertanto, il ricorso è ricevibile.

II –  Nel merito

A –  Sintesi dei motivi di annullamento

57      A sostegno del suo ricorso la ricorrente fa valere, in sostanza, quattro motivi, alcuni dei quali suddivisi in più parti.

58      Il primo motivo attiene, in via principale, ad una violazione dei diritti della difesa e dell’articolo 27 del regolamento n. 1/2003. La decisione impugnata sanzionerebbe un’infrazione diversa da quella descritta nella comunicazione degli addebiti e, dopo l’invio di quest’ultima, la Commissione si sarebbe basata, nella decisione impugnata, su nuovi documenti. La ricorrente non avrebbe potuto venire a conoscenza delle vere censure della Commissione, la quale avrebbe in tal modo violato i diritti della difesa di essa ricorrente.

59      Il secondo motivo attiene ad una violazione dell’articolo 81 CE. Con la prima parte del secondo motivo si lamenta che i fatti addebitati alla ricorrente non costituirebbero una violazione dell’articolo 81 CE. Infatti, le prove citate dalla decisione impugnata non dimostrerebbero né un accordo di fissazione dei prezzi né una pratica concordata ai sensi dell’articolo 81 CE. Con la seconda parte del secondo motivo, dedotta in subordine, si asserisce che i fatti addebitati alla ricorrente non potrebbero essere qualificati come infrazione unica e continuata.

60      Il terzo motivo, dedotto in subordine, attiene ad una violazione dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 e del principio del legittimo affidamento. La prima parte verte su un’applicazione errata del punto 18 degli orientamenti del 2006. La seconda parte è relativa a una determinazione errata dell’importo di base e dell’importo supplementare dell’ammenda.

61      Il quarto motivo verte su una violazione dell’articolo 36 dell’Accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra (GU 1998, L 97, pag. 2; in prosieguo: l’«Accordo euromediterraneo»), del principio di sollecitudine e della cortesia internazionale.

62      Il Tribunale ritiene opportuno trattare il ricorso esaminando dapprima il secondo motivo.

B –  Sul secondo motivo, attinente a una violazione dell’articolo 81 CE

1.     Sulla prima parte del motivo, con cui si deduce che i fatti addebitati alla ricorrente non costituirebbero una violazione dell’articolo 81 CE

a)     Osservazioni preliminari

63      La ricorrente nega l’esistenza di una violazione dell’articolo 81 CE e di un’intesa, nonché l’oggetto o l’effetto anticoncorrenziale di uno scambio di informazioni. La ricorrente inoltre sostiene che la Commissione sarebbe incorsa in un errore di diritto affermando che l’esistenza di una finalità anticoncorrenziale sarebbe sufficiente per dimostrare l’esistenza di una restrizione della concorrenza.

64      Le prove individuate nella decisione impugnata dimostrerebbero, tutt’al più, l’esistenza di contatti durante i quali i partecipanti passavano in rassegna i diversi mercati sui quali operavano. La ricorrente non avrebbe raggiunto intese sui prezzi con i suoi concorrenti, né tramite un accordo, né tramite una pratica concordata. Al massimo, i fatti considerati nella decisione impugnata costituirebbero uno scambio di informazioni di cui non sarebbe stato dimostrato l’oggetto o l’effetto anticoncorrenziale. La Commissione non avrebbe dimostrato che le imprese interessate avessero convenuto un aumento dei prezzi del fluoruro di alluminio del 20% o una fissazione degli obiettivi di rialzo. Il resoconto della riunione di Milano rivelerebbe soltanto un aumento dei costi di produzione, un dato del mercato noto a tutti, e il «desiderio» dei partecipanti di un corrispondente rialzo di prezzo per i loro prodotti. Tuttavia, i partecipanti avrebbero dubitato che il mercato potesse accettare un simile aumento dei prezzi. Secondo la ricorrente, la discussione sarebbe stata «di ordine ipotetico» e non vi sarebbe stato un concorso di volontà volto ad un aumento dei prezzi del fluoruro di alluminio del 20%. Si tratterebbe di un documento analitico e non di un accordo. Anche le note prese dal sig. O. durante la riunione di Milano avrebbero natura analitica, ma non dimostrerebbero alcun accordo sui prezzi. Le note del sig. O, della divisione «Noralf» della Boliden, del 25 ottobre 2000, relative all’Australia, non menzionerebbero un accordo o la riunione di Milano. Del pari, le note della Fluorsid, dell’8 novembre 2000, e del sig. R., della Fluorsid, del 9 novembre 2000, non sarebbero una prova di un’intesa sui prezzi e non farebbero alcun riferimento al presunto accordo di Milano. Infine, a detta della ricorrente l’idea che quattro produttori abbiano la possibilità di concordare un rialzo dei prezzi mondiale è «economicamente assurda». Da ultimo, la Commissione non avrebbe dimostrato né l’oggetto dello scambio di informazioni né il suo effetto anticoncorrenziale.

65      La Commissione chiede il rigetto del presente motivo.

66      Occorre ricordare, in limine, la costante giurisprudenza secondo cui, da un lato, spetta alla parte o all’autorità che asserisce l’esistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza l’onere di darne la prova, dimostrando in forma sufficiente i fatti costitutivi dell’infrazione stessa, mentre, dall’altro lato, incombe all’impresa che invoca a proprio favore un mezzo difensivo diretto a contrastare una constatazione di infrazione l’onere di provare che le condizioni per l’efficacia di tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che la suddetta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova (sentenze della Corte del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 58; del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Racc. pag. I‑123, punto 78, e del Tribunale del 16 novembre 2006, Peróxidos Orgánicos/Commissione, T‑120/04, Racc. pag. II‑4441, punto 50).

67      Per quanto riguarda l’acquisizione della prova di un’infrazione all’articolo 81, paragrafo 1, CE, occorre altresì ricordare che la Commissione deve fornire prove precise e concordanti atte a fondare il fermo convincimento che l’asserita infrazione è stata commessa (v., in tal senso, sentenza della Corte del 28 marzo 1984, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, 29/83 e 30/83, Racc. pag. 1679, punto 20). L’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve risolversi a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione che constata l’infrazione. Pertanto, il giudice non può concludere che la Commissione ha dimostrato sufficientemente l’esistenza dell’infrazione in questione qualora esso nutra ancora dei dubbi al riguardo, soprattutto nel contesto di un ricorso volto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda (sentenza del Tribunale del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, Racc. pag. II‑4407, punto 215).

68      Sempre per costante giurisprudenza, non ogni prova fornita dalla Commissione deve necessariamente rispondere ai suddetti criteri in rapporto a ciascun elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso di indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v. sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc. pag. II‑2501, punto 180 e la giurisprudenza ivi citata).

69      Peraltro, è usuale che le attività derivanti da pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgano in modo clandestino, che le riunioni siano segrete e che la documentazione ad esse relativa sia ridotta al minimo. Ne consegue che, anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come i resoconti di riunioni, essi saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni. Pertanto, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere inferita da un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati insieme, possono costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme sulla concorrenza (sentenze della Corte Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 66, punti da 55 a 57, e del 25 gennaio 2007, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione, C‑403/04 P e C‑405/04 P, Racc. pag. I‑729, punto 51).

b)     Riepilogo del contenuto della decisione impugnata

70      Occorre ricordare che, nella decisione impugnata, la Commissione si è essenzialmente fondata sui documenti qui di seguito indicati al fine di constatare l’esistenza di una violazione dell’articolo 81 CE: il resoconto della riunione di Milano (punti 77 e da 81 a 88 della decisione impugnata), le note prese dal sig. O., della divisione «Noralf» della Boliden, in occasione di tale riunione (punto 89 della decisione impugnata), la dichiarazione del sig. O. resa dinanzi alla Commissione il 23 e il 31 agosto 2006 in merito al suddetto resoconto (punto 90 della decisione impugnata), le note del sig. O., del 25 ottobre 2000, riguardanti la conversazione telefonica tra la divisione «Noralf» della Boliden e la IQM (punto 94 della decisione impugnata), nonché le note del sig. C., della Minmet, in data 8 e 9 novembre 2000 (punti 95 e 96 della decisione impugnata). La Commissione ha dedotto da tali documenti che una riunione aveva avuto luogo tra il rappresentante della Fluorsid, sig. R., quello della ricorrente, sig. G., e quello della IQM, sig. A., il 12 luglio 2000 a Milano, in Italia, riunione alla quale il rappresentante della divisione «Noralf» della Boliden, sig. O., partecipò per telefono. Il resoconto della riunione di Milano è stato redatto dal sig. R., della Fluorsid. Secondo la Commissione, tale riunione aveva un contenuto e un oggetto anticoncorrenziali (punti da 115 a 122 della decisione impugnata).

71      I termini tecnici utilizzati nei succitati documenti sono i seguenti:

–        «US$/T o US$/MT», che significa che i prezzi sono indicati in dollari degli Stati Uniti (USD) per tonnellata o tonnellata metrica;

–        «incoterms», che significa «international commercial terms» (termini del commercio internazionale);

–        «C & F filo» (cost and freight e free in/liner out), che significa «costo e nolo, carico a spese del mittente/scarico a spese del vettore»;

–        «cfr» (cost and freight), che significa «costo e nolo»;

–        «fca» (free carrier), che significa «franco vettore»;

–        «fob» (free on board), che significa «franco a bordo»;

–        «LME» (London Metal Exchange), in italiano «Borsa metalli di Londra», è un luogo di quotazione dei metalli. Il corso del LME determina il prezzo dell’alluminio. Nei documenti considerati tale abbreviazione indica il prezzo dell’alluminio;

–        «AlF3» è l’abbreviazione per il fluoruro di alluminio. Inoltre, occorre indicare che il prezzo del fluoruro di alluminio può essere calcolato come percentuale della quotazione del LME. Secondo le indicazioni delle parti, il prezzo dell’AlF3 è normalmente compreso tra il 45 e il 55% del LME, ossia un importo compreso tra USD 650 e USD 900.

72      Occorre altresì notare che i documenti sui quali la Commissione si fonda nella decisione impugnata sono stati presentati o dalla Boliden o dagli altri membri dell’intesa, tra cui in particolare la ricorrente. Quest’ultima non ha contestato né l’autenticità né la credibilità né il carattere probante dei suddetti documenti, e nessun elemento del fascicolo lascia presumere che si debba rimettere in discussione il loro valore probatorio. Infatti, la ricorrente non mette in discussione il contenuto delle prove suddette in quanto tale, bensì si limita a contestare le conclusioni che la Commissione ne ha tratto per dimostrare l’esistenza di un’intesa.

c)     Sulla prova dell’infrazione

73      Nella decisione impugnata, la Commissione ha considerato che i partecipanti alla riunione di Milano avevano concluso un accordo relativo ad un aumento di prezzo del 20% per la vendita del fluoruro di alluminio. Essi avrebbero inoltre fissato un livello di prezzo generale in varie regioni del mondo, compresa l’Europa, e in alcuni casi avrebbero ripartito i mercati e si sarebbero scambiati informazioni commerciali sensibili. Occorre dunque valutare le prove sulle quali la Commissione si è fondata nella decisione impugnata per sostenere le proprie conclusioni.

74      Anzitutto, il resoconto della riunione di Milano menziona un aumento del 20% dell’insieme dei costi tra il giugno 1999 e il giugno 2000, che avrebbe reso necessario un aumento dei prezzi del fluoruro di alluminio del 20% nel 2001. A questo proposito si precisa poi quanto segue (punto 81 della decisione impugnata):

«Poiché il prezzo di vendita del [fluoruro di alluminio] nel 2000 è stato fissato alla metà dell’anno 1999 e i nostri costi alla metà dell’anno 2000 sono superiori del 20% a quelli del 1999, occorrerebbe che i nostri prezzi del [fluoruro di alluminio] nel 2001 fossero del 20% più elevati di quelli del 2000. Tutte e tre le parti [la Fluorsid, la ricorrente e la IQM] hanno convenuto che tale rialzo era ragionevole dal punto di vista del produttore. Bisogna però domandarsi se l’offerta/la domanda del mercato consentano un tale rialzo» (pag. 1 del resoconto della riunione di Milano).

75      Risulta dunque chiaramente dal resoconto della riunione di Milano che i rappresentanti che hanno partecipato a tale riunione, tra cui quello della ricorrente, hanno concordato un aumento del 20% del loro prezzo di vendita del fluoruro di alluminio per il 2001.

76      Inoltre, quanto al mercato europeo, il resoconto della riunione di Milano menziona un accordo tra i suddetti rappresentanti per l’anno 2001 in merito a un prezzo di USD 775 «fca», vale a dire USD 800 «fob», per tonnellata di fluoruro di alluminio (punto 85 della decisione impugnata):

«Per l’anno 2001 [la ICF] vuole aumentare il prezzo a USD 800/t fca Mordijk e USD 775/t fob Gabes. [Il] prezzo produttore europeo [è dunque di] 775/800 USD/t fca/fob [per] produttore europeo» (pag. 6 del resoconto della riunione di Milano).

77      Risulta dall’insieme dei documenti di cui sopra che tale prezzo costituisce un prezzo minimo di vendita, al di sotto del quale i membri dell’intesa non dovevano effettuare offerte sui mercati interessati.

78      Tali conclusioni sono confermate dalle note del sig. O., della divisione «Noralf» della Boliden, prese in occasione della riunione di Milano, alla quale egli aveva partecipato per telefono, nonché dalle dichiarazioni orali da lui rese dinanzi alla Commissione il 23 e il 31 agosto 2006 (punti 77, 89 e 90 della decisione impugnata). Infatti, risulta da tali note e dichiarazioni che i partecipanti alla riunione di cui sopra avevano affermato di aver bisogno di un aumento dei prezzi del 20% e avevano concluso, dopo aver stilato la tabella dei costi, che i prezzi per il 2001 dovevano essere incrementati del 20% fissandoli a USD 800 per tonnellata, ossia il 50% del prezzo LME.

