Language of document : ECLI:EU:C:2018:64

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI AGGIUNTIVE DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 6 febbraio 2018 (1)

Causa C163/16

Christian Louboutin,

Christian Louboutin SAS

contro

Van Haren Schoenen BV

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia, Paesi Bassi)]

«Riapertura della fase orale del procedimento – Rinvio pregiudiziale – Marchi – Diniego di registrazione o nullità – Forma – Nozione – Caratteristiche tridimensionali dei prodotti – Colore»






I.      Introduzione

1.        Nella presente causa, il rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia, Paesi Bassi) invita la Corte a pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95/CE (2).

2.        Il 28 febbraio 2017 la Corte ha deciso di rinviare la causa dinanzi alla Nona Sezione. Il 6 aprile 2017 ha avuto luogo un’udienza. Il 22 giugno 2017 ho presentato le mie prime conclusioni in tale causa.

3.        Il 13 settembre 2017 la Nona Sezione ha deciso, ai sensi dell’articolo 60, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte, di rinviare la causa dinanzi alla Corte ai fini della sua riattribuzione a un collegio più ampio. Successivamente, la Corte ha riattribuito la causa alla Grande Sezione.

4.        Con ordinanza del 12 ottobre 2017, Louboutin e Christian Louboutin (C‑163/16, non pubblicata, EU:C:2017:765), la Corte ha disposto la riapertura della fase orale del procedimento e ha invitato gli interessati a partecipare ad una nuova udienza.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        L’articolo 3 della direttiva 2008/95, intitolato «Impedimenti alla registrazione o motivi di nullità», al paragrafo 1, lettere b), ed e), iii), dispone quanto segue:

«1.      Sono esclusi dalla registrazione o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

(...)

b)      i marchi di impresa privi di carattere distintivo;

(...)

e)      i segni costituiti esclusivamente:

(...)

iii)      dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto;

(...)».

B.      Convenzione Benelux

6.        Il diritto dei marchi nei Paesi Bassi è disciplinato dalla convenzione Benelux sulla proprietà intellettuale (marchi e disegni o modelli), firmata all’Aia il 25 febbraio 2005 dal Regno del Belgio, dal Granducato di Lussemburgo e dal Regno dei Paesi Bassi (in prosieguo: la «convenzione Benelux»).

7.        L’articolo 2.1 della convenzione Benelux, intitolato «Segni suscettibili di costituire un marchio Benelux», dispone segnatamente quanto segue: «(…) tuttavia non possono essere registrati come marchi d’impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto o dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico».

III. Procedimento dinanzi alla Corte

8.        In risposta all’invito rivolto agli interessati ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, il sig. Christian Louboutin e la società Louboutin SAS (in prosieguo, congiuntamente: «Louboutin»), la Van Haren Schoenen BV (in prosieguo: la «Van Haren»), i governi tedesco, francese e del Regno Unito, nonché la Commissione europea, hanno presentato le proprie osservazioni all’udienza tenutasi il 14 novembre 2017 (3). In tale fase del procedimento gli interessati hanno avuto una seconda possibilità di svolgere le loro osservazioni orali sulla questione pregiudiziale, così formulata: «[s]e la nozione di “forma”, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva [2008/95] sia limitata alle caratteristiche tridimensionali del prodotto come contorni, dimensioni e volume (che possono essere espressi in tre dimensioni), oppure se tale disposizione riguardi anche altre caratteristiche (non tridimensionali) del prodotto, come il colore».

IV.    Analisi

A.      Richiamo dell’interpretazione proposta nelle mie prime conclusioni e oggetto delle presenti conclusioni

9.        Nelle mie prime conclusioni ho svolto un’analisi che mi ha indotto a considerare che un segno che combina il colore e la forma può rientrare nel divieto di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 (4).

10.      Di conseguenza ho proposto alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio affermando che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che tale disposizione può applicarsi a un segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore specifico.

11.      Ai paragrafi da 28 a 41 delle mie prime conclusioni, in via subordinata, ho presentato le mie riflessioni sulla qualificazione del marchio controverso. Ho rilevato che il marchio controverso dovrebbe essere assimilato a un segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore in relazione a detta forma, piuttosto che a un marchio costituito da un colore specifico.

12.      Tuttavia, come avevo già segnalato al paragrafo 31 delle mie prime conclusioni, ritengo che la qualificazione del marchio controverso costituisca una valutazione di fatto, che incombe nella specie al giudice del rinvio.

13.      Lo stesso vale per quanto riguarda la risposta da fornire alla questione se il colore rosso della suola conferisca un valore sostanziale al prodotto. Mi sembra che la posizione del giudice del rinvio sia chiara in proposito e che muova dalla premessa secondo cui occorre rispondere affermativamente a tale questione.

