Language of document : ECLI:EU:T:2009:448

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

19 novembre 2009 (*)

«Marchio comunitario – Procedimento di nullità – Marchio comunitario denominativo CANNABIS – Impedimento assoluto alla registrazione – Carattere descrittivo – Art. 7, n. 1, lett. c), e art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuti art. 7, n. 1, lett. c), e art. 52, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) n. 207/2009]»

Nella causa T‑234/06,

Giampietro Torresan, residente in Rothenburg (Svizzera), rappresentato dall’avv. G. Recher,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. P. Bullock e O. Montalto, in qualità di agenti,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Klosterbrauerei Weissenohe GmbH & Co. KG, con sede in Weissenohe (Germania), rappresentata dagli avv.ti A. Masetti Zannini de Concina, M. Bucarelli e R. Cartella,

interveniente,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI 29 giugno 2006 (procedimento R 517/2005-2), relativa a un procedimento di nullità tra la Klosterbrauerei Weissenohe GmbH & Co. KG e il sig. Giampietro Torresan,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dalle sig.re I. Pelikánová, K. Jürimäe e dal sig. S. Soldevila Fragoso (relatore), giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 settembre 2006,

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 novembre 2006,

vista la memoria dell’interveniente depositata presso la cancelleria del Tribunale il 26 gennaio 2007,

vista la modifica della composizione delle sezioni del Tribunale,

in seguito all’udienza del 5 maggio 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 12 febbraio 1999 il ricorrente, sig. Giampietro Torresan, depositava una domanda di registrazione di marchio comunitario presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), in forza del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1) [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo CANNABIS.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione del marchio sono compresi nelle classi 32, 33 e 42 dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente decisione:

–        classe 32: «birra»;

–        classe 33: «vini, spiriti, liquori, spumanti, vino spumante, champagne»;

–        classe 42: «servizi di ristorazione, ristoranti, ristoranti self service, birrerie, gelaterie, pizzerie».

4        Il 16 aprile 2003 il marchio comunitario CANNABIS è stato registrato con il n. 1073949.

5        Il 27 giugno 2003 l’interveniente, Klosterbrauerei Weissenohe GmbH & Co. KG, presentava domanda di dichiarazione di nullità del marchio CANNABIS per quanto riguarda i prodotti delle classi 32 e 33, ai sensi del combinato disposto degli artt. 51, n. 1, lett. a), e 7, n. 1, lett. c), f), e g), del regolamento n. 40/94 [divenuti art. 52, n. 1, lett. a), e art. 7, n. 1, lett. c), f) e g), del regolamento n. 207/2009].

6        Con decisione 9 marzo 2005 la divisione di annullamento dell’UAMI dichiarava nulla la registrazione del marchio comunitario relativamente ai prodotti delle classi 32 e 33 dell’Accordo di Nizza, ritenendo che il marchio CANNABIS avesse carattere descrittivo, conformemente all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.

7        Il 29 aprile 2005 il ricorrente presentava ricorso di annullamento avverso tale decisione e, con decisione 29 giugno 2006 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la seconda commissione di ricorso dell’UAMI lo respingeva. In particolare, essa ha considerato, da un lato, che il termine «cannabis», nel linguaggio corrente, designasse o una pianta tessile o una sostanza stupefacente e, dall’altro, che, per il consumatore medio, si trattasse di un’indicazione chiara e diretta delle caratteristiche dei prodotti delle classi 32 e 33.

 Conclusioni delle parti

8        Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        confermare la registrazione del marchio comunitario CANNABIS per le classi 32 e 33;

–        condannare l’UAMI alle spese.

9        L’UAMI e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

10      In udienza il ricorrente ha dichiarato di rinunciare al suo secondo capo di conclusioni, circostanza di cui è stato preso atto nel verbale di udienza.

 In diritto

11      A sostegno del suo ricorso il ricorrente deduce un motivo unico, vertente sulla violazione dell’art. 51, n. 1, lett. a), e dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94. L’interveniente fa a sua volta valere due motivi relativi, il primo, alla violazione dell’art. 51, n. 1, lett. a), e dell’art. 7, n. 1, lett. g), del regolamento n. 40/94 e, il secondo, alla violazione dell’art. 51, n. 1, lett. a), e dell’art. 7, n. 1, lett. f), del medesimo regolamento.

