Language of document : ECLI:EU:T:2006:368

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)


30 novembre 2006 (*)

«Retribuzione – Indennità di dislocazione e di prima sistemazione – Condizioni previste all’art. 4, n. 1, lett. a), ed all’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto – Nozione di “servizi effettuati per un altro Stato” – Recupero dell’indebito»

Nella causa T‑379/04,

J, agente temporaneo della Commissione delle Comunità europee, residente in Bruxelles (Belgio), rappresentata dall’avv. C. Forte,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J. Currall e dalla sig.ra M. Velardo, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 10 giugno 2004 che respinge esplicitamente i reclami della ricorrente, come pure della decisione della Commissione 31 ottobre 2003, con cui le viene negato il beneficio delle indennità di dislocazione e di prima sistemazione previste, rispettivamente, agli artt. 4 e 5 dell’allegato VII dello Statuto del personale delle Comunità europee, nonché della decisione 10 dicembre 2003, con cui si ingiunge il rimborso delle somme ricevute a tale titolo,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dalla sig.ra V. Tiili e dal sig. O. Czúcz, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 2 febbraio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        Lo Statuto del personale delle Comunità europee, nella versione applicabile alla presente fattispecie (in prosieguo: lo «Statuto») prevede, all’art. 4, n. 1, dell’allegato VII:

«Un’indennità di dislocazione pari al 16% dell’ammontare complessivo dello stipendio base, dell’assegno di famiglia e dell’assegno per figli a carico versati al funzionario è concessa:

a)      al funzionario:

–        che non ha mai avuto la nazionalità dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio

e

–        che non ha, abitualmente, abitato o svolto la sua attività professionale principale sul territorio europeo di detto Stato durante il periodo di cinque anni che scade sei mesi prima della sua entrata in servizio. Per l’applicazione della presente disposizione, non si tiene conto delle situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale.

(…)».

2        L’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto recita:

«Un’indennità di prima sistemazione pari a due mesi di stipendio base, se trattasi di un avente diritto all’assegno di famiglia, e pari a un mese di stipendio base, se trattasi di un non avente diritto all’assegno di famiglia, è dovuta al funzionario di ruolo che soddisfi alle condizioni richieste per essere ammesso al beneficio dell’indennità di dislocazione o che giustifichi di aver dovuto cambiare la residenza per soddisfare agli obblighi dell’art. 20 dello Statuto (…)».

3        Quanto alla ripetizione dell’indebito, l’art. 85 dello Statuto precisa:

«Qualsiasi somma percepita indebitamente dà luogo a ripetizione se il beneficiario ha avuto conoscenza dell’irregolarità del pagamento o se tale irregolarità era così evidente che egli non poteva non accorgersene (…)».

 Fatti all’origine del ricorso

4        Nel 1986, la ricorrente è stata assunta come ricercatrice presso il Consiglio nazionale delle ricerche (in prosieguo: il «CNR»).

5        Nel marzo del 1993, la ricorrente è stata distaccata a domanda presso l’ufficio di collegamento del CNR a Bruxelles. Nel corso dei dieci anni successivi essa ha risieduto ininterrottamente a Bruxelles.

6        Il 1º settembre 2003 la ricorrente è stata collocata fuori ruolo dal proprio datore di lavoro per un periodo di cinque anni (dal 1º settembre 2003 al 31 agosto 2008) ed è stata assunta al contempo come agente temporaneo presso la direzione generale (DG) «Ricerca» della Commissione a Bruxelles.

7        L’8 settembre 2003 la ricorrente è stata convocata dalla Commissione al fine di determinare i suoi diritti statutari. In tale occasione essa ha depositato una copia del suo curriculum vitae, del suo passaporto di servizio rilasciato dal Ministero degli Affari esteri italiano e della sua carta d’identità speciale rilasciata dalle autorità belghe, nonché gli altri documenti richiesti dalla Commissione al fine di determinare le sue spettanze. Lo stesso giorno la ricorrente ha ricevuto dall’ufficio liquidatore una scheda contenente un elenco delle sue spettanze come provvisoriamente fissate sulla base delle informazioni da lei comunicate. A seguito di tale riunione, la Commissione ha concesso alla ricorrente, a titolo provvisorio, le indennità di dislocazione e di prima sistemazione.

8        Il 31 ottobre 2003, la Commissione ha informato la ricorrente che da un’ulteriore verifica del suo fascicolo era emerso che essa non aveva diritto alle indennità di dislocazione e di prima sistemazione, in quanto, rispettivamente, non ricorrevano le condizioni previste all’art. 4, n. 1, lett. a), e all’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto (in prosieguo: la «decisione 31 ottobre 2003»).

9        Il 10 dicembre 2003, la Commissione ha fatto sapere alla ricorrente che, in applicazione dell’art. 85 dello Statuto, la somma di EUR 9 626,25 sarebbe stata recuperata in quattordici trattenute di EUR 636,31 e una trattenuta di EUR 717,91 (in prosieguo: la «decisione 10 dicembre 2003»).

10      Il 28 gennaio 2004, la ricorrente ha presentato un reclamo ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto contro la decisione 31 ottobre 2003. Il 2 febbraio 2004, essa ha presentato un reclamo contro la decisione 10 dicembre 2003.

11      L’Autorità autorizzata a concludere contratti di assunzione (in prosieguo: l’ «AACC») ha respinto i due reclami con decisione 10 giugno 2004 (in prosieguo: la «decisione di rigetto dei reclami») di cui la ricorrente ha accusato ricezione il 18 giugno 2004. Tale decisione è sostanzialmente motivata nel modo seguente.

12      Per quanto riguarda l’indennità di dislocazione, l’AACC ha affermato che l’attività della ricorrente presso il CNR non poteva essere qualificata come «servizio effettuato per un altro Stato» e che il suo periodo di lavoro per il CNR a Bruxelles non poteva quindi essere «neutralizzato» ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, in quanto:

«(...) il CNR, nell’ambito dell’ordinamento amministrativo italiano, si configura più esattamente come un ente pubblico dotato di personalità giuridica e munito di ampia autonomia nel perseguimento dei propri compiti statutari (la promozione della ricerca). È quanto d’altra parte emerge anche dalla formulazione dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 127 del 4 giugno 2003 (…), in cui il CNR è definito come “ente pubblico nazionale con il compito di svolgere, promuovere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze”. Il CNR, come risulta dal citato decreto legislativo, gode peraltro di un grado di autonomia molto elevato rispetto ai poteri dello Stato propriamente detti e tale livello di autonomia altro non è se non il riflesso della libertà e dell’autonomia di cui l’“arte e la scienza” devono fruire ai sensi dell’articolo 33 della Costituzione italiana.

Più particolarmente:

a)      la struttura del CNR è totalmente autonoma dallo Stato;

b)      nessun organo o alto rappresentante dello Stato è presente negli organi o nel processo decisionale del CNR (articoli 6-14 del citato D. Lgsl.), così da poter orientare il suo funzionamento in base agli interessi o alla volontà dello Stato;

c)      in nessun luogo si fa menzione di una qualsivoglia forma di “subordinazione” funzionale del CNR, o di un “potere di indirizzo” da parte dello Stato;

d)      le entrate del CNR non provengono unicamente da finanziamenti statali, ma anche da finanziamenti comunitari e privati, nonché da contributi di pubbliche amministrazioni locali (articolo 17, comma 1, del citato D. Lgsl.); e

e)      il personale del CNR, come quello delle Università, è assunto in base a criteri che danno la precedenza ai meriti ed ai titoli acquisiti nel settore della ricerca. Tale personale è d’altronde spesso chiamato a svolgere attività di collaborazione con le università.