14.      Nondimeno, ai paragrafi da 70 a 72 delle mie prime conclusioni, nella mia proposta di risposta alla questione pregiudiziale ho chiarito che l’analisi volta a stabilire se si tratti di una forma che dà un valore sostanziale al prodotto ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 – e, pertanto, se tale disposizione trovi o meno applicazione nella specie – verte esclusivamente sul valore intrinseco della forma e non deve tener conto dell’attrattiva esercitata dal prodotto derivante dalla reputazione del marchio o del suo titolare. Partendo da tale premessa, ho così formulato la seconda parte della mia proposta di risposta alla questione pregiudiziale: «La nozione di una forma che “dà un valore sostanziale” al prodotto, ai sensi di detta disposizione, si riferisce esclusivamente al valore intrinseco della forma e non consente di tener conto della reputazione del marchio o del suo titolare».

15.      Nelle presenti conclusioni affronterò gli aspetti presi in esame all’udienza del 14 novembre 2017, cosicché l’analisi contenuta nelle mie prime conclusioni sarà integrata da considerazioni sui differenti punti di vista degli interessati.

16.      In tale ottica, svolgerò anzitutto le mie considerazioni sulla qualificazione del marchio controverso alla luce delle posizioni espresse dagli interessati all’udienza del 14 novembre 2017. Successivamente prenderò in esame l’incidenza del regolamento di esecuzione (UE) 2017/1431 (5), avente ad oggetto in particolare la nozione di «marchio di posizione», sull’analisi contenuta nelle mie prime conclusioni riguardo alla qualificazione del marchio controverso. Formulerò poi osservazioni aggiuntive riguardo all’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, con riferimento, da un lato, al rapporto tra tale direttiva e la direttiva (UE) 2015/2436 (6) e, d’altro lato, alla ratio dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95. Infine, prenderò in esame le conseguenze della soluzione rispetto a cui avevo espresso il mio dissenso nelle mie prime conclusioni, ma che è stata preferita da vari interessati nel corso dell’ultima udienza, soluzione secondo la quale l’interesse a mantenere di dominio pubblico talune caratteristiche dei prodotti può essere preso in considerazione nell’ambito del controllo del carattere distintivo.

B.      Considerazioni aggiuntive sulla qualificazione del marchio controverso

17.      Nelle mie prime conclusioni, come ho appena brevemente ricordato supra, ero propenso a qualificare il marchio controverso come segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore in relazione a tale forma, anziché come marchio di colore (7).

18.      Dopo aver sentito gli interessati all’udienza del 14 novembre 2017, sono ancora meno incline a qualificare il marchio controverso come un marchio costituito da un colore specifico.

19.      In risposta a un quesito della Corte posto all’udienza del 14 novembre 2017, Louboutin si è espresso nel senso che il marchio controverso è un segno che potrebbe essere descritto nel modo seguente: da un lato, la suola è delimitata nello spazio da linee che permettono di disegnarla, e tutto ciò è delimitato dal colore rosso e, d’altro lato, la suola ha una forma corrispondente alla delimitazione nello spazio del colore rosso. Quindi, secondo il titolare del marchio controverso, il colore delimita la forma e – il che mi sembra conseguenza naturale della prima constatazione – tale forma corrisponde alla delimitazione spaziale del colore.

20.      Pertanto, ritengo che, nel caso di specie, non venga in rilievo una forma del tutto astratta o una forma d’importanza trascurabile, il che permetterebbe di giustificare la constatazione secondo cui il marchio controverso rivendica la tutela per un colore specifico in quanto tale, senza alcuna delimitazione nello spazio. Poco importa che la forma della suola possa variare in funzione dei differenti modelli di calzature. Si tratta sempre non già di un’altra parte di una calzatura, ma di una forma di suola. In tale contesto, non si può dimenticare, da un lato, il principio secondo il quale un marchio dev’essere considerato come un tutt’uno e, d’altro lato, che la tutela di cui gode il titolare del marchio non riguarda unicamente i segni identici al segno oggetto della domanda di registrazione, ma altresì quelli simili a detto segno.

21.      Inoltre, dubito che il colore rosso possa svolgere la funzione essenziale del marchio ed identificarne il titolare allorché tale colore è utilizzato al di fuori del contesto che gli è proprio, ossia indipendentemente dalla forma della suola. In ogni caso, non credo che il titolare perseguisse un tale scopo nel depositare la domanda di registrazione del marchio controverso.

22.      Per concludere, alla luce delle considerazioni esposte nei paragrafi da 29 a 41 delle mie prime conclusioni nonché delle precedenti considerazioni, ritengo che il marchio controverso dovrebbe essere assimilato a un segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore in relazione a detta forma, piuttosto che a un marchio costituito da un colore specifico.

