Language of document : ECLI:EU:T:2021:895

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

15 dicembre 2021 (*)

«Impugnazione – Funzione pubblica – Funzionari – Sede di servizio in un paese terzo – Alloggio per la famiglia messo a disposizione dall’amministrazione – Inosservanza dell’obbligo di risiedervi con la famiglia – Procedimento disciplinare – Sanzione disciplinare della sospensione dall’avanzamento di scatto – Risarcimento del danno subito dall’Unione – Articolo 22 dello Statuto – Rigetto del ricorso nel merito – Annullamento a seguito di impugnazione – Sentenza su impugnazione riesaminata dalla Corte e annullata – Rinvio al Tribunale»

Nella causa T‑693/16 P‑RENV‑RX,

HG, rappresentato da L. Levi, avocate,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è

Commissione europea, rappresentata da T. Bohr, in qualità di agente, assistito da A. Dal Ferro, avocat,

resistente in primo grado,

avente ad oggetto l’impugnazione diretta all’annullamento della sentenza del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (Seconda Sezione) del 19 luglio 2016, HG/Commissione (F‑149/15, EU:F:2016:155),

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da S. Gervasoni, presidente, L. Madise (relatore), P. Nihoul, giudici,

cancelliere: L. Ramette, amministratore

vista la sentenza della Corte del 26 marzo 2020,

in seguito all’udienza del 17 giugno 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza (1)

[omissis]

2        Con la sua impugnazione, proposta ai sensi dell’articolo 9 dell’allegato I dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, il ricorrente, HG, funzionario della Commissione europea, chiede l’annullamento della sentenza impugnata con cui il Tribunale della funzione pubblica ha respinto il suo ricorso diretto, anzitutto, in via principale, all’annullamento della decisione della Commissione, del 10 febbraio 2015, che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dell’avanzamento di scatto per un periodo di 18 mesi e lo aveva condannato a risarcire il danno subito dalla Commissione per un importo di EUR 108 596,35 (in prosieguo: la «decisione controversa»), e, per quanto necessario, della decisione di rigetto del suo reclamo avverso la decisione controversa; in secondo luogo, in subordine, la riduzione della sanzione pecuniaria contenuta in detta decisione e, infine, la condanna della Commissione al risarcimento del danno morale e del danno alla reputazione che egli avrebbe subito, stimato in EUR 20 000, oltre alla sua condanna alle spese.

[omissis]

 Procedimento e conclusioni delle parti

[omissis]

39      La prima sentenza emanata su impugnazione, che annullava la sentenza impugnata per irregolarità nella composizione del collegio giudicante del Tribunale della funzione pubblica pronunciatosi, è stata resa a seguito di tale procedimento, ma è stata a sua volta annullata dalla Corte, come precedentemente illustrato ai punti 1 e 3, e l’impugnazione è stata rinviata al Tribunale. Per tale motivo, la causa che era stata rinviata al Tribunale in forza della prima sentenza su impugnazione affinché esso si pronunciasse sul ricorso introdotto dal ricorrente dinanzi al Tribunale della funzione pubblica (causa T‑440/18 RENV) è stata chiusa con decisione della cancelleria del 26 marzo 2020.

[omissis]

45      All’udienza del 17 giugno 2021, le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti posti dal Tribunale. La fase orale del procedimento si è conclusa lo stesso giorno.

46      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        annullare la decisione controversa;

–        per quanto necessario, annullare la decisione di rigetto del reclamo;

–        in subordine, ridurre la sanzione pecuniaria contenuta nella decisione controversa;

–        condannare la Commissione al risarcimento del danno morale e di quello alla reputazione da lui subito per EUR 20 000;

–        condannare la Commissione alla totalità delle spese dei due gradi di giudizio.

47      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        rigettare l’impugnazione;

–        condannare il ricorrente alla totalità delle spese.

 In diritto

 Sullimpugnazione

[omissis]

 Sui motivi dedotti avverso la sentenza impugnata con riferimento alla responsabilità finanziaria del ricorrente riconosciuta nella decisione controversa

[omissis]

–       Sul motivo vertente su errori di diritto commessi dal giudice di merito con riferimento alla responsabilità finanziaria del ricorrente riconosciuta nella decisione controversa

83      Al punto 11 dell’impugnazione, il ricorrente osserva anzitutto che, nell’esaminare gli argomenti da lui addotti «sull’insussistenza delle asserite violazioni del dovere di lealtà», il Tribunale della funzione pubblica, al punto 151 della sentenza impugnata, ha ritenuto che, poiché l’obbligo di lealtà di un funzionario dell’Unione nei confronti di quest’ultima si impone in maniera generale ed oggettiva, poco importassero le ragioni, quand’anche dimostrate, che avevano indotto il ricorrente a violare detto obbligo. Orbene, secondo il ricorrente, nell’applicare l’articolo 22 dello Statuto che può fondare la responsabilità finanziaria di un funzionario nei confronti dell’Unione per colpa personale grave da lui commessa nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni, l’APN dovrebbe tener conto di eventuali circostanze attenuanti individuabili nelle ragioni che spiegano la violazione commessa da detto funzionario. In caso contrario, verrebbe leso il principio di proporzionalità. Dichiarando che le ragioni che spiegavano il suo comportamento erano prive di rilevanza, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe quindi commesso un errore di diritto, alla luce sia dell’articolo 22 dello Statuto, sia del principio di proporzionalità.

[omissis]

86      L’articolo 22, primo comma, dello Statuto prevede che «[i]l funzionario può essere tenuto a risarcire, in tutto o in parte, il danno subito dall’Unione per colpa personale grave da lui commessa nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni».

[omissis]

90      L’articolo 11, primo comma, prima frase, dello Statuto, a norma del quale «[i]l funzionario esercita le sue mansioni e agisce nell’esclusivo interesse dell’Unione», sancisce il dovere di lealtà dei funzionari dell’Unione nei confronti di quest’ultima. Tale dovere è espressamente menzionato nel prosieguo dello stesso comma, alla terza frase, che precisa che il funzionario svolge le mansioni affidategli in maniera obiettiva e imparziale e nel rispetto del proprio dovere di lealtà verso l’Unione. Tale dovere è citato in modo esplicito anche all’articolo 17 bis dello Statuto, concernente i limiti alla libertà di espressione dei funzionari. Le modalità del rispetto del dovere di lealtà sono precisate, con riferimento a specifici aspetti o specifiche circostanze, in numerose disposizioni dello Statuto, come gli articoli 12, 12 ter o 17 bis.

[omissis]

93      Si pone pertanto la questione se le ragioni che possono indurre un funzionario a tenere una condotta dettata, in tutto o in parte, da interessi diversi da quelli dell’Unione o addirittura ad essi contrari – ad esempio la volontà di nuocere, la corruzione, il disinteresse, la motivazione politica, la volontà di procurare a sé o ad altri un vantaggio, una pressione esterna insormontabile o un imperativo personale – debbano essere prese in considerazione per valutare se una condotta siffatta integri o meno un indicatore di mancanza di lealtà nei confronti dell’Unione.

94      Al punto 151 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha risposto in senso negativo fondandosi sulla sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC (F‑80/11, EU:F:2013:159). In detta sentenza, ai punti 65 e 66, era stato sostanzialmente dichiarato che l’accertamento di una violazione di più obblighi statutari diretti, segnatamente, a garantire la lealtà dei funzionari non dipendeva dal fatto che il funzionario interessato avesse arrecato un danno all’Unione o che il suo comportamento avesse dato adito a lagnanze. Tale valutazione si fondava essa stessa su un precedente giurisprudenziale (sentenza del 3 luglio 2001, E/Commissione, T‑24/98 e T‑241/99, EU:T:2001:175, punto 76) nel quale si era giunti alla conclusione che, per accertare la violazione di più obblighi della stessa natura, non era necessario che il funzionario interessato avesse cercato di approfittare personalmente della sua condotta o avesse causato un danno all’istituzione. In un’altra causa, che ha dato luogo alla sentenza del 19 marzo 1998, Tzoanos/Commissione (T‑74/96, EU:T:1998:58, punto 66), a sua volta invocata come precedente giurisprudenziale nella sentenza del 3 luglio 2001, E/Commissione (T‑24/98 e T‑241/99, EU:T:2001:175) e concernente una possibile violazione dell’obbligo, per un funzionario, di chiedere un’autorizzazione a svolgere un’attività esterna, obbligo che rientra nel dovere di lealtà e riveste portata generale, si è stabilito che, nel valutare la sussistenza di una violazione siffatta, era superfluo stabilire se tale attività potesse generare un conflitto di interessi in considerazione delle funzioni esercitate da detto funzionario.

