Language of document : ECLI:EU:T:2022:517

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

7 settembre 2022 (*)

«Funzione pubblica – Funzionari – Telelavoro – Domanda di rimborso di spese telefoniche e di connessione a Internet – Rigetto della domanda – Eccezione di illegittimità – Ricevibilità parziale – Articolo 71 e allegato VII dello Statuto – Dovere di sollecitudine – Principio di uguaglianza e di non discriminazione – Diritto al rispetto della vita privata»

Nella causa T‑486/21,

OE, rappresentata da G. Hervet, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da I. Melo Sampaio e L. Vernier, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Parlamento europeo, rappresentato da M. Windisch, S. Bukšek Tomac e J. Van Pottelberge, in qualità di agenti,

e da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Bauer, in qualità di agente,

intervenienti,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da S. Gervasoni, presidente, L. Madise e R. Frendo (relatrice), giudici,

cancelliere: E. Coulon

vista la fase scritta del procedimento, in particolare:

–        il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 agosto 2021,

–        le domande di intervento del Consiglio dell’Unione europea e del Parlamento europeo del 27 settembre e del 17 novembre 2021, che il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha accolto, rispettivamente, il 12 novembre e il 15 dicembre 2021,

vista la mancata presentazione ad opera delle parti, nel termine di tre settimane a decorrere dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, della domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire omettendo la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il ricorso fondato sull’articolo 270 TFUE, la ricorrente, OE, chiede, in sostanza, da un lato, l’annullamento della decisione dell’Ufficio per le infrastrutture e la logistica a Bruxelles (OIB) della Commissione europea del 18 dicembre 2020, recante rigetto della sua domanda diretta a ottenere il rimborso delle spese professionali risultanti dal regime di telelavoro al quale era stata costretta e a ottenere una chiave USB 4G, e, dall’altro, la condanna della Commissione, anzitutto, a rimborsarle tali spese, poi, a consentirle tale accesso a Internet e, infine, a versarle un indennizzo di EUR 10 000 come risarcimento dei danni che avrebbe subito.

I.      Fatti

2        All’epoca dei fatti, la ricorrente era funzionaria presso la Commissione.

3        Il 17 marzo 2020 le persone che vivevano in Belgio sono state messe in isolamento a causa della pandemia di COVID-19. La ricorrente, al pari della quasi totalità del personale della Commissione, ha così dovuto esercitare le sue funzioni in telelavoro a partire da tale data.

4        Per la fornitura dei servizi di telefonia e di accesso a Internet, la ricorrente è vincolata alla società VOO da un contratto di abbonamento che copre in particolare un volume mensile di dati Internet di 100 gigabyte (GB) per un costo forfettario mensile di EUR 37,46. Al di là di tale massimale, le viene applicata una tariffa supplementare.

5        La VOO ha fatturato EUR 1,89 alla ricorrente per chiamate nel settembre 2020 al servizio di assistenza informatica e alla direzione generale (DG) dell’Informatica della Commissione. Nel novembre 2020, la VOO le ha inoltre fatturato EUR 50 supplementari poiché aveva consumato 137,434 GB in aggiunta al suo forfait Internet nel mese di ottobre precedente.

6        Ritenendo che le spese menzionate al precedente punto 5 fossero dovute al regime di telelavoro deciso dalla Commissione, il 2 dicembre 2020 la ricorrente ha presentato una domanda di rimborso di EUR 51,89 ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»).

7        Il 7 dicembre 2020 la ricorrente ha integrato la domanda suggerendo alla Commissione di dotarla, come ogni altro funzionario in analoga situazione di telelavoro, di una chiave USB 4G che le avrebbe consentito di utilizzare Internet a fini professionali al di fuori dei locali della Commissione.

8        Con decisione del 18 dicembre 2020, l’OIB della Commissione ha respinto la domanda della ricorrente diretta al rimborso delle sue spese «per quanto riguarda i costi da essa sostenuti e/o le attrezzature da essa acquistate». Esso ha in particolare indicato alla ricorrente che quest’ultima poteva beneficiare, a talune condizioni, del rimborso dei costi di acquisto al suo domicilio di una poltrona per ufficio e di uno schermo per computer (in prosieguo: l’«attrezzatura da ufficio»). Le ha altresì fatto presente che, poiché le regole di rimborso delle spese sostenute per l’attrezzatura da ufficio a domicilio erano state fissate e non includevano le spese di Internet e di telefonate, non sarebbe stato dato alcun seguito alla domanda.

9        L’8 gennaio 2021 la ricorrente ha presentato un reclamo avente ad oggetto il rimborso delle spese menzionate al precedente punto 6 e l’ottenimento di un accesso ad Internet a titolo professionale.

10      Il 5 maggio 2021 l’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») ha respinto il reclamo della ricorrente basandosi essenzialmente sulla circostanza che nessun fondamento giuridico, né nell’articolo 71 dello Statuto né nella decisione della Commissione del 17 dicembre 2015 relativa all’attuazione del telelavoro nei suoi servizi né nelle linee guida della Commissione sul telelavoro durante la pandemia di COVID-19 (in prosieguo: le «linee guida sul telelavoro»), nella versione applicabile il 18 dicembre 2020, data della decisione menzionata al precedente punto 8, consentiva di accogliere le sue domande (in prosieguo: la «decisione di rigetto del reclamo»).

11      L’APN ha ricordato che, in forza segnatamente dell’articolo 9, paragrafo 3, della decisione della Commissione del 17 dicembre 2015 relativa all’attuazione del telelavoro nei suoi servizi, il telelavoratore assume a suo carico le spese di abbonamento a Internet e di comunicazione derivanti dal telelavoro e che il diritto al rimborso delle spese professionali previsto dall’articolo 71 dello Statuto si esercita alle condizioni stabilite dall’allegato VII dello Statuto, il quale non menziona tali spese. Essa ha altresì indicato, da un lato, che taluni funzionari delle istituzioni dell’Unione europea beneficiavano di un sostegno finanziario per le spese di cui trattasi mediante l’abbattimento d’imposta previsto dall’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento (CEE, Euratom, CECA) n. 260/68 del Consiglio, del 29 febbraio 1968, relativo alle condizioni e alla procedura di applicazione dell’imposta a profitto delle Comunità europee (GU 1968, L 56, pag. 8), il quale si traduceva in una riduzione del 10% della base imponibile a titolo di spese professionali e, dall’altro, che la ricorrente beneficiava di tale abbattimento. L’APN ha ritenuto che il diniego di rimborso della somma richiesta non comportasse alcuna lesione della parità di trattamento tra funzionari, né in base al rango gerarchico né in base alle condizioni di accesso a Internet, e che esso non comportasse per la ricorrente alcun pregiudizio ad un supposto obbligo contrattuale di utilizzare il suo abbonamento Internet a fini esclusivamente privati.

12      Nel frattempo, la ricorrente aveva presentato, il 21 aprile 2021, un’altra domanda ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, riguardante la concessione di un «volume Internet a domicilio a titolo professionale». L’Ufficio di gestione e liquidazione dei diritti individuali (PMO) della Commissione l’ha respinta con decisione del 14 luglio 2021 con la motivazione che essa aveva lo stesso oggetto del reclamo della ricorrente dell’8 gennaio precedente, anch’esso già respinto con la decisione di rigetto del reclamo.

