Language of document : ECLI:EU:C:2021:269

Causa C30/19

Diskrimineringsombudsmannen

contro

Braathens Regional Aviation AB

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Högsta domstolen)

 Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 15 aprile 2021

«Rinvio pregiudiziale – Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica – Direttiva 2000/43/CE – Articolo 7 – Difesa dei diritti – Articolo 15 – Sanzioni – Ricorso per risarcimento fondato su un’asserita discriminazione – Ottemperanza del convenuto alla domanda di risarcimento, senza riconoscimento, da parte del medesimo, della sussistenza dell’asserita discriminazione – Nesso tra il risarcimento versato e l’asserita discriminazione – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva – Norme processuali nazionali che impediscono al giudice investito del ricorso di pronunciarsi sulla sussistenza dell’asserita discriminazione malgrado la domanda espressa del ricorrente»

1.        Diritto dell’Unione europea – Principi – Parità di trattamento – Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica – Direttiva 2000/43 – Sanzioni – Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva – Ricorso per risarcimento fondato su un’asserita discriminazione – Ottemperanza del convenuto alla domanda di risarcimento senza riconoscere la sussistenza di detta discriminazione – Normativa nazionale che impedisce al giudice investito del ricorso di pronunciarsi sulla sussistenza di tale discriminazione – Inammissibilità

(Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47; direttiva del Consiglio 2000/43, artt. 7, 8 e 15)

(v. punti 38, 39, 44‑51, 59 e dispositivo)

2.        Diritto dell’Unione europea – Principi – Parità di trattamento – Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica – Direttiva 2000/43 – Collegamento con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Invocabilità dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Controversie tra due privati – Obblighi e poteri del giudice nazionale – Interpretazione conforme al diritto dell’Unione della normativa nazionale – Portata – Obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a detto articolo 47

(Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47; direttiva del Consiglio 2000/43, artt. 7 e 15)

(v. punti 55‑59 e dispositivo)


Sintesi

Il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che impedisce a un giudice investito di un ricorso per risarcimento fondato su un’asserita discriminazione di constatare la sussistenza di quest’ultima qualora il convenuto accetti di pagare il risarcimento richiesto senza riconoscere tale discriminazione

Il solo versamento di una somma di denaro non è idoneo a garantire la tutela giurisdizionale effettiva di una persona che chieda la constatazione della discriminazione subita

Nel 2015, il comandante di bordo di un volo interno svedese operato dalla compagnia aerea Braathens Regional Aviation AB (in prosieguo: la «Braathens») ha deciso di sottoporre un passeggero di origine cilena residente a Stoccolma (Svezia) a un controllo di sicurezza supplementare.

Agendo in giudizio per conto di tale passeggero, il quale riteneva di essere stato oggetto di una discriminazione per ragioni legate al proprio aspetto fisico e alla propria appartenenza etnica, il Diskrimineringsombudsmannen (Mediatore delle discriminazioni) ha chiesto allo Stockholms tingsrätt (Tribunale locale di Stoccolma, Svezia) di condannare la Braathens a versare a detto passeggero un risarcimento per discriminazione.

La Braathens ha accettato di versare la somma richiesta senza tuttavia riconoscere la sussistenza di una discriminazione. Il Tribunale locale ha quindi condannato la medesima al pagamento di tale somma, ma ha dichiarato irricevibili le domande del Mediatore delle discriminazioni dirette ad ottenere una sentenza dichiarativa che constatasse la sussistenza di una discriminazione. Tale giudice ha ritenuto di essere vincolato, in forza del diritto processuale svedese, dall’ottemperanza della Braathens e di essere pertanto tenuto a dirimere la controversia senza esaminare la sussistenza di un’eventuale discriminazione. Dopo aver interposto infruttuosamente appello avverso la sentenza del Tribunale locale, il Mediatore delle discriminazioni ha proposto impugnazione dinanzi allo Högsta domstolen (Corte suprema, Svezia).

Nutrendo dubbi in merito alla conformità della normativa svedese ai requisiti previsti dalla direttiva 2000/43 (1) che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, letta alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), il quale garantisce a ogni persona il diritto a un ricorso effettivo, la Corte suprema ha deciso di chiedere alla Corte di giustizia se, in caso di ottemperanza del convenuto alla domanda di risarcimento del ricorrente, il giudice debba comunque poter esaminare la questione della sussistenza di una discriminazione su domanda della parte che ritenga di esserne stata oggetto.

