Language of document : ECLI:EU:T:2007:85

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

14 marzo 2007 (*)

«Ricorso di annullamento – Dumping – Importazioni di silicio proveniente dalla Russia – Danno – Nesso di causalità»

Nella causa T‑107/04,

Aluminium Silicon Mill Products GmbH, con sede in Zug (Svizzera), rappresentata dagli avv.ti A. Willems e L. Ruessmann,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. M. Bishop, in qualità di agente, assistito dall’avv. G. Berrisch,

convenuto,

sostenuto da:

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. T. Scharf e dalla sig.ra K. Talabér Ricz, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda di annullamento del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2003, n. 2229, che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio istituito sulle importazioni di silicio originario della Russia (GU L 339, pag. 3),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dalla sig.ra V. Tiili e dal sig. O. Czúcz, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kristensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 9 novembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        La ricorrente è una società di diritto svizzero operante in particolare nel settore della vendita e della commercializzazione, sul mercato comunitario, di prodotti semilavorati di silicio. Essa acquista il silicio presso due produttori, la SUAL Kremny-Ural LLC (SKU) e la JSC ZAO Kremny (ZAO). Queste due società appartengono alla OAO SUAL (SUAL). Dal momento che quest’ultima e la ricorrente, in ultima istanza, sono controllate dallo stesso produttore, ossia la SUAL International Ltd, la SKU e la ZAO sono produttori che presentano un legame con la ricorrente.

2        I diversi tipi di silicio, prodotto commercializzato in blocchi, grani, granuli o polvere, si distinguono in particolare per il tenore di ferro, di calcio e per la presenza di altri oligoelementi. Per quanto riguarda il silicio con una concentrazione compresa tra il 95 e il 99,99%, il prodotto su cui verte la presente causa, si possono individuare due categorie di utilizzatori nell’ambito del mercato comunitario: gli utilizzatori dell’industria chimica, che producono per lo più siliconi, e quelli dell’industria metallurgica, che producono alluminio.

3        A seguito di una denuncia depositata da EuroAlliages (Comitato di coordinamento dell’industria delle ferroleghe), la Commissione ha avviato un procedimento antidumping relativo alle importazioni di silicio dalla Russia, in forza del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come da ultimo modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 5 novembre 2002, n. 1972 (GU L 305, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»). L’avviso di apertura del procedimento è stato pubblicato il 12 ottobre 2002 (GU C 246, pag. 12).

4        Il 10 luglio 2003 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 1235/2003 che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di silicio originario della Russia (GU L 173, pag. 14; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»). Sulla base della sua inchiesta relativa alle pratiche di dumping e al pregiudizio relativo al periodo compreso tra il 1° ottobre 2001 e il 30 settembre 2002 (in prosieguo: il «periodo d’inchiesta» o il «PE»), e dopo aver esaminato gli andamenti relativi al danno tra il 1° gennaio 1998 e la fine del periodo d’inchiesta (in prosieguo: il «periodo in esame»), essa ha fissato nella misura del 25,2% l’aliquota del dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di silicio avente una concentrazione, in peso, inferiore al 99,99%, contraddistinto dal codice NC 2804 69 00, originario della Russia, prodotto dalla SKU e dalla ZAO.

5        Nel regolamento provvisorio si espone la variazione di diversi indicatori economici relativi alla situazione del mercato europeo del silicio nonché alla situazione dei produttori-esportatori russi e dell’industria comunitaria, di cui sono riportati di seguito alcuni dati:

Tabella 1

Consumo comunitario (basato sul volume delle vendite)


1998

1999

2000

2001

PE

Tonnellate

290 684

325 234

388 938

373 950

371 540

Indice

Variazione annua

100

112

+ 12%

134

+ 20%

129

‑ 4%

128

‑ 1%


Tabella 3

Quota di mercato delle importazioni dalla Russia (in base al volume delle vendite)


1998

1999

2000

2001

PE

Percentuale del mercato UE

3,7

1,9

3,6

4,5

4,8

Variazione annua (punti percentuali)


‑ 1,8%

+ 1,7%

+ 0,9%

+ 0,3%


Tabella 4

Prezzo medio delle importazioni in dumping


1998

1999

2000

2001

PE

EUR

1048

963

1131

999

929

Indice

Variazione annua

100

92

‑ 8%

108

+ 17%

95

‑ 12%

89

‑ 7%


Tabella 8

Volume delle vendite (dell’industria comunitaria)


1998

1999

2000

2001

PE

Tonnellate

86 718

114 587

133 568

128 219

136 421

Indice

Variazione annua

100

132

+ 32%

154

+ 17%

148

‑ 7%

[‑ 4%

v. infra punto 87]

157

+ 6%


Tabella 9

Prezzi praticati dall’industria comunitaria per il silicio


1998

1999

2000

2001

PE

EUR/tonnellata

1 415

1 184

1 231

1 271

1 185

Indice

Variazione annua

100

84

‑ 16%

87

+ 4%

90

+ 3%

84

‑ 7%


Tabella 10

Quota di mercato (dell’industria comunitaria)


1998

1999

2000

2001

PE

Percentuale del mercato

29,8

35,2

34,3

34,3

36,7

Indice

100

118

115

115

123


Tabella 12

Redditività (dell’industria comunitaria)


1998

1999

2000

2001

PE

Utili (in percentuale)

12,6

1,8

5,0

1,7

‑ 2,1

Variazione annua


‑ 10,8%

+ 3,2%

‑ 3,3%

‑ 3,8%


6        Il 22 dicembre 2003 il Consiglio ha adottato il regolamento n. 2229/2003 che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio istituito sulle importazioni di silicio originario della Russia (GU L 339, pag. 3; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Il regolamento impugnato impone dazi antidumping pari al 22,7% sulle importazioni di silicio prodotto dalla SKU e dalla ZAO.

 Procedimento e conclusioni delle parti

7        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 marzo 2004, la ricorrente proponeva il presente ricorso.

8        Con ordinanza del presidente della Terza Sezione del Tribunale 26 gennaio 2005, la Commissione veniva ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Essa tuttavia rinunciava a presentare osservazioni scritte.

9        Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) decideva di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, invitava le parti a rispondere per iscritto a taluni quesiti. Le parti ottemperavano a tale richiesta entro il termine prescritto.

10      Le parti venivano sentite nelle loro difese e risposte ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 9 novembre 2005.

11      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui impone dazi sulle esportazioni effettuate dalla SKU e dalla ZAO;

–        condannare il Consiglio alle spese.

12      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Sulla domanda di annullamento

13      La ricorrente fa valere cinque motivi a sostegno della sua domanda di annullamento. Il primo, relativo alla supposta errata definizione di «prodotto simile», verte su un manifesto errore di valutazione e sulla violazione dell’art. 1, n. 4, e dell’art. 6, n. 7, del regolamento di base. Il secondo motivo, riguardante la fissazione del prezzo all’esportazione, verte sulla violazione dell’art. 2, n. 9, del regolamento di base e dell’art. 253 CE. Il terzo motivo, relativo alla determinazione dell’esistenza di un grave pregiudizio, attiene alla violazione dell’art. 3, nn. 2 e 5, del regolamento di base, degli artt. 3.1 e 3.4 dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU 1994, L 336, pag. 103) figurante nell’allegato 1A all’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), e dell’art. 253 CE. Il quarto motivo, riguardante l’instaurazione del nesso di causalità tra le importazioni che si asserisce siano oggetto di dumping e il danno, verte sulla violazione dell’art. 3, nn. 2, 6 e 7, del regolamento di base, degli artt. 3.1 e 3.5 dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994, su un manifesto errore di valutazione e sulla violazione dell’art. 253 CE. Il quinto motivo, relativo al metodo utilizzato per stabilire il livello di eliminazione del danno, verte sulla violazione dell’art. 3, n. 3, del regolamento di base e dell’art. 253 CE.

