CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
VERICA TRSTENJAK
presentate il 2 giugno 2010 1(1)
Causa C‑81/09
Idryma Typou A.E.
contro
Ypourgos Typou kai Meson Mazikis Enimerosis
[domanda di pronuncia pregiudiziale, del Symvoulio tis Epikrateias (Grecia)]
«Libertà di stabilimento – Artt. 43 CE, 44, n. 2, lett. g), CE, e 48 CE – Direttiva 68/151/CEE – Libera circolazione dei capitali – Art. 56 CE – Diritto societario – Principio della limitazione della responsabilità al patrimonio societario – Traslazione della responsabilità sui soci – Responsabilità solidale di una società per azioni operante nel settore della stampa e della televisione nonché dei rispettivi azionisti per ammende irrogate a causa dell’attività della società medesima»
Indice
I – Considerazioni introduttive
II – Contesto normativo
A – Diritto comunitario
1. Diritto primario
2. Diritto derivato
a) Direttiva 68/151/CEE
b) Direttiva 89/667/CEE
B – Normativa nazionale
III – Fatti, causa principale questioni pregiudiziali
IV – Procedimento dinanzi alla Corte
V – Principali argomenti delle parti
VI – Analisi giuridica
A – Considerazioni introduttive
1. Il ravvicinamento delle legislazioni quale strumento del diritto societario europeo
2. L’oggetto della direttiva 68/151
B – Sulla questione pregiudiziale
1. Il diritto derivato quale criterio di esame
a) Applicabilità della direttiva 68/151
i) Sussistenza di una società per azioni ai sensi dell’art. 1 della direttiva 68/151
ii) Riconoscimento di una limitazione della responsabilità.
iii) Responsabilità per gli obblighi della società per azioni.
iv) Ampiezza della responsabilità della società per azioni
b) Compatibilità con la direttiva 68/151
2. Compatibilità con il diritto primario
a) Ammissibilità dell’applicazione del diritto primario
b) Libertà di stabilimento
i) Applicabilità degli artt. 43 CE e 48 CE
ii) Restrizioni alla libertà di stabilimento
– L’art. 43 CE inteso quale ampio divieto di restrizioni
– Possibilità di un limite teleologica al divieto di restrizioni
iii) Giustificazione della restrizione alla libertà di stabilimento
– La tutela di diritti fondamentali quale legittimo interesse
– Esame della proporzionalità
iv) Conclusione intermedia
c) Libera circolazione dei capitali
i) Applicabilità dell’art. 56 CE
ii) Restrizioni alla libera circolazione dei capitali
– L’art. 56 CE quale ampio divieto di restrizioni
– Possibilità di un limite teleologico al divieto di restrizioni
iii) Giustificazione
– Tutela dei diritti fondamentali quale legittimo interesse
– Esame di proporzionalità
iv) Conclusione intermedia
VII – Conclusione
I – Considerazioni introduttive
1. Il presente procedimento è scaturito da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Symvoulio tis Epikrateias greco (Consiglio di Stato; in prosieguo: il «giudice a quo») a norma dell’art. 234 CE (2), con cui è stata chiesta alla Corte di giustizia l’interpretazione della prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'art. 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (3).
2. La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Idryma Typou A.E. (in prosieguo: la «ricorrente nella causa principale»), società per azioni operante nel settore della stampa e della televisione, ed il Ypourgos Typou kai Meson Mazikis Enimerosis (Ministro per la Stampa ed i Media; in prosieguo: il «resistente nella causa principale»), controversia vertente sulla legittimità di un’ammenda irrogata alla ricorrente nella causa principale per violazione delle norme legislative e deontologiche vigenti nei confronti dei soggetti esercenti attività di radiodiffusione televisiva e che prevede la responsabilità comune e solidale della ricorrente stessa nonché dei suoi azionisti e membri del consiglio di amministrazione.
3. Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale vengono sostanzialmente sollevate, sotto il profilo giuridico, due questioni, collegate l’una con l’altra. In primo luogo, si chiede se nel diritto societario dell’Unione europea esista una nozione della forma giuridica della società per azioni sufficientemente determinata, fondata, così come previsto negli ordinamenti di numerosi Stati membri, sul principio in base al quale la responsabilità di una società di capitali è limitata al patrimonio societario. In secondo luogo, il giudice a quo chiede se il menzionato principio consenta eccezionalmente, in presenza di determinate circostanze del genere di quelle della causa principale, il superamento di tale limitazione della responsabilità. Infatti, solamente nel caso di compatibilità comunitaria di un cosiddetto «superamento della responsabilità» sarebbe possibile estendere la responsabilità della società per azioni al patrimonio dei singoli soci.
II – Contesto normativo
A – Diritto comunitario
1. Diritto primario
4. L’art. 43 CE così dispone:
«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali».
5. Il successivo art. 44 così recita:
«(1) Per analizzare la libertà di stabilimento in una determinata attività, il Consiglio, in conformità della procedura di cui all’art. 251 e previa consultazione del Comitato economico e sociale, delibera mediante direttive.
(2) Il Consiglio e la Commissione esercitano le funzioni loro attribuite in virtù delle disposizioni che precedono, in particolare: g) coordinando, nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’art. 48 secondo comma per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi».
6. A termini dell’art. 48 CE:
«Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.
Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro».
7. Ai sensi del successivo art. 56:
«(1) Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.
(2) Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».
2. Diritto derivato
a) Direttiva 68/151/CEE
8. La direttiva 68/151, applicabile ratione temporis, prevedeva, sino alla sua abrogazione per effetto della direttiva 2009/101/CE (4), entrata in vigore il 21 ottobre 2009, un coordinamento delle norme di garanzia societarie degli Stati membri ai fini della tutela degli interessi dei soci e dei terzi.
9. Dai ‘considerando’ di tale direttiva emerge, da un lato, che «il coordinamento previsto dall’art. 54, paragrafo 3, lettera g, [del Trattato istitutivo della Comunità economica europea] e dal programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento, presenta carattere d'urgenza soprattutto rispetto alle società per azioni, alle società in accomandita per azioni ed alle società a responsabilità limitata, poiché l'attività di tali società supera spesso i confini del territorio nazionale». Dall’altro, sempre nei ‘considerando’ della direttiva medesima viene sottolineato che «nei predetti settori devono adottarsi simultaneamente disposizioni comunitarie per tali società, poiché esse non offrono ai terzi altra garanzia che il patrimonio sociale».
10. L’art. 1 della detta direttiva, nel testo modificato per effetto dell’atto di adesione della Grecia, così recita (5):
«Le misure di coordinamento previste dalla presente direttiva si applicano alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative ai seguenti tipi di società:
(…)
per la Grecia:
«ανώνυμη εταιρία, εταιρία περιωρισμένης ευθύνης, ετερόρρυθμη κατά μετοχές εταιρία» (La società per azioni, la società in accomandita per azioni, la società a responsabilità limitata).
11. La direttiva 68/151 contiene tre sezioni. La prima sezione riguarda la pubblicità degli atti societari, la seconda sezione contiene disposizioni in materia di validità degli obblighi assunti dalla società e la terza sezione disciplina l’eventuale nullità della società.
b) Direttiva 89/667/CEE
12. La dodicesima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/667/CEE, in materia di diritto delle società relative alle società a responsabilità limitata con un unico socio (6), afferma nei ‘considerando’, che «occorre prevedere la creazione di uno strumento giuridico che consenta di limitare la responsabilità dell’imprenditore unico in tutta la comunità, ferme restando le disposizioni degli Stati membri che, in casi eccezionali, prescrivono la responsabilità di siffatto imprenditore per le obbligazioni dell’impresa».
B – Normativa nazionale
13. L’art. 5, n. 1, della Costituzione ellenica sancisce il diritto di tutti i cittadini di sviluppare liberamente la propria personalità e di partecipare alla vita sociale, economica e politica, nel rispetto dei diritti altrui, della Costituzione e del buon costume. Ai sensi del n. 3 del medesimo articolo, la libertà personale è inviolabile.
14. A termini dell’art. 106, n. 2, della Costituzione, l’iniziativa economica privata non può essere esercitata in danno della libertà e della dignità umana, mentre, ai sensi dell’art. 15, n. 2, della Costituzione medesima (nel testo precedente la revisione costituzionale della 2001), la radiofonia e la televisione, soggette al controllo dello Stato, garantiscono la diffusione di informazioni obiettive e il livello qualitativo delle trasmissioni.
15. La legge n. 2328/1995 disciplina l’attività televisiva privata. Ai sensi del suo art. 1, n. 9, le azioni della società per azioni che gestiscono emittenti televisive devono essere nominative. A norma del suo art. 1, n. 10, ogni società per azioni può possedere una sola licenza per la costituzione, lo stabilimento e la gestione di un’emittente televisiva o partecipare a una sola società che sia titolare di una tale licenza. La partecipazione di ciascuna persona fisica o giuridica a una società del genere non può superare il 25% del capitale azionario. I soci che detengano più del 2,5% e i membri del consiglio di amministrazione di società che richiedano o detengano una licenza di gestione di un’emittente televisiva non devono aver subito condanne per reati che comportino l’interdizione dai pubblici uffici. Per i soci vige inoltre l’obbligo di giustificare le modalità di acquisizione dei loro elementi patrimoniali, come disposto dalla relativa legge. L’art. 1, n. 11, sancisce inoltre l’incompatibilità tra la partecipazione a una società incaricata di eseguire lavori o forniture da parte dello Stato e la partecipazione a una società che gestisce un’emittente televisiva. Il n. 13 dello stesso articolo impone l’obbligo di comunicare al ministro competente ogni cessione di azioni nell’ambito di una siffatta società che superi il 2,5% del capitale azionario. L’art. 3 della legge detta le regole deontologiche cui le emittenti televisive devono conformarsi, mentre l’art. 4 commina le sanzioni amministrative per la violazione di tali regole. Per quanto riguarda, in particolare, queste sanzioni, l’art. 4, n. 3 della legge n. 2328/95 prevede che le ammende siano inflitte in solido, non soltanto alla società titolare della licenza per la costituzione e la gestione dell’emittente televisiva, ai suoi legali rappresentanti e ai membri del consiglio di amministrazione, ma anche, in solido, a tutti i soci che detengono più del 2,5% del capitale azionario.