Giudizio della Corte

In via preliminare, la Corte ricorda che la direttiva 2000/43 mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento. Il rispetto di tale principio esige che sia garantita una tutela giurisdizionale effettiva del diritto alla parità di trattamento delle persone che si ritengono vittime di una siffatta discriminazione, sia che tali persone agiscano direttamente sia che agiscano tramite un’associazione, un’organizzazione o una persona giuridica. Inoltre, il sistema di sanzioni istituito per trasporre detta direttiva nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro deve garantire una tutela giuridica effettiva ed efficace dei diritti tratti dalla stessa. La severità delle sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni che esse reprimono e comportare, in particolare, un effetto realmente deterrente, fermo restando il rispetto del principio generale della proporzionalità.

A tal riguardo, la Corte dichiara che gli articoli 7 e 15 della direttiva 2000/43, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, ostano a una normativa nazionale che impedisce a un giudice investito di un ricorso per risarcimento fondato su un’asserita discriminazione vietata da detta direttiva di esaminare la domanda diretta a far constatare la sussistenza di tale discriminazione, qualora il convenuto accetti di versare il risarcimento richiesto senza tuttavia riconoscere la sussistenza di una discriminazione.

Infatti, in primo luogo, dall’articolo 7 della direttiva 2000/43 discende che qualsiasi persona che si ritenga vittima di una discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica deve poter ottenere dal giudice, nell’ambito di una procedura finalizzata a far valere i diritti derivanti dal principio della parità di trattamento, una pronuncia su un’eventuale lesione di tali diritti, qualora il convenuto non riconosca l’asserita discriminazione. Pertanto, il solo versamento di una somma di denaro non è idoneo a garantire la tutela giurisdizionale effettiva di una persona che chiede che sia constatata l’esistenza di una siffatta lesione.

In secondo luogo, una normativa nazionale del genere è in contrasto sia con la funzione risarcitoria che con la funzione dissuasiva di cui le sanzioni previste dagli Stati membri devono essere dotate in forza dell’articolo 15 della direttiva 2000/43. Infatti, il versamento di una somma di denaro non è sufficiente a soddisfare le pretese di una persona che intenda in via prioritaria far riconoscere, a titolo di risarcimento del danno morale subito, che ella è stata vittima di una discriminazione. Parimenti, l’obbligo di versare una somma di denaro non può garantire un effetto realmente dissuasivo nei confronti dell’autore di una discriminazione laddove, come nel caso di specie, il convenuto contesti la sussistenza di una qualsivoglia discriminazione, ma consideri più vantaggioso, in termini di costi e di immagine, versare il risarcimento richiesto dal ricorrente. La Corte precisa altresì che la facoltà di avviare un’azione penale non consente, a causa degli scopi specifici che tale azione persegue nonché dei vincoli ad essa inerenti, di ovviare alla mancata conformità dei mezzi di ricorso in materia civile ai requisiti di tale direttiva.

In terzo luogo, la Corte sottolinea che tale interpretazione non è rimessa in discussione da principi o considerazioni di diritto processuale quali il principio dispositivo, il principio di economia processuale e l’intento di promuovere la composizione amichevole delle controversie. Infatti, da un lato, una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale produce l’effetto di trasferire il controllo della controversia al convenuto, in quanto il ricorrente, in caso di ottemperanza del convenuto al versamento del risarcimento richiesto, non può più ottenere una pronuncia del giudice adito sulla causa della propria domanda né può opporsi all’estinzione del procedimento avviato di propria iniziativa. Dall’altro lato, un giudice nazionale non violerebbe in alcun modo il principio dispositivo se, nonostante l’ottemperanza del convenuto al versamento del risarcimento richiesto dal ricorrente, esso esaminasse la sussistenza o meno della discriminazione lamentata da quest’ultimo, poiché tale esame verte sulla causa della pretesa risarcitoria, la quale rientra nell’oggetto della controversia.

Infine, in quarto luogo, la Corte rammenta che il diritto dell’Unione non obbliga, in linea di principio, gli Stati membri ad istituire, per salvaguardare i diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, mezzi d’impugnazione, esperibili dinanzi ai giudici nazionali, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale. Tuttavia, essa rileva che, nel caso di specie, il rispetto del diritto dell’Unione non impone l’istituzione di un nuovo mezzo di ricorso, ma si limita a esigere che il giudice nazionale rifiuti di applicare la norma processuale che gli impedisce di statuire sulla sussistenza dell’asserita discriminazione, e ciò a causa dell’incompatibilità di tale norma, non solo con gli articoli 7 e 15 della direttiva 2000/43, ma anche con l’articolo 47 della Carta. Infatti, tali articoli della direttiva si limitano a concretizzare il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, quale garantito dall’articolo 47 della Carta, che è sufficiente di per sé per conferire un diritto invocabile in una controversia tra privati.


1      Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU 2000, L 180, pag. 22).