Language of document : ECLI:EU:T:2022:729

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

30 novembre 2022 (*)

«FEAGA e FEASR – Spese escluse dal finanziamento – Regime di aiuti per superficie – Rettifiche finanziarie – Nozione di “prati permanenti” – Articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (UE) n. 1307/2013 – Articolo 5, paragrafo 3, del regolamento delegato (UE) n. 499/2014»

Nella causa T‑221/21,

Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da C. Gerardis, G. Rocchitta e E. Feola, avvocati dello Stato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da P. Rossi, J. Aquilina e F. Moro, in qualità di agenti,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto, in sede di deliberazione, da H. Kanninen, presidente, N. Półtorak (relatrice) e M. Stancu, giudici,

cancelliere: E. Coulon

vista la fase scritta del procedimento, in particolare le misure di organizzazione del procedimento del 29 aprile 2022 e le risposte della Repubblica italiana e della Commissione depositate presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 13 e il 17 maggio 2022,

visto che le parti non hanno presentato domanda di fissazione dell’udienza nel termine di tre settimane decorrenti dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento e avendo deciso, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con ricorso proposto ai sensi dell’articolo 263 TFUE, la Repubblica italiana chiede l’annullamento della decisione di esecuzione (UE) 2021/261 della Commissione, del 17 febbraio 2021, che esclude dal finanziamento dell’Unione europea alcune spese sostenute dagli Stati membri a titolo del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (GU 2021, L 59, pag. 10; in prosieguo: la «decisione impugnata»), nella parte in cui tale decisione riguarda alcune spese da essa effettuate.

 Fatti

2        Mediante la decisione impugnata la Commissione europea ha applicato, sulla base dell’articolo 52 del regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 352/78, (CE) n. 165/94, (CE) n. 2799/98, (CE) n. 814/2000, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 485/2008 (GU 2013, L 347, pag. 549), alcune rettifiche forfettarie escludendo dal finanziamento dell’Unione europea alcune spese effettuate dalla Repubblica italiana a titolo dei programmi operativi cofinanziati dal FEAGA e dal FEASR. Tali rettifiche finanziarie sono le seguenti:

–        per l’indagine AA/2017/013/IT, una rettifica finanziaria forfettaria pari a EUR 67 368 272,99 (netti) riferita agli aiuti per superficie erogati nell’anno di domanda 2017 per l’esercizio finanziario 2018;

–        per l’indagine CEB/2018/057, una rettifica finanziaria forfettaria pari a EUR 72 032 377,96 (netti) per ritardi in pagamenti dovuti per l’anno 2015 ed effettuati durante l’esercizio finanziario 2017.

 Rettifica finanziaria di EUR 67 368 272,99 stabilita a seguito dellindagine AA/2017/013/IT

3        Con nota Ares(2018) 2487407, del 14 maggio 2018, la Direzione generale (DG) dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione ha comunicato alle autorità italiane i risultati dell’indagine AA/2017/013/IT, che rilevano le stesse carenze riscontrate nelle tre indagini precedenti, ossia le indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT, in materia di aiuti per superficie, riguardanti gli anni di domanda 2015 e 2016, e ha chiesto informazioni relative alle misure correttive già adottate e a quelle previste.

4        Con nota Ares(2018) 6300173, del 7 dicembre 2018, la DG dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale ha invitato le autorità italiane a partecipare a una riunione bilaterale, che ha avuto luogo il 19 dicembre 2018.

5        Con lettere dell’8 maggio, del 5 giugno, del 7 giugno e del 5 agosto 2019, le autorità italiane hanno fornito alla DG dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale le informazioni e i dati supplementari che erano stati loro richiesti, tra cui, nell’ultima di tali lettere, il calcolo del rischio finanziario per l’anno di domanda 2017, pari a EUR 27 848 824,24.

6        Con nota Ares(2019) 8545558, del 13 dicembre 2019, la DG dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale ha trasmesso alle autorità italiane una lettera di conciliazione (in prosieguo: la «lettera di conciliazione»), la quale ha concluso che il sistema nazionale di pagamenti diretti per superficie a carico del FEAGA, istituito durante l’anno di domanda 2017, presentava molteplici carenze di funzionamento, sei gruppi in particolare, per quanto riguardava segnatamente l’esecuzione di verifiche incrociate per stabilire l’ammissibilità delle parcelle dichiarate ai fini dei pagamenti diretti, l’esecuzione di un numero sufficiente di controlli in loco, l’esecuzione di controlli in loco di qualità sufficiente, il calcolo corretto dell’aiuto, comprese riduzioni e sanzioni amministrative, i controlli amministrativi sui diritti all’aiuto all’atto dell’istituzione del regime di pagamento di base e il recupero dei diritti all’aiuto.

7        Più precisamente, per quanto riguarda il quinto gruppo di carenze, la Commissione ha ribadito che l’interpretazione non corretta della nozione di «prato permanente» (in prosieguo: «PP») e della nozione di «terreno pascolabile che rientra nell’ambito delle prassi locali consolidate, qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio», adottata a livello nazionale a partire dal 2015, violava l’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune e che abroga il regolamento (CE) n. 637/2008 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 73/2009 del Consiglio (GU 2013, L 347, pag. 608), e aveva determinato una stima a sua volta non corretta della superficie massima ammissibile per tutte le parcelle di PP e, dunque, una violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato (UE) n. 640/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra il regolamento n. 1306/2013 per quanto riguarda il sistema integrato di gestione e di controllo e le condizioni per il rifiuto o la revoca di pagamenti nonché le sanzioni amministrative applicabili ai pagamenti diretti, al sostegno allo sviluppo rurale e alla condizionalità (GU 2014, L 181, pag. 48). Tale interpretazione errata aveva altresì inficiato il corretto funzionamento delle verifiche incrociate di cui agli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione (UE) n. 809/2014 della Commissione, del 17 luglio 2014, recante modalità di applicazione del regolamento n. 1306/2013 per quanto riguarda il sistema integrato di gestione e di controllo, le misure di sviluppo rurale e la condizionalità (GU 2014, L 227, pag. 69).

8        Il quinto gruppo comprendeva le carenze derivanti dall’erronea applicazione del sistema proporzionale di cui all’articolo 10 del regolamento delegato n. 640/2014. Esso riguardava altresì l’inosservanza dell’obbligo di «mantenimento» di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), ii), del regolamento n. 1307/2013, ossia l’obbligo per gli agricoltori di mantenere la superficie agricola in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione. Inoltre, detto gruppo includeva la mancata applicazione, in violazione dell’articolo 19 del regolamento delegato n. 640/2014, delle riduzioni sui pagamenti dovuti e il loro recupero per il caso in cui, a seguito dei controlli, le autorità italiane avessero diminuito le superfici massime ammissibili.

9        Alla luce di quanto precede, nella lettera di conciliazione la Commissione ha concluso che poteva essere applicata una rettifica forfettaria del 2% per l’anno di domanda 2017 a tutela dal rischio di perdite per il FEAGA. La Commissione ha indicato che l’importo complessivo che intendeva escludere dal finanziamento ammontava a EUR 67 368 272,99.

10      Il 28 gennaio 2020, in risposta alle osservazioni contenute nella lettera di conciliazione, le autorità italiane si sono rivolte all’organo di conciliazione.

11      Nella sua relazione del 13 luglio 2020, l’organo di conciliazione ha constatato che la procedura di conciliazione non era stata possibile, in particolare perché il ricorso all’epoca pendente dinanzi al Tribunale nella causa che nel frattempo ha dato origine alla sentenza del 9 marzo 2022, Italia/Commissione (T‑10/20, non pubblicata, EU:T:2022:119), affrontava proprio i punti oggetto di discussione nella presente causa, e per primo la definizione di PP adottata a livello nazionale. L’organo di conciliazione ha concluso che, in tali circostanze, non era possibile assistere la Repubblica italiana e la Commissione a trovare una soluzione accettabile per entrambe, tanto più che la rettifica proposta dalla Commissione per l’anno di domanda 2017 era una continuazione della rettifica che costituiva l’oggetto di detto ricorso.

12      Il 27 ottobre 2020, con nota Ares(2020) 6550572, la Commissione ha inviato alle autorità italiane la lettera finale, con la quale ha ribadito la propria posizione, espressa nella lettera di conciliazione, e ha fissato l’importo totale di cui si ipotizzava l’esclusione dal finanziamento in EUR 67 368 272,99 (netti) (in prosieguo: la «lettera finale»).