16. La legge n. 2190/1920 contiene la disciplina generale delle società per azioni. Ai sensi del suo art. 1, la società per azioni è una «società di capitali dotata di personalità giuridica per le cui obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio».
III – Fatti, causa principale e questioni pregiudiziali
17. Con decisione 11 maggio 2001 la resistente nella causa principale infliggeva un’ammenda dell’importo di 10 000 000 di dracme alla società per azioni «Nea Tileorasi», proprietaria dell’emittente televisiva «Star Channel», in solido con i suoi soci e i membri del consiglio di amministrazione. L’ammenda veniva inflitta a seguito di una relazione dell’Ethniko Symvoulio Radiotileorasis (Consiglio nazionale per la Radiotelevisione, in prosieguo: l’«ESR»), autorità indipendente competente in materia, a causa di talune notizie diffuse nell’ambito del notiziario principale dell’emittente televisiva «Star Channel» trasmesso l’11 febbraio 2000, ritenute lesive della personalità, dell’onorabilità, della reputazione e della vita privata, nonché della presunzione di innocenza, di due cantanti e di uno stilista di moda.
18. La ricorrente nella causa principale, che è socia della società «Nea Tileorasi», adiva il giudice a quo chiedendo l’annullamento della decisione ministeriale con cui era stata inflitta l’ammenda nonché della decisione della ESR sulla quale la decisione medesima si fondava.
19. Come si desume dall’ordinanza di rinvio, il giudice a quo si è interrogato, nell’ambito di tale controversia, in ordine sia alla legittimità costituzionale sia alla compatibilità con il diritto comunitario della normativa contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95.
20. Il giudice a quo ha esaminato, da un lato, se una normativa che preveda l’irrogazione di ammende sia nei confronti della società sia, con responsabilità comune e solidale, nei confronti di una determinata categoria di azionisti, sia in linea con le disposizioni della Costituzione greca riguardanti il libero esercizio dell’attività economica. Dall’altro lato, il giudice a quo ha esaminato se la normativa controversa ricada nella sfera di applicazione della direttiva 68/151 e se risulti compatibile con l’art. 1 della medesima. A tal riguardo, i singoli membri del relativo collegio giudicante hanno sostenuto opinioni differenti.
21. Nell’ordinanza di rinvio il giudice a quo esprime inoltre dubbi in merito all’interpretazione della direttiva 68/151. Per questi motivi, il giudizio è stato sospeso e alla Corte di giustizia è stata sottoposta la seguente questione pregiudiziale:
«Se la direttiva 68/151/CEE, che all’art. 1 dispone che “[l]e misure di coordinamento previste dalla presente direttiva si applicano alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative ai seguenti tipi di società (…) per la Grecia: ανώνυμη εταιρία [società per azioni]”, osti all’introduzione di una disposizione nazionale, come l’art. 4, n. 3, della legge 2328/1995, nella parte in cui prevede che le ammende comminate ai paragrafi precedenti dello stesso articolo per il caso di violazioni della normativa vigente e della regola di deontologia che disciplinano il funzionamento delle emittenti televisive siano inflitte non soltanto alla società titolare della licenza per la costituzione e gestione dell’emittente televisiva, ma anche, in solido con essa, a tutti i soci che detengono più del 2,5% del capitale azionario.
IV – Procedimento dinanzi alla Corte
22. L’ordinanza di rinvio, datata 17 settembre 2008, è pervenuta alla cancelleria della Corte il 26 febbraio 2009.
23. Hanno presentato osservazioni scritte, entro i termini all’uopo previsti dall’art. 23 dello Statuto della Corte, la Repubblica ellenica e la Commissione.
24. All’udienza, svoltasi 11 marzo 2010, hanno svolto deduzioni orali i rappresentanti della Repubblica ellenica e della Commissione.
V – Principali argomenti delle parti
25. Il governo ellenico e la Commissione concordano, nelle loro osservazioni scritte, sul fatto che l’art. 1 della direttiva 68/151 non osti ad una normativa nazionale come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95.
26. Tanto il governo greco quanto la Commissione ritengono che la direttiva 68/151 non sia volta ad un’armonizzazione della nozione ovvero della figura della società per azioni, bensì si limiti ad enumerare i tipi di società già esistenti negli Stati membri, ai quali si applicano le disposizioni della direttiva.
27. Conseguentemente, gli Stati membri sarebbero autorizzati a creare nuovi tipi di società ovvero ad imporre alle società indicate nell’art. 1 della direttiva 68/151 nuovi obblighi. La Commissione rinvia, in questo contesto, alla direttiva 89/667, la quale, nel suo preambolo, riconosce la necessità di mantenere quelle disposizioni nazionali che, in casi eccezionali, estendono all’imprenditore unico la responsabilità per gli obblighi assunti dall’impresa e ciò in deroga allo strumento, ivi parimenti menzionato, della limitazione della responsabilità della società, strumento che, secondo la direttiva, dovrebbe essere applicato agli imprenditori unici in tutta la comunità. Sia il governo ellenico sia la Commissione giungono alla conclusione che il diritto comunitario non garantisce ai soci una liberazione dalla responsabilità per gli obblighi assunti da una società per azioni.
28. Per tuziorismo il governo ellenico fa valere che l’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95 non fa assurgere la responsabilità solidale dei soci, la cui quota azionaria superi la percentuale del 2,5%, a regola generale. Piuttosto, tale disposizione prevedrebbe l’irrogazione di ammende, in caso di violazione delle norme legislative e di categoria vigenti per l’esercizio di attività di diffusione televisiva, tanto nei confronti della società titolare dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività televisiva quanto nei confronti dei soci, atteso che questi ultimi svolgerebbero un ruolo particolare nella costituzione e nella definizione del modus operandi della società.
VI – Analisi giuridica
A – Considerazioni introduttive
1. Il ravvicinamento delle legislazioni quale strumento del diritto societario europeo
29. Il diritto societario dell’Unione europea si occupa principalmente della definizione delle condizioni di base applicabili alle imprese nazionali o europee nel mercato unico (7). La concreta configurazione di tali condizioni di base è caratterizzata dall’intento, da un lato, di realizzare un’armonizzazione delle normative societarie nazionali vigenti nei singoli Stati membri e, dall’altro, di istituire un diritto societario sovranazionale ancorato sul diritto dell’Unione primario.
30. L’intento di realizzare un ravvicinamento delle normative societarie esistenti nei singoli Stati membri si fonda su vari motivi. Un punto di collegamento centrale risiede nel principio della libertà di stabilimento, sancito dall’art. 43 CE e applicabile, a norma dell’art. 48 CE, anche alle società, in conseguenza del quale devono essere rimosse tutte le restrizioni al libero stabilimento di cittadini di uno Stato membro in un altro Stato membro (8). Proprio per le società si deve peraltro tener conto che esse possono avvalersi, di fatto, del loro diritto di libero stabilimento solamente in presenza di condizioni giuridiche di base armonizzate. Un ulteriore motivo di spinta verso l’armonizzazione delle normative risiede nel riconoscimento del fatto che le decisioni in merito all’ubicazione delle imprese dovrebbero essere prese nell’interesse dell’intera economia dell’Unione, sulla base di criteri razionali ed economici, e non in considerazione del luogo in cui le condizioni di base risultino, da un punto di vista del diritto societario, più favorevoli (9). Inoltre, il ravvicinamento delle legislazioni nazionali è diretto a garantire che le condizioni di concorrenza per le imprese nell’Unione risultino quanto più possibile uguali. Infine, l’esistenza di un contesto normativo analogo contribuisce a promuovere gli investimenti transfrontalieri ad opera di imprese e di soci a beneficio dello sviluppo economico e sociale nell’Unione.
2. L’oggetto della direttiva 68/151
31. La direttiva 68/151, emanata il 9 marzo 1968, vale a dire a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore dei Trattati di Roma, non rappresenta solamente la prima direttiva nel settore del diritto societario; essa costituisce piuttosto, in assoluto, la prima misura di ravvicinamento nel settore del diritto civile(10). Sul fondamento normativo dell’art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato CEE [art. 44, n. 2, lett. g), CE] (11) essa è volta a garantire la tutela dei terzi, in particolar modo dei soggetti contraenti della società. Questi non solo devono potersi procurare le necessarie informazioni sulla società, bensì devono anche poter fare affidamento sull’efficacia delle dichiarazioni di volontà rilasciate a nome della società nonché sulla consistenza delle società iscritte nel relativo registro (12). Come emerge dai suoi ‘considerando’ quarto e sesto, la direttiva mira, quindi, al coordinamento delle normative nazionali in materia di pubblicità di dati fondamentali riguardanti la società, validità degli obblighi assunti a nome della società e nullità della società. È pur vero che negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri fondatori sussistevano già disposizioni corrispondenti a tutela dei rapporti giuridici. Tali norme non erano però assolutamente equivalenti. In considerazione del sempre crescente sviluppo di attività transfrontaliere delle società, si presentò quindi agli Stati membri l’urgente necessità di provvedere al ravvicinamento delle normative nazionali, al fine di garantire un’uguale tutela dei rapporti giuridici in generale e dei creditori in particolare.
32. L’emanazione della direttiva fu preceduta da pluriennali trattative tra i sei Stati fondatori della allora esistente Comunità Economica europea. Con la successiva adesione degli altri Stati membri, tra i quali la Grecia nel 1981, la direttiva 68/151 è stata acquisita quale componente dell’«acquis communautaire». Con i rispettivi atti di adesione le disposizioni della direttiva, in particolare l’art. 1 relativo ai tipi di società interessate, sono state adeguate all’ampliata cerchia degli Stati membri. La menzionata disposizione della direttiva, di cui il giudice a quo chiede alla Corte l’interpretazione con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, stabilisce la sfera di applicazione ratione personae della direttiva, elencando quei tipi di società ai quali essa si applica nei singoli Stati membri. Si tratta, al riguardo, esclusivamente di società di capitali (13), vale a dire della società per azioni, della società in accomandita per azioni e della società a responsabilità limitata, le quali, a prescindere di singole differenze di configurazione dei singoli tipi di società nel diritto societario degli Stati membri, sono contraddistinte da una serie di caratteristiche comuni.