C.      Considerazioni aggiuntive sull’applicabilità dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95 ai segni costituiti dalla forma del prodotto e da un colore specifico

1.      Incidenza della qualificazione di un marchio come «marchio di posizione» ai sensi del regolamento di esecuzione 2017/1431 sull’applicabilità dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95

23.      Al paragrafo 32 delle mie prime conclusioni ho osservato che la direttiva 2008/95 e la giurisprudenza della Corte non attribuiscono conseguenze giuridiche alla qualificazione di un marchio come «marchio di posizione». Il governo tedesco ha condiviso tale punto di vista all’udienza del 14 novembre 2017. Inoltre, come ho altresì chiarito al paragrafo 32 delle mie prime conclusioni, la qualificazione come «marchio di posizione» non impedisce in sé di considerare lo stesso marchio come costituito dalla forma del prodotto e, conseguentemente, come passibile del divieto di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, dal momento che quest’ultima categoria, ossia i marchi costituiti dalla forma del prodotto, ricomprende anche i segni che rappresentano una parte o un elemento del prodotto in questione.

24.      All’udienza del 14 novembre 2017 Louboutin ha sostenuto che l’articolo 3, paragrafo 3, lettera d), del regolamento di esecuzione 2017/1431 definisce il marchio di posizione indicando il modo in cui dev’essere rappresentato sul prodotto. Secondo Louboutin, il marchio controverso soddisfa i criteri stabiliti in tale definizione.

25.      Secondo la stessa logica, conformemente alla posizione assunta da vari interessati prima della riapertura della fase orale del procedimento, i governi tedesco, francese e del Regno Unito nonché la Commissione hanno sostenuto all’udienza del 14 novembre 2017 che il marchio controverso dev’essere qualificato come marchio di posizione. Soltanto il governo francese ha fatto esplicitamente riferimento al regolamento di esecuzione 2017/1431.

26.      Tuttavia, gli argomenti tratti dal regolamento di esecuzione 2017/1431, a mio avviso, non sono idonei a porre in discussione le considerazioni richiamate al paragrafo 23 delle presenti conclusioni (8).

27.      Il regolamento di esecuzione 2017/1431 è applicabile a decorrere dal 1° ottobre 2017 ed integra il sistema dei marchi dell’Unione europea fondato sul regolamento (CE) n. 207/2009 (9), che dal 1° ottobre 2017 è stato sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 (10). Frattanto, il regolamento n. 207/2009 è stato modificato dal regolamento (UE) n. 2015/2424 (11), entrato in vigore il 23 marzo 2016. L’articolo 7, paragrafo 1, lettera e), iii), del primo regolamento, che riprende la formulazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, è stato modificato nel senso che i segni costituiti esclusivamente dalla «forma o altra caratteristica che dà un valore sostanziale al prodotto» (12) sono esclusi dalla registrazione (13).

28.      Ne consegue che l’articolo 3, paragrafo 3, lettera d), del regolamento di esecuzione 2017/1431, che riguarda il «marchio di posizione», è stato integrato nel sistema dei marchi dell’Unione che ha precedentemente ammesso che non è necessario che il segno sia costituito dalla «forma» per essere colpito dall’impedimento alla registrazione o dal motivo di nullità corrispondente a quanto previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95.

29.      Pertanto, l’articolo 3, paragrafo 3, lettera d), del regolamento di esecuzione 2017/1431 non è stato concepito come «definizione» del tipo di marchio che, in ogni caso, non può essere colpito dall’impedimento alla registrazione o motivo di nullità corrispondente a quanto previsto all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95. Infatti, è adesso chiaro che, nel sistema dei marchi dell’Unione, la distinzione tra la «forma» e le «altre caratteristiche» non è rilevante con riferimento a tale impedimento alla registrazione o motivo di nullità.

30.      Per la stessa ragione, l’articolo 3, paragrafo 3, lettera d), del regolamento di esecuzione 2017/1431 non consente di sostenere che, in tutti i casi, un marchio di posizione è del tutto indipendente dalla forma del prodotto, soprattutto quando si tratta di un segno che rappresenta una parte o un elemento del prodotto interessato.

31.      Vero è che il regolamento di esecuzione 2017/1431 distingue, da un lato, il «marchio di posizione», contemplato al suo articolo 3, paragrafo 3, lettera d), e, d’altro lato, il «marchio di forma» e il «marchio di colore», contemplati rispettivamente all’articolo 3, paragrafo 3, lettere c), ed f), di tale regolamento.

32.      Ciò premesso, rilevo che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 non prende in considerazione i «marchi di forma», bensì i segni costituiti esclusivamente dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto (14).

