Language of document : ECLI:EU:C:2020:394

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MANUEL CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

presentate il 28 maggio 2020(1)

Causa C626/18

Repubblica di Polonia

contro

Parlamento europeo,

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento – Direttiva (UE) 2018/957 – Direttiva 96/71/CE – Distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi – Norme riguardanti le condizioni di lavoro e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori – Base giuridica inadeguata – Restrizioni discriminatorie, superflue o sproporzionate – Violazione del principio di libera prestazione di servizi – Retribuzione dei lavoratori distaccati – Lavoratori distaccati di lunga durata – Violazione del regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali – Trasporto su strada»






1.        La Repubblica di Polonia chiede alla Corte, a titolo principale, l’annullamento di varie disposizioni della direttiva (UE) 2018/957 (2), recante modifica della direttiva 96/71/CE (3) relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. In subordine, chiede l’annullamento integrale della direttiva 2018/957.

2.        In data odierna presento altresì le mie conclusioni nel ricorso parallelo (C‑620/18, Ungheria/Parlamento e Consiglio) (4) che l’Ungheria ha promosso contro la medesima direttiva, per motivi analoghi. Rinvierò al loro contenuto laddove necessario per evitare inutili ripetizioni, o lo trascriverò.

I.      Contesto normativo

3.        Rinvio alla descrizione delle disposizioni pertinenti delle direttive 2018/957 e 96/71 contenuta nelle conclusioni C‑620/18.

II.    Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

4.        La Repubblica di Polonia chiede alla Corte di dichiarare la nullità dell’articolo 1, punto 2, lettere a) e b), e dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957. Chiede inoltre la condanna del Parlamento europeo e del Consiglio alle spese.

5.        In subordine, qualora la Corte dovesse ritenere che tali disposizioni della direttiva 2018/957 non siano separabili dalle altre ivi contenute senza modificarne la sostanza, la Repubblica di Polonia chiede l’annullamento della direttiva 2018/957 nella sua interezza.

6.        Il Parlamento europeo e il Consiglio chiedono alla Corte di respingere il ricorso e condannare la Repubblica di Polonia alle spese.

7.        La Germania, la Francia, i Paesi Bassi, la Svezia e la Commissione sono stati ammessi a intervenire nel procedimento a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio. Tutti i predetti hanno depositato osservazioni scritte, salvo i Paesi Bassi che hanno aderito alla posizione del Parlamento europeo e del Consiglio.

8.        All’udienza del 3 marzo 2020, svoltasi congiuntamente con quella relativa alla causa C‑620/18, hanno partecipato il Consiglio, il Parlamento, la Commissione e i governi polacco, tedesco, francese, svedese e dei Paesi Bassi.

III. Ricevibilità del ricorso

9.        Il Parlamento europeo ritiene che le disposizioni della direttiva 2018/957 impugnate in via principale dalla Repubblica di Polonia non siano separabili dal resto di tale direttiva. Di conseguenza, l’annullamento parziale richiesto sarebbe irrealizzabile.

10.      Tuttavia, poiché la Repubblica di Polonia ha chiesto in subordine alla Corte l’annullamento integrale di tale direttiva, il Parlamento europeo ritiene che il ricorso sia ricevibile.

11.      Per giurisprudenza costante della Corte, l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo se gli elementi di cui è chiesto l’annullamento sono separabili dal resto dell’atto. Tale requisito non è soddisfatto quando l’annullamento parziale avrebbe l’effetto di modificare la sostanza di tale atto. Verificare se taluni elementi siano separabili presuppone l’esame della loro portata, al fine di poter valutare se il loro annullamento modificherebbe lo spirito e la sostanza dell’atto in questione (5).

12.      A mio avviso, la Repubblica di Polonia contesta due disposizioni che possono essere considerate fondamentali nella direttiva 2018/957, a causa sia della loro portata sia della loro finalità.

13.      L’annullamento chiesto in via principale inciderebbe, infatti, su due misure chiave della nuova disciplina: a) la sostituzione del concetto di «tariffe minime salariali» con quello di «retribuzione»; e b) il regime dei lavoratori distaccati di lunga durata.

14.      Sono proprio queste due norme le modifiche principali che la direttiva 2018/957 introduce nella direttiva 96/71. Esse mirano entrambe a modificare l’equilibrio fra gli interessi previsto dalla direttiva 96/71, al fine di garantire una maggiore tutela ai lavoratori distaccati nell’ambito delle prestazioni transnazionali di servizi. Annullarle singolarmente modificherebbe la sostanza della direttiva 2018/957.

15.      Tuttavia, come ammette il Parlamento europeo, il ricorso è ricevibile, in quanto contiene la domanda subordinata di annullare l’intera direttiva 2018/957.

IV.    Osservazioni preliminari

16.      Procederò all’analisi dei motivi di nullità iniziando con il secondo, approccio che mi sembra più coerente da un punto di vista sistematico.

17.      Per quanto riguarda l’esame della giurisprudenza della Corte su questa materia, il processo di armonizzazione delle direttive concernenti i lavoratori distaccati nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi e, più in generale, l’evoluzione del regime giuridico dell’Unione sul regime di tali lavoratori, rinvio alle conclusioni C‑620/18 (6).

V.      Secondo motivo: errore nella scelta della base giuridica della direttiva 2018/957

A.      Argomenti

18.      Il governo polacco contesta l’utilizzo degli articoli 53, paragrafo 1, TFUE e 62 TFUE quale base giuridica della direttiva 2018/957, in quanto quest’ultima, al contrario della direttiva 96/71, produce restrizioni alla libera prestazione dei servizi da parte di imprese che distaccano lavoratori.