79      Inoltre, vari documenti successivi alla riunione di Milano dimostrano che i partecipanti a tale riunione hanno rispettato i termini di tale accordo, hanno mantenuto contatti bilaterali a questo riguardo e si sono scambiati informazioni commerciali sensibili, segnatamente allo scopo di controllare reciprocamente le loro rispettive politiche di prezzo. Infatti, la nota del sig. T., della divisione «Noralf» della Boliden, indirizzata al sig. O., anch’egli della divisione «Noralf» della Boliden, vertente su una conversazione telefonica del 25 ottobre 2000 tra il sig. T. e il sig. AR., della IQM, indica che questi ultimi si sono scambiati informazioni in merito alle loro offerte di prezzo ad un cliente in Australia. Tali offerte di prezzo corrispondevano al prezzo minimo di USD 800 per tonnellata concordato in occasione della riunione di Milano. Infatti, dalla nota suddetta risulta che la IQM ha offerto a tale cliente un livello di prezzi di «USD 850 – 875 – 900», mentre la divisione «Noralf» della Boliden ha indicato di aver offerto un prezzo di USD 800 circa, ma di non aver ancora concluso un accordo con il cliente australiano (punto 94 della decisione impugnata).

80      Inoltre, risulta dalla nota del sig. C., della Minmet, riguardante la sua conversazione telefonica dell’8 novembre 2000 con il sig. G., della ricorrente, che quest’ultima si era lamentata dei prezzi «poco elevati» offerti dalla Minmet nell’ambito di una pubblica gara d’appalto in Egitto – dove tali prezzi erano stati di «725 USD per tonnellata fob/745 USD per tonnellata cfr» – e aveva chiesto come la Minmet si aspettasse di aumentare il prezzo a USD 875 in Venezuela, dato che i venezuelani avrebbero avuto accesso ai risultati della gara d’appalto in Egitto. Secondo la nota suddetta, il sig. C. della Minmet ha risposto che la situazione era difficile da controllare a causa della mancanza di fiducia e il sig. G. ha confermato che i prezzi offerti alla Albras, un cliente produttore di alluminio in Brasile, erano superiori a USD 800 per tonnellata. Risulta altresì dalla nota suddetta che, dopo la riunione di Milano, la ricorrente era in contatto con un altro partecipante alla stessa riunione, la Minmet, a proposito dell’accordo che era stato raggiunto durante la stessa, al fine di controllare i prezzi richiesti dalla Minmet e di informare circa i propri prezzi offerti alla Albras (v. anche il punto 95 della decisione impugnata).

81      Inoltre, secondo il resoconto del 9 novembre 2000 redatto dal sig. C., della Minmet, e inviato alla Fluorsid, relativo ad una riunione svoltasi con i sigg. G. e T., della ricorrente, quest’ultima ha indicato di aver richiesto come prezzo al cliente Albras USD 845 «cfr» per 3 000 tonnellate metriche e un’opzione di 1 000 tonnellate metriche, e di «USD 740 “fob + 65 freight”» e Derivados del Fluor ha chiesto alla Albras un prezzo di USD 803 per tonnellata cfr. Nel suddetto resoconto la Minmet riferisce che la ricorrente sostiene di aver chiesto USD 845 per tonnellata «fob» al cliente Egyptalum e di aver respinto la richiesta di quest’ultimo di diminuire il prezzo a USD 750 per tonnellata. Secondo il suddetto resoconto, la ricorrente si è lamentata del prezzo poco elevato richiesto dalla Minmet. Lo stesso resoconto menziona inoltre uno scambio di informazioni relative al comportamento commerciale della IQM in Australia, in America del Nord e in Brasile, e relative al mercato venezuelano. Per quanto riguarda quest’ultimo mercato, è indicato nel suddetto resoconto che la ricorrente ha confermato di aver voluto limitare la propria offerta a 6 000 tonnellate metriche, mentre la Minmet ha insistito perché i prezzi superassero USD 800 per tonnellata «cfr» (v. anche punto 96 della decisione impugnata).

82      Risulta dunque dai documenti relativi ai contatti del 25 ottobre nonché dell’8 e del 9 novembre 2000 che le imprese interessate hanno praticato un reciproco controllo dei livelli dei prezzi. Inoltre, come correttamente indicato dalla Commissione nella decisione impugnata, i prezzi corrispondevano ai risultati dei negoziati condotti in occasione della riunione di Milano. A questo proposito, occorre altresì rilevare che i documenti del 25 ottobre nonché dell’8 e del 9 novembre 2000 attestano contatti successivi alla riunione di Milano intervenuti tra i partecipanti a quest’ultima, in particolare tra la Fluorsid, la Minmet e la ricorrente, i quali erano manifestamente collegati all’accordo sui prezzi pattuiti in occasione di tale riunione, in quanto essi fanno riferimento agli elementi chiave di tale accordo.

83      Da un lato, tale accordo sui prezzi riguardava i mercati europei. A questo proposito, il resoconto della riunione di Milano indica i quantitativi di produzione e di vendite di fluoruro di alluminio realizzati nel 2000, in particolare per la Norvegia, la Svezia, la Spagna e l’Italia (pag. 2 del resoconto di Milano), nonché previsioni di vendita per il 2001 per la Romania, l’Italia, la Norvegia, la Germania e i Paesi Bassi (pagg. 2 e 3 del resoconto di Milano). Inoltre, il resoconto della riunione di Milano menziona uno scambio di informazioni relative alle vendite dei partecipanti all’intesa in Europa, in particolare in Italia, in Romania, in Spagna, in Scandinavia, in Germania, nel Benelux e nel Regno Unito. A questo proposito, la ricorrente ha fatto presente che desiderava aumentare il prezzo nel 2001 a USD 800 per tonnellata «fca Mordijk» e a USD 775 per tonnellata «fob Gabes», con il risultato che il prezzo del produttore europeo sarebbe stato di USD 775/800 per tonnellata «fca/fob» (pag. 6 del resoconto di Milano; v. anche punto 85 della decisione impugnata e punto 76 supra).

84      Dall’altro lato, la Commissione ha stabilito che tale accordo si applicava anche a differenti regioni del mondo. Infatti, il resoconto della riunione di Milano indica, riguardo all’Australia, che l’«idea di prezzo» per il 2001 era di USD 800 per tonnellata «fob Europa», ossia «50% LME fob», mentre il prezzo europeo poteva essere più elevato del prezzo cinese e doveva essere di USD 875 per tonnellata. Per quanto riguarda l’America del Sud, nel resoconto sono indicati dei prezzi per l’anno 2000 e dei prezzi minimi per l’anno 2001. Per il Venezuela, risulta per l’anno 2001 il prezzo di USD 850 per tonnellata metrica «C & F filo», e USD 850 per tonnellata metrica come prezzo minimo assoluto. Per il Brasile, tutti i produttori concordano sul fatto che il prezzo dev’essere all’incirca «50% LME fob» e di USD 875 per tonnellata cfr. Per quanto riguarda l’America del Nord, il prezzo della Alcoa per il 2000 è di USD 775 per tonnellata metrica «ex Point Comfort» e per il 2001 di USD 800/825 per tonnellata metrica «ex Point Comfort». Alcuni produttori che non riforniscono Alcoa dovrebbero ottenere il prezzo di USD 825 per tonnellata, quale prezzo «partenza deposito», e di USD 825 per tonnellata consegnata. I partecipanti alla riunione di Milano hanno indicato il loro interesse a rifornire alcune regioni del mondo. Per l’India, il resoconto della riunione di Milano indica che vi è un interesse a vendere 3 000 tonnellate, ma che il prezzo dovrebbe essere di USD 900 per tonnellata metrica consegnata. Per la Turchia, risulta il prezzo di USD 800 per tonnellata «fob» (pagg. 6 e 7 del resoconto della riunione di Milano; v. anche punti 86 e 87 della decisione impugnata).

85      Nelle dichiarazioni orali da lui rese dinanzi alla Commissione il 23 e il 31 agosto 2006, il sig. O., della divisione «Noralf» della Boliden, ha altresì affermato che i partecipanti alla riunione di Milano si erano messi d’accordo sui clienti di ciascuno, nonché sul livello di prezzo che doveva essere mantenuto in Europa e al di fuori dell’Europa. Lo scopo della riunione di Milano sarebbe stato anche di mettere a punto una spiegazione comune quanto al modo in cui i nuovi livelli di prezzo dovevano essere introdotti. I partecipanti alla riunione di Milano si sarebbero ripartiti i quantitativi da offrire ai vari clienti. Vi sarebbe stato un accordo implicito per rispettare i clienti di ciascuno e le forniture effettuate ad ognuno di essi (v. punto 90 della decisione impugnata).

86      Allo stesso modo, secondo la nota telefonica del 25 ottobre 2000, il sig. A., della IQM, voleva «restare in contatto» con il sig. T., della divisione «Noralf» della Boliden, e si è dichiarato d’accordo, in merito all’Australia, che la divisione «Noralf» della Boliden consegnasse 3 000 tonnellate, indicando che egli aveva fornito 7 000 tonnellate nel 1999 e che voleva mantenere questo livello. Inoltre, dalla suddetta nota emerge che, in tale occasione, il sig. T. ha ricordato il prezzo di USD 800 che corrispondeva a quello deciso per l’Australia in occasione della riunione di Milano. Pertanto, detta nota prova i contatti tra la divisione «Noralf» della Boliden e la IQM dopo la riunione di Milano riguardo ai prezzi e ai quantitativi consegnati o offerti di fluoruro di alluminio in Australia, il cui contenuto è conforme a quanto era stato concordato durante la riunione di Milano (v. anche punto 94 della decisione impugnata).

87      Infine, risulta altresì dal resoconto della riunione di Milano che, successivamente, i partecipanti a tale riunione, ossia la Fluorsid, la ricorrente e la IQM, si sono scambiati informazioni in merito alla produzione, ai volumi di vendite nel 2000 ed alle previsioni per il 2001, riguardo a vari paesi del mondo con indicazioni di quantitativi precisi, nonché informazioni in funzione dei produttori e dei clienti. Riguardo ai «mercati individuali», il resoconto indica quanto segue (punto 84 della decisione impugnata):

«Abbiamo esaminato ciascun mercato per stabilire un livello di prezzo generale e, in certi casi, una ripartizione del mercato. Tuttavia, ci [siamo] trovati tutti d’accordo sul fatto che, indipendentemente da chi ottiene la vendita, dobbiamo ottenere un livello di prezzo più elevato. Dobbiamo quindi scoraggiare qualsiasi sconto rilevante» (pag. 5 del resoconto della riunione di Milano).

88      Ne consegue che i partecipanti alla riunione di Milano si sono scambiati informazioni commerciali sensibili, tra cui quelle relative ai loro volumi di produzione, ai quantitativi che avevano venduto o previsto di vendere, ai loro clienti sia in Europa che nel mondo, alla determinazione dei loro prezzi, nonché alla ripartizione dei mercati tra loro, al fine di accordarsi su tali parametri concorrenziali.

89      Risulta dunque dall’insieme di tali prove – delle quali la ricorrente non contesta il contenuto in quanto tale – che la Commissione ha sufficientemente provato l’esistenza di un accordo di fissazione dei prezzi ai sensi dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE, concluso in occasione della riunione di Milano, al quale ha partecipato la ricorrente.

90      Di conseguenza, nella decisione impugnata, la Commissione ha dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale della riunione di Milano e l’esistenza di un accordo in violazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, senza che occorra dimostrare che tale accordo abbia prodotto degli effetti (sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, Racc. pag. I‑4125, punto 123, e JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 68, punto 181). A questo proposito si deve ricordare che l’oggetto e l’effetto anticoncorrenziali di un accordo sono condizioni non cumulative, bensì alternative, al fine di stabilire se tale accordo ricada sotto il divieto enunciato all’articolo 81, paragrafo 1, CE. Orbene, come constatato da una giurisprudenza consolidata, il carattere alternativo delle condizioni suddette, espresso dalla congiunzione disgiuntiva «o», rende necessario considerare anzitutto l’oggetto stesso dell’accordo, tenuto conto del contesto economico nel quale quest’ultimo deve trovare applicazione. Orbene, non è necessario esaminare gli effetti di un accordo qualora sia provato il suo oggetto anticoncorrenziale (v., in tal senso, sentenze della Corte del 6 ottobre 2009, GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a., C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, Racc. pag. I‑9291, punto 55, e del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a., C‑403/08 e C‑429/08, Racc. pag. I‑9083, punto 135).

91      Date tali circostanze, non occorre esaminare se nel caso di specie siano soddisfatti anche i criteri giurisprudenziali applicabili alla nozione di pratica concordata (v. sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 90, punti da 111 a 114, 131 e 132, e sentenza del Tribunale del 20 marzo 2002, HFB e a./Commissione, T‑9/99, Racc. pag. II‑1487, punti 187 e 190). Infatti, essendo soddisfatto nella specie il criterio costitutivo dell’esistenza di un «accordo» in modo da rendere applicabile il divieto previsto dall’articolo 81 CE, si tratta unicamente di una qualificazione alternativa della medesima intesa, priva di incidenza sul resto dell’analisi.

92      Risulta dunque dall’insieme delle considerazioni che precedono che la censura relativa alla violazione dell’articolo 81 CE deve essere respinta in quanto infondata.