95      Contrariamente a quanto ritiene il Tribunale della funzione pubblica, dai precedenti succitati non si evince che le ragioni che hanno indotto un funzionario ad adottare una condotta lesiva di determinati suoi obblighi verso l’Unione non devono in nessun caso essere prese in considerazione per stabilire se egli abbia tenuto una condotta sleale nei confronti di quest’ultima.

96      Benché, di certo, talune circostanze siano per loro natura irrilevanti a tal fine, come le circostanze individuate nelle sentenze citate al punto 94 supra, il carattere sleale di una condotta dipende proprio dal contesto in cui essa si inserisce. Nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni, un funzionario può, ad esempio, credere di agire per gli interessi dell’Unione, pur agendo in realtà contro di essi poiché è sopraffatto da una situazione particolarmente complessa e inedita, il che non rispecchia necessariamente una mancanza di lealtà da parte sua anche se, in un determinato momento, ha perso di vista gli interessi dell’Unione. Un problema personale grave di un funzionario può indurlo a far passare momentaneamente in secondo piano gli interessi dell’Unione nel quadro della sua condotta, senza che, a seconda delle circostanze, gli si possa sempre contestare una mancanza di lealtà per tale ragione. Al contrario, se un funzionario sostiene di aver ignorato gli interessi dell’Unione perché sopraffatto dalla situazione o di aver fatto passare gli interessi dell’Unione in secondo piano rispetto a taluni problemi personali gravi, nel valutare la sua lealtà nei confronti dell’Unione non è irrilevante sapere se egli abbia riferito ai suoi superiori tali difficoltà e quale sia stato l’atteggiamento da lui adottato in tale contesto.

97      Valutare la lealtà di una persona significa così valutare la sua condotta nei confronti dell’entità o della persona cui detta lealtà è dovuta in funzione del contesto. L’articolo 11, primo comma, prima frase, dello Statuto, il quale dispone che «[i]l funzionario esercita le sue mansioni e agisce nell’esclusivo interesse dell’Unione» impone a detto soggetto un comportamento generale espressione della lealtà nei confronti dell’Unione; esso non ne costituisce però una definizione in termini assoluti che esclude la presa in considerazione del contesto in cui deve essere valutata detta lealtà, richiesta sulla base dell’articolo 11, primo comma, terza frase, dello Statuto, il quale menziona l’obbligo dei funzionari dell’Unione di svolgere le mansioni loro affidate nel «rispetto del proprio dovere di lealtà verso l’Unione».

98      A tal riguardo, nelle sentenze su cui il Tribunale della funzione pubblica si è direttamente o indirettamente fondato nel punto 151 della sentenza impugnata, la valutazione concernente, in sostanza, l’esistenza di obblighi statutari generali e oggettivi si riferisce a detti obblighi propriamente detti, ma non significa che, da un punto di vista più generale, la lealtà o la slealtà di un funzionario dell’Unione debba essere valutata indipendentemente dalle circostanze in cui egli ha adottato una certa condotta e dalle ragioni che lo hanno indotto a farlo. Il Tribunale della funzione pubblica ha quindi commesso un errore di diritto dichiarando che le ragioni alla base della condotta del ricorrente erano irrilevanti ai fini dell’accertamento della violazione perpetrata del suo dovere di lealtà.

99      Il ricorrente sostiene, inoltre, correttamente che, per qualificare, nel quadro dell’applicazione dell’articolo 22 dello Statuto, la condotta di un funzionario come integrante una colpa personale grave, l’APN deve tener conto delle circostanze e non può limitarsi a constatare che il funzionario di cui trattasi ha violato regole a suo carico, o in altri termini, ad accertare che ha trasgredito taluni dei suoi obblighi.

[omissis]

102    Nel quadro del controllo di legittimità, il giudice di merito può, al fine di respingere motivi o argomenti invocati da una parte ricorrente, fondarsi su accertamenti, valutazioni e qualificazioni accolte nell’atto impugnato, se legittime, e motivare inoltre il rigetto di detti motivi ed argomenti sulla base delle proprie considerazioni giuridiche (v., in tal senso, ordinanza del 27 settembre 2004, UER/M6 e a., C‑470/02 P, non pubblicata, EU:C:2004:565, punti 69 e 70, e sentenza del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione, C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541, punto 65). Per contro, nell’ambito del controllo di legittimità, il giudice di merito non può sostituire la propria valutazione o motivazione a quella dell’autore dell’atto impugnato per giustificarlo (v., in tal senso, sentenze del 27 gennaio 2000, DIR International Film e a./Commissione, C‑164/98 P, EU:C:2000:48, punto 38, e del 24 gennaio 2013, Frucona Košice/Commissione, C‑73/11 P, EU:C:2013:32, punti 88 e 89). Tuttavia, quando esercita una competenza anche di merito, come, sulla base dell’articolo 91, paragrafo 1, dello Statuto, nelle controversie di carattere pecuniario tra l’Unione e i suoi funzionari e, in particolare, sulla base dell’articolo 22, terzo comma, dello Statuto, nelle controversie relative alla responsabilità finanziaria dei funzionari nei confronti dell’Unione, il giudice di merito può esso stesso tener conto di tutte le circostanze della causa e fornire, quindi, a questo riguardo la propria valutazione o motivazione per giustificare il pagamento di una somma di denaro da una parte all’altra (v., in tal senso, sentenze del 27 ottobre 1987, Houyoux e Guery/Commissione, 176/86 e 177/86, EU:C:1987:461, punto 16, e del 20 maggio 2010, Gogos/Commissione, C‑583/08 P, EU:C:2010:287, punto 44 e giurisprudenza citata).

103    Nel caso di specie, si deve osservare che, nell’indicare, al punto 159 della sentenza impugnata, che la posizione del ricorrente era irregolare dal settembre 2008, il Tribunale della funzione pubblica ha ripreso una valutazione presente nella decisione controversa ai considerando 22 e 37. Orbene, come emerge dal punto 160 della sentenza impugnata, la ripresa di detta valutazione mirava unicamente a respingere gli argomenti invocati dal ricorrente in merito alla valutazione del danno che egli aveva potuto arrecare all’Unione, di cui contestava in toto l’esistenza sino al settembre 2009, e non, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ad affermare che le condizioni di applicazione dell’articolo 22 dello Statuto erano soddisfatte a partire da settembre 2008. Così facendo, il Tribunale della funzione pubblica non ha quindi qualificato come colpa personale grave la condotta tenuta dal ricorrente tra settembre e dicembre 2008, né peraltro ha indotto a ritenere che l’APN avesse ravvisato una colpa personale grave con riferimento al periodo decorrente dal settembre 2008; esso non ha pertanto snaturato gli atti di causa su questo punto, come sostiene anche il ricorrente al punto 14 dell’impugnazione.

