Language of document : ECLI:EU:T:2005:31

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione Ampliata)
3 febbraio 2005 (1)

«Organizzazione comune dei mercati – Banane – Ricorso per risarcimento danni – Regolamento n. 2362/98 – Accordo istitutivo dell'OMC e accordi allegati – Raccomandazioni e decisioni dell'organo di composizione delle controversie dell'OMC»

Nella causa T-19/01,

Chiquita Brands International, Inc., con sede in Trenton, New Jersey (Stati Uniti),

Chiquita Banana Co. BV, con sede in Breda (Paesi Bassi),

e

Chiquita Italia, SpA, con sede in Roma,

rappresentate dal sig. C. Pouncey, solicitor, e dal sig. L. Van Den Hende, avocat, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dai sigg. C. Van der Hauwaert e C. Brown, successivamente dai sigg. L. Visaggio, C. Brown, M. Niejahr e infine dai sigg. L. Visaggio e C. Brown, in qualità di agenti, assistiti dal sig. N. Khan, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di risarcimento del preteso danno subito per effetto dell'adozione e del mantenimento in vigore del regolamento (CE) della Commissione 28 ottobre 1998, n. 2362, recante modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 404/93 del Consiglio, con riguardo al regime d'importazione delle banane nella Comunità (GU L 293, pag. 32),



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione Ampliata),



composto dalla sig.ra P. Lindh, presidente, dai sigg. R. García-Valdecasas, J.D. Cooke, P. Mengozzi e dalla sig.ra M.E. Martins Ribeiro, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 12 febbraio 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Contesto normativo e fatti della controversia

1. Regolamento n. 404/93

1
Il regolamento (CEE) del Consiglio 13 febbraio 1993, n. 404, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana (GU L 47, pag. 1), al titolo IV, ha sostituito, a decorrere dal 1º luglio 1993, ai diversi regimi nazionali un regime comune degli scambi con i Paesi terzi. È stata operata una distinzione tra le «banane comunitarie», prodotte nella Comunità, le «banane di Paesi terzi», provenienti da Paesi terzi diversi dagli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), le «banane ACP tradizionali» e le «banane ACP non tradizionali». Le banane ACP tradizionali e le banane ACP non tradizionali corrispondevano ai quantitativi di banane esportati dai Paesi ACP, rispettivamente, non eccedenti ovvero eccedenti i quantitativi definiti nell’allegato al regolamento n. 404/03

2
Ai sensi dell’art. 17, primo comma, del regolamento n. 404/93, l’importazione di banane nella Comunità è soggetta alla presentazione di un certificato d’importazione rilasciato dagli Stati membri a qualsiasi interessato che ne faccia richiesta, indipendentemente dal suo luogo di stabilimento nella Comunità, fatte salve le particolari disposizioni adottate per l’applicazione degli artt. 18 e 19 del regolamento medesimo.

3
L’art. 19, n. 1, del regolamento n. 404/93 operava una ripartizione del contingente tariffario fissato all’art. 18, aprendolo a concorrenza del 66,5% alla categoria degli operatori che avevano commercializzato banane di Paesi terzi e/o banane ACP non tradizionali (categoria A), del 30% alla categoria degli operatori che avevano commercializzato banane comunitarie e/o ACP tradizionali (categoria B) e del 3,5% alla categoria degli operatori stabiliti nella Comunità che avevano iniziato, a decorrere dal 1992, a commercializzare banane diverse dalle banane comunitarie e/o dalle banane ACP tradizionali (categoria C).

2. Regolamento n. 1442/93

4
Il 10 giugno 1993 la Commissione emanava il regolamento (CEE) n. 1442/93, recante modalità d’applicazione del regime d’importazione delle banane nella Comunità (GU L 142, pag. 6; in prosieguo, del pari, il «regime del 1993»). Il detto regime rimaneva in vigore sino al 31 dicembre 1998.