2.     Sulla seconda parte del motivo, presentata in subordine, con cui si asserisce che i fatti addebitati alla ricorrente non possono essere qualificati come infrazione unica e continuata

a)     Osservazioni preliminari

93      La ricorrente contesta la decisione impugnata in quanto la Commissione avrebbe qualificato l’infrazione come unica e continuata. La comunicazione degli addebiti non avrebbe indicato alcun legame tra i diversi contatti intercorsi tra i partecipanti all’intesa. Inoltre, la Commissione sembrerebbe non disporre più di prove dell’intesa dopo la riunione di Milano. I contatti bilaterali tra la divisione «Noralf» della Boliden e la IQM, da un lato, e la Fluorsid e la ricorrente, dall’altro lato, non permetterebbero di constatare che tutti i partecipanti alla riunione di Milano intrattenevano contatti tra loro. Infine, i documenti relativi ai contatti di ottobre e novembre 2000 non farebbero alcun riferimento alla riunione di Milano.

94      La Commissione respinge gli argomenti della ricorrente e conclude per il rigetto del secondo motivo.

b)     Sull’infrazione unica e continuata

95      Occorre anzitutto ricordare il concetto di infrazione unica e continuata.

96      La giurisprudenza ha statuito che sarebbe artificioso frazionare un comportamento continuato, caratterizzato da un’unica finalità, ravvisandovi più infrazioni distinte, quando invece si tratta di un’infrazione unica che si è progressivamente concretizzata sia in accordi sia in pratiche concordate (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 90, punto 81, e sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione, T‑211/08, Racc. pag. II‑3729, punto 31).

97      In circostanze del genere, un’impresa che abbia partecipato ad un’infrazione attraverso comportamenti propri, i quali rientravano nelle nozioni di accordo o di pratica concordata aventi oggetto anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE e che erano diretti a contribuire alla realizzazione dell’infrazione nel suo complesso, è responsabile, per tutta la durata della sua partecipazione a detta infrazione, anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 90, punto 83, e Putters International/Commissione, cit. supra al punto 96, punto 32).

98      Da tale giurisprudenza risulta che, per provare l’esistenza di un’infrazione unica e continuata, la Commissione deve dimostrare che l’impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti ed era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o attuati da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che essa poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 90, punto 87, e Putters International/Commissione, cit. supra al punto 96, punto 33).

99      Infatti, eventuali intese possono essere considerate elementi costitutivi di un accordo anticoncorrenziale unico solo qualora sia dimostrato che esse si inscrivono in un piano globale che persegue un obiettivo comune. Inoltre, la partecipazione di un’impresa a tali intese può costituire l’espressione della sua adesione all’accordo unico solo nel caso in cui essa sapesse o avrebbe dovuto sapere, al momento della sua partecipazione alle intese suddette, che, così facendo, si inseriva in tale accordo unico (v. sentenza Putters International/Commissione, cit. supra al punto 96, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).

100    Dunque, dalla giurisprudenza citata supra ai punti da 96 a 99 emerge che, affinché sia stabilita la partecipazione ad un’infrazione unica e continuata, devono essere soddisfatte tre condizioni, vale a dire l’esistenza di un piano globale che persegue un obiettivo comune, il contributo intenzionale dell’impresa a tale piano e il fatto che essa fosse a conoscenza dei comportamenti illeciti degli altri partecipanti (sentenza Putters International/Commissione, cit. supra al punto 96, punto 35).

101    Pertanto, la nozione di infrazione unica riguarda la situazione in cui più imprese abbiano preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza, oppure da infrazioni singole collegate l’una all’altra da un’identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e di soggetti (identità delle imprese interessate, consapevoli di partecipare all’oggetto comune) (sentenze del Tribunale del 24 marzo 2011, Aalberts Industries e a./Commissione, T‑385/06, Racc. pag. II‑1223, punto 86; del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, T‑446/05, Racc. pag. II‑1255, punto 89, e dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, Racc. pag. II‑1333, punto 257). Tale interpretazione non può essere contestata sulla base del fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero anche di per sé soli costituire una violazione dell’articolo 81 CE (sentenze Aalberts Industries e a./Commissione, cit., punto 86, e BPB/Commissione, cit., punto 252).

102    Inoltre, come riconosciuto da una consolidata giurisprudenza, la nozione di infrazione unica può riferirsi alla qualificazione giuridica di un comportamento anticoncorrenziale consistente in accordi, in pratiche concordate e in decisioni di associazioni di imprese (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Racc. pag. II‑931, punti da 696 a 698; HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 91, punto 186; del 12 dicembre 2007, BASF e UCB/Commissione, T‑101/05 e T‑111/05, Racc. pag. II‑4949, punto 159, e Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, cit. supra al punto 101, punto 91).

103    Qualora le diverse azioni si inscrivano in un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (sentenze della Corte Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 66, punto 258, e del 21 settembre 2006, Technische Unie/Commissione, C‑113/04 P, Racc. pag. I‑8831, punto 178; sentenze Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, cit. supra al punto 101, punto 90, e Aalberts Industries e a./Commissione, cit. supra al punto 101, punto 87). Le diverse manifestazioni del comportamento illecito debbono essere considerate in un contesto globale che ne spiega la ragion d’essere. A questo riguardo, in sede di acquisizione delle prove, il valore probatorio dei diversi elementi di fatto è aumentato o rafforzato dagli altri elementi di fatto esistenti che, congiuntamente, offrono un’immagine logica e completa di un’infrazione unica (sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 271).

104    Occorre altresì precisare che la nozione di obiettivo unico non può essere determinata riferendosi in generale alla distorsione della concorrenza sul mercato interessato dall’infrazione, dal momento che l’alterazione della concorrenza costituisce, in quanto oggetto od effetto, un elemento connaturato a qualunque comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE. Una siffatta definizione della nozione di obiettivo unico rischierebbe di privare la nozione di infrazione unica e continuata di una parte del suo significato, in quanto avrebbe per conseguenza che vari comportamenti, concernenti il settore economico, vietati dall’articolo 81, paragrafo 1, CE dovrebbero essere sistematicamente qualificati come elementi costitutivi di un’infrazione unica. Pertanto, ai fini della qualificazione di comportamenti diversi come infrazione unica e continuata, occorre verificare se essi presentino un nesso di complementarietà, nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o più conseguenze del gioco normale della concorrenza, e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione dell’insieme degli effetti anticoncorrenziali voluti dai rispettivi autori, nell’ambito di un piano globale inteso a raggiungere un obiettivo unico. A tal fine, occorre tenere conto di qualsiasi circostanza atta a dimostrare o a confutare il nesso di cui sopra, quali possono essere il periodo di applicazione, il contenuto (ivi inclusi i metodi utilizzati) e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi comportamenti in discussione (v., in tal senso, sentenze BASF e UCB/Commissione, cit. supra al punto 102, punti da 179 a 181; Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, cit. supra al punto 101, punto 92, e Aalberts Industries e a./Commissione, cit. supra al punto 101, punto 88).

105    Nel caso di specie, nella decisione impugnata, la Commissione ha considerato che la riunione di Milano, la conversazione telefonica tra la divisione «Noralf» della Boliden e la IQM del 25 ottobre 2000 e i contatti del novembre 2000 formano un’infrazione unica e continuata guidata dalla comune volontà dei partecipanti, tra cui la ricorrente, di comportarsi sul mercato del fluoruro di alluminio in una determinata maniera. Secondo la decisione impugnata, i partecipanti alla suddetta riunione hanno convenuto, tramite un accordo «e/o» una pratica concordata, di allineare i propri comportamenti sul mercato e di limitare in tal modo la loro rispettiva autonomia in termini di strategia commerciale. Questi comportamenti si inscriverebbero nell’ambito di un piano globale mirante ad un obiettivo anticoncorrenziale unico e comune, ossia falsare la normale evoluzione dei prezzi del fluoruro di alluminio (punti da 125 a 128 della decisione impugnata).

106    Come accertato dalla Commissione, dalle prove su cui la decisione impugnata si è basata, e che sono state analizzate ai punti da 73 a 89 supra, emerge che i partecipanti alla riunione di Milano, tra cui la ricorrente, si sono scambiati informazioni sui prezzi fatturati o da fatturare e si sono accordati su aumenti dei prezzi. Essi si sono inoltre scambiati informazioni commerciali sensibili sulle previsioni di vendita e sui loro comportamenti in regioni geografiche diverse, e si sono tenuti al corrente dei loro comportamenti, delle loro offerte e dei loro prezzi sul mercato dopo la riunione di Milano. Tutti i comportamenti delle imprese partecipanti avevano un unico obiettivo, ossia l’aumento del prezzo del fluoruro di alluminio e il corrispondente coordinamento del comportamento dei partecipanti all’intesa sul mercato. Dai documenti che provano i contatti tra di loro dopo la riunione di Milano risulta che i partecipanti a quest’ultima sono rimasti in contatto, hanno continuato a scambiarsi informazioni commerciali sull’oggetto di detta riunione, sui prezzi offerti a vari clienti in diverse regioni del mondo, e hanno vigilato affinché essi corrispondessero a quanto era stato concordato durante la riunione medesima. A questo riguardo, il fatto che i documenti relativi ai contatti di ottobre e di novembre 2000 non facciano allusione alla riunione di Milano non è decisivo, e un riferimento esplicito a tale riunione non è necessario. Infatti, come emerge chiaramente dai suddetti documenti, i prezzi che vi sono indicati concordano perfettamente con quelli concordati durante la riunione di Milano. Di conseguenza, la Commissione doveva concludere che si trattava di una prosecuzione dei comportamenti sul mercato dei membri dell’intesa riguardo al prezzo del fluoruro di alluminio come inizialmente concordati.

107    Il fatto che i diversi contatti, cioè tanto la riunione di Milano quanto i contatti successivi, siano avvenuti in un lasso temporale relativamente breve non inficia la conclusione della Commissione quanto all’esistenza di un’infrazione unica e continuata. Una durata minima o un numero minimo di atti o di incontri non sono necessari per costituire un’infrazione unica e continuata, ma l’aumento della durata e della frequenza può rafforzare la constatazione dell’esistenza di una simile infrazione. È essenziale che i diversi elementi si inscrivano in un piano d’insieme, cosa che la Commissione ha dimostrato nella decisione impugnata. Si trattava di comportamenti aventi lo stesso oggetto, ossia l’accordo sul prezzo del fluoruro di alluminio e il rispetto di tale accordo da parte dei partecipanti all’intesa.

108    Pertanto, il Tribunale reputa che giustamente la Commissione ha concluso per l’esistenza, nel caso di specie, di un’infrazione unica e continuata.

109    Il secondo motivo dev’essere quindi respinto.

C –  Sul primo motivo, attinente a una violazione dei diritti della difesa e dell’articolo 27 del regolamento n. 1/2003

1.     Osservazioni preliminari

110    La ricorrente ritiene che la Commissione, adottando la decisione impugnata, non abbia rispettato l’articolo 27 del regolamento n. 1/2003 nonché il principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa. La decisione impugnata sanzionerebbe fatti e circostanze diversi da quelli posti a carico della ricorrente nella comunicazione degli addebiti. Tali differenze avrebbero pregiudicato il diritto della ricorrente di far valere utilmente il proprio punto di vista durante il procedimento amministrativo. Vi sarebbero sensibili differenze riguardo agli autori e alla durata dell’infrazione. La portata geografica dell’intesa condannata dalla decisione impugnata sarebbe notevolmente più ampia rispetto all’ambito di applicazione delle pratiche restrittive descritte nella comunicazione degli addebiti. L’economia generale, la struttura e l’obiettivo dell’infrazione descritta nella decisione impugnata non corrisponderebbero alla descrizione dell’infrazione contenuta nella comunicazione degli addebiti. A termini di quest’ultima, la ricorrente avrebbe partecipato ad un’infrazione complessa di lunga durata, che era caratterizzata da una fase preparatoria di incontri bilaterali e da una fase definitiva, successiva alla conclusione di un accordo in Grecia il 29 luglio 1999, durante la quale sarebbero stati concordati i prezzi per l’anno 2000. La riunione di Milano, assieme alla riunione svoltasi in Grecia, costituirebbe il momento culminante dell’intesa e avrebbe permesso alle imprese interessate di fissare i prezzi per il 2001. La Commissione non avrebbe trovato prova di alcun’altra riunione dell’intesa nel corso degli anni successivi alla riunione di Milano. I contatti seguenti si sarebbero limitati a scambi di informazioni bilaterali. Per contro, la decisione impugnata prescinderebbe dalla fase preparatoria e dalla riunione in Grecia, descriverebbe la riunione di Milano come momento di inizio di un’altra infrazione, successiva ad una serie di avvenimenti precedenti, e rileverebbe che i contatti successivi alla riunione di Milano avrebbero permesso ai partecipanti di vigilare sull’attuazione del loro presunto accordo. Inoltre, nella decisione impugnata la Commissione si baserebbe su documenti che non erano considerati nella comunicazione degli addebiti. La ricorrente conclude che le differenze tra l’infrazione analizzata nella comunicazione degli addebiti e quella sanzionata dalla decisione impugnata sono tali che solo dopo aver letto quest’ultima la ricorrente è potuta venire a conoscenza delle vere censure mosse dalla Commissione. Durante il procedimento amministrativo la ricorrente non avrebbe potuto esprimersi sul ruolo essenziale della riunione di Milano, né sui successivi contatti asseritamente intesi a darle attuazione. La comunicazione degli addebiti sarebbe inoltre fonte di confusione per la ricorrente, con riguardo alla dimensione geografica dell’intesa. La ricorrente non avrebbe avuto modo di esprimersi sui nuovi elementi che avrebbero portato la Commissione ad attribuire la qualificazione di infrazione unica e continuata ad un’infrazione diversa, sulla base di contatti sui quali essa non avrebbe avuto occasione di pronunciarsi. La Commissione avrebbe in tal modo violato i diritti della difesa della ricorrente. La violazione dei diritti della difesa sarebbe tanto più grave in quanto è evidente che, se le parti avessero avuto modo di far valere i loro argomenti, l’esito del procedimento avrebbe potuto essere diverso.