104    Inoltre, indicando, allo stesso punto 159 della sentenza impugnata, che a partire dal gennaio 2009 la delegazione era stata privata della possibilità di destinare l’alloggio di servizio del ricorrente a nuovi usi, il Tribunale della funzione pubblica, pur tenendo conto della decisione di rigetto del reclamo del ricorrente, ha certamente aggiunto un argomento rispetto alla decisione controversa, nella quale si indicava soltanto che il danno derivava della presa in carico da parte dell’Unione del costo della locazione ingiustificata dell’appartamento familiare messo a disposizione del ricorrente. Tuttavia, questo ulteriore motivo dedotto dal Tribunale della funzione pubblica consiste unicamente nell’affermare che la condotta del ricorrente non ha consentito di ridurre il danno riconosciuto nella decisione controversa, senza individuare un danno aggiuntivo. Tale valutazione può inoltre rientrare nell’esercizio, da parte del Tribunale della funzione pubblica, della competenza anche di merito con riferimento alla responsabilità finanziaria del ricorrente, potere che quest’ultimo gli aveva del resto chiesto di esercitare. Non è stata quindi data prova dell’errore di diritto consistente nel fatto che, al punto 159 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe identificato un nuovo ipotetico danno non idoneo a comportare la responsabilità finanziaria del ricorrente. Occorre altresì osservare che l’argomento aggiuntivo dedotto dal Tribunale della funzione pubblica non può integrare uno snaturamento degli atti come definito al punto 67 che precede.

105    Ai punti da 21 a 23 dell’impugnazione, il ricorrente ritiene inoltre che, nell’esaminare gli argomenti da lui sollevati in merito alla «violazione della prescrizione quinquennale o di un termine ragionevole», il Tribunale della funzione pubblica ha commesso un errore di diritto negando che, nel suo caso, trovasse applicazione la prescrizione di cinque anni prevista nell’articolo 85, secondo comma, dello Statuto e dedotta nel ricorso.

[omissis]

107    Ai punti 167 e 168 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica, fondandosi sulla sentenza del 27 gennaio 2016, DF/Commissione, (T‑782/14 P, EU:T:2016:29, punto 54), ha sottolineato che l’articolo 85 dello Statuto riguarda la ripetizione di somme indebitamente percepite da un funzionario e che, nella specie, il ricorrente non aveva ricevuto alcuna somma dall’istituzione, ma le aveva cagionato un danno finanziario, mentre le somme da quest’ultima versate al locatore non erano indebite.

[omissis]

109    Nel merito, occorre sottolineare che la sentenza del 27 gennaio 2016, DF/Commissione (T‑782/14 P, EU:T:2016:29), richiamata dal Tribunale della funzione pubblica e citata al punto 107 supra, non consente di ritenere che l’articolo 85 dello Statuto non si applichi a una situazione in cui è accordato un beneficio in natura. Infatti, al punto 54 di detta sentenza, pronunciata nell’ambito di una causa in cui il funzionario ricorrente, al quale era chiesto il rimborso di un’indennità non dovuta, sosteneva che non poteva recuperare la parte trasferita al suo ex coniuge nel quadro di un assegno alimentare, il Tribunale si è limitato a stabilire che l’articolo 85 dello Statuto riguarda unicamente il rapporto economico esistente tra il funzionario che ha beneficiato di versamenti irregolari e l’istituzione interessata, poco importando le eventuali conseguenze della ripetizione per il funzionario rispetto ad altre persone che potevano aver tratto, direttamente o indirettamente, vantaggio dai versamenti irregolari oggetto del recupero da parte dell’istituzione; si tratterebbe, infatti, di questioni rientranti nel diritto privato. Di conseguenza, la sentenza di cui trattasi non si pronuncia sulla questione se un beneficio in natura, come la messa a disposizione di un appartamento di servizio, possa essere ritenuta parte del rapporto economico tra un funzionario e la sua istituzione e possa essere oggetto di un’azione di ripetizione dell’indebito. Peraltro, nulla osta a che un indebito beneficio in natura, che equivale a un versamento indiretto di una somma, sia oggetto di ripetizione. In caso contrario, le istituzioni non potrebbero mai ottenere il rimborso di detti benefici indebiti, se non avviando il procedimento previsto nell’articolo 22 dello Statuto e provando la colpa personale grave dei funzionari interessati, soluzione non idonea in un certo numero di casi e che implicherebbe una disparità di trattamento tra i funzionari che hanno goduto di un beneficio indebito sotto forma di versamento di una somma di denaro e quelli che ne hanno goduto sotto forma di beneficio in natura. Il Tribunale della funzione pubblica ha quindi commesso un errore di diritto stabilendo che il ricorrente, non avendo ricevuto direttamente alcuna somma dalla sua istituzione, non poteva invocare l’articolo 85 dello Statuto.

110    Tuttavia, qualora dalla motivazione di una sentenza di merito risulti una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo della medesima sentenza appaia fondato per altri motivi di diritto, il ricorso avverso tale sentenza dev’essere respinto. Lo stesso approccio si applica all’analisi compiuta dal giudice di merito di un motivo di ricorso o di una parte del motivo di ricorso, considerato isolatamente (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 1992, Lestelle/Commissione, C‑30/91 P, EU:C:1992:252, punti da 27 a 29).

111    Nel caso di specie, il Tribunale della funzione pubblica ha altresì ricordato, al punto 167 della sentenza impugnata, che, con la sua condotta, il ricorrente aveva arrecato un danno finanziario alla sua istituzione. Tale richiamo porta a sottolineare che la responsabilità finanziaria del ricorrente non è stata stabilita dall’APN sulla base dell’articolo 85 dello Statuto in materia di ripetizione dell’indebito a fronte dell’accertamento di un vantaggio indebito, bensì a fronte dell’individuazione di un danno patito dall’Unione a causa di una colpa personale grave del ricorrente sulla base dell’articolo 22 dello Statuto, riguardante il risarcimento dei danni subiti dall’Unione per colpe personali gravi commesse dai suoi funzionari nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle loro funzioni.

112    Occorre sottolineare che le condizioni che giustificano il ricorso all’articolo 85 e all’articolo 22 dello Statuto sono tra loro nettamente diverse, al pari del rispettivo contenuto. La decisione di ripetizione dell’indebito presuppone soltanto, ai sensi dell’articolo 85 dello Statuto, la dimostrazione che una somma o un beneficio equivalente sono stati erogati al funzionario interessato in maniera irregolare e che questi ha avuto conoscenza di tale irregolarità o che essa era così evidente che egli non poteva non accorgersene; la decisione di imporre il risarcimento del danno a norma dell’articolo 22 dello Statuto richiede invece la dimostrazione dell’imputabilità del danno a una colpa personale grave del funzionario. La decisione di ripetizione dell’indebito può essere adottata, se del caso, dopo aver raccolto elementi di fatto oppure le osservazioni del funzionario interessato, non appena siano dimostrate le condizioni previste all’articolo 85 dello Statuto; la decisione di imporre il risarcimento di un danno sulla base dell’articolo 22 dello Statuto può invece essere presa, ai sensi del secondo comma della suddetta disposizione, solo secondo la procedura prescritta in materia disciplinare, vale a dire, tenuto conto della necessità di tratteggiare una colpa grave, in linea di principio, previo svolgimento di un’indagine, di un procedimento dinanzi alla commissione di disciplina e della fase contraddittoria finale con l’APN, come previsto nell’allegato IX dello Statuto. Queste diversità nella natura e nelle condizioni sostanziali e di adozione delle decisioni di cui trattasi giustificano il fatto che l’APN potesse agire, in ragione delle circostanze, ai sensi dell’articolo 22 dello Statuto pur potendo agire a norma del successivo articolo 85, benché le regole o i principi in materia di termini non siano identici nei due casi, differenza questa che può peraltro trovare una giustificazione nelle suddette differenze.

113    Alla luce dei motivi illustrati ai punti 111 e 112 che precedono, il Tribunale della funzione pubblica si è giustamente discostato dallo specifico termine di prescrizione di cui all’articolo 85 dello Statuto, invocato dal ricorrente.