 Argomenti delle parti

12      Il ricorrente sostiene che il marchio CANNABIS ha carattere distintivo in quanto si tratta di un nome comune e, al contempo, di un marchio di fantasia, senza alcun rapporto di associazione, anche indiretta, con la birra e le bevande in genere. Quale nome comune, il termine «cannabis» indica il nome scientifico di una pianta tessile, da cui si estraggono alcune droghe e da cui possono essere ricavate sostanze terapeutiche. Il segno CANNABIS è presente sul mercato italiano fin dal 1996 e, in quanto marchio comunitario, dal 1999 per i prodotti delle classi 32 e 33 dell’Accordo di Nizza. Detto marchio ha acquisito una notorietà considerevole nell’ambito comunitario.

13      Il ricorrente ritiene che il termine «cannabis» non rappresenti la modalità comune per indicare birre o bevande alcoliche comprese nella classe 33. Da un lato, alla luce della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29), e della direttiva del Consiglio 22 giugno 1988, 88/388/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri nel settore degli aromi destinati ad essere impiegati nei prodotti alimentari e nei materiali di base per la loro preparazione (GU L 184, pag. 61), la cannabis non dovrebbe essere considerata un alimento, ma piuttosto uno stupefacente e una sostanza psicotropa, il che, secondo il ricorrente, escluderebbe ogni possibilità di lecito utilizzo in ambito comunitario. D’altro canto, come risulta dalle definizioni contenute in svariati vocabolari, il termine in questione, nell’immaginario collettivo, si riferisce allo stupefacente ottenuto a partire dalla pianta omonima.

14      Il ricorrente osserva parimenti che, nella fattispecie, la birra CANNABIS è una birra aromatizzata, prodotta unicamente con materie prime lecite e consentite. In quanto alimenti, la birra e, in generale, le bevande alcoliche non possono contenere sostanze proibite come, ad esempio, droga. Pertanto, il pubblico interessato non potrebbe stabilire immediatamente e senz’altra riflessione un rapporto concreto e diretto tra i prodotti per i quali il marchio è stato registrato e il segno CANNABIS, come invece richiesto da costante giurisprudenza.

15      Il ricorrente sostiene che il marchio CANNABIS non può ritenersi un marchio descrittivo poiché, in realtà, il segno CANNABIS rappresenta un termine evocativo, atto ad attrarre l’attenzione del consumatore, che può suscitare un’idea di piacere, di evasione o di relax. Dal momento che si tratta di un messaggio «paradossale» e «iperbolico», alla stregua di altri marchi, quali OPIUM o COCA-COLA, per tutti i marchi siffatti si dovrebbe impiegare il medesimo metro di valutazione, e l’annullamento del marchio comunitario in causa in base ad argomenti del genere violerebbe il principio generale di parità di trattamento.

16      Il ricorrente contesta altresì la definizione di consumatore medio contenuta nella decisione impugnata, dato che quest’ultimo non sarebbe un consumatore di stupefacenti, in cerca delle stesse sensazioni che otterrebbe dal consumo della cannabis, né un «alcolizzato abituale». Il ricorrente reputa che il consumatore medio sia un estimatore di birra, il cui grado di intelligenza, di diligenza e di prudenza corrisponde al livello medio del tipo di clientela al quale il prodotto è destinato. Il ricorrente sostiene inoltre che occorre considerare se il consumatore accorto, nel momento in cui acquista una bevanda recante il marchio CANNABIS, possa immediatamente pensare che si tratti effettivamente di cannabis. Orbene, nel caso in esame, il ricorrente ritiene che il consumatore medio controllerà sull’etichetta gli ingredienti del prodotto. Ne consegue che solo un consumatore mal informato potrà considerare il termine «cannabis» come un’indicazione chiara e diretta della qualità dei prodotti rivendicati.

17      Infine, il ricorrente conclude che, nella fattispecie, il marchio in questione non può essere considerato descrittivo poiché, da un lato, non esiste alcun nesso diretto ed attuale tra quest’ultimo ed i prodotti delle classi 32 e 33 dell’Accordo di Nizza e che, dall’altro, non si può legittimamente presumere, come richiesto dalla giurisprudenza, che tale nesso possa ragionevolmente stabilirsi in futuro. Il fatto che, probabilmente, la proibizione dell’uso della cannabis venga in futuro eliminata è solo un’opinione personale dell’UAMI, la quale non può soddisfare il requisito che, in futuro, possa ragionevolmente stabilirsi un nesso diretto fra il marchio CANNABIS e i prodotti di cui trattasi.