Ne consegue che il CNR non può assolutamente inserirsi nella struttura dello Stato, di cui non rappresenta né la volontà né gli interessi diretti. Negare tale circostanza significherebbe rimettere in causa non solo le finalità del CNR, ma anche il principio di libertà ed autonomia assicurate alla ricerca rispetto alle funzioni più propriamente connesse allo Stato “persona” (funzioni comunemente dette “sovrane”)».

13      Quanto all’indennità di prima sistemazione, l’AACC afferma che «considerato il fatto che l’interessata, residente in Belgio, non ha dovuto mutare la propria residenza per adempiere agli obblighi derivanti dall’articolo 20 dello Statuto (…), la decisione dell’ufficio di gestione di rifiutare all’interessata l’indennità di prima sistemazione connessa all’entrata in servizio a Bruxelles è pienamente giustificata».

14      Per quanto riguarda il recupero delle indennità nel frattempo percepite, l’AACC afferma che «per giurisprudenza costante, la restituzione ai sensi dell’articolo 85 è dovuta qualora si tratti di un errore che non può sfuggire ad un dipendente di normale diligenza e che si presuppone conosca le norme che disciplinano la sua retribuzione (…). Nella fattispecie si deve rilevare che l’interessata chiaramente sapeva che dal marzo 1993 la sua residenza era a Bruxelles. Tale circostanza doveva quindi indurla a interrogarsi sulla concessione delle indennità di cui beneficiava e, di conseguenza, a interpellare sul punto l’amministrazione. Un tale passo era tanto più necessario se si considera che l’interessata aveva lavorato ininterrottamente per il CNR dal 1986 ed era perciò chiaramente informata dell’ordinamento non statale del CNR stesso. L’interessata stessa, infatti, menziona il citato decreto legislativo».

 Procedimento e conclusioni delle parti

15      Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 17 settembre 2004, la ricorrente ha proposto il presente ricorso. Essa ha anche presentato una richiesta di anonimato che è stata accolta.

16      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha sottoposto taluni quesiti scritti e ha chiesto la produzione di taluni documenti alle parti, che vi hanno risposto entro il termine assegnato.

17      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza del 2 febbraio 2006. All’udienza, la ricorrente ha presentato una domanda di misure di organizzazione del procedimento con cui ha chiesto al Tribunale di ordinare alla Commissione di produrre taluni documenti. La Commissione è stata sentita in relazione a tale domanda.

18      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione di rigetto dei reclami;

–        annullare le decisioni 31 ottobre e 10 dicembre 2003;

–        ordinare ogni misura atta a reintegrarla nei suoi diritti, ivi compreso il pagamento degli interessi moratori;

–        condannare la Commissione alle spese.

19      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        statuire sulle spese come di diritto.

 In diritto

20      La ricorrente solleva due motivi a sostegno del ricorso. Il primo motivo attiene alla violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), e dell’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto. Il secondo motivo, sollevato in subordine, verte sulla violazione dell’art. 85 dello Statuto.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), e dell’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto

21      Nell’ambito di tale motivo la ricorrente fa valere determinati errori di valutazione nell’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto quanto al suo status precedente all’entrata in servizio presso la Commissione e alla qualificazione del CNR quale organo dello Stato. Essa ne deduce la violazione dell’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto e invoca la violazione dell’obbligo di motivazione e del principio di parità di trattamento.

 Sullo status della ricorrente precedente all’entrata in servizio presso la Commissione e sulla qualificazione del CNR quale organo dello Stato

–       Argomenti delle parti

22      Con riferimento al suo status precedente all’entrata in servizio presso la Commissione, la ricorrente afferma che un ricercatore presso il CNR è un funzionario dello Stato italiano che appartiene alla struttura organizzativa dello Stato-apparato e svolge compiti di interesse generale che gli sono affidati dalla legislazione dello Stato. Ciò avrebbe dovuto indurre la Commissione a concederle il beneficio della deroga prevista all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto. La ricorrente fa osservare che essa ha dovuto chiedere di essere collocata fuori ruolo al fine di entrare in servizio presso la Commissione, in conformità alla legge 15 luglio 2002, n. 145, che prevede che «il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni (…) può, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica (…), essere collocato fuori ruolo per assumere un impiego o incarico temporaneo di durata non inferiore a sei mesi presso enti o organismi internazionali (…)». Da tale disposizione risulterebbe che il dipendente pubblico è totalmente soggetto al potere discrezionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano.

23      Inoltre, la ricorrente avrebbe beneficiato di un’indennità di servizio che verrebbe concessa soltanto ai dipendenti pubblici dello Stato e le sarebbe stato rilasciato un passaporto di servizio che verrebbe concesso, per periodi di due anni, rinnovabili, ai membri del personale direttivo e non direttivo di altre amministrazioni dello Stato che devono recarsi all’estero per servizio. Risulterebbe da tale documento che la ricorrente è un funzionario dello Stato in servizio all’estero, il che sarebbe stato confermato anche dal Ministero degli Affari esteri belga che ha rilasciato alla ricorrente una «Carte d’identité spéciale» indicando come posizione «Fonctionnaire italienne en mission officielle en Belgique». Inoltre, dal Ministero della Salute le sarebbe stato direttamente rilasciato il modello E 106, riguardante l’assistenza sanitaria, procedura questa che sarebbe riservata ai soli dipendenti dello Stato.

24      Il carattere precario della destinazione della ricorrente all’estero sarebbe dimostrato dal fatto che il suo distacco, come il formulario E 106, veniva rinnovato ogni anno. Al fine di dimostrare l’assenza di un legame fisso con il suo luogo di lavoro, la ricorrente ha affermato inoltre che, per tutto il periodo di tempo in cui ha vissuto a Bruxelles, essa non ha affittato la propria abitazione di Pisa.

25      Quanto alla qualificazione del CNR quale organo dello Stato, la ricorrente fa osservare che, ai sensi dell’art. 20 del decreto legislativo 4 giugno 2003, il CNR è definito amministrazione pubblica, il che conferma il suo inserimento nell’ordinamento statale italiano. Il CNR sarebbe una persona giuridica di diritto pubblico cui l’ordinamento statale attribuisce sfera di competenza, mezzi materiali e struttura organizzativa. L’ordinamento giuridico italiano gli attribuirebbe funzioni di altri organi dell’apparato autoritario centrale, in particolare del Ministero della Ricerca e dell’Università, legittimandolo ad emanare, in autonomia ed autarchia, atti normativi e di amministrazione aventi la stessa forza degli atti statali.

26      Peraltro, il fatto che il CNR sia autorizzato ad utilizzare il logo della Repubblica italiana sulla sua carta intestata costituirebbe una prova del fatto che il CNR è un organo che appartiene direttamente allo Stato, poiché gli enti territoriali, ad esclusione delle Prefetture e dei Tribunali, non sarebbero autorizzati ad utilizzare tale logo.

