Language of document : ECLI:EU:C:2013:89

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 21 febbraio 2013 (1)

Cause C‑512/11 e C‑513/11

Terveys- ja sosiaalialan neuvottelujärjestö TSN ry

contro

Terveyspalvelualan Liitto ry

e

Mehiläinen Oy

e

Ylemmät Toimihenkilöt YTN ry

contro

Teknologiateollisuus ry

e

Nokia Siemens Networks Oy

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Työtuomioistuin (Finlandia)]

«Congedo di maternità – Direttiva 92/85/CEE – Condizioni per il mantenimento integrale della retribuzione durante il congedo di maternità – Parità di trattamento tra uomini e donne – Direttiva 2006/54/CE – Congedo parentale – Direttiva 96/34/CE – Contratto collettivo di lavoro»





I –    Introduzione

1.        Nella causa Kiiski la Corte ha stabilito che osta al diritto dell’Unione il fatto che ad una lavoratrice non sia consentito di interrompere un congedo di educazione già domandato e concesso a causa di un nuovo stato di gravidanza, al fine di prendere un congedo di maternità (2).

2.        Le presenti cause riguardano due lavoratrici finlandesi che nel corso di un congedo di educazione (3) venivano a trovarsi in uno stato di gravidanza e di conseguenza prendevano un congedo di maternità. Secondo la normativa finlandese durante il congedo di maternità alle lavoratrici spetta solo un’indennità adeguata. I contratti collettivi rispettivamente applicabili ai rapporti di lavoro prevedono tuttavia, per il periodo del congedo di maternità, un più ampio mantenimento della retribuzione, a condizione che tale congedo non inizi durante congedi non retribuiti – quale appunto quello di educazione.

3.        Nelle presenti cause va pertanto chiarito se una lavoratrice, la quale, durante il congedo di educazione, eserciti il suo diritto, sancito nella sentenza Kiiski, di andare in congedo di maternità, possa derivare dal diritto dell’Unione anche un diritto al mantenimento della retribuzione.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

4.        Il contesto normativo di diritto dell’Unione nel presente caso è rappresentato dalla direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (4).

5.        L’articolo 11 della medesima così recita:

«(…)

2)      nel caso contemplato all’articolo 8, devono essere garantiti:

(…)

b)      il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata alle lavoratrici di cui all’articolo 2;

3)      l’indennità di cui al punto 2), lettera b) è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali;

4)      gli Stati membri hanno la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all’indennità di cui al punto 1) e al punto 2), lettera b) al fatto che la lavoratrice interessata soddisfi le condizioni previste dalle legislazioni nazionali per usufruire del diritto a tali vantaggi.

      Tali condizioni non possono in alcun caso prevedere periodi di lavoro preliminare superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del parto».

6.        È inoltre rilevante la direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (5).

7.        L’articolo 2 di tale direttiva reca, tra le altre, le seguenti definizioni:

«1.      Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

a)      discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga;

b)      discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;

(…)

2.      Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende:

(…)

c)      qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE».

8.        L’articolo 4 della direttiva contempla il divieto di discriminazione concernente la retribuzione:

«Per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni. (…)».

B –    Normativa nazionale

9.        Secondo le disposizioni del capitolo 4, articolo 1, del Työsopimuslaki (6) e del capitolo 9 del Sairausvakuutuslaki (7), una lavoratrice ha diritto ad un congedo di maternità pari a 105 giorni lavorativi e, al termine del medesimo, ad un congedo parentale pari a 158 giorni lavorativi. Oltre a tali congedi, il lavoratore ha diritto, ai sensi del capitolo 4, articolo 3, del Työsopimuslaki, ad un congedo di educazione, che può durare fintantoché il figlio non abbia compiuto il terzo anno di età.

10.      Per la durata dei congedi di maternità e parentale, sono versate al lavoratore indennità giornaliere conformemente alla legge sull’assicurazione malattia. Durante il congedo di educazione non viene pagata alcuna indennità giornaliera.

11.      A termini del capitolo 4, articolo 8, della legge sui contratti di lavoro, il datore di lavoro non ha l’obbligo di pagare la retribuzione per la durata dei congedi familiari descritti supra.

12.      L’articolo 21 del contratto collettivo applicabile tra le parti nella causa C‑512/11 dispone che il datore di lavoro paghi la retribuzione integrale alla lavoratrice nel periodo del congedo di maternità per 72 giorni lavorativi. Tuttavia, qualora la lavoratrice inizi un congedo di maternità durante congedi non retribuiti, tra cui quello di educazione, non viene pagata la retribuzione in questione, a meno che la legge non disponga altrimenti.

13.      Ai sensi dell’articolo 8 del contratto collettivo relativo ai dirigenti dell’industria tecnologica applicabile tra le parti nella causa C‑513/11, viene pagata l’intera retribuzione per tre mesi durante il congedo di maternità. Il giudice del rinvio precisa che le parti del contratto collettivo avrebbero concordato che l’articolo 8 del contratto collettivo doveva essere interpretato nello stesso modo delle corrispondenti disposizioni dei contratti collettivi relativi ai lavoratori e agli impiegati del settore. In base alle direttive di applicazione annesse a dette disposizioni, il datore di lavoro, qualora il nuovo congedo di maternità abbia inizio durante un precedente congedo per motivi familiari, non sarebbe obbligato al pagamento della retribuzione per il periodo del nuovo congedo di maternità. Secondo quanto asserito dalla parte datoriale, anche la disposizione del contratto collettivo relativo ai dirigenti verrebbe interpretata nella prassi costante in tal senso.