13      A tale proposito, in primo luogo, la Commissione ha ribadito che i risultati della presente indagine derivavano in larga parte dalle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT. In secondo luogo, ha precisato di non essere stata in grado di formulare conclusioni sul rischio finanziario con uno sforzo proporzionato, poiché nessuno dei calcoli presentati dalle autorità italiane era conforme all’articolo 12, paragrafi 2 e 4, del regolamento delegato (UE) n. 907/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra il regolamento n. 1306/2013 per quanto riguarda gli organismi pagatori e altre entità, la gestione finanziaria, la liquidazione dei conti, le garanzie e l’uso dell’euro (GU 2014, L 255, pag. 18). In terzo luogo, con specifico riguardo alla proposta delle autorità italiane di far verificare il calcolo del rischio dall’organismo di certificazione, la Commissione ha affermato che non era chiaro in che modo, nel caso di specie, il riesame dell’organismo di certificazione potesse interessare tutti i motivi specificati nella lettera di conciliazione che le avevano impedito di accettare i calcoli presentati dalle autorità italiane. In quarto luogo, la Commissione ha anche sottolineato che il compimento del piano d’azione era una condizione preliminare per la trasmissione, da parte delle autorità italiane, di un calcolo preciso del rischio.

 Rettifica finanziaria di EUR 72 032 377,96 stabilita a seguito dellindagine CEB/2018/057

14      Nel corso della 37ª riunione del Comitato dei Fondi agricoli del 22 giugno 2016, la Commissione ha informato gli Stati membri della sua intenzione di applicare, per quanto riguardava i pagamenti diretti per l’anno di domanda unico 2015, l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014, che prevede l’applicazione di una ripartizione temporale diversa da quella prevista ai paragrafi 2 e 3 di detto articolo o di tassi di riduzione inferiori o nulli qualora si verifichino condizioni di gestione particolari per talune misure o se gli Stati membri presentano giustificazioni fondate.

15      In particolare, la Commissione ha indicato che la ripartizione temporale ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 sarebbe stata applicata alle riduzioni da calcolare sui rimborsi dovuti per i pagamenti diretti dell’anno civile 2015 effettuati in ritardo tra il 1° luglio e il 15 ottobre 2016. La Commissione ha altresì precisato che si trattava di una misura eccezionale applicata in risposta alle difficoltà incontrate da alcuni Stati membri nel corso del 2015, primo anno di applicazione del nuovo regime di pagamenti diretti instaurato dalla riforma della politica agricola comune (PAC).

16      La Commissione ha poi sottolineato che il termine di pagamento prescritto dal diritto dell’Unione per i pagamenti relativi al 2015 rimaneva quello del 30 giugno 2016 e che la deroga prevista all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 sarebbe consistita nel non applicare le riduzioni nei confronti degli Stati membri che ne avessero fatto richiesta facendo riferimento alle difficoltà incontrate nel primo anno di attuazione della riforma della PAC. Essa ha inoltre chiarito, a tal proposito, che la soglia del 5% di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento delegato n. 907/2014 sarebbe stata calcolata sui pagamenti effettuati entro il 30 giugno 2016.

17      Nella stessa riunione, in risposta a una domanda della delegazione italiana, la Commissione ha affermato che il regolamento delegato n. 907/2014 non sarebbe stato modificato e che la deroga avrebbe fatto parte della decisione di liquidazione relativa alle spese annuali dell’esercizio finanziario 2016.

18      Con nota Agea(2016) 20613, del 28 luglio 2016, le autorità italiane hanno richiesto l’applicazione della deroga, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014, invocando sei particolari condizioni di gestione, connesse all’attuazione del primo anno della riforma della PAC, che avrebbero impedito agli organismi pagatori italiani di effettuare i pagamenti degli aiuti diretti entro il termine del 30 giugno 2016 e avrebbero giustificato il loro adempimento entro il 15 ottobre 2016.

19      Con nota Ares(2016) 4458122, del 17 agosto 2016, la Commissione ha dato seguito a tale richiesta, indicando che non intendeva applicare le riduzioni ai pagamenti diretti effettuati in ritardo dal 1° luglio al 15 ottobre 2016, a norma dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014. Tuttavia, con riferimento alla richiesta di utilizzo della riserva del 5% a decorrere dal 16 ottobre 2016, essa ha ricordato che il termine di pagamento regolamentare rimaneva immutato al 30 giugno 2016 e che la soglia del 5% andava calcolata, ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 2 e 3, lettera a), del regolamento delegato n. 907/2014, sulla base dei pagamenti effettuati fino a tale data.

20      Con nota Ares(2016) 7131012, del 22 dicembre 2016, la Commissione ha precisato che, per i pagamenti diretti relativi all’anno civile 2015 effettuati in ritardo tra il 1° luglio e il 15 ottobre 2016, non erano state applicate le riduzioni previste, in applicazione della flessibilità di cui all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014. Di conseguenza, l’importo di EUR 94 983 673,05 relativo alle suddette riduzioni è stato detratto dall’importo finale delle riduzioni da applicare per il periodo di riferimento. A seguito dell’applicazione della soglia del 5% e della suddetta detrazione, tale importo finale risultava essere pari a EUR 634 125,95.

21      Tali riduzioni, confermate con nota Ares(2017) 1500403, del 20 marzo 2017, sono state oggetto della decisione di esecuzione (UE) 2017/927 della Commissione, del 29 maggio 2017, sulla liquidazione dei conti degli organismi pagatori degli Stati membri relativi alle spese finanziate dal FEAGA per l’esercizio finanziario 2016 (GU 2017, L 140, pag. 25).

22      Con lettera AGRI.r.4(2017)4743945, del 31 agosto 2017, inviata ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 1306/2013, la DG dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale ha informato le autorità italiane del calcolo delle riduzioni proposte per mancato rispetto dei termini di pagamento, effettuato sulla base dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 907/2014. Le riduzioni proposte riguardavano i pagamenti diretti relativi all’anno civile 2015 effettuati in ritardo tra il 16 ottobre 2016 e il 31 luglio 2017, per quanto riguarda l’esercizio finanziario 2017, e ammontavano a EUR 59 893 498,31.

23      Con lettera Agea(2017) 74435, del 2 ottobre 2017, le autorità italiane hanno contestato l’applicazione delle riduzioni proposte. In occasione della riunione del Comitato dei Fondi agricoli del 17 novembre 2017, esse hanno espresso il loro disaccordo riguardo al calcolo delle riduzioni proposte dalla Commissione e hanno chiesto di avviare la procedura di verifica di conformità prevista all’articolo 34 del regolamento n. 1306/2013 per l’ammontare ivi indicato.

24      La procedura di verifica di conformità richiesta dalle autorità italiane è stata avviata con l’invio della lettera di risultanze del 25 maggio 2018. Con tale lettera la Commissione ha comunicato alle autorità italiane l’importo delle riduzioni da confermare e rettificare nella decisione di liquidazione per l’esercizio finanziario 2017. Tale importo – pari a EUR 93 059 323,84 – includeva l’importo delle riduzioni per l’esercizio finanziario 2017 pari a EUR 74 978 660,98, già comunicato con la nota Ares(2018) 1705733, del 28 marzo 2018, ed un ulteriore importo per altre riduzioni da applicare in relazione al superamento del massimale netto di cui al regolamento n. 1307/2013.

25      Durante la procedura di verifica di conformità, le autorità italiane e i servizi della Commissione hanno ribadito i loro argomenti, come si evince dalla relazione di sintesi. L’importo di EUR 74 978 660,98 è stato proposto per l’esclusione dal finanziamento dell’Unione per l’esercizio finanziario 2017 [decisione notificata con il numero C(2018) 3194].

 Conclusioni delle parti

26      La Repubblica italiana conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui applica a detto Stato le rettifiche finanziarie relative alle indagini di audit AA/2017/013/IT e CEB/2018/057;

–        in subordine, annullare la decisione impugnata nella parte in cui applica a detto Stato una rettifica forfettaria per un importo complessivo di EUR 67 368 272,99, stabilita a seguito dell’indagine AA/2017/013/IT, anziché una rettifica puntuale quantificata in EUR 27 848 272,26;

–        condannare la Commissione alle spese.

27      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica italiana alle spese.

 In diritto

28      A sostegno del suo ricorso, la Repubblica italiana deduce quattro motivi. I motivi dal primo al terzo riguardano la rettifica finanziaria stabilita a seguito dell’indagine AA/2017/013/IT, mentre il quarto motivo si appunta sulla rettifica finanziaria relativa all’indagine CEB/2018/057.

29      Pertanto, occorre esaminare i motivi a seconda della rettifica finanziaria alla quale rispettivamente si riferiscono.

 Sui primi tre motivi

30      Con il suo primo motivo la Repubblica italiana fa valere che la Commissione ha interpretato erroneamente le nozioni, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, di PP e di terreno pascolabile che rientra nell’ambito delle prassi locali consolidate, qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio, che sono alla base della rettifica finanziaria applicata.

31      Il secondo motivo riguarda il fatto che la Commissione avrebbe violato l’articolo 52, paragrafo 2, del regolamento n. 1306/2013 e l’articolo 12, paragrafi 2 e 6, del regolamento delegato n. 907/2014. Infatti, la rettifica finanziaria, corrispondente al 2% delle spese, sarebbe manifestamente sproporzionata rispetto al rischio effettivo per il FEAGA e la Repubblica italiana avrebbe quantificato tale rischio in maniera puntuale come ammontante a EUR 27 848 824,24.