13      Inoltre, il 3 maggio 2021 la ricorrente ha informato con messaggio di posta elettronica la sua capo unità che, «senza Internet», non poteva accedere al server e agli strumenti informatici, ma che rimaneva disponibile al suo domicilio per rispondere a qualsiasi compito ed era raggiungibile per telefono. Considerato tale messaggio di posta elettronica, la DG Risorse umane e Sicurezza ha informato la ricorrente, il 19 maggio seguente, che era considerata assente immotivata il 3 maggio 2021 e che dalle sue ferie annuali era dedotto un giorno. Il 16 luglio 2021 la ricorrente ha presentato reclamo avverso tale decisione.

II.    Conclusioni delle parti

14      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        in via principale, pronunciare l’illegittimità dell’articolo 71 dello Statuto sul quale si fonda la decisione di rigetto del reclamo;

–        in subordine, annullare la decisione di rigetto del reclamo;

–        di conseguenza, condannare la Commissione a:

–        versarle la somma di EUR 51,89 a titolo di rimborso delle spese professionali;

–        concederle, nell’ambito del telelavoro, l’accesso a Internet ad uso professionale con qualsiasi mezzo;

–        versarle la somma di EUR 10 000 a titolo di risarcimento di vari danni;

–        condannare la Commissione alle spese.

15      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

16      Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea chiedono che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

III. In diritto

A.      Sul primo capo delle conclusioni

17      Con il primo capo delle conclusioni, esposto in via principale, la ricorrente chiede al Tribunale di dichiarare illegittimo l’articolo 71 dello Statuto. Solleva a tal fine un’eccezione di illegittimità nei confronti di tale articolo, il quale dispone che il funzionario abbia diritto al rimborso delle spese sostenute in occasione, in particolare, dell’esercizio delle sue funzioni, alle condizioni stabilite all’allegato VII dello stesso Statuto.

18      Orbene, in quanto domanda autonoma rispetto agli altri capi della domanda, tale capo delle conclusioni deve essere respinto per incompetenza, poiché l’articolo 270 TFUE e gli articoli 90 e 91 dello Statuto non attribuiscono al giudice dell’Unione la competenza a rendere dichiarazioni in diritto (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2018, SE/Consiglio, T‑231/17, non pubblicata, EU:T:2018:3, punto 63 e giurisprudenza citata).

B.      Sul secondo capo delle conclusioni

1.      Sulloggetto e sulla ricevibilità del secondo capo delle conclusioni

19      Con il secondo capo delle sue conclusioni, la ricorrente chiede al Tribunale di annullare la decisione di rigetto del reclamo.

20      Tuttavia, come afferma la Commissione, secondo una giurisprudenza costante, una domanda di annullamento formalmente diretta contro la decisione di rigetto di un reclamo ha l’effetto, nel caso in cui tale decisione sia priva di contenuto autonomo, di sottoporre al Tribunale l’atto contro il quale il reclamo è stato presentato (v. sentenza del 13 gennaio 2021, ZR/EUIPO, T‑610/18, non pubblicata, EU:T:2021:5, punto 24 e giurisprudenza citata).

21      Orbene, nel caso di specie, si deve constatare che la decisione di rigetto del reclamo è effettivamente priva di contenuto autonomo e che non occorre quindi statuire specificamente su di essa. Infatti, è vero che l’APN ha statuito, in tale decisione, sulla domanda di rimborso del costo eccedente il forfait della ricorrente e sulla fornitura a quest’ultima di un mezzo per accedere a Internet. Tuttavia, l’OIB, nella sua decisione del 18 dicembre 2020, aveva esso stesso già preso posizione, da un lato, sul rimborso in questione e, dall’altro, sulla concessione di attrezzature consistenti in una chiavetta USB 4G, che la ricorrente aveva menzionato nel suo messaggio di posta elettronica del 7 dicembre precedente (v. precedente punto 8).

22      Si deve quindi ritenere che, con il secondo capo delle conclusioni, la ricorrente intenda ottenere l’annullamento della decisione dell’OIB del 18 dicembre 2020 che respinge la sua domanda avente ad oggetto, da un lato, il rimborso della somma di EUR 51,89 presentata come spese professionali risultanti dal regime di telelavoro al quale essa era stata costretta e, dall’altro, l’ottenimento di una chiave USB 4G (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

23      Inoltre, la Commissione sostiene che il secondo capo delle conclusioni non sarebbe ricevibile nella parte in cui è diretto all’annullamento della decisione del PMO del 14 luglio 2021 che nega l’accoglimento della domanda della ricorrente del precedente 21 aprile al fine di ottenere un volume di accesso a Internet ad uso professionale, in quanto non sarebbe stato preceduto da un reclamo.

24      Tuttavia, come risulta dal precedente punto 21, la ricorrente aveva già formulato in sostanza tale domanda di accesso e l’OIB, nella decisione impugnata, poi l’APN, nella decisione di rigetto del reclamo, hanno statuito su quest’ultima. La decisione del PMO del 14 luglio 2021 (v. precedente punto 12) è peraltro motivata data la ridondanza della domanda del 21 aprile precedente.

25      Date tali circostanze, occorre interpretare il secondo capo delle conclusioni come diretto all’annullamento della decisione impugnata, anche nella parte in cui essa rifiuta di concedere alla ricorrente un accesso professionale a Internet. Pertanto, tale capo delle conclusioni è ricevibile.

2.      Sui motivi dedotti a sostegno del secondo capo delle conclusioni

26      A sostegno delle sue conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata, la ricorrente deduce cinque motivi, vertenti, il primo, su un’eccezione di illegittimità nei confronti dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto, il secondo, presentato in subordine, sulla violazione di tale articolo, il terzo, sulla violazione del dovere di sollecitudine e del diritto ad una buona amministrazione, il quarto, sulla violazione del principio di non discriminazione e, il quinto, sulla violazione dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

a)      Sul primo motivo, vertente su uneccezione di illegittimità nei confronti dellarticolo 71 e dellallegato VII dello Statuto

1)      Sulla ricevibilità del primo motivo

27      Il Parlamento solleva due eccezioni di irricevibilità contro l’eccezione di illegittimità diretta nei confronti dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto. La prima verte sull’imprecisione del primo motivo e la seconda sulla violazione del carattere incidentale delle eccezioni di illegittimità.

28      Occorre rilevare, al riguardo, che, ai sensi dell’articolo 142, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, l’intervento può avere come oggetto soltanto l’adesione, totale o parziale, alle conclusioni di una delle parti principali. Inoltre, a tenore dell’articolo 142, paragrafo 3, di tale regolamento, l’interveniente accetta di assumere la causa nello stato in cui essa si trova all’atto del suo intervento.