B – Sulla questione pregiudiziale
33. Una di queste caratteristiche comuni è costituita dal fatto, rilevante nella causa in esame, che la responsabilità della società per i debiti societari è limitata al capitale sociale. Lo status di debitore e la conseguente responsabilità di una società di capitali nei confronti dei creditori per i debiti societari deriva dal fatto che alla società è riconosciuta, secondo le modalità previste dalla relativa legge nazionale, capacità giuridica. Questa capacità giuridica autonoma della società fa sì che gli obblighi assunti a nome della società non costituiscano al tempo stesso obblighi dei soci. A titolo di correttivo della limitazione della responsabilità al solo patrimonio della persona giuridica è obbligatoriamente prevista, tanto per la società per azioni quanto per quella a responsabilità limitata, una dotazione di capitale sul cui versamento e mantenimento l’ordinamento vigila severamente per motivi di tutela dei creditori. Malgrado la fondamentale separazione nelle società di capitali tra il patrimonio societario e quello dei soci, nei singoli Stati membri la giurisprudenza e la legge ammettono eccezionalmente e in presenza di determinate circostanze la responsabilità personale dei soci per i debiti assunti dalla società (14).
34. Per quanto mi risulta, tale principio, a prescindere da singole differenze, è riconosciuto in tutti gli Stati membri (15). Tale principio è stato inoltre accolto nel regolamento n. 2157/2001 (16), sulla base del quale è stata creata la forma societaria sovranazionale della società per azioni europea (Societas Europaea, SE) (17). La questione se ed in quale misura il diritto comunitario consenta eccezionalmente, tenuto conto delle circostanze della fattispecie in esame, una traslazione della responsabilità sul patrimonio dei soci dovrà essere esaminata sulla base dell’interpretazione delle pertinenti disposizioni della direttiva e, in particolare, alla luce del loro tenore letterale, della loro collocazione logico ‑ sistematica nonché della loro ratio, tenendo al contempo presente il grado di armonizzazione realizzato nell’ambito del diritto societario dell’Unione.
35. Ai fini della soluzione della questione pregiudiziale occorre peraltro esaminare anzitutto se la normativa nazionale controversa ricada nella sfera di applicazione della direttiva 68/151 e, successivamente, se sia compatibile con i principi da essa imposti.
1. Il diritto derivato quale criterio di esame
a) Applicabilità della direttiva 68/151
i) Sussistenza di una società per azioni ai sensi dell’art. 1 della direttiva 68/151
36. L’art. 1 della direttiva 68/151 definisce la cerchia classica delle società di capitali in cui ricade anche la forma societaria della società per azioni, forma posseduta dalla ricorrente nella causa principale conformemente alle pertinenti disposizioni del diritto ellenico. Conseguentemente, in considerazione di tale elemento formale di collegamento ad una determinata forma societaria, la fattispecie ricade nella sfera di applicazione ratione personae della direttiva.
37. Occorre inoltre esaminare se la fattispecie ricada nella sfera di applicazione ratione materiae della direttiva 68/151. A tal fine, il principio della limitazione della responsabilità per gli obblighi della società per azioni dovrebbe essere riconosciuto nei suoi lineamenti fondamentali.
ii) Riconoscimento di una limitazione della responsabilità.
38. Il diritto azionario è divenuto oggetto di una serie di interventi normativi nell’ambito del diritto dell’Unione da cui emerge, sostanzialmente, un disegno unitario completo (18). Secondo tale disegno, la società per azioni costituisce un’entità giuridicamente indipendente ed è dotata di un capitale minimo suddiviso in azioni. Gli azionisti non rispondono dei debiti della società; per contro, a tal fine viene assicurato, per effetto di apposite disposizioni, il conferimento ed il mantenimento del capitale della società. La struttura organizzativa della società è caratterizzata da una separazione tra il livello di gestione e l’assemblea dei soci nonché, a sua volta, a livello di gestione, dalla separazione tra amministrazione e vigilanza. Ciò vale a prescindere dal fatto se, a livello di gestione, siano previsti due organi distinti (sistema dualistico) ovvero un unico organo (sistema monistico); la disciplina della società nel diritto dell’Unione offre la scelta tra i due modelli. Le azioni sono, in linea di principio, liberamente cedibili e quotabili in borsa; gli azionisti possiedono gli stessi diritti (con particolare riguardo al diritto di voto e al diritto alla corresponsione di dividendi) e obblighi (obbligo di conferimento). La contabilità è disciplinata dettagliatamente; la documentazione contabile è soggetta a revisione e a pubblicità. Norme in materia di disciplina dei gruppi di impresa sono volte a risolvere i particolari problemi delle società collegate. Questa struttura unitaria del diritto azionario è tuttora controversa tra gli Stati membri con riguardo a questioni importanti – ad esempio, per quanto attiene alla struttura degli organi di gestione – ragion per cui non sono state ancora varate relative misure di ravvicinamento.
39. Per quanto riguarda l’aspetto della limitazione della responsabilità, pertinente nella specie, si deve rilevare che la direttiva 68/151 lo riconosce chiaramente quale principio nell’ambito della disciplina della società di capitali (19). In tal senso, nel terzo ‘considerando’ della direttiva medesima il suo legislatore dichiara che le società indicate nell’art. 1 «non offrono ai terzi altra garanzia che il patrimonio sociale». Inoltre, l’art. 7 della direttiva stessa detta una disciplina che prevede la responsabilità solidale e illimitata per gli obblighi della società di persone sorti per effetto di atti compiuti in nome di una società in fieri, prima che essa acquistasse personalità giuridica. Ciò lascia parimenti desumere il riconoscimento del principio, menzionato supra, della separazione tra patrimonio societario e patrimonio dei soci. Una formulazione analoga a quella contenuta nel detto terzo ‘considerando’ si riscontra, con riferimento alla disciplina ivi contenuta, anche nella direttiva 78/660 (20), a termini della quale «per detti tipi di società si impone in questi campi un coordinamento simultaneo, dato che (…) tali società (…) offrono come tutela dei terzi soltanto il patrimonio sociale». Inoltre, anche la direttiva 89/667, menzionata dal giudice a quo e dalle parti del procedimento, muove evidentemente dalla sussistenza di un corrispondente principio, ove la limitazione di responsabilità viene definita quale «strumento giuridico» necessario in una cosiddetta società con un unico socio (21).
40. Giungo in tal modo alla conclusione che il legislatore comunitario, se è pur vero che nell’emanazione delle menzionate direttive non ha espressamente previsto la limitazione della responsabilità, si è comunque manifestamente fondato su un principio in tal senso esistente nelle normative societarie nazionali e su una corrispondente normativa comunitaria non scritta (22). Ciò non dice evidentemente nulla sul suo esatto contenuto normativo. Esaminerò tale questione in prosieguo nell’ambito dell’analisi della compatibilità della normativa controversa nazionale con la direttiva 68/151.
iii) Responsabilità per gli obblighi della società per azioni.
41. È pur vero che la direttiva 68/151 afferma una limitazione della responsabilità al solo patrimonio sociale, ma ciò vale espressamente solo per gli «obblighi» assunti dalla società, come emerge dal secondo ‘considerando’. Sorge conseguentemente la questione se ammende irrogate dallo Stato ricadano in tale nozione.
42. Secondo costante giurisprudenza della Corte (23), tanto l’applicazione uniforme del diritto comunitario quanto il principio di uguaglianza esigono che una disposizione di diritto comunitario che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell’intera Comunità, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme, ove tale interpretazione deve essere effettuata tenendo conto del contesto normativo e della ratio legis insita in tale normativa. Qualora il legislatore comunitario rinvii peraltro tacitamente, in un atto comunitario, a consuetudini vigenti nei singoli Stati membri, non compete alla Corte dare alla nozione utilizzata una definizione comunitaria unitaria (24).
43. Orbene, nella direttiva non si riscontra né una definizione di legge di tale nozione giuridica indeterminata, né risulta possibile trarne eventuali suggerimenti interpretativi. In tale contesto si deve sottolineare che il diritto societario dell’Unione europea non è volto ad un’ampia uniformazione delle normative degli Stati membri posti a disciplina delle società, bensì si è finora limitato a disciplinare, mediante un ravvicinamento attuato tramite lo strumento delle direttive, singoli aspetti del diritto societario (25), il che spiega anche l’utilizzazione dei termini «coordinare» e «rendere equivalenti» nell’art. 44, n. 2, lett.g), CE. Tali termini implicano un più ridotto grado di armonizzazione. Ciò distingue le direttive fondate sull’art. 44, n. 2, lett. g), CE da quegli atti nel diritto societario del diritto dell’Unione emanati, ad esempio, sulla base dell’art. 95 CE. La nozione di «ravvicinamento» che figura nell’art. 95 CE non deve essere, infatti, intesa in senso tecnico, in quanto comprende tanto il ravvicinamento in senso stretto quanto parimenti l’uniformazione normativa (26). A prescindere da tale considerazione, l’art. 95 CE consente non solo l’emanazione di direttive, bensì anche l’emanazione di regolamenti e di decisioni quali altre misure vincolanti ai sensi dell’art. 249 CE.
