SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)
19 febbraio 1998 (1)
«Ricorso d'annullamento Importazioni di carne bovina di alta qualità (bovini
Hilton) Regolamento (CEE) n. 1430/79 Art. 13 Decisione
della Commissione che nega lo sgravio dei dazi all'importazione Diritti
della difesa Errore manifesto di valutazione»
Nella causa T-42/96,
Eyckeler & Malt AG, società di diritto tedesco, con sede in Hilden (Germania),
rappresentata dagli avv.ti Dietrich Ehle e Volker Schiller, del foro di Colonia, con
domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio legale Marc Lucius, 6, rue Michel
Welter,
sostenuta da
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente dalla
signora Stephanie Ridley, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente,
e in seguito dal signor John Collins, dello stesso servizio, in qualità di agente,
assistito dal signor David Anderson, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo
presso la sede dell'ambasciata del Regno Unito, 14, boulevard Roosevelt,
contro
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal signor Götz zur Hausen,
consigliere giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo
presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre
Wagner, Kirchberg,
avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento della decisione della
Commissione 20 dicembre 1995, documento K(95) 3391 def., indirizzata alla
Repubblica federale di Germania e relativa a una domanda di sgravio dei dazi
all'importazione,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),
composto dai signori A. Saggio, presidente, B. Vesterdorf e R.M. Moura Ramos,
giudici,
cancelliere: J. Palacio González, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 26
novembre 1997,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
- 1.
- L'art. 13, n. 1, del regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al
rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione (GU L 175,
pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1430/79»), nella versione modificata
dall'art. 1, n. 6, del regolamento del Consiglio 7 ottobre 1986, n. 3069 (GU L 286,
pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 3069/86») recita:
«Si può procedere al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione in situazioni
particolari (...) derivanti da circostanze che non implichino alcuna simulazione o
negligenza manifesta da parte dell'interessato».
- 2.
- L'art. 4, n. 2, lett. c), del regolamento (CEE) della Commissione 12 dicembre 1986,
n. 3799, che fissa le disposizioni d'applicazione degli artt. 4 bis, 6 bis, 11 bis e 13
del regolamento (CEE) n. 1430/79 (GU L 352, pag. 19; in prosieguo: il
«regolamento n. 3799/86») considera come situazioni che non costituiscono di per
se stesse situazione particolare derivante da circostanze che non implicano alcuna
simulazione o negligenza manifesta da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 13 del
regolamento n. 1430/79, «la presentazione in buona fede per la concessione di un
trattamento tariffario preferenziale a favore di merci dichiarate per la libera
pratica, di documenti rivelatisi ad ulteriore esame falsi, falsificati o non validi per
la concessione di tale trattamento tariffario preferenziale».
- 3.
- L'art. 5, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo
al recupero a posteriori dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che
non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime
doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (GU L 197, pag. 1; in
prosieguo: il «regolamento n. 1697/79»), stabilisce quanto segue:
«Le autorità competenti hanno la facoltà di non procedere al recupero a posteriori
dell'importo dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione qualora tali dazi
non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti medesime che
non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore, purché questi abbia, dal
canto suo, agito in buona fede e osservato tutte le disposizioni previste, per la sua
dichiarazione in dogana, della regolamentazione vigente».
- 4.
- A norma dell'art. 2, n. 1, lett. a), del regolamento (CEE) del Consiglio 13 luglio
1987, n. 2144, riguardante l'obbligazione doganale (GU L 201, pag. 15: in
prosieguo: il «regolamento n. 2144/87»), modificato dal regolamento (CEE) del
Consiglio 21 dicembre 1988, n. 4108 (GU L 361, pag. 2), l'immissione in libera
pratica nel territorio doganale della Comunità di una merce soggetta a dazi
all'importazione fa sorgere un'obbligazione doganale all'importazione. L'art. 3, lett.
a), dello stesso regolamento precisa che questa obbligazione sorge al momento in
cui le autorità competenti accettano la dichiarazione di immissione in libera pratica
della merce.
- 5.
- Il 12 ottobre 1992 il Consiglio ha adottato il regolamento (CEE) n. 2913/92 che
istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il
«codice doganale»), entrato in vigore il 1° gennaio 1994. L'art. 251, n. 1, del codice
doganale ha abrogato in particolare i regolamenti nn. 1430/79, 1697/79 e 2144/87.
- 6.
- L'art. 239, n. 1, del codice doganale recita:
«Si può procedere al rimborso o allo sgravio dei dazi all'importazione o dei dazi
all'esportazione in situazioni (...) dovute a circostanze che non implicano frode
manifesta o negligenza da parte dell'interessato. Le situazioni in cui si applica la
presente disposizione e le modalità procedurali da osservare sono definite secondo
la procedura del comitato. Il rimborso o lo sgravio possono essere subordinati a
condizioni particolari».
- 7.
- Il regolamento n. 3799/86 è stato abrogato dall'art. 913 del regolamento (CEE)
della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che stabilisce talune disposizioni
d'applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU L 253, pag. 1; in prosieguo: il
«regolamento n. 2454/93»), con effetto dal 1° gennaio 1994, data d'entrata in vigore
del regolamento n. 2454/93.
- 8.
- L'art. 907 di quest'ultimo regolamento stabilisce:
«Previa consultazione di un gruppo di esperti, composto di rappresentanti di tutti
gli Stati membri riuniti nell'ambito del comitato per esaminare il caso in oggetto,
la Commissione adotta una decisione che stabilisce che la situazione particolare
esaminata giustifica la concessione del rimborso o dello sgravio oppure non la
giustifica.
La decisione dev'essere presa entro sei mesi dalla data di ricezione, da parte della
Commissione, della pratica di cui all'articolo 905, paragrafo 2. Quando la
Commissione debba chiedere allo Stato membro elementi d'informazione
complementari per poter deliberare, il termine di sei mesi è prorogato del tempo
intercorrente tra la data di invio da parte della Commissione della richiesta di
elementi di informazione complementari e la data in cui questi ultimi pervengono
alla Commissione».
- 9.
- L'art. 904 dello stesso regolamento stabilisce che:
«Non si procede (...) allo sgravio dei dazi all'importazione quando, secondo il caso,
l'unico motivo a sostegno della domanda (...) di sgravio è costituito:
(...)
c) dalla presentazione, anche in buona fede, per la concessione di un
trattamento tariffario preferenziale per merci dichiarate per la libera
pratica, di documenti rivelatesi in un secondo tempo falsi, falsificati o non
validi per la concessione di tale trattamento».
Fatti all'origine della controversia
- 10.
- Negli anni 1991 e 1992 le importazioni di carni bovine di alta qualità dall'Argentina
erano, nell'ambito della Tariffa doganale comune [v. regolamento (CEE) del
Consiglio 23 luglio 1987, n. 2658, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica e
alla Tariffa doganale comune (GU L 256, pag. 1), poi modificato], assoggettate a
un dazio doganale del 20%.
- 11.
- In aggiunta a questo dazio doganale poteva essere applicato un prelievo
all'importazione, il cui importo veniva regolarmente stabilito dalla Commissione
conformemente all'art. 12 del regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968,
n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della carne bovina
(GU L 148, pag. 24, come successivamente modificato). Al momento delle
importazioni controverse, esso ammontava a 10 DM per kg.
- 12.
- Tuttavia, dal 1980 la Comunità aveva l'obbligo, contratto nell'ambito dell'Accordo
generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT), di aprire un contingente
tariffario comunitario annuo esente da prelievo all'importazione di carne bovina
proveniente, in particolare, dall'Argentina.
- 13.
- In conformità di quest'obbligo, il Consiglio, per gli anni 1991 e 1992 adottava i
regolamenti (CEE) 20 dicembre 1990, n. 3840 (GU L 367, pag. 6), e 11 dicembre
1991, n. 3668 (GU L 349, pag. 3), relativi all'apertura di un contingente tariffario
comunitario per le carni bovine di qualità pregiata (detta «Hilton Beef»), fresche,
refrigerate o congelate, dei codici doganali NC 0201 e 0202, e per i prodotti dei
codici NC 0206 10 95 e 0206 29 91 (in prosieguo: la «carne bovina Hilton»). Per
la carne importata nell'ambito di questo contingente (in prosieguo: il «contingente
Hilton»), doveva essere versato solo il dazio della Tariffa doganale comune vigente,
fissato al 20% (art. 1, n. 2, di ciascuno dei detti regolamenti).
- 14.
- Per gli stessi due anni, il Consiglio adottava peraltro i regolamenti (CEE) 25 luglio
1991, n. 2329 (GU L 214, pag. 1), e 28 aprile 1992, n. 1158 (GU L 122, pag. 5),
relativi all'apertura, a titolo autonomo di un contingente eccezionale di
importazioni di carni bovine di qualità pregiata, fresche, refrigerate o congelate dei
codici NC 0201 e 0202, come pure dei prodotti dei codici NC 0206 10 95 e
0206 29 91. In forza di questi regolamenti i quantitativi che potevano essere
importati nell'ambito del contingente Hilton venivano aumentati.
- 15.
- Infine, per lo stesso periodo, la Commissione adottava il regolamento (CEE) 27
dicembre 1990, n. 3884, che stabilisce le modalità d'applicazione dei regimi di
importazione istituiti dai regolamenti (CEE) n. 3840/90 e (CEE) n. 3841/90 del
Consiglio nel settore delle carni bovine (GU L 367, pag. 129), e il regolamento
(CEE) 18 dicembre 1991, n. 3743, che stabilisce le modalità d'applicazione dei
regimi d'importazione istituiti dai regolamenti (CEE) n. 3668/91 e (CEE) n. 3669/91
del Consiglio nel settore delle carni bovine (GU L 352, pag. 36; in prosieguo: i
«regolamenti d'applicazione»).
- 16.
- In base al contingente Hilton, taluni quantitativi di carne bovina Hilton provenienti
dall'Argentina potevano quindi essere importati nella Comunità in esenzione da
prelievo. La concessione di questo vantaggio era subordinata alla presentazione, al
momento dell'importazione, di un certificato di autenticità rilasciato dall'ente
competente del paese esportatore.
- 17.
- Fino a tutto il 1991 il rilascio dei certificati d'autenticità in Argentina era di
competenza della «Junta Nacional de Carnes». A fine 1991 inizio 1992, il rilascio
dei certificati d'autenticità veniva demandato alla «Secretaría de Agricultura,
Ganadería y Pesca». Solo gli esportatori di carne bovina riconosciuti dalle autorità
argentine potevano ottenere certificati d'autenticità.
- 18.
- Dopo essere stata informata, nel 1993, del rischio di falsificazioni di certificati
d'autenticità, la Commissione, in collaborazione con le autorità argentine, avviava
indagini al riguardo.
- 19.
- Ripetutamente, funzionari della Commissione si recavano in Argentina per
indagare sui fatti in collaborazione con funzionari nazionali.