14.      Secondo quanto esposto dal giudice del rinvio, l’intenzione comune delle parti del contratto collettivo e la loro costante prassi di applicazione hanno un ruolo rilevante nell’interpretazione di un contratto collettivo. Anche in base ad essa il contenuto di una disposizione contrattuale non potrebbe tuttavia violare norme imperative.

III – Domanda di pronuncia pregiudiziale

15.      La domanda di pronuncia pregiudiziale C‑512/11 nasce dal seguente contesto di fatto: l’infermiera Noora Kultarinta è alle dipendenze della società Mehiläinen Oy, senza interruzione dal 15 agosto 2008, con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (8). Dopo il primo congedo di maternità, ella prendeva un congedo di educazione per il periodo tra il 7 gennaio 2010 e l’11 aprile 2012. La sig.ra Kultarinta era nuovamente in stato di gravidanza e comunicava al suo datore di lavoro che avrebbe interrotto il suo congedo di educazione e avrebbe preso, a partire dal 9 aprile 2010, un nuovo congedo di maternità.

16.      La sig.ra Kultarinta chiedeva al datore di lavoro di versarle 72 giorni di retribuzione integrale corrispondenti al congedo di maternità sulla base del contratto collettivo di lavoro per il settore dei servizi per la salute. La società datrice di lavoro prendeva atto della comunicazione della sig.ra Kultarinta circa l’interruzione del congedo di educazione, ma rifiutava, riferendosi ad una restrizione figurante nel contratto collettivo, il pagamento della retribuzione per il congedo di maternità.

17.      Nella controversia principale la Terveys- ja sosiaalialan neuvottelujärjestö TSN ry (9) presenta un ricorso contro la Terveyspalvelualan Liitto ry (10) e contro la Mehiläinen. La TSN chiede di condannare la datrice di lavoro della sig.ra Kultarinta al pagamento di EUR 5 770,05, oltre interessi, a titolo di retribuzione per il congedo di maternità.

18.      La domanda di pronuncia pregiudiziale C‑513/11 nasce da un analogo contesto di fatto: la lavoratrice, Jenni Novamo, è alle dipendenze della società Nokia Siemens Networks Oy dal 6 giugno 2005. Ella prendeva un congedo di maternità l’8 marzo 2008, comunicando successivamente che avrebbe preso un congedo di educazione dal 19 marzo 2009 al 4 aprile 2011. Nel 2010 la sig.ra Novamo comunicava al datore di lavoro di essere incinta e di avere l’intenzione di interrompere il suo congedo di educazione il 23 maggio 2010 ed iniziare un congedo di maternità dal 24 maggio 2010.

19.      La sig.ra Novamo chiedeva alla Nokia Siemens Netwoks il pagamento di tre mesi di retribuzione per il periodo del congedo di maternità, in base al contratto collettivo applicabile, detratte le indennità versate per lo stesso periodo. Tuttavia, la Nokia Siemens Networks rifiutava, riferendosi alla prassi di applicazione del contratto collettivo, il pagamento della retribuzione per il periodo del congedo di maternità poiché il nuovo congedo di maternità era iniziato durante il congedo di educazione non retribuito.

20.      Nel procedimento principale la Ylemmät Toimihenkilöt YTN ry (11) presentava ricorso contro la Teknonologiateollisuus ry (12) e la Nokia Siemens Networks.

21.      Il Työtuomioistuin (13), investito di entrambe le controversie, decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea la seguente questione pregiudiziale, sostanzialmente identica (14) nei due procedimenti:

Se la direttiva 2006/54 e la direttiva 92/85 ostino alle disposizioni di un contratto collettivo di lavoro nazionale o alla loro interpretazione nel senso che ad una lavoratrice, che da un congedo di educazione non retribuito passa ad un congedo di maternità, non è corrisposta la retribuzione per il congedo di maternità disciplinata dallo stesso contratto collettivo.

22.      Nel procedimento dinanzi alla Corte la TSN congiuntamente con la YTN, la Terveyspalvelualan Liitto ry congiuntamente con la Mehiläinen, il Teknologiateollisuus ry congiuntamente con la Nokia Siemens Networks, i governi della Finlandia e del Regno Unito, nonché la Commissione europea hanno espresso oralmente e per iscritto le loro osservazioni. Al procedimento scritto hanno preso parte inoltre i governi della Spagna e dell’Estonia.

IV – Valutazione giuridica

23.      Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se la normativa dell’Unione osti ad una disposizione di un contratto collettivo di lavoro o ad una sua prassi di applicazione secondo cui le lavoratrici che passano direttamente da un congedo di educazione non retribuito ad un congedo di maternità, non fruiscono del mantenimento integrale della retribuzione altrimenti previsto dal contratto collettivo per il congedo di maternità.

24.      Occorre anzitutto analizzare la direttiva 92/85 che fissa requisiti specifici per la protezione di lavoratrici gestanti da applicare prioritariamente rispetto alle disposizioni sulla parità di trattamento tra donne e uomini nella vita professionale (15).