27      Malgrado la sua autonomia, il CNR sarebbe soggetto al potere politico. Anzitutto le sue attività sarebbero decise dal consiglio di amministrazione previo parere favorevole del Ministro competente, poi, il presidente del CNR, come pure tre membri del consiglio di amministrazione, sarebbero nominati dal Presidente del Consiglio dei Ministri e, infine, l’attività del CNR si svolgerebbe nel quadro della programmazione nazionale.

28      L’argomento dell’AACC in risposta ai reclami secondo il quale le entrate del CNR non proverrebbero soltanto da fondi statali, ma anche da fondi comunitari e privati nonché da contributi di enti locali, sarebbe irrilevante, in quanto vi sarebbero altre istituzioni, nazionali e internazionali (tra cui le stesse Comunità europee), che hanno risorse non provenienti esclusivamente dagli Stati.

29      Neppure l’argomento dell’AACC secondo cui il personale del CNR sarebbe assunto in base a criteri che danno la precedenza ai meriti ed ai titoli acquisiti nella ricerca e secondo cui tale personale sarebbe spesso chiamato a collaborare con le Università sarebbe rilevante, poiché la ricorrente sarebbe un funzionario dello Stato italiano e, una volta entrata in servizio al CNR di Bruxelles, avrebbe assunto funzioni che non riguardavano più la carriera scientifico-accademica.

30      La ricorrente asserisce, peraltro, che rientrava nelle sue attribuzioni a Bruxelles la cooperazione con altri organi dello Stato italiano. Al riguardo, essa si riferisce a talune attività svolte per l’Ambasciata e il Consolato della Repubblica italiana a Bruxelles per la predisposizione del loro servizio informatico. Inoltre, numerose sarebbero state le forme di collaborazione instaurate con la Rappresentanza permanente.

31      L’argomento dell’AACC secondo cui negare l’indipendenza del CNR svilirebbe il principio di libertà ed autonomia assicurate alla ricerca, che dovrebbe essere salvaguardato rispetto alle funzioni connesse più direttamente allo Stato-persona (funzioni sovrane), sarebbe un argomento nuovo, che porrebbe problemi interpretativi anche per l’applicazione della norma alle organizzazioni internazionali, sprovviste per definizione di poteri sovrani. Secondo la ricorrente non sarebbe irrealistico sostenere che, nelle materie di sua competenza, il CNR è fornito di poteri sovrani.

32      La ricorrente afferma inoltre che, qualora il CNR nell’esercizio delle sue funzioni dovesse compiere un atto contrario al diritto comunitario, sarebbe la Repubblica italiana stessa a doversi difendere in quanto le funzioni esercitate dal CNR sono funzioni ricollegate allo Stato.

33      Quanto all’argomento della Commissione secondo cui l’interpretazione della nozione di Stato deve essere esclusivamente basata sul diritto comunitario, la ricorrente ritiene che non esista un’interpretazione giurisprudenziale sufficiente della nozione di «servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale» e che è dunque possibile fare ricorso a disposizioni di altri ordinamenti giuridici, compatibili con i principi fondamentali del diritto comunitario, per fare luce sull’applicazione delle disposizioni controverse nella fattispecie.

34      La Commissione contesta che le attività professionali della ricorrente al servizio del CNR a Bruxelles possano essere considerate come «servizi effettuati per un altro Stato», ai sensi dell’eccezione prevista all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto.

–       Giudizio del Tribunale

35      Secondo una giurisprudenza costante, la ratio dell’indennità di dislocazione è quella di compensare gli oneri e gli svantaggi particolari che derivano dall’esercizio permanente delle funzioni in un paese con il quale il dipendente non ha creato legami duraturi prima della sua entrata in servizio (sentenze del Tribunale 30 marzo 1993, causa T‑4/92, Vardakas/Commissione, Racc. pag. II‑357, punto 39; 14 dicembre 1995, causa T‑72/94, Diamantaras/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑285 e II‑865, punto 48, e 28 settembre 1999, causa T‑28/98, J/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑185 e II‑973, punto 32). Affinché possano stabilirsi tali legami duraturi, con la conseguenza che il dipendente perde il diritto all’indennità di dislocazione, il legislatore esige che il dipendente abbia avuto la propria residenza abituale o esercitato la propria attività lavorativa principale per un periodo di cinque anni nel paese della sua sede di servizio (sentenza Diamantaras/Commissione, cit., punto 48).

36      Occorre anche far presente che l’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto prevede un’eccezione a favore dei dipendenti che hanno effettuato servizi per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale durante il periodo di riferimento di cinque anni che scade sei mesi prima della loro entrata in servizio. Questa eccezione trova la sua ratio nel fatto che, in tal caso, non si può ritenere che questi dipendenti abbiano stabilito un nesso durevole col paese della sede di servizio a causa del carattere temporaneo del loro distacco in tale paese (sentenze della Corte 15 gennaio 1981, causa 1322/79, Vutera/Commissione, Racc. pag. 127, punto 8, e 2 maggio 1985, causa 246/83, De Angelis/Commissione, Racc. pag. 1253, punto 13).

37      Nella fattispecie, il periodo di riferimento da prendere in considerazione per l’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto si colloca tra il 1º marzo 1998 e il 28 febbraio 2003, in quanto la ricorrente è entrata in servizio sei mesi dopo quest’ultima data, vale a dire il 1º settembre 2003. È pacifico tra le parti che la ricorrente ha esercitato la sua attività professionale in seno all’ufficio del CNR a Bruxelles durante tutto questo periodo.

38      Occorre, pertanto, stabilire se il lavoro svolto dalla ricorrente a Bruxelles per il CNR debba essere considerato quale servizio effettuato per un «altro Stato», ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto.

39      Occorre ricordare che, dalle esigenze dell’applicazione uniforme del diritto comunitario e del principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione di diritto comunitario che non comporta alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri per determinare il suo senso e la sua portata devono di regola trovare in tutta la Comunità un’interpretazione autonoma e uniforme, da ricercare tenendo conto del contesto della disposizione e dell’obiettivo perseguito dalla normativa comunitaria di cui trattasi. In mancanza di un rinvio espresso, l’applicazione del diritto comunitario può tuttavia implicare, se del caso, un riferimento al diritto degli Stati membri quando il giudice comunitario non può rinvenire nel diritto comunitario o nei principi generali del diritto comunitario gli elementi che gli consentano di precisarne il contenuto e la portata attraverso un’interpretazione autonoma (sentenza della Corte 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro, Racc. pag. 107, punto 11; sentenze del Tribunale 18 dicembre 1992, causa T‑43/90, Díaz García/Parlamento, Racc. pag. II‑2619, punto 36; 28 gennaio 1999, causa T‑264/97, D/Consiglio, Racc. PI pagg. I‑A‑1 e II‑1, punti 26 e 27, confermata con la sentenza della Corte 31 maggio 2001, cause riunite C‑122/99 P e C‑125/99 P, D e Svezia/Consiglio, Racc. pag. I‑4319, nonché 25 ottobre 2005, causa T‑299/02, Dedeu i Fontcuberta/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36).

40      Nella specie, il Tribunale considera che il diritto comunitario e, in particolare, lo Statuto forniscono indicazioni sufficienti che consentono di precisare la portata dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto e, pertanto, di stabilire un’interpretazione autonoma della nozione di Stato rispetto ai vari diritti nazionali (sentenza Dedeu i Fontcuberta/Commissione, citata al precedente punto 39, punto 37).