18      L’UAMI e l’interveniente contestano tutti gli argomenti dedotti dal ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

19      In via preliminare occorre rilevare che, come constatato dalla commissione di ricorso al punto 22 della decisione impugnata, il termine «cannabis» ha tre possibili significati. In primo luogo, il termine «cannabis» designa una pianta tessile relativamente alla quale l’organizzazione comune di mercato è disciplinata nell’ambito comunitario e la cui produzione è soggetta ad una normativa molto severa per quanto riguarda il tenore di tetraidrocannabiolo (THC), principio attivo della cannabis, che non può superare la soglia dello 0,2% [v. l’art. 5 bis del regolamento (CE) del Consiglio 17 maggio 1999, n. 1251, che istituisce un regime di sostegno a favore dei coltivatori di taluni seminativi (GU L 160, pag. 1), come modificato, e l’art. 7 ter, n. 1, nonché gli allegati XII e XIII al regolamento (CE) della Commissione 22 ottobre 1999, n. 2316, recante modalità di applicazione del regolamento n. 1251/1999 (GU L 280, pag. 43), come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 5 febbraio 2004, n. 206 (GU L 34, pag. 33)]. In secondo luogo, il termine «cannabis» indica una sostanza stupefacente proibita in un gran numero di Stati membri. In terzo luogo, designa una sostanza il cui possibile uso terapeutico è in discussione, come risulta dalla risposta della Commissione europea all’interrogazione scritta 23 gennaio 2002, n. E‑0039/02 (GU C 147 E, pag. 232).

20      Si deve poi sottolineare che, conformemente ai due studi scientifici presentati dall’UAMI, la cannabis, nota anche come «canapa», è utilizzata nel settore alimentare in diverse forme (oli, tisane) e in svariati preparati alimentari (tè, paste alimentari, prodotti di panetteria e biscotteria, bevande con o senza alcool, ecc.). Ciò è confermato dalla documentazione prodotta dall’interveniente, a constatazione dell’utilizzo della canapa nella preparazione di taluni alimenti e bevande. Le analisi tossicologiche effettuate sui detti prodotti indicano che contengono una concentrazione di THC molto bassa, nettamente inferiore alla summenzionata soglia dello 0,2%, e che quindi non causano alcun tipo di effetto psicotropo.

21      Infine, contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente, dall’art. 4 della direttiva 88/388 risulta che l’impiego di aromi che non contengono una quantità tossicologicamente pericolosa di un qualsiasi elemento o sostanza è ammesso.

22      Tali constatazioni consentono pertanto di stabilire, in primo luogo, che, contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente, il termine «cannabis» non fa solamente riferimento a droghe e sostanze terapeutiche e, in secondo luogo, che la canapa è lecitamente utilizzata nella preparazione di alimenti e bevande. Occorre quindi esaminare, alla luce di dette constatazioni, se il marchio denominativo CANNABIS sia descrittivo per i prodotti delle classi 32 e 33 dell’Accordo di Nizza, per i quali era stato registrato.

23      L’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 vieta la registrazione come marchio di segni o indicazioni che in commercio possono servire per «designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio». Tali segni descrittivi sono inidonei ad assolvere la funzione d’indicatore di origine inerente ai marchi [sentenza della Corte 23 ottobre 2003, causa C‑191/01 P, UAMI/Wrigley, Racc. pag. I‑12447, punto 31; sentenze del Tribunale 2 aprile 2008, causa T‑181/07, Eurocopter/UAMI (STEADYCONTROL), punto 35, e 21 gennaio 2009, causa T‑307/07, Hansgrohe/UAMI (AIRSHOWER), punto 22].

24      In tale ottica, i segni e le indicazioni di cui all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 sono quelli che, in un uso normale dal punto di vista del pubblico destinatario, possono servire per designare, direttamente o tramite la menzione di una delle sue caratteristiche essenziali, il prodotto o il servizio per cui è chiesta la registrazione [sentenze del Tribunale 14 giugno 2007, causa T‑207/06, Europig/UAMI (EUROPIG), Racc. pag. II‑1961, punto 26; 21 maggio 2008, causa T‑329/06, Enercon/UAMI (E), punto 21, e 21 gennaio 2009, causa T‑296/07, Korsch/ UAMI (PharmaCheck), punto 30].