44. Inoltre, un’uniformazione normativa ha luogo, come emerge espressamente dal fondamento normativo dell’art. 44, n. 2, lett. g), CE, solamente nella misura in cui ciò risulti necessario. Tale formulazione evidenzia come il principio di sussidiarietà fosse già insito in tale disposizione prima di essere sancito dall’art. 5, n. 2, CE (27). Conseguentemente, l’azione dell’Unione presuppone che gli obiettivi delle misure considerate non possano essere sufficientemente realizzati a livello degli Stati membri e possano essere quindi meglio conseguiti, alla luce della loro ampiezza ovvero dei loro effetti, a livello dell’Unione. Sono necessarie, in considerazione del tenore letterale e della collocazione logico-sistematica dell’art. 44, n. 2, lett. g), CE nell’ambito della disciplina della libertà di stabilimento, solo quelle misure di ravvicinamento delle legislazioni volte ad eliminare effettivamente, o quanto meno a ridurre, gli ostacoli all’esercizio della libertà di stabilimento delle società determinate da differenze esistenti nel diritto societario degli Stati membri. Nella direttiva non si riscontra peraltro alcun elemento da cui emerga che il legislatore della direttiva ritenesse necessaria una disciplina in tale settore a livello dell’Unione.
45. È quindi lecito interpretare l’assenza della determinazione del contenuto della nozione di obblighi societari nel senso che il legislatore della direttiva non mirava evidentemente ad un’armonizzazione di tale nozione, bensì intendeva piuttosto lasciare agli ordinamenti nazionali spazio per un’azione normativa più dettagliata. Poiché in tale settore il legislatore della direttiva non ha esercitato la propria competenza normativa, bensì ha invece rinviato tacitamente agli ordinamenti degli Stati membri, resta precluso alla Corte dare a tale nozione una definizione comunitaria unitaria.
46. Spetterà corrispondentemente al giudice nazionale accertare, alla luce del proprio ordinamento nazionale, se ammende irrogate dallo Stato possano essere considerate quali obblighi di una società per azioni. Come emerge dall’ordinanza di rinvio, tale questione viene risolta in senso negativo dalla maggioranza dei membri del Collegio a quo. Una minoranza del Collegio medesimo risolve tuttavia la questione in senso positivo, richiamandosi alla libertà di iniziativa economica tutelata dalla Costituzione greca nonché ai principi riconosciuti nel diritto societario di tale Stato membro.
47. Qualora il giudice a quo dovesse giungere alla conclusione che le ammende non possano essere considerate, alla luce dell’ordinamento nazionale, quali obblighi per una società per azioni, nel caso di specie si dovrà ritenere che la normativa nazionale controversa non ricada nella sfera di applicazione della direttiva 68/151. La questione della compatibilità dovrebbe essere conseguentemente risolta nel senso che, in un’ipotesi di tal genere, la direttiva 68/151 non osti ad una disciplina come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95.
48. Alla luce del fatto che nell’ambito dell’ordinamento ellenico non sussiste ancora uniformità di vedute quanto a tale questione, nonché in considerazione della necessità di fornire al giudice a quo una soluzione utile alla questione pregiudiziale (28), occorrerà esaminare in prosieguo il contesto giuridico anche con riguardo all’ipotesi in cui le ammende debbano essere inquadrate quali obblighi societari con conseguente responsabilità della società per azioni e, eventualmente, traslazione eccezionale della responsabilità anche agli azionisti.
iv) Ampiezza della responsabilità della società per azioni
49. Considerato che la direttiva 68/151 non prevede nemmeno una limitazione della propria sfera di applicazione ratione materiae secondo determinate categorie di obblighi societari, bensì considera complessivamente la forma societaria della società per azioni, una disciplina come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95 ricade nella sfera di applicazione della direttiva 68/151.
b) Compatibilità con la direttiva 68/151
50. Con la questione pregiudiziale il giudice a quo chiede se l’art. 1 della direttiva 68/151 osti ad una normativa nazionale come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95. In tal modo viene necessariamente sollevata la questione della compatibilità di una siffatta normativa con il diritto comunitario, dovendosi rammentare che non compete alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, sulla compatibilità di una normativa nazionale con il diritto comunitario né interpretare il diritto nazionale. La Corte è, per contro, competente a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto comunitario che gli consentano di pronunciarsi su tale compatibilità per la definizione della causa di cui è investito (29).
51. Nel presente procedimento la Corte è quindi tenuta a limitare il suo esame fornendo un’interpretazione del diritto comunitario utile al giudice a quo, al quale spetterà la valutazione della compatibilità delle disposizioni legislative nazionali in questione con il diritto comunitario, per definire la controversia di cui è investito (30).
52. L’art. 1 della direttiva 68/151 osterebbe ad una normativa nazionale come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95 solamente qualora quest’ultima dettasse una disciplina tassativa della limitazione della responsabilità di una società per azioni escludendo, in presenza di circostanze come quelle della causa principale, una traslazione della responsabilità sui soci.
53. Come già osservato, è pur vero che nella direttiva 68/151 si riscontra il riconoscimento del principio della separazione tra patrimonio sociale e patrimonio dei soci (31), ma ciò non consente di concludere senz’altro nel senso della sussistenza di una disciplina tassativa. Come correttamente osservato dalla Commissione, la direttiva 68/151 non mira ad un’armonizzazione della forma societaria della società per azioni di per sé – quale conosciuta dagli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Come ho già avuto modo di rilevare (32), il suo fondamento normativo, costituito dall’art. 44, n. 2, lett. g), CE, se è pur volto ad un ravvicinamento delle legislazioni, non mira peraltro ad una loro uniformazione. Tale disposizione non può essere tantomeno assunta quale fondamento per la creazione di forme societarie sovranazionali. Le direttive emanate sulla base di tale disposizione del Trattato non sono volte a realizzare un’ampia disciplina del diritto societario. Esse non istituiscono un diritto uniformato, bensì armonizzano esclusivamente singoli settori lasciando agli Stati membri, con lo strumento normativo della direttiva, margini di discrezionalità. L’obiettivo delle direttive consiste nell’introdurre normative sostanzialmente equivalenti con riguardo alle disposizioni poste a tutela dei creditori e dei soci nell’Unione (33).
54. Secondo un’opinione da condividere, l’art. 1 della direttiva 68/151 si limita ad individuare, per ogni singolo Stato membro, quelle forme di società alle quali si applicano gli obblighi di pubblicità sanciti dalla direttiva 68/151. La detta disposizione non definisce determinate forme di società né si ricollega a particolari caratteristiche. Per contro, mediante una semplice elencazione, viene operato un collegamento alle forme di società già conosciute negli ordinamenti giuridici degli Stati membri (34). Non può essere quindi precluso agli Stati membri imporre, ai tipi di società ivi elencati, obblighi aggiuntivi, sempreché questi non si pongano in contrasto con la direttiva o con altre disposizioni del diritto comunitario.
55. Così, non si riscontra alcuna disposizione della direttiva che imponga agli Stati membri di prevedere, nella rispettiva normativa societaria nazionale, che la responsabilità di una società per azioni debba essere limitata al solo patrimonio societario, sebbene molti ordinamenti nazionali contengano disposizioni in tal senso (35). Ciò consente di ritenere, in conclusione, che deroghe al principio della limitazione della responsabilità previsto dal diritto comunitario siano senz’altro ammissibili. Tali deroghe non sono peraltro indicate dal legislatore comunitario stesso. Come si desume dalla direttiva 89/667, il legislatore comunitario le consente tuttavia (36), in parte esplicitamente per fattispecie chiaramente definite (ad es. art. 2, n. 2, direttiva 89/667), in parte in termini meno espliciti e aperti a formulazioni mediante clausole generali (quinto ‘considerando’: «in casi eccezionali»). Mentre l’art. 2, n. 2, della direttiva 89/667 dev’essere considerato, alla luce del suo sesto ‘considerando’, come tassativo, una deroga al principio della limitazione della responsabilità dev’essere giustificata, con richiamo ad un cosiddetto caso eccezionale ai sensi del quinto ‘considerando’, sulla base delle circostanze del caso singolo.
56. Per quanto attiene alle menzionate disposizioni, occorre tuttavia tenere presente che esse si applicano esclusivamente alle società con un socio unico. Per contro, nessuna analoga disciplina si riscontra nella direttiva 68/151, applicabile al caso in esame. Tantomeno si riscontrano fattispecie di carattere eccezionale che consentano il superamento della limitazione della responsabilità per i motivi indicati dal governo greco. A parere di quest’ultimo, la normativa nazionale controversa sarebbe giustificata da motivi di interesse pubblico e sociale. La sanzione de qua, concepita come limitazione all’attività economica dei soci, risulterebbe giustificata sulla base del rilievo che i soci, in considerazione della loro partecipazione all’assemblea e alla loro nomina negli organi amministrativi della società, sarebbero in grado di vigilare sull’osservanza delle norme di legge e deontologiche applicabili alla gestione di emittenti televisive (37).
57. In assenza di una disciplina espressa nella direttiva 68/151, competente a disporre, in via eccezionale, il superamento della limitazione della responsabilità delle società per azioni per i motivi sopra indicati, è il singolo legislatore nazionale (38). Dall’assenza di un’armonizzazione consegue che compete fondamentalmente agli Stati membri stabilire, a loro discrezione, in qual misura attuare la tutela dell’interesse di cui trattasi mediante il superamento del principio della limitazione della responsabilità della società per azioni.
58. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre risolvere la questione pregiudiziale nel senso che la direttiva 68/151 non osta ad una normativa nazionale come quella risultante dall’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/1995, per effetto della quale le ammende, previste nei precedenti commi dell’articolo medesimo per violazioni delle norme legislative e deontologiche applicabili all’esercizio di attività di radiodiffusione televisiva, possono essere irrogate, congiuntamente e solidalmente, non solo nei confronti della società, titolare dell’autorizzazione alla costituzione e all’esercizio dell’emittente televisiva, bensì anche nei confronti di tutti gli azionisti titolari di una quota azionaria superiore al 2,5%.