5
L’art. 3, n. 1, del regolamento n. 1442/93 definiva come «operatore» delle categorie A e B, ai fini dell’applicazione degli artt. 18 e 19 del regolamento n. 404/93, l’agente economico o qualsiasi soggetto il quale, operando in proprio, avesse realizzato una o più delle funzioni seguenti:

«a)     ha acquistato presso produttori banane verdi originarie di paesi terzi e/o di paesi ACP oppure, se del caso, ha prodotto e quindi spedito e venduto tali prodotti nella Comunità;

b)       in quanto proprietario, ha fornito e messo in libera pratica banane verdi, nonché ha messo in vendita tali prodotti ai fini di una successiva immissione sul mercato comunitario; l’onere dei rischi di deterioramento o di perdita del prodotto è assimilato all’onere del rischio assunto dal proprietario del prodotto;

c)       in quanto proprietario, ha fatto maturare banane verdi e le ha immesse sul mercato nella Comunità».

6
L’art. 4, n. 1, del regolamento n. 1442/93 così disponeva:

«Le autorità competenti degli Stati membri compilano elenchi separati degli operatori appartenenti alle categorie A e B, indicando per ogni operatore i quantitativi da lui commercializzati durante ciascuno dei tre anni anteriori all’anno che precede quello per il quale è aperto il contingente tariffario, e ripartendo tali quantitativi secondo le funzioni economiche descritte all’articolo 3, paragrafo 1. La registrazione degli operatori e l’accertamento dei quantitativi commercializzati da ciascuno di essi hanno luogo per iniziativa dei medesimi e su loro richiesta scritta, presentata in un solo Stato membro di loro scelta».

7
Ai sensi dell’art. 5, n. 1, del regolamento n. 1442/93, le autorità competenti degli Stati membri erano tenute a calcolare, ogni anno, per ogni operatore delle categorie A e B registrato presso le autorità medesime, la media dei quantitativi commercializzati nei tre anni anteriori all’anno precedente quello per il quale era aperto il contingente, ripartiti secondo la natura delle funzioni esercitate dall’operatore a norma dell’art. 3, n. 1, del regolamento medesimo. Tale media era denominata «quantitativo di riferimento» dell’operatore. Ai sensi dell’art. 5, n. 2, ai quantitativi commercializzati si applicavano coefficienti di ponderazione, a seconda delle funzioni, di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento n. 1442/93.

8
In applicazione dei coefficienti di ponderazione, un determinato quantitativo di banane non poteva essere preso in considerazione, nel calcolo dei quantitativi di riferimento, per un importo totale eccedente il detto quantitativo, indipendentemente dal fatto di essere stato trattato, nelle tre fasi corrispondenti alle dette funzioni, dallo stesso operatore ovvero da due o tre diversi operatori. A termini del terzo ‘considerando’ del menzionato regolamento, i detti coefficienti erano finalizzati, da un lato, a tener conto dell’importanza della loro funzione economica e dei loro rischi commerciali e, dall’altro, a correggere gli effetti negativi scaturenti dal fatto che gli stessi quantitativi di prodotti vengono ripetutamente conteggiati a diversi stadi del circuito commerciale.

3. Regolamento n. 1637/98

9
Il regolamento (CE) del Consiglio 20 luglio 1998, n. 1637, che modifica il regolamento (CEE) n. 404/93 (GU L 210, pag. 28), modificava, con effetto dal 1º gennaio 1999, l’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana sostituendo, segnatamente, gli artt. 16‑20 del titolo IV del regolamento n. 404/93 con nuove disposizioni.

10
L’art. 16 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, così recitava:

«(...)

Ai fini [delle disposizioni di cui al titolo IV del regolamento n. 404/93], si intende per:

1)      “importazioni tradizionali dai paesi ACP” le importazioni nella Comunità di banane originarie degli Stati elencati nell’allegato, limitatamente ad un volume annuo di 857 700 tonnellate (peso netto); tali banane sono denominate “banane ACP tradizionali”;

2)      “importazioni non tradizionali dai paesi ACP” le importazioni nella Comunità di banane originarie degli Stati ACP, i quali non rientrano nella definizione di cui al punto 1); tali banane sono denominate “banane ACP non tradizionali”;

3)      “importazioni dagli Stati terzi non ACP” le banane importate nella Comunità, originarie di Stati terzi diversi dagli Stati ACP; tali banane sono denominate “banane di Stati terzi”».