33.      Peraltro, l’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento di esecuzione 2017/1431 non contiene né l’elenco tassativo dei tipi di marchi che possono essere registrati né le definizioni dei tipi di marchi menzionati da tale disposizione. Da un lato, l’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento in parola prevede la possibilità di presentare una domanda di registrazione avente ad oggetto un marchio che «non rientri in nessuna delle tipologie di cui al paragrafo 3» di tale articolo. D’altro lato, quest’ultimo paragrafo indica unicamente il modo in cui un marchio dev’essere rappresentato qualora la domanda «riguardi uno qualsiasi dei tipi di marchio di cui all[’articolo 3, paragrafo 3,] lettere da a) a j)», del regolamento di esecuzione 2017/1431. Infatti, mi sembra che l’articolo 3, paragrafo 3, di tale regolamento si limiti a specificare la maniera in cui i tipi di marchi più utilizzati devono essere rappresentati nella procedura di registrazione. Così, i segni che costituiscono ibridi tra vari tipi di marchi menzionati all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento di esecuzione 2017/1431 sono conformi al sistema dei marchi dell’Unione. Ciò detto, ricordo che il fatto che il marchio controverso sia stato registrato come marchio figurativo non impedisce di qualificarlo quale «marchio costituito dalla forma del prodotto».

34.      Alla luce di quanto precede, nonché delle considerazioni esposte al paragrafo 32 delle mie prime conclusioni, ritengo che l’introduzione della nozione di «marchio di posizione» di cui all’articolo 3, paragrafo 3, lettera d), del regolamento di esecuzione 2017/1431 nel sistema del diritto dell’Unione non possa attenuare le mie considerazioni relative all’applicabilità dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 a un segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore specifico.

2.      Portata dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii) della direttiva 2008/95 rispetto all’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2015/2436

35.      La direttiva 2008/95 sarà sostituita dalla direttiva 2015/2436, il cui termine per il recepimento è previsto per il 14 gennaio 2019. L’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2015/2436, che corrisponde all’impedimento alla registrazione o motivo di nullità previsto all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, fa riferimento ai segni costituiti esclusivamente «dalla forma, o altra caratteristica, dei prodotti, che dà un valore sostanziale al prodotto».

36.      Nelle mie prime conclusioni mi sono chiesto se il fatto che il legislatore non abbia ritenuto necessario prevedere disposizioni transitorie che consentissero di risolvere i potenziali conflitti tra le due direttive successive potesse indicare che aveva ritenuto che il regime giuridico di tali segni fosse invariato nell’ambito di dette direttive (15).

37.      Secondo il governo del Regno Unito, tale assenza di disposizioni transitorie non consente di trarre conclusioni per quanto concerne l’effetto retroattivo. Detto governo ha osservato che non vi sono disposizioni transitorie per quanto concerne le disposizioni che modificano altri aspetti del diritto dei marchi, in particolare l’articolo 14 della direttiva 2015/2436, che limita alle persone fisiche la difesa del proprio nome e che permette a una persona di utilizzare il proprio nome e il proprio indirizzo senza che ciò comporti la violazione di un marchio, mentre ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2008/95 tale difesa è consentita anche a persone giuridiche.

38.      Tuttavia, non mi sembra del tutto giustificato porre le modifiche apportate all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95 sullo stesso piano di quelle che riguardano la difesa del proprio nome, presa in considerazione all’articolo 6 di tale direttiva e all’articolo 14 della direttiva 2015/2436.

39.      La difesa del proprio nome costituisce una limitazione dei diritti esclusivi del titolare del marchio il quale è legittimato a vietare a qualsiasi terzo di fare uso di un segno identico al marchio. Infatti, le modifiche introdotte dalla direttiva 2015/2436 non limitano i diritti del titolare del marchio. Al contrario, tale direttiva consolida il monopolio di quest’ultimo e, al contempo, limita i diritti dei terzi, cosicché le imprese e le società ormai non possono più far valere la difesa del proprio nome.

40.      In ogni caso, tale fluttuazione degli effetti del marchio non è in grado di incidere sulla validità del marchio stesso. La gamma dei marchi composta da quelli già registrati e da quelli che possono ancora esserlo rimane dunque intatta tanto sotto il precedente quanto sotto il nuovo regime. Poco importa il regime sotto la vigenza del quale un marchio è registrato; il nuovo regime muterà soltanto la situazione dei terzi che non sono persone fisiche.

41.      Tuttavia, difficilmente tale logica potrebbe essere applicata con riferimento agli impedimenti alla registrazione o ai motivi di nullità di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95. In tale contesto occorrerebbe interrogarsi sull’incidenza della modifica della portata dell’impedimento alla registrazione o del motivo di nullità sul diritto dei marchi dell’Unione alla scadenza del termine per il recepimento della direttiva 2015/2436. C’è da chiedersi se sarebbe possibile anticipare la moltitudine di domande aventi ad oggetto la dichiarazione di nullità dei marchi dopo la data limite per il recepimento della nuova direttiva. Peraltro, se si considera che i marchi registrati sotto la vigenza del precedente regime non possono essere oggetto dei divieti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2015/2436 e corrispondenti all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95, ci si chiede se prima di tale data potrebbe verificarsi un deposito massiccio di marchi.