14      Il Tribunale reputa che occorra innanzitutto esaminare la prima parte del terzo motivo, relativa a una violazione del regolamento di base in sede di accertamento di un pregiudizio grave ai sensi dell’art. 3 di tale regolamento, e la prima parte del quarto motivo, relativa a una violazione del regolamento di base a causa di una supposta errata constatazione del nesso causale tra il danno accertato dal regolamento impugnato e le importazioni oggetto di dumping.

 Argomenti delle parti

15      La ricorrente rammenta che, ai sensi del regolamento impugnato, tra il 1998 e il 2000 gli indicatori di danno hanno registrato un andamento positivo con riguardo all’industria comunitaria, e in un secondo momento un andamento negativo tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, in particolare con riferimento ai prezzi. Orbene, essa sostiene che le istituzioni comunitarie hanno omesso di rilevare che anche le principali diminuzioni di prezzo dell’industria comunitaria erano intervenute durante il periodo compreso tra il 1998 e il 1999.

16      Essa rileva inoltre, in merito all’affermazione contenuta nel quarantaquattresimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, secondo cui «tra il 2000 e il PI [periodo d’inchiesta], quasi tutti gli indicatori [della situazione dell’industria comunitaria] sono aumentati in misura minima, sono rimasti invariati o hanno registrato una diminuzione», che gli unici indicatori che hanno conosciuto un andamento negativo erano quelli relativi ai prezzi, alla redditività e al flusso di cassa, mentre gli altri indicatori presentavano solo sviluppi positivi. Essa rammenta inoltre, a tale proposito, l’aumento della produzione e della capacità produttiva dell’industria comunitaria. Essa sottolinea inoltre che le diminuzioni di prezzo coincidono con un forte aumento della produzione, della capacità produttiva del volume delle vendite e delle quote di mercato delle imprese comunitarie. Nel 1999 e nel corso del periodo d’inchiesta, i produttori comunitari avrebbero quindi realizzato utili pari, rispettivamente, al 32% e al 6% del loro volume delle vendite.

17      Per quanto riguarda l’argomento del Consiglio ai sensi del quale, oltre ai tre summenzionati indicatori, anche il livello degli investimenti e gli utili da questi ultimi derivanti si sono sviluppati negativamente, la ricorrente replica che ciò costituirebbe il logico risultato del fatto che, tra il 1998 e il 2000, l’industria comunitaria ha investito in modo massiccio al fine di incrementare la sua produzione in risposta alla crescita della domanda e che tale livello di investimento non poteva essere mantenuto durante gli anni successivi, che hanno registrato una flessione della domanda.

18      La ricorrente reputa che le summenzionate asserzioni provino che il Consiglio non ha preso in considerazione taluni fattori previsti e non ha correttamente valutato quelli di cui esso ha tenuto conto, il che costituisce una violazione dell’art. 3, n. 5, del regolamento di base.

19      Infine, in sede di udienza, la ricorrente ha rilevato che la constatazione effettuata al quarantaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, secondo la quale, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, la quota di mercato dell’industria comunitaria è diminuita, è errata dal momento che i dati riportati nel regolamento provvisorio la contraddicono.

20      Per quanto riguarda la supposta erronea valutazione del nesso causale, la ricorrente ritiene che sia stata la variazione della domanda di silicio a svolgere un ruolo determinante nello sviluppo della redditività dell’industria comunitaria. L’evoluzione positiva verificatasi tra il 1998 e il 2000, in particolare il notevole incremento della produzione e delle vendite, sarebbe principalmente attribuibile all’aumento della domanda di silicio nella misura del 32%, e non alle decisioni dell’industria comunitaria di investire in nuovi impianti produttivi.

21      Parimenti, il crollo dei prezzi (e della redditività) dell’industria comunitaria tra il 2000 e il periodo d’inchiesta rifletterebbe in linea principale la contrazione della domanda di silicio e il fatto che l’industria comunitaria avrebbe aumentato la sua quota di mercato su un mercato in calo, adottando un’aggressiva politica di prezzi. La ricorrente aggiunge che l’esigenza di incrementare in modo così rapido il volume delle vendite agli utilizzatori dell’industria metallurgica (l’unico sbocco delle importazioni di silicio provenienti dalla Russia; in prosieguo: le «importazioni russe») ha naturalmente imposto di diminuire nettamente i prezzi di vendita e ha comportato una diminuzione dei prezzi (equivalente al 19%) che sarebbe sostanzialmente più significativa del crollo dei prezzi delle importazioni russe (11%). Così, le vendite e i prezzi dell’industria comunitaria non sarebbero stati interessati dalle importazioni russe.

22      Inoltre, essa rileva che la crescita della quota di mercato dei produttori-esportatori russi tra il 2000 e il periodo d’inchiesta rappresentava solo la metà dell’aumento della quota di mercato dei produttori comunitari. Sarebbe comunque inconcepibile che con una quota di mercato inferiore al 5% i produttori-esportatori russi abbiano potuto imporre i prezzi sul mercato europeo.

23      La ricorrente sostiene che il Consiglio, nel suo controricorso, né contesta né esamina i fatti determinanti, che sarebbero i seguenti: in primo luogo, nel 2001 l’incremento della domanda proveniente dall’industria chimica avrebbe registrato una pausa d’arresto, e si sarebbe verificato, infatti, durante il periodo d’inchiesta, un rilevante calo delle vendite dei produttori comunitari agli utilizzatori dell’industria chimica. In secondo luogo, vi sarebbe stato un massiccio aumento del volume delle vendite realizzate dai produttori comunitari agli utilizzatori dell’industria metallurgica durante il periodo d’inchiesta. Questo sarebbe uno dei motivi principali della diminuzione del prezzo medio applicato dall’industria comunitaria. In terzo luogo, si sarebbe verificata, contemporaneamente, una diminuzione pari a circa il 10% dei prezzi praticati dai produttori comunitari nei confronti degli utilizzatori del settore metallurgico. In quarto luogo, la diminuzione dei prezzi sarebbe stata notevolmente più significativa rispetto alla diminuzione dei prezzi delle importazioni russe nel corso dello stesso periodo.

24      Quanto al divario tra i prezzi praticati dai produttori‑esportatori russi e quelli fatturati dai produttori comunitari, essa ritiene che ciò sia illustrato da numerosi elementi, come la differenza nella combinazione dei prodotti o lo scarto di prezzo dei prodotti locali.

25      Per quanto riguarda l’argomento fondato dal Consiglio sull’addotto effetto cumulativo delle diminuzioni dei prezzi praticati dai produttori‑esportatori russi tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, la ricorrente replica che il livello dei prezzi russi era già notevolmente inferiore al prezzo medio dell’industria comunitaria nel 2000 e che le importazioni russe rappresentavano circa un decimo della quota di mercato dell’industria comunitaria, il che indica che i prezzi delle importazioni russe non costituivano un elemento concorrenziale di rilievo per i prezzi dell’industria comunitaria.

26      Essa rileva infine che, non avendo esposto i fatti nella loro interezza e non avendo preso in considerazione, oltre alle importazioni oggetto di dumping, tutti gli elementi noti in grado di pregiudicare l’industria comunitaria, le istituzioni comunitarie hanno violato l’art. 3, nn. 2, 6 e 7, del regolamento di base.

27      Quanto all’accertamento di un pregiudizio grave, il Consiglio sottolinea che, per quanto sia vero che tra il 1998 e il 1999 si sono verificate significative diminuzioni di prezzo, i prezzi hanno successivamente registrato un nuovo incremento per diminuire ancora in modo rilevante tra il 2001 e la fine del periodo d’inchiesta. Questa seconda diminuzione dei prezzi si è prodotta parallelamente a un incremento delle importazioni russe. Esso rileva altresì che, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, i prezzi, la redditività e il flusso di cassa hanno registrato una variazione in termini negativi. Inoltre, gli investimenti sarebbero calati del 26%, gli utili derivanti da questi ultimi avrebbero registrato una diminuzione pari al 26,1% e l’aumento delle retribuzioni medie sarebbe stato inferiore al tasso di inflazione (meno dell’1% per anno). Lo stesso varrebbe per l’intero periodo preso in esame.