114    Ai punti 24 e 25 dell’impugnazione, il ricorrente ritiene poi che, nell’esaminare gli argomenti da lui dedotti sulla «violazione della prescrizione quinquennale o di un termine ragionevole», il Tribunale della funzione pubblica abbia altresì commesso errori di diritto rigettando gli argomenti sollevati in via subordinata nel ricorso secondo cui, in caso di mancata applicazione della prescrizione quinquennale prevista all’articolo 85, secondo comma, dello Statuto, occorrerebbe tener conto «quale parametro, parimenti, del termine ragionevole» per l’applicazione dell’articolo 22 dello Statuto, della prescrizione quinquennale prevista nell’articolo 81 del regolamento (UE, Euratom) n. 966/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione e che abroga il regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2012 (GU 2012, L 298, pag. 1).

[omissis]

127    Occorre osservare che, nel caso di specie, sia il ricorrente che il Tribunale della funzione pubblica hanno frainteso l’ambito di applicazione della legge invocando, rispettivamente, al punto 130 del ricorso, le disposizioni dell’articolo 81 del regolamento n. 966/2012 per eccepire una prescrizione o il mancato rispetto di un termine ragionevole e, al punto 170 della sentenza impugnata, quelle dell’articolo 93, paragrafo 2, del regolamento delegato n. 1268/2012, adottate ai fini dell’applicazione delle prime, per eccepire l’interruzione del termine fatto valere.

128    Nel quadro del regolamento n. 966/2012, che stabiliva le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione all’atto dell’adozione della decisione controversa, l’articolo 81 figura infatti nel capo «Operazioni di entrata» e segue, all’interno di detto stesso capo, gli articoli 78, 79 e 80 che stabiliscono, rispettivamente, i principi che disciplinano l’accertamento, l’ordine di riscossione e il recupero dei crediti. Detto articolo 81 prevede, segnatamente, al suo paragrafo 1, che, fatte salve disposizioni particolari, non pertinenti nel caso di specie, i crediti dell’Unione nei confronti di terzi sono soggetti a una prescrizione di cinque anni e, al suo paragrafo 2, che la Commissione ha il potere di adottare atti delegati riguardo a norme dettagliate concernenti la prescrizione. L’articolo 80 del regolamento delegato n. 1268/2012, adottato ai fini dell’applicazione dell’articolo 78 del regolamento n. 966/2012, prevede, al suo paragrafo 3, che l’ordinatore che ha accertato il credito ne informa il debitore con una nota di addebito, fermo restando che detta nota deve precisare la scadenza del pagamento a partire dalla quale saranno applicati interessi di mora ove il debito non sia stato ancora onorato. L’articolo 93 del regolamento delegato n. 1268/2012, adottato ai fini dell’applicazione dell’articolo 81 del regolamento n. 966/2012, stabilisce, segnatamente, al suo paragrafo 1, che il termine di prescrizione per i crediti dell’Unione nei confronti di terzi decorre dal giorno successivo a detta scadenza e, al suo paragrafo 2, che detto termine è interrotto da qualsiasi atto inteso a recuperare il credito, compiuto da un’istituzione ovvero da uno Stato membro su richiesta di un’istituzione, e notificato al terzo.

129    Ne consegue che, in base alla normativa applicabile alla presente causa, la prescrizione invocata dal ricorrente, fondata sull’articolo 81 del regolamento n. 966/2012, può riguardare soltanto una fase successiva all’accertamento del credito che inizia, più precisamente, alla data di scadenza del pagamento indicata nella nota di addebito inviata al terzo debitore e non può quindi essere eccepita rispetto alle fasi anteriori che sfociano nell’accertamento del credito (v., per analogia, sentenza del 14 giugno 2016, Marchiani/Parlamento, C‑566/14 P, EU:C:2016:437, punti da 86 a 89). Orbene, nel caso di specie, il ricorrente reputa eccessivo il tempo compreso tra il verificarsi dei fatti generatori del credito e il momento in cui quest’ultimo è stato stabilito con la decisione controversa, e quindi ancor prima del suo accertamento ai sensi dell’articolo 78 del regolamento n. 966/2012. Pertanto, il termine di prescrizione quinquennale previsto nell’articolo 81 del regolamento n. 966/2012 non poteva applicarsi a favore del ricorrente, né per applicazione diretta, né come parametro del termine ragionevole.

130    Il Tribunale della funzione pubblica ha quindi erroneamente citato le disposizioni dell’articolo 93, paragrafo 2, del regolamento delegato n. 1268/2012, disposizioni queste dirette all’applicazione dell’articolo 81 del regolamento n. 966/2012, in risposta all’argomento dedotto dal ricorrente in materia di prescrizione e fondato su quest’ultimo articolo. Tuttavia, la conclusione cui è pervenuto il Tribunale della funzione pubblica, secondo cui il credito relativo ai canoni di locazione di cui trattasi non era prescritto in forza delle disposizioni rientranti nei regolamenti finanziari, è comunque fondata per i motivi di diritto illustrati al punto 129 che precede.

131    Ciò premesso, alla luce delle considerazioni svolte al punto 110 supra in merito alla possibilità per il giudice dell’impugnazione di sostituire la motivazione di diritto, e tenuto conto del fatto che, nella sua impugnazione, il ricorrente non ha dedotto ulteriori argomenti volti a criticare l’analisi del motivo di ricorso relativo alla violazione del termine di prescrizione quinquennale o del termine ragionevole compiuta dal Tribunale della funzione pubblica, occorre respingere il motivo di ricorso relativo a pretesi errori di diritto commessi con riferimento alla responsabilità finanziaria del ricorrente nella misura in cui esso verte sull’applicazione dell’articolo 81 del regolamento n. 966/2012.

[omissis]

 Sui motivi dedotti avverso la sentenza impugnata con riferimento ai vizi procedurali e alla violazione dei diritti della difesa eccepiti dinanzi al giudice di merito

[omissis]

–       Sul motivo vertente su asseriti errori di diritto commessi dal giudice di merito con riferimento ai vizi procedurali e alla violazione dei diritti della difesa eccepiti dinanzi a lui

[omissis]

156    Al punto 28 dell’impugnazione, il ricorrente contesta, anzitutto, la valutazione di principio compiuta al punto 70 della sentenza impugnata, eccependo che gli addebiti mossi nei confronti di un funzionario non possono mutare nel corso del procedimento venendo adeguati in funzione delle sue risposte, al fine non di una loro mitigazione, ma di mantenere ad ogni costo un procedimento disciplinare a suo carico. Tale modus operandi non consentirebbe al funzionario interessato di difendersi in tempo utile. Il Tribunale della funzione pubblica avrebbe quindi commesso un errore di diritto.

[omissis]