42.      Al di là di tali considerazioni, sono del parere che l’assenza di disposizioni transitorie nella direttiva 2015/2436 costituisca soltanto un indizio a favore dell’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 secondo la quale tale disposizione si applica ai segni costituiti dalla forma del prodotto che rivendicano la tutela per un colore specifico. L’argomento fondamentale della mia analisi è costituito soprattutto dalla ratio di tale disposizione (16).

3.      Ratio dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95

43.      All’udienza, vari interessati hanno affrontato il problema della ratio dell’impedimento alla registrazione o del motivo di nullità previsto all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95.

44.      I governi tedesco e del Regno Unito nonché la Van Haren hanno sostenuto che tale disposizione impedisce un utilizzo abusivo dei marchi che possa sfociare nella creazione di monopoli anticoncorrenziali.

45.      In tal senso, il governo tedesco privilegia la tesi secondo la quale l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95 osta a una monopolizzazione delle forme di prodotto che – per le loro caratteristiche – devono essere mantenute nel dominio pubblico in modo duraturo affinché il loro utilizzo rimanga consentito a tutti gli operatori del mercato. Orbene, detto governo sembra ritenere che le caratteristiche estetiche, prese in considerazione all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, seguano una propria dinamica nel senso che la loro attrattività può variare in funzione della moda.

46.      Analogamente, Louboutin sembra sostenere che, in campo estetico, non è necessario mantenere la disponibilità delle caratteristiche essenziali del prodotto in modo duraturo sulla base del diritto dei marchi, in quanto tali caratteristiche non possiedono una durata di vita economica sufficientemente lunga da giustificare una simile protezione.

47.      Sono sensibile alla tesi proposta in udienza da Louboutin e dal governo tedesco secondo la quale l’attrattività delle caratteristiche estetiche seguirebbe una propria dinamica, in quanto le caratteristiche ricercate ed apprezzate dal pubblico possono variare in base alla moda. Tale dinamica relativa alle caratteristiche che conferiscono un valore sostanziale al prodotto a mio avviso non osta a un’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 secondo la quale tale disposizione trova applicazione quando si tratta di un segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore specifico.

48.      Nelle mie conclusioni nella causa Hauck (17) ho spiegato che la valutazione se la forma in parola «dà un valore sostanziale al prodotto», ad esempio grazie alle caratteristiche estetiche della forma, implica la necessità di prendere in considerazione il punto di vista del consumatore medio. Tuttavia, la percezione della forma in questione da parte di un consumatore non è un criterio decisivo di valutazione. Al fine di raggiungere l’obiettivo perseguito all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, che consiste nel garantire che le forme che attirano il pubblico rimangano a disposizione dei soggetti operanti sul mercato, occorre tener conto tanto della percezione del segno di cui trattasi da parte del pubblico di riferimento quanto delle conseguenze economiche che potranno risultare dal fatto che tale segno sia riservato ad una sola impresa.

49.      In subordine, mi chiedo se – contrariamente a quanto sostiene Louboutin – l’importanza della percezione del pubblico nel contesto dell’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 non deponga a favore di un’interpretazione teleologica di tale disposizione. In tal caso, l’interpretazione più flessibile della nozione di «forma» ai sensi dell’articolo in parola prevarrebbe sulla sua interpretazione letterale.

50.      L’articolo 3, paragrafo 1, lettere e), i) ed e), ii), della direttiva 2008/95 prende in considerazione caratteristiche definite precedentemente e in modo duraturo, che discendono dalla natura dello stesso prodotto in quanto sono, rispettivamente, «imposte dalla natura stessa del prodotto» o «necessarie per ottenere un risultato tecnico». Di conseguenza, per quanto attiene in particolare a queste ultime, rilevo che la maniera in cui il pubblico percepisce i prodotti non può mutare tale stato di fatto, anche se è possibile conseguire un risultato tecnico tramite altre forme (18).

51.      L’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 consente di escludere dalla registrazione un marchio o di dichiararlo nullo allorché le sue caratteristiche danno un valore sostanziale al prodotto. Pertanto, la disposizione in esame permette di garantire che una caratteristica rimanga disponibile per tutti gli operatori del mercato nel corso del periodo durante il quale tale caratteristica ha una particolare incidenza sul valore del prodotto. A partire dal momento in cui ciò non avviene più – in particolare, come sostengono alcuni interessati, in quanto le preferenze del pubblico sono cambiate e detta caratteristica non è più ricercata ed apprezzata dal pubblico – il marchio di cui trattasi non potrebbe più essere oggetto del divieto di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95.

