Language of document : ECLI:EU:C:2011:559

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate l’8 settembre 2011 (1)

Causa C‑282/10

Maribel Dominguez

contro

Centre informatique du Centre Ouest Atlantique

contro

Préfet de la région Centre

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation, Francia)

«Art. 31, n. 2, della Carta — Diritti sociali fondamentali — Principi generali del diritto — Efficacia orizzontale delle direttive — Art. 7 della direttiva 2003/88/CE — Condizioni di lavoro — Organizzazione dell’orario di lavoro — Diritto alle ferie annuali retribuite — Costituzione del diritto alle ferie indipendentemente dal tipo e dalla durata dell’assenza del lavoratore — Disciplina nazionale che subordina il riconoscimento delle ferie a un periodo di lavoro effettivo minimo durante l’anno di riferimento — Obbligo a carico del giudice nazionale di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie al diritto dell’Unione»






Indice


I — Introduzione

II — Contesto normativo

A — Diritto dell’Unione 

1.     Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

2.     Direttiva 2003/88/CE

B — Normativa nazionale

III — Fatti, causa principale e questioni pregiudiziali

IV — Procedimento dinanzi alla Corte

V — Principali argomenti delle parti

A — Sulla prima questione pregiudiziale

B — Sulla seconda questione pregiudiziale

C — Sulla terza questione pregiudiziale

VI — Analisi giuridica

A — Prima questione pregiudiziale

B — Seconda questione pregiudiziale

1.     Considerazioni generali

a)     Aspetti giuridici essenziali

b)     Esistenza di una controversia tra privati

2.     Il ruolo del giudice nazionale in una controversia tra privati

a)     I confini posti dal diritto dell’Unione all’applicabilità delle direttive

b)     Possibili approcci alternativi

i)     Applicabilità diretta del diritto fondamentale di cui all’art. 31, n. 2, della Carta

— Applicabilità della Carta

— Natura di diritto fondamentale

— Mancanza di efficacia verso i terzi

— Conclusione

ii)   Eventuale applicabilità diretta di un altro principio generale del diritto

— Il rango riconosciuto al diritto alle ferie annuali nell’ordinamento dell’Unione

— Applicabilità del principio generale tra privati

— Conclusione

iii) Applicazione del principio generale come specificato dalla direttiva 2003/88

— L’approccio adottato dalla Corte nella sentenza Kücükdeveci

— Trasposizione di questo approccio al diritto alle ferie annuali

— Conclusione

c)     Conclusione finale

3.     Responsabilità accessoria dello Stato membro per violazione del diritto dell’Unione

4.     Conclusione

C — Terza questione pregiudiziale

VII — Conclusione

I —    Introduzione

1.        Con il presente procedimento pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, la Cour de cassation francese (in prosieguo: il «giudice del rinvio») sottopone alla Corte tre questioni pregiudiziali, chiedendole di pronunciarsi in merito all’interpretazione dell’art. 7 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (2).

2.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale trae origine da una controversia che oppone la signora Dominguez (in prosieguo: la «ricorrente nella causa principale») e il suo datore di lavoro, il Centre informatique du Centre Ouest Atlantique (in prosieguo: il «convenuto nella causa principale»), avente per oggetto la questione se e, eventualmente, in che misura, quest’ultimo è tenuto a corrispondere un’indennità finanziaria per le ferie annuali di cui la ricorrente nella causa principale non ha potuto godere a causa di un infortunio. Un aspetto importante, che secondo il giudice del rinvio necessita di chiarimenti, riguarda le modalità di conteggio delle ferie, con la particolarità nella fattispecie che il diritto nazionale applicabile, da un lato, subordina la costituzione del diritto al fatto che il lavoratore abbia lavorato almeno un determinato numero minimo di giorni e, dall’altro, prevede che l’assenza per infortunio non venga sempre e in ogni caso conteggiata come prestazione lavorativa.

3.        Peraltro non è possibile procedere all’accertamento dell’esistenza del diritto alle ferie e, se del caso, determinarne l’esatta portata senza prima aver chiarito se le succitate disposizioni di diritto nazionale possano dirsi compatibili con l’art. 7 della direttiva 2003/88 e se la ricorrente, nel rapporto con il convenuto, possa invocare direttamente tale direttiva. La presente causa solleva, da un lato, alcune questioni di diritto cui la Corte ha già dato una risposta univoca, cosicché essa può sostanzialmente richiamarsi alle sentenze pertinenti. Dall’altro lato, si chiede alla Corte di pronunciarsi sulla collocazione del diritto alle ferie annuali retribuite all’interno della gerarchia delle norme dell’ordinamento giuridico dell’Unione e sulla facoltà del lavoratore di invocare direttamente tale diritto anche nei confronti del datore di lavoro.

4.        A tal fine occorre esaminare quattro diversi possibili approcci, che dovrebbero consentire al lavoratore di affermare i propri diritti nei confronti del datore di lavoro. Occorre verificare in primis l’ammissibilità di un’applicazione orizzontale delle direttive. In seguito, tenuto conto del fatto che nel frattempo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha acquisito efficacia giuridica vincolante, si tratta di esaminare se l’art. 31, n. 2, della Carta possa trovare applicazione diretta. Un’altra alternativa da verificare è se trovi diretta applicazione un principio giuridico generale che riconosca eventualmente al lavoratore un diritto alle ferie annuali. Da ultimo, esaminerò fino a che punto si possa ricorrere all’approccio adottato dalla Corte nella sentenza Kücükdeveci (3), analizzandone nel dettaglio i vantaggi e gli svantaggi. La presente causa offre alla Corte l’occasione di riflettere su tale approccio da un punto di vista dogmatico e, se necessario, di precisarlo.

II — Contesto normativo

A —    Diritto dell’Unione (4)

1.      Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

5.        Il titolo IV («Solidarietà») della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») sancisce, all’art. 31, il diritto di ogni lavoratore a «condizioni di lavoro giuste ed eque». L’art. 31, n. 2, stabilisce quanto segue:

«Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite».

6.        Il titolo VII («Disposizioni generali») individua, nell’art. 51, l’ambito di applicazione della Carta. L’art. 51, n. 1, così recita:

«Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze».

2.      Direttiva 2003/88/CE

7.        L’art. 1 della direttiva 2003/88 dispone quanto segue:

«Oggetto e campo di applicazione

1.      La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

2.      La presente direttiva si applica:

a)      ai periodi minimi di (...) ferie annuali (...)».

8.        L’art. 7 di tale direttiva così recita:

«Ferie annuali

1.      Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

2.      Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro».

9.        L’art. 17 della direttiva 2003/88 prevede che gli Stati membri possano derogare a talune disposizioni della direttiva medesima. Non sono consentite deroghe all’art. 7.

B —    Normativa nazionale

10.      L’art. L. 223-2, primo comma, del code du travail (codice del lavoro), applicabile nella causa principale, stabilisce quanto segue:

«Il lavoratore che, nel corso dell’anno di riferimento, comprovi di essere stato occupato presso lo stesso datore di lavoro per un periodo equivalente a un minimo di un mese di lavoro effettivo ha diritto a ferie la cui durata è determinata in ragione di due giorni e mezzo lavorativi per mese di lavoro senza che la durata complessiva delle ferie esigibili possa superare trenta giorni lavorativi».

11.      L’art. L. 3141-3 del nuovo code du travail, nella formulazione derivante dalla legge 20 agosto 2008, prevede che:

«Il lavoratore che comprovi di aver lavorato presso lo stesso datore di lavoro per un periodo equivalente a un minimo di dieci giorni di lavoro effettivo ha diritto a ferie pari a due giorni e mezzo lavorativi per mese di lavoro. La durata complessiva delle ferie esigibili non può superare trenta giorni lavorativi».

12.      L’art. L. 223-4 del code du travail applicabile all’epoca dei fatti stabilisce quanto segue:

«Sono assimilati a un mese di lavoro effettivo per la determinazione della durata delle ferie i periodi equivalenti a quattro settimane o ventotto giorni lavorativi. I periodi di ferie retribuite, i riposi compensativi previsti all’art. L. 212-5-1 del presente codice e all’art. L. 713-9 del code rural (codice rurale), i periodi di congedo per maternità previsti agli artt. da L. 122-25 a L. 122-30, i giorni di riposo acquisiti a titolo della riduzione dell’orario di lavoro e i periodi limitati a una durata ininterrotta di un anno durante i quali l’esecuzione del contratto di lavoro è sospesa a causa di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, sono considerati periodi di lavoro effettivo. (Sono ugualmente considerati nel periodo di lavoro effettivo ai fini della determinazione della durata delle ferie i periodi durante i quali un dipendente o un apprendista si trova trattenuto o richiamato al servizio militare [servizio obbligatorio a livello nazionale nel settore civile o militare] a qualsiasi titolo).».

13.      L’art. L. 3141‑5 del code du travail in vigore, a sua volta, prevede quanto segue:

«Sono considerati periodi di lavoro effettivo per la determinazione della durata delle ferie:

1)      i periodi di ferie retribuite;

2)      i periodi di congedo di maternità, paternità e adozione, adozione ed educazione dei figli;

3)      i riposi compensativi obbligatori previsti all’art. L. 3121‑26 del presente codice e all’art. L. 713‑9 del codice rurale;

4)      i giorni di riposo maturati a titolo della riduzione dell’orario di lavoro;

5)      i periodi, nel limite di una durata ininterrotta di un anno, durante i quali l’esecuzione del contratto di lavoro è sospesa a causa di infortunio sul lavoro o di malattia professionale; e

6)      i periodi durante i quali un dipendente si trova trattenuto o richiamato al servizio militare a qualsiasi titolo».

14.      L’art. XIV, quarto comma, del regolamento tipo allegato al contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli istituti di previdenza sociale prevede che in un dato anno il diritto alle ferie annuali non maturi in caso di assenze per malattia o malattia prolungata che abbiano motivato un’interruzione di lavoro pari o superiore a dodici mesi consecutivi, assenze per servizio militare obbligatorio, congedi non retribuiti previsti agli artt. 410, 44 e 46 del contratto collettivo; il diritto alle ferie ricomincia a maturare alla data della ripresa del lavoro, poiché la durata delle ferie è stabilita in misura proporzionale all’orario di lavoro effettivo che non abbia ancora dato luogo all’attribuzione di ferie annuali».

III — Fatti, causa principale e questioni pregiudiziali

15.      La ricorrente nella causa principale è impiegata, dal 10 gennaio 1987, presso il convenuto nella causa principale, il quale rientra nell’ambito di applicazione del contratto collettivo del personale degli istituti di previdenza sociale.

16.      Il 3 novembre 2005 la ricorrente rimaneva vittima di un incidente in itinere, lungo il tragitto tra la sua abitazione e il luogo di lavoro. In seguito a detto incidente si assentava dal lavoro per malattia dal 3 novembre 2005 al 7 gennaio 2007.

17.      In data 8 gennaio 2007 la ricorrente riprendeva la propria attività, inizialmente a tempo parziale e poi, dall’8 febbraio 2007, a tempo pieno. Dopo il suo rientro il convenuto le comunicava il numero dei giorni di ferie che, in base ai suoi calcoli, le spettavano per il periodo di assenza. La ricorrente agiva giudizialmente contro tale provvedimento, chiedendo al datore di lavoro il riconoscimento, per tale periodo, di 22,5 giorni di ferie retribuite o, in subordine, la corresponsione di un’indennità sostitutiva pari a EUR 1 971,39.

18.      La ricorrente faceva valere le proprie pretese, in un primo momento, di fronte al Conseil de prud’hommes de Limoges, che non le accoglieva. La ricorrente impugnava, quindi, la decisione davanti alla Cour d’appel di Limoges. Tuttavia, con sentenza del 16 settembre 2008, la Cour d’appel rigettava il ricorso e accertava, tra l’altro, che il convenuto nella causa principale, in qualità di datore di lavoro, aveva correttamente applicato le pertinenti disposizioni di diritto del lavoro e che, a ragione, aveva negato che fosse maturato un suo diritto alle ferie, poiché la ricorrente nella causa principale, a seguito dell’incidente in itinere, era stata assente per più di dodici mesi e durante questo periodo non aveva prestato un lavoro effettivo. La Cour d’appel dichiarava, inoltre, che la ricorrente nella causa principale non poteva rifarsi alla normativa giuslavoristica applicabile agli infortuni sul lavoro.

19.      Con l’impugnazione proposta davanti alla Cour de cassation, la ricorrente contesta detta decisione, sostenendo, da un lato, che un incidente in itinere deve essere equiparato ad un infortunio sul lavoro e che, quindi, le deve essere riconosciuto lo stesso trattamento. Dall’altro lato, fa valere che il periodo di sospensione del suo contratto di lavoro dovuto all’incidente in itinere deve essere assimilato a lavoro effettivo ai fini del calcolo delle ferie retribuite.

20.      Alla luce della giurisprudenza della Corte, ampiamente citata, il giudice del rinvio avanza dei dubbi sia quanto alla compatibilità delle disposizioni nazionali giuslavoristiche applicabili al caso di specie, sia in merito all’obbligo del giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di legge nazionali contrarie al diritto dell’Unione.

21.      In tale contesto, la Cour de cassation ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)      Se l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88/CE debba essere interpretato nel senso che osta a disposizioni o pratiche nazionali che prevedano che il diritto alle ferie annuali retribuite sia subordinato a un lavoro effettivo minimo di dieci giorni (o un mese) durante il periodo di riferimento.

2)      In caso di soluzione affermativa, se l’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, che istituisce un obbligo particolare per il datore di lavoro, in quanto sancisce il diritto a ferie retribuite a beneficio del lavoratore assente per ragioni di salute per una durata pari o superiore a un anno, imponga al giudice nazionale cui sia sottoposta una controversia tra privati di escludere una disposizione nazionale contraria, che subordini in questo caso il diritto alle ferie annuali retribuite a un lavoro effettivo di almeno dieci giorni durante l’anno di riferimento.

3)      Se, dal momento che l’art. 7 della direttiva 2003/88/CE non opera alcuna distinzione tra i lavoratori la cui assenza dal lavoro durante il periodo di riferimento sia causata da infortunio sul lavoro, malattia professionale, incidente in itinere o malattia non professionale, i lavoratori abbiano diritto, in virtù di detta disposizione, a ferie retribuite di durata identica a prescindere dalla causa dell’assenza per motivi di salute, ovvero se detta disposizione debba essere interpretata nel senso che non osta a che la durata delle ferie retribuite possa essere diversa a seconda della causa dell’assenza del lavoratore, visto che la legge nazionale prevede in certe condizioni una durata delle ferie annuali retribuite superiore a quella minima di quattro settimane prevista dalla direttiva.

IV — Procedimento dinanzi alla Corte

22.      L’ordinanza di rinvio del 2 giugno 2010 è pervenuta nella Cancelleria della Corte il 7 giugno successivo.

23.      Hanno presentato osservazioni scritte entro il termine stabilito dall’art. 23 dello Statuto della Corte le parti della causa principale, i governi danese, francese e olandese e la Commissione europea.

24.      All’udienza del 17 maggio 2011 sono comparsi i rappresentanti processuali delle parti della causa principale, dei governi danese, francese e olandese, nonché della Commissione per presentare osservazioni orali.

V —    Principali argomenti delle parti

A —    Sulla prima questione pregiudiziale

25.      Tutte le parti concordano che la prima questione pregiudiziale può essere risolta alla luce della giurisprudenza della Corte, in particolare, delle sentenze BECTU (5) e Schultz‑Hoff e a. (6). Esse propongono pertanto di risolvere detta questione pregiudiziale riconoscendo che l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che osta a disposizioni o pratiche nazionali che prevedano che il diritto alle ferie annuali retribuite sia subordinato a un lavoro effettivo minimo di dieci giorni (o un mese) durante il periodo di riferimento.

B —    Sulla seconda questione pregiudiziale

26.      Sia le argomentazioni addotte, sia le soluzioni proposte dalle parti per la questione pregiudiziale in oggetto divergono profondamente tra loro.

27.      La ricorrente nella causa principale rimanda alle sentenze Simmenthal (7) e Melki (8), affermando che le considerazioni della Corte nella sentenza BECTU non pregiudicano un’applicazione diretta dell’art. 7 della direttiva 2003/88. A suo parere, la situazione che il giudice nazionale si trova ad affrontare sarebbe piuttosto semplice, dovendo questi disapplicare le disposizioni nazionali che subordinano l’esercizio del diritto alle ferie annuali pagate ad una condizione contraria al diritto dell’Unione.

28.      Il convenuto della causa principale si richiama alla giurisprudenza citata dal giudice del rinvio giungendo alla conclusione opposta. A suo parere, i principi elaborati all’interno di detta giurisprudenza implicano che il giudice nazionale non possa, nell’ambito di una controversia tra privati, disapplicare una norma di diritto nazionale sulla base della sua contrarietà ad una direttiva. Un simile modus operandi equivarrebbe, infatti, ad un’interpretazione contra legem. In considerazione della definizione stessa di direttiva, che vincola gli Stati membri senza essere fonte di obblighi direttamente in capo ai cittadini, non si ravviserebbe alcun motivo per rivedere la costante giurisprudenza in materia, anche perché, altrimenti, si finirebbe per eliminare ogni differenza tra direttive e regolamenti.

29.      I governi francese e olandese si spingono anche oltre nella loro analisi della giurisprudenza.

30.      Il governo francese, ad esempio, ricorda non soltanto la giurisprudenza citata dalla Cour de cassation, ma anche le sentenze Mangold (9) e Kücükdeveci (10), in cui la Corte ha sviluppato ulteriormente la propria giurisprudenza relativa alla posizione del giudice nazionale di fronte a norme di diritto interno contrarie al diritto dell’Unione. Da tali sentenze emergerebbe che, in presenza di un conflitto tra una norma nazionale e un principio generale del diritto dell’Unione, il giudice nazionale deve all’occorrenza disapplicare la disposizione nazionale. A tale riguardo il governo francese evidenzia che, secondo una giurisprudenza costante, il diritto alle ferie annuali retribuite costituirebbe sì un «principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario», ma non sarebbe ancora stato riconosciuto dalla Corte quale principio generale del diritto dell’Unione, come invece, ad esempio, il divieto di discriminazione sulla base dell’età. Per tale motivo, la citata giurisprudenza non potrebbe essere estesa sino a ricomprendere il diritto alle ferie annuali retribuite.

31.      Il governo francese propone pertanto di risolvere la seconda questione pregiudiziale nel senso che, se l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 osta ad una disposizione nazionale in base alla quale il diritto alle ferie annuali retribuite è subordinato a un lavoro effettivo minimo di dieci giorni (o un mese) durante il periodo di riferimento, tale disposizione della direttiva non autorizza però il giudice chiamato a dirimere una controversia tra privati a disapplicare la norma di diritto nazionale.

32.      Il governo olandese formula osservazioni solo in merito a questa questione pregiudiziale. Esso sostiene che il giudice nazionale chiamato a dirimere una controversia tra privati non è tenuto, in base alla giurisprudenza costante della Corte citata dalla Cour de cassation, a disapplicare una norma di diritto nazionale che contrasta con una disposizione di una direttiva. Il giudice nazionale dovrebbe invece interpretare e applicare la disposizione nazionale in modo conforme alla direttiva.

33.      Secondo il governo olandese, la sentenza Kücükdeveci e il fatto che il diritto alle ferie annuali sia considerato essere un «principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario» non ammettono una diversa conclusione, tanto più che detto principio non costituisce un principio generale del diritto.

34.      Mentre i governi francese e olandese ritengono che le considerazioni svolte dalla Corte nella sentenza Kücükdeveci non possano trovare applicazione, la Commissione non ravvisa alcun motivo per escludere un’applicazione analogica nella causa principale.

35.      La Commissione ritiene, quindi, che la seconda questione pregiudiziale debba essere risolta nel senso che compete al giudice nazionale garantire, nell’ambito dei suoi poteri, la tutela giuridica dei singoli e la piena efficacia del diritto dell’Unione, potendo questi, se necessario, disapplicare ogni disposizione nazionale incompatibile con il diritto alle ferie annuali retribuite.

C —    Sulla terza questione pregiudiziale

36.      La ricorrente nella causa principale propone di risolvere la terza questione pregiudiziale nel senso che l’art. 7 della direttiva 2003/88 osta alla previsione di una diversa durata delle ferie retribuite a seconda della causa dell’assenza del lavoratore. Tale disposizione della direttiva imporrebbe invece di riconoscere ai lavoratori il diritto a ferie retribuite della stessa durata, indipendentemente dal motivo che ha determinato l’assenza del lavoratore.

37.      Il convenuto nella causa principale esprime invece un’opinione opposta. Esso ritiene che l’art. 7 della direttiva 2003/88 non osti alle disposizioni che stabiliscono la durata delle ferie annuali retribuite prevedendo un trattamento più favorevole per quei lavoratori che sono stati assenti per malattia o infortunio sul lavoro, nel senso che l’assenza venga per loro equiparata a periodi di effettivo lavoro, rispetto ai lavoratori che si sono assentati per ragioni diverse da un infortunio sul lavoro.

38.      Il governo francese deduce dalla succitata giurisprudenza della Corte che l’art. 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso di ammettere la previsione di una diversa durata delle ferie annuali retribuite a seconda del motivo dell’assenza del lavoratore, essendo comunque garantita la durata minima di quattro settimane prevista da detta direttiva.

39.      La Commissione, pur osservando che dall’ordinanza di rinvio non emergerebbe in modo univoco a quale ipotesi prevista dal diritto nazionale si riferisca la questione pregiudiziale in esame, propone di risolverla nel senso indicato dal governo francese.

VI — Analisi giuridica

A —    Prima questione pregiudiziale

40.      Con la prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede se l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 consenta ad uno Stato membro di subordinare l’esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite a un periodo minimo di lavoro effettivo meglio determinato dalla normativa nazionale, la cui durata, in base al diritto francese, era inizialmente pari ad un mese, mentre oggi, in seguito ad una modifica della legislazione, è pari a dieci giorni.