29      Da tali disposizioni risulta che una parte ammessa ad intervenire in una controversia a sostegno del convenuto non è legittimata a sollevare un’eccezione di irricevibilità che non sia stata formulata nelle conclusioni di quest’ultimo (v. sentenza del 1º luglio 2008, Chronopost e La Poste/UFEX e a., C‑341/06 P e C‑342/06 P, EU:C:2008:375, punto 67 e giurisprudenza citata).

30      Ne consegue che il Parlamento non è legittimato a sollevare le due eccezioni di irricevibilità menzionate al precedente punto 27, cosicché il Tribunale non è tenuto a rispondervi esplicitamente nel merito.

31      Tuttavia, dato che, conformemente all’articolo 129 del regolamento di procedura, il Tribunale può decidere d’ufficio, in qualsiasi momento, sentite le parti principali, di statuire sui motivi di irricevibilità di ordine pubblico, occorre, nel caso di specie, nell’interesse della buona amministrazione della giustizia, procedere all’esame di detti motivi di irricevibilità di ordine pubblico [v., in tal senso, sentenze del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione, C‑313/90, EU:C:1993:111, punto 23, e del 19 settembre 2018, HH Ferries e a./Commissione, T‑68/15, EU:T:2018:563, punto 41 (non pubblicata)].

i)      Per quanto riguarda la prima eccezione di irricevibilità, relativa all’imprecisione del primo motivo

32      Nella sua memoria di intervento, il Parlamento sostiene che l’eccezione di illegittimità sollevata dalla ricorrente è imprecisa, in quanto essa afferma soltanto che, non prevedendo alcuna modalità di esecuzione delle funzioni nell’ambito del telelavoro, ai fini di un eventuale rimborso delle spese, l’articolo 71 dello Statuto, in combinato disposto con l’allegato VII di quest’ultimo, sarebbe «particolarmente problematico». Il Parlamento avrebbe difficoltà a stabilire in cosa consistano tale problema e l’illegittimità di cui si lamenta la ricorrente.

33      A questo proposito, si deve rammentare che, ai sensi dell’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, ciascun ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti.

34      Al fine di garantire la certezza del diritto e una buona amministrazione della giustizia, tale esposizione sommaria dei motivi dedotti dal ricorrente deve essere sufficientemente chiara e precisa da consentire al convenuto di preparare la propria difesa e al giudice competente di pronunciarsi sul ricorso (sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 41).

35      Nel caso di specie, nella sua eccezione di illegittimità, la ricorrente critica l’articolo 71 e l’allegato VII dello Statuto in quanto tali disposizioni non prevedrebbero il rimborso delle spese professionali che gli agenti sono costretti ad anticipare nell’ambito del telelavoro. La ricorrente ne deduce, in primo luogo, che dette disposizioni non sono adeguate alla situazione economica e sanitaria derivante dalla pandemia di COVID-19 e, in secondo luogo, che tale lacuna porta a conferire un vantaggio economico a una determinata categoria di funzionari.

36      In tale contesto, occorre ricordare che l’enunciazione dei motivi di un ricorso non è legata alla terminologia e all’elencazione che figurano nel regolamento di procedura, in particolare nel suo articolo 76, lettera d). Ne consegue che la presentazione di tali motivi, attraverso la loro sostanza anziché la loro qualificazione giuridica, può essere sufficiente, a condizione che i suddetti motivi emergano con sufficiente chiarezza dall’atto introduttivo del giudizio [v. sentenza del 29 settembre 2021, Enosi Mastichoparagogon Chiou/EUIPO (MASTIHACARE), T‑60/20, non pubblicata, EU:T:2021:629, punto 50 e giurisprudenza citata].

37      Alla luce di tale giurisprudenza, occorre dichiarare che il primo motivo, relativo all’illegittimità dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto, è sufficientemente preciso in quanto la sua sostanza consiste nel denunciare, con il primo argomento, l’inadeguatezza di tali disposizioni rispetto alle circostanze connesse alla crisi della pandemia di COVID-19. Del resto, la Commissione, il Consiglio e persino il Parlamento hanno potuto rispondere nel merito all’eccezione di illegittimità in questione.

38      Il primo motivo manca, invece, di precisione per quanto riguarda il secondo argomento della ricorrente, relativo alla violazione della parità di trattamento tra funzionari.

39      Infatti, l’atto introduttivo deve chiarire in cosa consiste il motivo sul quale il ricorso si basa, sicché la semplice enunciazione astratta dei motivi non risponde alle prescrizioni del regolamento di procedura (v. sentenza dell’11 settembre 2014, Gold East Paper e Gold Huasheng Paper/Consiglio, T‑444/11, EU:T:2014:773, punto 93 e giurisprudenza citata).

40      Pertanto, per quanto riguarda un motivo vertente su una violazione del principio di uguaglianza, da una giurisprudenza costante risulta che detto principio impone che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo, a meno che una differenziazione non sia obiettivamente giustificata [v. sentenza dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punti 54 e 55 e giurisprudenza citata].

41      Inoltre, in presenza di norme statutarie quali quelle controverse e tenuto conto dell’ampio potere discrezionale di cui gode, come nel caso di specie, il legislatore dell’Unione, il principio di parità di trattamento è violato solo nel caso in cui quest’ultimo operi una differenziazione arbitraria o manifestamente inadeguata rispetto all’obiettivo perseguito dalla normativa in questione (v. ordinanza del 29 novembre 2021, Bergallou/Consiglio, T‑521/16, non pubblicata, EU:T:2021:854, punto 80 e giurisprudenza citata).

42      Pertanto, nell’ambito di un motivo vertente su una violazione del principio di parità di trattamento, conformemente alle regole generali che disciplinano l’onere della prova e alla presunzione di legittimità inerente agli atti dell’Unione, spetta, in linea di principio, al ricorrente fornire elementi diretti a dimostrare che è stato trattato diversamente da altre persone che si trovano in una situazione analoga (v., in tal senso, sentenze del 30 maggio 2013, Morte Navarro/Parlamento, T‑280/09, non pubblicata, EU:T:2013:279, punto 48, e del 10 giugno 2020, Spliethoff’s Bevrachtingskantoor/Commissione, T‑564/15 RENV, non pubblicata, EU:T:2020:252, punto 97) e, posto che il legislatore dispone di un ampio potere discrezionale, che tale differenziazione è arbitraria o manifestamente inadeguata.

43      Orbene, nel caso di specie, la ricorrente non ha individuato, nel primo motivo quale figura nell’atto introduttivo del ricorso, né i vantaggi finanziari cui si riferisce né le categorie di funzionari che dovrebbero essere paragonate né, ancor meno, gli elementi da cui risulterebbe che l’asserita differenziazione sarebbe arbitraria o manifestamente inadeguata, per soddisfare così i requisiti di cui all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura nell’ambito di un motivo vertente sulla violazione del principio di parità di trattamento ad opera dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto.

44      È vero che la ricorrente richiama l’articolo 1 quinquies, paragrafo 5, dello Statuto, che prevede un adattamento dell’onere della prova, nel senso che spetta all’istituzione provare che non vi è stata violazione del principio di parità di trattamento quando un funzionario, ritenendosi leso dalla mancata osservanza di tale principio nei suoi confronti, dimostra fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione diretta o indiretta.