41      Il Tribunale ricorda altresì che le disposizioni dello Statuto, che mirano soltanto a disciplinare i rapporti giuridici tra le istituzioni e i funzionari stabilendo diritti ed obblighi reciproci, contengono una terminologia precisa la cui estensione per analogia a casi non espressamente contemplati è esclusa (sentenze della Corte 16 marzo 1971, causa 48/70, Bernardi/Parlamento, Racc. pag. 175, punti 11 e 12, e 20 giugno 1985, causa 123/84, Klein/Commissione, Racc. pag. 1907, punto 23; sentenza del Tribunale 19 luglio 1999, causa T‑74/98, Mammarella/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑151 e II‑797, punto 38).

42      Inoltre, risulta dalla giurisprudenza che, ai fini dell’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, ultima frase, dell’allegato VII dello Statuto, la nozione di Stato riguarda soltanto lo Stato in quanto persona giuridica e soggetto unitario di diritto internazionale e i suoi organi di governo (sentenze del Tribunale 30 giugno 2005, causa T‑190/03, Olesen/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 40 e 51, e Dedeu i Fontcuberta/Commissione, citata al precedente punto 39, punto 41).

43      Il Tribunale ne desume che occorre interpretare l’espressione «servizi effettuati per un altro Stato», di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, nel senso che non si riferiscono ai servizi forniti ad un ente pubblico dotato di una personalità giuridica propria, quale il CNR, che gode, come risulta dalla normativa applicabile citata dalla ricorrente, di un’autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa, patrimoniale e contabile. L’eccezione prevista alla detta disposizione non si applica pertanto al lavoro da essa svolto in seno all’ufficio del CNR a Bruxelles.

44      Nessuno degli argomenti addotti dalla ricorrente è in grado di porre in discussione questa conclusione.

45      Per quanto riguarda il fatto che il CNR è soggetto ad un potere di tutela da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca, che il Consiglio dei ministri italiano nomina taluni membri dei suoi organi decisionali o inoltre che la sua attività si inscrive nell’ambito della programmazione nazionale, occorre ricordare che il CNR beneficia tuttavia di una notevole autonomia organizzativa, dimostrata in particolare dall’apertura del suo ufficio di rappresentanza a Bruxelles, che è indipendente dalla rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso le Comunità europee, mentre il detto Ministero dispone di un rappresentante in seno a tale rappresentanza permanente.

46      Per di più, risulta dai documenti agli atti che gli interessi promossi dal CNR sono quelli della ricerca scientifica e che, in quest’ambito, rientra nelle sue competenze intraprendere attività finalizzate alla ricerca e allo sviluppo in collaborazione con o per conto del settore pubblico e privato. Simili progetti contribuiscono al finanziamento delle attività del CNR. Ne deriva che, anche se il CNR rappresenta taluni interessi pubblici o si vede affidare compiti di interesse pubblico, l’ufficio del CNR a Bruxelles gestisce interessi sia pubblici sia privati che non coincidono necessariamente con gli interessi della Repubblica italiana.

47      Peraltro, quanto all’argomento della ricorrente secondo cui sarebbe la stessa Repubblica italiana a doversi difendere qualora, nell’esercizio delle sue funzioni, il CNR dovesse violare il diritto comunitario, è sufficiente ricordare che lo stesso ragionamento si applica, in particolare, alle autorità regionali degli Stati membri e che il Tribunale ha respinto l’equiparazione delle autorità regionali allo Stato nel contesto dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto (sentenza Dedeu i Fontcuberta/Commissione, citata al precedente punto 39, punto 44).

48      Quanto al fatto che il CNR è autorizzato ad utilizzare il logo della Repubblica italiana, è sufficiente osservare che le condizioni di utilizzo del detto logo, come determinate dal diritto italiano, non possono avere influenza sull’interpretazione della nozione di Stato nel diritto comunitario.

49      Per quanto riguarda lo status di pubblico dipendente della ricorrente e l’argomento secondo cui sarebbe lo stesso rapporto di pubblico impiego ad indicare che i compiti attribuiti ad un pubblico dipendente, come un ricercatore del CNR, vengono eseguiti per lo Stato ai sensi dell’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, va osservato che un’interpretazione estensiva della nozione di «servizi effettuati per un altro Stato», come quella proposta dalla ricorrente, equivarrebbe a concedere il vantaggio della detta eccezione a chiunque beneficiasse dello status di dipendente pubblico, anche nel caso in cui tale soggetto lavorasse per un’entità giuridica distinta dallo Stato, il che è in particolare il caso del personale di talune società pubbliche degli Stati membri. Simile applicazione dell’eccezione controversa sarebbe contraria alla giurisprudenza, secondo la quale un’interpretazione restrittiva si impone qualora si tratti di una disposizione che disciplina la concessione di un beneficio economico (v. sentenza Olesen/Commissione, citata al precedente punto 42, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). Peraltro, poiché lo status dei dipendenti delle società pubbliche non è lo stesso in tutti gli Stati membri, simile interpretazione comporterebbe il rischio di una violazione del principio della parità di trattamento.

50      Al riguardo, risulta dai documenti agli atti che la collaborazione e le relazioni funzionali con organi dello Stato quali l’ambasciata, il consolato e la rappresentanza permanente della Repubblica italiana, fatte valere dalla ricorrente, hanno avuto, al massimo, un carattere occasionale e non provano in alcun modo un qualsiasi vincolo di subordinazione tra tali organi e il CNR o tra tali organi e la ricorrente. La ricorrente non contesta peraltro il fatto che essa non apparteneva al personale dei detti organismi.

51      Inoltre, per quanto riguarda il fatto che la ricorrente è stata collocata fuori ruolo per poter entrare a far parte dei servizi della Commissione, nonché il fatto che essa ha beneficiato di un’idennità di servizio e si è vista attribuire un passaporto di servizio, va constatato che tali circostanze costituiscono una conseguenza logica della sua posizione di pubblico dipendente che resta priva di incidenza sulla qualificazione della natura dell’organismo per il quale essa ha svolto il suo lavoro prima della sua entrata in servizio.

52      Peraltro, con riferimento alla carta d’identità speciale, è sufficiente osservare che le condizioni di concessione di una carta d’identità speciale belga non possono avere influenza sull’interpretazione della nozione di Stato nel diritto comunitario.

53      Per giunta, per quanto riguarda il fatto che, in materia di assicurazione malattia, la ricorrente ha ricevuto un modello E 106, risulta dalla giurisprudenza che il modello E 106 si limita ad attestare il diritto di una persona di beneficiare dell’assistenza sanitaria in un paese diverso da quello in cui essa è normalmente assicurata e che tale documento è rilasciato a numerose categorie di persone (sentenza Dedeu i Fontcuberta/Commissione, citata al precedente punto 39, punto 49).

54      Con riferimento, infine, all’asserita precarietà della destinazione della ricorrente e alla circostanza che essa non avrebbe, per questa ragione, dato in locazione la sua casa di Pisa durante il periodo di riferimento, neppure tali elementi di fatto, anche supponendoli dimostrati, permettono di trarre conclusioni quanto al carattere statale del CNR o al rapporto di subordinazione tra la ricorrente e lo Stato italiano ai sensi dell’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto.