19.      Al riguardo, esso sostiene quanto segue:

‐      l’obiettivo principale della direttiva 2018/957 è quello di tutelare i lavoratori distaccati e la sua base giuridica dovrebbero quindi essere le disposizioni del TFUE relative alla politica sociale (sebbene il governo polacco non le precisi);

‐      l’articolo 1, punto 2, lettere a) e b), della direttiva 2018/957 non ha lo scopo di agevolare l’esercizio di un’attività professionale autonoma (la fornitura di servizi transfrontalieri), bensì lo pregiudica. La sostituzione del concetto di «tariffe minime salariali» con quello di «retribuzione» e il nuovo regime dei lavoratori distaccati di lunga durata si traducono in restrizioni ingiustificate e sproporzionate alla libera prestazione dei servizi. È pertanto contraddittorio ricorrere alla base giuridica applicabile all’armonizzazione di tale libertà di circolazione.

20.      Il Consiglio, il Parlamento europeo nonché i governi tedesco, francese e svedese ritengono che la base giuridica della direttiva 2018/957 (articoli 53, paragrafo 1, TFUE e 62 TFUE) sia corretta.

B.      Valutazione

21.      Per evitare ripetizioni, rinvio alle conclusioni C‑620/18 per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte sulle basi giuridiche degli atti dell’Unione (7), nonché per l’analisi degli obiettivi, del contenuto e del contesto della direttiva 2018/957 (8).

22.      Al termine di tale analisi, non vedo ragioni per ritenere che la base giuridica della direttiva 2018/957 (articoli 53, paragrafo 1, TFUE e 62 TFUE) sia errata.

23.      La direttiva 2018/957 realizza una modifica, importante ma limitata, della direttiva 96/71. Secondo la giurisprudenza della Corte, un atto che modifica un altro atto precedente di solito ne avrà la stessa base giuridica (9), il che mi sembra logico. Ne consegue che gli articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE possano essere la base giuridica adeguata per la direttiva 2018/957, come lo furono all’epoca per la direttiva 96/71, modificata dalla prima.

24.      La direttiva 2018/957 adegua la soluzione legislativa data dalla direttiva 96/71 al fenomeno del (crescente) distacco transnazionale di lavoratori, allo scopo di agevolare la libera prestazione di servizi da parte delle imprese che ricorrono a tale modalità di mobilitazione del fattore lavoro.

25.      Tale adeguamento è stato reso necessario dall’evoluzione dei mercati del lavoro dell’Unione e si è orientato verso una maggiore protezione delle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati. È possibile che, in alcuni casi, ciò comporti una corrispondente diminuzione della competitività delle imprese per quanto riguarda la fornitura di servizi in altri Stati membri impiegando questa modalità, ma tale è l’opzione (legittima) scelta dal legislatore europeo.

26.      Quando promulga una norma di armonizzazione, il legislatore dell’Unione non può essere privato della possibilità di adeguare tale atto a qualsiasi cambiamento delle circostanze o evoluzione delle conoscenze, in considerazione del compito affidatogli di vigilare alla protezione degli interessi generali riconosciuti dal Trattato (10).

27.      Questo è proprio ciò che si è verificato con l’approvazione della direttiva 2018/957. Il legislatore dell’Unione ha introdotto modifiche nella direttiva 96/17 al fine di adeguare l’equilibrio di interessi in essa riflesso alla nuova situazione generata dal movimento transnazionale di lavoratori. Gli interessi in gioco rimangono gli stessi, ma l’accento e il punto di equilibrio tra di essi si è spostato verso una maggiore protezione dei diritti di tipo lavoristico di tali lavoratori. Detto riequilibrio non giustifica la modificazione della base giuridica rispetto alla direttiva 96/71.

28.      Infine, rilevo che la Repubblica di Polonia sostiene (con argomentazione debole) che la direttiva 2018/957 avrebbe dovuto essere fondata sulle basi giuridiche della politica sociale, in particolare sull’articolo 153 TFUE. Per le ragioni esposte nelle conclusioni C‑620/18 (11), non condivido neppure tale argomento.

VI.    Primo motivo: violazione dell’articolo 56 TFUE a causa delle restrizioni al distacco dei lavoratori imposte dalla direttiva 2018/957

29.      Il governo polacco sostiene che la direttiva 2018/957 crea restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione, contrarie all’articolo 56 TFUE. In particolare, tali restrizioni provengono da due elementi nuovi che tale direttiva introduce nella direttiva 96/71, laddove impone agli Stati membri l’obbligo di garantire ai lavoratori distaccati:

‐      la retribuzione (anche quella corrispondente alla maggiorazione per lavoro straordinario) conforme alla legislazione o alle prassi dello Stato membro di destinazione del distacco [articolo 1, punto 2, lettera a)];

‐      tutte le condizioni di lavoro conformi alla legislazione o alle prassi dello Stato membro di destinazione, qualora la durata effettiva del distacco di un lavoratore o la durata complessiva del distacco dei lavoratori che sostituiscono altri lavoratori nell’espletamento della stessa mansione superi 12 mesi o 18 mesi se si presenta una notifica motivata [articolo 1, punto 2, lettera b)].