A –    Direttiva 92/85

25.      Tale direttiva trova conseguentemente applicazione ratione personae. A termini del suo articolo 2, lettera a), si intende per lavoratrice gestante, ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

26.      Lo status di lavoratrici non è stato intaccato neanche dal fatto che entrambe le donne si trovassero in congedo di educazione prima dell’inizio, nel 2010, del congedo di maternità in questione. Infatti, come già stabilito dalla Corte, nulla depone a favore del fatto che il legislatore dell’Unione abbia inteso escludere dalla fruizione di un congedo di maternità una lavoratrice che, nel momento in cui auspichi porsi sotto il regime di tale congedo, si sia già allontanata temporaneamente dall’esercizio della sua attività lavorativa, fruendo di un altro congedo (16).

27.      Inoltre, dalla direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (17) discende che durante il periodo di congedo parentale resta valido il rapporto di lavoro tra il dipendente ed il suo datore di lavoro (18). Nella causa Kiiski la Corte ha ritenuto che il congedo di educazione finlandese costituisca un congedo parentale ai sensi della direttiva 96/34 e pertanto che una lavoratrice finlandese durante tale suo congedo resti una lavoratrice ai sensi del diritto dell’Unione e dunque anche ai fini dell’applicazione della direttiva riguardante il congedo di maternità.

28.      Nel prosieguo si deve pertanto verificare se la direttiva 92/85 conferisca un diritto al mantenimento della retribuzione durante il congedo di maternità.

29.      L’articolo 11, punto 2, lettera b), della direttiva 92/85 prevede che alle donne in congedo di maternità debbano essere garantiti il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata.

30.      Conformemente all’articolo 11, punto 3, della direttiva 92/85 un’indennità è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute (19). Alle lavoratrici in congedo di maternità deve essere garantita la corresponsione di un reddito di simile livello, sia che venga versato, conformemente all’articolo 11, punto 2, lettera b), della direttiva 92/85, sotto forma di indennità o che lo sia sotto forma di retribuzione ovvero risulti dalla combinazione di entrambe (20).

31.      Il diciassettesimo considerando sottolinea l’importanza della sicurezza economica ai fini dell’effetto utile del congedo di maternità.

32.      Tuttavia, né dall’articolo 157 TFUE né dall’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva 92/85 deriva che le lavoratrici abbiano un diritto alla retribuzione integrale durante il loro congedo di maternità, come se fossero effettivamente presenti sul posto di lavoro, al pari degli altri lavoratori (21).

33.      Con la direttiva 92/85 il legislatore dell’Unione intendeva, infatti, garantire solamente a titolo di tutela minima (22) che la lavoratrice fruisca, durante il congedo di maternità, di un reddito di importo almeno equivalente a quello di un’indennità adeguata. Non è previsto dalla direttiva un diritto al mantenimento integrale della retribuzione (23).

34.      I contratti collettivi applicabili nei procedimenti principali vanno oltre la tutela minima e prevedono il mantenimento integrale della retribuzione per il periodo del congedo di maternità, a condizione però che, in entrambi i casi, tale congedo non inizi durante congedi non retribuiti. In base alle indicazioni del governo finlandese, durante il congedo di maternità la sig.ra Kultarinta e la sig.ra Novamo percepivano pertanto esclusivamente indennità di un importo conforme ai requisiti di cui all’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva 92/85.

35.      Ci si domanda se la direttiva 92/85 proibisca una siffatta condizione relativa ad un’indennità eccedente i diritti minimi sanciti dalla direttiva.

36.      A termini dell’articolo 11, punto 4, della direttiva 92/85, gli Stati membri hanno la facoltà di subordinare il mantenimento della retribuzione o la concessione delle indennità di cui all’articolo 11, durante il congedo di maternità, al soddisfacimento di specifiche condizioni previste dalla normativa nazionale (24). Tale facoltà deve quindi tanto più valere per le parti del contratto collettivo qualora esse vadano oltre i diritti minimi concessi dallo Stato membro. Ciò è valido almeno finché tali condizioni non violino altri atti normativi dell’Unione.

37.      Anche nella causa Boyle la Corte era stata chiamata a decidere se fosse possibile subordinare ad una condizione la concessione, durante il congedo di maternità, di indennità eccedenti i requisiti minimi di cui alla direttiva 92/85. In detta causa la condizione concordata nel contratto di lavoro consisteva nel fatto che la lavoratrice, al fine di beneficiare del mantenimento integrale della retribuzione durante il congedo di maternità, doveva impegnarsi a riprendere il suo lavoro al termine del periodo. In caso contrario avrebbe dovuto restituire la differenza tra il mantenimento della retribuzione conseguito e l’indennità altrimenti spettantele da parte dello Stato.

38.      La Corte stabiliva che una siffatta condizione è compatibile con la direttiva 92/85, nei limiti in cui l’importo di dette indennità non sia inferiore al reddito minimo richiesto dalla direttiva (25).

39.      Mentre le lavoratrici di cui alla causa Boyle dovevano riprendere la loro attività lavorativa al termine del congedo di maternità, al fine di non perdere retroattivamente il diritto al mantenimento integrale della retribuzione, le lavoratrici di cui al presente caso avrebbero dovuto svolgere la loro attività lavorativa nel periodo immediatamente precedente l’inizio del congedo di maternità, al fine di beneficiare del mantenimento integrale della retribuzione. In entrambi i casi detto mantenimento è allora collegato al fatto che le lavoratrici svolgano il loro lavoro; in un caso prima e in un caso dopo il congedo di maternità.