25      Secondo una giurisprudenza costante, il segno è descrittivo allorché presenta con i prodotti o servizi in causa un nesso sufficientemente concreto e diretto da consentire al pubblico destinatario di percepire immediatamente, e senza altra riflessione, una descrizione di una delle caratteristiche dei prodotti e servizi di cui si tratti (sentenze EUROPIG, cit., punto 27, e STEADYCONTROL, cit., punto 36).

26      Va anche ricordato che la valutazione del carattere descrittivo di un segno può effettuarsi soltanto, da un lato, rispetto alla comprensione che ne ha il pubblico interessato e, dall’altro, rispetto ai prodotti o ai servizi in causa (sentenza STEADYCONTROL, cit., punto 38, e sentenza E, cit., punto 23). Il carattere descrittivo di un marchio, infatti, dev’essere valutato in relazione ai prodotti per i quali il marchio è stato registrato e prendendo in considerazione la percezione presumibile di un consumatore medio della categoria dei prodotti in questione, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto.

27      Nella fattispecie i prodotti in questione sono birra, vini, alcolici, liquori, spumanti, vino spumante e champagne. Il pubblico destinatario è quindi formato dal consumatore medio di questo tipo di prodotti.

28      Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, nella decisione impugnata la commissione di ricorso non identifica il consumatore medio come un consumatore di stupefacenti, in cerca delle stesse sensazioni che otterrebbe dal consumo della cannabis, né un «alcolizzato abituale». L’affermazione riportata alla fine del punto 27 della decisione impugnata, relativa all’impressione che avrebbe «chi comprasse una birra» vedendo il marchio denominativo CANNABIS, attiene all’esame del carattere descrittivo del segno in questione agli occhi di un consumatore di birra e non alla definizione del consumatore medio.

29      Nel presente contesto si tratta di determinare se il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, potrebbe pensare, alla mera vista di una bevanda che reca come marchio il segno denominativo CANNABIS, senza alcun ulteriore elemento aggiuntivo, che il marchio in questione costituisca una descrizione delle caratteristiche dei prodotti in causa.

30      A tale proposito occorre rilevare, come si ricava dai punti 27, 29 e 30 della decisione impugnata, che sussiste un rapporto concreto fra il segno CANNABIS e alcune caratteristiche dei prodotti summenzionati. Infatti, come risulta dalla documentazione presentata dall’UAMI e dall’interveniente, la cannabis è impiegata abitualmente nella fabbricazione di numerosi prodotti alimentari, fra cui la birra e talune bevande. Dalla medesima documentazione emerge che talune birre contenenti cannabis sono attualmente presenti sul mercato alimentare europeo.

31      Peraltro, il termine «cannabis» è un termine scientifico latino conosciuto, da un lato, in svariate lingue della Comunità europea, come risulta dal punto 24 della decisione impugnata e come il ricorrente stesso ha posto in evidenza nel ricorso, e, dall’altro, dal grande pubblico a causa della sua esposizione mediatica, il che lo rende comprensibile dal consumatore destinatario nell’intero territorio comunitario (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 9 marzo 2006, causa C‑421/04, Matratzen Concord, Racc. pag. I‑2303, punto 32).

32      Dette circostanze chiariscono che, alla vista di una bevanda alcolica o di una birra recante il marchio CANNABIS, il consumatore medio comunitario percepirà, immediatamente e senz’altra riflessione, una descrizione delle caratteristiche dei prodotti in causa, in particolare della cannabis, la quale è uno degli ingredienti che può essere impiegato come aroma nella loro fabbricazione.

33      Tale caratteristica non è priva di interesse per il consumatore medio. Come rilevato dalla commissione di ricorso al punto 27 della decisione impugnata, «chi comprasse una birra contraddistinta dal marchio CANNABIS, molto probabilmente lo farebbe perché convinto della presenza di cannabis nella stessa e attratto dalla possibilità di ottenere dalla bevanda le stesse sensazioni o almeno sensazioni simili a quelle che otterrebbe dal consumo della cannabis sotto altra forma». Pertanto, la circostanza che la cannabis sia uno dei componenti della birra o di bevande alcoliche costituisce una caratteristica determinante per la decisione dei consumatori al momento dei loro acquisti e, quindi, una caratteristica essenziale dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato, che sarebbe tenuta in considerazione per la scelta effettuata dal pubblico destinatario.