30.      Conformemente a tale approccio, il governo polacco suddivide il primo motivo di annullamento in due parti. Le esaminerò dopo aver svolto una considerazione preliminare sul sindacato giurisdizionale sulle direttive di armonizzazione in materia di libera prestazione dei servizi.

A.      Considerazione preliminare: il sindacato giurisdizionale sulla direttiva 2018/957

31.      La Repubblica di Polonia tratta le norme che la direttiva 2018/957 impone al distacco di lavoratori (nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi) con gli stessi parametri adottati dalla Corte per controllare le misure nazionali che limitano tale categoria di rapporti giuridici.

32.      Rinvio all’analisi svolta nelle mie conclusioni C‑620/18 su tale giurisprudenza, relativa al controllo della compatibilità delle direttive di armonizzazione con la libera prestazione dei servizi mediante l’applicazione del principio di proporzionalità (12).

33.      Tale analisi mi induce ad affermare che la giurisprudenza della Corte relativa alle misure nazionali che limitano i distacchi di lavoratori nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi non può essere automaticamente trasposta all’esame della compatibilità con l’articolo 56 TFUE di una normativa dell’Unione che armonizza tale fenomeno (come la direttiva 2018/957).

34.      Contrariamente a quanto sostenuto dal governo polacco, una direttiva di armonizzazione può introdurre restrizioni alla libera circolazione dei servizi le quali, se fossero adottate da un solo Stato membro, sarebbero contrarie all’articolo 56 TFUE.

35.      Ciò in quanto qualsiasi misura di armonizzazione che tuteli un interesse sociale fondamentale, come i diritti dei lavoratori distaccati, rende in qualche modo difficile la libera prestazione dei servizi delle imprese che li utilizzano. Tuttavia, tale restrizione ha un impatto molto inferiore sul mercato interno rispetto a una misura nazionale equivalente, dato che la prima si applica in tutto il territorio dell’Unione. La sua esistenza e i suoi effetti restrittivi possono venir meno solo in caso di parificazione delle condizioni di lavoro tra tutti gli Stati membri, la cui promozione non rientra fra le competenze dell’Unione.

36.      Il legislatore dell’Unione disponeva, alla luce della giurisprudenza in materia di controllo di proporzionalità delle norme di armonizzazione, di un ampio potere discrezionale in una materia così complessa come la regolamentazione dei distacchi transnazionali di lavoratori. Ciò che deve chiarirsi è se ha fatto un uso manifestamente inadeguato di tale potere quando ha modificato l’equilibrio di interessi al quale era giunto nella direttiva 96/71, introducendo i cambiamenti che presuppone la direttiva 2018/957.

B.      Prima parte del primo motivo: retribuzione dei lavoratori distaccati

1.      Argomentazioni

37.      Il nuovo articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71 sostituisce le «tariffe minime salariali» con la «retribuzione», quale condizione di lavoro dello Stato ospitante che deve applicarsi ai lavoratori distaccati.

38.      Il governo polacco ritiene che, in forza di tale nuova norma, le imprese che distaccano lavoratori saranno tenute a pagare loro la stessa retribuzione percepita dai lavoratori locali. Il principio della parità di retribuzione sostituirebbe quindi l’obbligo di pagare il salario minimo.

39.      Tale obbligo, sostiene detto governo, limita la libera prestazione dei servizi delle imprese che distaccano lavoratori a tal fine. A queste ultime viene imposto un onere supplementare, che elimina il vantaggio competitivo derivante dall’esistenza di retribuzioni inferiori nello Stato in cui esse hanno sede. Si tratta di una discriminazione contraria all’articolo 56 TFUE, che può essere giustificata solo sulla base dei motivi di cui all’articolo 52 TFUE.

40.      Il governo polacco argomenta inoltre che, anche se non fossero discriminatorie, tali restrizioni ostacolerebbero la libera prestazione dei servizi senza essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, poiché:

‐      non sono giustificate dal fatto che il concetto di «tariffa minima salariale» non sia sufficiente per tutelare adeguatamente i diritti dei lavoratori distaccati e mantenere una concorrenza leale tra le imprese locali e quelle che distaccano lavoratori;

‐      non ritiene nemmeno che sia una valida giustificazione l’argomento relativo alle grandi differenze tra il salario minimo di taluni Stati membri e di altri;

‐      infine, ritiene che il ricorso al concetto di «retribuzione» imporrebbe il versamento di contributi il cui pagamento non sarebbe giustificato nel caso dei lavoratori distaccati.

41.      Il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione e i governi intervenuti ritengono infondata la prima parte di tale motivo di annullamento.

2.      Valutazione

a)      Discriminazione nei confronti delle imprese con lavoratori distaccati

42.      Secondo il governo polacco, la sostituzione delle «tariffe minime salariali» con la «retribuzione», operata dalla direttiva 2018/957, discrimina i prestatori di servizi transfrontalieri che distaccano lavoratori, nei termini summenzionati.

43.      Tali prestatori di servizi sarebbero soggetti a un duplice onere (rispettare le norme dello Stato di origine e quelle dello Stato ospitante) e dovrebbero inoltre far fronte a spese supplementari, ad esempio la traduzione di documenti o quelle risultanti dal disporre di un rappresentante nello Stato di destinazione. Poiché le imprese locali si trovano in una posizione diversa da quelle che distaccano lavoratori, imporre la parità di trattamento nella retribuzione comporterebbe una discriminazione.