111    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente. A questo riguardo, essa ricorda i principi relativi alla comunicazione degli addebiti nell’ambito del rispetto dei diritti della difesa. In particolare, la comunicazione degli addebiti dovrebbe contenere un’esposizione delle censure sufficientemente chiara da consentire agli interessati di prendere conoscenza dei comportamenti che la Commissione imputa loro. Orbene, la decisione finale non dovrebbe essere necessariamente una copia esatta della comunicazione degli addebiti, dal momento che la Commissione dovrebbe poter tenere conto, nella decisione, delle risposte delle imprese interessate.

112    Per quanto riguarda la durata e il numero di autori dell’infrazione, la Commissione sostiene di dover avere la possibilità di modificare la propria valutazione circa la durata e i partecipanti all’infrazione, in particolare allorché essa riduce la portata degli addebiti mossi. Nella decisione impugnata la Commissione avrebbe considerato il periodo compreso tra il 12 luglio e il 31 dicembre 2000 anziché il periodo compreso tra il 30 giugno 1997 e il 31 dicembre 2001. Non vi sarebbe alcuna violazione dei diritti della difesa della ricorrente derivante da tali differenze. Per quanto riguarda la portata geografica dell’intesa, la Commissione ricorda la dimensione mondiale della stessa, che sarebbe già stata accertata nella comunicazione degli addebiti e che emergerebbe chiaramente dal resoconto della riunione di Milano. La ricorrente sarebbe stata a conoscenza della dimensione mondiale dell’intesa e avrebbe avuto la possibilità di esprimersi su di essa durante il procedimento amministrativo. La Commissione respinge gli argomenti della ricorrente relativi alla logica e alla struttura dell’intesa. Per quanto riguarda la natura dell’infrazione, la Commissione osserva che, tanto nella comunicazione degli addebiti quanto nella decisione impugnata, si afferma che le attività anticoncorrenziali descritte presentano le caratteristiche di accordi «e/o» di pratiche concordate, ai sensi dell’articolo 81 CE, e che tale comportamento costituisce un’infrazione unica e continuata. Inoltre, i fatti presi a sostegno dell’infrazione sarebbero stati noti alla ricorrente, la quale avrebbe avuto modo di far conoscere il proprio punto di vista durante il procedimento amministrativo. Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la decisione impugnata non prescinderebbe dalla fase preparatoria e dalla riunione svoltasi in Grecia, e la riunione di Milano non sarebbe l’inizio di un’infrazione concepita «ab nihilo». Tuttavia, gli elementi di prova per il periodo precedente la riunione di Milano non sarebbero stati sufficienti. Per di più, la ricorrente avrebbe avuto occasione di pronunciarsi sul ruolo essenziale della riunione di Milano nonché sui contatti bilaterali intervenuti dopo quest’ultima.

113    Per quanto riguarda i documenti relativi a contatti avvenuti l’8 e il 9 novembre 2000 tra la Minmet e la ricorrente, la Commissione sostiene che tali documenti figuravano nel fascicolo trasmesso alla ricorrente con la comunicazione degli addebiti e sarebbero stati da essa utilizzati nella decisione impugnata, in risposta agli argomenti della ricorrente che negavano l’esistenza di un accordo. Inoltre, nella comunicazione degli addebiti la Commissione avrebbe indicato che, a seguito della riunione di Milano, le società coinvolte nell’accordo avevano continuato a scambiarsi informazioni sul mercato attraverso contatti bilaterali. In ogni caso, secondo la Commissione, gli elementi di prova relativi alla riunione di Milano dimostrerebbero in maniera sufficiente la partecipazione della ricorrente all’infrazione descritta nella comunicazione degli addebiti e nella decisione impugnata e la ricorrente non avrebbe dimostrato di aver preso le distanze dall’accordo concluso in occasione della suddetta riunione.

114    Pertanto, il primo motivo, attinente ad una violazione dei diritti della difesa, dovrebbe essere respinto in quanto infondato.

2.     Giudizio del Tribunale

a)     Rilievi generali

115    Occorre ricordare che il rispetto dei diritti della difesa durante i procedimenti amministrativi in materia di politica della concorrenza costituisce un principio generale di diritto dell’Unione il cui rispetto è garantito dai giudici dell’Unione (v. sentenza della Corte del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, Racc. pag. I‑7415, punto 26 e la giurisprudenza ivi citata).

116    Come riconosciuto da una giurisprudenza consolidata, il rispetto dei diritti della difesa esige che l’impresa interessata sia stata posta in grado, durante il procedimento amministrativo, di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare l’asserita infrazione del Trattato (v. sentenze della Corte del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punto 10; del 6 aprile 1995, BPB Industries e British Gypsum/Commissione, C‑310/93 P, Racc. pag. I‑865, punto 21, e del 9 luglio 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, Racc. pag. I‑5843, punto 88 e la giurisprudenza ivi citata).

117    L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 riflette tale principio, nella misura in cui prevede l’invio alle parti di una comunicazione degli addebiti che deve enunciare, in modo chiaro, tutti gli elementi essenziali sui quali la Commissione si fonda in tale fase del procedimento (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 66, punto 67), per permettere agli interessati di prendere effettivamente conoscenza dei comportamenti che vengono loro addebitati dalla Commissione, nonché degli elementi di prova di cui quest’ultima dispone (v., in tal senso, sentenza della Corte del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Racc. pag. I‑8375, punti 315 e 316, e sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 66, punti 66 e 67), e di far valere utilmente le proprie difese prima che la Commissione adotti una decisione definitiva (v., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland/Commissione, cit. supra al punto 116, punti 85 e 86). Tale esigenza risulta rispettata qualora la decisione in questione non contesti agli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nella comunicazione degli addebiti e prenda in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati hanno avuto modo di manifestare il proprio punto di vista (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 19 marzo 2003, CMA CGM e a./Commissione, T‑213/00, Racc. pag. II‑913, punto 109 e la giurisprudenza ivi citata).

118    Tuttavia, l’enunciazione degli elementi essenziali sui quali la Commissione si fonda nella comunicazione degli addebiti può farsi in modo sommario e la decisione finale non deve necessariamente ricopiare detta comunicazione (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 116, punto 14), in quanto quest’ultima rappresenta un documento preparatorio le cui valutazioni in punto di fatto e di diritto hanno un carattere puramente provvisorio (v., in tal senso, sentenza della Corte del 17 novembre 1987, British American Tobacco e Reynolds Industries/Commissione, 142/84 e 156/84, Racc. pag. 4487, punto 70). Sono quindi ammissibili eventuali aggiunte alla comunicazione degli addebiti apportate alla luce delle risposte delle parti, i cui argomenti dimostrino che queste ultime hanno potuto effettivamente esercitare i loro diritti della difesa. La Commissione può altresì, tenuto conto del procedimento amministrativo, rivedere od aggiungere argomenti di fatto o di diritto a sostegno degli addebiti da essa formulati (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione, T‑86/95, Racc. pag. II‑1011, punto 448, e del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione, T‑310/01, Racc. pag. II‑4071, punto 438). Di conseguenza, fino all’adozione della decisione finale, la Commissione può, segnatamente alla luce delle osservazioni scritte od orali delle parti, abbandonare alcuni o persino tutti gli addebiti inizialmente formulati nei confronti delle parti stesse e modificare così la propria posizione a loro favore, oppure può, al contrario, decidere di aggiungere nuovi addebiti, a condizione che essa conceda alle imprese interessate la possibilità di far valere il loro punto di vista al riguardo (v. sentenza del Tribunale del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione, T‑191/98, e da T‑212/98 a T‑214/98, Racc. pag. II‑3275, punto 115 e la giurisprudenza ivi citata).

119    Inoltre, come riconosciuto dalla giurisprudenza, sussiste violazione dei diritti della difesa qualora esista una possibilità che, per un’irregolarità commessa dalla Commissione, il procedimento amministrativo da questa istruito avrebbe potuto giungere ad un risultato differente. Un’impresa ricorrente fornisce la prova del verificarsi di tale violazione quando dimostri in modo sufficiente non già che la decisione della Commissione avrebbe avuto un contenuto differente, bensì che essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza di irregolarità procedurali, ad esempio per il fatto che avrebbe potuto utilizzare per la propria difesa documenti il cui accesso le era stato rifiutato nell’ambito del procedimento amministrativo (v., in tal senso, sentenze della Corte del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, Racc. pag. I‑10821, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata, e del 1° luglio 2010, Knauf Gips/Commissione, C‑407/08 P, Racc. pag. I‑6375, punto 28; v. anche, per analogia, sentenza della Corte del 1° ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio, C‑141/08 P, Racc. pag. I‑9147, punto 94).

120    Per quanto riguarda più in particolare il diritto di accesso al fascicolo, una consolidata giurisprudenza riguardante l’ipotesi di rifiuto di accesso a un documento ha ammesso che è sufficiente che l’impresa dimostri che essa avrebbe potuto utilizzare tale documento per la propria difesa (v. sentenza della Corte del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑109/10 P, Racc. pag. I‑10329, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata, nonché le conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott in tale causa, Racc. pag. I‑10329, paragrafo 171 e la giurisprudenza ivi citata; sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 66, punti 74 e 75; Knauf Gips/Commissione, cit. supra al punto 119, punto 23, e del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. supra al punto 117, punti 318 e 324). Tale impresa è tenuta a dimostrare non già che detta irregolarità ha influito a suo svantaggio sullo svolgimento del procedimento e sul contenuto della decisione della Commissione, bensì soltanto che l’irregolarità in questione può aver influito sullo svolgimento del procedimento e sul contenuto della decisione della Commissione (v., in tal senso, conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella succitata causa Solvay/Commissione, paragrafi 179 e 181, nonché sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Hercules Chemicals/Commissione, C‑51/92 P, Racc. pag. I‑4235, punto 81; del 2 ottobre 2003, Corus UK/Commissione, C‑199/99 P, Racc. pag. I‑11177, punto 128; del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. supra al punto 117, punto 318, e Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 66, punto 74). In caso di mancata divulgazione di documenti, l’impresa interessata non deve dimostrare che il procedimento amministrativo sarebbe giunto ad un risultato differente ove i documenti fossero stati divulgati (conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella citata causa Solvay/Commissione, paragrafo 181, e sentenza Knauf Gips/Commissione, cit. supra al punto 119, punto 28). Basterebbe che l’impresa interessata dimostri l’esistenza di una possibilità – anche minima – che i documenti non divulgati nel corso del procedimento amministrativo avrebbero potuto essere utili per la sua difesa (conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella citata causa Solvay/Commissione, paragrafo 181, nonché sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 66, punto 131).

b)     Valutazione del caso di specie

 Introduzione

121    Nel caso di specie, la ricorrente addebita alla Commissione di aver tenuto conto, nella decisione impugnata, di fatti e circostanze incriminanti diversi da quelli considerati nella comunicazione degli addebiti. Ciò riguarderebbe gli autori e la durata nonché la portata geografica e la descrizione dell’infrazione. Inoltre, nella decisione impugnata, la Commissione si baserebbe su documenti che non erano considerati nella comunicazione degli addebiti. La ricorrente sostiene di non essersi potuta pronunciare su questi punti.

 Sulla censura relativa ai partecipanti e alla durata dell’intesa

122    Per quanto riguarda la differenza che secondo la ricorrente sussiste riguardo agli autori dell’infrazione, occorre rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha ridotto il numero dei partecipanti all’infrazione rispetto a quelli indicati nella comunicazione degli addebiti. Come ricordato supra, ai punti 117 e 118, nel corso del procedimento amministrativo la Commissione può adattare o addirittura modificare la propria valutazione, specie alla luce delle risposte alla comunicazione degli addebiti. Orbene, il fatto che un’impresa terza, diversa dalla ricorrente, fosse destinataria della comunicazione degli addebiti, ma non della decisione impugnata, non pregiudica i diritti della difesa della ricorrente. La Commissione pertanto non ha violato i diritti della difesa della ricorrente riducendo il numero di destinatari della decisione impugnata. Il Tribunale constata, inoltre, che la ricorrente non fa valere alcun argomento a sostegno di detta tesi.

123    Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, occorre rilevare che la durata constatata nella decisione impugnata, che copre il periodo dal 12 luglio al 31 dicembre 2000, è più breve di quella indicata nella comunicazione degli addebiti, che abbraccia il periodo compreso tra il 30 giugno 1997 e il 31 dicembre 2001. Nella decisione impugnata, la Commissione ha considerato che alcuni elementi indicassero che già esistevano alcune pratiche collusive nell’industria del fluoruro di alluminio prima dell’accordo di Milano del 12 luglio 2000, ma che non vi fosse alcuna prova decisiva per tale periodo anteriore (punto 73 della decisione impugnata). Ne deriva che, nel corso del procedimento amministrativo, la Commissione ha ridotto la durata dell’infrazione sulla base del valore probatorio attribuito agli elementi di prova, indicando che disponeva di elementi di prova evidenti di una collusione a decorrere dal 12 luglio 2000, con la riunione di Milano e le prove di quest’ultima e del suo contenuto (punti da 73 a 76 e 144 della decisione impugnata). Pertanto, il fatto che la decisione impugnata consideri come prova dell’inizio dell’infrazione la riunione di Milano, e non la riunione svoltasi in Grecia il 29 luglio 1999, come invece indicato nella comunicazione degli addebiti, costituisce una riduzione della durata dell’infrazione ritenuta dalla Commissione. Tale riduzione non costituisce una censura supplementare e non ha affatto pregiudicato gli interessi della ricorrente. Al contrario, la riduzione della durata dell’infrazione che era indicata nella comunicazione degli addebiti, quale risultante dal confronto con quella constatata nella decisione impugnata, è favorevole alla ricorrente e non può quindi, in via di principio, danneggiare i suoi interessi (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 68, punto 435). Questo equivale ad un abbandono parziale e ammissibile di una censura da parte della Commissione in favore della ricorrente (v., per analogia, sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, cit. supra al punto 118, punto 115).