28      Quanto all’argomento della ricorrente ai sensi del quale lo sviluppo negativo del livello degli investimenti e gli utili derivanti da questi ultimi costituirebbero la conseguenza di rilevanti investimenti in capacità produttiva (supra punto 17), il Consiglio risponde che esso è ingiustificato e inesatto, dal momento che la capacità produttiva dell’industria comunitaria è regolarmente aumentata fino al 2001.

29      Il Consiglio osserva altresì che, contrariamente a quanto addotto dalla ricorrente, non si è verificato alcun massiccio incremento del volume delle vendite né alcun significativo aumento della quota di mercato tra il 2000 e il periodo d’inchiesta. Nel corso di tale periodo, il volume delle vendite dell’industria comunitaria è aumentato del 2% e la sua quota di mercato di 2,4 punti percentuali. A questo proposito, il Consiglio ha espressamente ammesso, all’udienza, che il regolamento impugnato conteneva un errore al quarantaseiesimo ‘considerando’, in cui si afferma che la quota di mercato detenuta dall’industria comunitaria aveva registrato una forte contrazione, ma ha rilevato che questa circostanza era stata invocata dalla ricorrente per la prima volta in sede di udienza, il che rendeva l’argomento tardivo e, pertanto, irricevibile ai sensi degli artt. 44 e 46 del regolamento di procedura del Tribunale.

30      Il Consiglio ritiene, in linea generale, che le affermazioni della ricorrente in merito alla violazione del regolamento di base siano infondate e di aver esaminato correttamente tutti i rilevanti fattori di pregiudizio ai ‘considerando’ 33‑73 del regolamento provvisorio e ai ‘considerando’ 37‑48 del regolamento impugnato.

31      Il Consiglio rileva inoltre che la ricorrente non precisa né gli elementi che esso si sarebbe astenuto dal valutare né in che termini la valutazione effettuata sarebbe insufficiente. Esso invoca, a tale riguardo, l’ordinanza della Corte 1° febbraio 1993, causa C‑318/92 P, Moat/Commissione (Racc. pag. I‑481), e la sentenza del Tribunale 12 gennaio 1995, causa T‑102/92, Viho/Commissione (Racc. pag. II‑17), ai sensi delle quali gli addebiti devono essere formulati in modo preciso nel ricorso.

32      Quanto al nesso di causalità tra il danno e le importazioni oggetto di dumping, il Consiglio sostiene che i dati disponibili contraddicono l’affermazione secondo la quale l’industria comunitaria svolgeva un ruolo preponderante nella determinazione dei prezzi di vendita agli utilizzatori dell’industria metallurgica. Esso rammenta che, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, i prezzi medi russi sono rimasti costantemente inferiori ai prezzi medi dell’industria comunitaria e questo varrebbe anche se fossero prese in considerazione esclusivamente le vendite all’industria metallurgica.

33      Esso contesta inoltre l’argomento della ricorrente in base al quale i prezzi russi non possono avere causato la diminuzione dei prezzi dell’industria comunitaria, in quanto questi ultimi sarebbero diminuiti in modo più significativo rispetto ai prezzi russi. Il Consiglio osserva a tale riguardo che i prezzi russi sono diminuiti dell’11% nel corso dell’intero periodo d’inchiesta e sostiene altresì che, ai fini dell’analisi del nesso di causalità, la portata della contrazione del prezzo delle importazioni oggetto di dumping e quella dei prezzi praticati dall’industria comunitaria sono irrilevanti quando il prezzo delle importazioni è inferiore a quello applicato dall’industria comunitaria. Considerato che il livello dei prezzi russi era sensibilmente inferiore a quello dell’industria comunitaria sin dal 2000, e che, successivamente, è diminuito in misura ancora maggiore, sarebbe ragionevole ritenere che il prezzo delle importazioni russe sia all’origine della contrazione dei prezzi comunitari.

34      Il Consiglio reputa che l’argomento della ricorrente, ai sensi del quale la diminuzione dei prezzi e la redditività dell’industria comunitaria tra il 2000 e il periodo d’inchiesta riflettono il calo del mercato, sia infondato. Esso osserva, a questo proposito, che il volume delle vendite dell’industria comunitaria è leggermente aumentato tra il 2000 e il periodo d’inchiesta. Ne deduce che la contrazione della domanda non ha pregiudicato le vendite dell’industria comunitaria. Inoltre, il lieve aumento della quota di mercato dell’industria comunitaria durante il summenzionato periodo costituirebbe una logica conseguenza della stabilità delle vendite su un mercato in calo. Esso rammenta altresì che la ricorrente ha anche guadagnato quote di mercato durante questo stesso periodo.

35      Il Consiglio nega anche l’impatto dell’aumento della quota di mercato dell’industria comunitaria sui prezzi applicati da quest’ultima. Esso sostiene, al cinquantaduesimo ‘considerando’ del regolamento provvisorio, che la Commissione ha esaminato tale questione e ritenuto che, nel 200l, l’industria comunitaria avesse perso volumi di vendita quando aveva cercato di mantenere invariati i suoi prezzi e, durante il periodo d’inchiesta, aveva riacquisito i volumi perduti vendendo a prezzi inferiori. Sulla base di tale ipotesi, il Consiglio conclude che l’industria comunitaria si è trovata in difficoltà dinanzi alla concorrenza russa caratterizzata da prezzi nettamente inferiori al valore normale e da un significativo aumento dei volumi delle vendite agli utilizzatori dell’industria metallurgica. In sintesi, l’aumento dei volumi delle vendite dell’industria comunitaria e la contrazione dei prezzi durante il periodo d’inchiesta costituirebbero provvedimenti cautelativi adottati per far fronte alla contrazione di volumi accertata nel 2001 e alla nuova diminuzione dei prezzi russi.

36      Il Consiglio ritiene che i dati disponibili corroborino la sua conclusione. A suo giudizio, la ricorrente non contesta che i prezzi russi sono sempre stati inferiori ai prezzi comunitari, anche qualora siano prese in considerazione solo le vendite dell’industria comunitaria agli utilizzatori dell’industria metallurgica.

37      Con riguardo all’argomento della ricorrente secondo cui le importazioni russe non potevano esercitare una reale pressione sui prezzi dell’industria comunitaria a causa della loro esigua quota di mercato, il Consiglio rileva che non è pertinente in quanto le importazioni originarie della Russia sono sempre state superiori al livello de minimis tra il 2000 e l’apertura del periodo d’inchiesta.

38      Il Consiglio ritiene che sia parimenti errato quanto sostenuto dalla ricorrente in merito all’incidenza della contrazione della domanda di silicio destinato all’industria chimica. A questo proposito esso osserva che, come illustrato al sessantatreesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, durante il periodo d’inchiesta, il calo delle vendite dell’industria comunitaria agli utilizzatori dell’industria chimica è stato pari a 4 783 tonnellate di silicio. Tale volume avrebbe rappresentato solo l’1,3% del consumo totale nella Comunità. Tuttavia, nello stesso periodo, le importazioni provenienti dalla Russia sarebbero ammontate a circa 18 000 tonnellate, vale a dire il 4,8% del consumo complessivo nell’ambito della Comunità. Il Consiglio afferma che tali vendite e, di conseguenza, la contrazione della domanda di silicio destinato all’industria chimica non possono mettere in discussione il nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il danno subito dall’industria comunitaria.

39      Per quanto riguarda, in generale, la violazione del regolamento di base, il Consiglio sostiene che la ricorrente ha frainteso tale documento. A suo giudizio, l’art. 3, n. 2, del regolamento di base non impone alle istituzioni di presentare i fatti nella loro interezza. Questa disposizione obbligherebbe le istituzioni ad esaminare i fatti in modo oggettivo, come queste ultime avrebbero fatto, sia nel regolamento impugnato sia nel regolamento provvisorio. Esso reputa altresì che la ricorrente non precisi in modo sufficiente quali sono i fatti che le istituzioni avrebbero omesso di esporre.

40      La Commissione sostiene la tesi del Consiglio.

 Giudizio del Tribunale

 Sulla prima parte del terzo motivo, relativa alla violazione del regolamento di base a causa di un’errata valutazione degli indicatori del danno ad opera del regolamento impugnato

41      L’art. 3, n. 2, del regolamento di base dispone quanto segue:

«L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e b) dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria».