41.      La soluzione di tale questione pregiudiziale si evince dalla giurisprudenza della Corte, in particolare, dalle sentenze BECTU e Schultz‑Hoff e a. Appare pertanto opportuno ricordare le considerazioni di rilievo ivi svolte dalla Corte, per verificare se possano essere riferite alla causa principale.

42.      Come chiarito dalla Corte in una giurisprudenza costante, il diritto alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88 (11). Prevedendo un fondamento normativo del diritto alle ferie annuali retribuite a livello del diritto derivato, il legislatore dell’Unione intendeva garantire che un lavoratore, in ogni Stato membro, beneficiasse di un riposo effettivo, «per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute» (12). Come affermato dalla Corte nelle proprie sentenze, lo scopo del diritto alle ferie annuali retribuite è consentire al lavoratore di riposarsi e di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione (13).

43.      Non da ultimo per via dell’importanza primaria riconosciuta dal diritto dell’Unione a tale principio, la Corte ha rilevato, al punto 52 della già citata sentenza BECTU, che l’art. 7 della direttiva 93/104/CE — il cui tenore letterale è identico a quello dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 che gli è succeduto — «osta a che gli Stati membri limitino unilateralmente il diritto alle ferie annuali retribuite, conferito a tutti i lavoratori, subordinandone la concessione ad una condizione che ha l’effetto di escludere taluni lavoratori dal godimento di tale diritto».

44.      Nel punto 53 della stessa sentenza, la Corte ha poi dichiarato che gli Stati membri possono «definire, nella loro normativa interna, le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, precisando le circostanze concrete in cui i lavoratori possono avvalersi di tale diritto, di cui essi godono sulla base dell’integralità dei periodi di lavoro compiuti, ma non possono affatto condizionare la costituzione stessa del diritto, che scaturisce direttamente dalla direttiva 93/104».

45.      Nel punto 55 di detta sentenza la Corte ha, inoltre, chiarito che le modalità di applicazione delle prescrizioni adottate da ciascuno Stato membro possono presentare talune divergenze quanto alle condizioni di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite, dato che la direttiva si limita a fissare le prescrizioni minime di armonizzazione a livello comunitario in materia di organizzazione dell’orario di lavoro e affida agli Stati membri il compito di adottare le modalità di esecuzione e di applicazione necessarie. Sul punto la Corte sottolinea però che «tale direttiva non consente agli Stati membri di escludere la nascita stessa di un diritto esplicitamente conferito a tutti i lavoratori».

46.      La giurisprudenza citata va quindi intesa nel senso che la Corte riconosce, in linea di principio, la competenza degli Stati membri ad adottare le cosiddette modalità di esecuzione, mediante le quali essi possono disciplinare nel dettaglio determinati aspetti dell’esercizio del diritto alle ferie annuali, ad esempio, le modalità secondo cui i lavoratori possono godere le ferie cui hanno diritto durante le prime settimane di lavoro. Tale competenza regolamentare degli Stati membri incontra, tuttavia, un limite laddove la disciplina adottata pregiudica l’effettività del diritto alle ferie annuali retribuite nella misura in cui non sia più garantito il conseguimento della finalità del diritto alle ferie. Ciò accade quando la disciplina nazionale non disciplina «come» il diritto vada esercitato, ma «se» possa essere esercitato.

47.      Nella causa principale si discute chiaramente di una simile disciplina, come peraltro ha ammesso lo stesso governo francese, tanto più che la costituzione stessa del diritto è subordinata alla condizione che il lavoratore abbia svolto un periodo di lavoro effettivo di almeno un mese (nel caso dell’art. L 223‑2 del code du travail, nel frattempo modificato), o di dieci giorni (nel caso dell’attuale art. L 3141‑3 del code du travail). Come diffusamente motivato dal governo francese nelle proprie osservazioni scritte, la previsione di un periodo di lavoro effettivo di almeno dieci giorni si spiega alla luce delle modalità di calcolo della durata delle ferie annuali. La durata indicherebbe un determinato numero di giorni lavorativi, tenuto conto che un giorno di ferie corrisponderebbe, in base a tali modalità di calcolo, a dieci giorni lavorativi.

48.      Nonostante la necessità di effettuare un calcolo esatto delle ferie annuali caso per caso, resta il fatto che, come riconosciuto anche dallo stesso governo francese, la Corte nella sua giurisprudenza non prevede alcuna eccezione alla regola secondo cui l’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite non può essere vanificato da singole misure di attuazione a livello di Stati membri. A tale proposito si ritiene utile evidenziare che la fattispecie alla base della sentenza BECTU era simile a quella oggetto della presente causa, cosicché i principi giurisprudenziali ivi elaborati sono direttamente applicabili alla causa principale. Nell’ambito di tale vertenza, infatti, la Corte era chiamata a decidere se l’art. 7, n. 1, della direttiva 93/104/CE consenta ad uno Stato membro di emanare una normativa nazionale in base alla quale i lavoratori iniziano a maturare diritti alle ferie annuali retribuite solo a condizione di avere compiuto un periodo minimo di tredici settimane di lavoro ininterrotto alle dipendenze dello stesso datore di lavoro. Dato che la Corte ha risposto espressamente in senso negativo a tale questione, mi sembra evidente che la disciplina francese controversa non può essere considerata conforme alla direttiva 2003/88.

49.      Un’altra questione di diritto sollevata nell’ambito della causa principale che — come ha correttamente sottolineato nelle sue osservazioni scritte il convenuto nella causa principale (14) — necessita di chiarimenti ai fini del presente procedimento pregiudiziale, è se il diritto alle ferie annuali retribuite possa maturare anche durante il periodo di assenza del lavoratore per malattia. L’esigenza di chiarire questo aspetto di diritto si spiega con il fatto che da tale punto dipende, in fin dei conti, se la ricorrente nella causa principale vanti un qualche diritto alle ferie per tale periodo o se le possa essere invece opposta la sua assenza dal posto di lavoro.

50.      La giurisprudenza offre indicazioni utili per risolvere anche tale questione. Particolarmente interessante è la sentenza Schultz‑Hoff e a., nella quale la Corte, al punto 39, ha innanzitutto dichiarato che l’art. 7, n. 1, della direttiva si applica, per quanto attiene alle ferie annuali retribuite, ad «ogni lavoratore». Devono poi considerarsi pertinenti le ulteriori osservazioni formulate al punto 40 di detta sentenza, in cui la Corte ha constatato che «la direttiva 2003/88 non pone alcuna distinzione tra i lavoratori assenti dal lavoro a titolo di congedo per malattia, sia esso di durata breve oppure indeterminata, durante il periodo di riferimento, e quelli che hanno effettivamente lavorato nel corso di tale periodo».

51.      Nel punto 41 della citata sentenza la Corte ne ha tratto, a mio parere, una conclusione importante anche ai fini del presente procedimento pregiudiziale, cioè che «per i lavoratori in congedo per malattia debitamente prescritto, il diritto alle ferie annuali retribuite, che scaturisce per ogni lavoratore dalla stessa direttiva 2003/88, non può essere subordinato da uno Stato membro all’obbligo di avere effettivamente lavorato durante il periodo di riferimento stabilito da detto Stato».

52.      La giurisprudenza sopra richiamata deve essere pertanto interpretata nel senso che l’assenza per malattia del lavoratore nel corso dell’anno di riferimento non osta alla costituzione del diritto alle ferie annuali retribuite, a condizione che il congedo per malattia fosse debitamente prescritto. Ciò significa che le assenze dal lavoro per motivi indipendenti dalla volontà della persona impiegata interessata, come ad esempio le assenze per malattia, saranno calcolate nel periodo di servizio. Una previsione analoga è contenuta anche nell’art. 5, n. 4, della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro 24 giugno 1970, n. 132, relativa ai congedi annuali retribuiti (nuova versione), che la Corte ha posto alla base delle proprie considerazioni sul rapporto tra ferie annuali e assenza per malattia.

53.      Si deve, in sintesi, constatare che la disciplina controversa non è conforme alla direttiva 2003/88. A questo stesso risultato giunge anche il governo francese che, nelle proprie osservazioni scritte, ha annunciato di voler intervenire affinché l’art. L. 3141‑3 del code du travail venga modificato (15). Ne consegue che la prima questione pregiudiziale va risolta riconoscendo che l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che osta a disposizioni o pratiche nazionali che prevedano che il diritto alle ferie annuali retribuite sia subordinato a un lavoro effettivo minimo di dieci giorni (o un mese) durante il periodo di riferimento.

B —    Seconda questione pregiudiziale

1.      Considerazioni generali

a)      Aspetti giuridici essenziali

54.      La seconda questione pregiudiziale riguarda espressamente il solo caso in cui — come in effetti è stato accertato nell’analisi che precede — la disposizione di legge nazionale controversa venga riconosciuta non conforme con il diritto dell’Unione. Come emerge dalle considerazioni svolte nell’ordinanza di rinvio riferite specificamente alla questione pregiudiziale in oggetto (16), il giudice del rinvio vuole sostanzialmente sapere se l’art. 7 della direttiva 2003/88 gli imponga un obbligo, basato sul diritto dell’Unione, di disapplicare la disposizione di diritto nazionale controversa nell’ambito di una vertenza tra privati.

55.      La soluzione della presente questione impone di svolgere alcune considerazioni in relazione a due questioni fondamentali di diritto tra loro collegate. Da un lato, si tratta del ruolo dei giudici nazionali nell’ambito dell’applicazione del diritto dell’Unione, come delineato nella giurisprudenza della Corte. Dall’altro, occorre esaminare il significato attribuito dall’ordinamento dell’Unione al diritto alle ferie annuali e la sua attuabilità.

b)      Esistenza di una controversia tra privati

56.      Prima di occuparmi di questi aspetti centrali della questione pregiudiziale, voglio osservare, per ragioni di completezza, che il fatto che la causa principale veda contrapposti due privati non incide, a mio parere, sulla discussione.

57.      Occorre in primo luogo ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, incombe soltanto al giudice del rinvio definire l’oggetto delle questioni che intende sottoporre alla Corte. Spetta, infatti, esclusivamente al giudice nazionale, che si assume la responsabilità della decisione, valutare, alla luce delle particolarità di ciascuna causa, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini del giudizio, quanto la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte (17).

58.      Se il giudice, nell’ordinanza di rinvio, muove dal presupposto che si tratti di una controversia tra privati e non solleva, quantomeno non in modo esplicito, il dubbio di un’eventuale appartenenza del convenuto della causa principale allo Stato francese, e cioè alla sua pubblica amministrazione, la Corte è vincolata da tale valutazione.

59.      In via eccezionale la Corte può però esaminare i motivi che hanno indotto il giudice nazionale a sottoporre una determinata questione. In base alla giurisprudenza, ciò accade quando è evidente che la Corte è stata in realtà chiamata a decidere di una controversia precostituita o a rendere un parere a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, se l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (18).

60.      I presupposti a tal fine richiesti non ricorrono nel caso in esame. In base alle osservazioni chiarificatrici formulate dalle parti nel corso dell’udienza, la causa principale ha ad oggetto una controversia derivante da un contratto di lavoro, nell’ambito del quale il convenuto agisce, nei confronti della ricorrente, come privato e non quale autorità dotata di poteri pubblici. Queste considerazioni confermano in definitiva la valutazione del giudice del rinvio.

2.      Il ruolo del giudice nazionale in una controversia tra privati

a)      I confini posti dal diritto dell’Unione all’applicabilità delle direttive

61.      Quanto al ruolo del giudice nazionale chiamato a dirimere una controversia tra privati nella quale la normativa nazionale — come nella causa principale — appaia contraria al diritto dell’Unione, la Corte ha statuito che spetta ai giudici nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme di diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia (19). Una limitazione importante consiste, tuttavia, nell’ambito delle controversie tra privati, nel fatto che secondo la giurisprudenza una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (20).

62.      Ne consegue, secondo la Corte, che neanche una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva volta a conferire diritti o ad imporre obblighi ai privati può trovare applicazione, in quanto tale, nell’ambito di una controversia che veda contrapposti esclusivamente dei singoli. La Corte giustifica la propria posizione osservando che, diversamente, si finirebbe con il riconoscere in capo all’Unione il potere di emanare norme che comportano l’insorgenza con effetto immediato di obblighi a carico dei singoli, mentre tale competenza le spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti (21). Tale posizione rispetta la natura particolare della direttiva che, per definizione, fa sorgere direttamente obblighi soltanto a carico degli Stati membri destinatari, che ne sono i destinatari ai sensi dell’art. 288, n. 3, TFUE, e può imporre obblighi ai singoli soltanto attraverso provvedimenti nazionali di trasposizione.

63.      Questa giurisprudenza va condivisa. Pertanto si deve anche negare la differenziazione più volte proposta (22), con riguardo ai rapporti orizzontali, tra un’efficacia diretta positiva e negativa delle direttive. Secondo tale tesi, le direttive non recepite non possono creare direttamente obblighi a carico dei singoli nei confronti di altri soggetti di diritto privato; tuttavia il diritto nazionale non conforme alla direttiva — in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione — andrebbe disapplicato anche nell’ambito di controversie tra privati. Contro tale posizione viene correttamente eccepito che un simile approccio lederebbe la certezza del diritto (23). A seconda del contesto normativo in cui si colloca la norma non conforme al diritto dell’Unione all’interno del diritto nazionale, una sua disapplicazione può comportare, infatti, un’estensione degli obblighi a carico di un soggetto privato; tuttavia ciò dipende — dal punto di vista del diritto dell’Unione — da fattori sostanzialmente casuali, quali, ad esempio, la presenza nell’ordinamento nazionale di un’altra norma (che preveda obblighi in capo alla parte) che possa trovare applicazione in caso di sospensione della norma di diritto non conforme alla direttiva.

64.      Di conseguenza, in base alla citata giurisprudenza, la ricorrente nella causa principale non può richiamarsi all’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 per esigere che il giudice del rinvio disapplichi la normativa nazionale non conforme al diritto dell’Unione.

65.      La Corte ha bilanciato la mancanza di un’efficacia orizzontale diretta delle direttive rinviando a soluzioni alternative atte a salvaguardare i singoli che si ritengono lesi dall’omessa o errata trasposizione di una direttiva. Esse contemplano, da un lato, la possibilità di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla direttiva e, dall’altro, l’applicazione dei principi di diritto dell’Unione in materia di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione.

66.      La Corte ha giustificato il metodo dell’interpretazione conforme alle direttive alla luce dell’obbligo in capo a tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali, di raggiungere l’obiettivo previsto da una direttiva e di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo (24). Ciò comporta che nell’applicare il diritto interno, questo deve essere interpretato ricorrendo a tutti i metodi di interpretazione disponibili, procedendo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo di tale direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 288, terzo comma, TFUE (25). Nella sentenza Pfeiffer e a.(26) la Corte ha chiarito come debba procedere il giudice nazionale chiamato a dirimere una vertenza tra privati. Se il diritto nazionale, mediante l’applicazione di metodi di interpretazione da esso riconosciuti, consente in determinate circostanze di interpretare una norma dell’ordinamento giuridico interno in modo tale da evitare un conflitto con un’altra norma di diritto interno o di ridurre a tale scopo la portata di quella norma applicandola solamente nella misura compatibile con l’altra, il giudice ha l’obbligo di utilizzare gli stessi metodi al fine di ottenere il risultato perseguito dalla direttiva.

67.      Come ripetutamente precisato dalla Corte, siffatto obbligo di interpretazione conforme alla direttiva del diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quello della certezza del diritto, nel senso che non può fungere da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (27).

68.      Dall’ordinanza di rinvio non è dato desumere esplicitamente se sia possibile interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla direttiva. Da un esame complessivo della domanda di pronuncia pregiudiziale si può evincere però che, evidentemente, al giudice del rinvio restava solo la possibilità di disapplicare la disciplina controversa, quale unica strada per giungere ad un risultato conforme alla direttiva. In considerazione del fatto che nell’ordinanza il giudice del rinvio cita la giurisprudenza della Corte sui limiti di tale metodo di interpretazione, si può ritenere che nell’ambito della causa principale non sia possibile interpretare la norma in modo conforme alla direttiva senza allo stesso tempo interpretarla contra legem.

b)      Possibili approcci alternativi

69.      Resta quindi da esaminare se il giudice nazionale possa, in determinate condizioni, disapplicare la disciplina nazionale nell’ambito di una controversia che contrappone dei privati. Ritengo che si possano prendere in considerazione tre differenti approcci, che esaminerò di seguito nel dettaglio verificando la loro fattibilità.

70.      Si tratta in primo luogo di verificare se si possa ricorrere ad un’applicazione diretta del diritto fondamentale di cui all’art. 31, n. 2, della Carta (28). Occorre poi chiedersi se il diritto alle ferie annuali retribuite possa essere qualificato come un principio generale del diritto dell’Unione e se esso possa essere applicato direttamente nel contesto di una controversia tra privati (29). Da ultimo, occorre analizzare in maniera critica l’approccio adottato dalla Corte nella sentenza Kücükdeveci al fine di valutarne l’applicabilità alla fattispecie in esame (30).

i)      Applicabilità diretta del diritto fondamentale di cui all’art. 31, n. 2, della Carta

71.      Un primo approccio, come già accennato, potrebbe consistere in un’applicazione diretta del diritto fondamentale alle ferie annuali retribuite sancito dall’art. 31, n. 2, della Carta.

—       Applicabilità della Carta

72.      Se la Carta aveva in origine un carattere eminentemente dichiarativo, in quanto doveva intendersi come espressione dell’impegno dell’Unione al rispetto dei diritti fondamentali, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, tale disposizione ha acquisito definitivamente rango di diritto primario nell’ordinamento giuridico dell’Unione, in forza dell’art. 6, n. 1, TUE (31). Ciò ha per effetto che, in virtù del vincolo ai diritti fondamentali stabilito dall’art. 51, n. 1, della Carta, gli atti giuridici adottati dalle istituzioni dell’Unione nel settore dell’organizzazione dell’orario di lavoro devono ora essere valutati in base a detta disposizione. Gli Stati membri vi sono parimenti vincolati d’ora in avanti, laddove attuino il diritto dell’Unione (32).

73.      Dal momento che i fatti all’origine della causa principale si collocano tra il 2005 e il 2007 e, quindi, in un periodo in cui la Carta non era ancora entrata in vigore, si dovrebbe a ben vedere negare la sua applicabilità ratione temporis alla fattispecie oggetto della presente causa. Così facendo si trascurerebbe però che il giudice dell’Unione le ha riconosciuto un’importanza determinante nell’interpretazione del diritto dell’Unione ben prima della sua incorporazione formale nell’ordinamento dell’Unione (33). Il ricorso alla Carta come ausilio interpretativo non può essere messo in discussione, tanto più che rafforza quei diritti che sono riconosciuti da una molteplicità di strumenti del diritto e che si desumono dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, tanto da poter essere considerati, in definitiva, espressione di un sistema di valori condiviso a livello europeo.

74.      Dopo l’entrata in vigore della Carta, intervenuta nel frattempo, non dovrebbero esserci dubbi circa il suo carattere vincolante in sede di interpretazione, circostanza, questa, confermata, in particolare, dal fatto che la Corte, nel punto 22 della sentenza Kücükdeveci, vi ha fatto riferimento nelle proprie valutazioni giuridiche, nonostante la sua evidente inapplicabilità ratione temporis in quel caso (34). Appare pertanto coerente rifarsi, anche nella presente fattispecie, alle disposizioni della Carta di volta in volta rilevanti quali punto di partenza per l’interpretazione delle altre norme del diritto dell’Unione, tra cui i principi generali del diritto e le norme di diritto derivato. Occorre in particolare evitare qualsiasi interpretazione delle norme che possa porsi in contrasto con i valori della Carta.

—       Natura di diritto fondamentale

75.      L’inquadramento tra i diritti sociali fondamentali del diritto dei lavoratori alle ferie annuali retribuite sancito dall’art. 31, n. 2, della Carta non presenta, a mio parere, particolari difficoltà. Come osservato nelle mie conclusioni nella causa Schultz‑Hoff e a. (35), l’inserimento di tale diritto nella Carta costituisce una conferma della sua natura di diritto fondamentale. Con tale valutazione ho aderito all’opinione dell’avvocato generale Tizzano, che l’aveva già espressa nelle conclusioni presentate nella causa BECTU (36). Per quanto mi risulta, questa posizione viene condivisa anche da una parte non irrilevante della dottrina giuridica (37), che adduce argomentazioni simili a suo sostegno, basate essenzialmente sul tenore letterale e sulla struttura giuridica di questa norma di diritto fondamentale.

76.      Già il tenore letterale della norma legittima, di fatto, la conclusione che il diritto alle ferie annuali retribuite è stato concepito come un «diritto fondamentale», cosicché si può escludere a priori una sua collocazione tra i cosiddetti «principi» indicati all’art. 51, n. 1, della Carta, che non fondano alcun diritto soggettivo diretto, ma piuttosto necessitano di una concretizzazione da parte dei destinatari della norma nell’ambito delle loro competenze. L’art. 31, n. 2, della Carta stabilisce, infatti, che «ogni lavoratore ha diritto ad una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite». Da questa norma emerge con chiarezza come tale garanzia sia un’espressione della tutela dei diritti umani, tanto più che all’interno di questo articolo è posta in primo piano la dignità dell’uomo sul posto di lavoro (38). La norma si differenzia in tal modo nettamente da altre disposizioni del titolo IV («Solidarietà») della Carta, che sono formulate invece piuttosto come una garanzia giuridica oggettiva, nel senso che i diritti ivi previsti sono «riconosciuti» o «rispettati». Queste diverse formulazioni permettono di riconoscere una tutela differenziata a seconda del bene giuridico (39).