32      Con il terzo motivo la Repubblica italiana allega che, per quanto concerne l’applicazione della clausola generale dello «sforzo sproporzionato», la Commissione non ha rispettato l’articolo 296 TFUE e l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in quanto, da un lato, non ha motivato l’applicazione di tale clausola addotta a giustificazione della rettifica forfettaria proposta e, dall’altro, ha rifiutato di accettare i calcoli proposti dalle autorità italiane per ragioni di tempo.

33      La Commissione sostiene che il primo motivo è inoperante e, in subordine, infondato. Essa sostiene altresì che il secondo e il terzo motivo devono essere respinti.

34      Occorre esaminare il carattere operante del primo motivo e poi, eventualmente, la sua fondatezza.

 Sul carattere operante del primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013

35      La Commissione fa valere che il primo motivo è inoperante, in quanto non consente di per sé di concludere che la rettifica finanziaria di EUR 67 368 272,99 (netti) relativa agli aiuti per superficie erogati alla Repubblica italiana nell’anno di domanda 2017 sia illegittima. Anche ipotizzando, quod non, secondo la Commissione, che il motivo sia fondato, la rettifica in esame sarebbe comunque giustificata dalle molteplici carenze che hanno inciso sul funzionamento di sei controlli essenziali indipendentemente della definizione di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013. La Commissione afferma infatti che la rettifica forfettaria del 2% è la minima possibile conformemente all’articolo 12, paragrafo 8, del regolamento delegato n. 907/2014. Pertanto, a meno che la Repubblica italiana, oltre a giustificare la fondatezza del suo primo motivo, non riesca a calcolare con precisione il rischio massimo di perdita derivante dalle rimanenti carenze, di cui non contesta l’esistenza, la rettifica del 2% resterebbe valida.

36      La Repubblica italiana contesta le allegazioni della Commissione relative al carattere inoperante del primo motivo.

37      In via preliminare, in ordine alla prima rettifica finanziaria menzionata al punto 2 supra, occorre ricordare che la Commissione, ritenendo che fosse impossibile determinare le spese effettuate in maniera «incorretta» dalla Repubblica italiana o verificare tutte le spese che potevano essere state effettuate in maniera irregolare da quest’ultima durante l’anno di domanda 2017, si è orientata verso una rettifica di tipo forfettario e ha applicato un tasso di correzione pari al 2% dell’importo degli aiuti per superficie concessi alla Repubblica italiana nel corso dell’anno in questione. Tale rettifica forfettaria dovrebbe coprire il rischio di perdita finanziaria per il FEAGA risultante dalle carenze o dalle insufficienze rivelate dalle indagini condotte dalla Commissione per quanto riguarda sei controlli essenziali. In effetti, dalla relazione di sintesi e dalla lettera di conciliazione risulta che la Commissione ha individuato sei controlli essenziali che presentavano carenze (v. punto 6 supra).

38      Dalla lettera di conciliazione emerge che tali carenze derivano, in sostanza, dalla non corretta registrazione dei PP nel sistema di identificazione delle parcelle agricole (SIPA), che a livello dei controlli amministrativi ha dato luogo alle stesse carenze riscontrate negli anni di domanda 2015 e 2016.

39      Occorre inoltre rilevare che, nella relazione di sintesi, che riprende la posizione della Commissione, quest’ultima ha precisato che le carenze in questione hanno portato a una valutazione errata di tutte le parcelle identificate come PP in violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 640/2014 e che ciò ha avuto un’incidenza sulle verifiche incrociate previste dagli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione n. 809/2014 nonché sulla regolarità dei pagamenti, ivi compresa l’applicazione di sanzioni agli agricoltori che avevano dichiarato parcelle qualificate come PP. Nella suddetta relazione la Commissione ha altresì indicato che, nella misura in cui la regolarità dei pagamenti aveva avuto un impatto sulla fissazione del valore iniziale unitario dei diritti al pagamento per tutti gli agricoltori, occorreva ritenere che anche gli agricoltori che non avevano dichiarato parcelle qualificate come PP dovessero essere presi in considerazione e che, pertanto, l’attuazione, da parte delle autorità italiane, dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1307/2013 fosse anch’essa insufficiente. Risulta dunque dalla relazione di sintesi che, per le carenze relative alla nozione di PP, la popolazione a rischio era costituita da tutti gli agricoltori e che l’erronea attuazione delle disposizioni sopra citate aveva portato a un calcolo erroneo del «tasso di convergenza» sin dall’inizio e aveva avuto un’incidenza sulla regolarità dei pagamenti.

40      Fornite queste precisazioni, occorre esaminare gli argomenti della Commissione secondo cui, anche supponendo che il primo motivo sia fondato, la rettifica forfettaria in questione continuerebbe a essere giustificata in virtù dell’incidenza dei gruppi di carenze diverse da quelle contemplate dal primo motivo, che è connesso alla definizione della nozione di PP. Nelle sue osservazioni del 17 maggio 2022, per quanto riguarda l’incidenza, nella presente causa, della sentenza del 9 marzo 2022, Italia/Commissione (T‑10/20, non pubblicata, EU:T:2022:119), sulla quale la Repubblica italiana e la Commissione, mediante una misura di organizzazione del procedimento, sono state invitate a pronunciarsi, la Commissione ha ribadito che talune delle carenze constatate erano indipendenti dalla nozione di PP. Queste darebbero luogo a rischi finanziari per il FEAGA indipendenti che riguarderebbero l’intera popolazione che ha beneficiato dei pagamenti diretti connessi agli aiuti per i terreni ammissibili eseguiti in Italia nell’anno di domanda 2017, di modo che ciascun gruppo di carenze giustificherebbe il mantenimento della rettifica finanziaria forfettaria del 2%.

41      A questo proposito, in primo luogo, come risulta dalla relazione dell’organo di conciliazione, sono state in particolare le divergenze di interpretazione tra la Repubblica italiana e la Commissione in merito alla nozione di PP adottata a livello nazionale, sollevate dalla causa che ha dato origine alla sentenza del 9 marzo 2022, Italia/Commissione (T‑10/20, non pubblicata, EU:T:2022:119), e che si inserivano nel solco delle indagini per gli anni di domanda dal 2014 al 2016, ad ostacolare una fruttuosa conclusione della procedura di conciliazione e, dunque, l’applicazione di una rettifica finanziaria differente dalla rettifica forfettaria proposta dalla Commissione, per quanto riguarda sia la procedura relativa agli anni 2015 e 2016 che quella relativa al presente caso.

42      Inoltre, risulta tanto dalla relazione di sintesi quanto dalla lettera finale che, come giustamente evidenziato dalla Repubblica italiana, l’interpretazione della nozione di PP ha inciso sulle valutazioni della Commissione, nella misura in cui quest’ultima ha ritenuto che le autorità italiane non avessero corretto le irregolarità relative alla registrazione dei PP nel SIPA, al sistema di controlli, alla fissazione dei diritti di aiuto agli agricoltori nonché alla presentazione di calcoli conformi all’articolo 12 del regolamento delegato n. 907/2014. Ciò l’ha portata a concludere che, alla luce di tutte le irregolarità constatate, comprese quelle attinenti alla nozione di PP, essa non era in grado di calcolare l’importo esatto del rischio finanziario per il FEAGA e, pertanto, non poteva applicare una rettifica puntuale in luogo di una rettifica forfettaria.

43      In secondo luogo, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, dalla giurisprudenza risulta che l’applicazione di una rettifica forfettaria fondata su un insieme di irregolarità, una delle quali deriva tuttavia da un’interpretazione erronea, può ben comportare l’annullamento integrale della rettifica qualora tale interpretazione erronea abbia potuto incidere sulla valutazione della Commissione relativa alle altre carenze constatate [v., in tal senso, sentenza del 13 febbraio 2020, Grecia/Commissione (Pascoli permanenti), C‑252/18 P, EU:C:2020:95, punti 94 e 95]. La circostanza che la giurisprudenza citata si riferisca ad aliquote del 25 o del 10%, mentre nel caso presente l’aliquota di rettifica finanziaria è la più bassa possibile, non esclude che il principio derivante da tale giurisprudenza possa applicarsi nella specie, purché siano soddisfatte le condizioni ivi stabilite.

44      Infatti, la Repubblica italiana ha quantificato con precisione il rischio massimo per il FEAGA e ha progressivamente adattato i propri calcoli alle osservazioni della Commissione. Essa ha indicato, in particolare, che la rettifica puntuale ammontava a EUR 27 848 824,24 e che la quantificazione presentata per ogni carenza consentiva di calcolare in modo esatto l’importo relativo all’inadempienza riguardante la nozione di PP e di detrarlo dall’importo totale. Dai calcoli presentati risulta che la detrazione dell’importo relativo alle carenze riguardanti la nozione di PP dall’intero importo della rettifica finanziaria comporterebbe una perdita finanziaria molto inferiore per la Repubblica italiana rispetto a quella derivante dall’applicazione della rettifica forfettaria del 2% proposta dalla Commissione.