42      Quanto all’esame dell’impatto delle importazioni oggetto di dumping sull’industria comunitaria interessata, l’art. 3, n. 5, del regolamento di base, prevede:

«[Tale esame] comprende una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici pertinenti in rapporto con la situazione dell’industria, quali (…) l’entità del margine di dumping effettivo, la diminuzione reale e potenziale delle vendite, dei profitti, della produzione, della quota di mercato, della produttività, dell’utile sul capitale investito, e dell’utilizzazione della capacità produttiva; i fattori che incidono sui prezzi nella Comunità, gli effetti negativi, reali e potenziali, sul flusso di cassa, sulle scorte, sull’occupazione, sui salari, sulla crescita e sulla capacità di ottenere capitale o investimenti. Detto elenco non è tassativo, né tali fattori, singolarmente o combinati, costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante».

43      Secondo una giurisprudenza costante, la determinazione del danno presuppone l’esame di questioni economiche complesse. In questo le istituzioni comunitarie dispongono di un ampio potere discrezionale (sentenza della Corte 7 maggio 1991, causa C‑69/89, Nakajima/Consiglio, Racc. pag. I‑2069, punto 86, e sentenza del Tribunale 28 settembre 1995, causa T‑164/94, Ferchimex/Consiglio, Racc. pag. II‑2681, punto 131). Il giudice comunitario deve quindi limitare il suo sindacato alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’insussistenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti e dell’insussistenza di sviamento di potere (sentenze del Tribunale Ferchimex/Consiglio, cit., punto 67, e 28 ottobre 1999, causa T‑210/95, EFMA/Consiglio, Racc. pag. II‑3291, punto 57).

44      Nel presente caso occorre pertanto verificare se il Consiglio, nell’ambito del regolamento impugnato, abbia ecceduto il suo ampio potere discrezionale nell’accertare un pregiudizio grave per l’industria comunitaria.

45      Il quarantaquattresimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, che riproduce il settantunesimo ‘considerando’ del regolamento provvisorio, così dispone:

«(…) i principali sviluppi positivi per l’industria comunitaria si sono verificati tra il 1998 e il 2000. Tra il 2000 e il PI, quasi tutti gli indicatori sono aumentati in misura minima, sono rimasti invariati o hanno registrato una diminuzione. Si tratta quindi del periodo in cui l’industria comunitaria ha subito inequivocabilmente il pregiudizio più grave».

46      Il quarantacinquesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato ha il seguente tenore:

«[I] risultati relativamente positivi dell’industria comunitaria fino al 2000 sono direttamente riconducibili agli investimenti in impianti di produzione supplementari decisi dall’industria comunitaria. Durante questo periodo, infatti, l’industria comunitaria ha registrato un aumento in termini di produzione, capacità di produzione, volume delle vendite, quota di mercato, occupazione e produttività (…)».

47      Con riferimento al periodo successivo, ossia il periodo compreso tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, il Consiglio, al quarantaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, così precisa:

«La situazione dell’industria comunitaria si è (…) deteriorata a causa del maggiore afflusso di importazioni in dumping dalla Russia, con una netta diminuzione della quota di mercato, del cash flow, degli investimenti e dell’utile sui capitali investiti».

48      Inoltre, al quarantasettesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, il Consiglio osserva che, «[b]asandosi sull’andamento degli altri indicatori di pregiudizio, in particolare sulla diminuzione in termini di redditività e di prezzi di vendita registrata dall’industria comunitaria nel periodo in esame, si è concluso che l’industria comunitaria ha subito un grave pregiudizio».

49      Ne conclude, al quarantottesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, che «l’industria comunitaria ha subito un grave pregiudizio nel PI, specie in termini di prezzi e di redditività» e che «si è deciso di (…) confermare le conclusioni di cui ai punti 71‑73 del regolamento provvisorio».

50      La ricorrente contesta innanzitutto al Consiglio di non aver indicato che la contrazione dei prezzi applicati dall’industria comunitaria si è verificata non solo tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, ma altresì tra il 1998 e il 1999.

51      A tale riguardo occorre rilevare che, in base ai dati forniti dal regolamento provvisorio, il prezzo applicato dall’industria comunitaria ha inizialmente registrato una notevole contrazione del 16% nel 1999, ha successivamente recuperato nella misura del 4% nel corso del 2000 e del 3% nel 2001, ed è poi calato del 7% durante il periodo d’inchiesta. Così, nel corso di quest’ultimo periodo, il prezzo di vendita ha semplicemente raggiunto il livello del 1999 (v. tabella 9 supra al punto 5).

52      Da queste cifre emerge che la principale diminuzione dei prezzi applicati dall’industria comunitaria è intervenuta nel 1999, e non tra il 2000 e il periodo d’inchiesta. Ora, secondo il Consiglio, come rilevato al quarantaquattresimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, i principali sviluppi positivi per l’industria comunitaria si sono verificati tra il 1998 e il 2000. Tale constatazione dimostra il fatto che il prezzo praticato dall’industria comunitaria costituisce uno dei fattori da prendere in considerazione nell’ambito della valutazione del danno e che esso, di per sé, non è determinante a questo proposito, dal momento che altri fattori possono non solo compensare tale deterioramento, ma altresì consentire al Consiglio di concludere che la situazione dell’industria comunitaria era migliorata. Quindi non si può dedurre dal mancato riferimento, nel regolamento impugnato, al fatto che la principale diminuzione del prezzo applicato dall’industria comunitaria si è prodotta nel 1999 che il regolamento in questione sia viziato da illegittimità, considerato anche il fatto che dal regolamento provvisorio emerge che, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, anche il suddetto prezzo è calato.

53      Peraltro, poiché il Consiglio ha concluso che l’industria comunitaria aveva subito un grave pregiudizio durante il periodo d’inchiesta, soprattutto a livello di prezzi e di redditività, ha pertanto necessariamente ritenuto che, contrariamente al periodo compreso tra il 1998 e il 2000, gli altri fattori di pregiudizio non fossero in grado di compensare la contrazione dei prezzi e della redditività accertata nel corso del periodo d’inchiesta. Spetta quindi al Tribunale verificare se, come afferma la ricorrente, in questo modo il Consiglio non abbia commesso un manifesto errore di valutazione.

54      A questo proposito, per quanto riguarda il periodo compreso tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, che corrisponde alla seconda metà del periodo in esame, il Consiglio osserva che «quasi tutti gli indicatori sono aumentati in misura minima, sono rimasti invariati o hanno registrato una diminuzione» e che «[s]i tratta quindi del periodo in cui l’industria comunitaria ha subito inequivocabilmente il pregiudizio più grave». È giocoforza constatare che, con tale affermazione, il Consiglio non procede ad alcuna ponderazione dei vari fattori di pregiudizio, di alcuni dei quali riconosce peraltro la natura positiva, cosicché tale affermazione non può assolutamente dimostrare l’esistenza di un grave pregiudizio subito dall’industria comunitaria tra il 2000 e il periodo d’inchiesta.

55      È peraltro vero che il Consiglio ha affermato, al quarantaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, che tra il 2000 e il periodo d’inchiesta la situazione dell’industria comunitaria si era deteriorata, avendo rilevato una «netta diminuzione della quota di mercato, del cash flow, degli investimenti e dell’utile sui capitali investiti». Il Consiglio, nel sottolineare altresì, al quarantasettesimo ‘considerando’, che, basandosi sull’andamento degli altri indicatori di pregiudizio, in particolare sulla diminuzione in termini di redditività e di prezzi di vendita registrata dall’industria comunitaria nel periodo in esame, ha concluso che l’industria comunitaria aveva subito un grave pregiudizio.