40.      Anche in una successiva sentenza la Corte si è basata sul fatto che le disposizioni nazionali possono liberamente fissare condizioni purché non si vada al di sotto della protezione minima sancita dalla direttiva (26).

41.      Alla luce di tali sentenze, io ritengo che l’articolo 11 della direttiva 92/85 non osti alle condizioni cui è collegato il mantenimento della retribuzione nel presente caso, purché le indennità concesse a prescindere dal rispetto di dette condizioni soddisfino i requisiti stabiliti dall’articolo 11, punto 2, lettera b), e punto 3, della direttiva 92/85.

42.      A titolo di conclusione intermedia, si può affermare pertanto che la direttiva 96/34 non osta a condizioni relative al mantenimento della retribuzione analoghe a quelle alla base delle presenti cause.

B –    Direttiva 2006/54

43.      Tuttavia, le condizioni non dovrebbero violare altre norme di diritto dell’Unione. A tal proposito occorre esaminare, in primo luogo, la direttiva 2006/54, oggetto del quesito posto dal giudice del rinvio.

44.      L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 vieta la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso. Ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 2, lettera c), ai fini di tale direttiva, la discriminazione comprende qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità.

45.      Una specifica espressione del divieto di discriminazione si rinviene nell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, il quale dispone che, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre eliminare ogni discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni.

46.      Dal momento che la prestazione versata dal datore di lavoro ad una lavoratrice durante il suo congedo di maternità sulla base del contratto collettivo si fonda sul rapporto di lavoro, essa costituisce una retribuzione ai sensi dell’articolo 157 TFUE e dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 (27).

47.      Secondo una giurisprudenza costante, una discriminazione consiste nell’applicazione di norme diverse a situazioni comparabili o nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse (28). Il riconoscimento di una discriminazione basata sul sesso presuppone dunque che le lavoratrici interessate e i loro colleghi di sesso maschile si trovino in situazioni comparabili ma ricevano un diverso trattamento.

48.      La Corte ha più volte stabilito che le lavoratrici durante il congedo di maternità si trovano in una situazione specifica che implica che venga loro concessa una tutela speciale, ma che non può venir assimilata a quella di un lavoratore maschio né a quella di una donna effettivamente presente sul posto di lavoro (29).

49.      Il solo fatto che una lavoratrice donna non riceva, durante il congedo di maternità, il mantenimento integrale della retribuzione non costituisce pertanto una discriminazione nei confronti di un lavoratore di sesso maschile effettivamente presente sul posto di lavoro.

50.      Tale conclusione viene altresì suffragata dalla struttura della direttiva Maternità che non impone affatto il mantenimento della retribuzione durante la maternità, ma piuttosto ritiene sufficiente il versamento di un’indennità. Se il principio della parità di trattamento esigesse che anche le lavoratrici in maternità fruissero del mantenimento integrale della retribuzione, la stessa direttiva violerebbe detto principio.

51.      La peculiarità del presente caso consiste però nel fatto che, in base ai contratti collettivi applicabili, le lavoratrici hanno diritto, in linea di principio, al mantenimento della retribuzione, ma esso è escluso se la lavoratrice si trova in congedo di educazione non retribuito all’inizio del congedo di maternità.

52.      Ammesso che siano sempre in numero considerevolmente maggiore le donne rispetto agli uomini a fruire di congedi di educazione, il fatto che dalla fruizione del congedo di educazione discenda una conseguenza negativa potrebbe rappresentare una discriminazione indiretta (30). Essa sussiste quando un provvedimento, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisce un numero molto più alto di donne che di uomini (31).

53.      Il mantenimento della retribuzione nel procedimento principale riguarda esclusivamente lavoratrici in congedo di maternità. Esso viene concesso solo sulla base del congedo di maternità. Secondo lo stato attuale del diritto dell’Unione, i lavoratori di sesso maschile possono fruire di congedi di educazione ma non di un congedo di paternità comparabile con quello di maternità (32). Neanche la normativa finlandese prevede un congedo di paternità comparabile. I lavoratori di sesso maschile non possono pertanto beneficiare a priori del mantenimento della retribuzione in questione. Quindi manca una situazione comparabile tra lavoratrici e lavoratori che funga da presupposto per il riconoscimento di una discriminazione basata sul sesso. Le condizioni cui è collegato il mantenimento della retribuzione non possono conseguentemente comportare uno svantaggio per le donne nei confronti degli uomini.

54.      Si può eventualmente determinare uno svantaggio di un gruppo di donne (lavoratrici che si trovano in congedo di educazione quando iniziano a fruire del congedo di maternità) rispetto ad un altro gruppo di donne (lavoratrici che svolgono attività lavorativa, quando iniziano a fruire del congedo di maternità). Tale situazione non deve essere però valutata sotto il profilo del divieto di discriminazione tra uomini e donne.

55.      Il giudice del rinvio ritiene che non si possa derivare chiaramente dalla giurisprudenza della Corte se e in che modo essa componga i gruppi di riferimento indispensabili ai fini della valutazione di una disparità di trattamento tra uomini e donne. Non credo però di poter concordare con tale valutazione.

