Language of document : ECLI:EU:C:2004:538

Arrêt de la Cour

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
16 settembre 2004 (1)

«Marchi – Direttiva 89/104/CEE – Art. 3, n. 1, lett. b) – Marchio costituito da un patronimico diffuso – Carattere distintivo – Incidenza dell'art.  6, n. 1, lett. a), sulla valutazione»

Nel procedimento C-404/02,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE,

dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito) con decisione  3 settembre 2002, depositata in cancelleria il 12 novembre 2002, nella causa

Nichols plc

contro

Registrar of Trade Marks,



LA CORTE (Seconda Sezione),



composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg.  C. Gulmann (relatore), J.-P. Puissochet e R. Schintgen, e dalla sig.ra  N. Colneric, giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: sig.ra M. Múgica Arzamendi, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell'udienza del 27 novembre 2003,

viste le osservazioni presentate:

per la Nichols plc, dal sig. C. Morcom, QC;

per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra P. Ormond, in qualità di agente, assistita dal sig. D. Alexander, barrister;

per il governo greco, dalle sig.re G. Skiani e S. Trekli, in qualità di agenti;

per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A. Bodard-Hermant, in qualità di agenti;

per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra K. Banks, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 15 gennaio 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza



1
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 3, n. 1, lett. b), e 6, n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).

2
Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Nichols plc (in prosieguo: la «Nichols»), società con sede nel Regno Unito, e il Registrar of Trade Marks (direttore dell’Ufficio del registro dei marchi d’impresa), controversia vertente sul diniego di registrazione come marchio per taluni prodotti di un patronimico diffuso.


Contesto normativo

3
L’art. 2 della direttiva 89/104, intitolato «Segni suscettibili di costituire un marchio di impresa», così recita:

«Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese».

4
L’art. 3 della direttiva medesima, intitolato «Impedimenti alla registrazione o motivi di nullità», così dispone:

«l. Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

a)
i segni che non possono costituire un marchio di impresa;

b)
i marchi di impresa privi di carattere distintivo;

(...)».

5
L’art. 6, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», precisa quanto segue:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

a)
del loro nome e indirizzo;

(...)

purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

(...)».


La causa principale e le questioni pregiudiziali

6
La Nichols presentava al Registrar of Trade Marks una domanda di registrazione come marchio del patronimico «Nichols», segnatamente per distributori automatici nonché per prodotti alimentari e bevande generalmente distribuiti mediate tali apparecchi.

7
Con decisione 11 maggio 2001, il Registrar of Trade Marks accoglieva la domanda per i distributori automatici, ma la respingeva quanto al resto.

8
Il detto Ufficio rilevava che il patronimico «Nichols», anche nella forma dell’equivalente fonetico «Nicholls» e nella forma al singolare «Nichol», è diffuso nel Regno Unito, considerata la frequenza con cui appare nell’elenco telefonico di Londra.

9
Per quanto riguarda i prodotti alimentari e le bevande, tale patronimico non sarebbe pertanto di per sé capace ad indicare che essi provengono da una sola e medesima impresa. In considerazione delle attività di cui trattasi e delle potenziali dimensioni del mercato di tali beni, il patronimico «Nichols» potrebbe essere utilizzato da altri produttori e fornitori. Sarebbe dunque poco probabile che il pubblico ritenga che un solo operatore operi sul detto mercato con tale patronimico. Conseguentemente, il marchio costituito dal patronimico medesimo sarebbe privo di qualsivoglia carattere distintivo per i prodotti alimentari e le bevande.

10
Per contro, riguardo ai distributori automatici, il mercato sarebbe più specifico e comprenderebbe meno operatori attivi. Il marchio potrebbe dunque essere registrato per tali beni.