56      Tuttavia, come rileva la ricorrente, si deve constatare, da un lato, che con questo iter logico il Consiglio ha omesso qualsiasi riferimento al fatto che, durante tutto il periodo in esame, sono stati registrati numerosi progressi, talvolta di tipo sostanziale, per quanto riguarda i volumi produttivi (+ 34%), la capacità produttiva (+ 30%), l’utilizzo della capacità produttiva (+ 3 punti percentuali), i volumi delle vendite comunitarie (+ 57%), la quota di mercato (+ 23%, o + 6,9 punti percentuali), gli stock (‑ 29%), l’occupazione (+ 16%) e la produttività (+ 15%) e, d’altro lato, che, anche per quanto riguarda esclusivamente il periodo compreso tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, il Consiglio non ha dimostrato che taluni fattori non trascurabili hanno presentato uno sviluppo positivo. Quindi, oltre al lieve miglioramento della situazione per quanto riguarda l’occupazione e le retribuzioni, occorre sottolineare, in particolare, che il volume delle vendite dell’industria comunitaria è aumentato del 2% e ha raggiunto un livello record di 136 421 tonnellate durante il periodo d’inchiesta, e la capacità produttiva, a sua volta, ha registrato un incremento pari al 2,5%.

57      Si deve inoltre rammentare quanto affermato dal Consiglio al quarantaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, e cioè che, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, si è verificata «una netta diminuzione della quota di mercato, del cash flow, degli investimenti e dell’utile sui capitali investiti».

58      Al riguardo la ricorrente ha tuttavia osservato in sede di udienza che nel regolamento impugnato, al quarantaseiesimo ‘considerando’, si è erroneamente constatata la netta diminuzione della quota di mercato dell’industria comunitaria.

59      Il Consiglio ha ammesso che si trattava di un errore ma ritiene che tale argomento sia stato invocato tardivamente e che quindi non possa essere preso in considerazione dal Tribunale.

60      Occorre ricordare che emerge dal combinato disposto dell’art. 44, n. 1, lett. c), e dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura che l’atto introduttivo del giudizio deve contenere l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi invocati, e che la produzione di motivi nuovi in corso di causa è vietata, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante la fase scritta. Cionondimeno, un motivo, oppure un argomento, che costituisca un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile (v., in tal senso, sentenza della Corte 30 settembre 1982, causa 108/81, Amylum/Consiglio, Racc. pag. 3107, punto 25; v. sentenze del Tribunale 20 settembre 1990, causa T‑37/89, Hanning/Parlamento, Racc. pag. II‑463, punto 38, e 17 luglio 1998, causa T‑118/96, Thai Bicycle/Consiglio, Racc. pag. II‑2991, punto 142, e la giurisprudenza menzionata).

61      Nel caso di specie occorre rilevare che la ricorrente, già in seno al suo ricorso, ha addotto che il regolamento impugnato violava il regolamento di base, in particolare a causa dell’erronea valutazione degli indicatori economici nell’ambito della determinazione del danno (prima parte del terzo motivo). In particolare, nel suo ricorso la ricorrente ha osservato che «il regolamento impugnato [ha] ignora[to] il fatto che le diminuzioni di prezzo (…) [sono] coinci[se] con (…) significativi incrementi delle quote di mercato delle imprese comunitarie». L’osservazione di cui trattasi avanzata dalla ricorrente si collega pertanto al terzo motivo, invocato da quest’ultima fin dall’atto introduttivo del giudizio, e costituisce quindi una precisazione strettamente connessa all’argomento da essa utilizzato nell’ambito del suddetto motivo.

62      Di conseguenza tale argomento è ricevibile.

63      Orbene, come concorda il Consiglio, l’affermazione del regolamento impugnato, che fa riferimento alla «netta diminuzione della quota di mercato [dell’industria comunitaria]», è manifestamente erronea e contraria ai dati riportati nel regolamento provvisorio, la cui esattezza è incontestata tra le parti. Infatti, dal regolamento provvisorio emerge che la quota di mercato non è diminuita, e ancor meno in modo netto, ma, al contrario, è aumentata in modo significativo passando dal 34,3 al 36,7%, ossia ha registrato un incremento di 2,4 punti percentuali, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta (v. tabella 10 supra al punto 5).

64      Occorre pertanto stabilire se tale errore può comportare l’annullamento del regolamento impugnato.

65      A tale proposito è indiscusso che la variazione della quota di mercato dell’industria comunitaria costituisce un elemento di notevole importanza al fine di valutare l’esistenza di un grave pregiudizio per la suddetta industria. Si deve inoltre constatare che il Consiglio, avendo descritto tale fattore come oggetto di una «netta diminuzione», non solo ha fornito un’immagine degli sviluppi di quest’ultimo contraria alla realtà, ma ha necessariamente concesso un’importanza non trascurabile al fattore di cui trattasi nella sua conclusione relativa all’esistenza di un grave pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

66      In tale contesto, senza che sia necessario stabilire se le circostanze descritte supra ai punti 54‑56 siano di per sé sufficienti a consentire di concludere che il Consiglio è incorso in un manifesto errore di valutazione nell’accertamento dell’esistenza del suddetto grave pregiudizio, il Tribunale constata che il Consiglio, avendo commesso un errore di fatto in merito alla variazione della quota di mercato dell’industria comunitaria nel corso del periodo compreso tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, a suo giudizio quello durante il quale il danno è stato maggiormente grave, si è basato su una premessa manifestamente errata al fine di constatare l’esistenza del pregiudizio in questione, la quale dovrebbe risultare dalla ponderazione della variazione, sia in termini positivi sia negativi, degli elementi da esso ritenuti pertinenti. Orbene, tenuto conto del fatto che, da un lato, non spetta al Tribunale sostituire il proprio giudizio a quello del Consiglio e che, d’altro lato, non si può escludere che, se non fosse stato commesso tale errore, il Consiglio non avrebbe concluso per l’esistenza di un grave danno, già per questo motivo occorre annullare il regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 2 maggio 1995, cause riunite T‑163/94 e T‑165/94, NTN Corporation e Koyo Seiko/Consiglio, Racc. pag. II‑1381, punto 115).

67      Il Tribunale ritiene tuttavia che occorra anche esaminare la prima parte del quarto motivo, relativa al nesso di causalità tra la contrazione del prezzo di vendita dell’industria comunitaria e le importazioni russe.

 Sulla prima parte del quarto motivo, relativa alla violazione del regolamento di base a causa dell’erroneo accertamento di un nesso causale tra il grave danno assertivamente subito dall’industria comunitaria e le importazioni oggetto di dumping

68      Ai sensi dell’art. 3, n. 3, del regolamento di base, «[r]iguardo agli effetti sui prezzi si esamina se le importazioni oggetto di dumping sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria comunitaria oppure se tali importazioni hanno comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti».

69      L’art. 3, n. 6, così dispone:

«Deve essere dimostrato, in base a tutti [i rilevanti] elementi di prova, presentati in conformità con il paragrafo 2, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull’industria comunitaria gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che questa incidenza si manifesta in misura che può essere considerata grave».

70      Infine, l’art. 3, n. 7, ha il seguente tenore:

«Oltre alle importazioni oggetto di dumping, vengono esaminati i fattori noti che contemporaneamente causano pregiudizio all’industria comunitaria per evitare che il pregiudizio dovuto a tali fattori sia attribuito alle importazioni oggetto di dumping a norma del paragrafo 6. I fattori che possono essere presi in considerazione a questo proposito comprendono (…) la contrazione della domanda oppure le variazioni dell’andamento dei consumi (…)».

71      Dalla giurisprudenza menzionata supra al punto 43 emerge che l’accertamento di un nesso di causalità tra il grave pregiudizio subito dall’industria comunitaria e le importazioni oggetto di dumping presuppone l’esame di situazioni economiche complesse. In questo le istituzioni comunitarie dispongono di un ampio potere discrezionale e il giudice comunitario deve quindi limitare il suo sindacato alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’insussistenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o dell’insussistenza di sviamento di potere.

72      Cionondimeno, al momento della determinazione del danno, il Consiglio e la Commissione sono tenuti a valutare se il danno che intendono prendere in considerazione provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping e ad escludere invece ogni danno derivante da altri fattori, in particolare quello causato dallo stesso comportamento dei produttori comunitari (sentenza della Corte 11 giugno 1992, causa C‑358/89, Extramet Industrie/Consiglio, Racc. pag. I‑3813, punto 16).