- 20.
- Una prima missione si svolgeva dall'8 al 19 novembre 1993. Il risultato di questa
missione era esposto in una relazione del 24 novembre 1993 (in prosieguo: la
«relazione del 1993»), che confermava l'esistenza di irregolarità.
- 21.
- Secondo questa relazione, le autorità argentine si erano poste l'interrogativo
riguardo ai motivi per i quali queste irregolarità non erano state scoperte al
momento dell'importazione della carne bovina Hilton nella Comunità. Il punto 11
della relazione era così formulato: «(...) le autorità argentine hanno sottolineato
che, da anni, esse trasmettono agli uffici competenti della Commissione (DG VI),
con una certa regolarità, un elenco di tutti i certificati d'autenticità per la carne
bovina Hilton rilasciati durante i dieci giorni precedenti, indicando taluni dati come
l'esportatore argentino e il destinatario nella Comunità, il peso lordo e netto ecc.
In base a tale elenco, sarebbe facilmente stato possibile, secondo i nostri
interlocutori, raffrontare i dati con quelli indicati nei certificati presentati
all'importazione dei prodotti in questione e identificare quelli che non
corrispondevano coi dati risultanti dall'elenco».
- 22.
- Una seconda missione in Argentina aveva luogo dal 19 aprile al 6 maggio 1994.
Secondo la relazione di questa missione, in data 17 agosto 1994 (in prosieguo: la
«relazione di sintesi»), oltre 460 certificati d'autenticità argentini presentati nel1991 e nel 1992 erano stati falsificati.
- 23.
- La ricorrente è una società tedesca che da vari anni importa, in particolare, carne
bovina Hilton proveniente dall'Argentina. I suoi interessi commerciali erano curati
in Argentina da un'agenzia indipendente, la Multiagrar Representaciones del
Exterior (in prosieguo: l'«agenzia»). Compito di questa agenzia era quello di
raccogliere le offerte di varie imprese di macellazione e trasmetterle alla ricorrente.
Durante il periodo in questione, questa acquistava carne bovina Hilton presso
diversi mattatoi argentini, tra i quali l'impresa Manufactura de Carnes Vacunas,
uno dei più importanti fornitori. Le ricerche effettuate in seguito dalla
Commissione avrebbero però messo in luce che gran parte dei certificati
d'autenticità che accompagnavano la merce fornita da questa impresa era stata
falsificata.
- 24.
- Al momento dell'immissione in libera pratica nella Comunità della carne bovina
importata dalla ricorrente, veniva concessa a quest'ultima un'esenzione dai prelievi,
nell'ambito dei contingenti tariffari aperti, su presentazione dei certificati
d'autenticità.
- 25.
- Dopo la scoperta delle falsificazioni di cui sopra, le autorità tedesche intimavano
alla ricorrente di versare a posteriori i dazi all'importazione. Tra il 7 marzo e il 23
agosto 1994 le venivano inviate ingiunzioni di pagamento per un totale di
11 422 736, 45 DM.
- 26.
- Con lettera 1° marzo 1995 la ricorrente richiedeva alle autorità doganali tedesche
competenti uno sgravio dei dazi all'importazione (in prosieguo: la «richiesta di
sgravio»).
- 27.
- Tale richiesta veniva trasmessa al ministero federale delle Finanze. Con lettera 25
giugno 1995 questo chiedeva alla Commissione di stabilire se fosse giustificata la
concessione di uno sgravio dei dazi all'importazione a norma dell'art. 13 del
regolamento n. 1430/79. La richiesta veniva registrata dalla Commissione il 5 luglio
1995.
- 28.
- Il 2 ottobre 1995 un gruppo di esperti composto da rappresentanti di tutti gli Stati
membri si riuniva per emettere un parere sulla fondatezza della richiesta di sgravio
dei dazi all'importazione, conformemente all'art. 907 del regolamento n. 1454/93.
Poiché prima di questa riunione non era stata trasmessa una copia della domanda
della ricorrente del 1° marzo 1995 a tutti i rappresentanti degli Stati membri la
pratica veniva esaminata solo in via provvisoria in quella riunione. La Commissione
invitava quindi i membri del gruppo di esperti a comunicarle il loro punto di vista
definitivo per iscritto entro il 25 ottobre 1995.
- 29.
- Con decisione 20 dicembre 1995, indirizzata alla Repubblica federale di Germania,
la Commissione dichiarava che la domanda di sgravio non era giustificata (in
prosieguo: la «decisione impugnata»).
Procedimento e conclusioni delle parti
- 30.
- Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 22 marzo 1996,
la ricorrente ha proposto un ricorso diretto all'annullamento della decisione
impugnata.
- 31.
- Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 2 ottobre 1996, il Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha chiesto d'intervenire a sostegno
della ricorrente. Con ordinanza 9 dicembre 1996, il presidente della Terza Sezione
ha accolto la domanda d'intervento.
- 32.
- Con decisione del Tribunale 2 luglio 1997 il giudice relatore è stato assegnato alla
Prima Sezione, che è stata quindi incaricata della trattazione della causa.
- 33.
- Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di passare
alla fase orale. Con lettera 13 ottobre 1997, nell'ambito di una misura
d'organizzazione del procedimento, esso ha invitato le parti a produrre taluni
documenti e a rispondere per iscritto ad alcuni quesiti. La ricorrente e la
Commissione hanno dato seguito a questo invito con lettere depositate nella
cancelleria del Tribunale rispettivamente il 29 ottobre e il 5 novembre 1997.
- 34.
- Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti del
Tribunale all'udienza del 26 novembre 1997.
- 35.
- La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
annullare la decisione impugnata;
condannare la Commissione alle spese.
- 36.
- La Commissione conclude che il Tribunale voglia:
respingere il ricorso;
condannare la ricorrente alle spese.
- 37.
- Il Regno Unito, parte interveniente, conclude che il Tribunale voglia annullare la
decisione impugnata.
Nel merito
- 38.
- La ricorrente deduce a sostegno del suo ricorso cinque motivi, relativi
rispettivamente all'erroneità del fondamento giuridico della decisione impugnata,
a una violazione dei diritti della difesa, a una violazione dell'art. 239 del codice
doganale o, in subordine, dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, a una violazione
dell'obbligo di motivazione e a una violazione del principio di proporzionalità.
Sul primo motivo relativo all'erroneità del fondamento giuridico della decisione
impugnata
Argomenti delle parti
- 39.
- La ricorrente sostiene che la Commissione ha erroneamente fondato la decisione
impugnata sull'art. 13 del regolamento n. 1430/79. Infatti essa avrebbe dovuto avere
come fondamento giuridico l'art. 239 del codice doganale.
- 40.
- Nella fattispecie, l'«accertamento», cioè l'atto con il quale le autorità competenti
hanno fissato l'importo dei dazi all'importazione, sarebbe stato posteriore
all'entrata in vigore del codice doganale il 1° gennaio 1994, in quanto gli avvisi di
recupero risalgono al marzo 1994. Solo dopo l'entrata in vigore del codice doganale
gli uffici della Commissione e le autorità doganali tedesche avrebbero constatato
la falsificazione di certificati d'autenticità e avrebbero quindi proceduto a recuperi
a posteriori dei dazi all'importazione.
- 41.
- Inoltre emergerebbe dalla sentenza della Corte 12 novembre 1981, cause riunite
da 212/80 a 217/80, Salumi e a. (Racc. pag. 2735) che le nuove disposizioni
sostanziali vanno applicate nelle controversie pendenti se la loro applicazione è
conseguenza del loro tenore e della loro finalità. Abrogando il regolamento
n. 1430/79, il legislatore comunitario avrebbe voluto che il codice doganale si
applicasse solo a decorrere dal 1° gennaio 1994 anche agli avvenimenti anteriori
che non avevano costituito oggetto di una decisione.
- 42.
- La scelta della norma giuridica applicabile avrebbe importanza sotto il profilo del
diritto sostanziale. Infatti, mentre l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 prescrive che
sussistano «situazioni particolari», l'art. 239 del codice doganale si applica anche
in situazioni che conseguono a semplici «circostanze». Le condizioni di uno sgravio
per motivi di equità sarebbero dunque state mitigate, conformemente alla
giurisprudenza in materia, secondo la quale una decisione che si ispiri ad equità
non deve essere soggetta a condizioni troppo rigorose.
- 43.
- Infine la ricorrente ricorda che, nella richiesta di sgravio del 1° marzo 1995, esso
ha fatto rilevare che al suo caso era applicabile l'art. 239 del codice doganale.
Poiché la Commissione non ha emanato alcuna decisione valida sotto l'aspetto
formale nel termine di sei mesi prescritto dall'art. 907 del regolamento n. 2454/93,
le autorità doganali tedesche avrebbero dovuto accogliere la richiesta di sgravio
conformemente all'art. 909 di questo regolamento.
- 44.
- La Commissione ribatte che al momento dei fatti contestati era in vigore l'art. 13
del regolamento n. 1430/79. Momento decisivo per definire l'ambito d'applicazione
ratione temporis della norma sostanziale sarebbe l'accertamento iniziale (artt. 2 del
regolamento n. 1430/79 e 236 del codice doganale).
- 45.
- Poiché l'accertamento risale alle date delle importazioni, che si sono operate
rispettivamente nel 1991 e nel 1992, vale a dire prima dell'entrata in vigore del
codice doganale, la decisione impugnata sarebbe stata correttamente fondata
sull'art. 13 del regolamento n. 1430/79.
Giudizio del Tribunale
- 46.
- E' pacifico che le importazioni che sono all'origine della controversia sono state
operate nel 1991 e nel 1992.
- 47.
- Secondo la disciplina allora vigente, vale a dire il regolamento n. 2144/87 (v. supra,
punto 4), il debito doganale all'importazione è sorto al momento dell'accettazione
da parte dell'autorità competente delle dichiarazioni di immissione in libera pratica
delle merci in questione.
- 48.
- Per ogni importazione, la ricorrente ha presentato una dichiarazione alle autorità
doganali tedesche e ha versato dazi doganali pari al 20% conformemente all'art.
1, n. 2, di ciascuno dei citati regolamenti n. 3840/1990 e n. 3668/91. E' quindi chiaro
che le importazioni effettuate durante il 1991 e il 1992 hanno dato origine, da un
lato, a un primo calcolo dell'importo dei dazi all'importazione ai sensi dell'art. 2,
del regolamento n. 1697/79 e, dall'altro, a liquidazioni iniziali.
- 49.
- Orbene, il debito doganale comportava non solo i dazi doganali, ma anche i prelievi
contestati (v. supra, punto 11), poiché l'esenzione da questi ultimi era stata
conseguita indebitamente mediante presentazione, al momento della dichiarazione
d'importazione, di certificati d'autenticità falsificati.
- 50.
- Come ha giustamente sottolineato la Commissione, la data alla quale le autorità
nazionali hanno deciso di procedere al recupero a posteriori dei prelievi non ha
alcuna rilevanza.