2. Compatibilità con il diritto primario
a) Ammissibilità dell’applicazione del diritto primario
59. Come già rilevato, il potere generale del legislatore del singolo Stato membro di imporre ai tipi di società indicati nell’art. 1 della direttiva 68/151 obblighi aggiuntivi è limitato da altri vincoli posti dal diritto comunitario (39), dovendosi far riferimento, inter alia, alle disposizioni di diritto primario relative alla libertà di stabilimento (40). In primo luogo, le direttive supra menzionate sono appunto intese quale supporto alla realizzazione di tale libertà fondamentale, come emerge espressamente dall’art. 44, n. 1, CE. In secondo luogo, nella sentenza Daihatsu (41), vertente sull’interpretazione della direttiva 68/151, la Corte ha precisato che l’art. 44, n. 2, lett. g), CE dev’essere letto nel combinato con altre disposizioni del diritto primario (42).
60. Sebbene nella questione pregiudiziale non si riscontri la richiesta espressa di interpretazione di tale disposizione, nell’ordinanza di rinvio il giudice a quo vi fa riferimento in varie riprese (43), dal che si può desumere che egli è consapevole della rilevanza di tale disposizione ai fini della decisione del giudizio dinanzi ad esso pendente. Anche la Commissione si è brevemente espressa, nella propria memoria, in ordine alla questione della compatibilità della normativa nazionale controversa con gli artt. 43 CE e 48 CE.
61. A tal riguardo occorre ricordare che spetta alla Corte fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione del diritto comunitario che possono risultare utili ai fini della soluzione della causa dinanzi ad esso pendente, indipendentemente dal fatto che il detto giudice vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni (44). Alla luce degli effetti che la decisione pregiudiziale produrrà nell’ambito dell’ordinamento ellenico, mi sembra indispensabile, nell’ambito dell’esame nella presente causa, prendere in considerazione le menzionate disposizioni.
b) Libertà di stabilimento
i) Applicabilità degli artt. 43 CE e 48 CE
62. La libertà di stabilimento ricomprende, a termini dell’art. 43, secondo comma, CE, l’accesso e l’esercizio di attività di lavoro autonomo nonché la costituzione e la gestione di imprese e, in particolare, di società ai sensi dell’art. 48, n. 2, CE, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini. Nella sfera di applicazione ratione personae di tale libertà fondamentale ricadono, quindi, principalmente gli imprenditori.
63. Inoltre, secondo costante giurisprudenza, rientrano nell’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione, da parte di un cittadino dello Stato membro interessato, di una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni di tale società e di consentirgli di indirizzarne le attività (45). L’art. 43, n. 1 CE, tutela pertanto fondamentalmente anche i soci di una società per azioni, laddove acquisiscano nell’azionariato una determinata posizione in tal senso (46).
64. Tale presupposto risulta a sua volta decisivo per operare una separazione rispetto alla libera circolazione dei capitali. Qualora, infatti, la partecipazione azionaria non sia sufficiente al fine di poter influire sulla gestione della società, la fattispecie ricadrà nella sfera di applicazione della libera circolazione dei capitali e non della libertà di stabilimento (47).
65. La Corte non ha definito, in via generale, il momento a partire dal quale sussista un’influenza determinante tale da far ricadere la relativa fattispecie nella sfera di applicazione della libertà di stabilimento; secondo la sua giurisprudenza, occorre fare riferimento al riguardo piuttosto alle specifiche circostanze della specie nonché alla disciplina societaria pertinente (48). Dalla sentenza Baars(49), cui si richiama la costante giurisprudenza della Corte, sembra potersi in ogni caso desumere che tale ipotesi ricorre quando, alla luce delle circostanze della specie, sussista la «possibilità del controllo sulla società o sulla sua gestione», il che non coincide necessariamente con la sussistenza di una partecipazione sostanziale.
66. La questione se una partecipazione del 2,5% nel capitale sociale sia effettivamente di per sé sufficiente a garantire una sicura influenza sulle decisioni della società tale da consentire di indirizzarne l’attività, costituisce un accertamento di fatto (50), che dev’essere operato, in linea di principio, dal giudice del rinvio alla luce delle effettive circostanze della specie nonché della normativa societaria pertinente. In tale contesto appare opportuno esprimere taluni dubbi in ordine alla sussistenza di tale presupposto. D’altronde, si deve tenere presente che tale percentuale rappresenta solamente una soglia minima. La normativa nazionale controversa ricomprende, quindi, anche partecipazioni al capitale sociale ben maggiori, teoricamente idonee a consentire ai relativi soci di esercitare, ai sensi della giurisprudenza della Corte, una sicura influenza sulle decisioni della società e ad indirizzarne l’attività.
67. Dall’ordinanza di rinvio (51) emerge, in ogni caso, che la maggioranza del Collegio giudicante ritiene che, in considerazione della specifica disciplina vigente per le società per azioni esercenti attività di radiodiffusione televisiva che impone, ad esempio, l’emissione delle azioni quali azioni nominative, si debba muovere dal presupposto che un’azionista di società di tal genere, titolare di una partecipazione superiore al 2,5 % del capitale sociale, non costituisca un investitore qualunque, bensì un imprenditore operante in veste di azionista, in grado di influire sulla gestione della persona giuridica e, conseguentemente, in grado di indirizzare l’attività dell’emittente televisiva. Ammesso che tali rilievi siano corretti, si deve ritenere che i soci della società in questione godano parimenti della tutela garantita dalla libertà di stabilimento.
68. L’art. 48 CE riafferma l’applicabilità delle disposizioni, contenute nel capo del Trattato relativo al diritto di stabilimento nei confronti delle società e delle società cooperative, sia di diritto privato sia di diritto pubblico, equiparandole, a determinate condizioni, alle persone fisiche (52).
ii) Restrizioni alla libertà di stabilimento
69. In mancanza di elementi da cui possa desumersi che la normativa controversa si applichi con modalità differenziate a società per azioni ovvero a soci nazionali e stranieri, riterrò assodato in prosieguo il carattere non discriminatorio della normativa in esame.
– L’art. 43 CE inteso quale ampio divieto di restrizioni
70. Occorre quindi esaminare, poi, se la normativa in esame costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE e se una siffatta restrizione possa eventualmente risultare giustificata. Secondo costante giurisprudenza (53), l’art. 43 CE osta a qualsivoglia normativa nazionale che, sebbene applicabile senza discriminazioni basate sulla nazionalità, risulti tuttavia idonea ad impedire o a scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini comunitari, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato.
71. Secondo tale giurisprudenza, l’art. 43 CE non detta solamente il divieto di discriminazioni manifeste o occulte, bensì può essere inteso anche quale ampio divieto di restrizioni. Restrizioni ai sensi dell’art. 43 CE sono quindi costituite non solo da normative discriminatorie, bensì, eventualmente, anche da normative non discriminatorie, vale a dire misure le quali non colpiscano, di regola, né intenzionalmente né con riguardo ai loro effetti reali, cittadini stranieri (54). L’art. 43 CE osta quindi, in linea di principio, a qualsivoglia normativa nazionale idonea ad impedire o «scoraggiare» l’esercizio della libertà di stabilimento (55). Nella sua giurisprudenza in materia di libera circolazione delle merci e libera prestazione di servizi la Corte ha dato avvio allo sviluppo delle libertà fondamentali muovendo da un divieto di discriminazioni, in base al principio della «parità strutturale delle libertà fondamentali», verso un divieto generale di restrizioni (56).
72. Le considerazioni operate nell’ambito dell’esame del carattere restrittivo della normativa nazionale controversa devono basarsi, a mio parere, su una fattispecie ipotetica in cui una società, stabilita sul territorio dell’Unione, trasferisca la propria sede principale (libertà di stabilimento primaria) in Grecia ovvero istituisca ivi una sua filiale o stabilimento (libertà di stabilimento secondaria) (57). Non può escludersi che la prospettiva di un eventuale superamento del principio di limitazione della responsabilità delle società per azioni e, conseguentemente, il rischio di una responsabilità solidale e personale dei soci in caso di violazione delle norme legislative e deontologiche applicabili all’esercizio dell’attività di radiodiffusione televisiva possano produrre l’effetto di scoraggiare le imprese che intendano spostare la propria sede da un altro Stato membro in Grecia ovvero intendano ivi costituire una succursale. L’irrogazione di una sanzione, unitamente ad un pregiudizio economico anche nei confronti dei soci, risulta idonea a scoraggiare la società ed i suoi azionisti dall’intraprendere attività nel settore dell’informazione greco. Come rilevato dal giudice a quo, l’estensione della responsabilità ai soci scoraggia parimenti l’acquisto di azioni di siffatte società, come nel caso della ricorrente nel procedimento principale. La normativa nazionale controversa risulta conseguentemente idonea, in linea di principio, a scoraggiare l’esercizio, da parte di società straniere, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato (58).
73. Conformemente alla definizione generale, sinora accolta nella giurisprudenza, di restrizione ai sensi dell’art. 43 CE, si deve ritenere che nel caso di specie sussista una restrizione della libertà di stabilimento (59).
– Possibilità di un limite teleologico al divieto di restrizioni
74. È pur vero che la Corte, come abbiamo già visto, muove evidentemente, anche per quanto attiene alla libertà di stabilimento, da una convergenza delle libertà fondamentali, interpretando in senso corrispondentemente ampio la nozione di restrizione ex art. 43 CE (60). Parimenti, la Corte non si è finora espressa in modo univoco in merito alla portata dell’art. 43, primo comma, CE. In considerazione del fatto che, a seguito della giurisprudenza Keck e Mithouard (61), è stata operata una restrizione della libera circolazione delle merci ai sensi dell’art. 28 CE, ci si chiede se possa ammettersi parimenti una limitazione dogmatica della nozione di restrizione nell’ambito della libertà di stabilimento. In tal senso potrebbe deporre la ratio di tale libertà fondamentale, che consente la libera scelta della sede dell’impresa, senza peraltro divenire uno strumento a disposizione degli operatori economici per modificare le condizioni territoriali nei confronti dei concorrenti nazionali (62).