44.      Ritengo che tale ragionamento si basi su un’interpretazione inadeguata della direttiva 2018/957.

45.      In primo luogo, la retribuzione è una delle condizioni di lavoro elencate tassativamente nel nuovo articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71. È certo che la loro applicazione ai lavoratori distaccati sia obbligatoria e rientri nell’ambito delle norme vincolanti di protezione minima (13). Ciò tuttavia non comporta una completa parità di trattamento fra i lavoratori distaccati e quelli locali: i contributi previdenziali e la fiscalità applicabile ai primi non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 96/71 e sono disciplinati dalle norme dello Stato di origine. Tale circostanza comporta, di per sé, disparità tra la retribuzione effettiva percepita dai lavoratori distaccati e quella percepita dai lavoratori locali.

46.      In secondo luogo, ai sensi del nuovo articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71, il concetto di retribuzione riguarda unicamente i suoi elementi obbligatori (14). Pertanto, non estende ai lavoratori distaccati l’obbligo di retribuirli con altre voci non obbligatorie ai sensi del diritto nazionale. La direttiva 2018/957 non impone quindi una retribuzione identica, considerata nel suo complesso, tra il lavoratore locale e il lavoratore distaccato.

47.      Come si constatava nella valutazione d’impatto promossa dalla Commissione ai fini dell’adozione della direttiva 2018/957, l’opzione della completa parità di trattamento tra i lavoratori locali e i lavoratori distaccati è stata espressamente esclusa (15).

48.      Poiché l’introduzione del concetto di «retribuzione» al posto del precedente «tariffe minime salariali» non comporta una discriminazione, non è nemmeno necessario che, contrariamente a quanto sostiene il governo polacco, la sua giustificazione sia trovata nei motivi di cui all’articolo 52 TFUE (ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica).

b)      Giustificazione delle restrizioni non discriminatorie mediante esigenze imperative di interesse generale

49.      Il governo polacco sostiene, come ho già segnalato, che, anche qualora la direttiva 2018/957 non introducesse misure discriminatorie, le restrizioni che essa comporta al distacco di lavoratori, mediante l’impiego della nuova nozione di retribuzione, non sono giustificate da alcuna esigenza imperativa di interesse generale.

50.      L’argomentazione del governo polacco a tal riguardo si fonda su una premessa che non condivido. Come ho detto, il sindacato giurisdizionale su una misura di armonizzazione, quale la direttiva 2018/957, non può essere esercitato applicando i parametri sviluppati dalla giurisprudenza della Corte per le misure nazionali che limitano il distacco dei lavoratori e la loro eventuale giustificazione in base a esigenze imperative di interesse generale.

51.      Il controllo delle direttive di armonizzazione (fra cui la direttiva 2018/957) alla luce del diritto originario, nella fattispecie l’articolo 56 TFUE, deve essere effettuato in base al principio di proporzionalità, secondo la giurisprudenza della Corte che ho riportato nelle mie conclusioni C‑620/18 (16).

52.      Ciò precisato, esaminerò i motivi dedotti dal governo polacco per affermare che la nozione di tariffe minime salariali non deve essere sostituita con quella di retribuzione. Essi sono, in sintesi, i seguenti:

‐      la nozione di salario minimo di cui alla direttiva 96/71 tutela adeguatamente i diritti dei lavoratori distaccati;

‐      le differenze tra il salario minimo di alcuni Stati membri e di altri sono giustificate;

‐      il ricorso alla nozione di «retribuzione» richiede il pagamento di contributi il cui versamento non è giustificato nel caso dei lavoratori distaccati.

53.      Contrariamente a quanto sostiene il governo polacco, l’utilizzo del termine «tariffe minime salariali» nella direttiva 96/71 non era idoneo a garantire la tutela dei lavoratori distaccati e la concorrenza leale tra le imprese locali e quelle di altri Stati membri che distaccano lavoratori. Questo è stato il ragionamento del Parlamento europeo e del Consiglio, con i quali concordo.

54.      In primo luogo, l’interpretazione del termine «tariffe minime salariali» aveva sollevato difficoltà pratiche (17), come dimostra la giurisprudenza della Corte e, in particolare, la sentenza Sähköalojen ammattiliitto (18), nella quale si ammette un’interpretazione più estesa del concetto di salario minimo di cui alla direttiva 96/71, che ha influito sulla riforma della direttiva 2018/957 (19).

55.      Il legislatore dell’Unione ha tenuto conto di tali difficoltà interpretative, nonché dell’interpretazione estensiva raccomandata dalla Corte, nell’adottare la direttiva 2018/957 e nell’inserire la nozione di retribuzione di cui ai paragrafi 1 e 7 dell’articolo 3 della direttiva 96/71.

56.      In secondo luogo, stabilire gli importi delle tariffe minime salariali in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 96/71 spetta alla legislazione o alle prassi nazionali dello Stato membro ospitante (20). Anche le modalità di calcolo di tali tariffe e i criteri ad esso applicati sono di competenza di tale Stato membro (21). Le legislazioni o le prassi nazionali per il calcolo del salario minimo sono molto eterogenee (e non sempre trasparenti) negli Stati membri dell’Unione, il che rende difficile il distacco dei lavoratori in condizioni di lavoro eque e comparabili a quelle dei lavoratori locali (22).

57.      In terzo luogo, era stata riscontrata una prassi inappropriata delle imprese che, nel distaccare i propri lavoratori, tendevano a pagare loro il salario minimo a prescindere dalla loro categoria, mansioni, qualifiche professionali e anzianità, generando una differenza di retribuzione rispetto ai lavoratori locali in una situazione analoga (23).