55      Nei limiti in cui la ricorrente intende così dimostrare che essa non aveva la sua residenza abituale a Bruxelles nel corso del periodo di riferimento, al fine di poter beneficiare dell’indennità di dislocazione sulla base della fattispecie generale prevista all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, secondo cui l’indennità di dislocazione viene concessa al dipendente che non ha e non ha mai avuto la cittadinanza dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio e che non ha, abitualmente, abitato o svolto la sua attività lavorativa principale sul territorio di detto Stato durante il periodo di cinque anni che scade sei mesi prima della sua entrata in servizio, va constatato che gli elementi di prova forniti al riguardo, tra cui una dichiarazione della ricorrente relativa ai motivi per i quali essa ha conservato la sua abitazione di Pisa, non possono essere sufficienti a dimostrare che essa aveva, durante il periodo di riferimento, la sua residenza abituale in un luogo diverso da Bruxelles. Ciò è tanto più vero alla luce del fatto che è stata la ricorrente stessa ad indicare sulla scheda dell’ufficio liquidatore consegnata in occasione della riunione dell’8 settembre 2003 che la sua residenza era a Bruxelles. In ogni caso, risulta dalla giurisprudenza del Tribunale che il fatto di disporre di interessi e di beni patrimoniali in un altro Stato non è tale da dimostrare, di per sé, che il centro permanente degli interessi dell’interessato si trovi in tale Stato (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 28 settembre 1993, causa T‑90/92, Magdalena Fernández/Commissione, Racc. pag. II‑971, punto 30, e 3 maggio 2001, causa T‑60/00, Liaskou/Consiglio, Racc. PI pagg. I‑A‑107 e II‑489, punto 63).

56      In tale contesto, alla luce di quanto precede, non si può ritenere che la ricorrente abbia fornito servizi per un altro Stato ai sensi dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto. La censura vertente su un errore di valutazione quanto allo status della ricorrente prima della sua entrata in servizio alla Commissione e alla qualifica del CNR quale organo dello Stato deve pertanto essere respinta.

 Sulla violazione dell’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto

–       Argomenti delle parti

57      La ricorrente asserisce che l’indennità di prima sistemazione le è dovuta in quanto il diritto all’indennità di dislocazione doveva esserle riconosciuto, poiché il suo status di funzionario pubblico distaccato a Bruxelles era precario e rinnovato di anno in anno. Inoltre deriverebbe dall’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto che l’indennità di prima sistemazione è dovuta al dipendente di ruolo che soddisfi le condizioni necessarie per essere ammesso al beneficio dell’indennità di dislocazione, senza che l’interessato sia obbligato a dimostrare di aver sostenuto spese effettive. Il fatto che esso mantenga il suo alloggio precedente è irrilevante (sentenza della Corte 28 maggio 1998, causa C‑62/97 P, Commissione/Lozano Palacios, Racc. pag. I‑3273, punti 20‑22).

58      La Commissione contesta tali argomenti.

–       Giudizio del Tribunale

59      Risulta dall’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto, nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti controversi, che, per poter beneficiare dell’indennità di prima sistemazione, devono ricorrere due condizioni alternative: essa è concessa al dipendente che soddisfi le condizioni per beneficiare del’indennità di dislocazione o che dimostri di aver dovuto cambiare residenza per adempiere gli obblighi di cui all’art. 20 dello Statuto (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 13 settembre 2005, causa T‑283/03, Recalde Langarica/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 175 e 176).

60      Nella fattispecie, la prima condizione alternativa non è soddisfatta, poiché risulta dalle conclusioni del Tribunale esposte in precedenza che la ricorrente non ha diritto all’indennità di dislocazione.

61      Quanto alla seconda condizione alternativa, risulta dai documenti agli atti e dall’analisi che precede che, alla data della sua entrata in servizio alla Commissione, la ricorrente aveva la sua residenza abituale a Bruxelles e che essa non ha pertanto dovuto cambiare residenza per adempiere gli obblighi di cui all’art. 20 dello Statuto.

62      Ne deriva che la Commissione non ha violato l’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto rifiutando alla ricorrente il beneficio dell’indennità di prima sistemazione e che il motivo vertente sulla violazione del detto articolo deve essere respinto.

 Sul difetto di motivazione

–       Argomenti delle parti

63      Secondo la ricorrente, la decisione di rigetto dei reclami è carente in quanto non chiarisce perché un funzionario di un organo della Repubblica italiana non possa avere diritto all’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), ultima frase, dell’allegato VII dello Statuto. Inoltre, la ricorrente asserisce che, in via generale, la Commissione non ha tenuto conto delle informazioni e delle conclusioni da essa presentate per provare la precarietà della sua destinazione all’estero. La Commissione non avrebbe neppure tenuto conto del fatto che la ricorrente aveva dimostrato di aver collaborato con l’Ambasciata ed il Consolato, nonché con la Rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso l’Unione europea e con il Ministero dell’Università e della Ricerca.

64      Peraltro, la ricorrente osserva che l’argomentazione della risposta ai reclami è fondata esclusivamente sul diritto nazionale e che la Commissione ha invocato il diritto comunitario soltanto nella fase del controricorso.

65      La Commissione contesta che la motivazione della decisione di rigetto dei reclami sia insufficiente o contraddittoria.

–       Giudizio del Tribunale

66      Si deve ricordare che l’obbligo di motivazione ha come scopo, da una parte, di fornire all’interessato informazioni sufficienti per valutare la fondatezza della decisione presa dall’amministrazione e l’opportunità di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale e, dall’altra, di permettere a quest’ultimo di esercitare il suo sindacato. La portata di tale obbligo dev’essere valutata in funzione delle circostanze concrete, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi invocati e dell’interesse che il destinatario può avere a ricevere spiegazioni (sentenze del Tribunale 26 gennaio 1995, causa T‑60/94, Pierrat/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I‑A‑23 e II‑77, punti 31 e 32; 9 marzo 2000, causa T‑10/99, Vicente Nuñez/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑47 e II‑203, punto 41, nonché 31 gennaio 2002, causa T‑206/00, Hult/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑19 e II‑81, punto 27).

67      Peraltro, l’obbligo di motivazione non può implicare che la Commissione, nella decisione che conclude il procedimento amministrativo, sia tenuta a prendere posizione su tutti gli argomenti invocati nel reclamo, se la detta decisione espone i fatti e le considerazioni giuridiche che rivestono un’importanza essenziale nell’economia della decisione (v., per analogia, sentenza della Corte 14 luglio 1972, causa 55/69, Cassella Farbwerke Mainkur/Commissione, Racc. pag. 887, punto 22; sentenza del Tribunale 24 gennaio 1995, causa T‑5/93, Tremblay e a./Commissione, Racc. pag. II‑185, punto 29).

68      Nella fattispecie, occorre osservare che la decisione di rigetto dei reclami spiega inequivocabilmente che la ricorrente non ha diritto al beneficio dell’indennità di dislocazione, poiché le attività professionali che essa ha esercitato nel corso del periodo di riferimento non sono coperte dall’eccezione relativa ai «servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale», di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, e indica i motivi specifici di tale valutazione. Tali spiegazioni rispondono largamente alle esigenze di motivazione richieste e la ricorrente ha pertanto avuto piena conoscenza dei motivi per cui l’AACC le ha rifiutato il beneficio dell’indennità di dislocazione.

69      Risulta dalle considerazioni che precedono che il motivo della ricorrente vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione deve essere respinto.