77.      Conformemente a questo sistema di tutela differenziato, spesso le norme che contengono unicamente «principi», poiché l’art. 52, n. 5, prima frase, della Carta vincola principalmente il legislatore alla loro attuazione, stabiliscono che la tutela viene garantita soltanto «nella misura prevista dal diritto dell’Unione o dalle leggi e prassi nazionali» (40). Una caratteristica essenziale dei principi è, infatti, che di frequente la loro applicazione presuppone l’adozione di provvedimenti di attuazione che, d’altronde, possono essere emanati soltanto in conformità della ripartizione delle competenze stabilita nei Trattati e nel rispetto del principio di sussidiarietà (41). Il fatto che i principi necessitino, per poter essere operativi, di interventi normativi e organizzativi dell’Unione e dei suoi Stati membri emerge con chiarezza dall’espressione «ne promuovono l’applicazione», contenuta nell’art. 51, n. 1, seconda frase, della Carta, riferibile anche ai principi.

78.      Questo non accade nel caso dell’art. 31, n. 2, della Carta, che rimanda invece ad un’esigenza individuale. La formulazione in termini piuttosto astratti dell’art. 31, n. 1, della Carta, che parla di «condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose» e che trova poi una sua concretizzazione soltanto nel n. 2 di tale disposizione, non può essere addotta come argomento per giustificare una qualificazione di questa norma nel suo complesso come un «principio» ai sensi dell’art. 51, n. 1, della Carta, tanto più che le norme in materia di diritti fondamentali possono, in linea di principio, essere formulate in termini molto astratti al fine di tener conto di cambiamenti politici e sociali (42). Ciò è tanto più vero con riguardo ai diritti sociali, il cui contenuto necessita spesso di essere precisato, non da ultimo a causa dei costi correlati che, in definitiva, possono far dipendere la realizzazione di tali diritti dalle possibilità economiche dello Stato (43).

79.      Neanche con un’interpretazione sistematica si perviene ad una conclusione diversa. Gli artt. 28 e 29 della Carta affermano parimenti che i rispettivi titolari dei diritti fondamentali hanno un «diritto», cosicché entrambe le norme riconoscono dei diritti soggettivi (44). In considerazione della vicinanza di dette disposizioni all’art. 31 della Carta, del loro collegamento dal punto di vista contenutistico e della struttura comune a tutte le norme citate, si può ritenere che anche l’art. 31 della Carta intenda riconoscere un diritto soggettivo.

—       Mancanza di efficacia verso i terzi

Il sistema della tutela dei diritti fondamentali in base alla Carta

80.      La formulazione dell’art. 31 della Carta potrebbe, a prima vista, portare erroneamente a riconoscere alla norma un’efficacia verso i terzi (45) e ad applicarla direttamente al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro. In tal modo, anche i privati sarebbero teoricamente tenuti a garantire condizioni di lavoro giuste ed eque. Ai sensi dell’art. 51, n. 1, prima frase, la Carta si applica però soltanto «alle istituzioni e agli organi dell’Unione come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione». L’art. 52, n. 2, stabilisce poi che «i diritti riconosciuti dalla presente Carta che trovano fondamento nei trattati comunitari o nel trattato sull’Unione europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati stessi». A mio avviso queste disposizioni rimandano ad una voluta limitazione della cerchia dei destinatari dei diritti fondamentali, che a sua volta chiarisce la tipologia di tutela dei diritti fondamentali perseguita dal legislatore dell’Unione.

81.      Sono pertanto giustificati interventi nell’ambito di tutela dell’art. 31 della Carta soltanto se l’Unione o gli Stati membri non garantiscono ai propri dipendenti condizioni di lavoro giuste ed eque o se non adottano i provvedimenti necessari per garantire i diritti menzionati all’art. 31 della Carta, pur avendone le competenze (46). Questa norma riconosce in tal modo ai singoli un diritto soggettivo, che consiste innanzitutto in un obbligo di protezione nei suoi confronti da parte dell’Unione e degli Stati membri.

82.      Una violazione di un diritto fondamentale attribuibile all’azione di uno Stato membro potrebbe così ricorrere, alla luce del tenore letterale univoco dell’art. 51, n. 1, prima frase, della Carta, soltanto nell’ambito dell’applicazione del diritto dell’Unione, ad esempio in sede di recepimento delle direttive nel diritto nazionale (47). Tale disposizione conferma, in ultima analisi, il vincolo ai diritti fondamentali riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte in capo agli Stati membri nell’ambito dell’attuazione del diritto dell’Unione (48). Occorre tuttavia considerare al riguardo che i soggetti tenuti al rispetto dei diritti fondamentali godono di un notevole margine di discrezionalità per la loro attuazione, dato che l’art. 31 della Carta, in quanto diritto fondamentale di tutela, presuppone appunto l’emanazione di regole organizzative (49).

83.      Se si considera, anzitutto, che l’art. 51, n. 1, prima frase, della Carta stabilisce chiaramente la cerchia dei soggetti vincolati dai diritti fondamentali e, in secondo luogo, che la funzione del diritto fondamentale sancito nell’art. 31 della Carta si esaurisce in base alla sua ratio fondando un obbligo di tutela a carico dell’Unione e degli Stati membri, si deve ritenere che tale diritto fondamentale non comporti obblighi direttamente a carico dei soggetti privati (50). Un ulteriore argomento contro un’efficacia diretta verso i terzi dei diritti fondamentali può essere desunto anche dal fatto che i privati non possono soddisfare la riserva di legge prevista nell’art. 52, n. 1, della Carta («Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge»). La richiesta di un intervento statale sui diritti fondamentali non può, in quanto tale, che essere rivolta all’Unione o ai suoi Stati membri, quali portatori di poteri sovrani. I soggetti privati possono pertanto tutt’al più essere vincolati in modo indiretto mediante provvedimenti di attuazione dell’obbligo di protezione (51). Anche le norme di diritto privato vanno peraltro interpretate in senso conforme ai diritti fondamentali. Questo aspetto non risulta però più rilevante ai fini del presente procedimento. Ciò che rileva è piuttosto che il diritto fondamentale alle ferie annuali retribuite sancito nell’art. 31, n. 2, della Carta, non abbia efficacia diretta tra i privati.

Il sistema di tutela dei diritti fondamentali in base alla CEDU

84.      Anche il sistema di tutela dei diritti fondamentali sancito nella Convenzione europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali (CEDU) comprova che non occorre necessariamente prevedere l’obbligo di rispettare tali diritti direttamente in capo ai privati per garantire una tutela adeguata nei cosiddetti rapporti orizzontali; è invece sufficiente che il singolo possa richiamarsi all’obbligo di protezione in capo al legislatore, per impedire violazioni dei diritti fondamentali da parte dei privati.

85.      La CEDU non contempla un diritto alle ferie annuali analogo a quello di cui all’art. 31, n. 2, della Carta; tuttavia occorre considerare che il livello di tutela dei diritti fondamentali sancito dalla CEDU è vincolante per l’ordinamento dell’Unione ai sensi degli artt. 52, n. 3, e 53 della Carta. Tali disposizioni devono essere lette, in conformità della loro ratio, nel senso che il livello di tutela dei diritti fondamentali riconosciuto dalla Carta non può essere inferiore agli standard minimi fissati dalla CEDU (52). Per questo motivo, ma anche in considerazione della futura adesione dell’Unione alla CEDU, come previsto nell’art. 6, n. 2, prima frase, TUE, occorre esaminare i diversi approcci insiti in questo sistema di tutela a livello europeo.

86.      A tale riguardo occorre osservare che in nessuna norma a tutela dei diritti fondamentali contenuta nella CEDU possono rinvenirsi elementi a supporto di un’efficacia verso i terzi, anche se ci sono norme che sembrano suggerire un simile approccio(53). Un’efficacia verso i terzi si scontrerebbe poi con difficoltà pressoché insuperabili anche dal punto di vista procedurale, dato che un ricorso per violazione delle garanzie accordate dalla CEDU proposto da parte di un privato verrebbe dichiarato a priori inammissibile ratione personae (54). La tutela dei diritti fondamentali nei rapporti tra i privati si realizza invece prevedendo in capo allo Stato un obbligo di protezione cui questi deve adempiere adottando misure positive (le cosiddette «obligations positives»). In base a tale modello, spetta allo Stato impedire che soggetti privati (responsabili della violazione) possano ledere la posizione giuridica dei titolari di un diritto fondamentale (vittime) (55) e lo Stato gode a tale riguardo di un certo margine di discrezionalità quanto alla scelta dei mezzi. Soltanto in casi particolari la CEDU impone la previsione di divieti normativi assistiti da una precisa sanzione, come nel caso della tutela della vita da aggressioni di privati ai sensi dell’art. 2 della CEDU. Lo Stato adempie il proprio obbligo di protezione mediante le leggi e la loro attuazione, prevedendo ad esempio, nel settore del diritto privato, un componimento degli interessi in linea con quanto previsto nella CEDU, tutelando in sede penale o in altro modo adeguato i soggetti titolari del diritto fondamentale dalle aggressioni da parte di privati o disciplinando in modo appropriato nel diritto amministrativo le questioni di vicinato (56). La violazione di tale obbligo di protezione viene accertata in modo vincolante dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con una condanna a carico dello Stato interessato (57). In mancanza di una legittimazione passiva in capo ai soggetti privati, una simile condanna non comporta però un concorso di responsabilità a carico del soggetto responsabile cui, in ultima istanza, va imputata la violazione del diritto fondamentale.

87.      Già da questo breve excursus emerge come la dogmatica degli obblighi di protezione, su cui si basa il sistema di tutela dei diritti fondamentali della CEDU, offrendo soluzioni adeguate alle questioni giuridiche in discussione nell’ambito dell’efficacia verso i terzi, faccia apparire superflua la previsione di un vincolo ai diritti fondamentali a carico dei privati (58). Non si può pertanto sostenere che, se venisse negata l’efficacia diretta verso i terzi dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta nell’ambito dei rapporti orizzontali, il grado di tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione sarebbe inferiore rispetto a quello stabilito della CEDU.

—       Conclusione

88.      Il giudice del rinvio non può pertanto invocare l’art. 31, n. 2, della Carta per disapplicare, nell’ambito di una controversia tra privati, una norma di diritto nazionale contraria al diritto dell’Unione che non possa essere interpretata in modo conforme alla direttiva.

ii)    Eventuale applicabilità diretta di un altro principio generale del diritto

89.      Un altro possibile approccio potrebbe consistere nell’applicazione, nel rapporto tra privati, di un altro principio generale del diritto dell’Unione che preveda eventualmente il diritto del lavoratore alle ferie annuali retribuite.

90.      Questo approccio presuppone però che vengano chiarite due questioni fondamentali. Da un lato, occorre verificare se il diritto alle ferie annuali retribuite goda all’interno dell’ordinamento dell’Unione del rango di principio generale del diritto. Dall’altro, si deve chiarire se questo principio generale possa eventualmente trovare applicazione anche nell’ambito di un rapporto tra privati.

—       Il rango riconosciuto al diritto alle ferie annuali nell’ordinamento dell’Unione

La nozione di principio generale del diritto

91.      Per introdurre l’esame della prima questione sollevata è utile fornire una breve sintesi del significato e della funzione dei principi generali nel diritto dell’Unione.

92.      I principi generali del diritto dell’Unione godono, nell’ambito della giurisprudenza della Corte, di una posizione particolare. Ciononostante la nozione di principi generali è ancora oggi controversa (59). La terminologia non è uniforme né nella dottrina giuridica, né nella giurisprudenza. In parte, le divergenze riguardano solo scelte lessicali, per esempio quando la Corte e gli avvocati generali si riferiscono ad una «norma giuridica generalmente ammessa» (60), ad un «principio generalmente ammesso»(61), ad un «principio giuridico fondamentale»(62), ad un «principio fondamentale» (63), ad un semplice «principio generale» (64), ad un «principio» (65) o al «principio generale di uguaglianza che fa parte dei principi fondamentali del diritto comunitario» (66).

93.      Vi è, tuttavia, unanimità nel ritenere che nella giurisprudenza i principi generali rappresentino uno strumento importante per colmare le lacune e per orientare l’interpretazione (67). Ciò deriva non da ultimo dal fatto che l’ordinamento giuridico dell’Unione è un ordinamento in continua evoluzione il quale — data la sua apertura all’evoluzione integratrice — risulta essere necessariamente lacunoso e bisognevole di interpretazione. Consapevole di ciò, anche la Corte si è astenuta da una precisa classificazione dei principi generali, per preservarsi la flessibilità di cui ha bisogno per poter decidere le questioni sostanziali che emergono indipendentemente dalle differenze terminologiche (68). Va riconosciuta, inoltre, l’importanza dei principi generali come criterio per valutare la legittimità e la validità degli atti giuridici (69) dell’Unione e quale base per l’evoluzione giurisprudenziale (70).

94.      In base ad una definizione proposta dalla dottrina, rientrano tra i principi generali le disposizioni fondamentali del diritto primario non scritto dell’Unione che sono immanenti nello stesso ordinamento giuridico dell’Unione europea o che sono comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri (71). Sostanzialmente è possibile distinguere tra principi generali del diritto dell’Unione in senso stretto, vale a dire quelli che emergono esclusivamente dallo spirito e dal sistema dei Trattati e che riguardano specifici aspetti del diritto dell’Unione, e principi generali che sono comuni agli ordinamenti giuridici e costituzionali degli Stati membri (72). Mentre il primo gruppo di principi generali è direttamente desumibile dal diritto primario dell’Unione, per individuare i principi del secondo gruppo la Corte ricorre fondamentalmente ad una comparazione giuridica critico-valutativa (73), senza tuttavia dare alcun rilievo in tale sede al metodo del minimo denominatore comune. Tanto meno si ritiene necessario che i principi in tal modo elaborati siano sempre presenti, con la stessa specifica formulazione assunta a livello di Unione, anche in tutti gli ordinamenti giuridici oggetto di comparazione (74).

95.      I principi generali si distinguono per il fatto che incarnano principi fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri, il che spiega il loro rango di diritto primario all’interno della gerarchia delle fonti dell’ordinamento giuridico dell’Unione (75). Rivestono estrema importanza, in particolare, la tutela dei diritti fondamentali in senso stretto, elaborata e garantita sotto questa ampia denominazione dal sistema giurisdizionale dell’Unione, nonché l’elaborazione di quei diritti processuali equiparabili a diritti fondamentali che, in quanto principi generali dello Stato di diritto, sono stati elevati al rango di diritto costituzionale dell’Unione (76). Fanno pertanto parte dei principi generali anche quelli che risultano strettamente connessi ai principi su cui si fonda l’Unione europea, quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché lo Stato di diritto di cui all’art. 2 TUE, e che da essi derivano. La loro violazione da parte di uno Stato membro può dare avvio al particolare meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 7 TUE.

96.      Alcuni importanti principi dello Stato di diritto sono stati riconosciuti come principi generali del diritto dell’Unione; tra questi, ad esempio, il principio di proporzionalità (77), la chiarezza giuridica (78) o il diritto del cittadino ad un’effettiva protezione giuridica (79). In quest’ambito rientrano anche vari principi generali di corretta amministrazione, come il principio della tutela del legittimo affidamento (80), il principio ne bis in idem (81), il diritto alla difesa (82), anche nel senso di avere la possibilità di presentare osservazioni in caso di atti lesivi (83), l’obbligo di motivazione degli atti giuridici (84) o il principio del previo accertamento da parte dell’autorità procedente di tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (85). Rientra altresì nella casistica l’invocazione della «forza maggiore» (86). Si possono tuttavia rinvenire anche principi non estranei al diritto contrattuale, come ad esempio il principio giuridico generale pacta sunt servanda (87) o il principio clausula rebus sic stantibus (88).

97.      Nella direzione dello Stato sociale rilevano ad esempio il riconoscimento del principio della solidarietà (89) o l’obbligo di assistenza dell’amministrazione nei confronti dei suoi dipendenti (90). Sul versante del riconoscimento dei vincoli federali interni all’Unione europea rientrano il più volte sottolineato principio di collaborazione tra gli Stati membri e i loro obblighi di cooperazione nei rapporti con l’Unione. Sul fondamento dell’art. 10 CE, la Corte ha così elaborato il principio della reciproca lealtà comunitaria (91). La Corte ha inoltre accolto il principio di democrazia, sottolineando ad esempio la necessità di una partecipazione effettiva del Parlamento al processo legislativo dell’Unione in conformità alle procedure previste dal Trattato (92).

98.      Tra i diritti fondamentali dell’Unione che la Corte ha riconosciuto ricorrendo alla già menzionata valutazione di diritto comparato e sulla scorta di convenzioni internazionali ed europee sui diritti dell’uomo, si annoverano quei diritti fondamentali dell’uomo che caratterizzano le società liberali e democratiche, come ad esempio la libertà di espressione (93) e la libertà di associazione (94). Vi rientrano parimenti quei principi fondamentali che emergono direttamente dai Trattati, come il principio di non discriminazione sulla base della cittadinanza (95) e il divieto di discriminazione fondata sul sesso (96).

Del diritto alle ferie annuali retribuite nell’Unione europea

99.      Non è chiaro se il diritto alle ferie annuali retribuite risponda ai requisiti posti dalla giurisprudenza per ravvisare un principio generale. A tal fine esso dovrebbe rivestire un’importanza fondamentale nel settore del diritto del lavoro dell’Unione, analogamente agli esempi sopra riportati, al punto

100. da aver trovato espressione in numerose norme del diritto primario o del diritto derivato dell’Unione.

101. Quale ulteriore strumento interpretativo occorre tener conto dei numerosi trattati internazionali a tutela dei diritti dell’uomo e dei lavoratori cui hanno aderito gli Stati membri dell’Unione.

102. Da ultimo, si deve analizzare anche il diritto degli Stati membri. Il ricorso all’approccio comparativo spesso adottato dalla Corte potrebbe, infatti, aiutare a chiarire se le tradizioni costituzionali (97) o comunque le disposizioni fondamentali del diritto del lavoro nazionale riconoscano a tale diritto una posizione preminente all’interno degli ordinamenti giuridici nazionali.

Norme di diritto dell’Unione

103. Per quanto attiene alle norme di diritto dell’Unione applicabili, nel prosieguo si possono riprendere le considerazioni svolte in precedenza circa la qualificazione del diritto alle ferie annuali retribuite quale diritto fondamentale. Come già accennato, la codificazione di tale diritto nell’art. 31, n. 1, della Carta costituisce una conferma della sua posizione preminente all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione. A tale riguardo occorre ricordare che la Carta, come si può leggere nel suo quinto considerando, «riafferma (…) i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall’Unione e dal Consiglio d’Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo». In altre parole, la Carta non fa altro che ribadire quello che è lo stato attuale dei diritti fondamentali riconosciuti nell’Unione europea.

104. Anche se si deve riconoscere che l’art. 7, n. 1, della direttiva 93/104/CE — la disposizione che costituisce l’antecedente normativo dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 — è servito da esempio per la formulazione dell’art. 31, n. 1, della Carta, non per questo si può essere indotti a credere che il diritto alle ferie annuali retribuite sia stato previsto per la prima volta nella direttiva sull’orario di lavoro. Tale diritto, indipendentemente dalla durata del periodo di ferie accordato, rientra anzi da molto tempo tra i diritti sociali fondamentali riconosciuti a livello di diritto internazionale.

Disposizioni di diritto internazionale

105. A livello internazionale tale diritto fondamentale è menzionato, ad esempio, nell’art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (98), che conferisce a ciascuno «il diritto al riposo ed allo svago, inclusa una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite». Esso è del pari riconosciuto nell’art. 2, n. 3, della Carta sociale del Consiglio d’Europa (99), nonché nell’art. 7, lett. d), del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (100) come espressione del diritto di ciascuno a condizioni di lavoro eque e giuste. Anche l’art. 8 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori sancisce il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite (101). Quest’ultimo caso è particolarmente significativo, poiché tale Carta riveste un ruolo importante quale strumento interpretativo nella prassi giurisprudenziale della Corte. Essa rispecchia, infatti, le posizioni e le tradizioni comuni degli Stati membri ed è considerata come una dichiarazione dei principi fondamentali a cui l’Unione e gli Stati membri intendono attenersi (102). Nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), quale istituzione specializzata delle Nazioni Unite, il diritto alle ferie minime annuali retribuite è stato, sino ad oggi, oggetto di due convenzioni multilaterali; più precisamente, la convenzione n. 132 (103), entrata in vigore il 30 giugno 1973, che ha modificato la convenzione n. 52 (104), valida sino a quel momento. Entrambe contengono precetti vincolanti per gli Stati firmatari con riferimento all’attuazione del suddetto diritto sociale fondamentale all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali.

106. Questi molteplici atti internazionali si differenziano però tra loro sia per contenuto precettivo, sia per portata normativa, in quanto talvolta rappresentano veri e propri trattati internazionali, mentre in altri casi si tratta solo di dichiarazioni solenni prive di effetto vincolante (105). Anche la sfera d’applicazione ratione personae varia da caso a caso, cosicché la cerchia degli aventi diritto non è mai identica. A questo riguardo, gli Stati firmatari, in quanto destinatari dei suddetti atti, godono solitamente di un ampio margine di discrezionalità in sede di attuazione, cosicché i beneficiari non possono invocare direttamente tale diritto (106). È tuttavia significativo che il diritto alle ferie retribuite venga qualificato in modo inequivocabile dalla totalità dei succitati atti internazionali come uno dei diritti fondamentali dei lavoratori.

Gli ordinamenti giuridici degli Stati membri

107. I diritti sociali presentano connotazioni molto differenti tra loro sul piano costituzionale. Diversi testi costituzionali, ma non tutti, contengono in relazione alle condizioni di lavoro garanzie comprendenti il diritto dei lavoratori ad un periodo di riposo.