58.      All’udienza, la Commissione ha ribadito quanto già risultava nella sua valutazione d’impatto: che l’identificazione delle «tariffe minime salariali» della direttiva 96/71 con il salario minimo legalmente fissato dalla legislazione nazionale dello Stato ospitante aveva generato, nella pratica, un divario salariale tra i lavoratori locali e quelli distaccati, in particolare in settori come quello dell’edilizia (24).

59.      Per porre rimedio a questa situazione, la Commissione ha esaminato le possibili soluzioni e le relative conseguenze economiche. Ha scelto quella ritenuta più adeguata, vale a dire compiere una riforma limitata della direttiva 96/71, concretizzatasi nell’adozione della direttiva 2018/957, scartando la possibilità di pubblicare una comunicazione interpretativa o quella di non modificare la direttiva 96/71 (25).

60.      Le istituzioni dell’Unione dispongono di un ampio potere discrezionale per modificare una norma quando, tra le altre ipotesi, la sua applicazione abbia messo in evidenza che si sono verificati cambiamenti nella materia regolamentata o siano emersi inconvenienti nella sua attuazione. Nel caso di specie, la ricorrenza di queste due premesse, sufficienti a giustificare la necessità di sostituire la nozione di «tariffe minime salariali» con quella di «retribuzione», è stata debitamente dimostrata.

61.      Da quanto precede si può dedurre che il legislatore dell’Unione si è attenuto ai requisiti del principio di proporzionalità, e non ha manifestamente oltrepassato il suo ampio potere discrezionale in una materia tecnica e complessa come questa, quando ha optato per una misura (l’introduzione del concetto di retribuzione) adatta a realizzare gli obiettivi perseguiti. Tale misura agevola, di per sé, la migliore protezione dei lavoratori distaccati e la garanzia di condizioni di concorrenza eque tra le imprese locali e quelle che distaccano i propri lavoratori.

62.      Secondo il governo polacco, neppure l’esistenza di grandi disparità di salario minimo nei diversi Stati membri sarebbe una valida giustificazione. Ammettere una siffatta giustificazione equivarrebbe ad eliminare un vantaggio competitivo dei paesi dell’Unione con un costo del lavoro inferiore e non terrebbe conto della circostanza che il lavoratore distaccato rimane legato al suo Stato di origine (26).

63.      Le disparità retributive fra i lavoratori di alcuni Stati membri e quelli di altri trovano la loro origine nella fissazione dei salari, che è di competenza esclusiva degli Stati membri e delle parti sociali. Lo conferma l’eccezione di cui all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, che esclude le retribuzioni di lavoro dalla funzione di armonizzazione delle istituzioni dell’Unione.

64.      Per tale motivo, il nuovo articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71 collega «il concetto di retribuzione» alla legislazione o alle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato, nei termini sopra riportati (27).

65.      Pertanto, le divergenze tra le norme applicabili alle retribuzioni di lavoro dei lavoratori distaccati sono inevitabili fino a quando all’Unione non sia conferita la competenza per armonizzarle. Lo stesso valeva, come ho già esposto, per il concetto di «tariffe minime salariali» utilizzato nella versione originaria della direttiva 96/71.

66.      A partire da questa premessa, la direttiva 2018/957 chiarisce ciò che deve essere corrisposto ai lavoratori distaccati: la nozione di retribuzione ha la funzione di una norma di conflitto, ai sensi della quale si garantiscono al lavoratore distaccato nello Stato ospitante gli elementi retributivi che sono obbligatori per i lavoratori locali.

67.      Tale scelta legislativa rispetta il principio di proporzionalità e quelli dettati dall’articolo 56 TFUE. Essa non impone, come sostiene il governo polacco, che il lavoratore distaccato debba percepire nello Stato ospitante il salario minimo in quanto la sua vita (e la sua economia domestica) restano fondamentalmente connesse al suo Stato di provenienza.

68.      La direttiva 2018/957 non elimina le disparità retributive tra Stati membri. I lavoratori distaccati possono ricevere emolumenti diversi da quelli percepiti dai lavoratori locali (fermi restando gli elementi obbligatori) e l’impresa che li assume può, se del caso, sostenere oneri tributari e di previdenza sociale inferiori. Ciò che invece ha fatto il legislatore dell’Unione è migliorare la tutela dei lavoratori distaccati rispetto alla situazione iniziale della direttiva 96/71.

69.      Il governo polacco ritiene altresì che il concetto di retribuzione introdotto dalla direttiva 2018/957 sia ingiustificato, in quanto impone al datore di lavoro di pagare ai propri lavoratori distaccati emolumenti sproporzionati, poiché essi devono includere contributi di cui questi non potrebbero beneficiare.

70.      Come ho già rilevato, la nuova formulazione dell’articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71 estende ai lavoratori distaccati unicamente gli elementi obbligatori della retribuzione dei lavoratori locali. Gli altri contributi previdenziali che i datori di lavoro locali versano a favore dei loro dipendenti non devono essere conteggiati né versati dal datore di lavoro che distacca lavoratori. Tali contributi previdenziali supplementari saranno eventualmente versati a favore dei lavoratori distaccati secondo la normativa dello Stato di origine.