45      In terzo luogo, non risulta dal fascicolo che l’aggiunta delle rettifiche finanziarie che potrebbero derivare dalle ulteriori carenze identificate dalla Commissione, diverse da quelle attinenti alla definizione di PP, condurrebbe necessariamente a un importo maggiore o uguale a quello calcolato per l’inadempienza relativa ai PP. Da un lato, il gruppo di carenze concernente l’esattezza della registrazione nel SIPA della superficie massima ammissibile è strettamente legato alla corretta determinazione dei PP. Infatti, la Commissione ha chiaramente indicato che la valutazione erronea dei PP implicava una violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 640/2014 ed aveva avuto un’incidenza sulle verifiche incrociate previste dagli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione n. 809/2014 nonché sulla regolarità dei pagamenti, ivi compresa l’applicazione di sanzioni agli agricoltori che avevano dichiarato parcelle qualificate come PP. Dall’altro lato, anche qualora ogni carenza comporti rischi indipendenti per il FEAGA e i calcoli proposti dalle autorità italiane si riferiscano a ciascun gruppo separatamente, come sostiene la Commissione, resta il fatto che le altre carenze, che non sarebbero collegate a quelle oggetto del primo motivo e che giustificherebbero l’applicazione di una rettifica finanziaria forfettaria del 2%, darebbero luogo a un importo di spese irregolari inferiore a quello proposto dalla Commissione, che include anche le carenze derivanti dall’applicazione della nozione di PP.

46      In quarto luogo, dalla lettera finale risulta che la Commissione ha respinto i calcoli del rischio per il FEAGA effettuati dalla Repubblica italiana a motivo del fatto che l’esame dei dati forniti da quest’ultima avrebbe richiesto uno sforzo sproporzionato, giacché tali calcoli seguivano gli stessi principi seguiti per gli anni di domanda 2015 e 2016, oggetto delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/015/IT e AA/2016/012/IT, e le autorità italiane non avevano posto rimedio alle carenze relative alla corretta registrazione dei PP nel SIPA e alla determinazione della superficie massima ammissibile dei PP. Orbene, è proprio il disaccordo tra la Commissione e la Repubblica italiana in merito alla nozione di PP che ha portato tale Stato membro a fornire, a più riprese, nuovi dati nel corso dell’intero procedimento. Ne consegue che la definizione di PP ha avuto un impatto sulla quantificazione del rischio per il FEAGA proposta dalle autorità italiane e, pertanto, sul rifiuto della Commissione di accettare quest’ultima e sulla sua decisione di applicare la rettifica forfettaria in questione.

47      Ebbene, indubbiamente, come sostiene la Commissione, il primo motivo non è diretto contro tutti i gruppi di carenze. Tuttavia, è giocoforza constatare che se il primo motivo, vertente sulla definizione delle superfici ammissibili a titolo di PP, dovesse trovare accoglimento e se la decisione impugnata dovesse essere annullata per tale ragione, la Commissione dovrebbe procedere all’eventuale riesame della decisione suddetta e ricalcolare l’importo delle spese irregolari riducendo, se necessario, l’importo della rettifica finanziaria.

48      Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, l’argomento della Commissione non può essere accolto.

 Sulla fondatezza del primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013

49      Per quanto riguarda gli aiuti per superficie concessi nel corso del 2017, la Repubblica italiana fa valere che la Commissione ha applicato in modo non corretto le nozioni di PP e, in particolare, di superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali. Essa ritiene che fosse sua facoltà quella di accettare le superfici tradizionalmente pascolate, cespugliate e arborate, in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio non siano predominanti, come superfici ammissibili a titolo di terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle prassi locali consolidate ai fini del pagamento diretto, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), seconda parte, del regolamento n. 1307/2013, invece che l’ordinaria definizione di PP che comprende le sole superfici erbose. Secondo la Repubblica italiana, la definizione contenuta all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 permetterebbe a uno Stato membro di decidere di non includere i cespugli nei PP nel computo della superficie massima a titolo di terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, quando l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti, e ciò indipendentemente dalla scelta operata per i terreni in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio non prevalgono.

50      La Repubblica italiana spiega, infatti, che proprio perché le specie foraggere arbustive e arboree hanno valore foraggero in relazione alla predominanza, o meno, delle erbe nel PP, e alle specie o razze di animali che effettivamente vi pascolano, essa ha deciso di non considerare i cespugli e gli alberi, laddove l’erba resta predominante, poiché il valore foraggero fornito dagli arbusti a una superficie di PP è trascurabile, prediligendo gli animali cibarsi di erba.

51      La Commissione sostiene che questo primo motivo è infondato. In particolare, a suo avviso, tale motivo è in contrasto con l’argomentazione della Repubblica italiana nei due motivi seguenti, diretti a far valere la sproporzione della rettifica forfettaria del 2%. Esso sarebbe altresì contraddittorio rispetto a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana nel corso del procedimento amministrativo con riferimento alla carenza relativa alla definizione non corretta delle superfici massime ammissibili derivante dalla incoerente nozione di PP e di terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali attuata a livello nazionale, dato che la Repubblica italiana si era impegnata a porre in essere un piano d’azione per fissare, sebbene in ritardo rispetto alla scadenza prevista, le superfici massime ammissibili all’aiuto nel SIPA, a cominciare dagli anni di domanda 2015 e 2016.

52      Inoltre, secondo la Commissione, il primo motivo è comunque infondato per il fatto che l’interpretazione suggerita dalla Repubblica italiana non è conforme alla portata letterale dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, in quanto le autorità italiane non avrebbero tenuto conto, fin dall’inizio, del fatto che il PP potrebbe comprendere altre specie, segnatamente arbustive o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti, cosicché tali elementi caratteristici non sarebbero stati considerati parte della superficie ammissibile per le superfici qualificate come PP.

53      Per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana secondo cui gli Stati membri sarebbero liberi di determinare la nozione di PP a loro più congeniale, compreso, all’occorrenza, considerarla come priva del tutto di prato effettivamente pascolabile, la Commissione sostiene che dalla nozione di PP, anche quando è allargata per ricomprendervi altre specie rispetto al prato, «segnatamente arbustive e/o arboree», discende comunque che, per essere ammissibile, una superficie deve essere effettivamente idonea a consentire l’attività di pascolo e, quindi, essere accessibile e dotata di risorse foraggere. La presenza di rocce, specchi d’acqua, ostacoli che rendono inaccessibile un’area erbosa o anche cespugliosa renderebbe la parte di area inaccessibile inammissibile ai fini del pagamento diretto e pertanto obbligherebbe uno Stato membro a detrarla dal SIPA. Inoltre, il fatto che l’area cespugliosa sia astrattamente pascolabile non sarebbe sufficiente per considerarla come adibita al pascolo perché mancherebbe l’effettiva e durevole destinazione a quello scopo.

54      La Commissione aggiunge che a uno Stato membro non è consentito disattendere le definizioni comuni fissate dal diritto dell’Unione, in quanto ciò comporterebbe la possibilità di accordare pagamenti ai propri agricoltori in modo discriminatorio rispetto a quanto è consentito in altri Stati membri. È per questo che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, la nozione di PP può comprendere, per estensione, anche specie non erbacee, segnatamente arbustive o arboree, sempre che possano effettivamente essere utilizzate per il pascolo, se l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti sulla superficie in oggetto. Tali condizioni, comuni a tutti gli Stati membri, non sarebbero state osservate dalle autorità italiane, sin dal primo anno di domanda a partire dal quale l’estensione doveva essere attuata.

55      Inoltre, la Commissione precisa che i calcoli presentati dalle autorità italiane erano inaffidabili, in quanto non rispettavano i criteri e le metodologie applicabili, conformemente all’articolo 12, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014.

56      Dalla relazione di sintesi, che riprende i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione, nonché dal contenuto della lettera finale, risulta che, secondo tale istituzione, le autorità italiane non hanno adottato misure appropriate al fine di porre rimedio alle carenze accertate a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/015/IT e AA/2016/012/IT, in particolare per quanto riguarda la registrazione dei PP nel SIPA ai fini della determinazione delle parcelle ammissibili all’aiuto diretto, contemplate all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013. La relazione di sintesi espone, inoltre, che i dati presentati per l’anno di domanda 2017 seguono lo stesso approccio utilizzato per gli anni di domanda 2015 e 2016.