108. L’art. 11, n. 5, della costituzione lussemburghese e l’art. 40, n. 2, della costituzione spagnola prevedono, ad esempio, l’obbligo di creare condizioni di lavoro salubri e di garantire il riposo dei lavoratori o di farsene carico (107). Una disciplina molto più completa e maggiormente aderente alla formulazione dell’art. 31 della Carta si rinviene nell’art. 36 della costituzione italiana, che prevede in particolare il diritto ad un giorno di riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite. La costituzione del Portogallo sembra essere stata uno dei modelli ispiratori delle norme della Carta, in quanto il suo art. 59, n. 1, lett. d), sancisce il diritto al riposo e allo svago, a una durata massima del lavoro giornaliero, a una pausa di riposo settimanale, nonché a ferie periodiche retribuite (108). Occorre però osservare che i diritti sociali formulati in modo dettagliato e soggettivo in tali costituzioni in linea generale vengono interpretati esclusivamente come volti ad attribuire allo Stato il compito di provvedere in tal senso, e non invece come diritti direttamente azionabili (109).

109. Nella maggior parte dei vecchi Stati membri dell’Unione europea il diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite si basa invece su normative dettate da leggi ordinarie che riflettono i corrispondenti precetti di diritto derivato delle direttive, qualora siano interessati ambiti di applicazione del diritto dell’Unione. È il caso ad esempio del diritto tedesco che, all’art. 20, n. 1, della legge costituzionale (Grundgesetz), individua sì nel «principio dello Stato sociale» un obiettivo dello Stato, dal quale è possibile far derivare diverse prescrizioni minime in materia sociale, ma rimette poi per il resto al legislatore la disciplina delle ferie annuali (110). Ciononostante le costituzioni di molti Land tedeschi prevedono numerose garanzie e principi che prescrivono, tra l’altro, l’obbligo del legislatore del Land di stabilire adeguate ferie retribuite (111).

110. I nuovi Stati membri, con l’eccezione di Cipro, presentano per contro una codificazione molto puntuale di questo diritto. È il caso dell’art. 36, lett. f), della costituzione slovacca, dell’art. 66, n. 2, di quella polacca, dell’art. 70/B, n. 4, di quella ungherese, dell’art. 107 di quella lettone, dell’art. 41, n. 2, di quella rumena, dell’art. 48, n. 5, di quella bulgara, dell’art. 13, n. 2, di quella maltese e dell’art. 49, n. 1, di quella lituana, che garantiscono espressamente il riconoscimento di ferie annuali minime retribuite. Il tema delle condizioni di lavoro in generale è trattato nelle costituzioni della Slovenia (art. 66), della Repubblica ceca (art. 28) e dell’Estonia (art. 29, n. 4) (112).

Conclusioni

111. L’importanza del diritto alle ferie annuali retribuite è riconosciuta ormai da lungo tempo nella giurisprudenza della Corte. Secondo una costante giurisprudenza, tale diritto deve essere considerato come un «principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione», al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88. La Corte non ha tuttavia ad oggi chiarito al di là di ogni dubbio se si tratti di un principio generale del diritto dell’Unione. Il mancato ricorso ad una terminologia uniforme nella giurisprudenza per definire tali principi generali (113), rende ancora più difficile una sua chiara classificazione.

112. L’esame comparativo che precede dimostra tuttavia come l’idea secondo cui al lavoratore spetta il diritto ad un regolare riposo sia presente nell’ordinamento dell’Unione e in quelli dei suoi Stati membri. Il fatto che questo principio goda, sia a livello di Unione (114), sia in molti tra gli Stati membri, di rango costituzionale (115) è già di per sé indice di una posizione preminente di tale diritto, che va nella direzione di una sua classificazione quale principio generale del diritto dell’Unione.

113. A tal fine non rileva il fatto che non tutti gli Stati membri gli riconoscano rango costituzionale all’interno dei propri ordinamenti (116), essendo comunque considerato un elemento centrale del diritto nazionale, e ciò indipendentemente dalla natura privata o pubblica del rapporto di lavoro, come riconosciuto peraltro anche dalla giurisprudenza della Corte (117). In quanto diritto che non è circoscritto ad un determinato settore, ma è piuttosto trasversale ad una molteplicità di settori professionali nell’ambito dei rapporti di lavoro sia di diritto privato, sia di diritto pubblico, occorre riconoscere in tutti gli Stati membri al diritto alle ferie annuali quella validità generale tipica dei principi del diritto e che li distingue da regole specifiche (118). A livello di normativa dell’Unione la situazione non è diversa, dato che, come ho di recente osservato nella mie conclusioni nella causa C‑155/10 (Williams e a.) (119), anche quelle direttive sull’organizzazione dell’orario di lavoro che per le loro caratteristiche contengono discipline specifiche per singoli ambiti lavorativi (120) e che, quindi, possono essere considerate lex specialis rispetto alla norme contenute nella direttiva 2003/88, prevedono disposizioni proprie in materia di diritto alle ferie.

114. Il diritto alle ferie annuali retribuite presenta inoltre, dal punto di vista del contenuto, un minimo di certezza normativa, circostanza, questa, che viene comunemente considerata una precondizione per il riconoscimento quale principio generale del diritto (121). Tale circostanza conferma, da un lato, la contrapposizione con alcuni principi generali del diritto riconosciuti dalla giurisprudenza, quali, ad esempio, il già citato «principio di democrazia» o la «solidarietà», che si caratterizzano per la loro astrattezza. Dall’altro lato, tale condizione trova conferma nella chiarezza dell’obiettivo perseguito dal diritto. A prescindere dal necessario intervento del legislatore per meglio definirne i contenuti, il diritto alle ferie annuali mira in linea generale ad esonerare temporaneamente il lavoratore dall’obbligo contrattuale della prestazione lavorativa. Nella misura in cui questo diritto soddisfa i requisiti minimi di determinatezza dal punto di vista contenutistico, esso risponde alle condizioni previste per essere considerato ancora un principio generale.

115. Con queste premesse si deve dunque constatare che parecchi argomenti depongono a favore di un riconoscimento al diritto alle ferie annuali del rango di principio generale nell’ordinamento dell’Unione.

—       Applicabilità del principio generale tra privati

116. Occorre inoltre chiarire se questo principio generale possa eventualmente trovare applicazione anche nei rapporti tra privati.

Possibilità teorica di un’applicazione diretta

117. La giurisprudenza della Corte ha riconosciuto che i singoli possono, nell’ambito del loro rapporto con lo Stato, richiamarsi ai principi generali (122). Sino ad oggi non ha invece preso posizione in modo esplicito sulla questione fondamentale dell’applicabilità diretta o meno dei principi generali nei rapporti tra privati.

118. Tale questione merita particolare attenzione, proprio in considerazione dell’importanza che riveste la tutela individuale dei diritti fondamentali. Da un lato, infatti, l’origine e lo scopo dei principi generali inducono a ritenere che essi siano volti in primis a tutelare il singolo da interventi arbitrari della pubblica amministrazione, cosicché andrebbe negata una loro applicabilità diretta tra privati. Dall’altro lato, però, si può anche sostenere che la tradizionale contrapposizione «pubblico/privato» da tempo non vada più considerata attuale in uno Stato moderno. Si possono effettivamente immaginare casi in cui la tutela dei diritti fondamentali nei confronti di soggetti privati appare tanto necessaria quanto nei confronti delle autorità, con la conseguenza che il mancato riconoscimento di tale tutela equivarrebbe ad una violazione di detti diritti (123).

119. È il caso, ad esempio, dei rapporti di lavoro come quelli della controversia in esame, tanto più che un rapporto di lavoro — indipendentemente dalla sua natura privata o pubblica — è caratterizzato di norma da un’asimmetria nel rapporto di forza tra lavoratore e datore di lavoro (124). Dato però che spesso dipende unicamente dal caso se il datore di lavoro è un soggetto privato o la pubblica autorità (125), sarebbe difficile giustificare il riconoscimento di una differente tutela a seconda della fattispecie specifica.

120. A favore della vincolatività per i privati dei diritti fondamentali, quali principi generali, deporrebbero non da ultimo il principio di effettività (effet utile) nel diritto dell’Unione e l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Il riconoscimento dell’efficacia verso i terzi dei diritti fondamentali potrebbe, infatti, contribuire a garantire al diritto dell’Unione un elevato grado di effettività in determinati settori. Mentre gli Stati membri, in virtù del vincolo ai diritti fondamentali, possono applicare il diritto dell’Unione soltanto in senso conforme ai diritti fondamentali, i privati potrebbero mettere in pericolo l’efficacia pratica del diritto dell’Unione nell’ambito dei loro rapporti giuridici, se fosse loro concesso di violare i diritti fondamentali nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione. In tal modo si metterebbe in pericolo l’unità del diritto dell’Unione (126).

121. Un esame della giurisprudenza sinora sviluppata permette di individuare elementi in questa direzione nelle argomentazioni della Corte.

122. Elementi a favore di una diretta applicabilità dei principi generali nei rapporti tra privati possono essere desunti, ad esempio, dalla sentenza Defrenne (127), nella quale la Corte ha riconosciuto che il principio sancito dall’art. 119 del Trattato CEE (divenuto art. 157 TFUE) fonda un diritto alla parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile che gli interessati possono far valere dinanzi ai giudici nazionali, senza distinzione nei confronti dei datori di lavoro pubblici e privati.

123. Conferme in tal senso giungono poi dalla giurisprudenza in materia di applicazione delle libertà fondamentali nei confronti dei privati, come ad esempio dalla sentenza Walrave (128), nella quale la Corte ha deciso che il divieto di discriminazione sulla base della cittadinanza stabilito dagli artt. 7, 48 e 59 del Trattato CEE (divenuti gli artt. 18, 45 e 56 TFUE) investe non solo gli atti dell’autorità pubblica, ma anche le norme di qualsiasi altra natura — nella fattispecie in esame quelle di un’associazione sportiva — dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e la prestazione di servizi. La Corte ha motivato la propria decisione osservando che l’abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e alla libera prestazione di servizi sarebbe compromessa se, oltre alle limitazioni stabilite da norme statali, non si eliminassero anche quelle poste da associazioni o organismi non di diritto pubblico nell’esercizio della loro autonomia giuridica. Inoltre, poiché nei vari paesi membri la prestazione del lavoro è disciplinata talvolta da norme emanate dallo Stato, talvolta da contratti o atti di natura privatistica, se il divieto sancito dal diritto dell’Unione avesse valore unicamente per gli atti della pubblica autorità potrebbe scaturirne una difformità d’applicazione (129). Successivamente, nella sentenza Bosman (130), la Corte ha dichiarato che le norme di diritto primario in materia di libera circolazione dei lavoratori trovano applicazione anche con riguardo alle discipline dei trasferimenti delle federazioni calcistiche internazionali FIFA («Fédération Internationale de Football Association») e UEFA («Fédération Européenne des Associations de Football»).

124. D’altro canto, si può discutere se sia corretto trarre tout court dalle sentenze Walrave e Bosman conclusioni a favore di un’applicabilità generale dei diritti fondamentali in forma di principi generali nei rapporti tra privati, tanto più che in entrambe le cause si discuteva dell’applicabilità delle libertà fondamentali a organizzazioni private dotate in una certa qual misura di competenze normative e che pertanto avevano natura semipubblica. Si potrebbe quindi sostenere che la decisione della Corte nell’ambito di tali cause fosse giustificata alla luce delle particolari circostanze. Se si condividono tali considerazioni, si dovrebbe negare qualsiasi parallelo con la presente fattispecie, alla luce del fatto che il convenuto nella causa principale non è un soggetto privato dotato di simili competenze normative.

125. Si può individuare un altro elemento a favore dell’applicabilità diretta dei principi generali nei rapporti tra privati nella sentenza Angonese, relativa all’accesso all’impiego in una banca privata, nella quale la Corte ha sostenuto che «il divieto della discriminazione in base alla cittadinanza, enunciato dall’[art. 45 TFUE], si applica anche ai privati» (131).

126. Non si può da ultimo dimenticare, a questo proposito, la sentenza Kücükdeveci (132), nella quale la Corte ha applicato per la prima volta ad un rapporto di lavoro il principio di non discriminazione in base all’età, di cui aveva riconosciuto la natura di principio generale all’interno dell’ordinamento dell’Unione con la sentenza Mangold (133). Al riguardo occorre osservare che la Corte, nel fondare la diretta applicabilità del principio giuridico generale, ha adottato un proprio peculiare approccio che, non da ultimo per il suo carattere innovativo, merita di essere esaminato nel dettaglio dal punto di vista dogmatico. Si rimanda pertanto alle considerazioni svolte in prosieguo (134) nell’ambito della dettagliata disamina separata di tale approccio.

127. Riassumendo, si deve riconoscere che, in base alla citata giurisprudenza, non si può escludere in linea di principio l’applicabilità diretta dei diritti fondamentali in forma di principi generali nell’ambito di un rapporto tra privati (135).

Rischio di valutazioni non conformi alla disposizioni della Carta

128. Con l’entrata in vigore della Carta, il diritto alle ferie annuali retribuite trova il proprio fondamento normativo nell’art. 31, n. 2, della stessa. Un principio generale eventualmente riconosciuto dalla Corte sulla base delle considerazioni svolte nei paragrafi che precedono, che in sostanza preveda lo stesso diritto, potrebbe tuttavia continuare a operare in via autonoma, dato che l’art. 6 TUE richiama espressamente e parallelamente sia la Carta che i diritti fondamentali in quanto principi generali (136). Per quanto attiene al rapporto tra i diritti sanciti nella Carta e i diritti scaturenti dai principi fondamentali, da queste disposizioni si può desumere che si trovano su un piano di parità (137). Di conseguenza, essi possono anche essere applicati in via cumulativa, cosicché al singolo non è fatto divieto di avvalersi della tutela più ampia. Sotto il profilo contenutistico essi dovrebbero comunque in larga misura sovrapporsi, dato che, da un lato, come emerge dai considerando, la Carta dovrebbe riaffermare i diritti derivanti dalle fonti di cognizione del diritto prese in considerazione dalla Corte e, dall’altro lato, costituisce un indizio per il contenuto delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Ciononostante non si può escludere che i diritti fondamentali che traggono origine dai principi generali del diritto e che si sono poi ulteriormente sviluppati presentino un ambito di tutela più ampio rispetto a quelli contenuti nella Carta (138).

129. Occorre osservare che, nella misura in cui nel prosieguo si ammette che nell’ordinamento giuridico dell’Unione mantengano validità in parallelo i diritti fondamentali derivanti dalla Carta e quelli tratti dai principi generali, l’applicazione diretta di un principio generale che riconosca un diritto alle ferie comporta il rischio di una valutazione contrastante, quantomeno nell’ambito di una controversia tra privati. Come già osservato, l’art. 51, n. 1, prima frase, della Carta deve essere interpretato nel senso che il diritto alle ferie annuali retribuite previsto nell’art. 31, n. 2, della stessa, non trova applicazione diretta tra privati. Permettere ai privati di richiamarsi allo stesso tempo a un principio generale del diritto avrebbe tuttavia come conseguenza di aggirare la limitazione della cerchia dei soggetti tenuti al rispetto dei diritti fondamentali prevista dal legislatore dell’Unione nella Carta.

130. Allo stesso tempo, l’esigenza di una tutela coerente dei diritti fondamentali impone che entrambi vengano interpretati, per quanto possibile, in modo conforme (139). Dato che nell’interpretare i diritti fondamentali derivanti dalla Carta occorre tener conto, in base al suo quinto considerando, dei diritti fondamentali derivanti dai principi generali e, soprattutto, dalla giurisprudenza della Corte in materia, le due categorie di diritti non possono presentare contenuti tra loro contrastanti. È necessario invece interpretarli in modo armonico in tutti i casi in cui la Carta lo permetta (140).

131. Nel caso in esame, un’interpretazione armonizzata non sarebbe possibile qualora si ammettesse una diretta applicazione del principio generale nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. La decisione del legislatore dell’Unione di garantire la tutela dei diritti fondamentali — nella causa principale mediante l’art. 31, n. 2, della Carta — solo in modo indiretto, attraverso la previsione di un obbligo di protezione in capo all’Unione e agli Stati membri, verrebbe ad essere vanificata se, con il ricorso a principi generali non scritti, fosse alla fine ammessa una possibilità di efficacia verso i terzi, ivi compreso il diritto di pretendere dal giudice nazionale la disapplicazione di norme interne non conformi al diritto dell’Unione anche nell’ambito dei rapporti tra privati. Per evitare una valutazione non conforme occorrerebbe negare l’applicabilità diretta del principio generale (141).

132. Si deve nondimeno evidenziare che queste considerazioni valgono soltanto nella misura in cui il diritto fondamentale derivante dall’art. 31, n. 2, della Carta e quello che trae origine dal principio generale coincidano, ovvero si tratti di diritti fondamentali che offrono tutela di pari portata. Come osservato preliminarmente, non si può però escludere che i diritti fondamentali che traggono origine dai principi generali e poi continuano a svilupparsi accordino una tutela più ampia rispetto a quella garantita dai diritti sanciti dalla Carta. In un caso simile, a determinate condizioni, potrebbe non porsi un problema di valutazione contrastante con l’art. 51, n. 1, prima frase, della Carta.

133. Le considerazioni che seguono valgono pertanto solo nel caso in cui, in linea di massima, la Corte non ravvisi nell’applicazione nei rapporti tra privati di un principio generale che prevede il riconoscimento di ferie annuali un conflitto con l’art. 51, n. 1, prima frase, della Carta.

Applicabilità al diritto alle ferie annuali retribuite

134. Dato che non può essere esclusa a priori un’applicabilità diretta dei diritti fondamentali sotto forma di principi generali nell’ambito dei rapporti tra privati, si tratta ora di verificare se ne sussistono i presupposti.

Riconoscimento di un diritto soggettivo

135. A tal fine, il diritto alle ferie annuali in esame dovrebbe mirare, in primo luogo, al riconoscimento di diritti soggettivi. Come già osservato, il principio generale accorda un diritto soggettivo, fondando sostanzialmente il diritto del lavoratore nei confronti del datore di lavoro di essere esonerato temporaneamente dall’obbligo della prestazione di lavoro derivante dal contratto per poter godere di un adeguato periodo di riposo. Esso soddisfa in tal modo il primo requisito previsto per un’applicabilità diretta.

Contenuto incondizionato e sufficientemente preciso

136. Il principio generale deve inoltre essere, sotto il profilo sostanziale, incondizionato e sufficientemente preciso, così da poter essere azionato dal privato nei confronti del datore di lavoro. Una norma è incondizionata se la sua applicazione non è soggetta a condizioni e non richiede l’emanazione di ulteriori atti da parte degli organi degli Stati membri o dell’Unione (142). Una norma è sufficientemente precisa se pone un obbligo in termini inequivocabili (143) e, quindi, se è giuridicamente perfetta e in quanto tale può essere applicata da qualsiasi organo giurisdizionale (144).

137. È dubbio che questi presupposti possano dirsi soddisfatti nel caso del diritto alle ferie annuali, tanto più che non è chiaro fin dove operi effettivamente l’ambito di tutela di un principio generale. Dato che la sua portata non può essere determinata a priori in modo preciso e definito, occorrerebbe comunque esaminare in ogni singolo caso se l’ambito di tutela sia stato eventualmente influenzato da provvedimenti dell’Unione e/o dei suoi Stati membri. Questo compito spetterebbe alla Corte, chiamata ad interpretare i principi generali del diritto dell’Unione (145).

138. Per essere sufficientemente preciso, il principio generale deve ricomprendere più aspetti del diritto alle ferie annuali pagate, aspetti che però ragionevolmente spetta al solo legislatore disciplinare, in modo da poter tener conto in maniera adeguata e flessibile delle esigenze del momento. Gli aspetti che vanno disciplinati, si riferiscono, solo per citare un paio di esempi, da un lato, al numero di giorni di ferie da riconoscere, in merito al quale ci si può chiedere se venga inteso un numero preciso di giorni o, piuttosto, un numero minimo. Per essere applicabile direttamente nei confronti del datore di lavoro, il principio generale dovrebbe, dall’altro lato, stabilire la distribuzione dei giorni di ferie nell’arco dell’anno, per garantire che svolgano la loro funzione ricreativa. Il principio generale dovrebbe poi tener conto delle caratteristiche dei singoli settori dell’economia, prevedendo, ove necessario, una disciplina specifica per i singoli settori di attività.

139. È evidente che ciò non è possibile. Da un lato, infatti, non può aversi un principio generale così ampio, senza che venga allo stesso tempo messa in discussione una distinzione concettuale con le regole specifiche (146). Dall’altro lato, occorre considerare che la disciplina di questi aspetti particolari rientra tra le competenze fondamentali del legislatore. Non da ultimo per questo motivo, anche le costituzioni degli Stati membri che riconoscono esplicitamente il diritto alle ferie annuali quale diritto fondamentale rimettono al legislatore nazionale il compito di stabilire le modalità di esecuzione. Lo stesso vale a livello di Unione, con riguardo all’art. 31 della Carta e alla direttiva 2003/88.

140. La competenza legislativa dell’Unione viene esercitata, ai sensi dei Trattati, congiuntamente dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Le prerogative loro riconosciute in quanto legislatori nell’ambito del diritto in materia di ferie, quale parte del diritto sociale dell’Unione, devono essere in ogni caso salvaguardate. Non lo impongono soltanto le ragioni di praticabilità già citate, ma anche l’equilibrio istituzionale all’interno dell’Unione. Quest’ultimo non si fonda sul principio della separazione dei poteri proprio dello Stato di diritto, quanto piuttosto su un principio di ripartizione delle funzioni in virtù del quale le funzioni dell’Unione devono essere esercitate da quelle istituzioni che sono state meglio predisposte dai trattati a tale scopo. A differenza del principio della separazione dei poteri, che serve tra l’altro a garantire la tutela dell’individuo attraverso un contenimento del potere dello Stato, il principio della ripartizione delle funzioni è rivolto ad un effettivo raggiungimento delle finalità dell’Unione (147).