56.      Dalla giurisprudenza può dedursi una differenziazione di due tipi di misure: da un lato, la concessione alle lavoratrici di prestazioni direttamente collegate allo stato di gravidanza o alla maternità in base alla loro specifica natura o al loro importo, dall’altro, il trattamento delle lavoratrici nel contesto del loro generico status di lavoratori che potrebbe riguardare anche un lavoratore maschio e ha luogo solo in occasione di gravidanze o maternità.

57.      Fanno parte dell’ambito da ultimo menzionato, a titolo esemplificativo, le seguenti circostanze: l’esclusione di una candidata idonea sulla base del suo stato di gravidanza (33), la riduzione di prestazioni in caso di malattia dipendente dallo stato di gravidanza (34), la privazione, fondata sul congedo di maternità di una lavoratrice, delle note di qualifica annuali e della connessa possibilità di ottenere una promozione (35), la mancata presa in considerazione della durata di un congedo di maternità nell’ambito della carriera professionale (36), l’obbligo di una lavoratrice, che vorrebbe tornare al posto di lavoro dopo un congedo di educazione, di comunicare se sia in stato di gravidanza (37), oppure il licenziamento di una sostituta gestante a motivo della sua gravidanza (38).

58.      Le misure o le prestazioni di cui si tratta nei presenti casi possono riguardare ogni soggetto nel suo status di lavoratore, indipendentemente dal suo sesso. Pertanto, in tali casi – sebbene la Corte non si sia pronunciata esplicitamente a tal proposito in tutte le sentenze – si può prendere come termine di paragone un lavoratore di sesso maschile.

59.      La situazione è diversa invece nei casi in cui si tratti della concessione alle lavoratrici di indennità direttamente collegate allo stato di gravidanza o alla maternità in base alla loro specifica natura o al loro importo. Ne costituiscono esempi la diminuzione dello stipendio in ragione dell’assegnazione ad un altro posto di lavoro durante lo stato di gravidanza (39) oppure la subordinazione del mantenimento integrale della retribuzione durante il congedo di maternità ad una condizione che deve essere soddisfatta da parte della lavoratrice (40). Nel caso di specie, si tratta di prestazioni concesse in ragione dello stato di gravidanza o di maternità direttamente collegate alle misure di protezione delle lavoratrici interessate. L’assegnazione di una lavoratrice in stato di gravidanza ad un posto di lavoro meno pericoloso oppure la concessione di congedi di maternità sono funzionali esclusivamente alla protezione delle donne interessate. Dette misure e le prestazioni ad esse collegate possono pertanto rivolgersi esclusivamente a lavoratrici. I lavoratori di sesso maschile per definizione non possono fruire di una siffatta prestazione, per cui essi non sono presi in considerazione come termine di paragone nel valutare la sussistenza di una discriminazione.

60.      In tale valutazione non si rinviene alcuna contraddizione con la causa Alabaster, in cui la Corte, inter alia, affermava quanto segue: «l’art. 119 del Trattato [CE, attualmente articolo 157 TFUE] dev’essere interpretato nel senso che impone – laddove la retribuzione percepita dalla lavoratrice durante il suo congedo di maternità sia determinata almeno in parte in base allo stipendio corrispostole prima dell’inizio di tale congedo – che ogni aumento di stipendio intervenuto tra l’inizio del periodo retribuito con lo stipendio di riferimento e la fine del congedo medesimo venga incluso tra gli elementi dello stipendio computati ai fini del calcolo dell’importo di detta retribuzione» (41).

61.      La parte citata della sentenza concerne l’importo della retribuzione versata durante il congedo di maternità. Si potrebbe dunque supporre che si verta sulla concessione a lavoratrici di prestazioni direttamente collegate allo stato di gravidanza o alla maternità in base alla loro specifica natura o al loro importo. Eppure nel merito si tratta della questione se, nel calcolo della retribuzione versata alla lavoratrice durante il congedo di maternità, debba essere computato un aumento di stipendio cui la lavoratrice avrebbe diritto qualora non si trovasse in detto congedo.

62.      La questione se una lavoratrice benefici di un aumento di stipendio la riguarda nel contesto del suo generico status di lavoratore. Anche un lavoratore di sesso maschile potrebbe beneficiarne. Il trattamento controverso, nel caso di specie dunque l’aumento di stipendio, non è basato sul sesso. La questione del computo dell’aumento di stipendio si pone nella causa Alabaster solo in occasione del congedo di maternità. Conseguentemente si tratta di un esempio di un caso in cui vengono in considerazione i lavoratori di sesso maschile come termine di paragone.

63.      Il presente caso si distingue, in ordine al carattere delle misure, anche dalla causa Kiiski, che verteva sulla questione se una nuova gravidanza dovesse consentire l’interruzione del congedo di educazione. I lavoratori di sesso maschile e femminile potevano interrompere o terminare il congedo di educazione ad esempio per un caso di morte oppure per scioglimento del matrimonio. Ciò sarebbe invece precluso alle lavoratrici per motivo di gravidanza. Nella misura in cui lo stato di gravidanza costituisca una situazione comparabile ai motivi che consentono l’interruzione definitiva del congedo di educazione, sussiste una discriminazione collegata alla gravidanza e dunque basata sul sesso.