 Sulla violazione del principio della parità di trattamento

–       Argomenti delle parti

70      Secondo la ricorrente, la sua situazione al momento della sua assunzione da parte della Commissione non può essere ritenuta dissimile da quella di un funzionario di un’organizzazione internazionale, e in particolare da quella di un funzionario in servizio presso la DG «Ricerca» o presso un centro di ricerca comunitario. Il rifiuto delle due indennità sarebbe, nella fattispecie, discriminatorio in quanto la Commissione avrebbe trattato due situazioni identiche in modo diverso e avrebbe, pertanto, leso ingiustamente la ricorrente.

71      Nella sentenza 15 giugno 2000, causa T‑51/99, Fantechi/Commissione (Racc. PI pagg. I‑A‑111 e II‑485), il Tribunale nonché la stessa Commissione avrebbero ritenuto applicabile l’art. 4, n. 1, lett. a), ultima frase, dell’allegato VII dello Statuto ad una funzionaria che aveva effettuato un periodo di tirocinio e di studi presso il Centro comune di ricerca (CCR) della Commissione ad Ispra in Italia e il Joint European Torus (JET) in Gran Bretagna (sentenza Fantechi Commissione, cit., punto 14).

72      Nella causa Fantechi/Commissione, la Commissione avrebbe dunque operato un’interpretazione estensiva della nozione di «servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale», di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), ultima frase, dell’allegato VII dello Statuto, senza verificare se vi fosse un legame di subordinazione gerarchica tra l’organizzazione internazionale e le società private per le quali lavorava la sig.ra Fantechi, o se la funzione di ricerca svolta da quest’ultima presso il CCR di Ispra andasse inquadrata in un legame organico-funzionale particolare. Tale interpretazione estensiva della nozione di «servizi effettuati per un’organizzazione internazionale» sarebbe in contrasto con l’interpretazione restrittiva adottata nella fattispecie in merito alla nozione di «servizi effettuati per un altro Stato».

73      Peraltro, all’udienza, la ricorrente ha fatto presente di aver preso conoscenza nel gennaio 2006 dell’esistenza di un caso simile al suo, cioè quello di un ex dipendente della rappresentanza a Bruxelles di un ufficio nazionale della ricerca di uno Stato membro, al quale la Commissione avrebbe concesso l’indennità di dislocazione. Nella corrispondenza con il funzionario di cui trattasi, l’ufficio liquidatore avrebbe precisato che la decisione di concessione dell’indennità di dislocazione era fondata su una giurisprudenza recente del Tribunale. Al riguardo, la ricorrente ha presentato una domanda intesa ad ottenere che il Tribunale ordini alla Commissione la produzione di taluni documenti, in particolare di tutte le decisioni prese tra il giugno 2005 e il gennaio 2006 che presentano somiglianze con il suo caso personale, nonché di ogni documento che, a seguito della sentenza del Tribunale 13 settembre 2005, causa T‑72/04, Hosman-Chevalier/Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta), determinerebbe i principi che disciplinano l’applicazione corretta della norma statutaria controversa.

74      La Commissione contesta tali argomenti e considera che la domanda di produzione dei documenti in questione non è pertinente.

–       Giudizio del Tribunale

75      La ricorrente fa valere, essenzialmente, che la Commissione avrebbe adottato un’interpretazione estensiva della nozione di «servizi effettuati per un’organizzazione internazionale», nell’ambito dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto che sarebbe in contrasto con l’interpretazione restrittiva, adottata nella fattispecie, della nozione di «servizi effettuati per un altro Stato» ai sensi della stessa disposizione, e che, pertanto, essa è vittima di una discriminazione.

76      È giurisprudenza costante che il principio generale della parità di trattamento costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario. In base a tale principio, situazioni analoghe non devono essere trattate diversamente, a meno che una differenziazione non sia oggettivamente giustificata (sentenze della Corte 19 ottobre 1977, cause 117/76 e 16/77, Ruckdeschel e a., Racc. pag. 1753, punto 7, e 16 ottobre 1980, causa 147/79, Hochstrass/Corte di giustizia, Racc. pag. 3005, punto 7; sentenza del Tribunale 26 settembre 1990, causa T‑48/89, Beltrante e a./Consiglio, Racc. pag. II‑493, punto 34). Così, sussiste violazione del principio della parità di trattamento qualora due categorie di soggetti le cui situazioni di fatto e di diritto non presentano differenze sostanziali si vedono applicare un trattamento diverso, o qualora situazioni diverse siano trattate in maniera identica (sentenze del Tribunale 15 marzo 1994, causa T‑100/92, La Pietra/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑83 e II‑275, punto 50, e 16 aprile 1997, causa T‑66/95, Kuchlenz‑Winter/Commissione, Racc. pag. II‑637, punto 55).

77      Quanto alla causa Fantechi/Commissione, fatta valere dalla ricorrente, è importante osservare che, in contrasto con quanto asserito dalla ricorrente, il Tribunale non si è pronunciato in tale sentenza sulla questione se si dovesse ritenere che un lavoro presso il CCR di Ispra in Italia e presso il JET in Gran Bretagna riguardasse «servizi effettuati per un’organizzazione internazionale», ma ha semplicemente deciso che l’indennità di dislocazione non poteva essere negata in ragione di «servizi effettuati per un’organizzazione internazionale» con sede sul territorio di uno Stato membro diverso da quello della sede di servizio.

78      Inoltre, il raffronto della valutazione della Commissione nella causa Fantechi/Commissione con quella operata nella fattispecie non è pertinente, poiché la situazione di fatto alla base delle due controversie è differente. La ricorrente nella causa Fantechi/Commissione ha lavorato in seno ad organizzazioni internazionali, mentre la ricorrente nella fattispecie ha lavorato per un ente pubblico che, secondo quanto dichiarato dal Tribunale, non può essere equiparato allo Stato italiano.

79      Peraltro, occorre anche respingere gli argomenti della ricorrente desunti dal fatto che la Commissione avrebbe recentemente riconosciuto che la deroga di cui trattasi si applica al caso di un ex dipendente della rappresentanza a Bruxelles di un ufficio nazionale della ricerca di uno Stato membro, e ciò sul preteso fondamento di una giurisprudenza recente del Tribunale. Oltre al fatto che tali affermazioni non sono corroborate da elementi di prova, occorre ricordare che il Tribunale ha deciso che, nell’ambito dell’esame del motivo relativo alla violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, si deve interpretare l’espressione «servizi effettuati per un altro Stato», figurante in tale disposizione, nel senso che non si riferisce ai servizi forniti da dipendenti di un centro nazionale di ricerca di uno Stato membro che rappresentano il detto centro a Bruxelles nella misura in cui tale centro abbia personalità giuridica propria. Pertanto, anche nel caso in cui la Commissione abbia effettivamente riconosciuto al funzionario in questione l’indennità di dislocazione per il fatto che il periodo di lavoro presso la rappresentanza a Bruxelles di un ufficio nazionale della ricerca di uno Stato membro rientrava nell’eccezione dei «servizi effettuati per un altro Stato», e nei limiti in cui il detto centro abbia uno status identico a quello del CNR, un’irregolarità del genere non potrebbe essere validamente invocata dalla ricorrente a sostegno di un’affermazione di violazione del principio di parità di trattamento, poiché secondo una costante giurisprudenza nessuno può invocare a proprio vantaggio un illecito commesso a favore di altri (sentenza della Corte 9 ottobre 1984, causa 188/83, Witte/Parlamento, Racc. pag. 3465, punto 15, e sentenza del Tribunale 22 febbraio 2000, causa T‑22/99, Rose/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑27 e II‑115, punto 39).