141. Come ho evidenziato nelle mie conclusioni nella causa C‑101/08 (Audiolux), la Corte, quale istituzione dell’Unione ai sensi dell’art. 12, n. 1, TUE, fa essa stessa parte di questo equilibrio istituzionale (148). Tale circostanza implica che la Corte, nella sua qualità di organo giurisdizionale dell’Unione chiamato ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato, è tenuta a rispettare le prerogative legislative del Consiglio e del Parlamento (149). Ciò presuppone necessariamente che la Corte, da un lato, lasci al legislatore dell’Unione il compito affidatogli dai Trattati di legiferare in merito agli orari di lavoro e, dall’altro, mantenga, come ha fatto finora, il necessario riserbo in sede di elaborazione dei principi generali del diritto dell’Unione i quali, a determinate condizioni, potrebbero contrastare con le finalità legislative.

142. L’applicazione diretta nei confronti del datore di lavoro di un principio generale che sancisca il diritto del lavoratore alle ferie annuali presupporrebbe innanzitutto che in sede d’interpretazione la Corte gli attribuisca un contenuto sufficientemente determinato, il che comporterebbe però, in considerazione dell’ampiezza della regolamentazione necessaria, l’esercizio di competenze tradizionalmente riservate al legislatore dell’Unione. Dato che ciò non è possibile, per i motivi suesposti, occorre muovere dal presupposto che questo principio generale, quantomeno nella sua forma pura, non possa essere considerato incondizionato sotto il profilo sostanziale, ma necessiti invece dell’intervento normativo del legislatore perché lo specifichi.

143. Il principio generale non risponde pertanto alle condizioni previste per poter essere direttamente applicabile nell’ambito dei rapporti tra privati.

—       Conclusione

144. Dalle considerazioni esposte consegue che il giudice del rinvio non può, nell’ambito di una controversia tra privati, disapplicare sulla base di un principio generale una disposizione nazionale contraria al diritto dell’Unione che non possa essere interpretata in senso conforme alle direttive.

iii) Applicazione del principio generale come specificato dalla direttiva 2003/88

145. Un altro possibile approccio può consistere nell’applicare il principio generale succitato come specificato dalla direttiva 2003/88 (150).

—       L’approccio adottato dalla Corte nella sentenza Kücükdeveci

146. Nella sentenza Kücükdeveci, richiamata da alcune delle parti nelle loro osservazioni, la Corte ha adottato un approccio analogo, nel senso che ha confermato l’obbligo di ciascun giudice nazionale di affermare il principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro (151), e quindi di disapplicare, ove necessario, ogni contraria disposizione di legge nazionale (152).

147. Con tale affermazione la Corte ha esteso il principio del primato del diritto dell’Unione ai cosiddetti rapporti orizzontali (153). Questo approccio è in linea con la giurisprudenza precedente relativa alla mancanza di efficacia orizzontale diretta delle direttive (154), in quanto la Corte non ha stabilito che la direttiva 2000/78/CE deve trovare applicazione nel rapporto tra privati, ma soltanto il principio di non discriminazione in base all’età ivi espresso, che è un principio generale del diritto dell’Unione — come già dichiarato nella sentenza Mangold (155) — in quanto rappresenta un’applicazione specifica del principio generale della parità di trattamento (156). L’approccio seguito dalla Corte nella sentenza Kücükdeveci si fonda sostanzialmente sull’idea che un principio generale, quale il principio generale di non discriminazione in base all’età, deve essere attuato in modo coerente nell’interesse della tutela giuridica del singolo e dell’efficacia del diritto dell’Unione (157). Dal punto di vista dogmatico questo approccio rappresenta un’evoluzione della giurisprudenza sviluppata nella causa Mangold.

148. In base alle osservazioni svolte dalla Corte, un’applicazione diretta nei rapporti tra privati del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78/CE, può però evidentemente essere presa in considerazione soltanto se ricorrono determinate condizioni. A tal fine, in primo luogo, deve riscontrarsi nella causa principale una disparità di trattamento in base all’età che non sia obiettivamente giustificata, circostanza questa che deve essere verificata alla luce degli elementi della fattispecie come individuati nella direttiva 2000/78/CE (158). In secondo luogo, la normativa nazionale in esame deve affrontare una materia disciplinata dalla direttiva (159).

—       Trasposizione di questo approccio al diritto alle ferie annuali

Condizioni di applicazione

149. Una corrispondente applicazione di questo approccio nella causa principale, con conseguente riconoscimento al giudice nazionale del potere di disapplicare, se necessario, le disposizioni nazionali contrarie al diritto dell’Unione, presupporrebbe, in particolare, che il diritto alle ferie annuali retribuite, al di là della sua codificazione sul piano del diritto derivato nell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88, goda all’interno dell’ordinamento dell’Unione del rango di principio generale, e in questo senso depongono le argomentazioni già illustrate (160).

150. Un’ulteriore condizione sarebbe l’esistenza di un rapporto di lavoro, circostanza, questa, pacifica nella causa principale. Infine, dovrebbe sussistere un diritto alle ferie annuali nel rispetto delle condizioni stabilite dalla direttiva. Quest’ultimo presupposto garantirebbe che il principio generale non trovi un’applicazione illimitata, ma soltanto nella misura in cui la relativa normativa nazionale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/88. Anche questo requisito risulta soddisfatto nella causa principale, dato che oggetto della disciplina controversa è una condizione posta dal legislatore nazionale per l’esercizio del diritto alle ferie annuali (161).

151. Per poter ricorrere al principio generale e contrapporlo al diritto nazionale si dovrebbe infine riscontrare una violazione del diritto alle ferie sancito dalla direttiva. Tale aspetto è già stato esaminato, con esito affermativo, nell’ambito della disamina della prima questione pregiudiziale (162).

152. Da un punto di vista formale, sussistono le condizioni previste per un’applicazione diretta del diritto alle ferie annuali nella forma del principio generale, quale espresso concretamente dalla direttiva 2003/88. Ciononostante è opportuno riflettere sui vantaggi e sugli svantaggi di tale approccio prima di prendere in considerazione un simile modus operandi nella causa in esame (163).

Vantaggi e svantaggi dell’approccio in esame

153. Questo approccio ha il vantaggio di superare i già citati limiti di un’applicazione diretta del principio generale nella sua forma pura (164). Ciò vale, in particolare, per quanto riguarda il requisito della «sufficiente determinatezza». La direttiva, esprimendo concretamente il principio generale, gli conferisce in definitiva quella determinatezza di contenuto che è necessaria per un’applicazione diretta.

154. Questo approccio presenta tuttavia aspetti problematici sotto il profilo della correttezza dogmatica, che esaminerò nei paragrafi che seguono.

Rischio di confusione tra le fonti del diritto

155. Le mie perplessità riguardano in primo luogo il rischio di un’indebita confusione tra le fonti di diritto di diverso grado all’interno dell’ordinamento dell’Unione che si potrebbe verificare in caso di applicazione congiunta di un principio generale e della direttiva.

156. Da un punto di vista oggettivo, questo approccio si basa sostanzialmente sul presupposto che il contenuto del principio generale si rifletta nel contenuto della direttiva, cosicché non occorrerebbe, in linea di principio, una determinazione autonoma di detto contenuto per via interpretativa. In definitiva non si fa che supporre che l’ambito di tutela del principio generale e quello della direttiva che ne individua l’espressione concreta in ampia misura coincidano (165).

157. Esso però ha lo svantaggio di non chiarire fino a che punto si estenda effettivamente la tutela accordata dal principio generale considerato e se la direttiva preveda eventualmente regole più ampie, che non rientrano nell’ambito di tutela (166). Il presupposto su cui si fonda l’approccio tralascia inoltre che la corrispondenza tra il contenuto delle direttive e quello del diritto primario non solo non è necessariamente la regola, ma costituisce in realtà piuttosto un’eccezione, dato che il diritto derivato nella maggior parte dei casi contiene norme di più ampia portata (167). Questo aspetto risulta problematico in quanto, in tal caso, non sarebbe possibile ricorrere ad un simile approccio. Se esso, come sostiene la Corte, mira effettivamente a garantire l’applicazione del principio generale, dal punto di vista dogmatico sarebbe corretto determinare in primo luogo il contenuto di detto principio generale in via autonoma, anziché procedere al contrario desumendolo dalle disposizioni della direttiva (168).

158. Dato che, in ultima analisi, secondo questo approccio, per determinare l’ambito di tutela della norma si prendono le mosse dalla direttiva e non dal principio generale stesso (169), un simile modus operandi presenta il rischio che una porzione sempre più ampia di contenuto normativo della direttiva venga considerata come parte del principio generale. In altre parole, la direttiva potrebbe teoricamente divenire un inesauribile strumento interpretativo volto ad ampliare l’ambito della tutela accordata dal principio generale, con la conseguenza che, alla lunga, si generi confusione tra fonti del diritto di diverso rango (170). Questo modo di procedere comporterebbe, quindi, in definitiva, un «irrigidimento» irreversibile dei contenuti normativi. Con il sempre maggiore inserimento di contenuti normativi della direttiva nell’ambito di tutela del principio generale, il legislatore si vedrebbe infatti preclusa la possibilità di emendare la direttiva, tanto più che detti contenuti normativi sarebbero assurti al grado di diritto primario sul quale egli non può incidere.

159. In considerazione del fatto che il diritto alle ferie annuali retribuite rappresenta un diritto sociale fondamentale, il quale — per sua natura — deve essere in ampia misura specificato e la cui tutela spesso dipende dalle condizioni economiche e sociali vigenti (171), questo approccio potrebbe avere conseguenze imprevedibili per l’Unione e per i suoi Stati membri. Occorre evidenziare che, per concretizzare il contenuto di un simile principio generale, il legislatore deve disporre di una certa flessibilità, dato che quello che nella società viene considerato «sociale» o «socialmente equo» può, da un lato, mutare nel tempo e, dall’altro lato, non di rado essere frutto di compromessi (172). Non va dimenticato inoltre che l’attuazione dell’idea di Stato sociale può dipendere dalla specifica situazione economica all’interno dell’Unione e dei suoi Stati membri. Occorre pertanto evitare una definizione rigida di standard sociali che non tenga in considerazione la realtà economica e sociale.

160. Non si può però intendere tale posizione nel senso che l’Unione debba trascurare la dimensione sociale dell’integrazione. Lo stimolo della coesione sociale nello spirito della «solidarietà» è e rimane un obiettivo importante dell’integrazione europea, come emerge inequivocabilmente dagli artt. 2 («solidarietà» come valore dell’Unione), e 3, n. 3, TUE («combattere l’esclusione sociale», «giustizia e protezione sociale», «parità tra donne e uomini», «solidarietà tra le generazioni», «tutela dei diritti del minore»), nonché dall’art. 9 TFUE («promozione di un elevato livello di occupazione», «garanzia di un’adeguata protezione sociale», «lotta contro l’esclusione sociale»). Si tratta piuttosto di riconoscere i margini di discrezionalità accordati al legislatore dell’Unione nell’adempimento dell’obbligo di tutela che gli deriva dal diritto fondamentale in questione.

Mancanza di una chiara specificazione nella direttiva

161. Quand’anche la Corte non dovesse condividere queste perplessità, ci sarebbe comunque motivo di dubitare della possibilità di trasporre nella causa principale l’approccio adottato nella sentenza Kücükdeveci, tanto più che la direttiva 2003/88 non specifica in misura sufficiente il principio generale in modo da consentirne l’applicazione diretta tra i privati.

162. La direttiva 2003/88 non soltanto prevede una serie di norme speciali, ammettendo ad esempio nell’art. 15 l’emanazione di disposizioni più favorevoli da parte degli Stati membri o nell’art. 17 deroghe ed eccezioni rispetto ad alcune disposizioni centrali della direttiva (173), ma accorda agli Stati membri un ulteriore margine di discrezionalità. L’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 prevede, infatti, espressamente che «gli Stati membri prendono le misure necessarie» affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite, e cioè «secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali». Non è possibile trarre direttamente risposte concrete a quesiti fondamentali riguardanti il diritto alle ferie, quali per esempio la durata delle ferie da accordare, né dalla direttiva, né dal tenore letterale dell’art. 31, n. 2, della Carta (174), che nella parte relativa al riconoscimento del diritto fondamentale alle ferie è formulato addirittura in modo più conciso rispetto alle relative norme di attuazione contenute nell’art. 7 della direttiva 2003/88.

163. In questo si delinea una differenza sostanziale con i divieti di discriminazione, con riferimento ai quali è stato elaborato l’approccio adottato nella sentenza Kücükdeveci. Una particolarità dei divieti di discriminazione rigurda il contenuto praticamente identico a livello di diritto primario e di diritto derivato. Si può desumere in cosa consiste una discriminazione anche interpretando le norme di diritto primario che sanciscono i divieti di discriminazione. Le regole contenute nella direttiva non sono pertanto null’altro che una riformulazione dettagliata dei principi del diritto primario. Solo nel caso in cui le direttive definiscano l’ambito di applicazione soggettivo od oggettivo o disciplinino le conseguenze giuridiche e le procedure, vanno a toccare aspetti che non sarebbe possibile desumere direttamente dal diritto primario. Diversa è la situazione nel caso dei diritti fondamentali dei lavoratori sanciti dagli artt. 27 e segg. della Carta, per i quali è previsto a priori che debbano essere concretizzati mediante l’intervento del legislatore (175).

164. In considerazione del fatto che la direttiva 2003/88 non disciplina le ferie annuali in modo esaustivo, ma rimanda invece in larga misura al diritto nazionale, si pone la questione se nel concretizzare il principio generale si possa far riferimento anche al diritto nazionale. A mio parere un simile approccio incontrerebbe degli ostacoli. Data la molteplicità di discipline nazionali diverse in materia di diritto alle ferie, non soltanto la praticabilità di un tale approccio sarebbe dubbia, ma non verrebbe neppure garantita l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri.

Mancanza di certezza del diritto per i privati

165. Sussistono d’altro canto alcune perplessità circa la compatibilità di questo approccio con il principio della certezza del diritto, che rappresenta anch’esso un principio generale del diritto dell’Unione (176). Come più volte chiarito dalla Corte, il principio di certezza del diritto esige che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati (177). Poiché un privato non può mai sapere con certezza quando un principio generale non scritto, come concretizzato da una corrispondente direttiva, si imporrà rispetto al diritto nazionale scritto, dal suo punto di vista potrebbe delinearsi una situazione di incertezza circa la validità del diritto nazionale del tutto simile a quella che si verificherebbe nel caso di un’applicazione diretta della direttiva nell’ambito del rapporto tra privati, situazione che la Corte, come ha spesso ribadito nella sua giurisprudenza (178), vuole evitare (179). Le conseguenze potrebbero essere gravi, tanto più nel settore del diritto del lavoro che disciplina le peculiarità di un numero praticamente incontrollabile di rapporti di lavoro.

166. Non si può, infatti, escludere il rischio che i giudici nazionali si vedano costretti da questo approccio a disapplicare norme di diritto nazionale che rientrano in qualche modo nell’ambito della disciplina di una direttiva, pur non essendo state emanate con riferimento ad essa, con la motivazione che le disposizioni della direttiva in oggetto sono volte a concretizzare principi generali del diritto dell’Unione ovvero esprimono diritti di rango primario (180), e ciò indipendentemente dal fatto che il diritto nazionale riconosca loro o meno un corrispondente potere di disapplicazione. Questo rischio appare tanto più concreto se si considera che nella sentenza Kücükdeveci viene espressamente statuito che, in questi casi, il giudice nazionale non è tenuto a sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale (181).

167. Se un simile approccio si dovesse affermare nella giurisprudenza della Corte, verrebbe riconosciuto alle direttive un ruolo che, in base alla concezione del diritto primario, non compete loro. Diventerebbero porte di accesso al diritto primario ben oltre quello che gli organi legislativi dell’Unione hanno previsto e hanno voluto prevedere. In considerazione del fatto che una molteplicità di questioni disciplinate dal diritto sono in qualche modo influenzate dalle direttive, l’inapplicabilità della norma di diritto nazionale derivante dal diritto primario, unitamente al potere riconosciuto dalla Corte in capo ai giudici nazionali di ogni ordine e grado di disapplicare le norme senza dover preventivamente ricorrere al procedimento pregiudiziale, comporterebbe una considerevole erosione delle disposizioni di legge nazionali.

168. Vi è motivo di dubitare che un simile risultato sia in linea con il sistema di approvazione e applicazione della legislazione stabilito nei Trattati.

Rischio di una valutazione non conforme alle disposizioni della Carta

169. L’obiezione sollevata in merito ad un’applicazione diretta del principio generale in relazione al rischio di una valutazione non conforme all’art. 51 della Carta (182) può essere riproposta anche con riguardo al ricorso a questo approccio. La limitazione della cerchia dei soggetti tenuti al rispetto dei diritti fondamentali stabilita nell’art. 51, n. 1, della Carta osta pertanto anche all’applicazione di un principio generale, quale espresso concretamente dalla direttiva 2003/88.

—       Conclusione

170. Alla luce di tutto quanto sopra esposto giungo alla conclusione che un’applicazione diretta del principio generale, come nella causa Kücükdeveci, volta a disapplicare disposizioni nazionali contrarie al diritto dell’Unione, non sarebbe possibile nella causa principale.

c)      Conclusione finale

171. Riassumendo, occorre concludere che il diritto dell’Unione non riconosce al giudice nazionale alcuna possibilità di disapplicare la normativa controversa nell’ambito di rapporti tra privati. Dato che la questione pregiudiziale è formulata nel senso di chiedere se in base al diritto dell’Unione sussista un siffatto obbligo a carico del giudice nazionale, tale questione deve essere risolta negando che, in mancanza di disposizioni del diritto dell’Unione, il giudice nazionale sia obbligato in tal senso.

3.      Responsabilità accessoria dello Stato membro per violazione del diritto dell’Unione

172. Se — come nella causa principale — è stata accertata una violazione del diritto dell’Unione a seguito di una non corretta trasposizione dell’art. 7 della direttiva 2003/88, ma il giudice nazionale non può dichiarare inapplicabile la disciplina nazionale contraria al diritto dell’Unione, non per questo viene a crearsi una situazione in cui la ricorrente nella causa principale resti priva di tutela giuridica.

173. Può invece avvalersi della possibilità, come accennato all’inizio (183), di avviare un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato membro inadempiente al fine di ottenere il riconoscimento del diritto alle ferie annuali accordatole dal diritto dell’Unione. L’istituto giuridico della responsabilità dello Stato elaborato nel diritto dell’Unione è volto a garantire tutela al cittadino in un caso simile, prevedendo a carico dello Stato membro interessato l’obbligo di risarcirgli i danni patiti a causa della violazione del diritto dell’Unione compiuta dallo Stato.

174. Il diritto dell’Unione subordina il diritto al risarcimento a tre condizioni: che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che la violazione sia sufficientemente caratterizzata e che ricorra un nesso di causalità diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (184). Nella sentenza Dillenkofer e a. (185), con particolare riguardo alle situazioni di mancata trasposizione tempestiva di una direttiva, la Corte ha riformulato la prima condizione con lievi differenze — il risultato prescritto dalla direttiva deve comportare l’attribuzione di diritti a favore dei singoli, il cui contenuto possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva —, pur sottolineando che le due formulazioni sono sostanzialmente uguali (186).

175. Per quanto attiene alla ripartizione delle competenze fra giudici dell’Unione e giudici degli Stati membri, occorre osservare che spetta sostanzialmente ai giudici nazionali accertare se sussistano i requisiti della responsabilità degli Stati membri per una violazione del diritto comunitario nel caso concreto (187). La questione dell’esistenza e della portata della responsabilità di uno Stato per danni derivanti da una siffatta violazione attiene invece all’interpretazione del diritto dell’Unione e come tale rientra nella competenza della Corte (188).

4.      Conclusione

176. Alla luce delle considerazioni che precedono, la seconda questione pregiudiziale va risolta nel senso che l’art. 7 della direttiva 2003/88 non impone al giudice nazionale cui sia sottoposta una controversia tra privati di disapplicare una disposizione nazionale che subordini il diritto alle ferie annuali retribuite a un lavoro effettivo di almeno dieci giorni durante il periodo di riferimento e che non possa essere interpretata in senso conforme alla direttiva.

C —    Terza questione pregiudiziale

177. Nel formulare la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio muove evidentemente da un preciso contesto normativo nazionale che prevede un diritto alle ferie annuali di durata diversa in base ai motivi a fondamento dell’assenza per malattia del lavoratore, differenziando, a quanto sembra, a seconda che la causa sia un infortunio sul lavoro, una malattia professionale, un incidente in itinere o una malattia non professionale. Dall’ordinanza di rinvio non è dato evincere la rispettiva durata delle ferie annuali. Emerge soltanto che la normativa nazionale prevede in certe condizioni una durata delle ferie annuali retribuite superiore a quella minima di quattro settimane prevista dalla direttiva.

178. Come ho già osservato nell’ambito delle mie osservazioni sulla prima questione pregiudiziale, l’assenza per malattia del lavoratore nel periodo di riferimento non osta alla maturazione del diritto alle ferie annuali retribuite sancito dall’art. 7 della direttiva 2003/88, a condizione che il congedo per malattia fosse debitamente prescritto (189). Come osserva correttamente il giudice del rinvio nella sua ordinanza, l’art. 7 della direttiva 2003/88 non distingue in base alla causa dell’assenza per malattia. Tale disposizione trova invece applicazione, con riguardo al diritto alle ferie annuali retribuite, ad «ogni lavoratore». Ne consegue che tutti i lavoratori, compresi quelli cui sia stato prescritto un congedo per malattia per uno dei motivi succitati, hanno diritto a ferie annuali retribuite della durata minima di quattro settimane, ai sensi dell’art. 7, n. 1.

179. Questo non significa però che gli Stati membri non possano prevedere, nella loro normativa interna, un periodo di ferie annuali di durata superiore rispetto a quella di quattro settimane stabilita dal diritto dell’Unione, dato che, come lascia intendere già il tenore letterale della norma, si tratta di una durata minima. Questa disposizione deve infatti essere interpretata tenendo conto dell’obiettivo generale della direttiva 2003/88 che, ai sensi dell’art. 1, n. 1, prevede che si stabiliscano «prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro», e che, inoltre, in forza dell’art. 15, non pregiudica la facoltà degli Stati membri di «applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori o di favorire o consentire l’applicazione di contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori». Da tali precisazioni si può evincere il potere in capo allo Stato membro di prevedere, con riguardo al diritto alle ferie annuali retribuite, regole più favorevoli rispetto a quelle sancite dal diritto dell’Unione.