159    Per quanto attiene agli argomenti dell’impugnazione ricordati sopra, al punto 156, relativi alla valutazione di principio citata nella parte finale del punto 155 che precede, dall’allegato IX dello Statuto, relativo al procedimento disciplinare, risulta che quest’ultimo è preceduto da una fase di indagine, condotta dall’OLAF o dall’APN, che può disporre di un servizio a tal fine specializzato, quale l’IDOC in seno alla Commissione. Solo una volta conclusa questa fase di indagine, come prevista nell’articolo 3 dello stesso allegato, il procedimento disciplinare è, se del caso, avviato, con o senza consultazione della commissione di disciplina a seconda del livello di sanzione ipotizzabile. Pertanto, in caso di consultazione della commissione di disciplina, l’asserita colpa del funzionario interessato è definita nel rapporto dell’APN sottoposto a detta commissione nel momento in cui quest’ultima viene adita, come conferma l’articolo 12, paragrafo 1, di detto allegato, a norma del quale nel rapporto «devono essere chiaramente specificati i fatti addebitati ed eventualmente le circostanze nelle quali sono stati commessi, comprese tutte le circostanze aggravanti o attenuanti». È con riferimento alla colpa individuata in detto rapporto, trasmesso al funzionario interessato in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 2, dello stesso allegato, che la condotta del funzionario interessato deve essere valutata sia dalla commissione di disciplina, sia dall’APN, tenendo conto anche degli elementi complementari forniti nel corso di detta fase disciplinare, e che deve essergli eventualmente inflitta una sanzione. Ed è con riferimento a tale colpa, a lui contestata dall’APN previa indagine, che il funzionario interessato potrà continuare ad esercitare i suoi diritti della difesa secondo le modalità previste agli articoli da 12 a 22 del medesimo allegato, segnatamente, prendendo visione di tutto il fascicolo e presentando osservazioni scritte e verbali alla commissione di disciplina e, dopo che essa ha reso il proprio parere, all’APN. Pertanto, come correttamente stabilito dal Tribunale della funzione pubblica, eventuali adeguamenti del contenuto della colpa in fase di indagine, svolta dai servizi all’uopo incaricati sulla base di una possibile colpa, non possono integrare una violazione dei diritti della difesa, nemmeno, del resto, se, tenuto conto degli accertamenti compiuti ai fini dell’indagine, la colpa individuata in conclusione ad essa dovesse essere più ampia o più grave della potenziale colpa inizialmente delimitata. A tal riguardo, a norma degli articoli 1 e 2 dell’allegato IX dello Statuto, concernenti entrambi la fase di indagine, non appena emerge la possibilità che un funzionario sia implicato in un caso, quest’ultimo ne viene informato, sempreché questa informazione non pregiudichi lo svolgimento dell’indagine. Ciò non impone assolutamente di cristallizzare la possibile colpa sin dall’inizio delle indagini (v., in tal senso, sentenza del 15 maggio 1997, N/Commissione, T‑273/94, EU:T:1997:71, punto 79). L’errore di diritto dedotto nell’impugnazione con riferimento al punto 70 della sentenza impugnata non è stato quindi dimostrato.

[omissis]

162    Tuttavia, i motivi citati al punto 161 supra non sono sufficienti, in diritto, per respingere la critica sollevata dal ricorrente in merito all’assenza, nel fascicolo trasmesso dall’APN alla commissione di disciplina e nel suo fascicolo individuale, ai quali egli ha avuto accesso, dell’esito della misura istruttoria adottata dall’IDOC con riferimento all’esistenza di detta regola di non attribuzione di un alloggio di servizio nelle circostanze in cui il ricorrente si sarebbe trovato.

163    A questo proposito, si deve osservare che tale misura istruttoria è stata effettivamente adottata, come emerge dalla decisione di rigetto del reclamo del ricorrente pronunciata dall’APN il 10 settembre 2015, la quale indica che «gli scambi intervenuti con il SEAE non hanno consentito di confermare con certezza l’esistenza di una siffatta regola e prassi in seno al SEAE» e che «l’esistenza di una tale regola [non è] dimostrata». Nel suo reclamo avverso la decisione controversa, il ricorrente stesso ha citato una spiegazione analoga fornita dai rappresentanti dell’APN in occasione della seduta della commissione di disciplina. Orbene, l’articolo 13, paragrafo 1, dell’allegato IX dello Statuto prevede che, non appena ricevuto il rapporto dell’APN presso la commissione di disciplina, il funzionario interessato ha diritto di ottenere la comunicazione integrale del suo fascicolo personale e di estrarre copia di tutti i documenti del procedimento. Detta disposizione mira a garantire il rispetto dei diritti della difesa al termine della fase di indagine. Occorre ricordare che il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento con cui possono essere inflitte sanzioni costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione che va osservato anche se si tratta di un procedimento di natura amministrativa (sentenza del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione, 85/76, EU:C:1979:36, punto 9). È stato inoltre stabilito che, nel quadro di un procedimento disciplinare, il funzionario interessato deve avere la possibilità di prendere posizione su tutti i documenti che un’istituzione intende utilizzare contro di lui, salvo che, in ultima analisi, il documento di cui trattasi sia irrilevante ai fini della legittimità della decisione adottata al termine di detto procedimento (v., in tal senso, sentenza del 3 luglio 2001, E/Commissione, T‑24/98 e T‑241/99, EU:T:2001:175, punti 92 e 93). L’articolo 13, paragrafo 1, dell’allegato IX dello Statuto contribuisce così ormai al rispetto del principio sancito nell’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali, volto ad assicurare il diritto ad una buona amministrazione e a norma del quale ogni persona ha diritto di accedere al fascicolo che la riguarda. Ne consegue che una misura istruttoria adottata dai servizi incaricati dell’indagine, quale ne sia il risultato, deve essere parte del fascicolo trasmesso alla commissione di disciplina e all’interessato. Nel caso di specie, si deve inoltre osservare, anzitutto, che in occasione della seduta della commissione di disciplina, l’APN si è avvalsa dell’esito di detta misura istruttoria indicando che l’esistenza della regola invocata dal ricorrente non era confermata e ciò senza preventivamente informare il ricorrente di tale esito nel fascicolo; poi che, nel considerando 38 del suo parere, la commissione di disciplina ha sostanzialmente ripreso tale conclusione; infine, che quest’ultima è stata ancora ribadita nella decisione del 10 settembre 2015 con cui l’APN ha respinto il reclamo del ricorrente. Non è escluso che, se gli fosse stato consentito, una volta adita la commissione di disciplina, di prendere conoscenza del tenore della misura istruttoria condotta dall’IDOC, il ricorrente avrebbe potuto approfondire i suoi argomenti addotti al riguardo, soprattutto qualora quest’ultima fosse risultata succinta, condotta in maniera informale o poco documentata, e avrebbe potuto, ad esempio, chiedere, in modo più convincente rispetto alla sua nota del 23 settembre 2014, una ripresa delle indagini al riguardo, sollecitando in particolare un’inchiesta in contraddittorio ordinata dalla commissione di disciplina sulla base dell’articolo 17, paragrafo 1, dell’allegato IX dello Statuto.

[omissis]

169    Nello stabilire, al punto 80 della sentenza impugnata, che le censure sollevate dal ricorrente in merito alla valutazione dei fatti compiuta dalla commissione di disciplina erano inefficaci, il Tribunale della funzione pubblica ha in effetti commesso un errore di diritto.

170    Quando il procedimento disciplinare comporta l’intervento della commissione di disciplina, vale a dire, alla luce delle disposizioni degli articoli 3 e 11 dell’allegato IX dello Statuto, quando l’APN dà avvio a un procedimento disciplinare prevedendo che esso possa condurre all’inflizione di una sanzione più grave dell’ammonimento scritto o della nota di biasimo, tale intervento costituisce un elemento essenziale del procedimento, poiché rappresenta la fase di dibattito in contraddittorio approfondito accompagnata, se del caso, dallo svolgimento di un’indagine complementare a quella già condotta in precedenza e in quanto l’APN si pronuncia poi tenendo conto dei lavori di detta commissione di disciplina, vale a dire del suo parere motivato adottato a maggioranza e anche delle opinioni divergenti di taluni dei suoi membri eventualmente espresse, come risulta dagli articoli da 12 a 18 dello stesso allegato. A tal riguardo, il ricorrente sottolinea correttamente che l’APN, nel discostarsi dal parere della commissione di disciplina, deve illustrarne i motivi in maniera circostanziata, come stabilito in più occasioni dal Tribunale della funzione pubblica (v., in tal senso, sentenze del 3 giugno 2015, Bedin/Commissione, F‑128/14, EU:F:2015:51, punto 29; del 18 giugno 2015, CX/Commissione, F‑27/13, EU:F:2015:60, punti 57 e 58, e del 10 giugno 2016, HI/Commissione, F‑133/15, EU:F:2016:127, punto 147). Pertanto, l’intervento della commissione di disciplina costituisce, nei casi in cui essa deve essere adita, come quello di specie, una formalità sostanziale del procedimento e il funzionario sanzionato all’esito di detto procedimento deve, in linea di principio, poterne contestare il parere qualora l’APN riprenda, dal canto suo, la valutazione dei fatti da essa compiuta. La Corte ha peraltro stabilito che il parere stesso della commissione di disciplina può essere oggetto di una domanda di annullamento ricevibile (sentenza del 29 gennaio 1985, F./Commissione, 228/83, EU:C:1985:28, punto 16). Nel caso di un ricorso volto, come nella specie, unicamente ad ottenere l’annullamento della decisione finale dell’APN che infligge una sanzione, solo laddove l’APN si discosti chiaramente o non tenga chiaramente conto, nella sua decisione finale, di una valutazione compiuta dalla commissione di disciplina o da uno dei suoi membri si potrà stabilire che un motivo o una censura dedotti avverso detta valutazione è inoperante, poiché l’atto impugnato è, di fatto, la decisione finale e non il parere della commissione di disciplina o l’opinione espressa da taluni dei suoi membri. Negli altri casi, sarebbe eccessivamente formalistico pretendere che il ricorrente indichi nei suoi motivi e nelle sue censure i passaggi specifici della decisione controversa per contestare una valutazione emessa nel quadro dei lavori della commissione di disciplina ove l’APN abbia tenuto conto di detta valutazione nell’emanare la propria decisione.