52.      In tale ipotesi, ne deriverebbe che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, contrariamente agli impedimenti alla registrazione o ai motivi di nullità contemplati all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), i) e ii), della medesima direttiva, riguarderebbe le caratteristiche dipendenti da fattori esogeni.

53.      In tal senso, se la risposta alla questione relativa a quali siano le caratteristiche che conferiscono «valore sostanziale al prodotto» dipendesse da fattori esogeni, in particolare dalla percezione del pubblico, sarebbe incoerente, nel caso di un segno che richiama la particolare attenzione del pubblico, escludere l’applicabilità di tale disposizione ad un segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore specifico. In effetti, ciò che conta nella percezione del pubblico è non tanto la distinzione tra marchi di forma, di colore o di posizione, ma l’identificazione dell’origine del prodotto fondata sull’impressione complessiva di un segno.

54.      Inoltre, il fatto che le caratteristiche che danno un valore sostanziale al prodotto siano, in parte, determinate dalla percezione del pubblico non consente, a mio avviso, di tener conto della reputazione del marchio o del suo titolare nell’ambito della valutazione volta a stabilire se la forma di cui trattasi «dà un valore sostanziale al prodotto» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 (19). Infatti, se si accettasse che la nozione di «forma che dà un valore sostanziale al prodotto» sia, anche parzialmente, determinata dalle caratteristiche percepite come attraenti dal pubblico, allora si dovrebbero necessariamente escludere le caratteristiche connesse alla reputazione del marchio o del suo titolare al fine di impedire che l’attrattiva prodotta da tale reputazione sia attribuita a una forma che, di per sé, non sarebbe attraente. Altrimenti, l’impedimento alla registrazione o il motivo di nullità di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 potrebbe essere interpretato in maniera assai ampia ed inadeguata rispetto al suo obiettivo, richiamato al paragrafo 48 delle presenti conclusioni.

55.      Alla luce di quanto precede, ritengo che il riferimento alla percezione del pubblico quale fattore che, tra gli altri, determina le caratteristiche che danno un valore sostanziale al prodotto deponga a favore dell’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 secondo cui tale disposizione si applica ai segni costituiti dalla forma del prodotto e richiedenti la tutela per un colore in relazione a tale forma.

D.      Qualificazione del marchio controverso sotto il profilo dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95

56.      Nelle mie prime conclusioni, ho preso in considerazione due approcci nel contesto della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame.

57.      Il primo approccio consiste nel ritenere che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95 possa essere interpretato in maniera ampia. Il secondo consiste nel tener conto dell’interesse a mantenere taluni segni di dominio pubblico, nell’ambito della valutazione del carattere distintivo di un segno ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva, per tutti i segni che si confondono con un aspetto del prodotto in questione o per altre categorie di segni la cui disponibilità è limitata.

58.      Mentre nelle mie prime conclusioni ho espresso la mia preferenza per il primo approccio, in udienza, i governi tedesco, francese e del Regno Unito nonché la Commissione sono sembrati favorevoli al secondo approccio. Rilevo che tali interessati, all’unanimità, hanno preso le mosse dalla premessa secondo la quale il marchio controverso deve essere inteso come marchio di posizione, che non ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95.

59.      Ciò detto, mi accingo ad ampliare le mie prime conclusioni. Tali osservazioni aggiuntive potrebbero rivelarsi utili per il giudice del rinvio nell’ipotesi in cui la Corte, nella sua emananda sentenza, ritenga che, nella specie, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 non sia applicabile. In ogni caso, sono convinto che una riflessione approfondita potrà permettere alla Corte di valutare in tutti i suoi aspetti la questione oggetto del presente procedimento.

60.      Ai paragrafi 45 e 46 delle mie prime conclusioni, mi sono espresso nel senso che risulta dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalla sentenza Libertel (20), che, nell’ambito dell’analisi del carattere distintivo di un segno costituito da un colore specifico, occorre verificare se la sua registrazione si ponga in contrasto con l’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità dei colori per gli altri operatori che offrano prodotti o servizi dello stesso genere. Prendendo le mosse da tale premessa, ho concluso che, allorché si tratta di segni che si confondono con l’aspetto del prodotto, la loro registrazione deve essere valutata tenendo conto delle stesse considerazioni che sono alla base del suddetto articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95.

61.      Nella sentenza Libertel (21), la Corte ha fondato la propria posizione riguardo alla valutazione del carattere distintivo dei marchi di colore sulla premessa secondo la quale il numero di colori che il pubblico è in grado di distinguere è poco elevato, poiché raramente disporrà della possibilità di porre direttamente a raffronto prodotti che presentino sfumature di colore diverse (22).