75. Conformemente alla ratio della libertà di stabilimento, volta ad eliminare ostacoli allo spostamento di società da altri Stati membri, nonché alla luce della finalità del diritto societario dell’Unione europea, consistente nel garantire l’identità di una società in caso di trasferimento di sede transfrontaliero (63), sarebbe ipotizzabile, in linea di principio, subordinare l’ampiezza del divieto di restrizioni alla verifica se la normativa nazionale in questione abbia istituito «specifici ostacoli al trasferimento» ovvero determini semplicemente le «condizioni territoriali». Nel primo caso troverebbe applicazione il divieto di restrizioni, nell’altro solamente il divieto di discriminazioni dirette ed indirette insite nella libertà di stabilimento. Da talune sentenze emanate nei settori della libera prestazione dei servizi (64) e della libera circolazione dei capitali (65) emerge che la Corte intenda le libertà fondamentali, in primo luogo, quale strumento per‚ l’apertura del mercato e, conseguentemente, esamina disposizioni nazionali ‑ nell’ambito dall’analisi della questione se, nel caso di specie, sussista una restrizione a libertà fondamentali ‑ in base al criterio se esse costituiscano ostacolo, o meno, all’accesso al mercato (66).
76. La normativa nazionale controversa non costituisce, ad una più attenta analisi, né una disposizione volta a disciplinare specificamente l’«accesso» di società per azioni al settore dei media ellenico, né opera quale «ostacolo» nei confronti di coloro che intendano accedere a tale particolare settore. La detta normativa costituisce, piuttosto, una componente di un quadro normativo generale inteso a disciplinare l’esercizio dell’attività delle emittenti televisive, garantendo l’osservanza delle norme legislative e deontologiche applicabili all’esercizio di tale attività. Viste dalla prospettiva di un osservatore obiettivo, si tratta di condizioni di base del diritto dell’informazione che il gestore di un’emittente televisiva deve costantemente osservare. Dal punto di vista giuridico, l’obbligo di osservanza di tali condizioni di base e del diritto dell’informazione si configura quale «onere» connesso all’esercizio dell’attività di diffusione televisiva e non quale «condizione» (67). Ciò significa che tale onere non determina l’«an» ed il «quando», bensì solo il «modus» dell’esercizio dell’attività di diffusione televisiva. Oggetto di disciplina sono quindi solamente le «modalità» di esercizio dell’attività dell’emittente televisiva. L’adempimento di tali oneri non incide, inoltre, sull’esistenza ovvero sull’identità della società per azioni.
77. Qualora la Corte dovesse pronunciarsi nel senso di una limitazione teleologica del divieto di restrizioni, la normativa nazionale controversa dovrebbe essere collocata nella categoria delle «condizioni territoriali», le quali, secondo tale interpretazione, non dovrebbero essere considerate quali restrizioni ai sensi dell’art. 43, primo comma, CE. Non sussistendo una restrizione della libertà di stabilimento, un ulteriore esame alla luce degli artt. 43 CE e 48 CE potrebbe, in realtà, risultare superfluo.
78. In tale contesto ritengo peraltro indispensabile sottolineare che, se è pur vero che nella giurisprudenza della Corte si riscontrano elementi dai quali si desume che, in singoli casi, la Corte si è dimostrata propensa ad accogliere un’interpretazione restrittiva, ciò non può essere tuttavia affatto inteso nel senso che la Corte abbia abbandonato l’ampia interpretazione della nozione di restrizione precedentemente accolta. In linea di principio, occorre piuttosto muovere da una nozione di restrizione intesa in senso ampio. Conseguentemente, le considerazioni esposte in prosieguo si fondano su una nozione di divieto di restrizioni ampiamente inteso (68).
79. Sussiste quindi una restrizione alla libertà di stabilimento.
iii) Giustificazione della restrizione alla libertà di stabilimento
80. Dalla giurisprudenza della Corte emerge (69) che provvedimenti nazionali che possono ostacolare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare, per poter risultare compatibili con l’art. 43 CE, le seguenti condizioni: devono essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, devono essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non devono andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest’ultimo. Inoltre, la tutela di diritti fondamentali costituisce un legittimo interesse idoneo, in linea di principio, a giustificare una restrizione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (70).
– La tutela di diritti fondamentali quale legittimo interesse
81. Come già esposto supra (71), il governo ellenico ritiene la normativa nazionale controversa giustificata alla luce di motivi di interesse pubblico e sociale. Da un esame complessivo delle pertinenti disposizioni nazionali emerge che le ammende previste dall’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/95 sono volte alla repressione di violazioni dell’obbligo di rispetto di determinati valori fondamentali costituzionalmente garantiti – tra i quali la tutela del diritto della persona nonché della vita privata e familiare. L’ammenda per la quale la ricorrente nella causa principale risponde in comune ed in solido con i propri soci è stata irrogata, come emerge dall’esposizione dei fatti contenuta nell’ordinanza di rinvio, a seguito di una siffatta violazione dei valori fondamentali sopra menzionati. La tesi del governo ellenico, correttamente interpretata, dev’essere intesa nel senso che il detto governo si richiama alla tutela di diritti fondamentali ancorati nella costituzione.
82. A tal riguardo occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’Uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un particolare significato (72). I principi elaborati da tale giurisprudenza hanno trovato conferma nell’art. 6, n. 2, del Trattato sull’Unione, ai sensi del quale «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, i quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario». La Corte si è inoltre più volte richiamata, a conferma dell’esistenza di determinati principi giuridici generali, alla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione (73) europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (74).
83. Come la Corte ha avuto più volte occasione di dichiarare (75), nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto dei diritti dell’Uomo in tal modo riconosciuti. Poiché il rispetto dei diritti fondamentali si impone sia alla Comunità sia ai suoi Stati membri, la tutela di tali diritti rappresenta un legittimo interesse che giustifica, in linea di principio, una limitazione agli obblighi imposti dal diritto comunitario, ancorché derivanti da una libertà fondamentale garantita dal Trattato (76).
84. In tale conteso si deve sottolineare che il diritto al rispetto alla vita privata, alla cui tutela è volta la normativa controversa, secondo quanto riferito dal governo ellenico, costituisce parimenti, conformemente alla giurisprudenza della Corte, un diritto fondamentale nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea (77). Tale diritto fondamentale è inoltre sancito dall’art. 8, n. 1, CEDU (78) nonché dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali (79).
85. In tal senso, la normativa nazionale controversa persegue un obiettivo riconosciuto dall’ordinamento giuridico dell’Unione e, conseguentemente, legittimo.
– Esame della proporzionalità
86. Come già ho avuto modo di rilevare nelle mie conclusioni presentate all’udienza del 14 aprile 2010 nella causa C‑271/08, Commissione/Germania, si deve ritenere che tra libertà fondamentali e diritti fondamentali sussista un rapporto di parità (80). Conseguentemente, qualora, in un caso concreto, dall’esercizio di un diritto fondamentale risulti una restrizione per una libertà fondamentale, occorrerà individuare il punto di adeguato equilibrio tra le due posizioni. A tal riguardo, si deve ritenere, da un lato, che la realizzazione di una libertà fondamentale costituisca un obiettivo legittimo dal quale possono derivare limiti per un diritto fondamentale. Inversamente, anche l’esercizio di un diritto fondamentale dev’essere riconosciuto quale obiettivo legittimo da cui possono derivare restrizioni per una libertà fondamentale. Ai fini dell’esatta delimitazione tra libertà fondamentali e diritti fondamentali il principio di proporzionalità assume importanza particolare. L’esame della proporzionalità dovrà essere quindi condotto, segnatamente, sulla base di un triplice ordine di criteri, verificando l’idoneità, la necessità e l’adeguatezza del provvedimento de quo (81).
87. Dalle suesposte considerazioni emerge che, sebbene la tutela del diritto fondamentale al rispetto della vita privata costituisca un legittimo interesse, fondamentalmente idoneo a giustificare una restrizione ad una libertà fondamentale garantita dal Trattato CE, quale la libertà di stabilimento, è pur vero che tali restrizioni possono essere giustificate solamente ove risultino idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non eccedano quanto necessario per conseguirlo (82).
88. Il giudizio sulla proporzionalità si fonda necessariamente su un’analisi delle circostanze di diritto e di fatto che caratterizzano la situazione nello Stato membro interessato; lo svolgimento di tale esame compete al giudice a quo (83). Nella specie, la Corte è stata sufficientemente edotta in merito alla situazione di fatto e di diritto per poter procedere ad una valutazione astratta della fattispecie sottoposta al suo esame alla luce del principio di proporzionalità. Il giudice a quo dovrà poi, nell’applicazione del diritto comunitario nell’ambito della causa principale, attenersi agli orientamenti interpretativi espressi dalla Corte (84).
Idoneità
89. Come confermato dal governo ellenico all’udienza a seguito di un quesito posto dalla Corte, si deve ritenere che la normativa nazionale controversa si fondi, sostanzialmente, su una presunzione del legislatore ellenico, secondo cui l’azionista titolare di una quota di capitale di una società per azioni superiore al 2,5% dispone della possibilità di influire sulla gestione della società. Tale presunzione del legislatore nazionale è stata ripresa ed ulteriormente illustrata dal giudice a quo e dal governo ellenico nelle rispettive osservazioni. Così, il giudice a quo fa presente (85) che un azionista titolare di un pacchetto azionario di una società per azioni superiore al 2,5%, non costituisce un investitore qualunque, bensì un azionista svolgente attività di impresa, che disporrebbe della possibilità di influire sulla gestione della persona giuridica e, conseguentemente, sull’attività dell’emittente televisiva. Il governo ellenico ha dichiarato, a sua volta (86), che soci di tal genere sono in grado, per effetto della loro partecipazione all’assemblea dei soci nonché mediante la scelta dei membri degli organi di direzione della società, di influire sull’elaborazione di chiare direttive in merito alla configurazione dei programmi ed alla posizione dell’emittente su temi di attualità.