124    Inoltre, è giocoforza constatare che la ricorrente ha avuto occasione di esporre le proprie osservazioni sulla comunicazione degli addebiti, ivi compreso sulle indicazioni relative a una durata dell’infrazione più lunga con inclusione del periodo più breve alla fine constatato nella decisione impugnata. Nel procedimento amministrativo la ricorrente si è limitata a sostenere che «la durata doveva essere limitata alla data degli scambi di informazioni effettivi, ossia il 12 luglio 2000» (punto 168 della decisione impugnata, con riferimento al punto 245 della stessa).

125    Pertanto, nella decisione impugnata la Commissione non ha violato i diritti della difesa della ricorrente neppure con riferimento alla durata dell’infrazione.

 Sulla censura riguardante la portata geografica dell’intesa

126    Quanto alla censura riguardante la portata geografica dell’intesa, è sufficiente rilevare che la Commissione ha constatato una portata mondiale dell’intesa tanto nella comunicazione degli addebiti quanto nella decisione impugnata. Infatti, la dimensione geografica dell’infrazione è qualificata come mondiale sia al punto 163 della comunicazione degli addebiti sia al punto 136 della decisione impugnata.

127    Pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, non sussiste alcuna differenza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione impugnata relativamente alla portata geografica. Inoltre, la ricorrente ha avuto la possibilità di esprimersi riguardo alla portata geografica mondiale dell’intesa indicata nella comunicazione degli addebiti. Occorre pertanto concludere che, sotto questo profilo, i diritti della difesa della ricorrente non sono stati pregiudicati.

 Sulla censura riguardante la logica e la struttura dell’intesa e i documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000


 i) Introduzione

128    La ricorrente sostiene che l’infrazione descritta nella decisione impugnata non corrisponde a quella descritta nella comunicazione degli addebiti, specie con riguardo alla sua «economia», alla sua «struttura» e al suo «obiettivo».

129     Orbene, i fatti presi dalla Commissione nella decisione impugnata a fondamento della constatazione dell’infrazione corrispondono sostanzialmente a quelli indicati nella comunicazione degli addebiti. Ne deriva che tali fatti erano noti alla ricorrente e che essa ha avuto occasione di pronunciarsi al riguardo durante il procedimento amministrativo (v. punti da 62 a 70 della risposta della ricorrente alla comunicazione degli addebiti). Dunque, la riunione di Milano e il suo importante ruolo erano già annunciati a sufficienza nella comunicazione degli addebiti (v. punti da 103 a 116, 151, da 163 a 165, e 200 della comunicazione degli addebiti). Al punto 15 del ricorso, la ricorrente stessa cita la comunicazione degli addebiti là dove questa indica che la riunione di Milano, assieme alla riunione svoltasi in Grecia, avrebbe costituito il «punto culminante dell’intesa».

130    La ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe basato la decisione impugnata su documenti che non erano considerati nella comunicazione degli addebiti, in particolare i documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000. Durante il procedimento amministrativo, la ricorrente non avrebbe avuto occasione di pronunciarsi sui contatti successivi alla riunione di Milano.

 ii) Sul contenuto della comunicazione degli addebiti

131    Nella comunicazione degli addebiti, la Commissione ha ritenuto che vi fossero stati dei contatti a partire dal 1997 (punti 76 e segg.), e menziona una riunione svoltasi in Grecia il 29 luglio 1999 (punti 85 e segg.) nonché «contatti successivi» (punti 92 e segg.) e la riunione di Milano (punti 103 e segg.). La comunicazione degli addebiti, nella descrizione dei fatti relativi al funzionamento dell’intesa, elenca taluni contatti fra i membri dell’intesa, tra cui alcuni contatti successivi alla riunione di Milano. La Commissione ha considerato che, «[a seguito] della riunione di Milano, le società implicate nell’accordo che era stato concluso hanno continuato a scambiarsi informazioni riguardanti il mercato del fluoruro di alluminio nell’ambito di contatti bilaterali» (punto 117). A questo proposito, detta istituzione menziona esplicitamente dei contatti in data 25 ottobre 2000, dei contatti nel corso dell’anno 2001, una conferenza svoltasi dal 17 al 21 febbraio 2002, un’altra conferenza a San Diego, California (Stati Uniti), il 6 marzo 2003, nonché dei contatti nel gennaio 2004 e il 21 gennaio 2005 (punti da 118 a 123). Inoltre, la Commissione ha indicato che l’intesa era stata messa in atto, fatto di cui essa avrebbe tenuto conto nella sua valutazione della gravità dell’infrazione (punto 227).

132    Riguardo alla durata dell’infrazione, la Commissione ha dichiarato, nella comunicazione degli addebiti, che l’infrazione era iniziata il 30 giugno 1997, data della riunione a Sousse (Tunisia), che la medesima era stata intensificata a partire dalla riunione in Grecia il 29 luglio 1999, «quando l’accordo definitivo riguardante l’aumento dei prezzi per le vendite nel 2000 è stato concluso ed è entrato in vigore», e che un accordo simile era stato concluso il 12 luglio 2000 a Milano per i prezzi di vendita per l’anno 2001. La Commissione ne ha concluso che l’infrazione era continuata, nel caso della Fluorsid, della ricorrente e della IQM, «almeno fino al 31 dicembre 2001», data finale del periodo di attuazione di tale accordo, corrispondente alla fine del periodo nel quale sono state effettuate le vendite oggetto dell’accordo (punto 216).

 iii) Sul contenuto della decisione impugnata

133    Ai punti 155 e 156 della decisione impugnata, la Commissione menziona alcuni «contatti bilaterali nell’autunno 2000», in particolare quelli del 25 ottobre 2000 nonché dell’8 e del 9 novembre 2000. Questi ultimi dimostrerebbero un seguito dell’accordo concluso in occasione della riunione di Milano al fine della sua applicazione. Al punto 239 della decisione impugnata, nel contesto della fissazione dell’importo di base dell’ammenda, la Commissione si riferisce nuovamente ai documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000 riguardanti l’attuazione dell’infrazione. Ivi essa dichiara di aver tenuto conto del grado di attuazione dell’infrazione al fine di determinare la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione, e rinvia in particolare ai punti da 154 a 156 della decisione impugnata.

134    Quanto alla durata dell’infrazione, nella decisione impugnata la Commissione dichiara che l’intesa è durata almeno per il periodo che va dal 12 luglio al 31 dicembre 2000 (punti 241 e 147 della decisione impugnata). A mente del punto 146 della decisione impugnata, «i contratti di fornitura vengono negoziati in anticipo, durante un periodo che inizia intorno alla seconda metà di un anno civile e termina alla fine di tale anno o nei primi cinque mesi del successivo». La Commissione ha dunque affermato che, conformemente alla prassi del settore del fluoruro di alluminio, i prezzi venivano determinati in anticipo per l’esercizio sociale successivo.

135    Infine, occorre precisare che i documenti riguardanti i contatti successivi alla riunione di Milano, tra cui quelli dell’8 e del 9 novembre 2000, non sono menzionati nella parte della decisione impugnata relativa alla durata dell’infrazione.

 iv) Valutazione

–       Sull’accesso ai documenti in questione durante il procedimento amministrativo

136    La comunicazione degli addebiti si appoggiava su documenti attinenti ai contatti successivi alla riunione di Milano, quali menzionati supra al punto 131. Occorre però constatare come essa non menzioni esplicitamente i documenti che si riferiscono ai contatti bilaterali dell’8 e del 9 novembre 2000, che vengono invece menzionati nella decisione impugnata.

137    Tuttavia, tali documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000 erano contenuti nel fascicolo amministrativo della Commissione, che li ha comunicati alle parti del procedimento amministrativo, tra cui la ricorrente, al momento dell’invio della comunicazione degli addebiti, ai fini dell’esercizio dei diritti della difesa e del diritto di accesso al fascicolo. La ricorrente aveva quindi accesso a tutti i suddetti documenti. Pertanto, la situazione nel caso di specie differisce notevolmente da quella dei casi di rifiuto di accesso al fascicolo o a taluni documenti, nei quali la giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa. Infatti, non è contestato che, da un lato, la ricorrente ha beneficiato di un accesso integrale al fascicolo, ivi compresi i documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000, e che, dall’altro lato, i contatti successivi alla riunione di Milano erano esplicitamente menzionati, quantunque in maniera generica, nella comunicazione degli addebiti.

–       Sull’importanza dei documenti di cui trattasi per la valutazione dell’attuazione dell’infrazione

138    Sia i contatti bilaterali dell’8 e del 9 novembre 2001 non menzionati nella comunicazione degli addebiti, sia quelli in essa esplicitamente menzionati attestano che la ricorrente era implicata nell’intesa e nella sua attuazione dopo la riunione di Milano. Orbene, a questo proposito era sufficiente che, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione fondasse la propria valutazione relativa ad un’infrazione unica e continuata ed alla sua attuazione su vari elementi, tra cui la riunione di Milano e una serie di contatti bilaterali e multilaterali successivi a quest’ultima, in particolare un contatto in data 25 ottobre 2000. Infatti, gli elementi di prova illustrati nella comunicazione degli addebiti erano già sufficienti da soli per rendere la ricorrente avvertita del fatto che la Commissione poteva utilizzarli nei suoi confronti come mezzi di prova incriminanti. Pertanto, tenuto conto dei documenti relativi ai contatti successivi alla riunione di Milano menzionati nella comunicazione degli addebiti, i documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000 non erano elementi indispensabili per provare l’infrazione continuata e la sua attuazione. Infatti, al punto 156 della decisione impugnata, in particolare nella nota a piè di pagina n. 128, la Commissione fa riferimento anche al contatto del 25 ottobre 2000, che era già stato menzionato al punto 118 della comunicazione degli addebiti. Pertanto, in sé considerati, i documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000 non erano decisivi per il risultato al quale la Commissione è giunta nella decisione impugnata, dato che nella comunicazione degli addebiti l’esistenza di un’infrazione continuata e l’attuazione della stessa oltre la data del 31 dicembre 2000 erano già state affermate sulla base di altri elementi di prova.

139    A questo riguardo, occorre ricordare che, come confermato dalla giurisprudenza citata supra al punto 119, i diritti della difesa sono violati soltanto qualora esista una possibilità che, in assenza dell’irregolarità procedurale commessa – ossia, nella specie, la mancanza di riferimenti espliciti, nella comunicazione degli addebiti, ai documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000 –, il procedimento amministrativo avrebbe potuto giungere ad un risultato differente.

140    Orbene, è giocoforza constatare che, nella fattispecie, tale situazione non sussiste.

141    Infatti, come si è constatato supra al punto 137, la ricorrente ha avuto accesso ai documenti riguardanti i contatti dell’8 e del 9 novembre 2000, senza averne tratto il benché minimo elemento a discarico, tanto nell’ambito del procedimento amministrativo, quanto in corso di giudizio. Per giunta, nell’ambito del procedimento amministrativo, la ricorrente ha persino rinunciato a prendere posizione sui contatti successivi alla riunione di Milano che erano esplicitamente menzionati nella comunicazione degli addebiti (punti da 117 a 123 della comunicazione degli addebiti). Allo stesso modo, in corso di giudizio, la ricorrente non ha né chiarito né circostanziato in che modo la mancata menzione esplicita dei suddetti documenti nella comunicazione degli addebiti avrebbe pregiudicato l’efficacia della sua difesa nel corso del procedimento amministrativo, e come essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente se fosse stata esplicitamente informata, in tale occasione, del fatto che la Commissione intendeva utilizzare i documenti dell’8 e del 9 novembre 2000 come prove incriminanti nella decisione impugnata per dimostrare la sua partecipazione all’infrazione e all’attuazione della stessa. Al contrario, tenuto conto del contenuto di detti documenti nonché del fatto che la ricorrente ne aveva piena conoscenza, occorre constatare come la ricorrente non abbia dimostrato che avrebbe potuto trarne elementi a proprio discarico quanto all’esistenza di un accordo e alla sua attuazione. A questo proposito occorre precisare che la Commissione non ha tenuto conto – nel valutare la gravità dell’infrazione ai fini del calcolo dell’ammenda – degli effetti della suddetta infrazione. Pertanto, la ricorrente non è stata in grado di dimostrare che il fatto di non essere stata informata, nella comunicazione degli addebiti, dell’intenzione della Commissione di utilizzare i documenti in questione come prove incriminanti fosse idoneo a incidere sull’efficacia della sua difesa e, pertanto, sul risultato cui era giunta la Commissione nella decisione impugnata (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 17 dicembre 1991, Hercules Chemicals/Commissione, cit. supra al punto 120, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata, confermata dalla sentenza dell’8 luglio 1999, Hercules Chemicals/Commissione, cit. supra al punto 120, punto 80).