11
La Nichols impugnava la decisione 11 maggio 2001 dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division.

12
Il detto giudice osserva che lo United Kingdom Trade Marks Registry (Ufficio del registro britannico dei marchi d’impresa) ritiene che la registrazione di cognomi e, segnatamente, di patronimici diffusi debba essere accolta con precauzione, al fine di evitare che al primo richiedente venga attribuito un vantaggio ingiusto. In linea generale, quanto più il cognome patronimico è diffuso, tanto meno il detto Ufficio sarebbe incline ad accettarne la registrazione senza la prova che il cognome medesimo abbia effettivamente acquisito un carattere distintivo. Il detto Ufficio terrebbe parimenti conto di quanti beni e servizi, nonché di quante persone in possesso dello stesso cognome ovvero di un cognome simile sono suscettibili di essere interessati dalla registrazione.

13
Secondo il giudice del rinvio si pone la questione se un patronimico del tutto comune debba essere ritenuto privo di carattere distintivo finché non acquisti tale carattere con l’uso.

14
Il detto giudice sostiene che occorre tener conto della limitazione degli effetti del marchio di cui all’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, riguardo all’uso nel commercio, da parte di un terzo, del proprio nome. A suo avviso, quanto più ampia è la limitazione potenziale prevista dalla detta disposizione, tanto meno la registrazione costituirebbe un ostacolo per le persone interessate. Occorrerebbe quindi esaminare in qual misura le limitazioni previste dall’art. 6 della direttiva 89/104 siano pertinenti quando si tratti di determinare il carattere distintivo di un marchio di cui viene chiesta la registrazione.

15
A tale riguardo, il giudice del rinvio s’interroga sulla questione se l’art. 6, n. 1, lett. a), non si applichi solo ai nomi di persone fisiche, ma anche ai nomi di società. Il detto giudice si domanda, inoltre, quale sia il significato dell’espressione «usi consueti di lealtà» che ricorre nella detta disposizione.

16
Ciò premesso, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)
In quali casi debba, se del caso, essere negata la registrazione di un marchio d’impresa (ossia di un “segno” che soddisfi i requisiti previsti all’art. 2 della direttiva 89/104/CEE), consistente unicamente in un cognome patronimico, in quanto di per sé “privo di carattere distintivo” ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva.

2)
In particolare se

a)
si debba o

b)
si possa negare la registrazione di un segno del genere prima che esso abbia acquisito con l’uso un carattere distintivo, qualora si tratti di un patronimico comune nello Stato membro in cui ne viene richiesta la registrazione o di un patronimico comune in uno o in diversi altri Stati membri.

3)
In caso di soluzione affermativa della questione sub 2), lett. a) o b), se sia appropriato che le autorità nazionali risolvano la controversia con riferimento alle presunte aspettative di un consumatore medio dei prodotti o servizi di cui trattasi nello Stato membro de quo, tenuto conto del carattere comune del patronimico, della natura dei prodotti o servizi interessati e della diffusione (o meno) dell’uso dei patronimici nel relativo mercato.

4)
Se il fatto che gli effetti della registrazione del marchio d’impresa siano limitati ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva sia rilevante al fine di determinare se un patronimico sia “privo di carattere distintivo” ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva stessa.

5)
In caso di soluzione affermativa della questione sub 4), se

a)
il termine ["nome"], di cui all’art. 6, n. 1, della direttiva, debba essere inteso nel senso che comprende una società o un’impresa e

b)
cosa s’intenda per “usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale”; in particolare, se tale espressione si applichi qualora il convenuto

i)
non inganni, in pratica, il pubblico usando il proprio patronimico o

ii)
con ciò causi confusione solo involontariamente».


Sulle prime quattro questioni

17
Con le prime quattro questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente quali siano i requisiti alla luce dei quali debba valutarsi, nel contesto dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, l’esistenza o meno del carattere distintivo di un marchio costituito da un patronimico, in particolare quando tale patronimico sia diffuso, e se la circostanza che gli effetti della registrazione del marchio siano limitati ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva medesima rilevi ai fini della detta valutazione.