[omissis]

 Sul ricorso di annullamento della decisione controversa e sulle domande accessorie

[omissis]

 Sul primo motivo di ricorso, relativo a vizi procedurali che inficiano gli atti preparatori della decisione controversa

[omissis]

239    Come già illustrato al punto 147 supra, il ricorrente contesta alla commissione di disciplina, in primo luogo, al punto 59 del ricorso, di non essersi pronunciata sulla regolarità delle modalità con cui essa è stata investita e, in termini più generali, sulle questioni procedurali da lui sollevate nella nota difensiva che le aveva trasmesso, citata al punto 19 supra.

240    A questo proposito, ai punti 1 e 2 del suo parere, la commissione di disciplina ha correttamente osservato, in sostanza, che il suo compito non è controllare la regolarità della procedura di indagine, bensì unicamente la regolarità dello svolgimento della procedura dinanzi ad essa. Infatti, come osservato dal Tribunale della funzione pubblica al punto 78 della sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 18 dell’allegato IX dello Statuto, il ruolo della commissione di disciplina è quello di formulare un parere motivato quanto alla realtà dei fatti addebitati e, se del caso, alla sanzione che a suo giudizio tali fatti dovrebbero comportare. Compete all’APN, autorizzata a infliggere una sanzione al funzionario interessato, verificare che la procedura di indagine e il procedimento disciplinare nel suo insieme siano stati regolari e, se del caso, al giudice adito mediante un ricorso proposto avverso la decisione adottata dall’APN fare lo stesso. Da parte sua, la commissione di disciplina deve, come ogni organo amministrativo o consultivo, vigilare sulla regolarità del procedimento che si svolge dinanzi a sé, che rappresenta una delle fasi del procedimento disciplinare. Inoltre, ove ritenga che, prima di essere investita, la procedura di indagine sia stata insufficiente, spetta a detta commissione integrarla al di là delle dichiarazioni scritte o verbali fatte al suo cospetto dal funzionario interessato e dall’APN, con proprie domande o addirittura mediante un’inchiesta in contraddittorio, come prevista all’articolo 17 dell’allegato IX dello Statuto. Nella specie, ai punti 1 e 2 del suo parere, la commissione di disciplina ha osservato di non avere poteri per condannare eventuali irregolarità che inficino il procedimento anteriore al momento in cui è stata adita, ma si è assicurata che la nota dell’IDOC del 31 ottobre 2013, che aveva dato avvio all’indagine sulla responsabilità finanziaria del ricorrente e che doveva costituire parte del fascicolo trasmesso alla commissione di disciplina, avesse potuto fare oggetto di osservazioni da parte del ricorrente e ha ricordato di averla potuta visionare essa stessa in tempo utile. Occorre peraltro osservare che, nel ricorso, il ricorrente non contesta alla commissione di disciplina di non aver effettuato indagini aggiuntive, mediante domande o un’inchiesta. Devono quindi essere respinti gli argomenti dedotti dal ricorrente illustrati nel punto 59 del ricorso e ricordati nel punto 74 della sentenza impugnata, con cui si contesta alla commissione di disciplina di non essersi pronunciata su determinate asserite irregolarità procedurali.

[omissis]

 Sui motivi di ricorso concernenti la responsabilità finanziaria del ricorrente (quarta parte del quarto motivo e sesto motivo)

286    L’articolo 22 dello Statuto dispone che il funzionario dell’Unione può essere tenuto a risarcire, in tutto o in parte, il danno subito dall’Unione per colpa personale grave da lui commessa nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni.

[omissis]

295    Il ricorrente sapeva che la mancata occupazione, con la sua famiglia, di un appartamento di servizio di dimensioni idonee ad ospitarla e che egli aveva sollecitato, era una situazione che non poteva perdurare, anche se la responsabile dell’amministrazione della delegazione non lo aveva obbligato a rimettere a disposizione il suo alloggio di servizio. Egli ha ammesso, in particolare in occasione della sua seconda audizione condotta dall’OLAF, che quest’ultima aveva insistito affinché la sua famiglia lo raggiungesse in detto appartamento e non nega che un alloggio di servizio previsto per essere occupato da una famiglia debba di norma anche esserlo. A questo proposito, le disposizioni applicabili dell’allegato X dello Statuto e le loro modalità di applicazione possono essere interpretate, unitamente agli interessi dell’Unione di cui i suoi funzionari devono tener conto ai sensi dell’articolo 11 dello Statuto, solo nel senso che il funzionario che ha chiesto un alloggio di servizio di dimensioni idonee alle esigenze della sua famiglia deve occuparlo insieme ad essa o far sapere che deve rinunciarvi qualora difficoltà persistenti ne impediscano il trasloco oltre un termine ragionevole. Si tratta, per il funzionario interessato, di una questione di lealtà.

296    Nel caso di specie, se un problema di errata verniciatura del parquet impediva il trasloco della famiglia, aspetto questo che sarebbe rientrato quindi nella responsabilità del proprietario, il ricorrente avrebbe dovuto rifiutarsi di entrare nell’appartamento o adottare dinanzi alla delegazione una qualche altra misura appropriata affinché quest’ultima potesse mettere il proprietario di fronte alle sue responsabilità.

297    Infine, benché la presenza di un amico che fungeva da «custode dell’appartamento» abbia potuto rispondere alla preoccupazione del ricorrente che il suo appartamento di servizio potesse essere occupato indebitamente da terzi, tale ricorso a una siffatta figura è stato giustificato, a lungo termine, unicamente dal fatto che il ricorrente non vi risiedeva stabilmente non essendo stato ivi raggiunto dalla sua famiglia.

298    Pertanto, nessuna delle ragioni connesse alle condizioni di salute di sua moglie e di suo figlio, a problemi interni all’appartamento o all’atteggiamento assunto dalla responsabile dell’amministrazione della delegazione giustifica la condotta personale tenuta dal ricorrente; benché egli abbia dimostrato nei confronti della responsabile dell’amministrazione della delegazione una certa trasparenza quanto alla situazione, non è neppure possibile sostenere che egli abbia mantenuto una condotta leale nei confronti dell’Unione a partire dal gennaio 2009, vale a dire trascorsi i primi quattro mesi di locazione, non avendo proposto di rinunciare all’appartamento di dimensioni idonee per una famiglia di cui egli beneficiava e avendone mantenuto la disponibilità a proprio vantaggio.