180. La direttiva 2003/88 non impedisce neppure agli Stati membri di subordinare le regole che prevedono un trattamento più favorevole a determinate condizioni, purché in tal modo non venga pregiudicata la tutela minima stabilita dalla direttiva. A tale riguardo occorre ricordare la sentenza Merino Gómez (190), nella quale la Corte ha dichiarato che l’art. 7, n. 1, della direttiva, in base al quale gli Stati membri prendono le misure necessarie «secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali», deve intendersi nel senso che «le modalità di applicazione nazionali devono comunque rispettare il diritto a ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane» (191). Ai fini della problematica emersa nella causa principale questo significa che lo Stato membro è, in linea di principio, libero di accordare ai lavoratori trattamenti tra loro diversi, prevedendo una differente durata minima delle ferie annuali a seconda delle causa dell’assenza per malattia, a condizione che detta durata non sia inferiore alla durata minima di quattro settimane fissata nell’art. 7, n. 1, della direttiva.

181. Non è possibile desumere eventuali norme che potrebbero portare a risolvere diversamente la questione dalle disposizioni che disciplinano il diritto al congedo per malattia e le modalità del suo esercizio, dato che tale diritto, come correttamente dichiarato dalla Corte nella sentenza Schultz‑Hoff e a., «allo stato attuale non è disciplinato dal diritto dell’Unione» (192). Esso rientra invece nella competenza legislativa degli Stati membri. Ne consegue che questi ultimi possono anche eventualmente prevedere norme che riducano la durata delle ferie annuali, a condizione che venga comunque salvaguardata la durata minima di quattro settimane delle ferie annuali stabilita dalla direttiva 2003/88.

182. L’impossibilità di computare come periodo lavorativo, in base alle disposizioni di diritto nazionale, il periodo in cui il lavoratore non ha prestato la propria attività a causa della malattia, ad esempio nell’ipotesi di un incidente in itinere o di malattia non professionale, non può andare ad incidere sul periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane. Si deve concordare con il governo francese (193), quando afferma che un simile risultato deve essere in ogni caso evitato prevedendo che il lavoratore possa recuperare le proprie ferie nell’arco di un ragionevole periodo di riporto, che tenga conto della finalità ricreativa della direttiva 2003/88. Come osservato dalla Corte nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (194), l’effetto positivo delle ferie annuali sulla sicurezza e sulla salute del lavoratore si manifesta pienamente se le ferie vengono godute nell’anno all’uopo previsto, cioè l’anno in corso. Tuttavia, tale periodo di riposo rimane interessante anche se viene goduto in un momento successivo, ad esempio durante il periodo di riporto.

183. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre concludere che l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 va interpretato nel senso che non osta a norme di diritto o prassi nazionali che prevedono una diversa durata delle ferie retribuite a seconda della causa dell’assenza del lavoratore, a condizione che sia garantita in ogni caso la durata minima di quattro settimane stabilita dalla succitata disposizione della direttiva.

VII — Conclusione

184. Sulla base delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sottoposte dalla Cour de cassation come segue:

1.      L’art. 7, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta a disposizioni o pratiche nazionali che prevedano che il diritto alle ferie annuali retribuite sia subordinato a un lavoro effettivo minimo di dieci giorni (o un mese) durante il periodo di riferimento.

2.      L’art. 7 della direttiva 2003/88/CE non impone al giudice nazionale cui sia sottoposta una controversia tra privati di disapplicare una disposizione nazionale che subordini il diritto alle ferie annuali retribuite ad un lavoro effettivo di almeno dieci giorni durante il periodo di riferimento e che non possa essere interpretata in senso conforme alla direttiva.

3.      L’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88/CE va interpretato nel senso che non osta a norme di diritto o prassi nazionali che prevedono una diversa durata delle ferie retribuite a seconda della causa dell’assenza del lavoratore, a condizione che sia garantita in ogni caso la durata minima di quattro settimane stabilita dalla succitata disposizione della direttiva.


1 —      Lingua originale: il tedesco.


2 —      GU L 299, pag. 9.


3 —      Sentenza 19 gennaio 2010, causa C‑555/07, Kücükdeveci (Racc. pag. I‑365).


4 —      In conformità delle denominazioni utilizzate nel TUE e nel TFUE, l’espressione «diritto dell’Unione» viene qui impiegata come nozione globale comprendente il diritto comunitario e il diritto dell’Unione. In prosieguo, laddove assumeranno rilievo singole norme di diritto primario, verranno indicate le disposizioni pertinenti ratione temporis.


5 —      Sentenza 26 giugno 2001, causa C‑173/99, BECTU (Racc. pag. I‑4881).


6 —      Sentenza 20 gennaio 2009, cause riunite C‑350/06 e C‑520/06, Schultz‑Hoff e a. (Racc. pag. I‑179).


7 —      Sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629).


8 —      Sentenza 22 giugno 2010, cause riunite C‑188/10 e C‑189/10, Melki (Racc. pag. I‑5667).


9 —      Sentenza 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold (Racc. pag. I‑9981).


10 —      Sentenza Kücükdeveci (cit. alla nota 3).


11 —      V. sentenze BECTU (cit. alla nota 5, punto 43); 18 marzo 2004, causa C‑342/01, Merino Gómez (Racc. pag. I‑2605, punto 29), e 16 marzo 2006, cause riunite C‑131/04 e C‑257/04, Robinson‑Steele e a. (Racc. pag. I‑2531, punto 48); con riguardo alla direttiva 2003/88/CE, v. sentenze Schultz‑Hoff e a. (cit. alla nota 6, punto 22); 10 settembre 2009, causa C‑277/08, Vicente Pereda (Racc. pag. I‑8405, punto 18), e 22 aprile 2010, causa C‑486/08, Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols (Racc. pag. I‑3527, punto 28). Per una sintesi della giurisprudenza, v. W. Schrammel/G. Winkler, Europäisches Arbeits- und Sozialrecht, Vienna 2010, pagg. 179 e seg.


12 —      V. sentenze BECTU (cit. alla nota 5, punto 44); Merino Gómez. (cit. alla nota 11, punto 30); Schultz‑Hoff e a. (cit. alla nota 6, punto 23), e Vicente Pereda (cit. alla nota 11, punto 21).


13 —      V. sentenze Schultz‑Hoff e a. (cit. alla nota 6, punto 25), e Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols (cit. alla nota 11, punto 30).


14 —      V. pag. 8 della memoria del convenuto nella causa principale.


15 —      V. paragrafo 29 della memoria del governo francese.


16 —      V. pag. 5 dell’ordinanza di rinvio, che espone in modo più chiaro l’oggetto della seconda questione pregiudiziale.


17 —      V. sentenze 5 maggio 2011, causa C‑316/09, MSD Sharp (Racc. pag. I‑3249, punto 21), e 30 novembre 2006, cause riunite C‑376/05 e C‑377/05, Brünsteiner e Autohaus Hilgert (Racc. pag. I‑11383, punto 26).


18 —      V., tra le altre, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia/Novello (Racc. pag. 3045, punto 18); 15 giugno 1995, cause riunite da C‑422/93 a C‑424/93, Zabala Erasun e a. (Racc. pag. I‑1567, punto 29); 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921, punto 61); 12 marzo 1998, causa C‑314/96, Djabali (Racc. pag. I‑1149, punto 19); 13 marzo 2001, causa C‑379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I‑2099, punto 39); 5 febbraio 2004, causa C‑380/01, Schneider (Racc. pag. I‑1389, punto 22); 1° aprile 2008, causa C‑212/06, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon (Racc. pag. I‑1683, punto 29), e 23 aprile 2009, cause riunite C‑261/07 e 299/07, VTB‑VAB (Racc. pag. I‑2949, punto 33).


19 —      V. sentenze Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 45); 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact (Racc. pag. I‑2483, punto 42), e 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a 403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I‑8835, punto 111).


20 —      V. sentenze Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 46); Pfeiffer e a. (cit. alla nota 19, punto 108); 14 luglio 1994, causa C‑91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I‑3325, punto 20); 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò (Racc. pag. 2545, punto 19), e 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48). V., quanto all’efficacia orizzontale delle direttive, P. Vcelouch, Kommentar zu EU‑ und EG‑Vertrag (a cura di Heinz Mayer), Vienna 2004, art. 249 TCE, pag. 23, punto 72; R. Knes, Uporaba in učinkovanje direktiv s področja varstva okolja v upravnih in sodnih postopkih, in Varstvo narave, 2008, pagg. 14 e seg., e, con specifico riguardo al diritto del lavoro, G. Thüsing, Europäisches Arbeitsrecht, Monaco di Baviera 2008, pag. 14, punti 29 e 30.


21 —      Sentenza Faccini Dori (cit. alla nota 20, punto 24).


22 —      V. conclusioni dell’avvocato generale Alber del 18 gennaio 2000 nella causa C‑343/98, Collino e Chiappero (Racc. pag. I‑6659, paragrafi 29‑31); conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 6 maggio 2003 nella causa Pfeiffer (sentenza cit. alla nota 19, paragrafo 58); con riguardo alle particolarità in materia di divieto di discriminazione, v. conclusioni dell’avvocato generale Bot del 7 luglio 2009 nella causa Kücükdeveci (sentenza cit. alla nota 3, paragrafi 63 e 70).


23 —      V. C. Herresthal, Rechtsfortbildung im europarechtlichen Bezugsrahmen — Methoden, Kompetenzen, Grenzen dargestellt am Beispiel des Privatrechts, Monaco di Baviera, 2006, pagg. 81 e seg.; T. Danwitz, Rechtswirkung von Richtlinien in der neueren Rechtsprechung des EuGH, Juristenzeitung, 2007, pag. 697, in particolare pag. 703.


24 —      V. sentenze Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 47); 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson e Kamann (Racc. pag. 1891, punto 26); 13 novembre 1990, causa C‑106/89, Marleasing (Racc. pag. I‑4135, punto 8); Faccini Dori (cit. alla nota 20, punto 26); 18 dicembre 1997, causa C‑129/96, Inter-Environnement Wallonie (Racc. pag. I‑7411, punto 40); Pfeiffer e a. (cit. alla nota 19, punto 110), e 23 aprile 2009, cause riunite da C‑378/07 a C‑380/07, Angelidaki e a. (Racc. pag. I‑3071, punto 106).


25 —      V. sentenze Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 48), e von Colson e Kamann (cit. alla nota 24, punto 26).


26 —      Sentenza Pfeiffer e a. (cit. alla nota 19, punto 116).


27 —      V., in questo senso, sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 13); 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑06057, punto 110); Impact (cit. alla nota 19, punto 100); Angelidaki e a. (cit. alla nota 24, punto 199), e 16 luglio 2009, causa C‑12/08, Mono Car Styling (Racc. pag. I‑6653, punto 61).


28 —      V. paragrafi 71‑88 delle presenti conclusioni.


29 —      V. paragrafi 89‑143 delle presenti conclusioni.


30 —      V. paragrafi 144‑169 delle presenti conclusioni.


31 —      V. sentenze Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 22), e 22 dicembre 2010, causa C‑279/09, DEB (Racc. pag. I‑13849, punto 30).


32 —      V. H. D. Jarass, Charta der Grundrechte der Europäischen Union — Kommentar, Monaco di Baviera, 2010, art. 31, punto 3, pag. 277, e art. 51, punto 6, pag. 413.


33 —      Tale aspetto viene ricordato correttamente da K. Lenaerts/P. Nuffel, European Union Law, Londra, 2011, pag. 832, paragrafo 22‑022. V. sentenze della Corte 27 giugno 2006, causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑5769, punti 38 e 58); 13 marzo 2007, causa C‑432/05, Unibet (Racc. pag. I‑2271, punto 37); 11 dicembre 2007, causa C‑438/05, International Transport Workers’ Federation and Finnish Seamen’s Union (Racc. pag. I‑10779, punti 90 e 91); 29 gennaio 2008, causa C‑275/06, Promusicae (Racc. pag. I‑271, punti 61‑65); 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. I‑6351, punto 335); Kücükdeveci (cit. alla nota 3, pag. 22), e 9 novembre 2010, cause riunite C‑92/09 e C‑93/09, Eifert/Land Hessen (Racc. pag. I‑11063, punti 45 e seg.). V. sentenza del Tribunale 3 maggio 2002, causa T‑177/01, Jégo‑Quéré/Commissione (Racc. pag. II‑2365). Inoltre, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è richiamata alla Carta nelle sentenze 11 luglio 2002, Goodwin/Regno Unito (ricorso n. 28957/95, punto 100), e 30 giugno 2005, Bosphorus/Irlanda (ricorso n. 45036/98, punto 159).


34 —      Come correttamente osservato da P. Fischinger, Normverwerfungskompetenz nationaler Gerichte bei Verstößen gegen primärrechtliche Diskriminierungsverbote ohne vorherige Anrufung des EuGH, Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 2011, pag. 206, l’art. 21 della Carta non poteva trovare applicazione alle vicende all’origine della sentenza Kükükdeveci, poiché la Carta è entrata in vigore solo molto dopo che era divenuto efficace il licenziamento.


35 —      Conclusioni del 24 gennaio 2008 nella causa Schultz‑Hoff e a. (sentenza cit. alla nota 6, paragrafo 38).


36 —      Conclusioni dell’avvocato generale Tizzano dell’8 febbraio 2001 nella causa BECTU (sentenza cit. alla nota 5, paragrafo 28).


37 —      K. Lenaerts, La solidarité ou le chapitre IV de la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, Revue trimestrielle des droits de l’homme, 2010, n. 28, pagg. 217 e seg.; H. Jarass, loc. cit. (nota 32), punto 2; F. Picod, Traité établissant une Constitution pour l’Europe, Partie II — La Charte des droits fondamentaux de l’Union, Vol. II, Bruxelles 2005, Art. II‑91, pagg. 424 e 653; W. Frenz, Handbuch Europarecht, Vol. IV (Europäische Grundrechte), pag. 1078, punto 3597 e pag. 1164, punto 3881; E. Riedel, Charta der Grundrechte der Europäischen Union, 3ª ed., Baden‑Baden 2011, art. 31, pag. 442, punto 12; A. Seifert in Mangold und kein Ende — die Entscheidung der Großen Kammer des EuGH vom 19.1.2010 in der Rechtssache Kücükdeveci, Europarecht, 2010, pag. 808, si riferisce all’art. 31, n. 2, della Carta, come a un diritto fondamentale.


38 —      In questo senso, E. Riedel, loc. cit. (nota 37), art. 31, pag. 442, punto 12.


39 —      J. Schwarze, Der Grundrechtsschutz für Unternehmen in der Europäischen Grundrechtecharta, Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2001, pag. 519.


40 —      W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 134, punto 444.


41 —      V. M. Borowsky, Charta der Grundrechte der Europäischen Union, 3ª ed., Baden‑Baden 2011, art. 51, pag. 660, paragrafo 34.


42 —      W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1164, punto 3882.


43 —      Ibidem, pag. 135, punto 444.


44 —      K. Lenaerts, loc. cit. (nota 37), e W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1165, punto 3884.


45 —      Per quanto riguarda l’«efficacia verso i terzi», occorre risolvere la questione se i diritti fondamentali abbiano efficacia soltanto nei rapporti tra singolo e Stato (ovvero siano rivolti allo Stato) o se operino anche nell’ambito dei rapporti tra cittadini. A tale riguardo trovano sostenitori sia la teoria dell’«efficacia diretta verso i terzi» dei diritti fondamentali, sia quella dell’«efficacia indiretta verso i terzi». Per «efficacia diretta verso i terzi» s’intende la diretta applicazione dei diritti fondamentali anche nell’ambito dei rapporti tra privati. Secondo tale tesi non sarebbe pertanto possibile concludere un negozio giuridico in violazione di un diritto fondamentale. La teoria dell’«efficacia indiretta verso i terzi» interpreta invece le clausole generali come «punti di ingerenza» dei diritti fondamentali nel diritto privato; nell’interpretare queste clausole generali occorrerebbe tener conto del sistema di valori propri della normativa in materia di diritti fondamentali. Solo nel caso dell’efficacia indiretta si potrebbero contemperare i diversi aspetti determinanti (ad esempio, i diritti fondamentali e la libertà contrattuale) [v., a tal proposito, R. Walter/H. Mayer, Grundriss des österreichischen Bundesverfassungsrechts, 9ª ed., Vienna 2000, pagg. 548 e seg., e le mie conclusioni del 29 marzo 2007, nella causa C‑80/06, Carp (sentenza 7 giugno 2007, Racc. pag. I‑4473, paragrafo 69)].


      Da un esame comparativo dell’efficacia verso i terzi dei diritti fondamentali negli Stati membri (v. H.‑W. Rengeling/P. Szczekalla, Grundrechte in der Europäischen Union — Charta der Grundrechte und Allgemeine Rechtsgrundsätze, Colonia 2004, pagg. 179 e seg., punti 338 e seg.) emerge che detta efficacia è nota e discussa nella maggior parte degli Stati membri e che, anche a livello nazionale, i singoli aspetti non sono stati ancora del tutto chiariti e sono oggetto di dibattito. In Italia è riconosciuto sia il vincolo indiretto tra soggetti privati che si trovano in una situazione di parità, sia il vincolo diretto nei rapporti tra privati nei quali una delle parti contrattuali goda di una forza contrattuale maggiore rispetto all’altra. In Belgio l’efficacia verso i terzi dei diritti fondamentali è oggetto di discussione e, in giurisprudenza, si sta facendo strada un orientamento che tende a riconoscere l’efficacia indiretta. Anche in Austria il tema è in parte ancora oggetto di un acceso dibattito. Allo stesso modo in Grecia, dove la questione non è stata ancora risolta. L’efficacia verso i terzi di determinati diritti fondamentali è riconosciuta in Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Slovenia. La dottrina slovena evidenzia che alcuni diritti fondamentali previsti dalla Costituzione slovena ammettono un’applicazione (diretta) verso i terzi (v. M. Krivic, Ustavno sodišče, pristojnosti in postopek, in Pavčnik/Mavčič [a cura di], Ustavno sodstvo, Cankarjeva založba, 2000, pag. 69). L’efficacia verso i terzi delle norme in materia di diritti fondamentali non è, ad oggi, riconosciuta in Danimarca e in Lussemburgo. Nel Regno Unito, in mancanza di una costituzione scritta, intesa come documento unitario, i diritti fondamentali devono essere desunti dalle leggi e dalla common law (v. Soziale Grundrechtein Europa, Parlamento europeo — Direzione generale studi, documento di lavoro SOCI 104 DE, pagg. 26 e seg.). Sempre maggiore importanza riveste oggi la giurisprudenza pertinente relativa alla CEDU, in particolare dopo l’approvazione dello «Human Rights Act» del 1998, così come già in precedenza in materia di diritto dell’Unione. In Finlandia i diritti fondamentali non vincolano direttamente i singoli; lo Stato è però tenuto a impedire le violazioni da parte di privati.


46 — H. Jarass, loc. cit. (nota 32), punto 9; W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1171, punto 3909.


47 —      H. Jarass, loc. cit. (nota 32), punto 51, pag. 419, punto 21.


48 —      In questo senso, R. Geiger, EUV/AEUV‑Kommentar (a cura di Rudolf Geiger/Daniel‑Erasmus Khan/Markus Kotzur), 5ª ed., Monaco di Baviera 2010, art. 51, pag. 1016. V. sentenze 12 dicembre 1996, causa C‑74/95, procedimenti penali a carico di X (Racc. pag. I‑6609, punto 25); 13 aprile 2000, causa C‑292/97, Karlsson (Racc. pag. I‑2737, punto 37); 6 novembre 2003, causa C‑101/01, Lindqvist (Racc. pag. I‑12971, punto 87); 26 giugno 2007, causa C‑305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (Racc. pag. I‑5305, punto 28), e Promusicae (cit. alla nota 33, punto 68).


49 —      H. Jarass, loc. cit. (nota 32), art. 31, pag. 279, punto 9 e art. 51, pag. 419, punto 21; W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1172, punto 3910.


50 —      Contro un’efficacia diretta verso i terzi si sono espressi: H. Jarass, loc. cit. (nota 32), art. 31, pag. 277, punto 3 e art. 51, pag. 421, punto 24; lo stesso autore in EU‑Grundrechte, Monaco di Baviera 2005, § 4, pag. 42; M. De Mol, Kücükdeveci: Mangold Revisited — Horizontal Direct Effect of a General Principle of EU Law, European Constitutional Law Review, 2010, n. 6, pag. 302; W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1172, punto 3910; D. Schiek, Constitutional Principles and Horizontal Effet: Kücükdeveci Revisited, European Labour Law Journal, 2010, n. 3, pag. 373; A. Hatje, EU‑Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze), 2ª ed., Baden‑Baden 2009, art. 51, pag. 2324, punto 20; T. Kingreen, EUV/EGV — Kommentar, 3ª ed., Monaco di Baviera 2007, art. 51 della Carta, pag. 2713, punto 18, il quale osserva che alcuni dei diritti fondamentali statuiti nella Carta, ad una prima lettura possono essere intesi come aventi efficacia nei confronti dei terzi, ma allo stesso tempo sostiene che i diritti fondamentali ivi indicati non hanno una simile efficacia, in quanto l’art. 51, n. 1, prima frase, della Carta vincola soltanto l’Unione e gli Stati membri. Lesioni dei diritti fondamentali da parte dei privati possono, a detta dell’autore, essere evitate mediante l’esercizio dell’obbligo sovrano di protezione di fronte alle violazioni compiute da un soggetto terzo non statale. In termini analoghi si è pronunciato anche K. Riesenhuber, Europäisches Arbeitsrecht, Amburgo 2009, § 2, pag. 45, punto 25, secondo il quale i diritti fondamentali sanciti nella Carta non comportano direttamente obblighi a carico dei privati, ma soltanto attraverso l’obbligo di tutela a carico del legislatore. J. Kokott/C. Sobotta, The Charter of fundamental rights of the European Union after Lisbon, EUI Working Papers (2010/6) — Academy of European Law, pag. 14, sostengono, in modo analogo, l’opinione secondo cui l’art. 51 della Carta osta al riconoscimento di un’efficacia diretta dei diritti fondamentali verso i terzi nei rapporti tra i privati.