- 51.
- Infatti, fondarsi su questa data equivarrebbe a trattare in modo diverso operazioni
d'importazione comparabili, il che sarebbe incompatibile col principio della parità
di trattamento (sentenza Salumi e a., citata, punto 14).
- 52.
- Inoltre, un eventuale sgravio dei dazi all'importazione avrebbe effetti che risalgono
alla data in cui è sorto il debito doganale, cioè al momento dell'accettazione iniziale
delle dichiarazioni d'importazione.
- 53.
- Ne consegue che la richiesta di sgravio doveva venire esaminata alla luce delle
norme sostanziali vigenti al momento delle importazioni controverse e
dell'accettazione delle relative dichiarazioni di immissione in libera pratica (v., nello
stesso senso, sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos,
Racc. pag. I-4209, punto 25). Essa doveva perciò venire esaminata alla luce dell'art.
13 del regolamento n. 1430/79, nonostante l'abrogazione di quest'ultimo
regolamento alla data dell'entrata in vigore del codice doganale il 1° gennaio 1994.
- 54.
- Il codice doganale non prevede infatti alcuna disposizione transitoria, talché si deve
fare ricorso, per determinare i suoi effetti nel tempo, ai principi d'interpretazione
generalmente applicabili.
- 55.
- A questo proposito, la Corte ha affermato, in particolare, che, se le norme di
procedura si ritengono generalmente applicabili a tutte le controversie pendenti al
momento in cui entrano in vigore, ciò non vale per le norme sostanziali. Anzi
queste ultime sono normalmente interpretate nel senso che non riguardano anche
situazioni maturate anteriormente alla loro entrata in vigore salvoché emerga
chiaramente dai loro termini, dalle loro finalità o dalla loro economia che si deve
attribuire loro questo effetto (sentenza Salumi e a., citata, punto 9).
- 56.
- Orbene, il codice doganale non contiene nulla che consenta di concludere che alla
norma contenuta nell'art. 239 sia stato attribuito un effetto retroattivo sostanziale.
- 57.
- Da quanto precede emerge che il primo motivo va disatteso.
Sul secondo motivo relativo a una violazione dei diritti della difesa
Argomenti delle parti
- 58.
- Il secondo motivo si suddivide in due parti. Nella prima la ricorrente sostiene che
la decisione impugnata è inficiata da vizio essenziale di procedura in quanto la
Commissione non le avrebbe concesso il diritto di essere ascoltata durante il
procedimento amministrativo.
- 59.
- Per garantire la tutela giuridica della ricorrente non sarebbe stato sufficiente che
potesse presentare i suoi argomenti tramite le autorità nazionali. Essa avrebbe
dovuto essere messa in condizioni, durante il procedimento che si è svolto dinanzi
alla Commissione, di esprimere il proprio punto di vista e di pronunciarsi sulla
pertinenza dei fatti nonché, eventualmente, sui documenti sui quali si è basata
l'istituzione comunitaria (sentenza del Tribunale 9 novembre 1995, causa T-346/94,
France-Aviation/Commissione, Racc. pag. II-2841, punto 32).
- 60.
- Solo leggendo il controricorso si sarebbe resa conto che la Commissione le faceva
carico di una negligenza manifesta ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79.
Orbene, emergerebbe dalla sentenza France-Aviation/Commissione, citata, che unaddebito del genere implica una valutazione giuridica complessa, che richiede che
la Commissione consenta alla ricorrente la possibilità di presentare osservazioni su
questo punto prima che venga adottata una decisione, il che nella fattispecie non
si sarebbe verificato.
- 61.
- La possibilità di far valere i diritti della difesa direttamente dinanzi alla
Commissione rivestirebbe un significato particolare nell'ipotesi in cui, come nella
fattispecie, all'interessato vengano addebitate violazioni.
- 62.
- In una seconda parte del motivo, la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe
dovuto, durante un'audizione, includere nel fascicolo tutti i documenti in suo
possesso e che potevano ritenersi pertinenti, affinché si potesse esaminare in
seguito la fondatezza degli addebiti mossi all'istituzione secondo i quali questa,
nonché le autorità argentine, sarebbero venute meno ai loro obblighi.
- 63.
- Secondo la ricorrente, le disposizioni in materia di procedura dell'art. 878 e ss. del
regolamento n. 2454/93 mettono in luce gravi lacune sotto il profilo della tutela
giuridica, in quanto le dette disposizioni non prevedrebbero i diritti e gli obblighi
che seguono: a favore del richiedente, il diritto di far valere i propri diritti
immediatamente dinanzi alla Commissione durante una procedura di audizione,
l'obbligo per la Commissione di informare il richiedente, prima di prendere la sua
decisione, dei fatti e delle considerazioni essenziali onde consentirgli di ribattere
con adeguati argomenti e il diritto per il richiedente di richiedere la produzione di
tutti i documenti essenziali.
- 64.
- Tenuto conto di queste lacune, la ricorrente ritiene che si debba applicare nella
fattispecie un procedimento analogo a quello previsto in materia di dazi
antidumping.
- 65.
- Quanto all'incontro che il suo avvocato ha avuto con i rappresentanti della
Commissione, essa osserva infine che si trattava unicamente di una riunione
informale, che per di più si è svolta prima che fosse trasmessa alla Commissione
una domanda di sgravio dei dazi all'importazione. Per questo motivo, tale riunione
non avrebbe presentato tutte le garanzie di tutela giuridica di una vera audizione.
- 66.
- Poiché adottata in ispregio dei diritti della difesa, la decisione impugnata dovrebbe
quindi venir annullata.
- 67.
- La Commissione nega di aver violato i diritti della difesa. Essa ricorda che le
norme di procedura non prevedono allo stato attuale una partecipazione del
soggetto passivo di un tributo al procedimento amministrativo dinanzi alla
Commissione. A questo proposito si dovrebbe constatare che, con la citata sentenza
France-Aviation/Commissione, il Tribunale non ha criticato e nemmeno definito
insufficienti le disposizioni del regolamento n. 2454/93.
- 68.
- Un procedimento analogo a quello previsto in materia di misure antidumping non
potrebbe applicarsi. La Corte avrebbe già stabilito che il procedimento seguito nel
presente settore differisce notevolmente dal procedimento applicabile nel settore
dei dazi antidumping [sentenza della Corte 6 luglio 1993, cause riunite C-121/91 e
C-122/91, CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione, Racc. pag. I-3873,
punto 52].
- 69.
- Precisato quanto precede, si dovrebbe sottolineare che, contrariamente alla
situazione esaminata nella causa conclusasi con la citata sentenza France-Aviation/Commissione, la decisione impugnata non si è fondata su un fascicolo
incompleto. Tanto la Commissione quanto i membri del gruppo di esperti
contemplato dall'art. 907 del regolamento n. 2454/93 avrebbero disposto non solo
del fascicolo trasmesso alla Commissione dallo Stato membro interessato,
conformemente all'art. 905, n. 1, di detto regolamento, ma anche della domanda
di sgravio della ricorrente.
- 70.
- Conformemente alle prescrizioni poste dalla giurisprudenza, tutti gli elementi
ritenuti essenziali dalla ricorrente stessa figuravano nel fascicolo al momento
dell'adozione della decisione impugnata [sentenze della Corte 17 marzo 1983, causa
294/81, Control Data Belgium/Commissione, Racc. pag. 911; 13 novembre 1984,
cause riunite 98/93 e 230/83, Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim
Bosman/Commissione, Racc. pag. 3763, e CT Control (Rotterdam) e JCT
Benelux/Commissione, citata].
- 71.
- Nel dedurre il presente motivo, la ricorrente non terrebbe conto della funzione
delle garanzie procedurali in materia di sgravio dei dazi all'importazione. L'unica
finalità di queste garanzie sarebbe quella di mettere la Commissione al corrente dei
fatti e degli argomenti ritenuti pertinenti dal richiedente e non di comunicare a
quest'ultimo elementi sui quali la Commissione potrebbe successivamente fondare
la sua decisione.
- 72.
- Il soggetto passivo di un tributo dovrebbe certo aver la possibilità di prendere
posizione sui documenti presi in considerazione dalla Commissione per adottare la
sua decisione (sentenza della Corte 21 novembre 1991, causa C-269/90, Technische
Universität München, Racc. pag. I-5469, e France-Aviation/Commissione, citata),
ma ciò non significherebbe ancora che esso debba essere posto in grado di
pronunciarsi anche su altri documenti.
- 73.
- In ogni caso, l'avvocato della ricorrente avrebbe più volte discusso la pratica con
i rappresentanti della Commissione prima che la Repubblica federale di Germania
gliela trasmettesse. Durante questi incontri, la ricorrente avrebbe già espresso il
proprio punto di vista sullo sgravio dei dazi doganali all'importazione nella sua
situazione specifica.
Giudizio del Tribunale
- 74.
- In primo luogo, si deve osservare che il procedimento amministrativo in materia
doganale per lo sgravio dei dazi all'importazione consta di due fasi distinte. La
prima si svolge sul piano nazionale. Il soggetto passivo deve presentare la sua
domanda di sgravio all'amministrazione nazionale. Se questa ritiene che lo sgravio
non può venir concesso, può, secondo la normativa, adottare una decisione in
questo senso senza interpellare la Commissione. Tale decisione può essere
sottoposta al vaglio del giudice nazionale. Se invece l'amministrazione nazionale
nutre dubbi in ordine allo sgravio o ritiene che lo sgravio vada accordato, deve
consultare la Commissione per la decisione. La seconda fase del procedimento si
svolge quindi sul piano comunitario, allorché le autorità nazionali trasmettono il
fascicolo dell'interessato alla Commissione. Questa, previa consultazione di un
gruppo di esperti composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri, adotta poi
una decisione sulla giustificazione della richiesta di sgravio.
- 75.
- Il regolamento n. 2454/93 prevede solo contatti tra, da un lato, l'interessato e
l'amministrazione nazionale e, dall'altro, quest'ultima e la Commissione (sentenza
France-Aviation/Commissione, citata, punto 30). Lo Stato membro interessato è
quindi, secondo la disciplina vigente, l'unico interlocutore della Commissione. Le
disposizioni procedurali del regolamento n. 2454/93 non prevedono in particolare,
un diritto per il soggetto passivo di essere ascoltato nell'ambito del procedimento
amministrativo dinanzi alla Commissione.
- 76.
- Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, il rispetto dei diritti della difesa in
qualsiasi procedimento instaurato nei confronti di una persona e che può sfociare
in un atto lesivo rappresenta un principio fondamentale del diritto comunitario, che
va garantito anche se non vi sia alcuna disciplina circa la procedura (sentenze della
Corte 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P, Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I-5373, punto 21; 12 febbraio 1992, cause riunite C-48/90 e C-66/90, Paesi Bassi e
a./Commissione, Racc. pag. I-565, punto 44, e 29 giugno 1994, causa C-135/92,
Fiskano/Commissione, Racc. pag. I-2885, punto 39).