[omissis]

300    A questo punto dell’esame, occorre quindi riconoscere che, tenuto conto dell’esborso di denaro pubblico non necessario determinato dalla condotta del ricorrente e dalla sua permanenza nel suo appartamento di servizio oltre un termine ragionevole, l’APN ha correttamente ritenuto che la colpa personale del ricorrente presentasse un carattere grave, poiché da gennaio 2009, quattro mesi dopo l’inizio della locazione, sino al termine della stessa nell’agosto 2010, egli ha prolungato l’utilizzo irregolare del suo appartamento di servizio senza adottare alcuna misura nei confronti della delegazione per rimetterlo a disposizione. Con riferimento a tale periodo, in capo al ricorrente è stata quindi ravvisata, a buon diritto, una colpa idonea a integrare la sua responsabilità finanziaria ai sensi dell’articolo 22 dello Statuto.

[omissis]

302    Per quanto attiene al danno causato dalla condotta del ricorrente, occorre anzitutto respingere l’argomento esposto da quest’ultimo ai punti da 120 a 123 del ricorso, fondato sul fatto che il contratto di locazione non avrebbe potuto essere risolto nel corso del primo anno senza che si fosse comunque dovuto versare il canone per detto periodo; a suo dire, tale circostanza avrebbe escluso ogni danno in capo all’Unione per il primo anno di locazione, dal settembre 2008 all’agosto 2009. Il danno per l’Unione sussiste invece per l’intero periodo rispetto al quale nella decisione controversa è stata ravvisata la colpa del ricorrente, vale a dire dal gennaio 2009 all’agosto 2010, e quindi, segnatamente, dal gennaio all’agosto 2009, poiché, in quel periodo, l’Unione pagava un appartamento pensato per una famiglia a un funzionario che lo occupava da solo e per parte della settimana, benché egli disponesse di un altro appartamento familiare nelle vicinanze dove la sua famiglia era rimasta e dove lui stesso in parte viveva. Inoltre, detto danno è indubbiamente imputabile al ricorrente che, dopo aver chiesto un appartamento di servizio con tali caratteristiche, non ha mai posto fine alla situazione succitata non avendo proposto, dopo qualche mese, di restituire l’appartamento di cui trattasi. Come osservato sopra, al punto 296, se veramente un problema persistente di errata verniciatura del parquet impediva il trasloco della famiglia nell’appartamento di servizio, aspetto questo che sarebbe rientrato quindi nella responsabilità del proprietario, il ricorrente avrebbe dovuto rifiutarsi di entrare nell’appartamento o adottare una qualche altra misura appropriata dinanzi alla delegazione affinché quest’ultima potesse mettere il proprietario di fronte alle sue responsabilità. È stata pertanto dimostrata la sussistenza di tale danno sino al termine della locazione, posto che, non rimettendo il proprio appartamento di servizio a disposizione della delegazione, il ricorrente ha impedito alla Commissione di godere di tale bene pur pagandone i relativi canoni di locazione, in particolare le ha impedito di utilizzare diversamente l’appartamento di cui trattasi, come osservato dal Tribunale della funzione pubblica al punto 159 della sentenza impugnata, o quantomeno di recedere dal contratto di locazione senza applicazione di penali a partire dal settembre 2009, con conseguente riduzione del danno a carico dell’Unione. A tal riguardo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il fatto che il contratto di locazione prevedesse che il conduttore non poteva recedere nel corso del primo anno, salvo onorare comunque tutti i canoni di locazione per esso dovuti, non consente di negare l’esistenza di un danno per tale periodo. Nel corso di esso, a seguito di una richiesta in tal senso del ricorrente, la delegazione ha pagato un appartamento di servizio di dimensioni idonee a ospitare una famiglia senza che ciò fosse giustificato e senza trarne alcuna utilità.

303    Al punto 125 del suo ricorso, il ricorrente sostiene poi che, posto che egli avrebbe avuto diritto a un appartamento di servizio più piccolo, per single, il danno dell’Unione si è limitato alla differenza di canone di locazione tra l’appartamento destinato a una famiglia, da lui occupato, e un siffatto appartamento di servizio più piccolo. Tale argomento potrebbe essere accolto soltanto se il ricorrente avesse effettivamente fatto richiesta di un appartamento di servizio per single nel corso della locazione prevista per l’appartamento pensato per la sua famiglia, ma in mancanza di una siffatta richiesta – che si riduce a pura speculazione, tanto più che sua moglie era proprietaria di un appartamento a New York in cui la sua famiglia risiedeva – si deve ritenere che per tutto il periodo della locazione l’Unione abbia effettivamente subito un danno corrispondente alla totalità dei canoni di locazione versati per l’appartamento di servizio assegnato al ricorrente benché non fosse necessario prendere in locazione tale appartamento. Come osservato dalla Commissione nella decisione controversa, detto danno si protrae quindi per il periodo compreso tra gennaio 2009 e agosto 2010, periodo rispetto al quale è stata accertata, al punto 300 supra, la colpa personale grave del ricorrente.

[omissis]

307    Come esposto in precedenza, ai punti 106 e 114, il ricorrente invoca la prescrizione quinquennale prevista all’articolo 85, secondo comma, dello Statuto e, in via subordinata, come parametro del termine ragionevole ai fini dell’applicazione dell’articolo 22 dello Statuto, la prescrizione quinquennale prevista all’articolo 81 del regolamento n. 966/2012. Come stabilito ai punti 113 e 129 che precedono, nessuna di dette disposizioni è applicabile nel caso di specie. Infatti, nessuna disposizione del diritto dell’Unione precisa il termine entro il quale, con riferimento ai fatti controversi, debbano intervenire un’indagine, un procedimento disciplinare e una decisione di accertamento della responsabilità finanziaria di un funzionario ai sensi dell’articolo 22 dello Statuto. Tuttavia, si può tener conto del fatto che l’articolo 85, secondo comma, dello Statuto rappresenta una descrizione di un termine di prescrizione contemplato dal legislatore con riferimento a determinati rapporti tra l’Unione e i suoi funzionari, anche se, alla luce delle differenze che caratterizzano l’applicazione dell’articolo 22 dello Statuto rispetto all’applicazione del successivo articolo 85, sottolineate supra al punto 112, un termine di durata analoga vincolante nel quadro dell’applicazione dell’articolo 22 dello Statuto non sarebbe un termine non soggetto a interruzione come quello previsto all’articolo 85, secondo comma, dello Statuto.

308    Dalla giurisprudenza della Corte emerge che, quando il legislatore non ha previsto alcun termine di prescrizione, l’esigenza di certezza del diritto esige che le istituzioni dell’Unione esercitino i loro poteri entro un termine ragionevole (v. sentenza del 14 giugno 2016, Marchiani/Parlamento, C‑566/14 P, EU:C:2016:437, punto 96 e giurisprudenza citata). Occorre quindi verificare se, nel condurre un’indagine, nell’avviare un procedimento disciplinare e nel riconoscere, alla fine, una responsabilità finanziaria del ricorrente per il periodo compreso tra gennaio 2009 e agosto 2010, i servizi della Commissione e l’APN abbiano violato, nell’esercizio delle loro competenze, il principio del termine ragionevole per agire.

309    Il carattere ragionevole di un termine deve essere valutato in funzione dell’insieme delle circostanze proprie di ciascuna causa e, segnatamente, della rilevanza della controversia per l’interessato, della complessità della causa e delle diverse fasi procedurali seguite dall’istituzione dell’Unione, nonché del comportamento delle parti durante il procedimento. Infatti, il carattere ragionevole di un termine non può essere esaminato facendo riferimento ad un limite massimo preciso, determinato astrattamente (v. sentenza del 14 giugno 2016, Marchiani/Parlamento, C‑566/14 P, EU:C:2016:437, punti 99 e 100 e giurisprudenza citata).

310    Nel caso di specie, il periodo rispetto al quale è stata riconosciuta una colpa grave del ricorrente va dal gennaio 2009 all’agosto 2010. L’OLAF ha informato il ricorrente dell’avvio di un’indagine a suo carico vertente sull’utilizzo del suo appartamento di servizio nel marzo 2012, vale a dire meno di due anni dopo la conclusione di detto periodo continuativo. A conclusione della fase di indagine, che ha coinvolto in successione l’OLAF e l’IDOC, nel luglio 2014 l’APN ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente e, nel febbraio 2015, ha adottato la decisione controversa con cui è stata riconosciuta, in particolare, la sua responsabilità finanziaria. Tale decisione è stata confermata nel settembre 2015 con il rigetto del reclamo del ricorrente. Alla luce di questa concatenazione di eventi, si deve ritenere che l’autorità amministrativa non abbia esercitato i suoi poteri con ritardi irragionevoli.