57      Più precisamente, per quanto riguarda il quinto gruppo di carenze, oggetto degli argomenti sollevati nel primo motivo, la Commissione ritiene che le autorità italiane non abbiano corretto la definizione della nozione di PP adottata a livello nazionale. Orbene, dalla relazione dell’organo di conciliazione risulta che la nozione in questione era già oggetto della rettifica stabilita per gli anni di domanda 2015 e 2016, contestata nell’ambito del ricorso nella causa che ha dato origine alla sentenza del 9 marzo 2022, Italia/Commissione (T‑10/20, non pubblicata, EU:T:2022:119).

58      Infatti, in applicazione dell’articolo 7, comma 9, del decreto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali del 18 novembre 2014 – Disposizioni nazionali di applicazione del [regolamento n. 1307/2013] (GURI n. 295, del 20 dicembre 2014, pag. 1; in prosieguo: il «decreto ministeriale del 18 novembre 2014»), come modificato dall’articolo 2, comma 6, del decreto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali del 12 maggio 2015 – Ulteriori disposizioni relative alla gestione della PAC 2014-2020 (GURI n. 144, del 24 giugno 2015, pag. 8), la Repubblica italiana ha indicato due tipologie di superfici nelle notifiche del sistema di informazione sui mercati agricoli, ossia:

–        il pascolo cespugliato e arborato tipo macchia mediterranea che, unitamente all’erba, costituisce una copertura foraggera superiore al 50%. La Repubblica italiana ha peraltro precisato, per tali superfici, che nel sistema zootecnico italiano le aree a pascolo arborato e cespugliato (in cui alberi e cespugli coprono la parte prevalente della superficie) costituiscono una risorsa importante per l’alimentazione del bestiame;

–        gli altri pascoli, ossia i pascoli tradizionali in cui la copertura di erba e altre piante erbacee da foraggio, unitamente alle piante foraggere non pascolate, non supera il 50%.

59      Ne consegue che la Repubblica italiana avrebbe incluso, tra le superfici di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, le superfici sulle quali sono svolte le pratiche locali tradizionali in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio non sono tradizionalmente predominanti, ma non avrebbe incluso nelle superfici di PP altre specie come quelle arbustive o arboree. La Commissione contesta pertanto l’applicazione coerente e uniforme della disposizione sopra citata, da parte delle autorità italiane, che le avrebbe portate a considerare ammissibili anche superfici inaccessibili, che non potevano dunque essere considerate come tradizionalmente utilizzate a scopo di pascolo, cosa che dimostrerebbe che i controlli di ammissibilità realizzati dalle autorità italiane non sono stati efficaci.

60      Nel caso di specie, occorre verificare se l’interpretazione e l’attuazione, da parte delle autorità italiane, dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 abbiano dato luogo, come sostiene la Commissione, all’erronea registrazione dei PP nel SIPA con conseguente errata identificazione della superficie massima ammissibile e carenze nei controlli amministrativi sui diritti all’aiuto, al momento dell’introduzione del regime di pagamento di base.

61      L’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1307/2013 era così formulato:

«1.      Ai fini del presente regolamento si intende per:

(…)

h)      “prato permanente e pascolo permanente” (congiuntamente denominati ’prato permanente’): terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda da cinque anni o più; può comprendere altre specie, segnatamente arbustive e/o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti, nonché, ove gli Stati membri decidano in tal senso, terreno pascolabile che rientra nell’ambito delle prassi locali consolidate, qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio; (...)».

62      Nella sentenza del 9 settembre 2020, Grecia/Commissione (T‑46/19, non pubblicata, EU:T:2020:396, punto 51), il Tribunale ha statuito che risultava dal tenore letterale dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 che tre categorie di terreni potevano, ai fini delle misure di aiuto connesse alla superficie, essere qualificate come PP:

–        i terreni dedicati alla produzione di erba o di altre piante erbacee da foraggio;

–        i terreni in cui sono presenti altre specie idonee al pascolo, segnatamente arbustive e/o arboree, purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti;

–        ove gli Stati membri decidano in tal senso, i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, nei quali l’erba e le altre piante erbacee da foraggio non siano tradizionalmente predominanti.

63      Il Tribunale ha altresì precisato che la terza ipotesi prevista dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 sanciva, a fianco del criterio fondato sul tipo di vegetazione e corrispondentemente alla valutazione compiuta dalla Corte nella causa decisa dalla sentenza del 15 maggio 2019, Grecia/Commissione (C‑341/17 P, EU:C:2019:409), il criterio dell’utilizzazione effettiva del terreno ai fini della sua qualificazione come PP, sempre che concretamente idoneo al pascolo e rientrante nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, nel quale l’erba e le altre piante erbacee da foraggio non siano tradizionalmente predominanti (sentenza del 9 settembre 2020, Grecia/Commissione, T‑46/19, non pubblicata, EU:T:2020:396, punto 55).

64      L’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1307/2013 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri:

a)      stabiliscono i criteri che gli agricoltori devono soddisfare perché sia rispettato l’obbligo di mantenere una superficie agricola in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto ii);

b)      se applicabile in uno Stato membro, definiscono le attività minime da svolgere sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato che le rende idonee al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto iii);

(…)

Gli Stati membri possono decidere che debbano essere considerat[i] prato permanente ai sensi del paragrafo 1, lettera h), i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio».

65      L’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1307/2013 precisa quanto segue:

«Per assicurare la certezza del diritto alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 70 che stabiliscano:

a)      il quadro all’interno del quale gli Stati membri devono stabilire i criteri che gli agricoltori sono tenuti a soddisfare al fine di rispettare l’obbligo di mantenere una superficie agricola in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto ii);

b)      il quadro all’interno del quale gli Stati membri definiscono le attività minime da svolgere sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto iii);

c)      i criteri per determinare la predominanza dell’erba e delle altre piante erbacee da foraggio e i criteri per determinare le pratiche locali consolidate di cui al paragrafo 1, lettera h)».

66      A termini del considerando 7 del regolamento delegato (UE) n. 639/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra il regolamento n. 1307/2013 e modifica l’allegato X di tale regolamento (GU 2014, L 181, pag. 1), «[p]er ragioni ambientali, la definizione di [PP] di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (...) n. 1307/2013 comprende anche specie non erbacee, segnatamente arbustive e/o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo, purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti sulla superficie in oggetto» ed «[è] pertanto necessario un criterio per stabilire in quali casi l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti». Al considerando 8 del regolamento delegato n. 639/2014 è indicato che la definizione dei PP, contenuta nell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, «permette agli Stati membri di considerare [PP] anche i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, qualora sulle superfici destinate al pascolo non siano tradizionalmente predominanti l’erba e le altre piante erbacee da foraggio», e che «[a] tale scopo è necessario stabilire i criteri in base ai quali possono essere definite tali pratiche locali tradizionali». Il considerando 9 del regolamento delegato n. 639/2014 riprende il contenuto dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1307/2013, secondo il quale gli Stati membri possono considerare PP i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, qualora sulle superfici destinate al pascolo non siano tradizionalmente predominanti l’erba e le altre piante erbacee da foraggio.

67      La sezione 2 del capo 1 del regolamento delegato n. 639/2014 contiene disposizioni relative alle definizioni del regolamento n. 1307/2013. Più precisamente, l’articolo 4 del regolamento delegato n. 639/2014 definisce i criteri relativi al mantenimento della superficie agricola in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione. L’articolo 5 di detto regolamento definisce le attività minime da svolgere sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione. L’articolo 6 del medesimo regolamento precisa che, ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, «si considera che l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti se coprono più del 50% della superficie ammissibile a livello della parcella agricola ai sensi dell’articolo 67, paragrafo 4, lettera a), del regolamento (...) n. 1306/2013».

68      L’articolo 7 del regolamento delegato n. 639/2014 prevede quanto segue:

«Ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (...) n. 1307/2013, le pratiche locali tradizionali sono le seguenti o una combinazione delle seguenti:

a)      pratiche per superfici destinate al pascolo, che hanno carattere tradizionale e sono comunemente applicate in tali superfici;

b)      pratiche importanti per la conservazione degli habitat elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE del Consiglio e dei biotopi e habitat di cui alla direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio».

69      Infine, l’articolo 8 del regolamento delegato n. 639/2014 precisa che, quando applicano l’articolo 32, paragrafo 5, del regolamento n. 1307/2013 per i PP pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio, gli Stati membri possono distinguere tra diverse categorie di superfici in modo da applicare coefficienti di riduzione diversi secondo le categorie.

70      In applicazione del regolamento n. 1307/2013, la Repubblica italiana ha adottato il decreto ministeriale del 18 novembre 2014, il quale prevede, al suo articolo 2, segnatamente quanto segue:

«1.      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento (...) n. 1307/2013 e fatte salve le altre definizioni stabilite nei regolamenti dell’Unione europea richiamati in premessa, si intende per: (...)

d)      [PP]: le superfici di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (...) n. 1307/2013, comprese le superfici sulle quali sono svolte le pratiche locali tradizionali di cui all’articolo 7 del regolamento (...) n. 639/2014 che sono individuate, dall’organismo di coordinamento di cui all’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento (…) 1306/2013, nel [SIPA], su indicazione, da parte della Regione o Provincia autonoma competente, dei relativi estremi catastali; (…)».