- 77.
- Dato il potere discrezionale di cui dispone la Commissione nell'adottare una
decisione in applicazione della clausola generale d'equità contemplata dall'art. 13
del regolamento n. 1430/79, l'osservanza del diritto al contraddittorio va a maggior
ragione garantita nei procedimenti di sgravio e di rimborso dei dazi
all'importazione (sentenza France-Aviation/Commissione, citata, punto 34, e nello
stesso senso, sentenza Technische Universität München, citata, punto 14).
- 78.
- Il principio del rispetto dei diritti della difesa prescrive che chiunque venga colpito
da una decisione lesiva nei suoi confronti dev'essere messo in grado di presentare
validamente le sue difese quanto meno sugli addebiti sui quali la Commissione ha
fondato la sua decisione (v., in questo senso, sentenze Commissione/Lisrestal e a.,
citata, punto 21, e Fiskano/Commissione, citata, punto 40).
- 79.
- Nel settore della concorrenza, emerge da una giurisprudenza costante che il diritto
di accesso al fascicolo è a sua volta strettamente connesso al principio
dell'osservanza dei diritti della difesa. Infatti, l'accesso al fascicolo rientra nelle
garanzie procedurali intese a tutelare il diritto al contraddittorio (sentenze del
Tribunale 18 dicembre 1992, cause riunite T-10/92, T-11/92, T-12/92 e T-15/92,
Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II-2667, punto 38, e 29 giugno
1995, causa T-36/91, ICI/Commissione, Racc. pag. II-1847, punto 69).
- 80.
- Questa giurisprudenza può venire applicata nella fattispecie. Il principio
dell'osservanza dei diritti della difesa prescrive quindi non solo che l'interessato
venga messo in condizioni di far conoscere utilmente il suo punto di vista sulla
pertinenza dei fatti, ma anche che possa prendere posizione quanto meno sui
documenti sui quali si è fondata l'istituzione comunitaria (sentenze Technische
Universität München, citata, punto 25, e France-Aviation/Commissione, citata,
punto 32).
- 81.
- Dato che la ricorrente fa carico alla Commissione di gravi inadempienze per
quanto riguarda il controllo del contingente Hilton, il Tribunale ritiene inoltre che,
onde rendere efficace l'esercizio del diritto al contraddittorio, la Commissione deve,
a richiesta, consentire l'accesso a tutti i documenti amministrativi non riservati
relativi alla decisione impugnata. Infatti non si potrebbe escludere che i documenti
ritenuti non pertinenti dalla Commissione possano presentare un interesse per la
ricorrente. Se la Commissione fosse in condizioni di escludere unilateralmente dal
procedimento amministrativo i documenti che le tornerebbero eventualmente
pregiudizievoli, ciò potrebbe costituire una grave violazione dei diritti della difesa
del richiedente di uno sgravio dei diritti all'importazione (v., nello stesso senso,
sentenza ICI/Commissione, citata, punto 93).
- 82.
- Nella fattispecie si deve constatare che il ministero federale delle Finanze, nel suo
parere relativo alla richiesta di sgravio, emesso al momento della trasmissione del
fascicolo alla Commissione, aveva concluso che non vi era stata né negligenza né
frode da parte della ricorrente.
- 83.
- Orbene, nella decisione impugnata si fa carico per la prima volta alla ricorrente di
non aver fatto prova della diligenza necessaria, non avendo adottato le necessarie
precauzioni nei confronti delle controparti e dei suoi intermediari in Argentina. La
ricorrente non avrebbe infatti controllato direttamente la circolazione dei certificati
d'autenticità di cui fruiva (ventiduesimo 'considerando della decisione), mentre
avrebbe disposto dei mezzi per cautelarsi (sedicesimo 'considerando).
- 84.
- A questo proposito, si deve ricordare che nella citata sentenza France-Aviation/Commissione (punto 36), il Tribunale ha ritenuto che, allorché la
Commissione intende discostarsi dall'orientamento assunto dalle autorità nazionali
competenti quanto all'accertamento di un'eventuale negligenza manifesta
addebitabile all'interessato, deve consentire a quest'ultimo di esprimersi su questo
punto. Infatti una decisione siffatta implica una valutazione giuridica complessa che
può compiersi soltanto in base a tutti i dati di fatto pertinenti.
- 85.
- Questa giurisprudenza può applicarsi alla fattispecie, ancorché alla ricorrente si
faccia carico soltanto di scarsa diligenza. Infatti la Commissione si è fondata in
particolare su questo addebito per respingere la richiesta di sgravio ai sensi dell'art.
13 del regolamento n. 1430/79, disposizione che prescrive tuttavia che non vi sia
«negligenza» manifesta da parte dell'interessato.
- 86.
- Si deve constatare che la Commissione non ha consentito alla ricorrente, nemmeno
durante il procedimento che si è svolto dinanzi ad essa, di prendere posizione e di
esprimere utilmente il suo punto di vista sulla pertinenza degli elementi accolti a
suo carico per fondare la decisione impugnata.
- 87.
- Sebbene l'avvocato della ricorrente si sia incontrato con i rappresentanti della
Commissione, questi incontri si sono svolti prima della trasmissione della domanda
di sgravio alla Commissione. Per questo motivo non può ritenersi che essi abbiano
consentito l'esercizio del diritto al contraddittorio, poiché la Commissione non
aveva ancora preso una posizione provvisoria sull'istanza.
- 88.
- Ne consegue che la decisione impugnata è stata adottata in esito ad un
procedimento amministrativo viziato da violazione delle forme essenziali. Il motivo
relativo a una violazione dei diritti della difesa è pertanto fondato.
Sul terzo motivo relativo a una violazione dell'art. 239 del codice doganale o, in
subordine, dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79
Argomenti delle parti ricorrente e interveniente
- 89.
- La ricorrente sostiene che, nell'applicazione della nozione di «circostanze», ai sensidell'art. 239 del codice doganale, o di «situazioni particolari», ai sensi dell'art. 13
del regolamento n. 1430/79, la Commissione ha commesso palesi errori di
valutazione.
- 90.
- A suo giudizio la Commissione non ha sufficientemente tenuto conto delle flagranti
violazioni, commesse dalle autorità argentine e dalla Commissione, dei loro obblighi
in materia di applicazione e di controllo del contingente Hilton.
- 91.
- Tanto l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 quanto l'art. 239 del codice doganale
costituirebbero clausole generali di equità destinate a disciplinare situazioni diverse
da quelle normalmente rilevate nella pratica, e che avrebbe potuto, al momento
dell'adozione del regolamento n. 1430/79 e del codice doganale, costituire oggetto
di una disciplina particolare (sentenze della Corte 12 marzo 1987, cause riunite
244/85 e 245/85, Cerealmangimi e Italgrani/Commissione, Racc. pag. 1303, punto
10, e 18 gennaio 1996, causa C-446/93, SEIM, Racc. pag. I-73, punto 41).
- 92.
- La ricorrente fa carico di inadempienze tanto alle autorità argentine quanto alla
Commissione.
Sulle inadempienze addebitate alle autorità argentine
- 93.
- La ricorrente sostiene che, in forza dei regolamenti d'applicazione, le autorità
argentine dovevano rilasciare per i prodotti in questione certificati d'autenticità che
garantissero la loro origine. Tali certificati avrebbero dovuto essere rilasciati da un
ente che offrisse tutte le garanzie necessarie per il corretto funzionamento del
contingente Hilton.
- 94.
- Essendo state stipulate nell'ambito di un accordo internazionale sottoscritto dalla
Comunità, le garanzie fornite dalle autorità argentine sul rilascio dei certificati
d'autenticità rientrerebbero nell'ordinamento giuridico comunitario. La ricorrente,
come importatrice, avrebbe potuto quindi fare affidamento sulla loro osservanza.
- 95.
- La ricorrente fa carico in particolare alle autorità argentine 1) di aver designato nel
1991 un nuovo ente competente a rilasciare certificati d'autenticità, creando così
confusione quanto alle competenze rispettive del vecchio e del nuovo ente, 2) di
aver fornito ai mattatoi moduli in bianco, non numerati, di certificati d'autenticità,
3) di non aver previsto moduli stampati su carta filigranata, facilitandone le
falsificazioni, 4) di non aver controllato i certificati d'autenticità al momento
dell'esportazione circa i quantitativi e la conformità della firma, e 5) di non aver
verificato se si trattava effettivamente di carne bovina Hilton.
Sulle inadempienze addebitate alla Commissione
- 96.
- La ricorrente sostiene che il Consiglio ha incaricato la Commissione di organizzare
e di controllare correttamente l'esecuzione del contingente Hilton e, in particolare,
di emettere, nei regolamenti di applicazione, disposizioni che garantissero la natura,
la provenienza e l'origine dei prodotti.
- 97.
- Da questo dovere principale scaturirebbero tre obblighi. Secondo la ricorrente, la
Commissione avrebbe dovuto, in primo luogo, fare in modo che fossero rispettate
le garanzie sottoscritte dalle autorità argentine per l'emissione dei certificati
d'autenticità (v., ad esempio, artt. 2, n. 5, 3 e 4 del citato regolamento 27 dicembre
1990, n. 3884), il che non sarebbe stato fatto. In secondo luogo, avrebbe dovuto far
intervenire nella più larga misura possibile gli Stati membri nel controllo del
regime. In terzo luogo, sarebbe stata obbligata a vigilare direttamente
sull'osservanza del regime d'importazione, conformemente ai principi di buona
amministrazione e al dovere di diligenza.
- 98.
- In particolare, la ricorrente fa carico alla Commissione di non aver trasmesso alle
autorità nazionali nomi e facsimile di firme delle persone autorizzate a rilasciare
certificati d'autenticità. Né esso avrebbe pubblicato questi dati nella Gazzetta
ufficiale delle Comunità europee. Infine, non avrebbe informato le autorità nazionali
dei numeri dei certificati d'autenticità che dovevano venirle comunicati dalle
autorità argentine.
- 99.
- Queste omissioni avrebbero impedito alle autorità nazionali competenti di
controllare efficacemente la validità dei certificati d'autenticità al momento delle
importazioni. Grazie ad un semplice raffronto delle firme, le falsificazioni
avrebbero potuto venire scoperte nella maggior parte dei casi.
- 100.
- La Commissione avrebbe inoltre omesso di procedere direttamente a un vero
controllo delle importazioni della carne bovina Hilton. Tanto le autorità argentine
quanto le autorità competenti degli Stati membri avrebbero comunicato alla
Commissione, ogni dieci giorni o al massimo dopo quattordici giorni, i dati relativi
ai quantitativi di carne bovina Hilton rispettivamente esportati e importati con un
certificato d'autenticità. In base a questi elenchi, la Commissione sarebbe stata in
grado di effettuare regolarmente un raffronto tra i quantitativi esportati
dall'Argentina con certificato d'autenticità e i quantitativi immessi in libera pratica
nella Comunità. Essa non avrebbe però preso queste precauzioni.