80      Per quanto riguarda la domanda intesa ad ottenere che la Commissione produca ogni documento che, a seguito della sentenza Hosman-Chevalier/Commissione, di cui al precedente punto 73, determini i principi che disciplinano la corretta applicazione della disposizione statutaria di cui trattasi, è sufficiente osservare che il Tribunale non può essere vincolato dall’interpretazione data alla sua giurisprudenza dalla Commissione per decidere dell’applicazione di un articolo dello Statuto ad un caso di specie.

81      Di conseguenza, occorre constatare che non è stata dimostrata alcuna violazione del principio della parità di trattamento ed è sufficiente osservare, senza che sia necessario statuire sulla sua ricevibilità, che non vi è bisogno di accogliere la domanda di misure di organizzazione del procedimento presentata dalla ricorrente all’udienza e intesa ad ottenere che il Tribunale chieda alla Commissione di produrre i documenti ai quali in essa viene fatto riferimento.

82      Occorre pertanto concludere per il rigetto del primo motivo di ricorso nel suo complesso.

 Sul secondo motivo di ricorso, vertente, in subordine, sulla violazione dell’art. 85 dello Statuto

 Argomenti delle parti

83      La ricorrente asserisce che la Commissione non ha correttamente applicato l’art. 85 dello Statuto, poiché la ricorrente stessa non era in grado di accorgersi dell’eventuale irregolarità dei versamenti effettuati da quest’ultima e la loro irregolarità non era così evidente che essa non potesse non averne conoscenza. Peraltro, la decisione di recupero non avrebbe fornito alcuna prova né alcun elemento di valutazione al riguardo e la sua motivazione sarebbe pertanto carente e contraddittoria.

84      Nella decisione di rigetto dei reclami, l’AACC si sarebbe limitata a constatare che la ricorrente era impiegata del CNR, risiedeva a Bruxelles ed era al corrente delle disposizioni del decreto legislativo 4 giugno 2003, n. 127, come prova del fatto che essa aveva conoscenza del carattere irregolare del pagamento, ma non avrebbe effettuato alcuna verifica della sua capacità di rilevare l’irregolarità tenuto conto del suo livello di responsabilità (ricercatrice in informatica applicata alle scienze della Terra) e dello scarso grado di chiarezza delle disposizioni statutarie controverse. Secondo la ricorrente, l’AACC avrebbe dovuto considerare che la questione dell’ammissibilità della ricorrente all’indennità presentava un carattere particolarmente complesso e che essa non era una giurista.

85      La ricorrente ritiene di aver dato prova della necessaria accortezza ritenendo che il CNR fosse un organo dello Stato, in quanto sulla carta intestata del CNR è riportato il logo della Repubblica italiana, utilizzabile esclusivamente da organi riferibili direttamente allo Stato.

86      Peraltro, la ricorrente ritiene di aver fornito all’AACC tutte le informazioni necessarie per determinare le sue spettanze, avendole consegnato, l’8 settembre 2003, il suo curriculum vitae, il suo passaporto di servizio, la sua carta d’identità speciale rilasciata dalle autorità belghe, il suo contratto di lavoro presso il CNR, i suoi ultimi bollettini di pagamento, il suo certificato di residenza, nonché tutti gli elementi richiesti dagli uffici della convenuta al fine di determinare il trattamento cui aveva diritto. Essa avrebbe pertanto fatto prova di diligenza ed avrebbe chiaramente presentato la sua situazione. In tale occasione essa avrebbe pertanto giustamente ritenuto di aver dimostrato il suo diritto alle indennità in parola. All’udienza, la ricorrente ha inoltre fatto notare che la Commissione avrebbe potuto riservarsi il diritto di non versare le indennità controverse invece di farlo a titolo provvisorio.

87      La Commissione contesta tali argomenti.

 Giudizio del Tribunale

88      L’art. 85 dello Statuto prevede due ipotesi in cui una somma indebitamente percepita dà luogo a ripetizione, cioè quella in cui il beneficiario ha avuto conoscenza dell’irregolarità del pagamento e quella in cui tale irregolarità era così evidente che esso non poteva non averne conoscenza. Per giustificare la ripetizione dell’indebito, è pertanto sufficiente che ricorra una delle due condizioni richieste dall’art. 85 dello Statuto.

89      Secondo costante giurisprudenza, in caso di contestazione da parte del beneficiario ed in mancanza di prova di conoscenza da parte sua dell’irregolarità del pagamento, si devono esaminare le circostanze in cui il pagamento stesso è stato effettuato onde accertare se detto carattere fosse evidente (sentenza della Corte 27 giugno 1973, causa 71/72, Kuhl/Consiglio, Racc. pag. 705, punto 11, e sentenza del Tribunale 5 novembre 2002, causa T‑205/01, Ronsse/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑211 e II‑1065, punto 45).

90      Nella fattispecie, l’irregolarità è costituita dal fatto che il pagamento alla ricorrente dell’indennità di dislocazione nel corso dei mesi di settembre, ottobre e novembre 2003 era ingiustificato, in ragione dell’inosservanza di una condizione giuridica preliminare, cioè che il lavoro da essa abitualmente esercitato, durante il periodo di cinque anni che scadono sei mesi prima della sua entrata in servizio, in seno all’ufficio del CNR a Bruxelles, non corrispondeva ad una situazione derivante da «servizi effettuati per un altro Stato», ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto. Pertanto, non ricorrevano neanche le condizioni per il pagamento dell’indennità di prima sistemazione, come previste dall’art. 5, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto. La ricorrente ha riscosso quest’ultima indennità nel corso dei mesi di settembre e d’ottobre 2003.

91      Dato che la Commissione non ha dimostrato e non sostiene che la ricorrente avesse effettiva conoscenza dell’irregolarità di tali pagamenti, la seconda condizione stabilita per poter procedere alla ripetizione dell’indebito è l’unica pertinente e occorre pertanto valutare se, nelle circostanze di cui al caso di specie, l’irregolarità dei pagamenti controversi fosse così evidente che la ricorrente non potesse non averne conoscenza.

92      Al riguardo, occorre ricordare che, in conformità ad una giurisprudenza consolidata, l’espressione «così evidente» che compare all’art. 85 dello Statuto non significa che il dipendente che fruisce di pagamenti indebiti sia dispensato da qualsiasi sforzo di riflessione o di controllo, bensì che la restituzione è dovuta allorché si tratta di un errore che non può sfuggire a un dipendente normalmente diligente (sentenza della Corte 17 gennaio 1989, causa 310/87, Stempels/Commissione, Racc. pag. 43, punto 10, e sentenza Ronsse/Commissione, citata al precedente punto 89, punto 46).

93      Nella fattispecie, la scheda dell’ufficio liquidatore dell’8 settembre 2003, consegnata alla ricorrente in tale data e da essa sottoscritta, che contiene un elenco dei diritti della ricorrente come provvisoriamente fissati in tale data, indica esplicitamente che le informazioni che essa contiene «devono essere considerate come provvisorie e possono costituire oggetto di successiva modifica». Inoltre, con la sua sottoscrizione, la ricorrente ha confermato la seguente affermazione contenuta nella detta scheda: «ho preso conoscenza del fatto che la mia retribuzione sarà integralmente versata soltanto se il mio fascicolo personale sarà completo».