71      Nelle sue memorie, la Repubblica italiana fa valere che essa ha dunque scelto di includere, tra le superfici rientranti nella nozione di PP, i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali. Per contro, essa non si è avvalsa della possibilità prevista dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 di includere, tra tali superfici, altre specie, segnatamente arbustive o arboree, quando la copertura erbosa è predominante.

72      Nel caso di specie, occorre constatare che sia il tenore letterale dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 (v. punto 61 supra), sia la giurisprudenza citata ai punti 62 e 63 supra riconoscono agli Stati membri la facoltà, e non l’obbligo, di considerare PP, oltre al «terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda da cinque anni o più», da un lato, i terreni contenenti altre specie, segnatamente arbustive o arboree, idonee al pascolo, precisando che tale facoltà è riconosciuta «purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti», vale a dire coprano più del 50% della superficie, e, dall’altro lato, i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali.

73      Pertanto, il regolamento n. 1307/2013 permette di distinguere due grandi categorie di superfici ammissibili come PP, ossia quelle in cui la copertura erbosa è predominante e quelle tradizionalmente idonee al pascolo, in cui la copertura erbosa non è predominante.

74      La distinzione tra due grandi categorie di superfici ammissibili come PP, indicate al punto 73 supra, è coerente, peraltro, con gli studi presentati dalla Repubblica italiana, che non sono stati contestati né contraddetti dalla Commissione e che indicano che il valore foraggero delle specie arbustive e arboree idonee al pascolo varia in funzione della presenza predominante o meno dell’erba nei PP, nonché delle specie (o razze) di animali che effettivamente le pascolano. Più precisamente, risulta dai suddetti studi che, quando l’erba resta predominante, il valore foraggero fornito dagli arbusti a una superficie di PP è trascurabile, prediligendo gli animali cibarsi di erba. Per contro, come chiarito dalla Repubblica italiana, le superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali si differenziano profondamente dai prati-pascoli «normali» (e anche dai pascoli con arbusti e cespugli in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti), per il fatto che essi sono costituiti principalmente da formazioni vegetali naturali o semi-naturali che, per determinate situazioni regionali o locali, rappresentano, storicamente e tradizionalmente, la principale risorsa dell’alimentazione di una tipologia di bestiame adatto a particolari sistemi di allevamento estensivi o bradi.

75      Inoltre, risulta dalla normativa dell’Unione, menzionata al punto 69 supra, che gli Stati membri possono stabilire una distinzione tra le diverse categorie di superfici al fine di applicare diversi coefficienti di riduzione alle categorie interessate. Ne consegue che la possibilità di trattare in maniera differente superfici presentanti caratteristiche differenti non si pone in contrasto con la normativa dell’Unione. Infatti, il diritto dell’Unione autorizza gli Stati membri a tener conto delle specificità locali e a considerare che, in alcune regioni, in cui le pratiche di pascolo delle superfici hanno carattere tradizionale e sono comunemente applicate o, comunque, sono essenziali per la conservazione degli habitat elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU 1992, L 206, pag. 7), nonché dei biotopi e habitat previsti dalla direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU 2010, L 20, pag. 7), le superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali sono incluse, a titolo dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, tra le superfici ammissibili quali PP.

76      Per giunta, come è stato sottolineato dalle autorità italiane, gli stessi servizi della Commissione, interpellati da uno Stato membro, la Repubblica federale di Germania, in merito ai criteri da seguire per determinare le specie arbustive e arboree foraggere da includere nella definizione di PP ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, hanno precisato, nella nota Ares (2014) 2030308, che spettava agli Stati membri stabilire se alcune specie di arbusti o alberi presenti sulle superfici fornissero un valore foraggero ai PP, tenendo conto anche delle specie animali effettivamente al pascolo.

77      A tale titolo, le autorità italiane hanno indicato che, in sette Regioni (Puglia, Sicilia, Sardegna, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Campania e Basilicata), le specie arbustive e arboree pascolabili sono considerate ammissibili quando viene effettuata la fotointerpretazione e si valutano le percentuali di riduzione proporzionale con visite speditive in campo e controlli in loco fisici.

78      Oltre a ciò, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la definizione della nozione di PP applicata dalle autorità italiane non ha come effetto di includere tra le superfici rientranti nell’ambito di tale nozione le rocce, gli specchi d’acqua e gli ostacoli che impediscono l’accesso a una zona erbosa, o anche cespugliosa, che può in teoria essere dedicata al pascolo. In altri termini, la definizione della nozione di PP applicata dalle autorità italiane non vale a rendere ammissibili superfici inaccessibili. Infatti, risulta dall’articolo 10 del regolamento delegato n. 640/2014 che gli Stati membri possono applicare un sistema proporzionale che permetta loro di detrarre gli elementi non ammissibili delle superfici dei PP da dichiarare ai fini dell’aiuto, utilizzando un coefficiente di riduzione fisso, ed è proprio questo che ha fatto la Repubblica italiana all’articolo 7, comma 9, del decreto ministeriale del 18 novembre 2014, come modificato dall’articolo 2, comma 6, del decreto ministeriale del 12 maggio 2015. Pertanto, l’esistenza, su alcune superfici, di elementi inammissibili non è esclusa dalla normativa dell’Unione e non può, nel caso di specie, dimostrare che la Repubblica italiana abbia applicato in maniera erronea la definizione della nozione di PP includendo, in quest’ultima, i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali.

79      Nella misura in cui spetta agli Stati membri decidere se includere o meno, tra le superfici PP contemplate all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, le parcelle agricole comprendenti altre specie, quali arbusti o alberi, purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti, oppure le superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, la Commissione non può sostenere che, avendo scelto di includere soltanto tale seconda categoria, le autorità italiane abbiano violato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 o abbiano reso ammissibili superfici in origine inammissibili.

80      A tale proposito, va osservato che la Repubblica italiana ha spiegato nelle sue memorie che, per essere considerate ammissibili, le superfici individuate dovevano essere effettivamente utilizzate per il pascolo nell’anno della domanda. Infatti, l’articolo 4, comma 2, del decreto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali del 7 giugno 2018 – Disposizioni nazionali di applicazione del [regolamento n. 1307/2013] (GURI n. 165, del 18 luglio 2018, pag. 1), che riprende il contenuto di quanto precedentemente previsto dal decreto ministeriale del 18 novembre 2014, stabilisce che «[i]l pascolamento (...) è l’unica attività agricola riconosciuta ai fini dell’ammissibilità ai pagamenti diretti delle superfici sulle quali sono svolte le pratiche locali tradizionali di cui all’articolo 7, lettera a), del regolamento (...) n. 639/2014». Ne consegue che solo le aree effettivamente utilizzate per il pascolo e quindi accessibili sono incluse nella nozione di PP, con esclusione dunque di rocce, specchi d’acqua o ostacoli che rendono inaccessibile un’area erbosa o cespugliosa.

81      Pertanto, la definizione della nozione di PP applicata dalle autorità italiane non crea discriminazioni ingiustificate tra gli agricoltori, in quanto le autorità italiane si sono limitate a tener conto della specificità della superficie idonea al pascolo alla luce delle pratiche di allevamento tradizionalmente adottate in Italia. Tale approccio ha così portato a trattare in maniera simile situazioni simili e in maniera differente situazioni differenti (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2022, Italia/Commissione, T‑10/20, non pubblicata, EU:T:2022:119, punto 134).

82      Di conseguenza, la Commissione ha indebitamente concluso che la Repubblica italiana aveva applicato in modo erroneo la definizione della nozione di PP e, in particolare, di superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali a motivo del fatto che la definizione applicata dalle autorità italiane includeva superfici non comprendenti alcun prato, bensì unicamente arbusti inaccessibili, e che tali superfici, in ragione della loro inaccessibilità, non erano utilizzate tradizionalmente, e neppure occasionalmente, per far pascolare gli animali. Contrariamente a quanto afferma la Commissione, la Repubblica italiana ha adottato una normativa nazionale che, come spiegato dalle autorità italiane e come risulta dai punti 70 e 80 supra, fissa criteri di ammissibilità delle superfici, connessi segnatamente all’accessibilità di queste ultime e al loro carattere pascolabile, conformi ai requisiti imposti dalla normativa dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2022, Italia/Commissione, T‑10/20, non pubblicata, EU:T:2022:119, punto 135).

83      Ne consegue altresì che la decisione delle autorità italiane di includere le specie di arbusti o di alberi nelle superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali e di non estendere questa scelta anche ai terreni in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio sono predominanti non ha condotto a un’incoerenza nella loro attuazione, né a una quantificazione non corretta della superficie massima ammissibile per i PP e, in particolare, per i pascoli che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali.

84      La conclusione testé esposta al punto 83 non è rimessa in discussione dagli altri argomenti fatti valere dalla Commissione.