- 101.
- Per di più, già nel 1989 essa sarebbe stata in condizioni di constatare superamenti
notevoli del contingente. Se avesse iniziato allora ad indagare sulle dette
irregolarità, si sarebbe potuta evitare l'importazione di quantitativi in eccesso
dovuta alle falsificazioni dei certificati d'autenticità negli anni 1991 e 1992. La sua
mancanza di diligenza in questo periodo sarebbe confermata dal fatto che essa non
avrebbe affatto reagito nonostante i sospetti d'irregolarità che erano già insorti nel
1985, e che erano stati avanzati dal direttore del Zollkriminalamt di Colonia.
- 102.
- Queste inadempienze della Commissione e delle autorità argentine
rappresenterebbero o una circostanza ai sensi dell'art. 239 del codice doganale, o
una situazione particolare ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, che
dovrebbe implicare lo sgravio dei diritti all'importazione.
- 103.
- Le falsificazioni di cui trattasi nella fattispecie non rientrerebbero nel rischio
commerciale. Le inadempienze imputabili alle autorità argentine e alla
Commissione sarebbero, singolarmente e nel complesso, talmente gravi da superare
largamente tale rischio. La citata sentenza Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf
Wim Bosman/Commissione, non potrebbe essere trasposta al caso di specie per
diverse ragioni. In primo luogo, le falsificazioni dei certificati d'autenticità
sarebbero state rese possibili da queste inadempienze. In secondo luogo, la
ricorrente non sarebbe stata in grado, anche usando la massima diligenza, di
tutelarsi contro le falsificazioni perpetrate dagli esportatori. In terzo luogo, essa
avrebbe potuto legittimamente fare affidamento sulla validità dei certificati
d'autenticità.
- 104.
- Sarebbe del pari inesatto sostenere, richiamandosi all'art. 904, lett. c), del
regolamento n. 2144/93, che la fiducia nella validità di un certificato d'autenticità
non era tutelata. Infatti, questa disposizione si limiterebbe a enunciare che non si
concede uno sgravio dei dazi all'importazione se la domanda si fonda solo sul fatto
che sono stati presentati, anche in buona fede, documenti che successivamente sono
risultati falsi o falsificati. Ciò comunque non si verificherebbe nella fattispecie,
avendo la ricorrente addotto vari altri motivi. In questo contesto, la Commissione
farebbe erroneamente richiamo alla sentenza della Corte 11 dicembre 1980, causa
827/79, Acampora (Racc. pag. 3731).
- 105.
- La disciplina in questione conferirebbe alla Commissione solo un margine di
valutazione e non un potere discrezionale (sentenza Van Gend & Loos e
Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata, punto 17). Questo margine di
valutazione dovrebbe essere applicato in modo molto restrittivo nella fattispecie,
giacché le circostanze che la ricorrente invoca sono, in particolare, inadempienze
addebitate alla Commissione.
- 106.
- Ribattendo alla critica mossa dalla Commissione nel controricorso, secondo la
quale la seconda condizione posta dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79 non
sarebbe soddisfatta, la ricorrente sostiene che si tratta di un motivo nuovo, che in
quanto tale va disatteso.
- 107.
- In ogni caso essa contesta l'esistenza di una negligenza manifesta da parte sua e
osserva che essa non era in grado di controllare la validità dei certificati
d'autenticità. Dato che questi certificati erano timbrati e firmati, la loro autenticità
non poteva essere messa in dubbio. D'altra parte, al momento dei fatti, non vi era
nemmeno un indizio di eventuali falsificazioni in Argentina. D'altra parte l'agenzia
che serviva da intermediario alla ricorrente in Argentina non avrebbe svolto alcuna
funzione nel deposito delle domande o nel rilascio dei certificati d'autenticità.
- 108.
- L'esperienza professionale della ricorrente non implicherebbe l'obbligo di indagare
e accertare falsificazioni di documenti. Quanto ai versamenti effettuati su un conto
corrente nei Paesi Bassi, sarebbe normale, nel commercio d'esportazione, versare
importi su un conto estero indicato dal fornitore. Non si sarebbe potuto per questo
motivo concludere che la merce era accompagnata da un certificato d'autenticità
falsificato.
- 109.
- Il Regno Unito sostiene che la Commissione ha commesso un errore di diritto
ritenendo che l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 non fosse applicabile, o in
subordine che essa ha esercitato in modo manifestamente erroneo la discrezionalità
che le conferisce tale disposizione.
- 110.
- La decisione impugnata sarebbe irrimediabilmente viziata, dal momento che la
Commissione non avrebbe tenuto sufficientemente conto del fatto che essa stessa
aveva contribuito a far sorgere i problemi della ricorrente. La motivazione e le
conclusioni contenute nella decisione impugnata sarebbero manifestamente
erronee, in quanto la Commissione sarebbe responsabile, nei confronti degli
operatori economici, dell'accertamento della frode e sarebbe venuta meno agli
obblighi di controllo impostile dai regolamenti d'applicazione.
Argomenti della convenuta
- 111.
- Tenuto conto della responsabilità attribuita alla Commissione per la sorveglianza
e il controllo del contingente e delle inadempienze che le sono imputabili
nell'esercizio di tale responsabilità, nulla avrebbe giustificato, sul piano giuridico,
un diniego dello sgravio. Questo diniego avrebbe avuto la conseguenza di punire
operatori perfettamente innocenti, il che sarebbe radicalmente contrario
all'obiettivo generale d'equità perseguito dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79.
- 112.
- La Commissione sostiene di aver ritenuto a giusto titolo che la situazione nella
fattispecie non costituisse una situazione particolare, atta a giustificare uno sgravio
dei dazi all'importazione.
- 113.
- Richiamandosi alle sentenze della Corte 1° aprile 1993, causa C-250/91, Hewlett
Packard France (Racc. pag. I-1819, punto 46), nonché 14 maggio 1996, cause
riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a. (Racc. pag. I-2465, punto 83), essa
fa valere che le condizioni prescritte dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79 vanno
valutate alla luce dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79.
- 114.
- Ne risulterebbe che uno sgravio dei dazi all'importazione si giustifica solo se
sussistono le tre condizioni cumulative enunciate da questa disposizione, vale a dire
che i dazi non siano stati riscossi in conseguenza di un errore delle autorità
competenti, che l'interessato abbia agito in buona fede, ossia non abbia
ragionevolmente potuto scoprire l'errore commesso dalle autorità competenti, e che
lo stesso abbia rispettato tutte le disposizioni della normativa in vigore per quel che
riguarda la sua dichiarazione in dogana [v. anche art. 220, n. 2, lett. b), del codice
doganale]. In questo contesto, contrariamente al parere della ricorrente, le due
disposizioni summenzionate sarebbero globalmente raffrontabili, in quanto
perseguirebbero la stessa finalità (sentenza Hewlett Packard France, citata, punto
46), o sarebbero addirittura intercambiabili (sentenza del Tribunale 5 giugno 1996,
causa T-75/95, Günzler Aluminium, Racc. pag. II-497, punto 55).
- 115.
- Un'interpretazione restrittiva di queste condizioni sarebbe necessaria per garantire
un'applicazione uniforme del diritto comunitario (sentenza della Corte 27 giugno
1991, causa C-348/89, Mecanarte, Racc. pag. I-3277, punto 33).
- 116.
- Nella fattispecie, le autorità competenti non avrebbero commesso errori ai sensi
dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79. Il legittimo affidamento del soggetto
passivo del tributo sarebbe tutelabile solo se le autorità competenti stesse avessero
creato la base sulla quale il legittimo affidamento si fondava. L'errore dovrebbe
essere imputabile a un comportamento attivo delle autorità competenti (sentenze
Hewlett Packard France, citata, punto 16, Faroe Seafood e a., citata, punto 91, e
Mecanarte, citata, punto 23). Tale non sarebbe il caso allorché le autorità
competenti sono indotte in errore da dichiarazioni inesatte dell'esportatore, la cui
validità non spetta a loro verificare o valutare.
- 117.
- Questa soluzione discenderebbe del pari da una lettura dell'art. 4, n. 2, lett. c), del
regolamento n. 3799/86 e dell'art. 904, lett. c), del regolamento n. 2454/93.
Emergerebbe da queste disposizioni che la presentazione in buona fede di
documenti falsificati non vale di per sé come circostanza particolare che giustifichi
uno sgravio. Il fatto che le autorità doganali tedesche abbiano in un primo tempoaccettato i certificati d'autenticità come validi non avrebbe potuto creare un
legittimo affidamento in capo alla ricorrente (sentenza Faroe Seafood e a., citata,
punto 93).
- 118.
- La Commissione sottolinea che emerge dalla giurisprudenza, da un lato, che la
Comunità non deve sopportare le conseguenze pregiudizievoli dell'operato
scorretto dei fornitori dei propri cittadini e, d'altra parte, che nel valutare i vantaggi
che può procurare il commercio di merci che possono fruire di preferenze
tariffarie, un operatore economico accorto e a conoscenza della normativa in vigore
deve poter valutare i rischi inerenti al mercato su cui opera ed accettarli come
facenti parte della categoria degli inconvenienti normali dell'attività (sentenze
Acampora, citata, punto 8, e Pascoal & Filhos, citata, punto 59). Adducendo un
«obbligo di garanzia» incombente sulle autorità argentine, la ricorrente tenterebbe
quindi erroneamente di sfuggire alle conseguenze di questa giurisprudenza.
- 119.
- Gli addebiti formulati dalla ricorrente non sarebbero tali da far venir meno o da
limitare il rischio commerciale che ad essa incombe (v. del pari sentenza Van Gend
& Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata, punti 16 e 17). Il
sistema di controllo avrebbe soltanto avuto lo scopo di garantire che unicamente
alla carne importata nell'ambito dei contingenti spettasse l'esenzione dal prelievo.
Quanto all'obbligo di garanzia dell'origine della merce e all'obbligo per l'autorità
competente di fornire garanzie per il corretto funzionamento del regime in
questione, tali obblighi non potrebbero considerarsi come garanzia a favore
dell'importatore contro tutti i rischi di falsificazione. La Commissione non avrebbe
quindi avuto alcun obbligo nei confronti degli operatori economici.
- 120.
- Il comportamento dei servizi della Commissione per quanto riguarda la vigilanza
sull'uso del contingente Hilton, criticato dalla ricorrente, non potrebbe considerarsi
come una situazione particolare ai sensi della normativa applicabile. La
Commissione respinge espressamente le affermazioni secondo le quali essa stessa
avrebbe reso possibile la falsificazione dei certificati d'autenticità. Non sussisterebbe
nemmeno un nesso causale tra il suo comportamento e l'origine dei prelievi
all'importazione.
- 121.