[omissis]

 Sui nuovi motivi sollevati dal ricorrente nel quadro del procedimento di impugnazione

[omissis]

315    Il ricorrente ha denunciato condotte fraudolente di uno dei suoi colleghi a New York mediante messaggio di posta elettronica del 13 maggio 2013 indirizzato all’IDOC e prodotto sub allegato 36 del ricorso. Detto messaggio è stato inviato quando il ricorrente era già sottoposto all’indagine vertente sull’uso del suo appartamento di servizio e mirava, in primo luogo, a mettere in dubbio la credibilità di due testimoni a suo carico di cui l’OLAF aveva tenuto conto. È in questo contesto che il ricorrente ha riferito del comportamento, potenzialmente irregolare, a diverso titolo, di detto collega, che sarebbe stato legato a due persone sentite come testimoni. Da tale messaggio emerge che la denuncia avanzata dal ricorrente si riferiva, in parte, a fatti manifestamente già noti ai superiori della delegazione e a lui stesso da un certo periodo e, in parte, a fatti di cui l’OLAF era stata informata da altre persone interne alla delegazione, prima che il ricorrente stesso informasse l’IDOC vari mesi dopo esserne venuto casualmente a conoscenza. Pertanto, la denuncia del ricorrente non si inserisce nel quadro della segnalazione di fatti scoperti da un funzionario che possono lasciar presumere una possibile attività illecita, come prevista all’articolo 22 bis dello Statuto, ma si inserisce unicamente nel quadro della difesa dei propri interessi da parte di un funzionario. Il ricorrente non può quindi avvalersi della veste di informatore, anche ammettendo che una siffatta veste possa integrare una circostanza attenuante per fatti che – quand’anche rivelatisi esatti – nulla avevano a che vedere con quelli da lui denunciati.

[omissis]

317    Alla luce di tutto quanto precede, posto che nessuno dei motivi di annullamento dedotti contro la decisione controversa ha potuto essere accolto, occorre respingere le domande di annullamento formulate dal ricorrente, compresa quella diretta contro la decisione di rigetto del suo reclamo. A tale riguardo, il Tribunale rinvia ai motivi esposti dal Tribunale della funzione pubblica ai punti da 43 a 45 della sentenza impugnata.

 Sulla domanda di riduzione dell’importo del risarcimento pecuniario richiesto al ricorrente

318    Si deve osservare che, nelle sue conclusioni, nel chiedere al giudice di esercitare la sua competenza anche di merito prevista all’articolo 22, terzo comma, dello Statuto per ridurre il risarcimento pecuniario cui è stato condannato nella decisione controversa, il ricorrente non ha avanzato argomenti particolari per giustificare la riduzione da lui richiesta oltre a quelli esposti a sostegno dei suoi motivi di annullamento. Tuttavia, come osservato dall’avvocato generale Kokott al paragrafo 60 delle sue conclusioni nella causa Gogos/Commissione (C‑583/08 P, EU:C:2010:118), il giudice dell’Unione, laddove vengano in questione i soli aspetti patrimoniali di una controversia tra l’Unione e uno dei suoi funzionari, non è tenuto a limitarsi ad un mero controllo di legittimità degli atti in causa, ma è altresì competente a verificarne la congruità e quindi a sostituire la propria valutazione a quella dell’APN. A questo proposito, l’articolo 91, paragrafo 1, seconda frase, dello Statuto prevede che, nelle controversie di carattere pecuniario e nel quadro dell’esercizio della sua competenza anche di merito, il giudice dell’Unione possa, tenuto conto di tutte le circostanze, valutare d’ufficio equitativamente un danno (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 20 maggio 2010, Gogos/Commissione, C‑583/08 P, EU:C:2010:287, punto 44 e giurisprudenza citata). Inoltre, una siffatta competenza può essere esercitata anche in assenza di formale domanda in tal senso (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Gogos/Commissione, C‑583/08 P, EU:C:2010:118, paragrafo 61) e, a fortiori, in caso di presentazione di una siffatta domanda, ove manchi qualsivoglia argomentazione specifica a fondamento di quest’ultima. Nel caso di specie, alla luce dei requisiti del rispetto del contraddittorio, la questione del ruolo della responsabile dell’amministrazione della delegazione è stata ampiamente discussa, sia negli atti delle parti, sia in udienza, in particolare attraverso i quesiti posti in tale occasione dal Tribunale.

319    Da detta discussione e dai documenti del fascicolo emerge che la responsabile dell’amministrazione della delegazione non ha preteso che il ricorrente lasciasse il suo appartamento di servizio, limitandosi invece a ricordargli l’irregolarità della sua situazione (v. punto 274 supra). Benché tale circostanza non rimetta in discussione l’esistenza di una colpa grave del ricorrente consistente nell’aver prolungato l’utilizzo irregolare del suo appartamento di servizio dal gennaio 2009 all’agosto 2010 (v. punto 300 supra), essa indica come, a causa della mancata adozione di un’iniziativa adeguata da parte della sua rappresentante in loco, seppur a conoscenza della situazione, la Commissione abbia contribuito alla piena realizzazione del danno da essa subito, mentre avrebbe potuto ridurne la portata; non si ravvisano infatti ostacoli che avrebbero potuto impedire una siffatta iniziativa, in particolare se attuata esigendo dal ricorrente la liberazione dell’appartamento di servizio, visto il mancato soddisfacimento delle condizioni per la sua occupazione. Per tale ragione e alla luce delle circostanze nel loro insieme, il Tribunale stabilisce in via equitativa che il risarcimento da parte del ricorrente del danno subito dall’Unione debba essere ridotto (v., in tal senso, sentenze del 7 novembre 1985, Adams/Commissione, 145/83, EU:C:1985:448, punti 53 e 54, e dell’11 luglio 2007, Schneider Electric/Commissione, T‑351/03, EU:T:2007:212, punti 332 e 334).

320    Occorre quindi fissare, conformemente all’articolo 22 dello Statuto, in EUR 80 000, alla data della pronuncia della presente sentenza, il risarcimento dovuto dal ricorrente a fronte del danno da lui arrecato all’Unione per colpa personale grave commessa omettendo di adottare misure volte a rimettere a disposizione il suo appartamento di servizio a partire dal gennaio 2009. Ciò comporta o il rimborso da parte della Commissione delle somme, compresi eventuali interessi, che il ricorrente abbia già versato in eccedenza a detto importo, o il pagamento da parte del ricorrente alla Commissione degli eventuali importi integrativi sino alla concorrenza di detto importo. Nei due casi, i pagamenti o i rimborsi richiesti dovranno essere aumentati di interessi al tasso fissato dalla Banca centrale europea (BCE) per le principali operazioni di rifinanziamento, calcolati a decorrere dalla presente sentenza.

[omissis]

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La sentenza del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (Seconda Sezione) del 19 luglio 2016, HG/Commissione (F149/15), è annullata.

2)      L’importo del risarcimento dovuto da HG all’Unione europea è fissato a EUR 80 000 alla data della pronuncia della presente sentenza.

3)      Il ricorso nella causa F149/15 è respinto per il resto.

4)      HG e la Commissione europea sopporteranno le proprie spese nelle cause F149/15, T693/16 P, T440/18 RENV e T693/16 PRENVRX.

Gervasoni

Madise

Nihoul

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo, il 15 dicembre 2021.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.


1      Sono riprodotti soltanto i punti della presente sentenza la cui pubblicazione è ritenuta utile dal Tribunale.