85      Contrariamente a quanto afferma la Commissione, il primo motivo non è in contraddizione con quanto sostenuto dalle autorità italiane nell’ambito del secondo e del terzo motivo, vertenti sul carattere sproporzionato della rettifica forfettaria del 2% applicata dalla Commissione.

86      Infatti, come risulta dal fascicolo e come sostenuto dalla Repubblica italiana, lo scopo delle attività di quantificazione del rischio su una base puntuale nel corso del procedimento amministrativo era quello di evitare l’applicazione della rettifica forfettaria, ed è unicamente allo scopo di seguire le indicazioni della Commissione che le autorità italiane, pur precisando di non condividerle, hanno incluso, nel calcolo del rischio finanziario, le altre inadempienze relative ai PP, insistendo sul fatto che la Commissione adottava una definizione erronea di questi ultimi e delle superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali.

87      Per quanto riguarda l’allegazione della Commissione secondo cui la Repubblica italiana non poteva, da un lato, sostenere che la definizione della nozione di superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali fosse corretta e, dall’altro, impegnarsi a mettere in campo un piano di azione inteso ad attualizzare il SIPA, occorre constatare che l’obiettivo del piano di azione era di abbandonare l’uso della particella catastale come particella di riferimento per il SIPA e di procedere a una ridefinizione globale dei metodi di verifica delle condizioni di ammissibilità del suolo. La ragione per cui le autorità italiane hanno previsto una nuova forma di rappresentazione delle superfici, più conforme al carattere oggettivo del suolo, attiene all’applicazione di nuovi metodi di rappresentazione del suolo fattasi strada nel corso del tempo. Pertanto, poiché l’obiettivo di detto piano è la ridefinizione dei metodi di verifica delle condizioni di ammissibilità del suolo, la sua adozione non implicava affatto di aderire alla nozione di PP adottata dalla Commissione, cosicché l’argomento della Commissione secondo cui la presentazione di un piano d’azione sarebbe in contrasto con il primo motivo non può essere accolto.

88      Per quanto riguarda la contraddizione che secondo la Commissione sussisterebbe tra il primo e il secondo motivo, occorre constatare che quest’ultimo motivo è stato sollevato «in ogni caso», vale a dire in via subordinata, per l’eventualità in cui il primo motivo non potesse trovare accoglimento. Inoltre, il suddetto motivo verte sulla quantificazione del rischio connesso all’insieme delle inadempienze identificate dalla Commissione, compresa quella connessa alla definizione della nozione di PP. Pertanto, non sussiste alcuna contraddizione tra i motivi in questione. L’assenza di contraddizione tra il primo e il secondo motivo implica altresì l’assenza di contraddizione tra il primo e il terzo motivo, il quale si limita a far valere la violazione dell’obbligo di motivazione e la violazione dei diritti della difesa risultante dalla mancanza di chiarimenti riguardo al carattere «sproporzionato» dello sforzo che, secondo la Commissione, avrebbe dovuto essere profuso per verificare i calcoli forniti dalle autorità italiane.

89      Tenuto conto dei suesposti rilievi, il primo motivo deve essere accolto.

90      Inoltre, come risulta dalle considerazioni sviluppate in ordine al carattere operante di questo primo motivo, l’errore compiuto dalla Commissione ha un’incidenza sull’importo della rettifica finanziaria decisa da quest’ultima. Date tali circostanze, la decisione impugnata deve essere annullata là dove prevede una rettifica finanziaria di EUR 67 368 272,99, stabilita a seguito dell’indagine AA/2017/013/IT, senza che sia necessario esaminare il secondo e il terzo motivo.

 Sul quarto motivo

91      Con il quarto motivo la Repubblica italiana fa valere che la rettifica finanziaria stabilita a seguito dell’indagine CEB/2018/057, menzionata al precedente punto 2, viola l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 nonché il principio della tutela del legittimo affidamento.

92      La Repubblica italiana allega, in sostanza, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014, che dal fatto che la Commissione avesse accettato di non applicare riduzioni per i pagamenti effettuati dal 1° luglio al 15 ottobre 2016 discenderebbe che la riserva del 5% poteva essere utilizzata solo a partire dal 16 ottobre 2016, vale a dire dal momento in cui le riduzioni dovevano essere effettivamente applicate. Per contro, i pagamenti effettuati anteriormente a tale data non potevano essere considerati tardivi, poiché rientravano nella deroga concessa in virtù della disposizione summenzionata. Essi non potevano quindi incidere sulla riserva del 5%. La Commissione avrebbe pertanto violato l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 considerando tardivi anche i pagamenti effettuati nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 15 ottobre 2016 e facendo uso della riserva del 5% già con riferimento a tali pagamenti.

93      Per quanto riguarda la violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, la Repubblica italiana sostiene che le dichiarazioni dell’ex Commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e le successive note della Commissione hanno ingenerato nelle autorità italiane un legittimo affidamento quanto alla sussistenza delle condizioni per la concessione di una proroga relativa ai pagamenti diretti riferiti al periodo dal 30 giugno al 15 ottobre 2016.

94      Infine, la Repubblica italiana sostiene che l’impostazione seguita dalle autorità italiane sarebbe confermata dal parere dell’organo di conciliazione del 13 luglio 2020, il quale attesta la mancanza di chiarezza per diversi Stati membri nonché l’assenza di una base giuridica adeguata del metodo di applicazione delle riduzioni per i ritardi nei pagamenti dovuti per l’anno 2015.

95      La Commissione contesta tali argomenti. Essa precisa peraltro che il quarto motivo deve essere considerato come dedotto esclusivamente in relazione all’importo di EUR 72 032 377,96, riguardante le sole riduzioni applicate ai pagamenti dovuti per l’anno civile 2015 ed effettuati in ritardo nel corso dell’esercizio 2017, e non in relazione all’importo di EUR 74 978 660,98 inizialmente indicato dalla Repubblica italiana.

96      Nella replica, la Repubblica italiana prende atto del chiarimento fornito dalla Commissione in merito all’importo corretto.

 Sulla prima censura del quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014

97      Con la prima censura del quarto motivo la Repubblica italiana contesta l’applicazione, da parte della Commissione, della procedura di deroga prevista all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014.

98      Come indicato ai precedenti punti da 14 a 25, la Commissione, a causa delle difficoltà incontrate da taluni Stati membri nel rispettare il termine del 30 giugno 2016, si è avvalsa della procedura di deroga prevista all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014. La non applicazione delle riduzioni di cui all’articolo 5, paragrafo 2, lettere da a) a d), di tale regolamento è stata limitata ai pagamenti tardivi relativi all’esercizio finanziario 2016, per il periodo compreso tra il luglio 2016 e il 15 ottobre 2016.

99      Per i pagamenti effettuati successivamente a tale data, la Commissione ha applicato la riduzione del 100% prevista dall’articolo 5, paragrafo 2, lettera e), del regolamento delegato n. 907/2014, considerando che si trattava di un ritardo oltre il quarto mese successivo alla scadenza, e la riserva del 5% è stata utilizzata per i pagamenti calcolati al 30 giugno 2016. Per contro, secondo le autorità italiane, poiché il termine di pagamento di cui all’articolo 75 del regolamento n. 1306/2013 era stato prorogato al 15 ottobre 2016, è quest’ultima data che avrebbe dovuto essere presa in considerazione.

100    In particolare, le autorità italiane hanno chiesto di avvalersi della procedura prevista dall’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 a causa dell’esistenza di circostanze straordinarie connesse al primo anno di attuazione della riforma della PAC. A loro avviso, l’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 comporta una proroga del termine di pagamento.

101    Ai sensi dell’articolo 75 del regolamento n. 1306/2013, i pagamenti da parte degli organismi pagatori devono essere effettuati nel periodo compreso tra il 1º dicembre e il 30 giugno dell’anno civile successivo.

102    Ai sensi dell’articolo 40 del regolamento n. 1306/2013, qualsiasi pagamento eseguito dagli organismi pagatori dopo il termine di pagamento previsto dall’articolo 75 del regolamento n. 1306/2013 comporta l’inammissibilità dei pagamenti al finanziamento dell’Unione. Pertanto, detti pagamenti non possono essere oggetto di rimborsi da parte della Commissione.

103    Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento delegato n. 907/2014, per quanto riguarda il FEAGA, in virtù delle eccezioni di cui all’articolo 40, primo comma, del regolamento n. 1306/2013 e in conformità con il principio di proporzionalità, le spese effettuate oltre i termini di pagamento prescritti sono ammissibili al finanziamento dell’Unione alle condizioni stabilite all’articolo 5, paragrafi da 2 a 6, del medesimo regolamento.