11
Riguardo alla ripartizione dei contingenti tariffari per le banane di Stati terzi e le banane ACP non tradizionali, l’art. 18, n. 4, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, così prevedeva:

«Qualora non fosse realisticamente possibile addivenire ad un accordo con tutte le parti aderenti all’OMC che hanno un interesse sostanziale nella fornitura di banane, la Commissione è autorizzata a procedere alla ripartizione dei contingenti tariffari di cui ai paragrafi 1 e 2, nonché del quantitativo ACP tradizionale, tra i soli Stati che hanno un interesse sostanziale in codesta fornitura, secondo la procedura [del comitato di gestione] prevista all’articolo 27».

12
L’art. 19 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, disponeva quanto segue:

«1. La gestione dei contingenti tariffari di cui all’articolo 18, paragrafi 1 e 2, e le importazioni di banane ACP tradizionali vengono espletate secondo un metodo che tiene conto dei flussi di scambi tradizionali (metodo noto come “tradizionali/nuovi arrivati”).

La Commissione adotta le modalità di applicazione del metodo suddetto secondo la procedura prevista all’articolo 27.

Se necessario, possono essere adottati altri metodi idonei.

2. Il metodo di gestione viene scelto, se del caso, in funzione del fabbisogno di approvvigionamento del mercato comunitario e dell’esigenza di salvaguardarne l’equilibrio».

13
L’art. 20 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, precisava quanto segue:

«La Commissione adotta le modalità di applicazione del presente titolo secondo la procedura prevista all’articolo 27. Tali modalità comprendono:

(…)

c)      le condizioni per il rilascio dei certificati d’importazione e la loro durata di validità;

(…)

e)      le misure occorrenti per adempiere gli obblighi derivanti dagli accordi conclusi dalla Comunità conformemente all’articolo 228 del trattato».

4. Regolamento n. 2362/98

14
Il 28 ottobre 1998 la Commissione adottava il regolamento (CE) n. 2362/98, recante modalità d’applicazione del regolamento (CEE) n. 404/93 con riguardo al regime d’importazione delle banane nella Comunità (GU L 293, pag. 32). Il detto regolamento è entrato in vigore il 1º gennaio 1999. Il regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98 e così completato dalle modalità di applicazione definite dal regolamento n. 2362/98, è per convenzione parimenti indicato nel prosieguo quale «regime del 1999».

15
Ai termini dell’art. 1, ultimo comma, e dell’allegato al regolamento n. 2362/98, i contingenti tariffari (2 200 000 tonnellate e 353 000 tonnellate) di cui all’art. 18, nn. 1 e 2, del regolamento n. 404/93 erano ripartiti tra i principali Paesi fornitori come segue:

Ecuador: 26,17%

Costa Rica: 25,61%

Colombia: 23,03%

Panama: 15,76%

altri: 9,43%

16
Occorre sottolineare le seguenti differenze tra i regimi del 1993 e del 1999:

a)       il regime del 1999 non prevede più differenze a seconda delle funzioni adempiute dagli operatori;

b)      il regime del 1999 prende in considerazione i quantitativi di banane importate;

c)      la gestione dei certificati d’importazione, ai termini del regime del 1999, si effettua senza riferimento alle origini (ACP ovvero Paesi terzi) delle banane;

d)      i contingenti tariffari e la parte attribuita ai nuovi operatori sono stati aumentati dal regime del 1999.

17
L’art. 2 del regolamento n. 2362/98 prevedeva, segnatamente, che i contingenti tariffari e le banane ACP tradizionali, previsti rispettivamente dall’art. 18, nn. 1 e 2, nonché dall’art. 16 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, fossero aperti secondo la ripartizione seguente:

92% agli operatori tradizionali ai sensi dell’art. 3;

8% agli operatori nuovi arrivati ai sensi dell’art. 7.

18
Ai sensi dell’art. 4, n. 1, del regolamento n. 2362/98, ogni operatore tradizionale registrato in uno Stato membro poteva ottenere per ogni anno, per tutte le origini indicate nell’allegato I del regolamento medesimo, un quantitativo di riferimento unico, determinato in base ai quantitativi di banane effettivamente importati durante il periodo di riferimento. Ai sensi dell’art. 4, n. 2, del regolamento n. 2362/98, per le importazioni effettuate nel 1999, il periodo di riferimento era costituito dagli anni 1994, 1995 e 1996.