90. A prescindere dalla questione se tale presunzione del legislatore risulti corretta nel caso di specie, vale a dire se, in altre parole, la ricorrente nella causa principale, come precisato dal governo ellenico all’udienza, disponendo di una quota del solo 5% al capitale della società per azioni «Nea Tileorasi», eserciti effettivamente un’influenza determinante sui meccanismi decisionali della società medesima, cosa che il giudice a quo dovrebbe accertare in concreto (87), risulta peraltro più che dubbio se tale influenza possa essere ritenuta sufficiente per poter incidere sulla configurazione dei programmi dell’emittente televisiva in modo talmente mirato da poter impedire del tutto violazioni delle disposizioni legislative e deontologiche vigenti nel settore dell’attività di radiodiffusione televisiva.
91. A tal fine occorrerà, anzitutto, esaminare la posizione di un azionista nell’ambito di una società per azioni. I diritti dell’azionista si possono suddividere in linea generale in diritti patrimoniali, diritti di partecipazione e diritti di tutela (88). Diversamente da un membro di un organo di gestione di una società per azioni – che disporrebbe più verosimilmente della possibilità di influire sull’emittente televisiva di proprietà della società – il socio medio esercita i propri diritti di partecipazione, di regola, nell’ambito dell’assemblea dei soci, in cui dispone del diritto di voto (89). Tali diritti di partecipazione ricomprendono, a seconda dei singoli ordinamenti giuridici e del rispettivo statuto societario, la nomina e la revoca degli organi di direzione o di vigilanza (90). In tale contesto si deve tenere presente che nel secondo caso l’influenza del singolo azionista sulla gestione della società risulta più debole, essendo solo di carattere indiretto (91). Inoltre, le singole disposizioni sostanziali in merito alla nomina ed alla revoca degli organi societari differiscono a seconda dell’ordinamento giuridico interessato e dello statuto. È pur vero che la nomina degli organi societari risulta ispirata al principio generale secondo cui è la maggioranza dell’assemblea che procede alla nomina di tutti i membri; tuttavia, le singole disposizioni statutarie stabiliscono se il voto debba avvenire secondo il criterio proporzionale o se a determinati azionisti o enti sia riservato il diritto di nomina con riguardo ad un determinato seggio. Tali aspetti risultano così diversificati che, in conclusione, la presunta possibilità per il singolo azionista di incidere sulla gestione della società risulta, alla luce di una più attenta analisi, meno marcata rispetto a quanto presunto.
92. Dalla struttura societaria occorre tenere distinta la struttura propria dell’emittente televisiva, in cui il direttore della programmazione svolge, in qualità di direttore responsabile dell’intera attività di redazione dell’emittente televisiva, un ruolo particolare. Al detto direttore rispondono, a loro volta, i capi redattori responsabili per le singole aree, cui si aggiungono i collaboratori dell’emittente cui compete l’esecuzione delle singole trasmissioni. Tali soggetti agiscono in modo più o meno autonomo nell’ambito di una propria sfera di responsabilità.
93. Il singolo azionista si colloca, quindi, al termine di una lunga catena di soggetti titolari di poteri decisionali sulla cui condotta può influire solo limitatamente. In particolare, il singolo azionista non può prevedere se uno dei collaboratori dell’emittente televisiva violerà, dolosamente o colposamente, le disposizioni legislative e deontologiche cui è soggetta l’attività di tali imprese. Da tali considerazioni emerge che l’influenza che un azionista può svolgere all’interno della società presenta scarsa rilevanza quanto alla sua effettiva influenza sui processi interni di un’emittente televisiva. Il giudice a quo dovrebbe eventualmente verificare se la possibilità del singolo azionista di influire sulla gestione della società, che la normativa nazionale controversa dà per scontata, non risulti, in realtà, solo puramente teorica.
94. D’altro canto, come il governo ellenico rileva correttamente, il singolo azionista potrebbe esercitare i suoi diritti di partecipazione al fine di imporre chiare direttive per quanto attiene alla configurazione dei programmi. Si potrebbe pensare, in tale contesto, alla redazione di un codice di comportamento per i collaboratori dell’emittente televisiva, che li obblighi al rispetto di determinati valori fondamentali costituzionalmente garantiti, quali la tutela dei diritti della persona nonché della vita familiare e privata. Il rischio di violazioni potrebbe essere in ogni caso ridotto imponendo agli organi di gestione l’obbligo di far rispettare, da parte dell’emittente di proprietà della società e di tutti i suoi collaboratori, determinate norme etiche.
95. Tali misure presupporrebbero evidentemente un’azione concertata tra più azionisti, dovendo poi l’assemblea deliberare in merito. Il diritto di convocazione dell’assemblea dei soci e di redazione dell’ordine del giorno dipende peraltro, a seconda degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri, di regola dal raggiungimento, da parte degli azionisti interessati, di una determinata quota del capitale sociale sottoscritto. Ai sensi dell’art. 55, n. 1, del regolamento n. 2157/2001, tale quota minima ammonta, per quanto attiene alla società per azioni europea, al 10%. Ma anche una volta superato tale ostacolo appare dubbio se un provvedimento preventivo di tal genere sarebbe effettivamente in grado di escludere completamente violazioni da parte dei singoli collaboratori dell’emittente televisiva.
96. Nell’esame dell’idoneità di un provvedimento rileva, tuttavia, se esso sia tale, alla luce di criteri di causalità e di probabilità, da poter indirizzare lo svolgimento degli avvenimenti nella direzione voluta dallo Stato membro, ove agli Stati membri dev’essere riconosciuto un determinato margine di prognosi. Un provvedimento nazionale dovrebbe essere quindi considerato inidoneo quando non sia tale da poter produrre effetti con riguardo all’obiettivo perseguito (92). A mio parere, le considerazioni svolte dal legislatore nazionale, sulle quali si fonda la normativa nazionale controversa, risultano piuttosto di natura teorica. È pur vero che la minaccia di un’ammenda potrebbe indurre gli azionisti a adottare misure preventive al fine di impedire eventuali violazioni. Essa non è tuttavia tale da escludere totalmente violazioni di tale genere. L’idoneità di una siffatta normativa a svolgere funzioni di tutela dei diritti della persona nonché della vita familiare privata dev’essere tuttavia riconosciuta nella misura in cui, in ogni caso, essa rafforza la tutela di tali valori.
Necessità
97. Il principio di proporzionalità postula inoltre la scelta, tra più misure idonee a disposizione, di quella meno gravosa (93).
98. Nel settore dell’informazione, quale misura alternativa all’irrogazione di un’ammenda, si potrebbe pensare, come correttamente osservato dal governo ellenico all’udienza, alla revoca della licenza all’esercizio dell’attività di radiodiffusione televisiva da parte del competente organo di vigilanza. La revoca della licenza costituisce, tuttavia, la sanzione più grave ipotizzabile in tale settore (94), tanto più che essa implica il divieto di esercitare l’attività di diffusione televisiva (95). A confronto, un’ammenda una tantum in caso di eventuale violazione di norme legislative e deontologiche costituisce senza dubbio la misura meno gravosa.
99. Parimenti sorge la questione se, anche nell’ambito di tale sanzione, sia ipotizzabile una disciplina meno gravosa.
100. La minaccia di sanzioni pecuniarie unicamente nei confronti della società per azioni – senza traslazione della responsabilità sui soci – sarebbe parimenti idonea, in linea di principio, ad imporre il rispetto delle norme legislative e deontologiche che presiedono all’attività delle emittenti televisive. È tuttavia dubbio se essa sia in grado di generare lo stesso effetto deterrente, considerato che implicherebbe unicamente oneri economici per la società. Quest’ultima, a seconda della sua situazione finanziaria, potrebbe sopportare tale onere senza dover modificare fondamentalmente la propria condotta. Gli effetti di una siffatta sanzione non potrebbero essere quindi determinati con certezza, cosa sicuramente diversa nel caso di una responsabilità solidale dei soci, ognuno dei quali sia chiamato a rispondere con il suo intero patrimonio. In questo caso il socio tenderebbe piuttosto ad intraprendere qualche azione al fine di non dover essere chiamato a rispondere. In tal senso, le due impostazioni non possono essere considerate produttive di pari effetti.
101. Sarebbe piuttosto ipotizzabile un approccio differenziato capace di tenere possibilmente conto delle singole circostanze del caso di specie. Così, ad esempio, potrebbe essere prevista solo la responsabilità di quegli azionisti cui possa essere concretamente imputata una violazione. Tenuto conto del fatto che un’ammenda costituisce una sanzione, essa richiede necessariamente la sussistenza di una condotta illegittima dei soggetti interessati ad essi imputabile. Una siffatta modifica impedirebbe che risultino sanzionati azionisti eventualmente disposti, ma non in grado, di attuare, da soli e nell’ambito di un’iniziativa comune, provvedimenti volti ad impedire la violazione. La normativa attualmente vigente colpisce, infatti, in considerazione della sua ampia sfera di applicazione, anche questi azionisti. Un approccio differenziato non risulterebbe solamente meno restrittivo per la libertà di stabilimento, bensì produrrebbe gli stessi effetti della normativa attualmente vigente. La concreta configurazione di una siffatta normativa ricade nella sfera di competenza del legislatore nazionale.
102. Conseguentemente, la normativa nazionale controversa non può essere considerata necessaria ai fini del raggiungimento dell’obiettivo perseguito.
Adeguatezza
103. Infine, le restrizioni imposte devono, a loro volta, risultare adeguate rispetto agli obiettivi perseguiti (96).
104. Nell’ambito della tutela di beni di rango costituzionale, quali il diritto della persona nonché la tutela della vita privata e familiare, appare, a mio avviso, opportuno concedere al singolo legislatore nazionale un determinato margine di discrezionalità (97). Tuttavia, tale discrezionalità non può essere intesa in senso talmente ampio da rendere gli azionisti responsabili per violazioni ad essi non imputabili. Occorre poi considerare che, alla luce delle particolari strutture esistenti all’interno di una società e di un’emittente televisiva, violazioni di tal genere non possono essere del tutto escluse. In tal modo, la libertà di stabilimento risulta, nella specie, assoggettata ad una restrizione più severa di quanto strettamente necessario per la tutela dei beni giuridici precedentemente menzionati.