45      Tuttavia, il Consiglio osserva giustamente che tale disposizione non è destinata ad applicarsi quando è in discussione un’asserita violazione del principio di uguaglianza da parte dello Statuto stesso, poiché dal paragrafo 1 dell’articolo 1 quinquies, al quale il paragrafo 5 rinvia, discende che l’inosservanza del principio di uguaglianza considerato è quella risultante dall’«applicazione» dello Statuto.

46      È vero che, nel suo ricorso, la ricorrente deduce un altro motivo, il quarto, anch’esso relativo alla violazione del principio di non discriminazione, con cui critica la disparità di trattamento derivante dal fatto che i funzionari che non possono anticipare le spese di acquisto dell’attrezzatura da ufficio, rimborsabili in base alle linee direttrici sul telelavoro, sono svantaggiati rispetto agli altri, anche quando questi ultimi sostengano spese professionali.

47      Tuttavia, il Tribunale non può essere tenuto, per lo scarso rigore del ricorrente, a ricostruire l’articolazione giuridica che si presume fondare un motivo raccogliendo diversi elementi sparsi del ricorso, a rischio di ricostruire tale motivo attribuendogli una portata che non era nelle intenzioni del ricorrente. Decidere diversamente sarebbe contrario, al contempo, ad una buona amministrazione della giustizia, al principio dispositivo nonché ai diritti della difesa della parte convenuta [sentenza del 2 aprile 2019, Fleig/SEAE, T‑492/17, EU:T:2019:211, punto 44 (non pubblicata)].

48      Infine, nella sua replica e nelle sue osservazioni sulla memoria di intervento del Parlamento, la ricorrente ha menzionato le misure adottate da tale istituzione e dal Consiglio economico e sociale europeo (CESE) a favore dei loro rispettivi funzionari nonché i vantaggi di cui beneficerebbero i funzionari della Commissione che dispongono di un telefono di servizio.

49      Tuttavia, nell’esame della conformità del ricorso ai requisiti di cui all’articolo 76 del regolamento di procedura, il contenuto della replica o di altri atti successivi è irrilevante. In particolare, la ricevibilità, ammessa dalla giurisprudenza, dei motivi e degli argomenti dedotti nella replica a titolo di ampliamento dei motivi contenuti nel ricorso non può essere invocata al fine di ovviare ad un inadempimento, verificatosi al momento della proposizione del ricorso, ai requisiti di detto articolo, salvo privare quest’ultimo di qualsiasi portata (sentenza del 12 dicembre 2018, Deutsche Umwelthilfe/Commissione, T‑498/14, non pubblicata, EU:T:2018:913, punto 49). Ne consegue che i motivi e gli argomenti dedotti in tale contesto sono tardivi e, in mancanza di giustificazione, come nel caso di specie, sono irricevibili.

50      Si deve pertanto dichiarare che il primo motivo del ricorso consentiva alla Commissione e agli intervenienti a suo sostegno di difendersi e al Tribunale di statuire su quest’ultimo, ma solo nella parte in cui la ricorrente vi denunciava l’inadeguatezza dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto alle circostanze derivanti dalla pandemia di COVID-19.

ii)    Per quanto riguarda la seconda eccezione di irricevibilità, relativa alla violazione del carattere incidentale delle eccezioni di illegittimità

51      Il Parlamento sostiene che i motivi che non sono fondati sull’eccezione di illegittimità che mette in discussione l’articolo 71 e l’allegato VII dello Statuto sono presentati soltanto in via subordinata e che un siffatto approccio viola il carattere incidentale di un’eccezione di illegittimità.

52      Occorre tuttavia ricordare che il carattere incidentale dell’eccezione di illegittimità significa che la possibilità di dedurre l’inapplicabilità di un atto di portata generale ai sensi dell’articolo 277 TFUE non costituisce un autonomo diritto d’azione e non può essere esercitata in assenza di un diritto di ricorso principale (v. ordinanza del 16 maggio 2019, ITSA/Commissione, T‑396/18, non pubblicata, EU:T:2019:342, punto 39 e giurisprudenza citata). Nulla, in tale articolo, osta invece a che l’eccezione di illegittimità sia dedotta in via principale, quando gli altri motivi lo sono solo in via subordinata.

iii) Conclusione sulla ricevibilità del primo motivo

53      Considerato tutto quanto precede, il primo motivo è irricevibile nella parte in cui la ricorrente deduce il carattere asseritamente discriminatorio dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto. Esso è invece ricevibile nella parte in cui la ricorrente afferma che tali disposizioni non sarebbero adeguate alle circostanze derivanti dalla pandemia di COVID-19.

2)      Sul merito del primo motivo

54      Come è stato esposto al precedente punto 35, la ricorrente afferma che l’articolo 71 e l’allegato VII dello Statuto non sono adeguati alla situazione economica e sanitaria mondiale derivante dalla pandemia di COVID-19, in quanto tali disposizioni non prevedono il rimborso delle spese professionali che i funzionari sono costretti ad anticipare nell’ambito del telelavoro.

55      Occorre tuttavia osservare che il legislatore non poteva prevedere la pandemia di COVID-19 e la necessità, per farvi fronte, di organizzare un regime di telelavoro all’epoca dell’ultima modifica sostanziale dello Statuto mediante il regolamento (UE, Euratom) n. 1023/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013 (GU 2013, L 287, pag. 15). Peraltro, la ricorrente ne dà atto nella replica.

56      Tuttavia, a pagina 5 della comunicazione COM(2010) 543 definitivo, dell’8 ottobre 2010, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, intitolata «Legiferare con intelligenza nell’Unione europea», la Commissione aveva sottolineato, in particolare, i vantaggi di una valutazione a posteriori della legislazione come parte integrante di una «politica normativa intelligente». Essa ha quindi considerato che «check-up di qualità» erano intesi a vagliare se il quadro normativo per un dato ambito d’azione risultasse adeguato all’obiettivo perseguito, e, in caso negativo, cosa occorresse modificare. Lo scopo era, in particolare, individuare gli oneri eccessivi, le incoerenze e le misure obsolete o inefficaci.

57      Analogamente, alle pagine 9 e 11 della comunicazione COM(2019) 178 final, del 15 aprile 2019, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, intitolata «Legiferare meglio: bilancio e perseveranza nell’impegno», la Commissione ha ricordato che la valutazione a posteriori è uno dei pilastri fondamentali per una migliore legislazione, in quanto consente di verificare se quest’ultima rimanga pertinente, adeguata alle sue finalità e idonea a fornire i risultati voluti dal legislatore e attesi dai suoi destinatari.

58      Soprattutto, secondo la giurisprudenza, il dovere di ogni legislatore è, da un lato, quello di verificare, se non in permanenza, almeno periodicamente, che le norme da esso adottate rispondano ancora alle esigenze per le quali sono state concepite e, dall’altro, di modificare o addirittura abrogare le norme che hanno perso ogni giustificazione e sono giunte a non essere più in linea con il nuovo contesto nel quale devono produrre i loro effetti (v. sentenza del 5 dicembre 2012, Lebedef e a./Commissione, F‑110/11, EU:F:2012:174, punto 40 e conclusioni citate; v. altresì, in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Schrems, C‑362/14, EU:C:2015:650, punto 76).