64.      Secondo le argomentazioni della Corte nella causa Kiiski risultava decisivo il fatto che la direttiva 92/85 miri ad evitare un cumulo di oneri per le lavoratrici in stato di gravidanza. Detto cumulo potrebbe sorgere anche nel corso del congedo di educazione durante la fase finale della gravidanza, per effetto delle cure da prodigare al primo figlio. La Corte rilevava che le lavoratrici non dovrebbero poter essere private dei vantaggi connessi al congedo di maternità di cui alla direttiva citata. Prima facie, da quanto detto si potrebbe concludere che non si possa sottrarre neanche il vantaggio del mantenimento della retribuzione della lavoratrice. Tuttavia, nella direttiva 92/85 non è affatto previsto in modo vincolante il mantenimento della retribuzione, ma un’indennità adeguata. La possibilità che, in base alle concrete attuazioni del contratto collettivo, in determinati casi venga versata una retribuzione più ampia non cambia nulla nel fatto che la direttiva consideri sufficiente un’indennità adeguata. Nella causa Kiiski le lavoratrici, per effetto del diniego di un congedo di maternità, non beneficiavano neanche dell’indennità adeguata.

65.      Non sussisterebbe pertanto una violazione della direttiva 2006/54.

C –    Direttiva 96/34

66.      Il giudice del rinvio non ha posto esplicitamente una questione relativa all’interpretazione della direttiva 96/34 (42). Dal momento che il mantenimento della retribuzione è però escluso quando le lavoratrici si trovino in congedo di educazione, una valutazione completa dei requisiti del diritto dell’Unione impone anche un esame di detta direttiva ovvero dell’accordo quadro sul congedo parentale.

67.      La clausola 2, punto 1, di detto accordo attribuisce ai lavoratori, uomini e donne, un diritto individuale a un congedo parentale della durata minima di tre mesi.

68.      Ci si domanda anzitutto se il congedo di educazione, in base al diritto finlandese, costituisca un congedo parentale ai sensi della direttiva 96/34 e la situazione di cui al presente caso rientri pertanto del tutto nell’ambito di applicazione della direttiva. La Finlandia concede, in primo luogo, un congedo parentale retribuito di 158 giorni lavorativi. A tale periodo può seguire un congedo di educazione non retribuito che può durare fino al compimento da parte del figlio dei tre anni di età. Nei presenti procedimenti le lavoratrici si trovano in un siffatto congedo di educazione. Il congedo parentale finlandese supera già ratione temporis la durata minima del congedo parentale prevista dalla direttiva in tre mesi. Ciò vale a maggior ragione per il congedo di educazione.

69.      Nella causa Kiiski, la quale verteva ugualmente sul congedo di educazione finlandese, la Corte ha stabilito che gli atti di causa ad essa sottoposti non permettono di considerare che il suddetto congedo di educazione non sarebbe annoverato tra quelli rientranti nella disciplina del congedo parentale previsto dall’accordo quadro (43).

70.      Conformemente a ciò, nelle mie conclusioni presentate nella causa Chatzi ho chiarito che anche un congedo parentale ratione temporis superiore alla durata minima rientra, in linea di massima, nell’ambito di applicazione della direttiva 96/34 (44).

71.      A proposito della direttiva Congedi, la Corte ha però stabilito di recente che il congedo superiore al periodo minimo previsto dalla direttiva non ricade nella sua disciplina normativa (45). Applicando tale affermazione alla direttiva sui congedi parentali, si avrebbe come conseguenza che la direttiva 96/34 risulterebbe applicabile esclusivamente per i primi tre mesi di un congedo parentale, mentre le garanzie più estese sarebbero soggette solo alla normativa degli Stati membri. A mio parere è ancora in attesa di un chiarimento esaustivo e coerente la questione del se, e in che misura, nel caso di direttive che impongono solo prescrizioni minime, le norme degli Stati membri più ampie e convenienti siano nondimeno soggette alla disciplina normativa della direttiva oppure, invece, gli Stati membri abbiano una totale libertà operativa in tale settore residuale.

72.      Dato che, come dimostrerò nel prosieguo, anche applicando la direttiva 96/34 non ne deriva alcun obbligo al mantenimento della retribuzione, non è necessario un chiarimento nel presente caso.

73.      A tal riguardo potrebbe essere rilevante anzitutto la clausola 2, punto 6, che prevede che i diritti acquisiti o in via di acquisizione, da parte del lavoratore, alla data di inizio del congedo parentale restino immutati fino alla fine del congedo stesso.

74.      Risulta dagli obiettivi dell’accordo quadro sul congedo parentale che la nozione di «diritti acquisiti o in via di acquisizione» comprende l’insieme dei diritti e dei vantaggi, in contanti o in natura, derivanti, direttamente o indirettamente, dal rapporto di lavoro, che il lavoratore può far valere nei confronti del datore di lavoro alla data di inizio del congedo parentale (46). Detti diritti che derivano dal rapporto di lavoro sono quelli di cui disponeva il lavoratore alla data d’inizio del congedo (47).

75.      La clausola 2, punto 6, dell’accordo quadro non disciplina, tuttavia, i diritti e gli obblighi che derivano dal rapporto di lavoro durante il periodo del congedo parentale, che sono definiti, ai sensi del punto 7 di detta clausola 2, dagli Stati membri e/o dalle parti sociali (48).