–       Sull’importanza dei documenti di cui trattasi per la valutazione della durata dell’infrazione

142    Tanto nella comunicazione degli addebiti quanto nella decisione impugnata, la durata dell’infrazione non è stata fondata sui contatti dell’8 e del 9 novembre 2000 dopo la riunione di Milano. Per quanto riguarda la durata dell’infrazione dopo la riunione di Milano, la decisione impugnata non differisce dalla comunicazione degli addebiti, la quale aveva del pari stabilito una durata che andava oltre la riunione suddetta, vale a dire fino al 31 dicembre 2001 per quanto riguarda in particolare la ricorrente. Pertanto, la ricorrente era perfettamente in grado di riconoscere la rilevanza degli elementi di prova relativi a contatti successivi alla riunione di Milano fra le imprese interessate, come quelli esposti tanto nella comunicazione degli addebiti quanto nella decisione impugnata ai fini della determinazione della durata dell’infrazione, durata che la Commissione ha essenzialmente dedotto dalla prassi del settore del fluoruro di alluminio secondo cui i prezzi si stabiliscono in anticipo per l’esercizio sociale successivo. Tenendo conto di tale prassi, la Commissione era legittimata, sulla base degli elementi di prova già esplicitamente menzionati nella comunicazione degli addebiti, a considerare l’insieme del semestre in questione fino al 31 dicembre 2001 come compreso nella durata dell’infrazione. A questo proposito, il riferimento aggiuntivo, nella decisione impugnata, ai documenti relativi ai contatti dell’8 e del 9 novembre 2000 è privo di importanza.

143    Occorre precisare inoltre che la durata ritenuta dalla Commissione nella decisione impugnata è la durata minima di un’infrazione, dato che periodi inferiori a un semestre vengono contati come un semestre e che il coefficiente di moltiplicazione dell’importo di base dell’ammenda è solo di 0,5 in entrambi i casi. Pertanto, anche a supporre che la durata dell’infrazione sia stata limitata alla sola riunione di Milano, senza tener conto degli effetti dell’accordo che ivi era stato concluso e dei contatti successivi a tale riunione, il coefficiente relativo alla durata ai fini della determinazione dell’ammenda sarebbe stato lo stesso.

 v) Conclusione

144    Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre concludere che i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati. Il primo motivo deve pertanto essere respinto.

D –  Sul terzo motivo, attinente a una violazione dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 e degli orientamenti del 2006 relativi alla determinazione dell’importo dell’ammenda

1.     Osservazioni preliminari

145    Anzitutto, occorre precisare che si tratta nella fattispecie di un caso nel quale trovano applicazione gli orientamenti del 2006.

146    Tale motivo è in sostanza suddiviso in tre parti, con le quali si lamenta, in primo luogo, una violazione del principio del legittimo affidamento, in secondo luogo, un’applicazione erronea degli orientamenti del 2006 relativamente alla determinazione del valore delle vendite e, in terzo luogo, una determinazione errata dell’importo di base dell’ammenda e dell’importo supplementare.

147    In via preliminare, occorre ricordare i principi generali che disciplinano la determinazione dell’importo delle ammende.

148    Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, per determinare l’ammontare dell’ammenda da infliggere per le violazioni dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, occorre tener conto della gravità e della durata dell’infrazione.

149    Secondo una costante giurisprudenza, la gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le particolari circostanze del caso in esame, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato stabilito un elenco vincolante o esaustivo dei criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenze della Corte del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punto 241; Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. supra al punto 115, punto 54, e del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione, C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punto 91).

150    La giurisprudenza ha riconosciuto che, per determinare l’importo delle ammende, si deve tenere conto della durata delle infrazioni e di tutti gli elementi idonei a entrare nella valutazione della gravità delle stesse, quali il comportamento delle singole imprese, il ruolo giocato da ciascuna di esse nell’instaurazione delle pratiche concordate, il profitto che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci implicate, nonché il rischio che infrazioni di questo tipo rappresentano per la Comunità (v. sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, Racc. pag. I‑13085, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata).

151    Si è inoltre statuito che occorre tener conto di elementi oggettivi come il contenuto e la durata dei comportamenti anticoncorrenziali, il loro numero e la loro intensità, l’estensione del mercato coinvolto e il deterioramento subìto dall’ordine pubblico economico. L’analisi deve prendere altresì in considerazione l’importanza relativa e la quota di mercato delle imprese responsabili, nonché un’eventuale recidiva (v. sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 150, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).

152    Questo gran numero di elementi impone alla Commissione un esame approfondito delle circostanze dell’infrazione (sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 150, punto 58).

153    Al fine di assicurare la trasparenza e il carattere obiettivo delle sue decisioni che fissano ammende per le violazioni delle norme in materia di concorrenza, la Commissione ha adottato degli orientamenti per il calcolo delle ammende (punto 3 degli orientamenti del 2006). In tali orientamenti, la Commissione indica a quale titolo essa prenderà in considerazione l’una o l’altra circostanza dell’infrazione e le conseguenze che potranno esserne tratte in ordine all’importo dell’ammenda (sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 150, punto 59).

154    Gli orientamenti – che, come dichiarato dalla Corte, enunciano una regola di condotta indicativa della prassi da seguire, da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un caso specifico, senza fornire giustificazioni che siano compatibili con il principio della parità di trattamento – si limitano a descrivere il metodo di valutazione dell’infrazione adottato dalla Commissione e i criteri che quest’ultima si obbliga a prendere in considerazione al fine di determinare l’importo dell’ammenda (v. sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 150, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).

155    Infatti, gli orientamenti sono uno strumento volto a precisare, nel rispetto del diritto di rango superiore, i criteri che la Commissione intende applicare nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale nella determinazione delle ammende ad essa conferito dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. Pertanto, gli orientamenti non costituiscono il fondamento giuridico di una decisione che infligge ammende, essendo quest’ultima fondata sul regolamento n. 1/2003, bensì stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della fissazione dell’importo delle ammende inflitte da una decisione siffatta e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto a beneficio delle imprese (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 149, punti da 209 a 213, e sentenza del Tribunale del 14 dicembre 2006, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Racc. pag. II‑5169, punti 219 e 223).

156    Pertanto, se certo gli orientamenti non possono essere qualificati come norme giuridiche alla cui osservanza l’amministrazione sia comunque tenuta, essi enunciano però una regola di condotta indicativa della prassi che l’amministrazione deve seguire, dalla quale quest’ultima non può discostarsi, in un caso specifico, senza fornire delle giustificazioni, a rischio di violare i principi di certezza del diritto e di parità di trattamento (sentenze della Corte Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 149, punti 209 e 210, e del 18 maggio 2006, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, C‑397/03 P, Racc. pag. I‑4429, punto 91).

157    Ai sensi del punto 5 degli orientamenti del 2006, quali applicabili al caso di specie, la Commissione deve riferirsi, come base per la determinazione degli importi delle ammende, al valore delle vendite di beni o servizi oggetto dell’infrazione. Anche la durata dell’infrazione deve essere presa in considerazione quale elemento importante. La combinazione del valore delle vendite correlate all’infrazione e della durata di quest’ultima riflette l’importanza economica dell’infrazione stessa nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato. A mente del punto 6 degli orientamenti del 2006, il riferimento a tali fattori fornisce una buona indicazione dell’ordine di grandezza dell’importo dell’ammenda, ma non va inteso come la base di un «metodo di calcolo automatico e aritmetico».

158    Ai sensi dei punti 10 e 11 degli orientamenti del 2006, la Commissione stabilisce, ai fini della fissazione dell’ammenda, un importo di base per ciascuna impresa, che essa può successivamente adeguare.

159    In virtù dei punti 12 e 13 degli orientamenti del 2006, l’importo di base dell’ammenda viene fissato in riferimento al valore delle vendite di beni o di servizi, in relazione diretta o indiretta con l’infrazione, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno del SEE, di norma durante l’ultimo anno completo di partecipazione dell’impresa all’infrazione. Secondo il punto 15 degli orientamenti, la Commissione deve utilizzare i «migliori dati disponibili».

160    Il paragrafo 18 degli orientamenti del 2006 prevede quanto segue:

«Qualora l’estensione geografica di un’infrazione superi il territorio del SEE (ad esempio nel caso dei cartelli mondiali), le vendite interessate realizzate dall’impresa all’interno del SEE possono non riflettere adeguatamente il peso di ciascuna impresa nell’infrazione. Questo può verificarsi, in particolare, nel caso di accordi mondiali di ripartizione dei mercati.

In tale situazione, per esprimere nel contempo la dimensione aggregata delle vendite interessate nel SEE e il peso relativo di ciascuna impresa nell’infrazione, la Commissione può stimare il valore totale delle vendite dei beni o servizi [alle] quali l’infrazione si riferisce nell’area geografica interessata (più ampia del SEE), determinare la quota delle vendite di ciascuna impresa che ha partecipato all’infrazione su tale mercato e applicare tale quota alle vendite aggregate realizzate all’interno del SEE d[a] queste stesse imprese. Il risultato fungerà da valore delle vendite ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda».

161    Conformemente al punto 19 degli orientamenti del 2006, l’importo di base dell’ammenda è legato ad una percentuale del valore delle vendite, determinata in funzione del grado di gravità dell’infrazione, moltiplicata per il numero di anni dell’infrazione. Ai sensi del punto 20 dei suddetti orientamenti, la gravità viene valutata caso per caso per ciascun tipo di infrazione, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie. A termini del punto 21 dei medesimi orientamenti, la percentuale del valore delle vendite considerata viene fissata di norma ad un livello che può arrivare fino al 30%.

2.     Sulla prima parte del motivo, attinente a una violazione del principio del legittimo affidamento

162    Occorre osservare che, nell’ambito del suo terzo motivo, la ricorrente si riferisce anche ad una violazione del principio del legittimo affidamento riguardo alla determinazione dell’importo dell’ammenda, senza sviluppare o circostanziare tale profilo nell’ambito degli argomenti dedotti a sostegno di detto motivo.

163    Orbene, ai sensi dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura, ogni ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e contenere un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. A prescindere da ogni questione di natura terminologica, tale presentazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e al Tribunale di esercitare il suo controllo giurisdizionale. Secondo costante giurisprudenza, il Tribunale deve dichiarare irricevibile un capo delle conclusioni di un ricorso ad esso presentato qualora gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali tale capo delle conclusioni è fondato non emergano in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso (sentenza della Corte del 18 luglio 2006, Rossi/UAMI, C‑214/05 P, Racc. pag. I‑7057, punto 37; ordinanza della Corte del 13 marzo 2007, Arizona Chemical e a./Commissione, C‑150/06 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 45, e sentenza della Corte del 16 dicembre 2010, AceaElectrabel/Commissione, C‑480/09 P, Racc. pag. I‑13335, punto 28).

164    In particolare, sebbene possa essere sufficiente una presentazione dei motivi di ricorso fondata sulla sostanza degli stessi, anziché sulla loro qualificazione giuridica, ciò però esige come condizione che tali motivi emergano dal ricorso con sufficiente chiarezza. Inoltre, la semplice enunciazione astratta dei motivi non risponde ai requisiti sopra ricordati, poiché il ricorso deve chiarire in cosa consistono i motivi fatti valere. Non risponde ai suddetti requisiti minimi un ricorso che non contenga alcuna esposizione, seppur sommaria, dei motivi o degli elementi di diritto invocati, tale da permettere alla parte convenuta di valutare su quali motivazioni il ricorrente basa il suo ricorso o di capire come le sue conclusioni possano essere suffragate (sentenze del Tribunale del 27 novembre 1997, Tremblay e a./Commissione, T‑224/95, Racc. pag. II‑2215, punto 79, e del 26 marzo 2010, Proges/Commissione, T‑577/08, non pubblicata nella Raccolta, punti da 19 a 21).

165    Di conseguenza, poiché la ricorrente si è limitata ad affermare una violazione del principio del legittimo affidamento, senza però illustrare, anche solo sommariamente, tale parte del motivo, quest’ultima dev’essere respinta in quanto irricevibile.

3.     Sulla seconda parte del motivo, attinente ad un’erronea applicazione degli orientamenti del 2006 riguardo alla determinazione del valore delle vendite

a)     Osservazioni preliminari

166    Nel caso di specie, la ricorrente sostiene che il valore delle sue vendite è stato calcolato secondo le modalità previste al punto 18 degli orientamenti per il calcolo delle ammende, ma che la Commissione è incorsa in due errori nell’applicazione di tale punto. In primo luogo, al punto 25 la decisione impugnata considererebbe un fatturato mondiale di EUR 34 339 694 per l’anno 2000, che sarebbe stato comunicato dalla ricorrente nella sua risposta del 30 ottobre 2006. La ricorrente ritiene che tale dato non corrispondesse al miglior dato disponibile al momento dell’adozione della decisione impugnata. Il 25 aprile 2008, su espressa richiesta della Commissione, la ricorrente avrebbe fornito dati sottoposti a verifica contabile, secondo cui il fatturato della ricorrente per l’anno 2000 era pari a EUR 32 368 925, dati che avrebbero dovuto essere utilizzati dalla Commissione ai sensi del punto 15 degli orientamenti del 2006. In secondo luogo, la Commissione non avrebbe applicato correttamente il punto 18 degli orientamenti del 2006. La Commissione avrebbe stimato la percentuale delle vendite di ciascuna impresa in un settore geografico più vasto del SEE in rapporto alle vendite dei partecipanti all’intesa. Tale stima avrebbe dovuto essere effettuata in rapporto alle vendite di tutte le altre imprese attive sul mercato del fluoruro di alluminio. Infine, secondo la ricorrente, se la Commissione avesse utilizzato i dati sottoposti a verifica contabile, inferiori ai dati poi ritenuti, e avesse applicato correttamente il punto 18, sarebbe pervenuta ad una percentuale inferiore al 28,5% indicato nella decisione impugnata.

167    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente e chiede che la presente parte del terzo motivo sia respinta.

168    Occorre rilevare che, nel caso di specie, la ricorrente contesta l’importo di base stabilito dalla Commissione nella decisione impugnata, mettendo in discussione il valore delle vendite accertato da detta istituzione nonché la gravità dell’infrazione. Tuttavia, la ricorrente non contesta la durata dell’infrazione né gli adeguamenti dell’importo di base.