59      Il legislatore dispone tuttavia di un ampio margine di manovra nell’ambito della verifica dell’adeguatezza delle norme alle esigenze, nonché, eventualmente, per adattare lo Statuto e per modificare i diritti e gli obblighi dei funzionari (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2007, Wils/Parlamento, F‑105/05, EU:F:2007:128, punto 126).

60      Orbene, la ricorrente non adduce alcun argomento né tantomeno elementi di prova sufficienti, i quali, tenuto conto di tale ampio margine discrezionale del legislatore, dimostrerebbero manifestamente l’inadeguatezza dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto di cui si lamenta e l’obbligo di modificare tali disposizioni in cui, per ipotesi, il legislatore si sarebbe trovato.

61      In più, anche supponendo che sia necessario il rimborso delle spese professionali risultanti da un regime di telelavoro, occorre tener conto del fatto che, in forza dell’articolo 336 TFUE, la modifica dello Statuto implica l’adozione di un regolamento da parte del Parlamento e del Consiglio, che deliberano conformemente alla procedura legislativa ordinaria descritta all’articolo 294 del medesimo Trattato, previa consultazione delle altre istituzioni interessate. Inoltre, l’articolo 294, paragrafo 2, TFUE dispone che la procedura legislativa inizi con la presentazione di una proposta della Commissione. Orbene, l’elaborazione di una siffatta proposta richiede essa stessa più fasi, anche indipendentemente dalle summenzionate consultazioni.

62      Alla luce della complessità di tale processo, dei tempi lunghi di attuazione dei processi di miglioramento della legislazione che ne seguono e del contesto delle restrizioni d’emergenza necessarie per affrontare la pandemia di COVID-19, alla data in cui la decisione impugnata è stata adottata, che occorre prendere in considerazione per valutarne la legittimità, non si può addebitare alle istituzioni dell’Unione di non aver modificato lo Statuto nel corso di detta pandemia.

63      Tale addebito non può essere rivolto neppure al legislatore in quanto occorre tener conto delle misure adottate con urgenza dalle istituzioni e da altri organismi dell’Unione. Infatti, la Commissione ha adottato senza indugio le linee guida sul telelavoro, che hanno previsto il rimborso, per il suo personale, delle spese di acquisto dell’attrezzatura da ufficio.

64      È vero che la ricorrente sostiene, nell’ambito del quarto motivo, che tali linee guida sono discriminatorie. Tuttavia, tale motivo deve essere respinto, come si evince dai punti da 99 a 108 infra.

65      Date tali circostanze, il primo motivo, vertente su un’eccezione di illegittimità nei confronti dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto, deve essere respinto.

b)      Sul secondo motivo, relativo, in subordine, alla violazione dellarticolo 71 dello Statuto

66      La ricorrente sostiene che, giustificando la decisione di rigetto del reclamo con la motivazione che l’articolo 71 e l’allegato VII dello Statuto non prevedono il rimborso delle spese di Internet e di telefonia, l’APN, da un lato, ha ignorato la finalità di tali disposizioni, che sarebbe quella di evitare che i funzionari assumano da soli le spese sostenute a titolo professionale, e, dall’altro, ha trascurato che dette disposizioni non hanno carattere tassativo, come proverebbe la decisione del segretario generale del CESE del 9 giugno 2021, che accorda al personale di tale comitato un’indennità mensile per coprire i costi generati dal telelavoro (in prosieguo: la «decisione del CESE del 9 giugno 2021»).

67      Tuttavia, sebbene l’articolo 71 dello Statuto abbia effettivamente l’obiettivo di evitare che i funzionari sopportino da soli le spese sostenute connesse all’esercizio delle loro funzioni (sentenza del 18 novembre 2015, FH/Parlamento, F‑26/15, EU:F:2015:137, punto 32), il rimborso delle spese è dovuto, conformemente alla sua formulazione, alle condizioni fissate all’allegato VII dello Statuto. Orbene, tale allegato elenca in maniera tassativa le prestazioni finanziarie rimborsabili. Pertanto, la decisione di rigetto del reclamo poteva legittimamente fondarsi sulla circostanza, in particolare, che l’articolo 71 dello Statuto non consentiva di accogliere le domande della ricorrente.

68      In più, l’articolo 71 e l’allegato VII dello Statuto, al pari di qualsiasi disposizione del diritto dell’Unione che dà diritto a prestazioni finanziarie, devono essere interpretati restrittivamente (v. sentenza del 18 luglio 2017, Commissione/RN, T‑695/16 P, non pubblicata, EU:T:2017:520, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

69      In particolare, l’asserita «interpretazione teleologica», di cui l’articolo 71 dovrebbe essere oggetto, secondo la ricorrente, contrasta con la volontà del legislatore. Con il regolamento (CE, Euratom) n. 723/2004 del Consiglio, del 22 marzo 2004, che modifica lo statuto e il regime applicabile agli altri agenti dell’Unione (GU 2004, L 124, pag. 1), il legislatore ha infatti inteso razionalizzare le varie indennità all’epoca esistenti, come sottolineato dal considerando 26 di detto regolamento e come osserva il Consiglio.

70      Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, né la decisione del CESE del 9 giugno 2021 né, del resto, le linee guida sul telelavoro adottate dalla Commissione contraddicono il carattere tassativo dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto.

71      Infatti, è vero che il principio di unicità della funzione pubblica, quale enunciato all’articolo 9, paragrafo 3, del Trattato di Amsterdam, implica che tutti i funzionari di tutte le istituzioni dell’Unione siano soggetti ad un unico Statuto. Tuttavia, tale principio non implica che le istituzioni debbano valersi allo stesso modo del potere discrezionale loro riconosciuto dallo Statuto. Al contrario, nella gestione del loro personale, queste ultime godono, in quanto datori di lavoro, di un principio di autonomia (sentenze del 18 settembre 2013, Scheidemann/Commissione, F‑76/12, EU:F:2013:132, punto 26, e del 21 gennaio 2014, Van Asbroeck/Parlamento, F‑102/12, EU:F:2014:4, punto 29).

72      Ne consegue che, sebbene ai funzionari e agli agenti dell’Unione debbano essere applicati allo stesso modo l’articolo 71 e l’allegato VII dello Statuto, il principio di autonomia può legittimamente giustificare le differenze tra le misure tassative adottate dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione per evitare che i membri del loro personale sopportino da soli le spese sostenute nell’esercizio delle loro funzioni nell’ambito del telelavoro. Tale considerazione vale a maggior ragione in quanto le suddette misure hanno dovuto essere adottate con urgenza in circostanze eccezionali connesse al sistema di telelavoro generalizzato e obbligatorio imposto dagli Stati membri per far fronte alla pandemia di COVID-19.