62.      Ciò vale a fortiori per quanto riguarda marchi qualificati come marchi di posizione per cui la tutela del diritto dei marchi è rivendicata per un colore specifico. Mi sembra anche che il numero di colori che potrebbe essere effettivamente apposto alla suola di una scarpa al fine di identificarne l’origine sia ancora più ristretto, in quanto le tonalità di nero, grigio e marrone sono in pratica sistematicamente prive di carattere distintivo in considerazione del loro uso frequente da parte degli operatori del mercato.

63.      Ciò premesso, rilevo che, in sede di esame del carattere distintivo di un segno, occorrerebbe tener conto anche della giurisprudenza relativa ai segni tridimensionali secondo la quale, poiché non è abitudine del consumatore medio presumere l’origine commerciale dei prodotti sulla base di segni che si confondono con l’aspetto dei prodotti stessi, tali segni sono distintivi unicamente se si discostano in maniera significativa dalla norma o dagli usi del settore (23).

64.      A tal proposito, ricordo che, nell’ordinanza pronunciata nella causa X Technology Swiss/UAMI (24), la Corte non ha accolto un capo di un motivo dedotto dal ricorrente il quale riteneva che, nell’ambito di un procedimento di ricorso relativo alla registrazione di un marchio caratterizzato da una colorazione arancione a forma di cappuccio che copre la punta di ogni articolo di calzetteria in maglia, il Tribunale avesse erroneamente omesso di distinguere i marchi tridimensionali dai marchi di posizione nell’ambito della valutazione del carattere distintivo del marchio. In tale contesto la Corte non ha respinto le considerazioni del Tribunale secondo cui il criterio decisivo per stabilire se un segno presenti o meno un carattere distintivo non è la sua qualificazione come marchio figurativo, tridimensionale o di altro genere, bensì il fatto che esso si confonda o meno con l’aspetto del prodotto interessato. Ne deriva che un segno che rivendica la tutela per un colore, che si confonda con l’aspetto del prodotto interessato, è distintivo unicamente se tale segno si discosta, in maniera significativa, dalla norma o dagli usi del settore di cui trattasi.

65.      Infine, osservo che, contrariamente all’impedimento alla registrazione o al motivo di nullità previsto all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, l’impedimento alla registrazione o il motivo di nullità di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della medesima direttiva, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, di detta direttiva, è derogabile qualora il segno abbia acquisito carattere distintivo dopo un normale processo di familiarizzazione del pubblico interessato. Pertanto, l’interesse generale a non limitare la disponibilità di una caratteristica ricercata ed apprezzata dal pubblico per gli altri operatori del mercato, alla base dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95, non può essere garantito in maniera duratura ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva.

66.      Dalle suesposte considerazioni discende che, nell’ambito dell’analisi del carattere distintivo di un segno che si confonda con l’aspetto del prodotto interessato, occorre valutare se la sua registrazione non contrasti con l’interesse generale a non limitare indebitamente la disponibilità delle caratteristiche rappresentate da tale segno per gli altri operatori che offrono prodotti o servizi dello stesso tipo. Tuttavia, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 non può svolgere interamente il ruolo dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), di tale direttiva, dal momento che è possibile derogare alla prima disposizione secondo le modalità di cui all’articolo 3, paragrafo 3, di detta direttiva.

V.      Conclusione

67.      Alla luce delle precedenti considerazioni, nonché dell’analisi effettuata nelle mie prime conclusioni, mantengo la mia proposta di risposta alla questione pregiudiziale sottoposta dal rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia, Paesi Bassi), che è stata formulata nel modo seguente:

L’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che può applicarsi a un segno costituito dalla forma del prodotto e che rivendica la tutela per un colore specifico. La nozione di una forma che «dà un valore sostanziale» al prodotto, ai sensi di detta disposizione, si riferisce esclusivamente al valore intrinseco della forma e non consente di tener conto della reputazione del marchio o del suo titolare.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).


3      Rilevo che i governi francese e del Regno Unito, contrariamente agli altri interessati, non hanno partecipato alla prima udienza, tenutasi il 6 aprile 2017.