34      L’argomento del ricorrente, secondo cui il segno CANNABIS costituirebbe un termine evocativo, atto ad attrarre l’attenzione del consumatore e che può suscitare un’idea di piacere e di evasione o di relax, non può rimettere in discussione l’impressione descrittiva che il segno produce su quest’ultimo. Il segno denominativo CANNABIS costituisce di per sé, per i consumatori, un’indicazione semplice e diretta di uno dei possibili ingredienti dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato. Ciò considerato, il segno denominativo CANNABIS va ben al di là dell’ambito della suggestione e rientra nell’ambito della descrizione. Detto segno, pertanto, deve essere considerato come descrittivo e non come suggestivo o allusivo [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 gennaio 2005, causa T‑334/03, Deutsche Post EURO EXPRESS/UAMI (EUROPREMIUM), Racc. pag. II‑65, punto 37].

35      Parimenti, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, non è necessario che i segni e le indicazioni componenti il marchio siano effettivamente utilizzati, al momento della domanda di registrazione, a fini descrittivi di prodotti o servizi come quelli oggetto della domanda ovvero di caratteristiche dei medesimi. È sufficiente, come emerge dal tenore letterale stesso dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, che questi segni e indicazioni possano essere utilizzati a tal fine [sentenza UAMI/Wrigley, cit., punto 32, e sentenza del Tribunale 20 novembre 2007, causa T‑458/05, Tegometall International/UAMI – Wuppermann (TEK), Racc. pag. II‑4721, punto 88].

36      Nel caso di specie, solo il termine «cannabis» utilizzato come marchio può essere ritenuto descrittivo qualora operi un riferimento, attuale o potenziale, ad una delle caratteristiche del prodotto, ossia ad uno degli ingredienti che possono essere impiegati nella fabbricazione delle bevande di cui trattasi. Come risulta dalla giurisprudenza, il termine «cannabis» presenta potenzialmente un collegamento con una delle caratteristiche dei prodotti di cui si tratta qualora sia ragionevole presumere che, in futuro, un nesso del genere possa stabilirsi [v., per analogia, sentenze del Tribunale 14 giugno 2001, cause riunite T‑357/99 e T‑358/99, Telefon & Buch/UAMI (UNIVERSALTELEFONBUCH e UNIVERSALKOMMUNIKATIONSVERZEICHNIS), Racc. pag. II‑1705, punti 29 e 30, e AIRSHOWER, cit., punto 30]. Tenuto conto dell’offerta di bevande contenenti canapa già presenti sul mercato, si deve considerare che il segno CANNABIS fin da ora può designare uno degli ingredienti impiegati nella fabbricazione dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato.

37      Peraltro si osservi che, secondo una giurisprudenza costante, la circostanza che un termine abbia una pluralità di significati non rileva minimamente al fine di stabilire il suo carattere descrittivo. Quindi, contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente, il fatto che il termine «cannabis» possa essere inteso in tre accezioni diverse non incide affatto sulla determinazione del suo carattere descrittivo. È sufficiente che sussista un collegamento diretto e concreto fra uno solo dei suoi significati ed i prodotti di cui trattasi, come si verifica nel caso di specie, affinché l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 sia applicabile [sentenza della Corte 12 febbraio 2004, causa C‑265/00, Campina Melkunie, Racc. pag. I‑1699, punto 38, e sentenza del Tribunale 7 giugno 2005, causa T‑316/03, Münchener Rückversicherungs-Gesellschaft/UAMI (MunichFinancialServizi), Racc. pag. II‑1951, punto 33].

38      Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che il segno CANNABIS fa riferimento alla pianta della cannabis, ben nota al pubblico a causa della sua esposizione mediatica, che è presente nel procedimento di fabbricazione di taluni alimenti e di certe bevande. Il consumatore medio stabilirà immediatamente e senz’altra riflessione un collegamento fra il segno in questione e le caratteristiche dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato, ciò che rende tale segno descrittivo.

39      Siffatta conclusione non può essere rimessa in discussione dagli altri argomenti dedotti dal ricorrente. Riguardo, in primo luogo, all’argomento del ricorrente relativo alla circostanza che si dovrebbe applicare il medesimo metro di valutazione al marchio CANNABIS e a taluni altri marchi registrati, esso va respinto in quanto infondato. È, infatti, solo nella misura in cui il collegamento esistente fra il segno in questione e i prodotti o servizi interessati sia diretto e concreto che l’art. 51, n. 1, lett. a), e l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 ostano alla validità degli altri marchi summenzionati e che l’allegazione di un collegamento del genere potrebbe comportare il loro annullamento [v., in questo senso, sentenza del Tribunale 10 ottobre 2006, causa T‑302/03, PTV/UAMI (map&guide), Racc. pag. II‑4039, punto 50].