- La Commissione replica agli addebiti secondo i quali i suoi uffici non avrebbero
fatto il necessario per contrastare le irregolarità, osservando a titolo integrativo che,
in base al sistema vigente durante il periodo in questione, solo alla fine dell'anno
civile essa veniva informata del numero di certificati d'autenticità rilasciati dalle
autorità argentine. Per questo motivo, eventuali superamenti dei contingenti
potevano venir constatati solo verso la fine dell'anno di riferimento o all'inizio
dell'anno successivo, sicché non era più possibile contrastarli.
- 122.
- Inoltre il raffronto non sarebbe stato facile. Da un lato, le esportazioni effettuate
non avrebbero necessariamente coinciso nel tempo con la notifica operata dalle
autorità argentine. D'altro lato, l'indicazione, nel certificato, dello Stato membro
di destinazione della merce non sarebbe stata tassativa, sicché l'importazione
sarebbe spesso stata effettuata in uno Stato membro diverso da quello indicato nel
certificato.
- 123.
- Nel 1989 vi sarebbero stati in realtà superamenti dei contingenti. Tuttavia si
sarebbero potuti spiegare mediante confusioni con certificati d'autenticità
riguardanti altre importazioni di carne. Nel 1993, dopo che gli uffici della
Commissione avevano ricevuto segnalazioni riguardo a falsificazioni di certificati
d'autenticità, la loro reazione sarebbe stata immediata. Sarebbe quindi escluso che
si possa parlare di gravi inadempienze da parte loro.
- 124.
- Poiché le autorità competenti non avrebbero commesso errori, la prima delle tre
condizioni cumulative elencate dall'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 (v. supra,
punto 113) non sarebbe soddisfatta.
- 125.
- La seconda condizione, vale a dire la buona fede del soggetto passivo del tributo
non sussisterebbe nemmeno. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la
decisione impugnata conterrebbe già, nel diciassettesimo e ventunesimo
'considerando, osservazioni relative alla scarsa diligenza della ricorrente.
- 126.
- Secondo la Commissione, la falsificazione dei certificati d'autenticità avrebbe potuto
venire scoperta se la ricorrente li avesse esaminati diligentemente. La ricorrente,
tramite la sua agenzia in Argentina, avrebbe ricevuto gli originali dei certificati
d'autenticità. Se dubitava della loro validità, avrebbe dovuto compiere accertamenti
più approfonditi (sentenze Hewlett Packard France, citata, punto 24, Faroe
Seafood e a., citata, punto 100).
- 127.
- La Commissione si interroga sull'esattezza dell'affermazione della ricorrente
secondo la quale essa non avrebbe avuto la minima possibilità di controllare la
validità dei certificati. Anzitutto ricorda che la ricorrente è rappresentata in
Argentina da un'agenzia. In secondo luogo, data la sua esperienza professionale di
importatore di carne bovina e la sua conoscenza del sistema dei contingenti in
vigore, la ricorrente sarebbe stata in condizioni di prendere misure per impedire
l'uso di certificati d'autenticità falsificati.
- 128.
- Infine, la Commissione osserva che la ricorrente ha effettuato diversi trasferimenti
bancari a favore di una società con sede nei Paesi Bassi, filiale di una società
argentina oggi disciolta. Sarebbe certo perfettamente possibile che i fornitori
abbiano richiesto i pagamenti su conti esteri. Tuttavia sarebbe insolita la prassi di
un importatore che paghi le forniture di un esportatore facendo versamenti su conti
intestati ad una terza persona, se non è certo che il destinatario del pagamento
esiste realmente. La Commissione osserva inoltre che le falsificazioni sono perlopiù
imputabili all'impresa Manufactura de Carnes Vacunas, uno dei maggiori fornitori
della ricorrente (v. supra, punto 23). Alla luce di queste considerazioni, la
Commissione dubita che la ricorrente abbia fatto prova della necessaria diligenza.
Giudizio del Tribunale
- 129.
- La ricorrente ha sostenuto in subordine che la Commissione non solo doveva
fronteggiare «circostanze» ai sensi dell'art. 239 del codice doganale, ma anche
«situazioni particolari» ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, il che
avrebbe giustificato uno sgravio dei dazi all'importazione.
- 130.
- Poiché l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 era vigente all'epoca dei fatti litigiosi
(v. supra, punto 53), nell'ambito del presente motivo si deve verificare se la
decisione impugnata sia stata adottata contravvenendo a questa disposizione.
- 131.
- Il n. 1 prevede, nella versione modificata dal regolamento n. 3069/86, che «si può
procedere al rimborso allo sgravio dei diritti all'importazione in situazioni
particolari, diverse da quelle previste nelle sezioni da A a D, derivanti da
circostanze che non implichino alcuna simulazione o negligenza manifesta da parte
dell'interessato».
- 132.
- Secondo una costante giurisprudenza, l'art. 13 summenzionato costituisce una
clausola generale d'equità destinata a far fronte a situazioni diverse da quelle che
si verificavano più frequentemente nella pratica e che, al momento dell'adozione
del regolamento n. 1430/79, potevano costituire oggetto di una disciplina particolare
(sentenze Cerealmangimi e Italgrani/Commissione, citata, punto 10, e SEIM, citata,
punto 41). In particolare esso va applicato allorché le circostanze che caratterizzano
il rapporto tra l'operatore economico e l'amministrazione sono tali che non sarebbe
equo accollare al detto operatore un pregiudizio che normalmente non avrebbe
subito (sentenza della Corte 26 marzo 1987, causa 58/86, Coopérative agricole
d'approvisionnement des Avirons, Racc. pag. 1525, punto 22).
- 133.
- La Commissione deve quindi valutare tutti gli elementi di fatto onde determinare
se questi costituiscano una situazione particolare ai sensi di questa disposizione (v.,
in questo senso, sentenza della Corte 15 maggio 1986, causa 160/84, Oryzomyli
Kavallas e a./Commissione, Racc. pag. 1633, punto 16). Pur godendo, a questo
proposito, di un potere di valutazione (sentenza France-Aviation/Commissione,
citata, punto 34), essa deve esercitare questo potere contemperando realmente, da
un lato, l'interesse della Comunità a garantire il rispetto delle disposizioni doganali
e, dall'altro, l'interesse dell'importatore in buona fede a non subire danni che
vadano oltre l'ordinario rischio commerciale. Di conseguenza, nell'esame della
giustificazione della richiesta di sgravio, essa non può limitarsi a tener conto della
condotta degli importatori, ma deve del pari valutare l'incidenza del proprio
comportamento, eventualmente criticabile, sulla situazione creatasi.
- 134.
- Se ricorrono le due condizioni enunciate dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79,
cioè l'esistenza di una situazione particolare e l'insussistenza di simulazioni e di
negligenza manifesta da parte dell'interessato, all'interessato spetta, se non si vuole
privare questa disposizione di ogni effetto utile, il rimborso o lo sgravio dei dazi
all'importazione (v., per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 5, n. 2, del
regolamento n. 1697/79, sentenze della Corte Mecanarte, citata, punto 12; 4 maggio
1993, causa C-292/91, Weis, Racc. pag. I-2219, punto 15, e Faroe Seafood e a.,
citata, punto 84).
- 135.
- Va perciò disattesa la tesi della Commissione secondo la quale uno sgravio dei dazi
all'importazione si giustificherebbe solo se sussistono le tre condizioni cumulative
elencate dall'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, vale a dire che i dazi non
siano stati riscossi per effetto di un errore delle autorità competenti, che il soggetto
passivo del tributo abbia agito in buona fede, ossia non abbia ragionevolmente
potuto scoprire l'errore commesso dalle autorità competenti, e che lo stesso abbia
osservato tutte le disposizioni contemplate dalla disciplina vigente per quel che
riguarda la sua dichiarazione doganale.
- 136.
- La Corte ha certo dichiarato che l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 e l'art. 5, n. 2,
del regolamento n. 1697/79 perseguono la stessa finalità, quella di limitare il
pagamento a posteriori dei dazi all'importazione o all'esportazione ai casi in cui
siffatto pagamento è giustificato e compatibile con un principio fondamentale,
come il principio del legittimo affidamento (sentenza Hewlett Packard France,
citata, punto 46), tuttavia essa non ha affermato che le due disposizioni coincidano.
- 137.
- La Corte si è limitata a considerare che l'evidenza dell'errore delle autorità
competenti ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, fa riscontro alla
negligenza manifesta o alla frode ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79,
sicché le condizioni di quest'ultima disposizione vanno valutate alla luce di quelle
dell'art. 5, n. 2, già ricordato.
- 138.
- Pur nell'ipotesi che le autorità competenti non abbiano commesso errori ai sensi
dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, ciò non esclude quindi a priori che
l'interessato possa, in subordine, invocare l'art. 13 del regolamento n. 1430/79
allegando l'esistenza di una situazione particolare atta a giustificare lo sgravio dai
dazi all'importazione.
- 139.
- La tesi della Commissione non tiene conto delle finalità delle due disposizioni.
Mentre l'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 ha lo scopo di tutelare il legittimo
affidamento del soggetto passivo del tributo circa la regolarità di tutti gli elementi
che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi doganali (sentenza
Faroe Seafood e a., citata, punto 87), l'art. 13 del regolamento n. 1430/79
costituisce, come si è sopra ricordato, una clausola generale equitativa. L'art. 13
perderebbe la sua indole di disposizione generale equitativa se le condizioni di cui
all'art. 5, n. 2, dovessero essere soddisfatte in ogni caso.
- 140.
- Onde stabilire se la Commissione abbia commesso un errore manifesto di
valutazione ritenendo che nella fattispecie non sussistevano le condizioni di cui
all'art. 13 del regolamento n. 1430/79, si deve anzitutto esaminare la seconda
condizione, relativa all'insussistenza di frode e di negligenza manifesta da parte
della ricorrente, e quindi la prima condizione, relativa all'esistenza di una situazione
particolare.
Sull'insussistenza di frode e di negligenza manifesta
- 141.
- Alla ricorrente non viene addebitata alcuna frode. Rispondendo ad un quesito del
Tribunale, la Commissione ha espressamente confermato, nel corso dell'udienza,
di non sostenere che la ricorrente sia stata in un modo o nell'altro implicata nelle
falsificazioni di cui trattasi.
- 142.
- D'altro canto, non è ravvisabile nessuna negligenza manifesta. Infatti emerge sia dal
fascicolo sia dalle difese orali dinanzi al Tribunale che la ricorrente, fino al
momento in cui la Commissione, nel 1993, ha avviato le indagini (v. supra, punto
18), non era a conoscenza di falsificazioni o irregolarità dei certificati d'autenticità.
- 143.
- Quanto al modo di falsificazione, si deve osservare che, in genere, venivano redatte
due versioni del certificato d'autenticità con lo stesso numero per una
determinata operazione d'esportazione. Conformemente all'art. 4 di ciascuno dei
regolamenti d'applicazione, entrambe erano munite di timbro apposto
apparentemente dallo stesso ente competente e di una firma.