71.      Il fatto che il considerando 18 della direttiva 2018/957 citi l’importo lordo della retribuzione non ha lo scopo di farvi rientrare i contributi previdenziali che non fanno parte degli elementi retributivi obbligatori dello Stato ospitante. La sua intenzione è quella di tenere conto di tutti gli emolumenti versati dal datore di lavoro al lavoratore distaccato per raffrontare tale importo con la retribuzione obbligatoria del paese ospitante (28).

3.      Risposta complessiva alla prima parte del primo motivo

72.      In definitiva, non ritengo che la scelta legislativa di sostituire la nozione di «tariffe minime salariali» con quella di «retribuzione» sia ingiustificata o sproporzionata rispetto alla finalità di protezione dei lavoratori distaccati. È vero che essa può ridurre, ma non eliminare, i vantaggi competitivi delle imprese di paesi dell’Unione con un costo del lavoro inferiore che distaccano lavoratori verso Stati membri con un costo del lavoro superiore. Tuttavia, una s siffatta riduzione è coerente con l’intento della direttiva 2018/957 di modificare l’equilibrio sottostante alla direttiva 96/71, ponendo adesso l’accento maggiormente sulla tutela dei lavoratori distaccati, senza rinunciare agli obiettivi diretti a garantire una concorrenza leale tra imprese e a facilitare la libera prestazione di servizi transnazionali.

C.      Seconda parte del primo motivo: lavoratori distaccati di lunga durata

1.      Argomenti

73.      Il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, introduce la categoria dei lavoratori distaccati di lunga durata e la distingue da quella dei lavoratori distaccati «ordinari»: i primi sono quelli il cui distacco supera i 12 mesi (eccezionalmente 18).

74.      Secondo il governo polacco, il nuovo status dei lavoratori distaccati di lunga durata comporta restrizioni ingiustificate e sproporzionate alla libera prestazione dei servizi, contrarie all’articolo 56 TFUE. Esso argomenta, al riguardo, che:

‐      la direttiva 2018/957 equipara i lavoratori distaccati di lunga durata ai lavoratori locali e ai lavoratori degli altri Stati membri che hanno esercitato la libertà di circolazione dei lavoratori ai sensi dell’articolo 45 TFUE;

‐      il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, istituisce un regime applicabile ai lavoratori distaccati di lunga durata incompatibile con l’articolo 9 del regolamento Roma I (29);

‐      la nuova regola del cumulo dei periodi di distacco (per quanto riguarda il calcolo del termine che fa scattare lo status di lavoratore distaccato di lunga durata) è sproporzionata.

2.      Valutazione

75.      La nuova categoria dei lavoratori distaccati di lunga durata si distingue da quella dei lavoratori distaccati «ordinari». Il criterio distintivo è la durata effettiva del distacco: se questa supera i 12 mesi (eccezionalmente 18), trasforma il lavoratore distaccato ordinario in lavoratore distaccato di lunga durata.

76.      Trascorso tale termine, il lavoratore distaccato (ora, di lunga durata) usufruisce di un regime giuridico diverso: oltre alle condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1 dell’articolo 3, si applicano quelle dello Stato membro in cui viene eseguito il lavoro.

77.      Come si evince dal suo considerando 9 (30), la direttiva 2018/957 non comporta tuttavia un’assimilazione totale fra i lavoratori distaccati di lunga durata e i lavoratori locali (nazionali o di altri Stati membri che hanno esercitato la propria libertà di circolazione).

78.      I lavoratori distaccati di lunga durata continuano a mantenere una situazione giuridica ancorata alla libera prestazione dei servizi (rientrante nell’ambito di quest’ultima), come indicato nel considerando 10 della direttiva 2018/957 (31).

79.      In contrasto con la tesi sostenuta dal governo polacco, il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 non parifica pienamente i lavoratori distaccati di lunga durata ai lavoratori locali, dato che:

‐      ai sensi di tale norma, «[i]l primo comma del presente paragrafo non si applica alle materie seguenti: a) procedure, formalità e condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, comprese le clausole di non concorrenza; b) regimi pensionistici integrativi di categoria»;

‐      ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 bis, ai lavoratori distaccati di lunga durata si applicano «tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro» «indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro». Ciò comporta che, per questa categoria di lavoratori distaccati, non si modifica, come rileva il Parlamento europeo nelle sue osservazioni, il diritto internazionale privato sottostante al loro rapporto giuridico (32);

‐      l’equiparazione dei lavoratori distaccati di lunga durata a quelli locali avviene riguardo a «tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro». Devono intendersi come tali «le condizioni di lavoro e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori», che sono quelle disciplinate dalla direttiva 96/71, a norma del suo nuovo articolo 1, paragrafo 1. Sono quindi mantenute le differenze in materie come la previdenza sociale e la fiscalità.

80.      A mio avviso, la regolamentazione di questa nuova categoria di lavoratori distaccati di lunga durata è giustificata e comporta restrizioni proporzionate alla libera prestazione di servizi e compatibili con l’articolo 56 TFUE.

81.      La fissazione di un termine di 12 mesi (eccezionalmente 18 mesi) rimuove l’incertezza esistente nella versione iniziale della direttiva 96/71, il cui articolo 2, paragrafo 1, considerava lavoratore distaccato colui che eseguiva il suo lavoro in un paese diverso dal suo Stato di origine «per un periodo limitato». La nuova regola dissipa, ripeto, questa incertezza, chiarendo che si considera lavoratore distaccato di lunga durata colui per il quale il distacco prosegue oltre 12 (o 18) mesi.