      A favore dell’efficacia diretta verso i terzi si è espresso M. Dauses, Der Schutz der Grundrechte in der Rechtsordnung der Europäischen Union, Francoforte sul Meno 2010, pag. 99, il quale motiva la propria posizione sulla base della casistica esaminata dalla Corte, secondo cui, a determinate condizioni, anche i singoli potrebbero essere tenuti a fornire garanzie sui diritti fondamentali, come accadrebbe, ad esempio, nel caso di discriminazioni basate sulla cittadinanza o nell’ambito della parità di trattamento tra uomini e donne.


      Non assume una posizione chiara, invece, R. Streinz, EUV/EGV — Kommentar, Monaco di Baviera 2003, art. 51, pag. 2652, punto 10, il quale osserva che la questione dell’efficacia diretta o indiretta verso i terzi dei diritti sanciti nella Carta, così come la questione degli obblighi di protezione in relazione ai diritti fondamentali, è stata tralasciata e rimessa alla giurisprudenza e alla dottrina.


51 —      V. H. Jarass, loc. cit. (nota 32), art. 31, pag. 277, punto 3; M. Knecht, EU‑Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze), 2ª ed., Baden‑Baden 2009, art. 31, pag. 2276, punto 4; T. Kingreen, loc. cit. (nota 50); J. Kühling, Europäisches Verfassungsrecht (a cura di Armin von Bogdandy), Heidelberg 2003, pag. 603, muove dal presupposto che i diritti fondamentali possono fondare obblighi di tutela in capo agli Stati nei confronti delle azioni dei privati, cosicché si renderebbe necessario configurare in capo ai privati un discutibile vincolo ai diritti fondamentali.


52 —      V. U. Becker, EU‑Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze), 2ª ed., Baden‑Baden 2009, art. 53, pag. 2333, punto 1), secondo cui l’art. 53 della Carta mira ad evitare conflitti tra le diverse fonti che conferiscono diritti fondamentali, prescrivendo in sostanza l’applicazione della norma più favorevole: se il diritto fondamentale accordato altrove (ad esempio, nella CEDU) ha una portata maggiore rispetto ai diritti sanciti nella Carta, questi ultimi non possono essere interpretati nel senso di vietare una tutela più ampia. Se, al contrario, è la Carta a prevedere delle conseguenze più ampie rispetto ad altri diritti fondamentali, questi non possono essere limitati a priori.


53 —      In questo senso C. Grabenwarter, Europäische Menschenrechtskonvention, 4ª ed., Vienna 2009, pag. 130, punto 14.


54 —      V. H.‑W. Rengeling/P. Szczekalla, loc. cit. (nota 45), pag. 180, punto 339. V. decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 ottobre 1988, Ian Nimmo/Regno Unito (ricorso n. 12327/86), e 7 aprile 1997, Scientology Kirche Deutschland e.V./Germania (ricorso n. 34614/97).


55 —      V. K. Reid, A practitioner’s Guide to the European Convention on Human Rights, 2ª ed., Londra 2004, pag. 46, punto I‑064; C. Grabenwarter, loc. cit. (nota 53), pag. 127, punto 7; H. Jarass, EU‑Grundrechte, Monaco di Baviera 2005, pag. 52, punto 12; H.‑W. Rengeling/P. Szczekalla, loc. cit. (punto 45), pag. 180, punto 339, che negano l’efficacia verso i terzi delle singole garanzie accordate dalla CEDU. Si tratterebbe invece di interpretare il diritto degli Stati membri in modo conforme alla Convenzione e di riconoscere i cosiddetti obblighi positivi in capo a detti Stati (gli obblighi di protezione), anche proprio per far sì che le normative nazionali garantiscano i diritti riconosciuti dalla Convenzione. Lo stesso varrebbe anche per gli altri trattati internazionali a tutela dei diritti dell’uomo, in particolare per il Patto internazionale sui diritti civili e politici.


56 —      C. Grabenwarter, loc. cit. (not 53), pag. 131, punto 15.


57 —      V. sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 16 dicembre 2008, Khurshid Mustafa e Tarzibachi/Svezia (ricorso n. 23883/06), punto 50 (diritto all’informazione); 24 giugno 2004, Von Hannover/Germania (ricorso n. 59320/00), punto 57 (principio del rispetto della sfera privata); 16 novembre 2004, Moreno Gómez/Spagna (ricorso n. 4143/02), punto 55 (principio del rispetto della sfera privata), e 30 novembre 2004, Öneryildiz/Turchia (ricorso n. 48939/99), punto 135 (diritto alla proprietà).


58 —      V. C. Grabenwarter, loc. cit. (nota 53), pag. 131, punto 15, il quale ritiene che i problemi legati all’efficacia verso i terzi si dissolvano nella dogmatica dell’obbligo di protezione.


59 —      V. J. Schwarze, European Administrative Law, Lussemburgo 2006, pag. 65, e E. Sariyiannidou, Institutional balance and democratic legitimacy in the decision-making process of the EU, Bristol 2006, pag. 145.


60 —      Sentenza 16 luglio 1956, causa 8/55, Fédération Charbonnière de Belgique/Alta Autorità (Racc. pag. 285, in particolare pag. 298).


61 —      Sentenza 21 luglio 1958, causa 13/57, Wirtschaftsvereinigung Eisen‑ und Stahlindustrie/Alta Autorità (Racc. pag. 253, in particolare pag. 282).


62 —      Sentenza 22 marzo 1961, cause riunite 42 e 49/59, SNUPAT/Alta Autorità (Racc. pag. 99, in particolare pag. 150).


63 —      Sentenza 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffmann‑La Roche/Commissione (Racc. pag. 461, in particolare pag. 511).


64 —      Sentenza 15 luglio 1960, cause riunite 43/59, 45/59 e 48/59, Lachmüller e a./Commissione (Racc. pag. 903, in particolare pag. 920).


65 —      Sentenza 12 luglio 1962, causa 14/61, Hoogovens/Alta Autorità (Racc. pag. 473, in particolare pag. 505).


66 —      Sentenza 19 ottobre 1977, cause riunite 111/76 e 16/77, Ruckdeschel/HZA Hamburg‑St. Annen (Racc. pag. 1753, punto 7).


67 —      T. Tridimas, The General Principles of EU Law, 2ª ed., Londra 2006, pagg. 17 e seg. e 29 e seg., sottolinea, da un lato, la funzione dei principi generali del diritto comunitario come strumenti per colmare le lacune che sono una conseguenza del fatto che l’ordinamento giuridico comunitario è un ordinamento giovane e recente, bisognevole di ulteriore sviluppo. Il Trattato CE rappresenterebbe inoltre un trattato quadro con numerose disposizioni formulate in termini generali e con concetti giuridici indeterminati, che conferiscono alla Corte l’ulteriore compito di sviluppare il diritto. Dall’altro lato, l’autore sottolinea la funzione dei principi generali quali strumenti di interpretazione del diritto derivato. K. Lenaerts/P. Van Nuffel, Constitutional Law of the European Union, 2ª ed., Londra 2005, punto 17‑066, pag. 711, osservano che l’amministrazione, per interpretare il diritto dell’Unione, ricorre di regola ai principi generali, soprattutto in presenza di punti oscuri o di lacune nella normativa oggetto di interpretazione. F. Toriello, I principi generali del diritto comunitario — Il ruolo della comparazione, Milano 2000, pag. 141, riconosce la funzione dei principi generali quale strumento per colmare le lacune e per interpretare il diritto, evidenziandone però anche altre.


68 —      In questo senso si esprime J. Schwarze, loc. cit. (nota 59), pag. 65.


69 —      V. K. Lenaerts/J. Gutiérrez‑Fons, The constitutional allocation of powers and general principles of law, Common Market Law Review, 2010, pag. 1629; F. Toriello, loc. cit. (nota 67), pag. 141.


70 —      V. F. Toriello, loc. cit. (nota 67), pag. 141.


71 —      V. M. Schweitzer/W. Hummer/W. Obwexer, Europarecht, pag. 65, punti 240 e seg.


72 —      In tal senso, A.‑M. Lengauer, Kommentar zu EU‑ und EG‑Vertrag (a cura di Heinz Mayer), Vienna 2004, art. 220, punto 27, pag. 65; F. Toriello, loc. cit. (nota 67), pagg. 315‑318.


73 —      In questo senso, M. Schweitzer/W. Hummer/W. Obwexer, Europarecht, punto 244, pag. 66; T. Oppermann, Europarecht, 3ª ed., Monaco di Baviera 2005, punto 21, pag. 144; F. Toriello, loc. cit. (nota 67), pag. 140.


74 —      V. T. Tridimas, loc. cit. (nota 67), pag. 6.


75 —      Secondo un’opinione comunemente condivisa, i principi generali hanno rango di diritto primario [v. W. Schroeder, EUV/EGV — Kommentar (a cura di Rudolf Streinz), art. 249, pag. 2159, punto 15]. La Corte ha più volte statuito che gli atti giuridici emanati dalle istituzioni comunitarie devono essere valutati alla luce dei principi generali. V. sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder (Racc. pag. 419, punto 7), e 13 dicembre 1979, causa 44/79, Hauer (Racc. pag. 3727, punti 14 e seg.).


76 —      In tal senso anche B. Wegener, in Calliess/Ruffert (a cura di), Kommentar zu EUV/EGV, 3ª ed., Monaco di Baviera 2007, art. 220, punto 37, pag. 1956, e T. Tridimas, loc. cit. (nota 67), pagg. 2 e seg.


77 —      V. sentenza 9 agosto 1994, causa C‑359/92, Germania/Consiglio (Racc. pag. I‑3681). Già prima della codificazione di tale concetto nell’art. 5, n. 3, CE (oggi art. 5, n. 4, TUE), era pacifico tanto in giurisprudenza quanto in dottrina che l’esercizio delle competenze comunitarie dovesse avvenire nel rispetto della proporzionalità [v. G. Lienbacher, EU‑Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze), 1ª ed., Baden‑Baden 2000, art. 5 CE, punto 36, pag. 270].


78 —      V. sentenza 10 giugno 1980, causa 32/79, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 2403).


79 —      V. sentenza del Tribunale 6 marzo 2001, causa T‑192/99, Dunnett, Hackett e Turró Calvet/Banca europea per gli investimenti (Racc. pag. II‑813). V., per quanto attiene in particolare al diritto all’accesso effettivo alla giustizia, sentenze della Corte 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punti 18 e 19); 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a. (Racc. pag. 4097, punto 14); 27 novembre 2001, causa C‑424/99, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑9285, punto 45); 25 luglio 2002, causa C‑50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (Racc. pag. I‑6677, punto 39); 19 giugno 2003, causa C‑467/01, Eribrand (Racc. pag. I‑6471, punto 61); Unibet (cit. alla nota 33, punto 37), e DEB (cit. alla nota 31, punto 29).


80 —      V. sentenza 6 luglio 2000, causa C‑402/98, Agricola Tabacchi Bonavicina (Racc. pag. I‑5501).


81 —      V. sentenza 13 febbraio 1969, causa 14/68, Walt Wilhelm (Racc. pag. 1).


82 —      V. sentenza 4 luglio 1963, causa 32/62, Alves (Racc. pag. 99).


83 —      V. sentenze 14 luglio 1972, causa 55/69, Cassella Farbwerke Mainkur/Commissione (Racc. pag. 887); 28 maggio 1980, cause riunite 33/79 e 75/79, Kuhner/Commissione (Racc. pag. 1677); 29 giugno 1994, causa C‑135/92, Fiskano/Commissione (Racc. pag. I‑2885); 24 ottobre 1996, causa C‑32/95 P, Commissione/Lisrestal e a. (Racc. pag. I‑5373, punto 21); 21 settembre 2000, causa C‑462/98 P, Mediocurso/Commissione (Racc. pag. I‑7183, punto 36); 12 dicembre 2002, causa C‑395/00, Cipriani (Racc. pag. I‑11877, punto 51); 13 settembre 2007, cause riunite C‑439/05 P e C‑454/05 P, Land Oberösterreich e Repubblica d’Austria/Commissione (Racc. pag. I‑7141), e 18 dicembre 2008, causa C‑349/07, Sopropré (Racc. pag. I‑10369, punti 36 e 37).


84 —      V. sentenza 25 ottobre 1978, causa 125/77, Koninklijke Scholten‑Honig (Racc. pag. 1991).


85 —      V. sentenza 21 novembre 1991, causa C‑269/90, Technische Universität München (Racc. pag. I‑5469).


86 —      V. sentenza 14 febbraio 1978, causa 68/77, IFG/Commissione (Racc. pag. 353).


87 —      V. sentenza del Tribunale 25 maggio 2004, causa T‑154/01, Distilleria Palma/Commissione (Racc. pag. II‑1493, punto 45).


88 —      V. sentenza 21 settembre 2005, causa T‑306/01, Ali Yusuf e Al Barakaat International Foundation/Consiglio (Racc. pag. II‑3533, punto 277).


89 —      V. sentenza 18 marzo 1980, cause riunite 154/78, 205/78, 206/78, da 226/78 a 228/78, 263/78, 264/78, 39/79, 31/79, 83/79 e 85/79, Ferriera Valsabbia/Commissione (Racc. pag. 907).


90 —      V. sentenza 28 maggio 1980, cause riunite 33/79 e 75/79, Kuhner/Commissione (Racc. pag. 1677).


91 —      V. sentenza 5 maggio 1981, causa 804/79, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 1045).


92 —      V. sentenza 30 marzo 1995, causa C‑65/93, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑643, punto 21).


93 —      V. sentenza 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB/Commissione (Racc. pag. 19).


94 —      V. sentenza Bosman (cit. alla nota 18).


95 —      V. sentenza 12 luglio 1984, causa 237/83, Prodest (Racc. pag. 3153).


96 —      V. sentenza 15 giugno 1978, causa 149/77, Defrenne (Racc. pag. 1365).


97 —      V. sentenze 3 maggio 2005, cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I‑3565, punti 67‑69); 11 marzo 2008, causa C‑420/06, Jager (Racc. pag. I‑1315, punto 59), e 28 aprile 2011, causa C‑61/11 PPU, El Dridi (Racc. pag. I‑3015, punto 61).


98 —      Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 con la risoluzione 217 A (III) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.


99 —      Carta sociale europea, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa il 18 ottobre 1961 a Torino ed entrata in vigore il 26 febbraio 1965. L’art. 2, n. 3, afferma che, per assicurare l’effettivo esercizio del diritto ad eque condizioni di lavoro, la parti s’impegnano a garantire il godimento di ferie annuali retribuite di almeno due settimane.


100 —      Il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali è stato adottato all’unanimità dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 1966. Il suo art. 7, lett. d), afferma che: «gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni individuo di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro, le quali garantiscono in particolare (…) il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi».


101 —      La Carta comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori del 9 dicembre 1989 stabilisce, all’art. 8, che «ogni lavoratore della Comunità europea ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite i cui periodi devono essere via via ravvicinati, in modo da ottenere un progresso, conformemente alle prassi nazionali».


102 —      V. W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1059, punto 3539.


103 —      Convenzione n. 132 relativa ai congedi annuali pagati (nuova versione del 1970), adottata dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro il 24 giugno 1970, entrata in vigore il 30 giugno 1973.


104 —      Convenzione n. 52 sui congedi annuali pagati, adottata dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro il 24 giugno 1936, entrata in vigore il 22 settembre 1939. Questa convenzione è stata riformulata mediante la convenzione n. 132, ma continua ad essere aperta alla ratifica.


105 —      M. Zuleeg, Der Schutz sozialer Rechte in der Rechtsordnung der Europäischen Gemeinschaft, Europäische Grundrechte-Zeitschrift 1992, fascicolo 15/16, pag. 331, sottolinea che gli atti privi di efficacia vincolante, come la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, fungono innanzitutto da orientamenti programmatici. Essi acquisiscono eventualmente una valenza giuridica allorquando gli organi giurisdizionali li prendono in considerazione ai fini interpretativi o per sviluppare norme giurisprudenziali. W. Balze, Überblick zum sozialen Arbeitsschutz in der EU, Europäisches Arbeits- und Sozialrecht, 38˚ aggiornamento, 1998, punto 4, rileva giustamente che, sebbene la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori non sia di per sé — in quanto dichiarazione solenne — per nulla vincolante sotto il profilo giuridico, ha tuttavia agito da importante catalizzatore per il programma d’azione della Commissione, adottato alla fine del 1989 per l’attuazione della Carta comunitaria del 28 novembre 1989. Tale programma prevedeva in totale 23 proposte di direttiva concrete, fra l’altro nel settore della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori, che sono state sostanzialmente recepite entro il 1993. Se ne deduce che anche dichiarazioni solenni, in quanto fonte di ispirazione dell’attività legislativa, possono in ultima analisi acquisire importanza nella realizzazione dei diritti sociali fondamentali in esse proclamati.


106 —      V. W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1060, punto 3542.


107 —      V. S. González Ortega, El disfrute efectivo de las vacaciones anuales retribuidas: una cuestión de derecho y de libertad personal, de seguridad en el trabajo y de igualdad, Revista española de derecho europeo, n. 11 (2004), pagg. 423 e segg.


108 —      V. J. C. Vieira De Andrade, La protection des droits sociaux fondamentaux dans l’ordre juridique du Portugal, La protection des droits sociaux fondamentaux dans les États membres de l’Union européenne — Étude de droit comparé, Atene/Bruxelles/Baden‑Baden 2000, pag. 677.


109 —      V. W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1062, punto 3542.


110 —      Ibidem, pag. 1062, punto 3548.


111 —      L’art. 24, n. 3, della costituzione del Land Renania del Nord‑Vestfalia prevede, ad esempio, che il diritto a sufficienti ferie retribuite debba essere stabilito per legge.


112 —      V. E. Riedel, Charta der Grundrechte der Europäischen Union (a cura di Jürgen Meyer), 2ª ed, Baden‑Baden 2006, art. 31, punti 3 e 4.


113 —      V. paragrafo 92 delle presenti conclusioni.


114 —      V. R. Nielsen, Free movement and fundamental rights, European Labour Law Journal, 2010, n. 1, pag. 258, la quale sottolinea il ruolo che la Carta può potenzialmente svolgere nello sviluppo dei diritti sociali fondamentali nell’ambito della giurisprudenza della Corte sui principi generali del diritto. L’autrice ritiene che la Corte, nello svolgimento di questo compito, dovrebbe attingere in misura crescente alla Carta, che — diversamente dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) — contiene numerose norme sociali, quali il divieto di discriminazione, il divieto di lavoro minorile, il divieto di schiavitù e del lavoro forzato, la libertà di riunione, il diritto dei lavoratori alla contrattazione collettiva ed il diritto allo sciopero.


115 —      V. K. Lenaerts/J. A. Gutiérrez‑Fons, loc. cit. (nota 69), pag. 1633, che osservano come la Corte sarà tanto più indotta a riconoscere un determinato tipo di disciplina, quanto più tale disciplina è condivisa nei vari ordinamenti. Nel caso in cui non ci sia una totale convergenza sul punto, ma un determinato approccio venga adottato dalla maggior parte degli Stati membri, la Corte tenderà in linea di massima a seguire detto approccio, adattandolo all’ordinamento dell’Unione.


116 —      T. Tridimas, loc. cit. (nota 67), pag. 6, ricorda che la Corte può, a determinate condizioni, riconoscere uno specifico principio generale come tale, anche se non è noto in tutti gli ordinamenti degli Stati membri.


117 —      V. ordinanza 7 aprile 2011, causa C‑519/09, May (Racc. pag. I‑2761, punti 26 e 27), nella quale la Corte ha precisato che l’impiegato di un ente pubblico, indipendentemente dal suo status di dipendente pubblico, è un «dipendente» ai sensi dell’art. 7, della direttiva 2003/88/CE.


118 —      T. Tridimas, loc. cit. (nota 67), pag. 1, si chiede quali possano essere le modalità per distinguere un principio generale da una regola specifica. A suo avviso, un primo criterio di distinzione è costituito dalla validità generale del principio, intendendo per «generale» il fatto che il principio deve presentare un certo grado di astrattezza. Un secondo criterio è costituito dalla rilevanza del principio all’interno di un ordinamento giuridico.


119 —      V. paragrafi 39‑42 delle mie conclusioni del 15 giugno 2011 nella causa C‑155/10 (Williams e a.), relativa al diritto alle ferie annuali retribuite dei piloti impiegati presso una compagnia aerea. Oggetto di interpretazione era l’art. 3 dell’accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo nell’aviazione civile concluso da Association of European Airlines (AEA), European Transport Workers’ Federation (ETF), European Cockpit Association (ECA), European Regions Airline Association (ERA) e International Air Carrier Association (IACA), come attuato dalla direttiva 2000/79/CE (GU L 302, pag. 59). Ogni articolo contiene specifiche norme in materia di ferie per il personale di volo nell’aviazione civile.


120 —      A titolo di esempio si possono citare, inoltre, le norme in materia di orario di lavoro per la gente di mare. La direttiva 2003/88/CE, infatti, in base al suo dodicesimo considerando, non trova applicazione a tale gruppo di persone. Si fa invece riferimento alla direttiva 1999/63/CE del Consiglio, del 21 giugno 1999, relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (European Community Shipowners’ Association ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Unione europea (FST) (GU L 167, pag. 33). Il paragrafo 16 di tale accordo contiene una disciplina delle ferie per la gente di mare simile a quella dell’art. 7, della direttiva 2003/88/CE.


121 —      T. Tridimas, loc. cit. (nota 67), pag. 26, sostiene che un principio generale dovrebbe presentare un contenuto minimo giuridicamente vincolante che sia possibile verificare.