Osservazioni presentate alla Corte

18
La Nichols ritiene che la registrazione di un marchio non possa essere negata solo per il fatto che si tratta di un patronimico diffuso. Essa fa valere l’arbitrarietà del criterio riferito, nella controversia principale, alla frequenza con cui un patronimico ricorre nell’elenco telefonico di Londra. I patronimici non potrebbero essere assoggettati ad un trattamento speciale, più rigoroso di quello riservato agli altri segni suscettibili di costituire un marchio. Come tutti gli altri segni, essi dovrebbero essere registrati quando consentano di distinguere, secondo la loro origine, i prodotti o i servizi per i quali è richiesta la registrazione. Nella valutazione dell’esistenza del carattere distintivo occorrerebbe tener conto dell’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104.

19
I governi greco e francese nonché la Commissione ritengono parimenti che i cognomi patronimici, ancorché diffusi, debbano essere considerati come le altre categorie di segni, in considerazione dei prodotti o servizi di cui trattasi e della percezione del pubblico interessato quanto alla funzione originaria del marchio.

20
Il governo del Regno Unito ritiene estremamente improbabile che un patronimico diffuso designi unicamente i prodotti o i servizi dell’impresa che richiede la registrazione come marchio del patronimico medesimo. Un marchio che non designi esclusivamente i prodotti o i servizi di una determinata impresa non potrebbe essere registrato, poiché ricadrebbe nelle previsioni dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104. In tal caso, detto marchio non assolverebbe ad una funzione indicativa dell’origine. Occorrerebbe tener conto delle presunte aspettative di un consumatore medio riguardo al detto marchio. Gli elementi presi in considerazione potrebbero includere il carattere comune del patronimico, il numero di imprese fornitrici dei prodotti o dei servizi del tipo in questione, nonché l’uso diffuso o meno di patronimici nel settore di cui trattasi.

21
I governi francese e del Regno Unito nonché la Commissione ritengono che l’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 non incida sulla valutazione del carattere distintivo effettuata nell’ambito dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva medesima.

Giudizio della Corte

22
L’art. 2 della direttiva 89/104 contiene un elenco, qualificato come «[e]semplificativo» dal settimo ‘considerando’ della direttiva medesima, di segni suscettibili di costituire un marchio d’impresa qualora siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese, vale a dire a soddisfare la funzione del marchio di indicazione dell’origine. Tale elenco prevede espressamente i «nomi di persone».

23
Ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, il carattere distintivo di un marchio dev’essere valutato in rapporto, da un canto, ai prodotti o servizi per cui viene richiesta la registrazione del marchio e, dall’altro, alla percezione dei consumatori interessati (v. sentenze 18 giugno 2002, causa C‑299/99, Philips, Racc. pag. I‑5475, punti 59 e 63, nonché 12 febbraio 2004, causa C‑218/01, Henkel, Racc. pag. I‑1725, punto 50).

24
A tale riguardo, la disposizione di cui trattasi non distingue tra i segni di diversa natura [v., in tal senso, sentenza 8 aprile 2003, cause riunite da C‑53/01 a C‑55/01, Linde e a., Racc. pag. I‑3161, punto 42, e, riguardo alla disposizione identica contenuta nell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), ordinanza 28 giugno 2004, causa C‑445/02 P, Glaverbel/UAMI, Racc. pag. I‑6267, punto 21].

25
I criteri di valutazione del carattere distintivo di marchi costituiti da un nome di persona sono pertanto i medesimi di quelli applicabili alle altre categorie di marchi.

26
Criteri di valutazione più rigorosi relativi, ad esempio,

ad un numero prestabilito di persone aventi il medesimo nome, al di là del quale il nome medesimo potrebbe essere ritenuto privo di carattere distintivo,

al numero di imprese che forniscono prodotti o servizi del tipo di quelli di cui trattasi nella richiesta di registrazione, e

all’uso diffuso o meno di patronimici nel settore interessato,

non possono applicarsi a tali marchi.

27
Il carattere distintivo di un marchio, indipendentemente dalla categoria nella quale esso rientra, deve essere oggetto di una valutazione concreta.