73      Relativamente al caso di specie, al quarantaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, il Consiglio, per quanto riguarda il periodo compreso tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, precisa quanto segue:

«[L]a situazione dell’industria comunitaria si è poi deteriorata a causa del maggiore afflusso di importazioni in dumping dalla Russia, con una netta diminuzione della quota di mercato, del cash flow, degli investimenti e dell’utile sui capitali investiti».

74      Al sessantaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, il Consiglio afferma poi che:

«[L]a differenza di prezzo tra il silicio prodotto nella Comunità e quello importato dalla Russia [ammontava in media] all’11% [durante il periodo d’inchiesta] sebbene i prezzi dell’industria comunitaria siano diminuiti del 7% tra il 2001 e il PI, il che rispecchia l’incidenza dei prezzi russi su quelli dell’industria comunitaria».

75      A tale proposito, si deve osservare che, in base ai dati riportati nel regolamento provvisorio (v. tabelle 4 e 9 supra al punto 5), la differenza tra i prezzi russi e quelli applicati dall’industria comunitaria tra il 1998 e il 2000 e la differenza esistente tra il 2000 e il periodo d’inchiesta erano di simile portata.

76      Tuttavia, né nel regolamento impugnato né nei documenti processuali, il Consiglio e la Commissione affermano espressamente che la contrazione del prezzo dell’industria comunitaria nel 1999 (l’unica verificatasi nel corso del periodo compreso tra il 1998 e il 2000) è dipesa dai prezzi russi inferiori al valore normale. Il Consiglio descrive inoltre, nel regolamento impugnato, il periodo tra il 1998 e il 2000 come un periodo nel corso del quale i risultati dell’industria comunitaria sono stati piuttosto soddisfacenti. Occorre altresì osservare che il rilevante incremento del divario tra il prezzo medio delle importazioni russe e quello applicato dall’industria comunitaria tra il 2000 e il 2001 non ha impedito a quest’ultima di aumentare il suo prezzo medio tra il 2000 e il 2001 (v. tabelle 4 e 9 supra al punto 5).

77      Così, l’iter logico seguito nel regolamento impugnato e i dati riportati nel regolamento provvisorio provano che la differenza di prezzo costituisce solo uno degli elementi da prendere in considerazione in sede di esame del nesso di causalità tra le importazioni russe e l’asserito danno, e la sua esistenza, di per sé, non consente assolutamente di concludere che la contrazione dei prezzi dell’industria comunitaria nel corso del periodo d’inchiesta è stata esclusivamente o principalmente riconducibile alle importazioni russe.

78      Il Consiglio e la Commissione sostengono che il danno deriva dalle importazioni oggetto di dumping in base al seguente meccanismo: nel 2001, l’industria comunitaria ha subito una diminuzione delle vendite nel tentativo di mantenere invariati i suoi prezzi a fronte del ribasso del silicio proveniente dalla Russia. Secondo tali istituzioni, questa tendenza si è invertita nel periodo d’inchiesta, poiché l’industria comunitaria si è vista costretta a reagire alle pressioni in termini di prezzi onde mantenere i suoi volumi di vendite e ha pertanto notevolmente ridotto i suoi prezzi, il che ha comportato una perdita di redditività (cinquantaduesimo ‘considerando’ del regolamento provvisorio).

79      La ricorrente reputa che le istituzioni comunitarie abbiano erroneamente ricondotto alle importazioni russe la causa del calo dei volumi delle vendite dell’industria comunitaria nel 2001 e della contrazione dei suoi prezzi nel corso del periodo d’inchiesta. Esse avrebbero ignorato gli effetti, in primo luogo, della diminuzione della domanda sul mercato del silicio, in secondo luogo, dell’aumento della quota di mercato dell’industria comunitaria e, in terzo luogo, del fatto che una parte significativa del volume venduto dall’industria comunitaria agli utilizzatori del settore chimico ha registrato uno spostamento in direzione degli utilizzatori del settore metallurgico durante il periodo d’inchiesta.

80      Si deve quindi esaminare la fondatezza di quanto sostenuto dalla ricorrente e se tali argomentazioni siano tali da dimostrare che il Consiglio ha ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone ai sensi della giurisprudenza menzionata supra al punto 43.

–       Sulla contrazione della domanda della globalità degli utilizzatori

81      All’udienza, il Consiglio ha rilevato che, nelle sue memorie, la ricorrente non ha argomentato in merito alla contrazione della domanda in linea generale, ma esclusivamente in merito alla contrazione della domanda degli utilizzatori del settore chimico. Pertanto, la deduzione di tale circostanza da parte della ricorrente sarebbe tardiva e, di conseguenza, irricevibile.

82      È giocoforza constatare che la ricorrente ha osservato, al punto 44 del suo ricorso, che «il crollo dei prezzi (e della redditività) dell’industria comunitaria tra il 2000 e il periodo d’inchiesta riflette principalmente la contrazione della domanda di silicio».

83      Ne consegue che l’osservazione del Consiglio in merito alla ricevibilità degli argomenti fondati sulla contrazione della domanda è priva di qualsiasi fondamento.

84      Quanto al merito, occorre rammentare che il regolamento impugnato non contiene alcuna analisi delle variazioni della domanda, perché il Consiglio, al quarantottesimo ‘considerando’ del suddetto regolamento, si è limitato a confermare le conclusioni del regolamento provvisorio in merito al danno.

85      Dal regolamento provvisorio emerge (v. tabella 1 supra al punto 5) che il consumo di silicio nell’ambito dell’Unione europea è calato del 4% nel 2001 e poi dell’1% durante il periodo d’inchiesta.

86      Occorre nuovamente osservare che l’assunto dal quale muove la tesi del Consiglio, che riconduce il danno alle importazioni russe, relativamente al periodo compreso tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, è che, nel 2001, l’industria comunitaria ha perso volumi di vendita quando ha tentato di far restare invariati i prezzi a fronte dei prezzi decrescenti dei produttori-esportatori russi, la qual cosa avrebbe costretto l’industria comunitaria a ridurre i suoi prezzi, al fine di mantenere immutati o recuperare i suoi volumi di vendita, successivamente, durante il periodo d’inchiesta. Si deve quindi verificare se il Consiglio, senza incorrere in un manifesto errore di valutazione, potesse imputare la contrazione dei volumi di vendita dell’industria comunitaria nel 2001 esclusivamente alle importazioni russe, sebbene il consumo comunitario abbia conosciuto una fase di calo nel 2001.

87      A questo proposito, occorre in primo luogo rilevare che la tabella 8 del regolamento provvisorio (v. supra al punto 5) contiene un errore di calcolo, ammesso dal Consiglio nella risposta al quesito scritto del Tribunale, e che dalla tabella in questione emerge a seguito della correzione che, nel 2001, il volume delle vendite dell’industria comunitaria è diminuito solo nella misura del 4%, e non del 7% come è stato inizialmente indicato nella tabella.

88      Tale rettifica segnala che la contrazione del volume delle vendite dell’industria comunitaria nel 2001 ha raggiunto una misura (‑ 4%) che riflette esattamente quella della contrazione della domanda (‑ 4%), e, pertanto, sembra che il livello delle vendite dell’industria comunitaria si sia semplicemente conformato in modo rigoroso al generale andamento dei consumi comunitari. Tale circostanza induce a mettere in discussione l’affermazione del Consiglio dei sensi della quale la diminuzione del volume delle vendite dell’industria comunitaria nel corso del 2001 è dovuta ai prezzi inferiori al valore normale applicati dai produttori-esportatori russi, dal momento che tale calo può trovare una logica spiegazione nel contrarsi della domanda comunitaria. Ora, è giocoforza constatare che questo elemento decisivo non è stato preso in considerazione dal Consiglio.