94      Precisando così che la fissazione iniziale dei diritti statutari della ricorrente era provvisoria, la Commissione le ha fatto sapere che li avrebbe esaminati ulteriormente in modo più approfondito.

95      È pertanto dimostrato, e la ricorrente d’altra parte non lo contesta, che essa aveva conoscenza del fatto che i diritti statutari, come fissati l’8 settembre 2003 e che sono alla base dei pagamenti di cui trattasi, potevano costituire oggetto di successiva modifica. Infatti, è nella decisione 31 ottobre 2003 che la Commissione ha definitivamente determinato i diritti statutari della ricorrente per quanto riguarda l’indennità di dislocazione e di prima sistemazione.

96      In tale contesto la ricorrente non può invocare la propria buona fede per opporsi al recupero dei pagamenti controversi, poiché sapeva che i suoi diritti all’indennità di dislocazione e di prima sistemazione come inizialmente fissati potevano essere rettificati in seguito ad un esame più approfondito. La Commissione non ha, pertanto, fatto sorgere in capo alla ricorrente alcun legittimo affidamento che osti al recupero, sulla base dell’art. 85 dello Statuto, degli importi indebitamente versati.

97      Peraltro, poiché la ricorrente ha avuto la sua residenza principale ed ha esercitato le sue attività professionali a Bruxelles a partire dal marzo 1993, cioè nel corso di un periodo di dieci anni prima della sua entrata in servizio alla Commissione, non era affatto evidente che essa avesse diritto all’indennità di dislocazione, poiché essa non soddisfaceva a priori i criteri dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto, che presuppongono chiaramente una situazione di dislocazione.

98      Soltanto soddisfacendo i criteri di cui all’eccezione alla regola generale contenuta nell’ultima frase della detta disposizione, cioè nel caso in cui il suo lavoro per il CNR a Bruxelles potesse essere qualificato come «servizi effettuati per un altro Stato», essa avrebbe ciononostante potuto beneficiare dell’indennità di dislocazione e, quindi, dell’indennità di prima sistemazione. Orbene, la durata ed il livello del suo impiego in seno al CNR, benché di carattere non giuridico, le hanno permesso di conoscere adeguatamente lo status ed il funzionamento di tale ente. Al riguardo, la ricorrente stessa cita nel suo reclamo il decreto legislativo 4 giugno 2003, n. 127, dal quale risulta che il CNR ha personalità giuridica indipendente e gode di un certo grado di autonomia rispetto ai pubblici poteri italiani.

99      Ne consegue che la ricorrente avrebbe almeno dovuto nutrire dubbi quanto alla questione se il suo lavoro per il CNR a Bruxelles potesse essere qualificato come «servizi effettuati per un altro Stato» ai sensi dell’allegato VII dello Statuto. Al riguardo, il fatto che il logo della Repubblica italiana compaia sulla carta intestata del CNR non può essere sufficiente per escludere i dubbi che la ricorrente avrebbe dovuto nutrire quanto all’applicabilità dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto, tenuto conto della durata e del livello del suo impiego in seno al CNR.

100    Peraltro, il fatto che la ricorrente abbia ritenuto di aver fornito all’AACC tutte le informazioni necessarie per determinare i suoi diritti l’8 settembre 2003 consegnandole taluni documenti amministrativi e il fatto che la Commissione avrebbe potuto riservarsi il diritto di non versare le indennità di cui trattasi in luogo di versarle a titolo provvisorio non è pertinente, perché non si tratta di stabilire se l’errore fosse o no evidente per l’amministrazione, ma se lo fosse per l’interessata (sentenze del Tribunale 16 luglio 1998, causa T‑156/96, Jensen/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑411 e II‑1173, punto 63, e 17 gennaio 2001, causa T‑14/99, Kraus/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑7 e II‑39, punto 38). Infatti, il fatto che l’amministrazione abbia commesso una negligenza o un errore mostrando incertezze sull’interpretazione da fornire all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto è privo di rilievo nell’applicazione dell’art. 85 dello Statuto, che presuppone proprio che l’amministrazione abbia commesso un errore procedendo al versamento irregolare (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 24 febbraio 1994, causa T‑38/93, Stahlschmidt/Parlamento, Racc. PI pagg. I‑A‑65 e II‑227, punto 23).

101    Ne deriva che la condizione relativa all’evidenza dell’irregolarità dei pagamenti di cui trattasi è, nella fattispecie, soddisfatta, di modo che la Commissione aveva il diritto di procedere, in forza dell’art. 85 dello Statuto, alla ripetizione delle somme indebitamente versate.

102    Infine, con riferimento alla motivazione della decisione 10 dicembre 2003 relativa al recupero delle somme versate, occorre ricordare la giurisprudenza costante secondo cui l’obbligo di motivare una decisione che reca pregiudizio ha lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per stabilire se la decisione sia fondata e, dall’altro, di consentire il controllo giurisdizionale (sentenza della Corte 26 novembre 1981, causa 195/80, Michel/Parlamento, Racc. pag. 2861, punto 22, e sentenza del Tribunale 5 aprile 2005, causa T‑376/03, Hendrickx/Consiglio, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 68).

103    Il Tribunale constata che la decisione 10 dicembre 2003 richiama come base giuridica l’art. 85 dello Statuto e, inoltre, fa riferimento al cambiamento intervenuto nella situazione della ricorrente come giustificazione della decisione di recupero. Detto cambiamento risulta dalla decisione 31 ottobre 2003, che aveva reso noto alla ricorrente che essa non aveva diritto all’indennità di dislocazione, né, di conseguenza, all’indennità di prima sistemazione. Inoltre, la decisione di rigetto dei reclami, la cui motivazione deve coincidere con la motivazione della decisione contro la quale il reclamo era diretto (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 settembre 2005, causa T‑132/03, Casini/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32), contiene, oltre ad un’esposizione chiara della giurisprudenza applicabile, i motivi per i quali l’AACC ritiene che, nella fattispecie, l’irregolarità del pagamento era così evidente che la ricorrente non poteva non averne conoscenza. Essa cita, al riguardo, il fatto che la ricorrente risiedeva a Bruxelles dal marzo 1993, che essa aveva lavorato per il CNR in modo ininterrotto dal 1986 e che essa era a conoscenza delle disposizioni del decreto legislativo 4 giugno 2003, n. 127, come circostanze che avrebbero dovuto indurla ad interrogarsi sulla fondatezza della concessione delle indennità di cui beneficiava e a consultare la Commissione in merito.

104    Così la decisione 31 ottobre 2003 e la decisione di rigetto dei reclami hanno permesso alla ricorrente ed al Tribunale di valutare la fondatezza della decisione 10 dicembre 2003 riguardante il recupero dei pagamenti controversi e quest’ultima era, pertanto, sufficientemente motivata sul piano giuridico alla luce della giurisprudenza citata.

105    Pertanto, anche il motivo vertente sulla violazione dell’art. 85 dello Statuto deve essere respinto.

106    Ne consegue che il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

107    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, in forza dell’art. 88 dello stesso regolamento, nelle cause tra le Comunità e i loro dipendenti, le spese sostenute dalle istituzioni restano a carico di queste ultime. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, si deve decidere che ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.


2)      Ciascuna parte sopporterà le proprie spese.


Jaeger

Tiili

Czúcz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 novembre 2006.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       M. Jaeger


* Lingua processuale: l'italiano.