122 —      La Corte ha deciso, ad esempio, l’esclusione di diverse disposizioni nazionali sulla base del diritto comunitario, perché incompatibili con il principio generale della parità di trattamento (v., ad esempio, sentenze 25 novembre 1986, cause riunite 201/85 e 202/85, Klensch, Racc. pag. 3477, e 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf, Racc. pag. 2609) o con specifiche manifestazioni di tale principio, quali il divieto di discriminazione basata sulla nazionalità in contesti diversi (v., ad esempio, sentenze 13 febbraio 1985, causa 293/83, Gravier, Racc. pag. 593, sull’accesso alla formazione professionale; 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag. 379, sull’accesso all’insegnamento universitario; 27 settembre 1988, causa 42/87, Commissione/Belgio, Racc. pag. 5445, sull’indennità di insegnamento; 20 ottobre 1993, cause riunite C‑92/92 e C‑326/92, Phil Collins e a., Racc. pag. I‑5145, sui diritti di proprietà intellettuale, e 26 settembre 1996, causa C‑43/95, Data Delecta, Racc. pag. I‑4661, sui procedimenti giudiziari), con il rispetto dei diritti fondamentali (v., ad esempio, sentenze Johnston, cit. alla nota 79, sull’effettivo controllo giudiziale nell’ambito delle «condizioni di lavoro» come giustificazione per una disparità di trattamento tra uomini e donne; Wachauf, cit. supra, sul diritto di proprietà nell’ambito dell’organizzazione comune nel settore del latte e dei latticini, e 11 luglio 2002, causa C‑60/00, Carpenter, Racc. pag. I‑6279, sul diritto al rispetto della vita familiare nell’ambito di una potenziale restrizione alla libera circolazione dei servizi), con il principio della tutela del legittimo affidamento (v., ad esempio, sentenze 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑6325, sul legittimo affidamento nell’ambito di una nuova limitazione nazionale del termine di decadenza per il rimborso di somme pagate in contrasto con il diritto comunitario) e il principio di proporzionalità (v., ad esempio, sentenze 19 giugno 1980, cause riunite 41/79, 121/79 e 796/79, Testa, Racc. pag. I‑1979, sulla discrezionalità di uno Stato membro nell’estendere il periodo di godimento dell’indennità di disoccupazione ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento n. 1408/71, e 18 dicembre 1997, cause riunite C‑286/94, C‑340/95, C‑401/95 e C‑47/96, Molenheide e a., Racc. pag. I‑7281).


123 —      In questo senso si è espresso T. Tridimas, loc. cit. (nota 67), pag. 47. Analogamente, R. Walter/H. Mayer, loc. cit. (nota 45), pag. 549, punto 1330, secondo i quali l’applicazione dei diritti fondamentali può apparire auspicabile proprio nel caso in cui la forza contrattuale sia chiaramente sbilanciata a favore di una delle parti rispetto all’altra (nel caso, ad esempio, di un monopolista).


124 —      Per questo motivo il lavoratore spesso viene considerato nella giurisprudenza della Corte come parte socialmente ed economicamente debole e, perciò, bisognosa di tutela. Si veda, ad esempio, con riferimento all’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali aperta alla firma il 19 giugno 1980 a Roma (GU L 266, pag. 1), la sentenza 15 marzo 2011, causa C‑29/10, Koelzsch (Racc. pag. I‑1595, punto 40).


125 —      V. U. Preis/F. Temming, Der EuGH, das BVerfG und der Gesetzgeber, Neue Zeitschrift für Arbeitsrecht-Lehren aus Mangold II, 2010, pag. 190. G. Thüsing, loc. cit. (nota 20), pag. 15, punto 34, osserva correttamente che i confini tra dove inizia e dove finisce lo Stato sono oltremodo labili.


126 —      V. H.‑W. Rengeling/P. Szczekalla, loc. cit. (nota 45), pag. 182, punto 341.


127 —      Sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne (Racc. pag. 455).


128 —      Sentenza 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave (Racc. pag. 1405).


129 —      Ibidem (punto 16/19).


130 —      Sentenza Bosman (cit. alla nota 18).


131 —      Sentenza 6 giugno 2000, causa C‑281/98, Angonese (Racc. pag. I‑4139, punto punto 36).


132 —      Sentenza Kücükdeveci (cit. alla nota 3).


133 —      Sentenza Mangold (cit. alla nota 9, punto 75).


134 —      V. paragrafi 144 e segg. delle presenti conclusioni.


135 —      Si vedano, in questo senso, anche le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston del 22 maggio 2008 nella causa C‑427/06, Bartsch (sentenza del 23 settembre 2008, Racc. pag. I‑7245, paragrafo 85).


136 —      V. H. Jarass, Bedeutung der EU‑Rechtsschutzgewährleistung für nationale und EU‑Gerichte, Neue Juristische Wochenschrift 2011, pag. 1394.


137 —      Anche K. Lenaerts/J. A. Gutiérrez‑Fons, loc. cit. (nota 69), pag. 1656, sembrano ammettere la parallela validità dei diritti derivanti dai principi generali e dalla Carta, dato che attribuiscono importanza alla Carta quale strumento interpretativo ai fini della individuazione di nuovi principi generali. In senso analogo si esprimono anche U. Preis/T. Temming, loc. cit. (nota 125), i quali auspicano che la Corte, sulla base dei poteri accordatile, deduca dall’art. 6, n. 3, TUE, un diritto fondamentale dell’Unione, sussidiario e non scritto, avente ad oggetto la libertà d’azione, cosicché possa essere accordata ai privati la possibilità di contestare in generale le violazioni delle disposizioni delle direttive in quanto tali.


138 —      V. R. Geiger, loc. cit. (nota 48), art. 6, pag. 45, punto 27; H. Jarass, loc. cit. (nota 55), pag. 19, punto 15.


139 —      In questo senso, H. Jarass, loc. cit. (punto 136).


140 —      V. H. Jarass, loc. cit. (nota 55), pag. 19, punto 15.


141 —      In questo senso, M. De Mol, loc. cit. (nota 50), che nega l’efficacia orizzontale dei principi generali sulla base dell’art. 51, n. 1, prima frase, della Carta, dove si prevede che solo l’Unione e gli Stati membri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali.


142 —      V. sentenze 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn (Racc. pag. 1338, punti 13/14); 12 maggio 1987, cause riunite da 372/85 a 374/85, Traen (Racc. pag. 2141, punto 25); 20 settembre 1988, causa 31/87, Beentjes (Racc. pag. 4635, punto 43), e 23 febbraio 1994, causa C‑236/92, Comitato di coordinamento per la difesa della Cava/Regione Lombardia (Racc. pag. I‑483, punto 9).


143 —      V. sentenze 22 settembre 1983, causa 271/82, Auer (Racc. pag. 2727, punto 16); 15 dicembre 1983, causa 5/83, Rienks (Racc. pag. 4233, punto 8); Marshall (cit. alla nota 20, punto 52); 4 dicembre 1986, causa 71/85, Federatie Nederlandse Vakbeweging (Racc. pag. 3855, punto 18), e Comitato di coordinamento per la difesa della Cava/Regione Lombardia (cit. alla nota 142, punto 10).


144 —      V. sentenze 27 giugno 1989, causa 50/88, Kühne (Racc. pag. 1925, punto 26), e 22 maggio 1980, causa 131/79, Santillo (Racc. pag. 1585, punto 13).


145 —      V. P. Fischinger, loc. cit. (nota 34), il quale, con riguardo al divieto di discriminazione in ragione dell’età, ha dichiarato che nell’esaminare se si sia verificata una violazione del principio generale occorre innanzitutto determinare il contenuto di detto principio generale in maniera autonoma (ovvero senza fare riferimento a norme di diritto derivato).


146 —      V. M. De Mol, loc. cit. (nota 50), pag. 301, che considera il riconoscimento dell’efficacia orizzontale di un principio generale nella sentenza Kücükdeveci come degno di nota, dato che, a suo parere, i principi generali si caratterizzano, da un lato, per essere generalmente volti a tutelare il cittadino nei confronti dello Stato e, dall’altro, «per essere astratti, operando in una sola direzione, ma senza stabilire regole concrete».


147 —      In questo senso M. Schweitzer/W. Obwexer, Europarecht, pag. 178, punto 653, ed E. Sariyiannidou, loc. cit. (nota 59), pag. 122, che parla di «ripartizione delle funzioni». Secondo T. Oppermann, op. cit. alla nota 27, § 5, punto 5, pag. 80, all’interno della Comunità europea la separazione dei poteri statali tra legislativo, esecutivo e giudiziario viene modulata diversamente a favore di uno specifico equilibrio istituzionale tra le istituzioni comunitarie. In particolare, tra Parlamento, Consiglio e Commissione i compiti sono suddivisi diversamente da quanto avviene a livello statale. Anche nella Comunità europea si ottiene il risultato di un reciproco controllo e di un equilibrio dei poteri («checks and balances»). Nell’equilibrio istituzionale delle istituzioni si rispecchia un fondamentale principio dello Stato di diritto. Esso comporta che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni, e che eventuali violazioni di tale regola possono essere sanzionate grazie al controllo della Corte.


148 —      V. le mie conclusioni del 30 giugno 2009 nella causa C‑101/08, Audiolux (sentenza 15 ottobre 2009, Racc. pag. I‑9823, paragrafo 107).


149 —      Secondo E. Sariyiannidou, loc. cit. (nota 59), pag. 137, l’art. 220 CE attribuisce in definitiva alla Corte la competenza di stabilire ciò che è «diritto» senza tuttavia che tale competenza sia precisamente delimitata. La Corte, contribuendo allo sviluppo dei principi generali, avrebbe fatto ampio uso della sua competenza di contribuire a sviluppare il diritto. L’autrice esprime la preoccupazione che ciò possa offuscare i confini tra attività giurisdizionale ed attività politica.


150 —      In questo senso si esprime anche A. Seifert, loc. cit. (nota 37), che ritiene possibile un’analoga applicazione dei principi giurisprudenziali elaborati nella sentenza Kücükdeveci anche in altri settori protetti da diritti fondamentali. Egli fa riferimento al diritto fondamentale alle ferie annuali retribuite stabilito dall’art. 31, n. 2, della Carta, che è stato concretizzato prevalentemente dalla direttiva sull’orario di lavoro.


151 —      GU L 303, pag. 16.


152 —      Sentenza Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 53).


153 —      V. D. Simon, L’invocabilité des directives dans les litiges horizontaux: confirmation ou infléchissement, Europe: actualité du droit communautaire, 2010, n. 3, pag. 7, punto 19.


154 —      V. A. Seifert, loc. cit. (nota 37), pag. 806, il quale ritiene che il ricorso ad un principio generale rappresenti per la Corte lo strumento per non cadere in contraddizione con la propria giurisprudenza in materia di mancata efficacia orizzontale diretta delle direttive tra i privati.


155 —      Sentenza Mangold (cit. alla nota 9, punto 75).


156 —      Sentenza Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 50).


157 —      Ibidem (punto 51).


158 —      Ibidem (punti 28‑43).


159 —      Ibidem (punti 25 e 26).


160 —      V. paragrafi 110 e 114 delle presenti conclusioni.


161 —      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.


162 —      V. paragrafo 53 delle presenti conclusioni.


163 —      V., a questo riguardo, le conclusioni del 6 maggio 2010 nella causa C‑104/09, Roca Álvarez (sentenza 30 settembre 2010, Racc. pag. I‑8661, paragrafo 55), nelle quali l’avvocato generale Kokott ha richiamato le sentenze Mangold e Kücükdeveci, chiedendosi se la Corte estenderà l’applicazione orizzontale diretta anche ad altri principi, quali il divieto di discriminazione in ragione del sesso. L’avvocato generale ritiene che, di fronte ad una simile evoluzione, sarebbe necessario analizzare, in particolare, i fondamenti dogmatici della controversa efficacia orizzontale diretta e i suoi limiti. Si vedano anche G. Thüsing/S. Horler, Besprechung des Urteils Kücükdeveci, Common Market Law Review, 2010, pag. 1171, i quali si esprimono a favore di una dettagliata giustificazione dogmatica di questo approccio.


164 —      V. paragrafo 136 delle presenti conclusioni.


165 —      V. M. De Mol, loc. cit. (nota 50), pag. 305, che correttamente muove dal presupposto che la Corte, adottando tale approccio, finisca con l’equiparare in larga misura il principio generale con la direttiva.


166 —      Tale aspetto viene criticato anche da D. Simon, loc. cit. (nota 153), n. 3, pag. 4, punto 7. L’autore ritiene che questo approccio non definisca in modo chiaro la portata né del principio generale di non discriminazione sulla base dell’età, né del suo contenuto concreto e neppure della direttiva.


167 —      In questo senso, P. Fischinger, loc. cit. (nota 34), pag. 207.


168 —      V. P. Fischinger, loc. cit. (nota 34), pag. 207, secondo il quale seguire l’approccio adottato nella sentenza Kücükdeveci sarebbe come cercare di individuare, a livello nazionale, l’ambito di tutela di un principio costituzionalmente garantito sulla base del contenuto di una legge.


169 —      V. O. Mörsdorf, Diskriminierung jüngerer Arbeitnehmer — Unanwendbarkeit von § 622 II2 BGB wegen Verstoßes gegen das Unionsrecht, Neue Juristische Wochenschrift, 2010, pag. 1048, che osserva come nella sentenza Kücükdeveci la Corte abbia fatto ricorso come criterio per valutare la conformità delle norme di diritto nazionale al diritto dell’Unione — malgrado le considerazioni svolte in senso contrario — non al principio astratto di diritto primario (i principi generali), bensì alla direttiva, che contiene norme dettagliate. P. Fischinger, loc. cit. (nota 34), pag. 206, ritiene che, con l’approccio adottato nella sentenza Kücükdeveci, di fatto ci si riferisca alla direttiva per quanto riguarda la fattispecie, ma per le conseguenze si attinga al diritto primario.


170 —      P. Fischinger, loc. cit. (nota 34), pag. 207, suppone che nella sentenza Kücükdeveci la Corte si sia lasciata aperta la possibilità di desumere anche in futuro dal contenuto delle direttive il contenuto del diritto primario recentemente introdotto.


171 —      In questo senso, W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 137, punto 453, che subordina l’attuazione dei diritti sociali anche alle possibilità finanziarie. Si veda K. Riesenhuber, loc. cit. (nota 50), pagg. 49 e seg., punto 34, che richiama la genesi del titolo IV («Solidarietà») e osserva come l’inserimento dei diritti sociali fondamentali nella Carta sia stato oggetto di particolari discussioni in sede di Convenzione, in quanto si temeva che il loro riconoscimento avrebbe potuto comportare oneri finanziari eccessivi a carico dell’Unione e degli Stati membri. A favore di un loro inserimento è stata invece addotta la natura inscindibile dei diritti politici e sociali, oltre al fatto che già nell’art. 136, n. 1, TCE, divenuto art. 151 TFUE, viene fatto riferimento alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali. Ne sarebbe conseguita una soluzione di compromesso, dato che i diritti sociali sono stati sì previsti, ma con una tutela debole e senza che possano essere azionati come veri diritti per ottenere le prestazioni. In molti casi la Carta non prevede alcuna garanzia autonoma, rimettendo piuttosto al diritto dell’Unione e degli Stati membri di determinare «se» e «come» è assicurata la tutela.


172 —      V. W. Frenz, loc. cit. (nota 37), pag. 1059, punto 3540, il quale tenta di spiegare le ragioni per cui la Carta è incompleta proprio con riguardo ai diritti sociali. Egli ritiene che i diritti sociali difficilmente possano essere inseriti in modo completo. Da un lato, la percezione di ciò che deve essere considerato «sociale» è mutevole, dall’altro la previsione di diritti di natura sociale è sempre frutto di compromessi. H.‑W. Rengeling/P. Szczekalla, loc. cit. (nota 45), pag. 793, punto 793, osservano correttamente come la nozione di «sociale» all’interno della Carta sia tendenzialmente aperta. Non è neppure chiaro cosa si intenda con l’espressione «Solidarietà» nel titolo IV della Carta.


173 —      Nel dettaglio, con riguardo alle deroghe ed eccezioni, si veda R. Blanpain, European Labour Law, 11ª ed., Alphen aan den Rijn 2008, pagg. 586 e seg.


174 —      V. J.‑H. Bauer/A. von Medem, Kücükdeveci = Mangold hoch zwei? Europäische Grundrechte verdrängen deutsches Arbeitsrecht, Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, numero 11, 2010, pag. 452.


175 —      In questo senso, J.‑H. Bauer/A. von Medem, loc. cit. (nota. 174), che si sono espressi contro il ricorso all’approccio adottato nella sentenza Kücükdeveci nel caso dei diritti fondamentali dei lavoratori sanciti dagli artt. 27 e segg. della Carta, in virtù delle differenze che esistono tra questo tipo di diritti fondamentali e i divieti di discriminazione. Essi osservano come, in relazione a molti settori disciplinati nel titolo IV («Solidarietà») della Carta, siano state emanate direttive che, in base ad una loro lettura tradizionale, non possono prevalere su norme di diritto nazionale contrastanti nell’ambito di una controversia tra privati. Gli autori si riferiscono espressamente alla direttiva sull’orario di lavoro che, ad esempio, concretizza il diritto alle ferie annuali retribuite sancito dall’art. 31, n. 2, della Carta.


176 —      V., con riferimento ai principi fondamentali dello Stato di diritto nel diritto dell’Unione, il paragrafo 96 delle presenti conclusioni. V. sentenze 16 giugno 1993, causa C‑325/91, Francia/Commissione (Racc. pag. I‑3286, punto 26), e 16 ottobre 1997, causa C‑177/96, Banque Indosuez e a. (Racc. pag. I‑5659, punti 26‑31).


177 —      V. sentenze 7 giugno 2005, causa C‑17/03, VEMW (Racc. pag. I‑4983, punto 80), e 14 gennaio 2010, causa C‑226/08, Stadt Papenburg (Racc. pag. I‑131, punto 45).


178 —      V. paragrafi 61‑63 delle presenti conclusioni.


179 —      V. M. Avbelj, Temeljna načela prava EU padajo na glavo, Pravna praksa, 2010, n. 7, pag. 34, il quale critica la sentenza Kücükdeveci, poiché potrebbe, a suo parere, capovolgere la giurisprudenza precedente della Corte in materia di mancanza di efficacia orizzontale diretta delle direttive. M. De Mol, loc. cit. (nota 50), pag. 307, manifesta delle perplessità quanto alla compatibilità di questo approccio, volto ad affermare un principio generale (il divieto di discriminazione sulla base dell’età), con il principio della certezza del diritto, che rappresenta anch’esso, in definitiva, un principio generale. L’autrice ritiene che i privati non potrebbero più fare affidamento sul diritto nazionale (scritto) e dovrebbero invece tener conto dei possibili effetti di un principio generale (non scritto).


180 —      In questo senso si sono espressi G. Thüsing/S. Horler, loc. cit. (nota 163), e A. Seifert, loc. cit. (nota 37).


181 —      Sentenza Kücükdeveci (cit. alla nota 3, punto 53).


182 —      V. paragrafo 127 delle presenti conclusioni.


183 —      V. paragrafo 65 delle presenti conclusioni.


184 —      L. Goffin, À propos des principes régissant la responsabilité non contractuelle des États membres en cas de violation du droit communautaire, Cahiers de droit européen, n. 5‑6 (1997), pagg. 537 e segg.; K. Lenaerts/D. Arts./I. Maselis, Procedural Law of the European Union, 2ª ed., Londra 2006, punto 3‑042, pag. 109; R. Knez, Varstvo pravic posameznika, ki jih vsebuje pravo skupnosti, Revizor, n. 4/5 (2003), anno 14, pag. 105; F. Ossenbühl, Staatshaftungsrecht, 5ª ed., Monaco di Baviera 1998, pag. 505, e E. Guichot, La responsabilidad extracontractual de los poderes públicos según el Derecho Comunitario, Valencia 2007, pagg. 473 e 474, individuano tre presupposti: 1) che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli; 2) che la violazione sia sufficientemente caratterizzata; e 3) che esista un nesso causale tra la violazione e il danno subito. V., in particolare, sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C‑46/93 e C‑48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame (Racc. pag. I‑1029, punto 51); 23 maggio 1996, causa C‑5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I‑2553, punto 25); 4 luglio 2000, causa C‑424/97, Haim (Racc. pag. I‑5123, punto 36); 4 dicembre 2003, causa C‑63/01, Evans (Racc. pag. I‑14447, punto 83), e 25 gennaio 2007, causa C‑278/05, Robins e a. (Racc. pag. I‑1053, punto 69).


185 —      Sentenza 8 ottobre 1996, cause riunite C‑178/94, C‑179/94, da C‑188/94 a C‑190/94, Dillenkofer e a. (Racc. pag. I‑4845, punto 23).


186 —      In questo senso, si vedano le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs del 26 settembre 2000 nella causa C‑150/99, Lindöpark (Racc. pag. I‑493, paragrafo 51).


187 —      Sentenze Brasserie du Pêcheur e Factortame (cit. alla nota 184, punto 22); 26 marzo 1996, causa C‑392/93, British Telecommunications (Racc. pag. I‑1631, punto 41), e 18 gennaio 2001, causa C‑150/99, Lindöpark (Racc. pag. I‑493, punto 38).


188 —      Sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame (cit. alla nota 184, punto 25).


189 —      V. paragrafo 52 delle presenti conclusioni.


190 —      Sentenza Merino Gómez (cit. alla nota 11).


191 —      Ibidem (punto 31).


192 —      Sentenza Schultz‑Hoff e a. (cit. alla nota 6, punto 27).


193 —      V. paragrafo 53 della memoria del governo francese.


194 —      V. sentenze 6 aprile 2006, causa C‑124/05, Federatie Nederlandse Vakbeweging (Racc. pag. I‑3243, punto 30), e Schultz‑Hoff e a. (cit. alla nota 6, punto 30).