169    Questa parte del motivo reca due profili di censura, attinenti, da un lato, ad un uso di fatturati inesatti per il calcolo degli importi delle ammende e, dall’altro, ad un’applicazione erronea del punto 18 degli orientamenti del 2006 a causa della mancata presa in considerazione delle vendite di altre imprese che non avevano partecipato all’intesa.

b)     Sui fatturati utilizzati dalla Commissione

170    Secondo la ricorrente, la Commissione si sarebbe avvalsa di fatturati inesatti per il calcolo delle ammende.

171    Per quanto riguarda l’importo di base, gli orientamenti del 2006 dispongono che esso viene fissato in riferimento al valore delle vendite di beni o di servizi, in relazione diretta o indiretta con l’infrazione, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno del SEE, di norma durante l’ultimo anno completo di partecipazione dell’impresa all’infrazione (punti 12 e 13 degli orientamenti del 2006). A tal fine, la Commissione deve utilizzare i «migliori dati disponibili» (punto 15 degli orientamenti del 2006).

172    Qualora l’estensione geografica di un’infrazione superi il territorio del SEE, ad esempio nel caso dei cartelli mondiali, come nel caso di specie, il punto 18 degli orientamenti del 2006 dispone che le vendite interessate realizzate dall’impresa all’interno del SEE possono non riflettere adeguatamente il peso di ciascuna impresa nell’infrazione, cosa che può verificarsi, in particolare, nel caso di accordi mondiali di ripartizione dei mercati. In tale situazione, la Commissione può stimare il valore totale delle vendite alle quali l’infrazione si riferisce nell’area geografica interessata (più ampia del SEE) e determinare la quota delle vendite di ciascuna impresa che ha partecipato all’infrazione su tale mercato, per poi applicare tale quota alle vendite aggregate realizzate all’interno del SEE da queste stesse imprese.

173    Nel caso di specie, con lettera del 30 ottobre 2006 la ricorrente aveva fornito dei fatturati per gli anni dal 1997 al 2005, riguardanti le sue vendite di fluoruro di alluminio, tanto a livello mondiale quanto a livello del SEE, nonché, con lettera del 25 aprile 2008, i fatturati per gli anni 1999, 2000 e 2001. Nella lettera del 25 aprile 2008 viene indicato anche il tasso di conversione del dinaro tunisino in euro per gli anni indicati, tra cui il 2000.

174    Nella decisione impugnata, la Commissione ha accertato che le vendite di fluoruro di alluminio realizzate dalla ricorrente nell’anno 2000 nel SEE ammontavano a EUR 8 146 129, mentre quelle realizzate nel settore geografico interessato dall’infrazione – quindi il settore mondiale – erano state pari ad EUR 34 339 694 (punto 25 della decisione impugnata). La Commissione ha spiegato di essersi basata sui dati forniti dalla ricorrente il 30 ottobre 2006 nonché sulle lettere inviate dalla ricorrente il 25 aprile e il 12 maggio 2008, e di essersi servita dei tassi di conversione indicati dalla ricorrente nella sua lettera del 25 aprile 2008 per la conversione del dinaro tunisino in euro.

175    Per quanto riguarda i fatturati menzionati nella lettera del 25 aprile 2008, in essa viene indicato che tali fatturati sono «in fob netto commissioni», ossia al netto di spese di trasporto e di commissioni. Orbene, è il fatturato che rispecchia in modo completo la realtà dell’ammontare della transazione ad essere interessante per stabilire il valore delle vendite, allo scopo di determinare l’importo di base dell’ammenda. Pertanto, dev’essere preso in considerazione il fatturato come emergente dalla contabilità dell’impresa. La Commissione inoltre ha indicato di aver rivolto una richiesta di informazioni alla ricorrente relativa ai dati presentati il 25 aprile 2008, alla quale la ricorrente non avrebbe risposto in modo completo. Oltre a ciò, occorre ricordare il punto 16 degli orientamenti del 2006, ai sensi del quale, qualora i dati resi disponibili da un’impresa non siano completi o attendibili, la Commissione può determinare il valore delle vendite di tale impresa sulla base dei dati parziali ottenuti o di qualsiasi altra informazione che essa ritenga pertinente o appropriata.

176    Inoltre, come sostiene la Commissione, il valore delle vendite rispecchia il prezzo così come fatturato al cliente, senza detrazione per le spese di trasporto o altre spese. Al riguardo, va ricordata la giurisprudenza secondo la quale, con riferimento alle spese di trasporto, si deve considerare che, nel caso in cui un produttore consegni a destinazione, su richiesta del cliente, le quantità vendute, il servizio di trasporto costituisce parte integrante della vendita del prodotto. Pertanto, il prezzo richiesto per tale servizio, anche ove corrisponda al rimborso delle somme dovute dal venditore al trasportatore indipendente al quale egli è ricorso per il suddetto servizio, è una componente del prezzo globale di vendita (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Racc. pag. II‑491, punto 5030).

177    Pertanto, la Commissione ha potuto giustamente considerare che i dati forniti il 30 ottobre 2006 erano i dati migliori disponibili ai sensi del punto 15 degli orientamenti del 2006. Di conseguenza, questo primo profilo dedotto con la prima parte del motivo, attinente ad un’applicazione errata degli orientamenti del 2006 riguardo alla determinazione del valore delle vendite, dev’essere respinto.

178    In proposito occorre precisare che, al punto 229 della decisione impugnata, la Commissione indica che, in applicazione del punto 18 degli orientamenti del 2006, il valore delle vendite calcolato nel SEE per la ricorrente è di EUR 6 739 601. Al riguardo, la Commissione rinvia ai dati forniti dalla ricorrente il 30 ottobre 2006, secondo i quali il valore delle sue vendite nel 2000 era pari a EUR 8 146 129 nel SEE e ad EUR 34 339 694 nell’area geografica interessata dall’infrazione, ossia nel mondo (punto 25 della decisione impugnata).

c)     Sulle vendite e sulla quota di mercato

179    Per quanto riguarda il secondo profilo dedotto con questa parte del motivo, occorre ricordare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato che, in applicazione del punto 18 degli orientamenti del 2006, la potenza relativa di ciascuna impresa interessata corrispondeva alla percentuale delle sue vendite correlate all’infrazione nell’area geografica coperta dall’intesa, calcolata in rapporto alle vendite aggregate realizzate in questo settore da tutte le imprese coinvolte. Tale percentuale doveva poi essere applicata alle vendite aggregate correlate all’infrazione realizzate nel SEE dalle imprese interessate (punto 232 della decisione impugnata). La Commissione ha pertanto precisato che la questione se le vendite intragruppo di altre imprese dovessero essere prese in considerazione e quella della maniera esatta di definire il mercato geografico erano ininfluenti ai fini del calcolo del valore delle vendite e dell’ammenda definitiva (punto 233 della decisione impugnata).

180    Inoltre, a termini del punto 32 della decisione impugnata, alcuni «grandi produttori di alluminio, e quindi alcuni grandi consumatori di fluoruro di alluminio, hanno una notevole produzione “intragruppo” di fluoruro di alluminio, il che significa che essi producono (principalmente) per proprio uso, pur avendo anche acquistato, durante il periodo dell’infrazione, del fluoruro di alluminio presso altri produttori».

181    La ricorrente contesta la legittimità dei punti 232 e seguenti della decisione impugnata, sostenendo che la Commissione avrebbe ivi fatto un’erronea applicazione del punto 18 degli orientamenti del 2006. Infatti, secondo la ricorrente, la Commissione ha omesso di tener conto delle vendite effettuate da altre imprese che non avevano partecipato all’intesa, tra cui le imprese che avevano una produzione intragruppo. Inoltre, la Commissione avrebbe contraddetto la propria prassi decisionale.

182    Alla luce delle suddette censure, occorre ricordare che, ai sensi del punto 18 degli orientamenti del 2006, la Commissione, per esprimere tanto la dimensione aggregata delle vendite pertinenti nel SEE quanto il peso relativo di ciascuna impresa nell’infrazione, può stimare il valore totale delle vendite di beni o servizi alle quali l’infrazione si riferisce nell’area geografica interessata (più ampia del SEE), determinare la quota delle vendite di ciascuna impresa che ha partecipato all’infrazione su tale mercato e applicare tale quota alle vendite aggregate realizzate all’interno del SEE da queste stesse imprese. Il risultato fungerà da valore delle vendite ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda.

183    Dall’economia generale e dal tenore letterale del punto 18 degli orientamenti del 2006 risulta che l’espressione «valore totale delle vendite dei beni o servizi [alle] quali l’infrazione si riferisce» deve intendersi come indicante il valore totale delle vendite delle imprese partecipanti all’infrazione, e non il valore totale delle vendite dell’insieme delle imprese operanti sul mercato in cui le imprese hanno commesso l’infrazione. Infatti, le vendite delle imprese che non partecipano all’infrazione non sono vendite «alle quali l’infrazione si riferisce».

184    Inoltre, tale interpretazione letterale coincide con l’economia generale del punto 18 degli orientamenti del 2006, il quale mira a rispecchiare al contempo la dimensione aggregata delle vendite in questione e il peso relativo di ciascuna impresa nell’infrazione. Quest’ultimo obiettivo implica che si tenga conto unicamente del valore delle vendite delle imprese partecipanti all’infrazione.

185    Infine, l’interpretazione precedente si inserisce nel contesto e nell’economia complessiva degli orientamenti del 2006, i quali mirano ad assumere come base per la determinazione dell’ammenda il valore delle vendite cui l’infrazione si riferisce. Come sottolinea la Commissione, il valore delle vendite prese in considerazione in applicazione dei punti 13 e 14 degli orientamenti del 2006 – punti che sono contenuti nello stesso titolo in cui figura il punto 18 – corrisponde a quello realizzato dalle imprese in virtù dell’infrazione.

186    Questa interpretazione non viene rimessa in discussione dal riferimento al «mercato» che compare al punto 18 degli orientamenti del 2006. Infatti, tale «mercato» si riferisce unicamente al mercato geografico più ampio del SEE interessato dalle vendite delle imprese partecipanti all’infrazione.

187    Pertanto, la ricorrente erra là dove afferma che il rispetto degli orientamenti avrebbe imposto alla Commissione di tener conto delle vendite delle altre imprese e anche della produzione intragruppo di operatori come Alcan e Alcoa.

188    Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la suddetta interpretazione degli orientamenti del 2006 non è inficiata dalla prassi decisionale anteriore della Commissione, come illustrata dalla decisione 2002/742/CE della Commissione, del 5 dicembre 2001, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/36 604 – Acido citrico) (GU 2002, L 239, pag. 18), che consisterebbe nell’adeguare l’importo delle ammende a seconda del peso relativo delle parti nell’ambito di intese che si estendono oltre l’Unione.

189    Infatti, come riconosciuto dalla giurisprudenza, il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di un certo livello per diversi tipi di infrazioni non la priva della possibilità di innalzare tale livello entro i limiti indicati dal regolamento n. 1/2003, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza dell’Unione, ma, al contrario, l’efficace applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione richiede che la Commissione possa in qualsiasi momento adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica. Ciò vale non solo quando la Commissione procede ad un innalzamento del livello dell’importo delle ammende nell’ambito di decisioni individuali, ma anche allorché tale maggiorazione viene effettuata mediante l’applicazione, a casi concreti, di norme di comportamento aventi portata generale, quali gli orientamenti (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 149, punti 227 e 230).

190    Orbene, la prassi decisionale anteriore cui si riferisce la ricorrente era basata sulla comunicazione della Commissione del 14 gennaio 1998, sugli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»).

191    Inoltre, ai punti da 3 a 5 degli orientamenti del 2006, la Commissione ha dichiarato che intendeva elaborare ulteriormente e affinare la propria politica in materia di ammende, diretta a sanzionare le infrazioni e a dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli 81 CE e 82 CE. Al fine di raggiungere i suddetti obiettivi, la Commissione ha ritenuto che fosse opportuno assumere come base per la determinazione degli importi delle ammende il valore delle vendite di beni o servizi correlate all’infrazione. La Commissione ha quindi chiarito la ragione per la quale aveva adottato un nuovo metodo di calcolo dell’importo dell’ammenda, ossia la necessità di garantire l’attuazione più efficace della politica della concorrenza dell’Unione, e la ricorrente non ha fatto valere argomenti idonei a rimettere in discussione la fondatezza di questo mutamento di approccio.

192    Pertanto, era opportuno non interpretare le disposizioni degli orientamenti del 2006 tenendo conto dell’applicazione che era stata fatta degli orientamenti del 1998.

193    Per le ragioni sopra esposte, occorre respingere anche il secondo profilo dedotto con questa seconda parte del motivo.

4.     Sulla terza parte del motivo, attinente ad un’errata determinazione dell’importo di base dell’ammenda e ad un’errata applicazione dell’importo supplementare

194    La ricorrente sostiene che la Commissione sarebbe incorsa in alcuni errori nell’apprezzamento della gravità dell’infrazione, e più concretamente nella valutazione della natura di quest’ultima nonché nell’analisi della quota di mercato dei destinatari della decisione impugnata. Inoltre, la Commissione avrebbe a torto incluso la messa in atto dell’infrazione tra gli elementi fondanti l’importo di base dell’ammenda.

195    Nello specifico, la ricorrente sostiene che la Commissione ha erroneamente qualificato l’infrazione. I fatti addebitati alla ricorrente potrebbero al massimo essere qualificati come scambi occasionali di informazioni, che non costituirebbero infrazioni gravi e manifeste al diritto della concorrenza e non configurerebbero accordi orizzontali di fissazione dei prezzi ai sensi dei punti 23 e 24 degli orientamenti. L’attribuzione da parte della Commissione, nell’ambito della decisione impugnata, della qualifica di accordo orizzontale di fissazione dei prezzi e dunque di restrizione grave della concorrenza avrebbe portato detta istituzione ad aggiungere all’importo di base un importo supplementare, conformemente al punto 25 degli orientamenti del 2006. La ricorrente sostiene inoltre che l’infrazione addebitata non può essere qualificata come infrazione unica e continuata. In tale contesto, la ricorrente ribadisce la presunta violazione dei diritti della difesa, che non permetterebbe al Tribunale di esercitare il suo potere di valutazione anche nel merito. La ricorrente chiede, pertanto, la riforma dei punti 236 e 242 della decisione impugnata da parte del Tribunale.