5. Regolamento n. 216/2001

19
Il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) 29 gennaio 2001, n. 216, che modifica il regolamento n. 404/93 (GU L 31, pag. 2).

20
L’art. 18 del regolamento n. 404/93, così modificato, prevede l’apertura di tre contingenti tariffari (A, B e C) per l’importazione di banane originarie di Paesi terzi, senza distinzione tra le origini.

21
Ai sensi dell’art. 19, n. 1, del regolamento n. 404/93, i certificati d’importazione di banane di Paesi terzi vengono rilasciati agli operatori secondo un metodo che tiene conto «dei flussi di scambi tradizionali (il cosiddetto metodo “tradizionali/nuovi arrivati”) e/o di altri metodi».

6. Regolamento n. 896/2001

22
Le modalità di applicazione del titolo IV del regolamento n. 404/93, così modificato, sono state definite dal regolamento (CE) della Commissione 7 maggio 2001, n. 896, recante modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 404/93 del Consiglio in ordine al regime di importazione delle banane nella Comunità (GU L 126, pag. 6). Le dette disposizioni sono entrate in vigore il 1º luglio 2001, ai sensi dell’art. 32 del regolamento n. 896/2001 (in prosieguo: il «regime del 2001»).

23
Il regolamento n. 896/2001 non prevede più la ripartizione dei contingenti tariffari «A» e «B» tra i Paesi fornitori.

24
Esso prevede, inoltre, che i certificati d’importazione siano rilasciati agli operatori tradizionali che abbiano importato banane di Stati terzi e/o banane ACP non tradizionali sulla base della media delle loro importazioni primarie nel periodo compreso tra il 1994 e il 1996. Del pari, per gli operatori tradizionali che abbiano importato banane ACP tradizionali, i certificati d’importazione sono loro attribuiti in base alla media delle loro importazioni primarie di banane ACP tradizionali realizzate nel corso del medesimo triennio.

7. Sintesi del contenzioso «banane» nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)

25
L’8 maggio 1996 veniva formato un gruppo speciale ai fini di esaminare le denunce dell’Ecuador, del Guatemala, dell’Honduras, del Messico e degli Stati Uniti d’America nei confronti della Comunità riguardo alla compatibilità del regime del 1993 con le norme dell’OMC (procedimento: Comunità europee – Regime applicabile all’importazione, alla vendita e alla distribuzione delle banane; WT/DS27; in prosieguo: i casi «Banane III»).

26
Il 22 maggio 1997 il gruppo speciale consegnava le proprie relazioni, segnatamente nel procedimento tra gli Stati Uniti d’America e la Comunità (WT/DS27/R/USA; in prosieguo: la «relazione del gruppo speciale 22 maggio 1997»), contestate dalle parti.

27
Il 25 settembre 1997 l’organo di composizione delle controversie (in prosieguo: l’«OCC») dell’OMC faceva propria la relazione dell’organo d’appello del 9 settembre 1997 (WT/DS27/AB/R; in prosieguo: la «relazione dell’Organo d’appello 9 settembre 1997») e le relazioni del gruppo speciale, come modificate dalla relazione dell’Organo d’appello (in prosieguo: la «decisione dell’OCC 25 settembre 1997»).

28
La relazione dell’Organo d’appello 9 settembre 1997 conclude, segnatamente:

«e)    (…) l’attribuzione, di concerto ovvero per designazione, di parti del contingente tariffario a taluni membri privi di interesse sostanziale alla fornitura di banane alle Comunità europee, ma non ad altri, è incompatibile con l’art. XIII, n. 1, del GATT del 1994;

f)       (…) le regole di riattribuzione del contingente tariffario prevista dall’Accordo‑quadro sulle banane sono incompatibili con l’art. XIII, n. 1, del GATT del 1994, e modifica l’affermazione del gruppo speciale, concludendo nel senso che le regole di riattribuzione del contingente tariffario previste dall’Accordo‑quadro sulle banane sono parimenti incompatibili con la parte introduttiva dell’art. XIII, n. 2, del GATT del 1994;