105. Laddove si possa presumere che la normativa nazionale controversa miri, in realtà, a indurre gli azionisti ad adottare misure preventive, risulterebbe più logico ritenere responsabili solo quegli azionisti che non dispongano solamente di una sicura influenza sulla società, bensì anche sugli organi di gestione della medesima e quindi, indirettamente, sui titolari del potere di decisione dell’emittente televisiva. Che ciò possa avvenire con il possesso di una sola quota del 2,5% del capitale sociale appare dubbio. Come esposto supra, è già incerto se un singolo socio sia in grado di imporre provvedimenti volti ad impedire violazioni contro le norme legislative e deontologiche applicabili all’attività di radiodiffusione televisiva.
106. Conseguentemente, gli oneri gravanti sugli azionisti non risultano in un rapporto di adeguatezza rispetto agli obiettivi perseguiti.
107. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni ritengo, in conclusione, che la normativa nazionale controversa non possa essere considerata proporzionale. Essa si fonda su una ponderazione tra la libertà di stabilimento intesa quale libertà fondamentale ed il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare non corrispondente al diritto comunitario.
iv) Conclusione intermedia
108. In sintesi, ritengo che, gli artt. 43 CE e 48 CE ostino ad una normativa nazionale come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/1995.
c) Libera circolazione dei capitali
i) Applicabilità dell’art. 56 CE
109. Non occorrerà in prosieguo esaminare la questione della compatibilità con le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei capitali se non nella parte in cui la norma nazionale controversa possa comportare, alla luce di tali disposizioni del Trattato, una restrizione autonoma, non essendo applicabili le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento (98).
110. In considerazione di quanto esposto supra, ai paragrafi 63‑66, in merito alla sfera di applicazione degli artt. 43 CE e 48 CE, un’analisi condotta sotto il profilo dell’art. 56 CE appare necessaria solo con riguardo a quegli azionisti che, pur possedendo una quota superiore al 2,5% del capitale sociale, non dispongano di una partecipazione tale da consentire loro di esercitare una sicura influenza sulle decisioni della società e di indirizzarne l’attività (99).
ii) Restrizioni alla libera circolazione dei capitali
111. Secondo costante giurisprudenza (100) l’art. 56, n. 1 CE vieta, in linea generale, restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri.
112. In assenza, nel Trattato CE, di una definizione della nozione di «movimenti di capitali» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, la Corte ha già avuto modo di attribuire carattere indicativo alla nomenclatura contenuta nell’allegato alla direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’art. 67 del Trattato (articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam) (101). «Movimenti di capitali» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE sono quindi, in particolare, gli investimenti diretti sotto forma di partecipazione nelle imprese realizzati tramite il possesso di azioni che consenta l’effettiva partecipazione alla gestione della società ed al suo controllo (cosiddetti investimenti diretti), nonché l’acquisizione d titoli di credito sul mercato dei capitali a soli fini di investimento finanziario, senza voler incidere sulla gestione ed il controllo dell’impresa (cosiddetti investimenti finanziari) (102).
– L’art. 56 CE quale ampio divieto di restrizioni
113. Con riguardo ad entrambi i tipi di investimenti la Corte ha rilevato che normative nazionali devono essere considerate quali «restrizioni» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE quando siano idonee ad impedire o ostacolare l’acquisizione di azioni delle imprese interessate ovvero dissuadere gli investitori di altri Stati membri dall’investire nella Capitale di tali imprese (103).
114. Come già esposto supra, il rischio di una corresponsabilità personale dei soci può risultare un deterrente per investitori potenziali (104), tenuto conto che l’acquisizione di una partecipazione in una siffatta impresa implica un rischio finanziario aggiuntivo che va al di là del normale rischio commerciale. In tale contesto occorre nuovamente rinviare a quanto esposto dal giudice a quo, secondo cui l’estensione della responsabilità ai soci scoraggia l’acquisizione di azioni di società di tal genere, come nel caso della ricorrente nella causa principale.
115. Alla luce di tale definizione sinora accolta dalla Corte, dovrebbe ritenersi sussistente, nella specie, una restrizione ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE.
– Possibilità di un limite teleologico al divieto di restrizioni
116. Come già nell’ambito della libera prestazione di servizi, la Corte di giustizia ha fatto accenno, nella sua giurisprudenza, alla possibilità di una limitazione teleologica del divieto di restrizioni anche per quanto riguarda la libera circolazione dei capitali (105). Sul presupposto di una più ampia convergenza possibile delle libertà fondamentali, sarebbe senz’altro ipotizzabile operare una limitazione teleologica del divieto di restrizioni anche nel settore della libera circolazione dei capitali, distinguendo, di conseguenza, se la normativa nazionale de qua crei «ostacoli specifici all’accesso» ovvero determini mere «condizioni territoriali». Un’interpretazione differenziata di entrambi le libertà fondamentali condurrebbe necessariamente ad una valutazione contraddittoria nell’esame dei piccoli e dei grandi azionisti, in quanto, mentre per i grandi azionisti resterebbe preclusa la possibilità di invocare la libertà di stabilimento, i piccoli azionisti potrebbero impugnare la normativa nazionale controversa sulla base del rilievo della sussistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Se per i grandi azionisti resta esclusa la possibilità di derivare dalle libertà fondamentali un diritto all’equiparazione delle condizioni territoriali (106), ciò deve valere, a maggior ragione, per i piccoli azionisti. Non vi è inoltre motivo per un trattamento separato delle due categorie, in quanto entrambe si trovano esattamente nella stessa situazione.
117. Per quanto riguarda la normativa nazionale controversa, si deve rilevare che essa, di per sé considerata, non restringe la possibilità degli azionisti di partecipare alla società, al fine di creare o mantenere rapporti economici durevoli e diretti con la medesima, che consentano loro di partecipare effettivamente alla sua gestione o al suo controllo. All’afflusso di investimenti diretti non vengono, infatti, posti ostacoli né di fatto né di diritto. La normativa nazionale controversa non disciplina nemmeno specificamente le modalità degli investimenti in società nel settore dei media ellenico. Come ho già avuto modo di rilevare supra (107), la normativa nazionale controversa ricade piuttosto nella categoria delle «condizioni territoriali», la quale, sempre che si condivida un’interpretazione teleologica con gli effetti limitativi che ne derivano, non potrebbe essere considerata quale restrizione ai sensi dell’art. 56, n. 1 CE.
118. Come già rilevato supra (108), a prescindere da singoli casi, non vi sono elementi per poter ritenere che la Corte sia disposta a rivedere l’ampia interpretazione della definizione di restrizioni sinora accolta. Le considerazioni che svolgerà in prosieguo si fondano pertanto sul modello di un divieto di restrizioni ampio.
119. Sussiste pertanto una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Occorre inoltre esaminare se questa possa risultare giustificata e se superi l’esame di proporzionalità.
iii) Giustificazione
– Tutela dei diritti fondamentali quale legittimo interesse
120. La normativa nazionale controversa, nella parte in cui è volta alla tutela del diritto fondamentale al rispetto della vita privata, persegue un fine riconosciuto dall’ordinamento giuridico dell’Unione e conseguentemente legittimo, idoneo, in linea di principio, a giustificare restrizioni (109).
– Esame di proporzionalità
121. Nella parte in cui la detta disciplina prevede la responsabilità anche di quei soci non in grado di esercitare una sicura influenza sulle decisioni della società, la conseguente disciplina non risulta adeguata ai fini della tutela dei beni giuridici sopra menzionati, tanto più che tale categoria di soci ben poco può fare al fine di evitare violazioni nei confronti delle norme legislative e deontologiche applicabili all’attività delle emittenti televisive.
122. Tenendo presente che sono ipotizzabili misure meno incisive ma in grado di assicurare lo stesso risultato, tra tutte la previsione di una responsabilità di quei soci effettivamente in grado di esercitare influenza sugli organi di gestione della società o sui poteri decisionali dell’emittente televisiva ovvero di quei soci cui possa essere effettivamente imputata una violazione, la responsabilità del gruppo di soci di cui si discute nella specie non appare necessaria.
123. Le perplessità espresse con riguardo alle restrizioni alla libertà di stabilimento valgono a maggior ragione per la libera circolazione dei capitali. Una restrizione di tale libertà fondamentale, non necessaria ai fini della tutela di un diritto fondamentale, non risponde al requisito dell’adeguatezza. La libera circolazione dei capitali tutela, infatti, tutti quei soci che non sono in grado di esercitare una sicura influenza sulle decisioni della società e di indirizzarne l’attività. Il fatto che possa essere loro comunque irrogata un’ammenda risulta essere una restrizione sproporzionata di tale libertà fondamentale.
124. In conclusione, la normativa nazionale controversa appare, complessivamente intesa, non proporzionale. Essa si fonda su una ponderazione, non corrispondente al diritto comunitario, tra la libera circolazione dei capitali quale libertà fondamentale ed il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare.
iv) Conclusione intermedia
125. In sintesi si può affermare che l’art. 56, n. 1, CE osta ad una normativa nazionale come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/1995.
VII – Conclusione
126. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali proposte dal Symvoulio tis Epikrateias nei seguenti termini:
1) La prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’art. 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, non osta ad una normativa nazionale come quella contenuta nell’art. 4, n. 3, della legge n. 2328/1995, ai sensi della quale le ammende previste nei precedenti commi del medesimo articolo per violazioni delle norme legislative e deontologiche applicabili all’esercizio dell’attività delle emittenti televisive possono essere irrogate non solo nei confronti della società titolare della licenza per la costituzione e l’esercizio dell’attività dell’emittente televisiva, bensì parimenti, in comune ed in solido, nei confronti di tutti gli azionisti detentori di una quota azionaria superiore al 2,5%.
2) Per contro, gli art. 43 CE e 48 CE e 56 CE ostano ad una normativa nazionale come quella descritta sub 1).