89      Si deve inoltre sottolineare che, nel 2001, l’industria comunitaria ha mantenuto la sua quota di mercato nonostante l’aumento dei suoi prezzi nella misura del 3%, mentre il prezzo medio delle importazioni russe era diminuito del 12%, il che dimostra la mancanza di ogni maggiore impatto del livello dei prezzi delle importazioni russe sulla situazione dell’industria comunitaria.

90      Ne consegue che la variazione degli indicatori di cui trattasi non corrobora la tesi del Consiglio in base alla quale la contrazione del volume venduto dall’industria comunitaria nel 2001 era soltanto la conseguenza delle importazioni russe, ma avvalora l’affermazione della ricorrente ai sensi della quale la suddetta diminuzione del volume delle vendite rappresentava, in via principale, la conseguenza della contrazione della domanda nel corso del 2001.

91      Quanto al periodo d’inchiesta, occorre rammentare che la domanda di silicio è ulteriormente calata dell’1%. Il volume delle vendite e la quota di mercato dell’industria comunitaria sono peraltro aumentate, rispettivamente, di 6 e 2,4 punti percentuali e hanno raggiunto un livello record.

92      Il Consiglio reputa nondimeno che la contrazione della domanda non abbia pregiudicato le vendite dell’industria comunitaria, tenuto conto del fatto che sono aumentate, e che l’aumento della quota di mercato dell’industria comunitaria tra il 2000 e il periodo d’inchiesta sarebbe una logica conseguenza della stabilità delle vendite su un mercato in calo.

93      Tale tesi del Consiglio non risulta convincente. In un mercato trasparente e concorrenziale, come quello del silicio ai sensi del regolamento impugnato, la contrazione della domanda esercita una pressione sui prezzi. L’operatore economico, di fronte a un calo della domanda, può scegliere tra una contrazione del suo volume di vendite e la riduzione dei prezzi da esso applicati.

94      Si deve inoltre constatare che il Consiglio non ha formulato nessun argomento in merito alle specifiche circostanze che avrebbero consentito all’industria comunitaria di mantenere invariato, o addirittura di aumentare, il suo volume delle vendite garantendo il livello dei prezzi da esso applicati anche a fronte della contrazione della domanda intervenuta nel corso del periodo d’inchiesta.

95      Considerato quanto sopra esposto occorre concludere che il regolamento impugnato è viziato da manifesto errore di valutazione nei limiti in cui il Consiglio ha ignorato l’effetto della contrazione della domanda sulla situazione dell’industria comunitaria.

–       Sull’espansione della quota di mercato e del volume delle vendite dell’industria comunitaria

96      La ricorrente ritiene che le istituzioni siano incorse in un errore di valutazione anche quando hanno ignorato il nesso logico esistente tra la contrazione dei prezzi dell’industria comunitaria durante il periodo d’inchiesta e l’incremento delle sue vendite e della sua quota di mercato.

97      A questo proposito, si deve rammentare che la quota di mercato detenuta dall’industria comunitaria è aumentata, passando dal 29,8 al 36,7% nel corso del periodo in esame, e ha quindi registrato un incremento di 6,9 punti percentuali. È tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, quando il danno, a giudizio del Consiglio, era in assoluto più evidente, che l’industria comunitaria ha aumentato il volume delle sue vendite del 2% e la sua quota di mercato di 2,4 punti percentuali, su un mercato in calo (v. tabella 10 supra al punto 5).

98      Secondo il Consiglio, nel corso del periodo d’inchiesta il miglioramento del volume delle vendite è stato lieve e ha rappresentato una misura cautelativa mediante la quale l’industria comunitaria ha riacquisito i volumi da essa persi nel 2001 nel tentativo di mantenere immutati i suoi prezzi a fronte delle importazioni russe (‑ 4%). L’aumento dei volumi delle vendite e della quota di mercato durante il periodo d’inchiesta non avrebbe reso necessaria alcuna contrazione dei prezzi, dal momento che quest’ultima era esclusivamente il risultato dei prezzi russi inferiori al valore normale.

99      Innanzitutto, dai dati rettificati della tabella 8 del regolamento provvisorio (v. supra al punto 87) risulta che, durante il periodo d’inchiesta, l’industria comunitaria non solo ha recuperato il volume delle vendite perso nel 2001 (‑ 4%) ma, avendo registrato un incremento in termini di volume nella misura del 6%, ha raggiunto un livello record nel corso dell’intero periodo in esame.

100    Parimenti, per quanto attiene alla quota di mercato dell’industria comunitaria, rimasta invariata nel 2001, ha conosciuto un miglioramento pari a 2,4 punti percentuali (dal 34,3 al 36,7%) nel corso del periodo d’inchiesta e ha altresì raggiunto un livello record.

101    Nel caso di specie, l’industria comunitaria ha pertanto incrementato le sue vendite su un mercato in calo e ha registrato un ampliamento della quota di mercato tra il 2000 e il periodo d’inchiesta equivalente alla metà della quota di mercato complessiva dei produttori-esportatori russi.

102    Il Consiglio nega che la diminuzione dei prezzi dell’industria comunitaria abbia costituito un vantaggio concorrenziale che le ha consentito di conseguire tale risultato. La contrazione dei prezzi, secondo il Consiglio, costituiva esclusivamente una misura cautelativa contro i prezzi russi inferiori al valore normale, al fine di evitare perdite di volumi di vendita. Tuttavia, nessun argomento è stato addotto dal Consiglio o dalla Commissione per spiegare come sarebbe stato possibile per l’industria comunitaria, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, incrementare la sua quota di mercato nella misura di 2,4 punti percentuali, su un mercato in calo, senza ridurre i prezzi.

103    Occorre rammentare che il Consiglio fonda la sua argomentazione sulla tesi ai sensi della quale, innanzitutto, nel 2001, l’industria comunitaria ha perso volumi di vendita a causa dei prezzi russi inferiori al valore normale e, in secondo luogo, durante il periodo d’inchiesta, essa è stata costretta a ridurre drasticamente i suoi prezzi per evitare un’ulteriore diminuzione del volume delle vendite, oppure per recuperare i volumi delle vendite persi nel 2001.

104    Come è stato dimostrato ai punti 88 e seguenti, l’assunto su cui è fondata tale tesi appare erroneo, dal momento che il Consiglio non ha tenuto conto della spiegazione plausibile in base alla quale la perdita dei volumi nel 2001 (‑ 4%) era esclusivamente o principalmente imputabile alla contrazione della domanda (‑ 4%), e che non ha nemmeno formulato argomenti validi per confutare tale spiegazione.

105    Inoltre, dal momento che l’iter logico seguito dal Consiglio si fonda sull’ipotesi in base alla quale l’industria comunitaria ha adottato un approccio difensivo al fine di mantenere invariato il volume delle sue vendite, esso è inoperante alla luce dell’aumento pari al 6% durante il periodo d’inchiesta, che non può essere qualificato come mero mantenimento del volume. Tale incremento ha sovracompensato la perdita pari al 4% verificatasi nel 2001, cosicché, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, l’industria comunitaria ha registrato un incremento in termini di volume delle vendite superiore al 2%.

106    Si deve pertanto stabilire che il Consiglio e la Commissione non formulano alcun valido argomento diretto a dimostrare che il significativo aumento della quota di mercato dell’industria comunitaria su un mercato in calo, durante il periodo d’inchiesta, sarebbe stato possibile senza il vantaggio in termini concorrenziali conferito dalla riduzione del suo prezzo.

107    Quanto all’analisi dell’impatto dell’incremento del volume delle vendite e della quota di mercato tra il 2000 e il periodo d’inchiesta sulla situazione dell’industria comunitaria, il Consiglio si limita ad affermare, al quarantaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, che:

«La situazione dell’industria comunitaria si è (…) deteriorata a causa del maggiore afflusso di importazioni in dumping dalla Russia, con una netta diminuzione della quota di mercato (…)».