104    L’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento delegato n. 907/2014 prevede l’utilizzo di una riserva del 5%. Esso dispone che, quando le spese pagate oltre i termini rappresentano fino al 5% delle spese pagate nel rispetto dei termini, non è operata alcuna riduzione dei pagamenti mensili. Per contro, quando le spese pagate oltre i termini superano il limite del 5%, tutte le spese supplementari pagate oltre i termini sono ridotte secondo le seguenti modalità:

a)      le spese pagate nel primo mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 10%,

b)      le spese pagate nel secondo mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 25%,

c)      le spese pagate nel terzo mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 45%,

d)      le spese pagate nel quarto mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 70%,

e)      le spese pagate oltre il quarto mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 100%.

105    Pertanto, qualora le spese pagate oltre i termini superino il margine del 5%, tutte le spese supplementari pagate dopo il termine sono rimborsate agli Stati membri a titolo di spese ammissibili al finanziamento dell’Unione con una riduzione direttamente proporzionale al ritardo di pagamento. Di conseguenza, tutti i pagamenti tardivi che superano il limite del 5% sono ridotti di una certa percentuale se effettuati entro la fine del mese di ottobre dell’esercizio finanziario di cui trattasi [articolo 5, paragrafo 2, lettere da a) a d), del regolamento delegato n. 907/2014] e del 100% se effettuati dopo tale mese [articolo 5, paragrafo 2, lettera e), del regolamento delegato n. 907/2014].

106    Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014, la Commissione applica una ripartizione temporale diversa da quella prevista ai paragrafi 2 e 3 di detto regolamento o tassi di riduzione inferiori o nulli qualora si verifichino condizioni di gestione particolari per talune misure o se gli Stati membri presentano giustificazioni fondate.

107    Dal combinato disposto di tali disposizioni risulta che l’applicazione della procedura prevista all’articolo 5 del regolamento delegato n. 907/2014 si articola in tre fasi. Per prima cosa, la Commissione constata che alcuni pagamenti sono tardivi, non essendo stati effettuati prima della scadenza del 30 giugno, stabilita dall’articolo 75 del regolamento n. 1306/2013. Se le condizioni previste all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento delegato n. 907/2014 sono soddisfatte, detti pagamenti tardivi possono però ancora essere considerati ammissibili. Di conseguenza, su tali pagamenti viene calcolata la riserva del 5% e, se del caso, viene applicata una riduzione ai sensi della medesima disposizione. Infine, è a tali pagamenti tardivi ai quali è stata applicata la riserva del 5% che la Commissione può decidere di applicare l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014, che consente di derogare all’applicazione delle riduzioni previste al paragrafo 2 di tale medesima disposizione.

108    Nel caso di specie, in primo luogo, occorre rilevare che dalla relazione di sintesi risulta che, secondo la Commissione, alla luce degli argomenti dedotti dalle autorità italiane e connessi a difficoltà interne per i controlli, e conformemente al principio di proporzionalità, l’applicazione della procedura prevista all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 non era giustificata dopo il 15 ottobre 2016, ossia durante il primo anno successivo alla riforma della PAC.

109    In secondo luogo, è giocoforza constatare che detta procedura si applica alle «spese pagate oltre i termini» e che la Commissione applica una ripartizione temporale diversa da quella prevista all’articolo 5, paragrafi 2 e 3, del regolamento delegato n. 907/2014. Orbene, dalla formulazione dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 risulta che tale procedura non deroga al termine del 30 giugno previsto dall’articolo 75 del regolamento n. 1306/2013, che rimane invariato.

110    Infatti, il procedimento previsto all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 ha lo scopo di rendere ammissibili i pagamenti tardivi, ai sensi dell’articolo 75 del regolamento n. 1306/2013, che non sarebbero ammessi in forza dell’articolo 40 di detto regolamento, applicando una ripartizione temporale diversa o senza l’applicazione delle riduzioni di cui all’articolo 5, paragrafo 2, lettere da a) a e), del regolamento delegato n. 907/2014.

111    In terzo luogo, come fatto valere dalla Commissione, per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana secondo cui l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 autorizza espressamente una modifica del termine di pagamento, su richiesta motivata degli Stati membri, senza che sia necessario modificare detto regolamento, occorre rilevare che la premessa affinché detta procedura possa essere istituita è l’esistenza di pagamenti tardivi. Questa disposizione implica solo la modifica della ripartizione temporale delle riduzioni da applicare ai pagamenti tardivi. Essa consente quindi di modificare le modalità di applicazione delle riduzioni previste all’articolo 5, paragrafi 2 e 3, del medesimo regolamento e di decidere, come nel caso di specie, di non applicare alcuna riduzione per alcuni mesi di ritardo, nel senso che dette riduzioni si applicheranno solo dopo la data stabilita.

112    Per contro, l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 non consente di modificare indirettamente il termine di pagamento di cui all’articolo 75 del regolamento n. 1306/2013.

113    Pertanto, l’attuazione dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 non può comportare la proroga del termine del 30 giugno 2016 fino al 15 ottobre 2016 o l’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento delegato n. 907/2014 a partire dal 16 ottobre 2016, in modo che la riserva del 5% sia calcolata sulla base dei pagamenti effettuati a quest’ultima data.

114    Di conseguenza, occorre rilevare che la Commissione ha applicato correttamente l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014.

 Sulla seconda censura del quarto motivo, vertente sulla violazione del principio della tutela del legittimo affidamento

115    Secondo una giurisprudenza costante, il diritto di invocare il principio della tutela del legittimo affidamento spetta a qualsiasi soggetto nel quale un’istituzione dell’Unione, fornendogli precise assicurazioni, abbia fatto nascere fondate aspettative. Costituiscono assicurazioni siffatte, indipendentemente dalla forma nella quale vengano comunicate, informazioni precise, incondizionate e concordanti. Per contro, nessuno può far valere una violazione del suddetto principio in assenza delle precise assicurazioni di cui sopra. Le assicurazioni fornite devono, inoltre, essere conformi alle norme applicabili (v. sentenza del 30 giugno 2021, Italia/Commissione, T‑265/19, non pubblicata, EU:T:2021:392, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

116    In primo luogo, occorre rilevare che, durante la riunione del 22 giugno 2016, la Commissione ha evocato l’applicazione della procedura di cui all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014 e ha precisato che il termine di pagamento non era cambiato e rimaneva quindi quello fissato al 30 giugno 2016, circostanza che essa ha ribadito alle autorità italiane nella sua lettera del 17 agosto 2016, confermata da quelle del 22 dicembre 2016, del 20 marzo 2017, del 31 agosto 2017 e dell’8 novembre 2017.

117    Di conseguenza, alla luce di tali scambi, non si può ritenere che la Commissione abbia fornito assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 115. Al contrario, la Commissione ha precisato, in più occasioni, che il termine di pagamento del 30 giugno non era stato prorogato e che la procedura di deroga, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento delegato n. 907/2014, riguardava una deroga fino al 15 ottobre 2016 all’applicazione delle riduzioni previste all’articolo 5, paragrafo 2, del medesimo regolamento. Peraltro, come è stato constatato al precedente punto 114, tali assicurazioni non sarebbero state conformi alle norme applicabili.

118    In secondo luogo, al fine di dimostrare la violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, la Repubblica italiana invoca il comunicato stampa dell’agenzia nazionale «ANSA» contenente dichiarazioni dell’ex Commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. Tuttavia, occorre constatare che, in tale comunicato stampa, solo il frammento di frase «proroga dal 30 giugno al 15 ottobre» è riferito come proveniente direttamente da detto commissario, mentre è evidente che l’affermazione secondo cui tale proroga riguarderebbe il termine di esecuzione dei pagamenti diretti è una conclusione tratta dall’autore del comunicato. Ne consegue che tale comunicato non contiene né informazioni né assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, fornite da un’istituzione dell’Unione, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 115.

119    In terzo luogo, per quanto riguarda il parere dell’organo di conciliazione del 13 luglio 2020, che, secondo la Repubblica italiana, avrebbe confermato la sua posizione, occorre constatare che tale organo rileva soltanto l’esistenza di difficoltà incontrate da vari Stati membri, senza convalidare l’approccio delle autorità italiane.

120    Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, il quarto motivo deve essere respinto nella sua interezza.

 Sulle spese

121    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Nel caso di specie, poiché il ricorso è stato parzialmente accolto, costituisce equa valutazione delle circostanze di causa la decisione di condannare ciascuna parte a sopportare le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione di esecuzione (UE) 2021/261 della Commissione, del 17 febbraio 2021, che esclude dal finanziamento dell’Unione europea alcune spese sostenute dagli Stati membri a titolo del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), è annullata nella parte in cui impone alla Repubblica italiana una rettifica forfettaria del 2%, relativa agli aiuti per superficie concessi in Italia, per un ammontare di EUR 67 368 272,99 per l’anno di domanda 2017.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      La Repubblica italiana e la Commissione europea sopporteranno ciascuna le proprie spese.

Kanninen

Półtorak

Stancu

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 novembre 2022.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

M. van der Woude


*      Lingua processuale: l’italiano.