40      In secondo luogo, per quanto concerne l’argomento del ricorrente relativo alla circostanza che, tenuto conto della prassi dell’UAMI in materia di decisioni, la commissione di ricorso avrebbe violato il principio generale di parità di trattamento, esso va parimenti giudicato infondato. La legittimità delle decisioni della commissione di ricorso è da valutare unicamente in base al regolamento n. 40/94 e non in base alla detta prassi dell’UAMI [sentenze del Tribunale 21 aprile 2004, causa T‑127/02, Concept/UAMI (ECA), Racc. pag. II‑1113, punto 71, e 19 maggio 2009, cause riunite T‑211/06, T‑213/06, T‑245/06, T‑155/07 e T‑178/07, Euro-Information/UAMI (CYBERCREDIT, CYBERGESTION, CYBERGUICHET, CYBERBOURSE e CYBERHOME), punto 44]. Peraltro, secondo una giurisprudenza costante, non è possibile avvalersi del principio generale di parità di trattamento sotto il profilo dell’illegalità, poiché non può essere fatto valere a proprio vantaggio un illecito commesso a favore di altri [sentenze del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑106/00, Streamserve/UAMI (STREAMSERVE), Racc. pag. II‑723, punto 67, e 30 novembre 2006, causa T‑43/05, Camper/UAMI – JC (BROTHERS by CAMPER), punti 93-95].

41      Infine, in terzo luogo, quanto all’affermazione del ricorrente concernente la notorietà del marchio CANNABIS, detto motivo deve essere respinto in quanto inoperante. In proposito va osservato che, nel caso di specie, la notorietà del segno non è rilevante al fine di determinare se il segno in questione sia descrittivo. Conformemente all’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009), solamente la successiva acquisizione del carattere distintivo a seguito dell’uso che ne è stato fatto eviterebbe l’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, circostanza che non si verifica nel caso di specie.

42      Poiché il collegamento descrittivo fra il segno in causa e i prodotti interessati è stato stabilito, occorre esaminare se detto marchio non contenga altri elementi atti a renderlo distintivo (sentenza della Corte 20 settembre 2001, causa C‑383/99 P, Procter & Gamble/UAMI, Racc. pag. I‑6251, punto 39). Nella fattispecie, come già constatato, si tratta di un semplice marchio denominativo. Ne consegue che nessun altro elemento abbinato al marchio CANNABIS è idoneo a rimettere in discussione il suo carattere descrittivo.

43      Su tale conclusione non può nemmeno incidere l’argomento del ricorrente concernente l’assenza d’ingredienti illegali nelle birre e nella bevande alcoliche per le quali il marchio in questione è stato registrato. In realtà tale argomento è paradossale nel ragionamento del ricorrente. Come, infatti, sottolineato dall’interveniente, o le bevande in causa contengono o possono contenere canapa, e quindi il marchio CANNABIS è descrittivo, oppure tali bevande non possono contenere canapa, e, in effetti, non ne contengono, e allora il marchio CANNABIS potrebbe considerarsi ingannevole quando origini un inganno concreto o un rischio sufficientemente grave di inganno nei confronti del consumatore (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 30 marzo 2006, causa C‑259/04, Emanuel, Racc. pag. I‑3089, punto 47). A tale riguardo occorre dimostrare che il consumatore destinatario sarebbe indotto a credere che i prodotti per i quali il marchio è stato registrato possiedano una caratteristica di cui in realtà sono sprovvisti, tenendo tuttavia conto della circostanza che, nel caso di specie, il consumatore potrebbe controllare sull’etichetta quali siano gli ingredienti impiegati nella fabbricazione delle bevande in parola.

44      Ne discende che, respingendo il ricorso avverso la decisione della divisione d’annullamento a causa del carattere descrittivo del marchio CANNABIS, la commissione di ricorso non ha violato l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.

45      Pertanto, il motivo unico dedotto dal ricorrente non può essere accolto.

46      Il ricorso deve quindi essere respinto, senza che occorra esaminare i motivi dedotti dall’interveniente.

 Sulle spese

47      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI e l’interveniente ne hanno fatto domanda, il ricorrente, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. Giampietro Torresan è condannato alle spese.

Pelikánová

Jürimäe

Soldevila Fragoso

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 19 novembre 2009.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.