- 144.
- Entrambe le versioni contenevano le stesse informazioni sulla data e sul luogo diemissione, sull'esportatore argentino, sul destinatario nella Comunità e sulla nave
che avrebbe effettuato il trasporto. L'unica differenza tra le due versioni, per
quanto riguarda le informazioni contenute, concerneva il peso indicato, come ha
confermato la Commissione rispondendo ad un quesito del Tribunale. La versione
intitolata «duplicado», destinata alle autorità argentine, indicava un peso molto
inferiore rispetto a quello indicato nel certificato originale inviato all'importatore.
Mentre la versione «duplicado» menzionava pesi varianti dai 600 ai 2 000 kg, il
peso indicato nell'originale, che corrispondeva ai quantitativi effettivamente
esportati nella Comunità, era all'incirca di 10 000 kg. A questo proposito il
Tribunale rileva che, durante il periodo in questione, la carne bovina Hilton era
normalmente trasportata in contenitori con una capacità di circa 10 000 kg.
- 145.
- All'udienza la Commissione ha d'altronde sollevato dubbi in ordine all'identità delle
firme apposte sulle due versioni del certificato.
- 146.
- Tuttavia da un raffronto delle firme in questione emerge che, a prima vista, esse
sono identiche o quanto meno molto somiglianti. D'altro canto, le firme apposte
sui certificati d'autenticità trasmessi alla ricorrente corrispondono a prima vista ai
facsimile delle firme delle persone autorizzate a firmare, inviati alla Commissione
dalle autorità argentine nel 1991 e nel 1992. In ogni caso, poiché la Commissione
non aveva né trasmesso agli Stati membri o agli importatori né fatto pubblicare
nella Gazzetta ufficiale il facsimile di tali firme, alla ricorrente non rimaneva alcun
modo efficace di controllare, all'arrivo della merce, la validità della firma apposta
sul certificato d'autenticità.
- 147.
- Si deve rilevare che, secondo la relazione di sintesi redatta dalla Commissione, la
falsificazione dei documenti era «favorita dal fatto che le serie di moduli non erano
prenumerate, il numero di moduli non era preso in computo e gli esportatori li
compilavano direttamente». A ciò si aggiunge, secondo la relazione del 1993, che
durante un periodo di vari mesi successivo al subentrare della Secretaría de
Agricultura, Ganadería y Pesca alla Junta Nacional de Carnes come ente
competente per rilasciare i certificati di autenticità (v. supra, punto 17), le
competenze e le modalità non erano chiaramente determinate, sicché taluni
operatori ne avrebbero tratto vantaggio eludendo le disposizioni vigenti.
- 148.
- Diversi elementi del fascicolo inducono a ritenere che l'autorità argentina
competente abbia rilasciato un certificato nel quale era indicata una partita esigua,
quindi registrato tale certificato e trasmesso a taluni mattatoi argentini un
certificato con lo stesso numero, gli stessi timbri e la stessa firma senza precisare
il quantitativo in peso. I mattatoi potevano quindi riempire la casella relativa al
peso con cifre notevolmente superiori, corrispondenti al tonnellaggio effettivamente
esportato. Nella relazione di sintesi si è d'altra parte rilevato che alcuni funzionari
della dogana e degli uffici veterinari argentini hanno dovuto «chiudere gli occhi»
durante le operazioni di carico.
- 149.
- Quanto all'agenzia della ricorrente in Argentina, il cui compito consisteva nel
raccogliere le offerte dei vari mattatoi e trasmetterle per approvazione alla
ricorrente, emerge dalla discussione svoltasi dinanzi al Tribunale che essa non ha
potuto consultare la versione «duplicado», che indicava pesi inferiori. Essa
disponeva infatti solo dei certificati che accompagnavano la merce e che a prima
vista erano perfettamente regolari.
- 150.
- Si deve osservare che, in riscontro ai quesiti scritti rivoltile dal Tribunale, la
ricorrente ha prodotto un estratto delle dichiarazioni del proprietario dell'agenzia
dinanzi al Landgericht di Amburgo. Emerge da questo documento che il
proprietario, all'epoca, non aveva «alcuna conoscenza dell'origine e dell'impiego
dei certificati d'autenticità falsificati e/o falsi da parte degli esportatori di bovini (...)
Hilton» né «dell'esistenza di eventuali sospetti» sulle falsificazioni.
- 151.
- Tenuto conto di quanto precede, si deve riconoscere che la ricorrente ha potuto
ragionevolmente non accorgersi delle falsificazioni in questione, in quanto siffatto
controllo era fuori dalla sua portata.
- 152.
- Quanto alle modalità di pagamento addotte dalla Commissione per dimostrare la
malafede della ricorrente, emerge dalle affermazioni del proprietario dell'agenzia
dinanzi al Landgericht di Amburgo che i versamenti venivano effettuati dalla
ricorrente previa conferma per telecopia da parte dell'agenzia di essere in possesso
di tutti i documenti per una spedizione regolare.
- 153.
- D'altro canto, la ricorrente ha dimostrato che i trasferimenti bancari effettuati su
conti olandesi non avevano carattere eccezionale. Essa ha osservato, senza venir
contraddetta dalla Commissione su questo punto, che è normale, nel commercio
internazionale, che un esportatore di un paese terzo chieda che i pagamenti
vengano effettuati su conti nei Paesi Bassi, in Svizzera o negli Stati Uniti.
- 154.
- Infine, si devono fare due constatazioni per quanto riguarda i prezzi pagati dalla
ricorrente per la carne di cui trattasi.
- 155.
- In primo luogo, è pacifico che, non essendo stati riscossi prelievi all'importazione
nell'ambito del contingente Hilton, i prezzi pagati per la carne bovina Hilton erano
superiori ai prezzi della carne bovina venduta senza certificato di autenticità. A
questo proposito la ricorrente fa osservare, senza venir contraddetta dalla
Commissione, che la differenza di prezzo tra i due tipi di carne corrispondeva
approssimativamente ai prelievi che dovevano essere versati al momento
dell'importazione della carne bovina diversa dalla Hilton.
- 156.
- In secondo luogo, la Commissione non ha nemmeno contestato l'affermazione della
ricorrente secondo la quale i prezzi versati per la carne bovina importata con
certificati d'autenticità, che sono poi risultati falsificati, erano approssimativamente
equivalenti a quelli versati per la carne bovina Hilton munita di validi certificati.
- 157.
- Si deve riconoscere che queste ultime constatazioni sono atte a dimostrare la buona
fede della ricorrente al momento delle importazioni controverse.
- 158.
- Sebbene un'iniziale suddivisione delle quote tra i mattatoi argentini fosse stata resa
nota in Argentina, il sistema di suddivisione del contingente Hilton non era però
trasparente per i terzi. Infatti, come emerge dalla relazione di sintesi, vi era un
mercato delle quote sul quale i vari mattatoi potevano acquistare quote non
sfruttate, cosa che la Commissione ha ammesso in udienza. Di conseguenza, non
è dimostrato che la ricorrente avesse la possibilità di conoscere le quote esatte
assegnate alle sue controparti.
- 159.
- Dato che il modo in cui la ricorrente aveva stipulato i suoi contratti d'acquisto ed
effettuato le controverse importazioni rientrava in una prassi commerciale normale,
spettava alla Commissione dimostrare una negligenza manifesta da parte
dell'importatore.
- 160.
- Orbene, la Commissione non ha nemmeno tentato di fornire una dimostrazione del
genere. Infatti, rispondendo ad un quesito in merito rivoltole dal Tribunale in
udienza, si è limitata a ripetere quanto già era contenuto nella decisione
impugnata, secondo cui la ricorrente non aveva fatto prova della necessaria
diligenza, omettendo di cautelarsi in modo adeguato nei confronti delle controparti
e degli intermediari in Argentina e non controllando direttamente la circolazione
dei certificati d'autenticità di cui si avvaleva.
- 161.
- Tenuto conto di quanto precede, si deve ritenere che il comportamento della
ricorrente non appare contraddistinto da negligenza manifesta ai sensi dell'art. 13
del regolamento n. 1430/79.
Sull'esistenza di una situazione particolare
- 162.
- In base alla disciplina in materia e conformemente ad una costante giurisprudenza,
se per fruire di un trattamento tariffario preferenziale a favore della merce
dichiarata per la libera pratica si producono, anche in buona fede, documenti che
poi risultano falsificati, ciò non può costituire di per sé una situazione particolare
che giustifichi uno sgravio dai dazi all'importazione [artt. 4, punto 2, lett. c), del
regolamento n. 3799/86, e 904, lett. c), del regolamento n. 2454/93; sentenze Van
Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata, punto 16,
Acampora, citata, punto 8, e Pascoal & Filhos, citata, punti 57-60].
- 163.
- Tuttavia, nella fattispecie, la ricorrente non sostiene soltanto che al momento delle
importazioni contestate ha presentato in buona fede documenti falsificati. In via
principale, essa fonda la sua richiesta di sgravio sulle gravi irregolarità di cui fa
carico alla Commissione e alle autorità argentine nella sorveglianza
dell'applicazione del contingente Hilton, circostanze che avrebbero facilitato le
falsificazioni.
- 164.
- Ne consegue che le disposizioni summenzionate non rappresentano, contrariamente
a quanto sostiene la Commissione, un ostacolo a fruire dello sgravio dei dazi
all'importazione.
- 165.
- In forza dell'art. 155 del Trattato e del principio di buona amministrazione, la
Commissione aveva l'obbligo di garantire una corretta applicazione del contingente
Hilton e di vigilare affinché non fosse superato (v., nello stesso senso, sentenza
della Corte 15 gennaio 1987, causa 175/84, Krohn/Commissione, Racc. pag. 97,
punto 15).
- 166.
- Quest'obbligo di controllo risultava del pari dai regolamenti d'applicazione. Infatti
l'art. 6, n. 1, di ciascuno dei detti regolamenti recitava: «gli Stati membri
comunicano alla Commissione, al più tardi quindici giorni dopo la fine di ogni
decade, i quantitativi messi in libera pratica dei prodotti di cui all'articolo 1,
ripartiti per paese d'origine e per sottovoce tariffaria». Una prescrizione del genere
sarebbe stata priva di senso, se non fosse stata accompagnata dall'obbligo,
incombente alla Commissione, di controllare la corretta applicazione del
contingente.
- 167.
- Inoltre, emerge dalla relazione del 1993 che le autorità argentine hanno trasmesso
alla Commissione in modo più o meno regolare gli elenchi dei certificati
d'autenticità rilasciati durante un periodo di dieci giorni precedente il loro invio,
indicando in particolare l'esportatore argentino, il destinatario nella Comunità e il
peso lordo e netto. Le autorità argentine le hanno parimenti trasmesso i nomi e i
facsimile delle firme dei funzionari argentini autorizzati a firmare i certificati
d'autenticità.