4      V. paragrafi da 49 a 66 delle mie prime conclusioni. In subordine, non credo che tale interpretazione possa essere rimessa in discussione dal ragionamento svolto al punto 24 della sentenza del 10 luglio 2014, Apple (C‑421/13, EU:C:2014:2070), che riguarda la domanda di registrazione di un segno che rappresenta l’allestimento di uno spazio di vendita. Gli impedimenti alla registrazione o motivi di nullità contemplati all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 riguardano segni costituiti da una forma e – secondo l’interpretazione proposta nelle mie prime conclusioni – da altre caratteristiche «del prodotto» [per quanto concerne il legame tra la forma e il prodotto, v. sentenza dell’8 aprile 2003, Linde e a. (da C‑53/01 a C‑55/01, EU:C:2003:206, punto 43)]. L’allestimento di uno spazio di vendita costituisce non già il prodotto in sé, ma – secondo le mie riflessioni svolte al paragrafo 107 delle mie conclusioni nella causa Hauck (C‑205/13, EU:C:2014:322) – un segno che riflette materialmente le circostanze in cui è prestato un dato servizio. Pertanto, ritengo che – riprendendo i termini utilizzati nella sentenza del 10 luglio 2014, Apple (C‑421/13, EU:C:2014:2070) – l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2008/95, nel caso di specie, fosse irrilevante in quanto si trattava non già di un segno costituito da una forma o da un’altra caratteristica del prodotto, bensì di un segno che rifletteva tali circostanze.


5      Regolamento di esecuzione della Commissione, del 18 maggio 2017, recante modalità di esecuzione di alcune disposizioni del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 205, pag. 39).


6      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1).


7      V. paragrafi da 29 a 41 delle mie prime conclusioni.


8      Il regolamento di esecuzione 2017/1431 riguarda i marchi dell’Unione e, pertanto, non è direttamente applicabile nel caso di specie. Tuttavia, dato che il legislatore dell’Unione garantisce la complementarità tra il sistema dei marchi dell’Unione europea e i sistemi dei marchi nazionali, tale regolamento potrebbe indicare in che direzione occorra interpretare le disposizioni delle direttive relative a tali sistemi nazionali.


9      Regolamento del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1).


10      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).


11      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, recante modifica del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio sul marchio comunitario, che modifica il regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario, e che abroga il regolamento (CE) n. 2869/95 della Commissione relativo alle tasse da pagare all’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (marchi, disegni e modelli) (GU 2015, L 341, pag. 21).


12      Il corsivo è mio.


13      Un’identica disposizione è contenuta anche nel regolamento 2017/1001 e nell’articolo 4, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2015/2436, che sostituirà la direttiva 2008/95. V. paragrafi 5 e da 61 a 64 delle mie prime conclusioni.


14      Sull’applicabilità dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 ai marchi corrispondenti a tale descrizione, v. paragrafi da 57 a 60 delle mie prime conclusioni.


15      V. paragrafo 64 delle mie prime conclusioni.


16      V. paragrafi da 53 a 58 delle mie prime conclusioni.


17      C‑205/13, EU:C:2014:322, paragrafi da 89 a 92.


18      V. sentenza del 18 giugno 2002, Philips (C‑299/99, EU:C:2002:377, punto 83).


19      V. paragrafi da 70 a 72 delle mie prime conclusioni. V. altresì, in tal senso, Direttive concernenti l’esame effettuato in materia di marchi, Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, parte B: Esame, Sezione 4: Impedimenti assoluti alla registrazione, versione del 23 marzo 2016, scaricabili alla pagina https://euipo.europa.eu/tunnel-web/secure/webdav/guest/document_library/contentPdfs/law_and_practice/decisions_president/ex16-1_it.pdf, pag. 83 [2.5.4 Forma o altra caratteristica che dà un valore sostanziale al prodotto: «(...) Il concetto di “valore” non deve essere interpretato nel senso di “notorietà”, dal momento che l’applicazione di questo impedimento assoluto è motivata esclusivamente dall’effetto sul valore aggiunto ai prodotti dalla forma o altra caratteristica e non da altri fattori quali la notorietà del marchio denominativo, anch’esso utilizzato per identificare i prodotti in questione (cfr. a questo proposito la decisione del 16 gennaio 2013, R 2520/2011‑5, § 19)»]. V. altresì Kur, A., Too Pretty to Protect?Trade Mark Lawand the Enigma of Aesthetic Functionality, Drexl, J., Hilty, R.M., Godt, L., e al., Larcier, Bruxelles, 2009, pag. 153.


20      Sentenza del 6 maggio 2003 (C‑104/01, EU:C:2003:244, punti 53 e 54).


21      Sentenza del 6 maggio 2003 (C‑104/01, EU:C:2003:244, punto 47).


22      V. sentenza del 6 maggio 2003, Libertel (C‑104/01, EU:C:2003:244, punto 47).


23      V. sentenze del 7 ottobre 2004, Mag Instrument/UAMI (C‑136/02 P, EU:C:2004:592, punti 30 e 31), e del 12 gennaio 2006, Deutsche SiSi‑Werke/UAMI (C‑173/04 P, EU:C:2006:20, punti 28 e 31).


24      Ordinanza del 16 maggio 2011 (C‑429/10 P, non pubblicata, EU:C:2011:307).