76.      Il diritto al pagamento della retribuzione durante il congedo di maternità non costituisce un «diritto acquisito» della lavoratrice ai sensi di dette disposizioni. Infatti, emerge evidentemente dalle disposizioni del contratto collettivo che tale diritto è escluso proprio per il periodo del congedo parentale. Non sussiste pertanto una contraddizione con la clausola 2, punto 6, dell’accordo quadro sul congedo parentale.

77.      La nuova versione della direttiva 96/34 ovvero dell’accordo quadro (49) dispone, alla clausola 5, punto 4, che, onde assicurare che i lavoratori possano esercitare il diritto al congedo parentale, gli Stati membri e/o le parti sociali prendono le misure necessarie per proteggere i lavoratori da un trattamento meno favorevole o dal licenziamento causati dalla domanda o dall’esercizio del congedo parentale.

78.      Dato che i controversi congedi parentali o di maternità hanno avuto luogo nel 2010, la nuova versione della direttiva non è applicabile ratione temporis al presente caso (50). La direttiva 96/34 non contiene una disposizione analoga alla nuova clausola 5, punto 4 (51). Ritengo però che la clausola 5, punto 4, della nuova versione della direttiva abbia esclusivamente un fine chiarificatore. Infatti, già nella precedente versione discende dal principio generale di uguaglianza, come formulato anche nell’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali, che nessuno può essere discriminato in ragione dell’esercizio di diritti – come, nel caso di specie, il congedo parentale – conferitigli dal diritto dell’Unione.

79.      Le lavoratrici che si trovano in congedo di educazione e pertanto non hanno alcun diritto al mantenimento della retribuzione, nel passaggio al congedo di maternità, non soffrono tuttavia, in buona sostanza, di alcuna discriminazione nei confronti di donne che diventano gestanti durante lo svolgimento della loro attività lavorativa.

80.      Sussistono in primis forti dubbi sulla comparabilità della situazione dei due gruppi. Una lavoratrice che si trova già in un congedo di educazione non retribuito ha un bisogno di supporto economico minore nel periodo di congedo di maternità rispetto ad una lavoratrice che svolge attività lavorativa nel momento in cui diventa gestante. Infatti, la lavoratrice che si trova in un congedo di educazione non retribuito si è già adattata all’idea di rimanere per un certo periodo senza entrate economiche e non affronta dunque inattese perdite di introiti.

81.      A titolo di giustificazione della controversa limitazione del mantenimento della retribuzione i rappresentanti delle resistenti esponevano che essa mirava ad incentivare il ritorno delle donne al loro posto di lavoro per un certo periodo prima di una nuova assenza dipendente dalla prole. Altrimenti, laddove vengano presi numerosi congedi parentali ovvero di maternità consecutivi, si potrebbe giungere al risultato che le lavoratrici restino lontane dal posto di lavoro ininterrottamente per molti anni.

82.      Gli incentivi tesi al ritorno alla vita lavorativa costituiscono un obiettivo coerente con la direttiva 96/34 – che nel quinto considerando del suo allegato tiene conto dell’importanza del ritorno alla vita lavorativa – e pertanto legittimo.

83.      La misura mi sembra altresì necessaria e proporzionale nel senso stretto del termine. Il sesto considerando dell’allegato alla direttiva 96/34 sottolinea che le misure volte a conciliare la vita professionale con la vita familiare sono rispondenti sia alle esigenze delle imprese che a quelle dei lavoratori.

84.      Neanche dalla direttiva 96/34 emerge pertanto, in una situazione come quella di specie, un obbligo al mantenimento della retribuzione durante il congedo di maternità.

V –    Conclusione

85.      Date le suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere al giudice del rinvio nel seguente modo:

«Le direttive 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, nonché 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, non ostano alle disposizioni di un contratto collettivo nazionale o all’interpretazione di dette disposizioni, secondo cui ad una lavoratrice, che da un congedo di educazione non retribuito passa ad un congedo di maternità, non spetta alcun diritto alla retribuzione per il congedo di maternità disciplinato dallo stesso contratto collettivo che sia di importo superiore ai pagamenti previsti dalle disposizioni nazionali sul congedo di maternità».


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 –      Sentenza del 20 settembre 2007, Kiiski (C‑116/06, Racc. pag. I‑7643).


3 – In finlandese: «hoitovapaa». In Finlandia esiste inoltre anche il congedo parentale (in finlandese: «vanhempainloma»).


4 – GU L 348, pag. 1, nel prosieguo: la «direttiva 92/85». Essa deve essere applicata ratione temporis nella sua versione vigente nell’anno 2010, in quanto le donne interessate nel procedimento principale hanno iniziato il loro congedo di maternità in detto anno.


5 – GU L 204, pag. 23, in prosieguo: la «direttiva 2006/54».


6 – Legge sui contratti di lavoro.


7 –      Legge sull’assicurazione malattia.


8 –      In prosieguo: la «Mehiläinen».


9 – Federazione dei lavoratori nel settore sanitario e sociale, in prosieguo: la «TSN».


10 – Federazione dei datori di lavoro per il settore dei servizi sanitari.


11 – Federazione dei dirigenti, in prosieguo: la «YTN».


12 – Confederazione dei datori di lavoro dell’industria tecnologica.


13 – Tribunale del lavoro.