73      Ne consegue che il secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 71 dello Statuto deve essere respinto.

c)      Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del dovere di sollecitudine e del diritto a una buona amministrazione

74      La ricorrente sostiene che, adottando la decisione di rigetto del reclamo, l’APN ha violato il dovere di sollecitudine e il diritto a una buona amministrazione in quanto l’aumento del suo consumo di dati Internet sarebbe imputabile all’installazione di vari programmi professionali e alla partecipazione a formazioni online e in quanto la Commissione avrebbe negato l’impatto economico del telelavoro sulla sua situazione personale, in modo da sbilanciare i suoi rapporti con l’Unione.

75      Il dovere di sollecitudine implica in particolare che, quando statuisce sulla situazione di un membro del suo personale, l’autorità prenda in considerazione il complesso degli elementi che possono determinare la sua decisione e, nel farlo, tenga conto non solo dell’interesse del servizio, ma anche di quello dell’interessato (sentenze del 28 maggio 1980, Kuhner/Commissione, 33/79 e 75/79, EU:C:1980:139, punto 22, e del 7 novembre 2019, WN/Parlamento, T‑431/18, non pubblicata, EU:T:2019:781, punto 105). Esso è quindi un’espressione particolare del principio di buona amministrazione e specialmente dell’obbligo imposto all’autorità di procedere in qualsiasi materia ad un esame completo e circostanziato della situazione prima di adottare una decisione (v., in tal senso, sentenza del 25 maggio 2016, GW/Commissione, F‑111/15, EU:F:2016:122, punto 40).

76      Come suggerisce la ricorrente, il dovere di sollecitudine rispecchia quindi l’equilibrio dei diritti e degli obblighi reciproci che lo Statuto ha creato nei rapporti tra l’amministrazione e i suoi dipendenti (sentenza del 17 gennaio 2017, LP/Europol, T‑719/15 P, non pubblicata, EU:T:2017:7, punto 60). Tuttavia, in quanto espressione di tale equilibrio, il dovere di sollecitudine non può in nessun caso costringere l’amministrazione ad agire contro le disposizioni applicabili e, in particolare, non può condurla a conferire a una disposizione dell’Unione un effetto che sia in contrasto con i termini chiari e precisi di quest’ultima (v., in tal senso, sentenze del 2 marzo 2004, Di Marzio/Commissione, T‑14/03, EU:T:2004:59, punto 100, e del 29 aprile 2020, CV e a./Commissione, T‑496/19, non pubblicata, EU:T:2020:163, punto 50).

77      Pertanto, dal momento che l’obbligo di rimborsare le spese di consumo di dati Internet che sarebbero imputabili al telelavoro contrasterebbe con il carattere tassativo dell’articolo 71 e dell’allegato VII dello Statuto (v. precedente punto 67), la ricorrente non può invocare il dovere di sollecitudine per ottenere tale compensazione delle spese.

78      Del resto, il legislatore dell’Unione ha già tenuto conto della situazione di taluni funzionari, tra i quali la ricorrente, facendoli beneficiare dell’abbattimento fiscale del 10% per coprire spese professionali, previsto all’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento n. 260/68.

79      In più, la stessa Commissione ha dato prova di sollecitudine prevedendo, nelle linee guida sul telelavoro, il rimborso, a determinate condizioni, dei costi di acquisto per l’attrezzatura da ufficio.

80      Fatta salva la questione del rispetto del principio di uguaglianza che sarà esaminata nell’ambito del quarto motivo, il fatto che tale forma di intervento non soddisfi la ricorrente è insufficiente perché si debba concludere per la violazione del dovere di sollecitudine.

81      Infatti, tenuto conto dell’ampio potere discrezionale di cui gode l’amministrazione nella gestione del suo personale, il giudice dell’Unione, in forza del dovere di sollecitudine, può solo esaminare se quest’ultima si sia mantenuta entro limiti ragionevoli e non abbia fatto uso del suo potere discrezionale in maniera manifestamente errata (v., per analogia, sentenza del 4 dicembre 2013, ETF/Schuerings, T‑107/11 P, EU:T:2013:624, punti 102 e 103).

82      Orbene, occorre osservare che dalle linee guida sul telelavoro risulta che la Commissione ha optato per il rimborso dell’attrezzatura da ufficio affinché i suoi funzionari e agenti beneficiassero di condizioni di lavoro conformi alle norme sanitarie e di sicurezza adeguate ed equivalenti a quelle di un ufficio, il che costituisce manifestamente espressione di una sollecitudine.

83      Ad abundantiam, occorre ricordare che, per quanto riguarda il rimborso di pretese spese, è stato dichiarato che, conformemente ai principi che disciplinano l’onere della prova, in mancanza di disposizioni da cui deriverebbe la presunzione di spese sostenute, spetta al funzionario fornire la prova che egli ha effettivamente sostenuto costi direttamente connessi alle sue funzioni (v., per analogia, sentenza dell’11 luglio 2000, Skrzypek/Commissione, T‑134/99, EU:T:2000:184, punto 81).

84      Orbene, la ricorrente si limita a sostenere che l’aumento del suo consumo di dati Internet durante il mese di ottobre 2020 e il superamento del massimale da 100 GB a concorrenza di 137,434 GB che le hanno valso una fatturazione eccessiva deriverebbero dall’installazione e dall’utilizzo a fini professionali di programmi quali Skype for business, Webex o Teams, nonché dalla partecipazione a formazioni online.

85      Tuttavia, la circostanza che la parte essenziale del consumo di dati Internet della ricorrente durante il mese di ottobre 2020 fosse concentrata su quattro giorni lavorativi non è sufficiente, di per sé, a dimostrare che la parte eccedente il forfait mensile sarebbe dovuta ad un uso professionale. Tanto meno è fornita la prova del carattere professionale delle spese in questione in quanto dai documenti presentati dalla ricorrente stessa risulta che costei non ha avuto, in nessun altro momento in cui il telelavoro era la regola, un consumo di dati Internet eccedente il massimale di 100 GB, corrispondente al suo forfait.

86      Pertanto, le informazioni fornite dalla ricorrente non consentono neppure di ritenere dimostrato che il superamento del suo forfait di consumo Internet sarebbe dovuto al telelavoro e ancor meno che, rifiutando di tenerne conto, la Commissione avrebbe potuto violare il suo dovere di sollecitudine e il principio di buona amministrazione.

87      Infine, se è pacifico che l’operatore della ricorrente le ha fatturato un importo di EUR 1,89 per due telefonate nel settembre 2020 al servizio di assistenza informatica e alla DG dell’Informatica della Commissione, neppure il rifiuto di rimborsare tale somma può essere considerato una violazione del dovere di sollecitudine, tenuto conto della modicità di tale somma e delle misure descritte ai precedenti punti 78 e 79.

88      Il terzo motivo deve quindi essere respinto.

d)      Sul quarto motivo, vertente sulla violazione del principio di non discriminazione

89      La ricorrente sostiene che l’APN ha giustificato la decisione di rigetto del reclamo appellandosi alle linee guida sul telelavoro. Orbene, queste ultime creerebbero una prima discriminazione tra i funzionari della Commissione che dispongono di mezzi finanziari sufficienti per anticipare il costo dell’attrezzatura da ufficio e quelli che non hanno tali mezzi e che non possono ottenere il rimborso di altre spese professionali. Esse provocherebbero anche una seconda discriminazione alla luce del beneficio che i funzionari e gli agenti del CESE traggono dalla decisione del CESE del 9 giugno 2021.