196    Secondo la ricorrente, la quota di mercato cumulata del 35% accertata nella decisione impugnata addebiterebbe alla presunta intesa un peso economico sproporzionato, in quanto tale percentuale sarebbe stata calcolata prescindendo dalla produzione intragruppo dei grandi produttori di alluminio. La Commissione avrebbe pertanto effettuato un’analisi inesatta di uno dei principali elementi di valutazione della gravità dell’infrazione di cui trattasi.

197    Infine, la Commissione avrebbe ritenuto che l’accordo di Milano su un presunto rialzo dei prezzi avesse costituito l’oggetto di un monitoraggio durante il secondo semestre dell’anno 2000 e farebbe riferimento ai contatti bilaterali tra la IQM e la divisione «Noralf» della Boliden del 25 ottobre 2000, nonché alle discussioni tra la ricorrente e la Fluorsid nel novembre 2000, mentre tali contatti bilaterali non avrebbero alcun legame con la riunione di Milano e non potrebbero essere posti a carico della ricorrente, non essendo stati considerati nella comunicazione degli addebiti. Pertanto, non sarebbe possibile desumere alcuna attuazione dell’intesa in assenza di documenti o di altri validi mezzi di prova successivi alla data della riunione di Milano. Da ciò conseguirebbe la necessità di sopprimere integralmente l’importo supplementare e di diminuire sostanzialmente la percentuale del 17% applicata per determinare l’importo di base.

198    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto di questa terza parte del terzo motivo.

199    Nel caso di specie, occorre ricordare che, riguardo all’esistenza di una violazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, la Commissione ha giustamente ritenuto che vi fossero stati un’intesa e un accordo orizzontale di fissazione dei prezzi e di ripartizione dei mercati tra i partecipanti, tra cui la ricorrente (v. supra, punti da 66 a 92). Tale circostanza non può essere rimessa in discussione in questa fase dalle affermazioni della ricorrente relative all’ammenda inflitta dalla Commissione.

200    Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, in accordo con il punto 23 degli orientamenti del 2006, la Commissione ha giustamente affermato nella decisione impugnata che, nel caso di specie, si trattava di un’infrazione che era consistita, in particolare, in un accordo orizzontale di fissazione dei prezzi, il quale, per sua stessa natura, rientra fra le restrizioni della concorrenza più gravi.

201    Pertanto, la Commissione non è incorsa in alcun errore là dove ha applicato il punto 25 degli orientamenti del 2006, a mente del quale, «a prescindere dalla durata della partecipazione di un’impresa all’infrazione, la Commissione inserirà nell’importo di base una somma compresa fra il 15% e il 25% del valore delle vendite (…) al fine di dissuadere (…) le imprese dal prendere parte (…) ad accordi orizzontali di fissazione dei prezzi [e] di ripartizione dei mercati», tenendo conto in particolare di fattori come la natura dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutti i partecipanti, l’estensione geografica dell’infrazione e l’attuazione o meno dell’illecito, quali previsti dal punto 22 dei citati orientamenti del 2006.

202    Nella decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che la quota di mercato aggregata non avesse superato nel 2000 il 35% nel SEE (punto 237 della decisione impugnata, con rinvio al punto 33 della medesima decisione) e che l’estensione geografica dell’infrazione avesse avuto carattere mondiale (punto 238 della decisione impugnata, con rinvio al precedente punto 136). Occorre d’altronde sottolineare che la Commissione ha indicato di aver preso in considerazione una quota di mercato di meno del 35%, il che l’ha indotta a non aumentare l’importo di base. Questi elementi relativi alla gravità dell’infrazione sono stati correttamente accertati dalla Commissione, come illustrato supra ai punti da 199 a 201.

203    Per quanto riguarda l’attuazione dell’intesa, la Commissione ha considerato giustamente, nella decisione impugnata, che l’accordo di Milano fosse stato oggetto di monitoraggio nel secondo semestre dell’anno 2000. Infatti, nella decisione impugnata la Commissione ha dimostrato l’esistenza di un accordo tra i destinatari della decisione, tra cui la ricorrente. La conclusione di un accordo in occasione della riunione di Milano è stata dimostrata, così come i contatti bilaterali successivi a tale riunione, in particolare quello del 25 ottobre 2000. Nel corso dei suddetti contatti bilaterali – come accertato supra nell’ambito del primo motivo attinente all’esistenza dell’infrazione – i destinatari della decisione impugnata, e in particolare la ricorrente, hanno esercitato un controllo reciproco dei livelli dei prezzi. I prezzi indicati durante i suddetti contatti successivi alla riunione di Milano corrispondono al contenuto dell’accordo concluso in occasione della riunione stessa. Di conseguenza, la Commissione ha potuto validamente affermare che i contatti di cui sopra si riferivano all’accordo della riunione di Milano e sono pertanto la prova dell’attuazione dell’intesa.

204    Poiché, come indicato supra ai punti da 66 a 109, il secondo motivo della ricorrente è respinto, e la decisione impugnata che accerta l’esistenza di un accordo, nonché la durata e la gravità dello stesso, è confermata, occorre respingere, in quanto infondata, questa parte del terzo motivo, attinente a un’errata determinazione dell’importo di base dell’ammenda.

205    Pertanto, la Commissione era legittimata ad assumere la cifra del 17% del valore delle vendite come percentuale per la determinazione dell’importo di base dell’ammenda da infliggere alla ricorrente.

206    Peraltro, benché la durata dell’infrazione non sia stata rimessa in discussione dalla ricorrente, occorre rilevare che la Commissione, nella decisione impugnata, ha accertato che questa durata abbracciava il periodo dal 12 luglio fino al 31 dicembre 2000 «almeno», ossia un periodo inferiore a sei mesi. Conformemente al punto 24 degli orientamenti del 2006, la Commissione ha applicato il fattore di moltiplicazione di 0,5. Infatti, ai sensi del punto 24 degli orientamenti del 2006, per tenere pienamente conto della durata della partecipazione di ciascuna impresa all’infrazione, l’importo determinato in funzione del valore delle vendite è moltiplicato per il numero di anni di partecipazione all’infrazione, con la precisazione che i periodi di durata inferiore a un semestre vengono contati come metà anno.

207    Di conseguenza, il terzo motivo dev’essere respinto.

E –  Sul quarto motivo, attinente a una violazione dell’articolo 36 dell’Accordo euromediterraneo, del principio di sollecitudine e della cortesia internazionale

1.     Osservazioni preliminari

208    La ricorrente sostiene che le regole in materia di concorrenza dettate dall’Accordo euromediterraneo si applicano nel caso di specie, quand’anche in parallelo con le norme in materia di concorrenza dell’Unione. Orbene, la Commissione avrebbe escluso l’applicazione dell’articolo 36, paragrafo 1, dell’Accordo euromediterraneo a vantaggio dell’applicazione esclusiva delle norme in materia di concorrenza dell’Unione. In tal modo, la Commissione avrebbe invocato la clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 36, paragrafo 6, dell’accordo suddetto. L’adozione di tale misura unilaterale avrebbe dovuto essere preceduta da una consultazione del comitato di associazione. La ricorrente ritiene che il mancato rispetto della procedura prevista dall’Accordo euromediterraneo costituisca una violazione di una formalità essenziale, il cui rispetto avrebbe potuto avere un’influenza determinante sull’esito della vicenda. L’approccio unilaterale seguito dalla Commissione sarebbe contrario non solo all’articolo 36 dell’Accordo euromediterraneo, ma anche al principio di cortesia internazionale, nonché al dovere di sollecitudine incombente a detta istituzione.

209    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e conclude per il rigetto del quarto motivo.

210    Come riconosciuto dalla giurisprudenza, il diritto della concorrenza dell’Unione è applicabile ad un’intesa che produca i suoi effetti nel territorio del mercato interno, a prescindere dal fatto che una delle imprese partecipanti ad un accordo sia situata in un paese terzo (v., in tal senso, sentenze della Corte del 25 novembre 1971, Béguelin Import, 22/71, Racc. pag. 949, punti da 22 a 29; del 27 settembre 1988, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, 89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, Racc. pag. 5193, punti da 11 a 23, e sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, cit. supra al punto 118, punti da 69 a 93).

2.     Sull’Accordo euromediterraneo

211    L’Accordo euromediterraneo tra la Comunità e la Tunisia rientra nel contesto degli accordi euromediterranei di associazione della Comunità con sette paesi del Mediterraneo meridionale. Tali accordi forniscono un quadro al dialogo politico Nord‑Sud, servono come base per la progressiva liberalizzazione degli scambi nello spazio mediterraneo e fissano le condizioni della cooperazione nel settore economico, sociale e culturale tra la Comunità e ciascun paese partner.

212    Per quanto riguarda l’Accordo euromediterraneo, indipendentemente dalla sua natura giuridica e dalla sua incidenza nell’ordinamento giuridico dell’Unione, è sufficiente constatare che esso non prevale sul diritto dell’Unione applicabile, in particolare sull’articolo 81 CE, e non ne esclude l’applicazione. Al contrario, l’articolo 36 dell’Accordo euromediterraneo, invocato dalla ricorrente, prevede l’impegno delle parti ad applicare il diritto della concorrenza e dichiara esplicitamente che qualsiasi prassi contraria viene valutata sulla base dei criteri derivanti dall’applicazione delle regole previste dagli articoli 81 CE, 82 CE e 87 CE (articolo 36, paragrafo 2, dell’Accordo euromediterraneo). L’articolo 36, paragrafo 6, dell’Accordo euromediterraneo prevede unicamente una consultazione del Comitato di associazione a certe condizioni, in particolare se il diritto della concorrenza non è in grado di risolvere il problema.

213    La decisione impugnata non riguarda una pratica che incide specificamente sul commercio tra l’Unione europea e la Tunisia, ma una pratica di dimensione mondiale che pregiudica il mercato europeo. Nella decisione impugnata, la Commissione ha esercitato i propri poteri ed ha applicato l’articolo 81 CE relativamente al pregiudizio per la concorrenza all’interno del SEE. Per contro, la decisione impugnata non rientra nell’ambito di applicazione dell’accordo euromediterraneo e a maggior ragione non è contraria a tale accordo. Non vi era quindi alcun motivo di applicare l’accordo euro‑mediterraneo e i suoi meccanismi.

214    Tale argomento è dunque infondato e dev’essere respinto.

3.     Sulla cortesia internazionale e sul «principio di sollecitudine»

215    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente attinente al mancato rispetto della cortesia internazionale (comitas gentium), la ricorrente non ha illustrato tale principio da essa invocato, né ha determinato il suo impatto, né ha indicato perché esso metterebbe in discussione la legittimità della decisione impugnata. Non è possibile sapere per quale motivo da ciò deriverebbe che la Commissione avrebbe dovuto «contattare le autorità tunisine prima di applicare in via unilaterale le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza».

216    Inoltre, nei limiti in cui l’argomento fatto valere dalla ricorrente fosse diretto a mettere in discussione la competenza della Comunità ad applicare le proprie norme in materia di concorrenza a comportamenti come quelli constatati nel caso di specie (sentenza Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, cit. supra al punto 210, punti 31 e 32), occorre comunque respingerlo. Infatti, la Commissione è competente a perseguire e a sanzionare infrazioni all’articolo 81 CE riguardanti il mercato europeo. Orbene, una siffatta infrazione è stata accertata dalla Commissione nel caso di specie. Di conseguenza, la competenza della Commissione ad applicare le norme in materia di concorrenza della Comunità a simili comportamenti è confermata alla luce delle norme di diritto internazionale pubblico (v., in tal senso, sentenza Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, cit. supra al punto 210, punto 18; v. inoltre, per analogia, sentenza del Tribunale del 25 marzo 1999, Gencor/Commissione, T‑102/96, Racc. pag. II‑753, punti 89 e segg.).

217    Per quanto riguarda il presunto «dovere di sollecitudine» invocato dalla ricorrente, secondo cui la Commissione avrebbe dovuto contattare in particolare le autorità tunisine, tale dovere non è stato circostanziato né illustrato. Non è chiaro, quindi, cosa faccia valere la ricorrente. Inoltre, la ricorrente non spiega nemmeno perché il suddetto principio generale di diritto internazionale inficerebbe la legittimità della decisione impugnata.

218    Orbene, ai sensi dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, nonché dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura del Tribunale, ogni ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e contenere un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Al riguardo, occorre ricordare i principi e la giurisprudenza menzionati supra, ai punti 163 e 164.

219    Poiché la ricorrente si è limitata a dedurre un mancato rispetto della «cortesia internazionale» e a sostenere che esisteva un «dovere di sollecitudine», senza peraltro illustrare anche solo succintamente la propria tesi, quest’ultima dev’essere respinta in quanto irricevibile.

220    Ne consegue che il quarto motivo dev’essere respinto.

221    Alla luce di quanto sopra esposto, occorre respingere le conclusioni di annullamento nella loro interezza. Inoltre, per quanto riguarda la domanda, presentata in via subordinata, intesa alla modificazione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, non sussistono, segnatamente alla luce delle suesposte considerazioni, i presupposti perché il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, accolga tale domanda.

222    Pertanto, il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

223    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Industries chimiques du fluor è condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

Azizi

Labucka

Frimodt Nielsen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 18 giugno 2013.

Firme


* Lingua processuale: il francese.