14 – Nella causa C‑513/11 non si espone esplicitamente nella questione pregiudiziale che si tratta di un congedo di educazione non retribuito, ma ciò emerge dall’ordinanza di rinvio.


15 – V. articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 (cit. alla nota 5).


16 –      Sentenza Kiiski (cit. alla nota 2, punto 31).


17 –      GU L 145, pag. 4.


18 –      Sentenza Kiiski (cit. alla nota 2, punto 32).


19 – Entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali, a termini dell’articolo 11, punto 3, della direttiva 92/85.


20 – Sentenze del 27 ottobre 1998, Boyle e a. (C‑411/96, Racc. pag. I‑6401, punto 33), del 21 ottobre 1999, Lewen (C‑333/97, Racc. pag. I‑7243, punto 22), e del 1° luglio 2010, Gassmayr (C‑194/08, Racc. pag. I‑6281, punto 84).


21 –      V., in tal senso, sentenze del 13 febbraio 1996, Gillespie e a. (C‑342/93, Racc. pag. I‑475, punto 20), del 30 marzo 2004, Alabaster (C‑147/02, Racc. pag. I‑3101, punto 46), nonché Gassmayr (cit. alla nota 20, punto 82).


22 –      Sentenza Gassmayr (cit. alla nota 20, punto 88).


23 –      Sentenza Gassmayr (cit. alla nota 20, punto 86).


24 –      V. sentenza del 1° luglio 2010, Parviainen (C‑471/08, Racc. pag. I‑6533, punto 51).


25 –      Sentenza Boyle e a. (cit. alla nota 20, punto 36).


26 –      Sentenza Gassmayr (cit. alla nota 20, punto 90): laddove disposizioni nazionali prevedano una retribuzione superiore alla protezione minima disposta dalla direttiva, l’esclusione di determinati elementi della retribuzione non è contraria alla direttiva 92/85.


27 – Sentenza Alabaster (cit. alla nota 21, punto 44).


28 – V. le sentenze Gillespie e a. (cit. alla nota 21, punto 16), Boyle e a. (cit. alla nota 22, punto 39), e Alabaster (cit. alla nota 21, punto 45).


29 – V. le espressioni nelle sentenze Gillespie e a. (cit. alla nota 21, punto 17), Boyle e a. (cit. alla nota 22, punto 40), Alabaster (cit. alla nota 21, punto 46), dell’8 settembre 2005, McKenna (C‑191/03, Racc. pag. I‑7631, punto 50), nonché Parviainen (cit. alla nota 24, punto 40).


30 –      V., in tal senso, sentenza Lewen (cit. alla nota 20, punto 35).


31 –      Sentenza del 16 luglio 2009, Gómez-Limón Sánchez-Camacho (C‑537/07, Racc. pag. I‑6525, punto 54).


32 –      Sentenza del 12 luglio 1984, Hofmann (184/83, Racc. pag. 3047, punto 28).


33 –      Sentenza dell’8 novembre 1990, Dekker (C‑177/88, Racc. pag. I‑3941).


34 – Sentenza McKenna (cit. alla nota 29).


35 –      Sentenza del 30 aprile 1998, Thibault (C‑136/95, Racc. pag. I‑2011).


36 –      Sentenza del 16 febbraio 2006, Sarkatzis Herrero (C‑294/04, Racc. pag. I‑1513).


37 –      Sentenza del 27 febbraio 2003, Busch (C‑320/01, Racc. pag. I‑2041).


38 – Sentenza del 14 luglio 1994, Webb (C‑32/93, Racc. pag. I‑3567).


39 – Sentenza Parviainen (cit. alla nota 24).


40 – Sentenza Boyle e a. (cit. alla nota 20).


41 –      Sentenza Alabaster (cit. alla nota 21, punto 50 nonché dispositivo).


42 –      Cit. alla nota 17. La direttiva di sostituzione 2010/18/UE del Consiglio, dell’8 marzo 2010, che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE (GU L 68, pag. 13) non è applicabile ratione temporis al presente caso, v. articolo 4: «La direttiva 96/34/CE è abrogata a decorrere dall’8 marzo 2012». I congedi parentali in questione nel caso di specie hanno avuto luogo prima di tale data.


43 –      Sentenza Kiiski (cit. alla nota 2, punto 20).


44 –      V., a tal riguardo, le mie conclusioni del 7 luglio 2010 nella causa Chatzi (C‑149/10, Racc. pag. I‑8489, paragrafo 56).


45 –      Sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, punto 49): «Gli Stati membri possono quindi prevedere che il diritto alle ferie annuali retribuite conferito dal diritto nazionale si configuri diversamente a seconda della causa dell’assenza del lavoratore per motivi di salute, purché la durata sia sempre superiore o uguale al periodo minimo di quattro settimane previsto dall’articolo 7 di detta direttiva».


46 –      Sentenza del 22 ottobre 2009, Meerts (C‑116/08, Racc. pag. I‑10063, punto 43).


47 –      Sentenza Gómez-Limón Sánchez-Camacho (cit. alla nota 31, punto 39).


48 – Sentenza Gómez-Limón Sánchez-Camacho (cit. alla nota 31, punto 40).


49 – Direttiva 2010/18 (cit. alla nota 42).


50 –      V. articolo 4 della direttiva 2010/18.


51 –      La clausola 2, punto 4, della direttiva 96/34 si occupa esclusivamente della protezione dal licenziamento.