82.      Anche lo status di lavoratore distaccato di lunga durata mi sembra ragionevole, poiché si adatta alla situazione dei lavoratori che risiederanno nello Stato ospitante per un lungo periodo di tempo, con la conseguenza che la loro partecipazione al mercato del lavoro di tale Stato sarà maggiore. È logico (e proporzionato) che, in questa situazione, tali lavoratori siano soggetti a un maggior numero di norme del lavoro dello Stato di destinazione, mantenendo allo stesso tempo il loro legame con lo Stato di origine dell’impresa per la quale lavorano.

83.      Non condivido neppure il parere del governo polacco secondo il quale il nuovo regime dei lavoratori distaccati di lunga durata sarebbe incompatibile con l’articolo 9 del regolamento Roma I.

84.      Detto articolo si riferisce all’«applicazione delle norme di applicazione necessaria della legge del foro», ma il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 non è una legge appartenente a tale categoria.

85.      Il rapporto tra tale direttiva e il regolamento Roma I è stabilito agli articoli 8 («Contratti individuali di lavoro») e 23 («Relazioni con altre disposizioni del diritto comunitario») di quest’ultimo (33).

86.      Infine, il governo polacco argomenta che il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, terzo comma, della direttiva 96/71 genera una restrizione sproporzionata incompatibile con l’articolo 56 TFUE, in quanto, per il calcolo del cumulo di tempo, prende in considerazione la mansione svolta e non la situazione del lavoratore. Inoltre, essa non stabilisce alcun limite temporale per procedere al calcolo del tempo.

87.      Come sostengono il Consiglio e il Parlamento europeo, e come risulta dal considerando 11 della direttiva 2018/957, tale disposizione mira a impedire l’aggiramento e l’abuso dello status di lavoratore distaccato di lunga durata. Se così non fosse, tale status potrebbe essere eluso mediante la sostituzione di alcuni lavoratori distaccati con altri nell’espletamento della stessa mansione.

88.      È vero che, come afferma il governo polacco, vi è una certa imprecisione nella sua formulazione, in quanto esso non fissa alcun limite temporale per effettuare il cumulo dei periodi nel corso dei quali i lavoratori distaccati svolgono una stessa mansione.

89.      Tuttavia, il governo polacco non dimostra, nelle sue osservazioni, l’esistenza di alternative meno restrittive per evitare i comportamenti fraudolenti. Si limita a riferire che sarebbero sufficienti le misure di individuazione dell’autenticità del distacco e di prevenzione degli abusi e dell’elusione menzionate all’articolo 4 della direttiva 2014/67 (34). Ma tali misure sono concepite per contrastare la frode più nei distacchi singoli che nei distacchi di lavoratori a catena per eseguire una stessa mansione.

90.      Suggerisco pertanto di respingere integralmente il primo motivo di nullità.

VII. Terzo motivo: violazione dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE a causa dell’applicazione della direttiva 2018/957 al settore dei trasporti

91.      Poiché gli argomenti di tale motivo sono analoghi a quelli della causa C‑620/18, rinvio alle conclusioni C‑620/18 (35), conformemente alle quali esso deve essere respinto.

VIII. Conclusione

92.      Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di:

1)      respingere integralmente il ricorso proposto dalla Repubblica di Polonia;

2)      condannare la Repubblica di Polonia a sopportare le proprie spese nonché quelle del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea;

3)      condannare la Commissione europea e i governi francese, tedesco, dei Paesi Bassi e svedese a sopportare le proprie spese.


1      Lingua originale: lo spagnolo.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 giugno 2018 recante modifica della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 2018, L 173, pag. 16; in prosieguo: la «direttiva 2018/957»).


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 96/71»).


4      In prosieguo: le «conclusioni C‑620/18».


5      Sentenze del 29 marzo 2012, Commissione/Estonia (C‑505/09 P, EU:C:2012:179), punto 112; del 12 novembre 2015, Regno Unito/Parlamento e Consiglio (C‑121/14, EU:C:2015:749), punti 20 e 21; nonché del 9 novembre 2017, SolarWorld/Consiglio (C‑204/16 P, EU:C:2017:838), punti 36 e 37.


6      Paragrafi da 17 a 51.


7      Paragrafi 58 e 59.


8      Paragrafi da 60 a 72.


9      Sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035), punto 42.


10      Ibidem, punti 38 e 39. Nello stesso senso, sentenze dell’8 giugno 2010, Vodafone e a. (C‑58/08, EU:C:2010:321), punto 34; nonché del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, EU:C:2002:741), punto 77.


11      Paragrafi da 80 a 85.


12      Paragrafi da 105 a 110.


13      V. considerando 13 della direttiva 96/71 e sentenza del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri (C‑341/05, EU:C:2007:809), punti da 74 a 81.


14      «Il concetto di retribuzione è determinato dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato e con esso si intendono tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8». Il corsivo è mio.


15      Documento SWD (2016) 52 final, dell’8 marzo 2016, pag. 27.


16      Paragrafi 144 e 145.


17      Il governo francese ha insistito in udienza su queste difficoltà pratiche, segnalando che in Francia si distingueva tra il salario minimo (SMIC) e le «tariffe minime salariali» della direttiva 96/71. Queste ultime includono, oltre al salario minimo, premi per lavoro notturno o per lavori pericolosi, che devono essere pagati anche ai lavoratori distaccati.


18      Sentenza del 12 febbraio 2015, Sähköalojen ammattiliitto (C‑396/13, EU:C:2015:86); in prosieguo: la sentenza «Sähköalojen ammattiliitto»).