1)      Sulla ricevibilità del quarto motivo

90      La Commissione sostiene che il quarto motivo è irricevibile in quanto non è stato sollevato nel reclamo.

91      Si deve ricordare, al riguardo, che gli articoli 90 e 91 dello Statuto subordinano la ricevibilità di un ricorso proposto da un funzionario contro l’istituzione cui appartiene alla condizione del regolare svolgimento del previo procedimento amministrativo.

92      In tale contesto, la regola della concordanza tra il reclamo e il successivo ricorso, cui allude la Commissione, impone, a pena di irricevibilità, che un motivo sollevato dinanzi al giudice dell’Unione lo sia già stato nell’ambito del procedimento precontenzioso, affinché l’APN sia stata in grado di conoscere le censure formulate dall’interessato nei confronti della decisione contestata (v. sentenza del 25 ottobre 2013, Commissione/Moschonaki, T‑476/11 P, EU:T:2013:557, punto 71 e giurisprudenza citata).

93      Nel caso di specie, nel reclamo, la ricorrente ha lamentato una violazione del principio di uguaglianza. Vi confrontava, da un lato, per quanto riguarda le comunicazioni telefoniche, l’«alta gerarchia», che dispone di telefoni di servizio, agli altri funzionari, che devono pagare le loro comunicazioni professionali e, dall’altro, per quanto riguarda i dati Internet, coloro che, a seconda dei loro contratti con i fornitori di accesso, dispongono di un volume considerevole di dati e di una velocità di trattamento elevata a coloro che non beneficiano di tali vantaggi.

94      Pertanto, la violazione del principio di uguaglianza era senz’altro dedotta nel reclamo, ma in una prospettiva diversa da quella su cui si fonda il quarto motivo del ricorso.

95      Tuttavia, occorre ricordare che l’articolo 91 dello Statuto non ha lo scopo di delimitare, in modo rigoroso e definitivo, l’eventuale fase contenziosa, purché il ricorso contenzioso non modifichi né la causa né l’oggetto del reclamo. In tal senso, le censure possono essere sviluppate, dinanzi al giudice dell’Unione, mediante deduzione di motivi e argomenti che non figurano necessariamente nel reclamo, purché vi si ricolleghino strettamente (v., in tal senso, sentenze del 25 ottobre 2013, Commissione/Moschonaki, T‑476/11 P, EU:T:2013:557, punti 73 e 76, e del 2 marzo 2017, DI/EASO, T‑730/15 P, EU:T:2017:138, punti 65 e 66).

96      Date tali circostanze, si deve ritenere che il fatto che la ricorrente abbia, per la prima volta, menzionato esplicitamente nel suo ricorso una disparità di trattamento tra coloro che dispongono e coloro che non dispongono delle risorse finanziarie per anticipare il costo dell’attrezzatura da ufficio non modifica né la causa né l’oggetto del reclamo.

97      Per giunta, non si può contestare alla ricorrente di non aver dedotto nel suo reclamo la discriminazione tra lei stessa, in quanto funzionaria della Commissione, e gli agenti del CESE, dal momento che la decisione del CESE del 9 giugno 2021 è intervenuta dopo la conclusione della fase precontenziosa.

98      Ne consegue che il quarto motivo è ricevibile.

2)      Sul merito del quarto motivo

99      Come è stato esposto supra al punto 40, il principio di uguaglianza impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che una differenziazione non sia obiettivamente giustificata.

100    Nel caso di specie, in primo luogo, la ricorrente contesta alla Commissione di non aver trattato diversamente i funzionari che non avevano i mezzi per acquistare l’attrezzatura da ufficio offrendo loro la possibilità di ottenere la compensazione delle spese telefoniche e del consumo di dati Internet.

101    La ricorrente, che non può fare causa per altri funzionari, ha il grado AST 4 e beneficiava dell’abbattimento d’imposta menzionato al precedente punto 78, non fornisce tuttavia alcun elemento atto a dimostrare che si trovasse nell’impossibilità materiale di anticipare le spese per l’attrezzatura da ufficio e che si trovasse quindi nella situazione sfavorevole denunciata. Pertanto, non dimostra di essere stata trattata come i funzionari in grado di provvedere a tale anticipo, mentre si trovava in una situazione finanziaria diversa.

102    In più, anche supponendo che tale differenza di trattamento sia dimostrata, la ricorrente non dimostra in ogni caso che la differenziazione di cui trattasi sarebbe arbitraria o manifestamente inadeguata, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 41.

103    Al contrario, come esposto nelle linee guida sul telelavoro, il provvedimento che consentiva il rimborso delle spese connesse all’acquisto dell’attrezzatura da ufficio era giustificato dalla necessità, in linea con l’articolo 1 sexies, paragrafo 2, dello Statuto, di aiutare i telelavoratori a svolgere i loro compiti in condizioni di lavoro conformi alle norme sanitarie e di sicurezza adeguate. In più, come suggerisce la Commissione, tale provvedimento si spiegava anche con l’intento di rimborsare solo le spese i cui legami con l’esercizio delle funzioni erano oggettivabili.

104    In secondo luogo, la ricorrente sostiene di aver subito una discriminazione a causa del trattamento più favorevole riservato ai funzionari e agli agenti del CESE.

105    Tuttavia, occorre ricordare (v. punto 71 supra) che la circostanza che tutti i funzionari siano soggetti ad un unico Statuto non implica che le istituzioni debbano valersi allo stesso modo del potere discrezionale loro conferito dallo Statuto, mentre, al contrario, queste ultime godono di un principio di autonomia in quanto datori di lavoro (v., in tal senso, sentenze del 16 settembre 1997, Gimenez/Comitato delle regioni, T‑220/95, EU:T:1997:130, punto 72, e del 21 gennaio 2014, Van Asbroeck/Parlamento, F‑102/12, EU:F:2014:4, punto 29).

106    Orbene, nel caso di specie, le linee guida sul telelavoro adottate dalla Commissione e la decisione del CESE del 9 giugno 2021 costituiscono l’espressione del principio di autonomia in materia di trattamento dei loro funzionari nella situazione eccezionale connessa alla pandemia di COVID-19 (v. precedente punto 72).

107    Di conseguenza, e in ogni caso, tali differenze tra i provvedimenti adottati dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi dell’Unione non possono essere dedotti a sostegno di un motivo vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento (v., in tal senso, sentenza del 14 febbraio 2017, Schönberger/Corte dei conti, T‑688/15 P, non pubblicata, EU:T:2017:76, punto 187).

108    Da tutto quanto precede consegue che il quarto motivo deve essere respinto.

e)      Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 7 della Carta

109    La ricorrente sostiene di essere stata costretta a chiedere alla Commissione la concessione di un accesso a Internet per compensare i costi generati dall’istituzione del telelavoro obbligatorio e che la decisione del PMO del 14 luglio 2021 che ha respinto la sua domanda di concessione di un accesso a Internet costituisce un’ingerenza nel suo diritto al rispetto della vita privata e del suo domicilio.