108    In ragione del fatto che, tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, la quota di mercato dell’industria comunitaria è notevolmente aumentata e non ha registrato «una forte diminuzione», è giocoforza constatare che, nel regolamento impugnato, il Consiglio non solo ha omesso di pronunciarsi sul se il calo dei prezzi fosse una condizione necessaria per l’aumento del volume delle vendite e della quota di mercato, e quindi, per quanto riguarda la contrazione dei prezzi, se si trattasse di un danno derivante dal comportamento proprio dell’industria comunitaria ai sensi della sentenza Extramet Industria/Consiglio, supra punto 72, ma, in tale contesto, imputa alle importazioni russe un fattore di pregiudizio inesistente.

109    Occorre quindi concludere che il Consiglio ha commesso un manifesto errore di valutazione, nell’ambito del regolamento impugnato, in sede di esame del nesso esistente tra l’incremento della quota di mercato e del volume delle vendite dell’industria comunitaria e la diminuzione dei prezzi da essa applicati.

–       Sullo spostamento delle vendite dell’industria comunitaria dagli utilizzatori del settore chimico agli utilizzatori del settore metallurgico

110    La ricorrente rileva che il Consiglio ha erroneamente ritenuto, nel regolamento impugnato, che il calo degli acquisti di silicio effettuati dall’industria chimica non avesse contribuito al danno subito dall’industria comunitaria, e che il detto regolamento ha pertanto indebitamente attribuito gli effetti di tale diminuzione alle importazioni provenienti dalla Russia.

111    In via preliminare, si deve rammentare che il sessantatreesimo e il sessantaquattresimo ‘considerando’ del regolamento impugnato dispongono come segue:

«Tra il 2000 e il PI, cioè al momento del massimo pregiudizio in termini di prezzi e di redditività, le vendite agli utilizzatori del settore chimico sono scese di circa cinquemila tonnellate (- 7,0%), ma i prezzi medi sono saliti di 14 euro/t (+ 1,1%), contro un incremento di circa tremila tonnellate (+ 2,1%) e una diminuzione dei prezzi medi di 46 euro/t (- 3,7%) per tutte le vendite.

Non vi è quindi motivo di ritenere che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria sia dovuto a un calo delle vendite agli utilizzatori del settore chimico. Data la natura del pregiudizio, si è verificato esattamente l’opposto».

112    Dai dati forniti al sessantunesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato e nella tabella 8 del regolamento provvisorio (v. supra al punto 5) emerge che le vendite dell’industria comunitaria agli utilizzatori del settore chimico, che si avvalgono per lo più di silicio di qualità elevata, sono lievemente calate nel 2001 (‑ 0,6%, ossia ‑ 445 tonnellate) e hanno registrato una significativa contrazione nel corso del periodo d’inchiesta (‑ 6,4%, ossia ‑ 4 783 tonnellate). Per contro, le vendite agli utilizzatori del settore metallurgico, che per la maggior parte ricorrono a silicio di media o bassa qualità, sono inizialmente diminuite nel 2001 (‑ 8,4%, ossia ‑ 4 904 tonnellate), successivamente hanno registrato, durante il periodo d’inchiesta, un aumento molto consistente (+ 24,1%, ossia + 12 985 tonnellate). Di conseguenza, la percentuale del volume delle vendite dell’industria comunitaria agli utilizzatori del settore chimico rispetto al volume complessivo delle sue vendite comunitarie di silicio è passata dal 58% nel 2001 al 51% al momento del periodo d’inchiesta, e questa percentuale è passata invece, per quanto riguarda le sue vendite agli utilizzatori del settore metallurgico, dal 42 al 49%.

113    Orbene, è pacifico che il prezzo medio del silicio venduto dall’industria comunitaria a queste due tipologie di utilizzatori differisce e che, nel corso del periodo d’inchiesta, ha raggiunto la somma di EUR 1 301 per tonnellata con riguardo al silicio venduto agli utilizzatori del settore chimico e di EUR 1 063 per tonnellata con riguardo al silicio venduto agli utilizzatori del settore metallurgico, come emerge dalle fonti menzionate supra al punto 112. Ne consegue che l’evoluzione significativa, descritta al suddetto punto, della percentuale delle vendite dell’industria comunitaria di silicio destinato, da una parte, agli utilizzatori del settore chimico, e, dall’altra, agli utilizzatori del settore metallurgico, rispetto alle vendite totali di silicio, ha necessariamente avuto un impatto, tradottosi in una contrazione, sul calcolo del prezzo medio, durante il periodo d’inchiesta, di tutto il silicio da essa venduto.

114    Secondo le affermazioni della ricorrente, formulate nel corso del procedimento amministrativo, incontestate dal Consiglio, tale spostamento delle vendite non ha presentato alcun nesso con le importazioni provenienti dalla Russia. Inoltre, il procedimento dinanzi al Tribunale ha rivelato che l’unico esempio di vendite russe agli utilizzatori del settore chimico, portato alla conoscenza delle istituzioni, era un campione di 200 tonnellate, quantità trascurabile se comparata ai volumi di vendita dell’industria comunitaria a questo gruppo di utilizzatori (69 652 tonnellate durante il periodo d’inchiesta). D’altronde, il Consiglio non contesta che la causa della perdita dei volumi venduti agli utilizzatori del settore chimico sia stata la contrazione della loro domanda.

115    Ne consegue che il Consiglio è incorso in un manifesto errore di valutazione nel regolamento impugnato al momento dell’analisi dell’impatto, sul prezzo medio applicato dall’industria comunitaria, della contrazione della domanda degli utilizzatori del settore chimico, della diminuzione che ne discende delle vendite a questo gruppo di utilizzatori e del contestuale incremento delle vendite agli utilizzatori del settore metallurgico.

116    Da tutto quanto sopra indicato emerge che il Consiglio, in occasione della sua analisi con cui è giunto a constatare l’esistenza di un nesso di causalità tra le importazioni russe e il danno che l’industria comunitaria asserisce di aver subito, ha commesso manifesti errori di valutazione per il fatto di non aver preso in considerazione, in primo luogo, il necessario impatto della contrazione della domanda sul volume delle vendite dell’industria comunitaria tra il 2000 e il periodo d’inchiesta, e, in secondo luogo, dell’aumento della sua quota di mercato e del suo volume delle vendite tra il 2001 e il periodo d’inchiesta sul livello dei prezzi da essa applicati e, in terzo luogo, della modifica dell’andamento delle sue vendite intervenuta tra il 2001 e il periodo d’inchiesta sull’entità della diminuzione del prezzo medio delle sue vendite. In questo modo, esso ha quindi inevitabilmente ricondotto alle importazioni russe determinati effetti sfavorevoli per l’industria comunitaria la cui origine non dipendeva dalle importazioni in questione.

117    Inoltre, si deve constatare, da un lato, che gli errori precedentemente menzionati invalidano la tesi principale delle istituzioni sulla quale si fonda l’instaurazione del nesso causale e, d’altro lato, che il regolamento di base menziona espressamente la contrazione della domanda e la mutata configurazione dei consumi come elementi il cui impatto sul danno deve essere esaminato al fine di non ricondurli alle importazioni oggetto di dumping.

118    Alla luce di quanto sopra rilevato, anche volendo supporre che l’industria comunitaria abbia subito il grave pregiudizio addotto dal Consiglio, si deve ritenere che i manifesti errori di valutazione commessi nel regolamento impugnato in sede di analisi del nesso di causalità costituiscano una violazione del regolamento di base.

119    Dall’insieme di tutto quanto sopra considerato risulta che il terzo e il quarto motivo devono essere accolti. Occorre pertanto annullare il regolamento impugnato con riguardo alla ricorrente, senza che occorra esaminare gli altri motivi e argomenti di quest’ultima.

 Sulle spese

120    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. A termini dell’art. 87, n. 4, primo comma, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. Il Consiglio, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese nonché a quelle della ricorrente. La Commissione sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’art. 1 del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2003, n. 2229, che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio istituito sulle importazioni di silicio originario della Russia, è annullato nei limiti in cui impone un dazio antidumping alla ricorrente.

2)      Il Consiglio sopporterà le proprie spese e le spese sostenute dalla ricorrente.

3)      La Commissione sopporterà le proprie spese.

Jaeger

Tiili

Czúcz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 marzo 2007.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       M. Jaeger


* Lingua processuale: l'inglese.