- 168.
- E' giocoforza constatare, quindi, che essa era l'unica a disporre dei dati necessari
o ad essere in grado di richiederli per effettuare un controllo efficace
dell'impiego del contingente Hilton. In una situazione del genere, l'obbligo di
vigilare sulla corretta applicazione del contingente era ancora più stringente.
- 169.
- Emerge dal fascicolo, nonché dalla discussione svoltasi dinanzi al Tribunale che
gravi inadempienze imputabili alla Commissione possono essere riscontrate per
quanto riguarda il controllo dell'applicazione del contingente Hilton durante il
periodo in questione.
- 170.
- In primo luogo, la Commissione, per gli anni 1991 e 1992, non ha correttamente
e regolarmente verificato le informazioni comunicate dalle autorità argentine circa
il volume delle esportazioni soggette a contingente, nonché i certificati d'autenticità
rilasciati rispetto alle corrispondenti informazioni ricevute dagli Stati membri.
- 171.
- Ammesso che questa verifica non fosse possibile, in quanto gli elenchi degli Stati
membri non indicavano il numero di certificati d'autenticità in questione, essa
avrebbe dovuto richiedere agli Stati membri di trasmetterlo. D'altra parte,
rispondendo ad un quesito del Tribunale nel corso dell'udienza, essa ha
riconosciuto che l'esistenza della frode avrebbe potuto probabilmente venire
scoperta molto prima, se avesse proceduto ad un raffronto regolare dei dati relativi
alle importazioni.
- 172.
- In realtà, il controllo delle importazioni operato dalla Commissione è stato solo
approssimativo ed incompleto.
- 173.
- Ad esempio, la Commissione ha riassunto le comunicazioni che le erano state
trasmesse negli elenchi redatti soltanto all'inizio dell'anno successivo, sicché
differenze nei quantitativi ed eventuali superamenti potevano venir constatati solo
in quel momento. Per questo motivo, essa non poteva, nel corso di un determinato
anno, informare gli Stati membri dell'eventuale esaurimento del contingente
relativo a tale anno.
- 174.
- Del resto, gli elenchi erano semplicemente manoscritti. Orbene, se la Commissione
avesse trattato i dati forniti con i sistemi informatici, avrebbe potuto procedere ad
un controllo molto più efficace. Inoltre avrebbe potuto, senza difficoltà particolari,
superare i problemi scaturenti dal fatto che le indicazioni, nei certificati
d'autenticità, dello Stato membro destinatario dell'esportazione non erano
vincolanti, sicché un'esportazione poteva essere destinata, in definitiva, ad uno
Stato membro diverso da quello indicato nel certificato.
- 175.
- In secondo luogo, la Commissione ha omesso, come ha già constatato il Tribunalenel precedente punto 146, di trasmettere agli Stati membri i facsimile delle firme
dei funzionari argentini autorizzati a firmare i certificati d'autenticità o di
pubblicarli nella Gazzetta ufficiale. Di conseguenza, le autorità nazionali sono state
private di un mezzo potenzialmente efficace per scoprire tempestivamente le
falsificazioni. Emerge dal fascicolo che la Commissione stessa ha ammesso, nel
corso della riunione del gruppo di esperti del 2 ottobre 1995, che questa omissione
costituiva un errore da parte sua.
- 176.
- In terzo luogo, essa ha omesso di reagire, dopo aver constatato che in precedenza
vi erano stati superamenti del contingente Hilton.
- 177.
- A questo proposito, emerge dalla relazione di sintesi che l'indagine condotta in
Argentina nel 1993 ha consentito di accertare che oltre 460 certificati d'autenticità
presentati nel 1991 e nel 1992 erano stati falsificati. Di conseguenza, durante questi
due anni 4 500 tonnellate di carne bovina sono entrate nella Comunità con
certificati falsi, e i prelievi non riscossi su queste partite ammontano a circa 18
milioni di ECU.
- 178.
- Orbene, non è contestato che già nel 1989 la Commissione aveva dovuto far fronte
a superamenti di entità analoga. Nel corso dell'udienza ha ammesso che durante
questo solo anno il contingente Hilton era stato superato di più di 3 000 tonnellate.
- 179.
- L'inerzia, dopo questa constatazione, costituisce una grave mancanza da parte
dell'istituzione. Le irregolarità constatate avrebbero dovuto attirare la sua
attenzione sulla necessità di procedere a controlli più accurati. Fin da questo
momento essa avrebbe dovuto quindi avviare ricerche al fine di accertare le cause
esatte dei superamenti.
- 180.
- Se la Commissione avesse tempestivamente adottato misure di controllo più efficaci
per far fronte ai problemi connessi al superamento del contingente constatati nel
1989, le falsificazioni commesse durante gli anni 1991 e 1992 non avrebbero
probabilmente potuto raggiungere l'entità rilevata in seguito, vale a dire circa il
10% del volume del contingente Hilton. Le perdite subite dagli operatori economici
sarebbero state certamente limitate, come d'altra parte la Commissione ha
riconosciuto nel corso dell'udienza.
- 181.
- In definitiva, solo dopo l'indagine condotta nel 1993 la Commissione, adottando il
regolamento (CE) 31 gennaio 1994, n. 212, che stabilisce le modalità d'applicazione
dei regimi d'importazione istituiti dai regolamenti (CE) n. 129/94 e (CE) n. 131/94
del Consiglio per le carni bovine di qualità pregiata e la carne di bufalo congelata
(GU L 27, pag. 38), ha adottato provvedimenti intesi a migliorare e rafforzare il
sistema di controllo dell'applicazione del contingente Hilton.
- 182.
- Da quel momento, in forza dell'art. 4, n. 1, lett. c), di quest'ultimo regolamento,
l'ente che rilascia i certificati d'autenticità in Argentina deve impegnarsi a fornire
alla Commissione ogni settimana tutte le informazioni utili per consentire la verifica
delle indicazioni figuranti nei certificati d'autenticità. Inoltre, ai sensi dell'art. 5,
n. 1, lett. c), dello stesso regolamento, le autorità competenti per la gestione
dell'organizzazione dei mercati negli Stati membri non possono rilasciare un
certificato d'importazione se non hanno accertato che tutte le informazioni
riportate nel certificato d'autenticità corrispondono alle informazioni fornite alla
Commissione nelle comunicazioni settimanali in materia. Queste nuove norme
consentono quindi un raffronto regolare tra le dichiarazioni all'importazione e le
dichiarazioni all'esportazione.
- 183.
- Nel corso dell'udienza, la Commissione ha riconosciuto che queste ultime regole,
ove fossero state poste in vigore dopo la scoperta dei superamenti del 1989,
avrebbero consentito di evitare o quanto meno di limitare il superamento dei
contingenti nel 1991 e nel 1992.
- 184.
- Di conseguenza, il non aver messo in vigore tempestivamente un sistema di
controllo efficace, come pure le altre inadempienze riscontrate nel controllo del
contingente Hilton durante gli anni 1991 e 1992 hanno creato le condizioni per il
persistere delle falsificazioni, che sono giunte alle dimensioni constatate nella
presente controversia.
- 185.
- Si è già rilevato (v. supra, punto 155) che il prezzo di mercato della carne bovina
Hilton venduta con certificato d'autenticità valido era normalmente molto superiore
a quello della carne venduta senza certificato, e che la differenza di prezzo si
spiegava con il fatto che per la carne bovina importata fuori dal contingente Hilton
si dovevano versare prelievi pari a 10 DM per kg (v. supra, punto 11).
- 186.
- Si è altresì rilevato, in precedenza (v. supra, punto 156), che i prezzi versati dalla
ricorrente per la carne bovina importata con certificati d'autenticità falsificati erano
approssimativamente dello stesso livello di quelli richiesti per la carne bovina
Hilton accompagnata da validi certificati.
- 187.
- Per questo motivo la ricorrente sostiene che, sul piano economico, dato il prezzo
d'acquisto più alto della carne bovina Hilton, ancorché importata con certificati
falsificati, essa ha già versato un prezzo che comprende grossomodo il prelievo
all'importazione controverso, fatto che la Commissione non contesta.
- 188.
- E' bensì vero che l'affidamento di un soggetto passivo sulla validità di un certificato
d'autenticità che risulta falso a un successivo controllo non è normalmente tutelato
dal diritto comunitario, giacché tale circostanza rientra nel rischio commerciale
(sentenza Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata,
punto 17, Acampora, citata, punto 8, Mecanarte, citata, punto 24, e Pascoal &
Filhos, citata, punti 59 e 60).
- 189.
- Tuttavia, nella fattispecie, le falsificazioni hanno consentito ulteriori superamenti
del contingente Hilton per il solo fatto che la Commissione era venuta meno al suo
dovere di sorveglianza e di controllo sull'applicazione del contingente durante gli
anni 1991 e 1992. Così stando le cose, tali falsificazioni, operate del resto in modo
molto professionale, andavano oltre il rischio commerciale normale incombente alla
ricorrente, conformemente alla giurisprudenza ricordata nel punto precedente.
- 190.
- Poiché l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 doveva essere applicato allorché le
circostanze che caratterizzano il rapporto tra l'operatore economico e
l'amministrazione erano tali che non era equo porre a carico di tale operatore un
pregiudizio che non normalmente non avrebbe subito (sentenza Coopérative
agricole d'approvisionnement des Avirons, citata, punto 22), si deve concludere che,
tenuto conto di quanto precede, le circostanze della fattispecie rappresentano una
situazione particolare ai sensi di questa disposizione e giustificano uno sgravio dei
dazi all'importazione.
- 191.
- La Commissione ha quindi commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo
che le carenze nel controllo dell'applicazione del contingente non potessero
comunque costituire una situazione particolare.
- 192.
- Da quanto precede risulta che, come il secondo motivo, anche il terzo motivo
relativo alla violazione dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79 è fondato.
- 193.
- Di conseguenza, senza doversi pronunciare sul quarto e quinto motivo,
rispettivamente dedotti da una violazione dell'obbligo di motivazione e da una
violazione del principio di proporzionalità, si deve annullare la decisione
impugnata.
Sulle spese
- 194.
- Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte che è rimasta
soccombente è condannata alle spese se ne è fatta domanda. La Commissione è
rimasta soccombente e va quindi condannata alle spese, conformemente alle
richieste presentate in questo senso dalla ricorrente.
- 195.
- Il Regno Unito, parte interveniente, sopporterà le proprie spese, ai sensi dell'art.
87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Prima Sezione)
dichiara e statuisce:
1) E' annullata la decisione della Commissione 20 dicembre 1995, indirizzata
alla Repubblica federale di Germania e relativa a una domanda di sgravio
dei dazi all'importazione.
2) La Commissione è condannata alle spese.
3) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporterà le proprie
spese.
Saggio Vesterdorf Moura Ramos
|
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 19 febbraio 1998.
Il cancelliere
Il presidente
H. Jung
A. Saggio