110    In forza dell’articolo 7 della Carta, ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni. Tuttavia, il diritto sancito da tale articolo non risulta essere una prerogativa assoluta. Esso può essere soggetto a limitazioni ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Facebook Ireland e Schrems, C‑311/18, EU:C:2020:559, punti 172 e 174 e giurisprudenza citata).

111    Occorre osservare, a tal riguardo, che, quando si tratta di un provvedimento individuale, come nel caso di specie, l’esistenza o meno di una limitazione ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta deve essere valutata alla luce del suo impatto reale sulla persona interessata (v., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, F, C‑473/16, EU:C:2018:36, punti da 52 a 54). In più, non può esservi ingerenza nell’esercizio di un diritto qualora il rapporto tra quest’ultimo e il provvedimento di cui trattasi sia troppo indiretto o troppo aleatorio per essere preso in considerazione (v., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 2018, Janoha e a./Commissione, T‑517/16, non pubblicata, EU:T:2018:874, punti 72 e 73).

112    Orbene, nel caso di specie, la ricorrente deduce soltanto che, per esercitare le sue funzioni in telelavoro grazie alla propria connessione Internet, è stata costretta a violare il contratto da essa sottoscritto privatamente con la VOO e ai sensi del quale il suo accesso a Internet era limitato ad un uso privato e personale.

113    Tuttavia, la ricorrente non fornisce alcun elemento dal quale possa dedursi che la VOO interpreti il suo contratto nel senso che esso le vieterebbe di utilizzare personalmente la sua connessione nell’esercizio delle sue funzioni e che tale divieto avrebbe inevitabilmente ripercussioni sul suo diritto al rispetto della sua vita privata e del suo domicilio. La Commissione osserva in proposito di non aver avuto conoscenza di alcuna denuncia da parte dei fornitori di accesso per l’uso, da parte dei loro clienti, della connessione Internet nel contesto del telelavoro e la ricorrente non produce alcuna prova che contraddica tale affermazione.

114    È vero che la ricorrente sostiene che un altro fornitore di accesso ha istituito un programma che consente ai datori di lavoro di intervenire finanziariamente nelle spese Internet dei loro dipendenti al fine di coprire i periodi di telelavoro di questi ultimi.

115    Tuttavia, la Commissione rileva giustamente che tale programma è presentato solo come un «regalo» che i datori di lavoro offrirebbero ai loro dipendenti. Pertanto, è solo una semplice opzione e non un dispositivo che, secondo tale fornitore, sarebbe indispensabile affinché i suoi clienti rispettino i loro obblighi contrattuali.

116    Date tali circostanze, non si può ritenere che la decisione impugnata costituisca una limitazione del diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata e del suo domicilio.

117    Il quinto motivo deve quindi essere respinto, così come, di conseguenza, l’intero secondo capo delle conclusioni.

C.      Sul terzo capo delle conclusioni

118    Con il terzo capo delle conclusioni, la ricorrente chiede al Tribunale di condannare la Commissione a versarle la somma di EUR 51,89 a titolo di rimborso delle sue spese professionali, a concederle, nell’ambito del telelavoro, l’accesso a Internet ad uso professionale e a versarle la somma di EUR 10 000 a titolo di risarcimento di vari danni.

119    Poiché la ricorrente formula tali domande «come conseguenza» dell’annullamento della decisione impugnata, è sufficiente constatare che, essendo stato respinto il secondo capo delle conclusioni, anche il terzo deve esserlo.

120    Inoltre, è ugualmente destinata al rigetto la domanda di risarcimento del danno morale che la ricorrente avrebbe subito a causa dei ripetuti dinieghi di concederle un accesso a Internet, del timore di dover nuovamente sostenere da sola spese professionali e del fatto che essa ha dovuto lasciare la Commissione per non essere penalizzata nella valutazione e nell’avanzamento di carriera.

121    Occorre ricordare, a tal riguardo, che, secondo la giurisprudenza, ogni danno deve essere reale e certo e che un danno puramente ipotetico e indeterminato non dà diritto a risarcimento (sentenza del 3 dicembre 2015, CN/Parlamento, T‑343/13, EU:T:2015:926, punto 118). Spetta alla parte che deduce la responsabilità dell’Unione fornire prove in merito all’esistenza o alla portata del danno lamentato. Tale obbligo si impone anche per quanto riguarda il danno morale. Una semplice affermazione che non è suffragata da alcun elemento di prova è insufficiente (v., in tal senso, sentenza del 3 dicembre 2015, CN/Parlamento, T‑343/13, EU:T:2015:926, punti 119 e 121).

122    Nella fattispecie, al fine di dimostrare la reale esistenza del danno morale, la ricorrente produce un certificato medico che la dichiara inabile al lavoro dal 22 dicembre 2020, a partire dalle 14:30, al 24 dicembre successivo.

123    Tuttavia, tale certificato medico è isolato, succinto e, in particolare, è privo di qualsiasi anamnesi. Soprattutto non è suffragato da alcun altro documento che consenta di imputare la breve interruzione del lavoro della ricorrente all’asserito «shock psicologico e fisico determinato dal rifiuto della Commissione di fornire il volume Internet necessario all’esecuzione della sua prestazione lavorativa».

124    La ricorrente non fornisce neppure prove a sostegno della sua affermazione secondo cui sarebbe stata indotta a lasciare la Commissione per non essere penalizzata nella valutazione e nell’avanzamento di carriera. A tale riguardo, il solo fatto che la Commissione l’abbia considerata assente ingiustificata il 3 maggio 2021 e che, per tale motivo, abbia dedotto un giorno dal saldo delle sue ferie annuali (v. punto 13 supra), non costituisce, al riguardo, nemmeno un principio di prova.

125    Infine, la ricorrente chiede invano il risarcimento del danno morale che ella avrebbe subito a causa della perdita di detto giorno di ferie per assenza irregolare allorché ha rifiutato di utilizzare il suo accesso privato a fini professionali.

126    Come sostiene la Commissione, tale domanda è irricevibile. Infatti, è stata formulata per la prima volta nel ricorso e non è stata oggetto di un procedimento precontenzioso completo e conforme agli articoli 90 e 91 dello Statuto, in un contesto in cui la causa diretta del danno lamentato risulta non dalla decisione impugnata, bensì da quella della DG Risorse umane e sicurezza del 19 maggio 2021.

127    Pertanto, il terzo capo delle conclusioni deve essere respinto.

128    Considerato tutto quanto precede, anche il ricorso stesso deve essere interamente respinto.

IV.    Sulle spese

129    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

130    Nel caso di specie, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata a farsi carico delle proprie spese e di quelle sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima.

131    Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le istituzioni che sono intervenute nella causa si fanno carico delle proprie spese. Il Parlamento e il Consiglio si faranno quindi carico delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      OE è condannata a farsi carico, oltre che delle proprie, delle spese sostenute dalla Commissione.

3)      Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea si faranno carico delle proprie spese.

Gervasoni

Madise

Frendo

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 settembre 2022.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.