19      Sentenza Sähköalojen ammattiliitto (punti da 38 a 70), secondo cui le «tariffe minime salariali» comprendono:


      ‐      la possibilità del calcolo del salario minimo orario o a cottimo, basato sull’inquadramento dei lavoratori in gruppi retributivi, come previsto dai pertinenti contratti collettivi dello Stato membro ospitante, purché tale calcolo e tale inquadramento siano eseguiti sulla base di norme vincolanti e trasparenti, accertamento questo che spetta al giudice nazionale;


      ‐      un’indennità giornaliera a condizioni identiche a quelle cui è subordinata l’inclusione di tale indennità nel salario versato ai lavoratori locali in occasione di un loro distacco all’interno dello Stato membro ospitante;


      ‐      un’indennità per il tragitto giornaliero, versata ai lavoratori a condizione che la durata del tragitto quotidiano di andata e ritorno ecceda un’ora;


      ‐      la gratifica per ferie che deve essere accordata al lavoratore per la durata minima delle ferie annuali retribuite.


20      «La definizione di quali siano gli elementi costitutivi della nozione di salario minimo, per l’applicazione di tale direttiva, rientra nell’ambito del diritto dello Stato membro in cui avviene il distacco, fermo restando che tale definizione, come risulta dalla legislazione o dai pertinenti contratti collettivi nazionali o dall’interpretazione che ne danno i giudici nazionali, non può avere l’effetto di ostacolare la libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri». Sentenze Sähköalojen ammattiliitto, punto 34, e del 7 novembre 2013, Isbir (C‑522/12, EU:C:2013:711), punto 37.


21      Sentenza Sähköalojen ammattiliitto, punto 39.


22      V. Fondazione Giacomo Brodolini (FGB), Study on wage setting systems and minimum rates of pay applicable to posted workers in accordance with Directive 97/71/EC in a selected number of Member States and sectors, Final report, November 2015; Schiek, Oliver, Forde, Alberti, EU Social and Labour Rights and EU Internal Market Law, Study for the EMPL Committee, European Parliament, September 2015 (http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2015/563457/IPOL_STU%282015%29563457_EN.pdf);


23      Documento SWD (2016) 52 final dell’8 marzo 2016, pagg. 10 e 11.


24      Documento SWD (2016) 52 final dell’8 marzo 2016, pagg. da 11 a 14.


25      Documento SWD (2016) 52 final dell’8 marzo 2016, pagg. 23 e segg.


26      Il richiamo alla sentenza del 18 settembre 2014, Bundesdruckerei (C‑549/13, EU:C:2014:2235), non è pertinente, in quanto riguarda un caso di libera prestazione di servizi senza distacco di manodopera.


27      V. nota 14. Nello stesso senso, il considerando 17 della direttiva 2018/957 ricorda che la determinazione delle norme sulla retribuzione rientra nella sfera di competenza esclusiva degli Stati membri, secondo la normativa e/o le prassi nazionali.


28      Da ciò deriva che l’ultima frase di detto considerando indica che sono inclusi nella retribuzione del lavoratore distaccato gli emolumenti per spese di viaggio, vitto e alloggio, a meno che non riguardino le spese effettivamente sostenute a causa del distacco.


29      Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU 2008, L 177, pag. 6).


30      «Il distacco è di natura temporanea. I lavoratori distaccati generalmente rientrano nello Stato membro a partire dal quale sono stati distaccati dopo aver effettuato il lavoro per il quale sono stati distaccati. Tuttavia, in considerazione della lunga durata di determinati distacchi, e riconoscendo il nesso fra il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante e i lavoratori distaccati per tali periodi di lunga durata, qualora il distacco duri per periodi superiori a 12 mesi, gli Stati membri ospitanti dovrebbero assicurare che le imprese che distaccano lavoratori nel loro territorio garantiscano agli stessi una serie aggiuntiva di condizioni di lavoro e di occupazione applicabili in via obbligatoria ai lavoratori nello Stato membro in cui il lavoro è svolto. Tale periodo dovrebbe essere prorogato qualora il prestatore di servizi presenti una notifica motivata».


31      «È necessario garantire una maggiore protezione dei lavoratori per salvaguardare la libera prestazione dei servizi su base equa, sia a breve che a lungo termine, in particolare evitando l’abuso dei diritti garantiti dai trattati. Tuttavia, le norme che garantiscono tale protezione dei lavoratori non possono pregiudicare il diritto delle imprese che distaccano lavoratori nel territorio di un altro Stato membro di invocare la libera prestazione dei servizi anche nei casi in cui un distacco sia superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi. Qualsiasi disposizione applicabile a lavoratori distaccati nel contesto di un distacco superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi deve pertanto essere compatibile con tale libertà. In conformità della giurisprudenza consolidata, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi sono ammissibili solo se sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale e se sono proporzionate e necessarie».


32      La Commissione ha caldeggiato la modifica del regime giuridico del contratto individuale di lavoro nel caso di lavoratori distaccati di lunga durata, raccomandando che si applicasse loro il diritto del lavoro del paese ospitante. V. articolo 2 bis della proposta della Commissione COM(2016) 128 e valutazione d’impatto SWD(2016) 52 final, pag. 25.


33      V. conclusioni C‑620/18, paragrafi da 191 a 200.


34      Direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI») (GU 2014, L 159, pag. 11).


35      Paragrafi da 172 a 180.