28
In tale contesto, può certamente risultare, ad esempio, che la percezione del pubblico interessato non è necessariamente la stessa per ogni categoria e che potrebbe quindi rivelarsi più difficile stabilire il carattere distintivo di marchi di talune categorie piuttosto che di quelli di altre categorie [v., segnatamente, sentenza Henkel, cit., punto 52, nonché, riguardo all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, sentenza 29 aprile 2004, cause riunite da C‑468/01 P a C‑472/01 P, Procter & Gamble/UAMI, Racc. pag. I‑5141, punto 36, e ordinanza Glaverbel/UAMI, cit., punto 23].

29
Tuttavia, una maggiore difficoltà eventualmente riscontrata nella valutazione concreta del carattere distintivo di alcuni marchi non può giustificare la presunzione che tali marchi siano, a priori, privi di carattere distintivo ovvero possano acquisirlo solo mediante l’uso, ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva 89/104.

30
Al pari di un termine del linguaggio corrente, un patronimico diffuso può soddisfare la funzione indicativa dell’origine del marchio ed essere quindi distintivo per i prodotti o servizi interessati, allorché non sussiste un impedimento alla registrazione diverso da quello previsto dall’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 vale a dire, ad esempio, il carattere generico o descrittivo del marchio, ovvero l’esistenza di un diritto anteriore.

31
La registrazione di un marchio costituito da un patronimico non può essere negata per evitare di concedere un vantaggio al primo richiedente, atteso che la direttiva 89/104 non contiene alcuna disposizione in tal senso, a prescindere, del resto, dalla categoria in cui rientra il marchio di cui si richiede la registrazione.

32
In ogni caso, la circostanza che l’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 consenta ai terzi l’uso nel commercio del proprio nome non rileva ai fini della valutazione della sussistenza del carattere distintivo del marchio, valutazione effettuata nell’ambito dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva medesima.

33
L’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 limita infatti in modo generale, a favore degli operatori in possesso di un nome identico o simile al marchio registrato, il diritto conferito da quest’ultimo per effetto della registrazione, vale a dire a seguito dell’accertamento dell’esistenza del carattere distintivo del marchio. Pertanto, esso non può rilevare ai fini della valutazione in concreto del carattere distintivo del marchio prima della registrazione del medesimo.

34
Occorre pertanto risolvere le prime quattro questioni nel senso che, nell’ambito dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, la valutazione dell’esistenza ovvero dell’inesistenza del carattere distintivo di un marchio costituito da un cognome patronimico, ancorché diffuso, deve essere effettuata in concreto secondo i criteri applicabili ad ogni segno di cui all’art. 2 della direttiva medesima, in relazione, da un canto, ai prodotti o servizi per i quali si richiede la registrazione e, dall’altro, alla percezione del pubblico interessato. La circostanza che gli effetti della registrazione del marchio siano limitati in forza dell’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva medesima non rileva ai fini di tale valutazione.


Sulla quinta questione

35
Riguardo alla quinta questione, occorre rilevare che è stata sollevata solo nell’ipotesi di soluzione positiva alla quarta questione. Essa non deve essere pertanto risolta, considerato che la quarta questione è stata risolta in senso negativo.


Sulle spese

36
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.




Per questi motivi, la Corte (Seconda sezione) dichiara:

Nell’ambito dell’art. 3, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, la valutazione dell’esistenza ovvero dell’inesistenza del carattere distintivo di un marchio costituito da un cognome patronimico, ancorché diffuso, deve essere effettuata in concreto secondo i criteri applicabili ad ogni segno di cui all’art. 2 della direttiva medesima, in relazione, da un canto, ai prodotti o servizi per i quali si richiede la registrazione e, dall’altro, alla percezione del pubblico interessato. La circostanza che gli effetti della registrazione del marchio siano limitati in forza dell’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva medesima non rileva ai fini di tale valutazione.


Firme


1
Lingua processuale: l'inglese.