n)      (…) le regole [della Comunità] relative alle funzioni e il requisito [della Comunità] in materia di licenze d’esportazione [dell’Accordo‑quadro sulle banane] sono incompatibili con [l’art. I, n. 1,] del GATT del 1994;

u)       (…) l’attribuzione agli operatori della categoria B del 30% dei certificati che consentono l’importazione di banane di Paesi terzi e di banane ACP non tradizionali alle aliquote dei dazi dei contingenti è incompatibile con gli artt. II e XVII dell’[Accordo generale sul commercio dei servizi] (in prosieguo: il “GATS”);

v)       l’attribuzione agli impianti di maturazione di una certa quota dei certificati delle categorie A e B che consentono l’importazione di banane di Paesi terzi e di banane ACP non tradizionali alle aliquote dei dazi dei contingenti è incompatibile con l’art. XVII del GATS».

29
Ai termini del resoconto della riunione dell’OCC del 16 ottobre 1997 (documento WT/DSB/M/38 del 20 novembre 1997, pag. 3):

«Il rappresentante della Comunità europea ha reiterato la propria dichiarazione già esposta nella riunione dell’OCC il 25 settembre. In tale occasione, aveva sottolineato l’assoluta adesione della Comunità al memorandum d’accordo, ai suoi principi ed alle sue regole fondamentali. Ai sensi dell’art. 21, n. 3, del memorandum d’accordo, la Comunità era tenuta ad informare l’OCC quanto al proprio intento di eseguire le raccomandazioni del medesimo. Aveva confermato che la Comunità avrebbe integralmente rispettato i propri obblighi internazionali sotto tale profilo. Nel designare il regime vigente, gli obiettivi della Comunità erano stati il sostegno dei propri produttori di banane e l’adempimento dei loro obblighi internazionali, segnatamente gli impegni della nazione più favorita ai sensi dell’Accordo OMC e, riguardo ai Paesi ACP, ai sensi della Convenzione di Lomé. I detti obiettivi restavano invariati

La Comunità aveva avviato un procedimento inteso a consentirle di esaminare tutte le opzioni idonee a raggiungere il rispetto dei suoi obblighi. In considerazione del processo decisionale interno, non era in grado, in tale fase del procedimento, di prevederne ovvero di giudicarne anticipatamente i risultati. La Comunità intenderebbe richiamare l’attenzione dei membri sull’estrema complessità della materia. L’organo d’appello aveva riconosciuto che il compito amministrativo della Comunità era complesso, poiché essa sarebbe stata tenuta al rispetto dei requisiti di cui alla Convenzione di Lomé elaborando, al contempo, un mercato unico delle banane. È per questa ragione che la Comunità, pur impegnandosi ad agire celermente, necessiterebbe di un termine ragionevole per esaminare tutte le opzioni che consentano di adempiere i propri obblighi internazionali».

30
Il 7 gennaio 1998, ai sensi dell’arbitrato previsto dall’art. 21, n. 3, lett. c), del memorandum d’accordo sulle regole e sulle procedure che disciplinano la composizione delle controversie dell’OMC (in prosieguo: il «MRD»), un arbitro concedeva alla Comunità un «periodo di tempo ragionevole», intercorrente dal 25 settembre 1997 al 1º gennaio 1999, per l’esecuzione della decisione dell’OCC 25 settembre 1997 [documento WT/DS27/15: Arbitrato ai sensi dell’art. 21, n. 3, lett. c), del MRD, decisione dell’arbitro 7 gennaio 1998, punto 20].

31
Ritenendo che, con l’adozione del regime del 1999, la Comunità non avesse completamente eliminato le incompatibilità con i propri obblighi derivanti dal GATT del 1994 nonché dal GATS – incompatibilità rilevate nella decisione dell’OCC 25 settembre 1997 – in data 14 gennaio 1999 gli Stati Uniti d’America chiedevano all’OCC, conformemente all’art. 22 del MRD, l’autorizzazione a sospendere, nei confronti della Comunità e degli Stati membri, l’applicazione di privilegi tariffari e di obblighi connessi ai sensi del GATT del 1994. Gli Stati Uniti d’America valutavano l’importo della detta sospensione in 520 milioni di dollari americani (USD). Poiché la Comunità ha contestato l’entità della sospensione proposta dagli Stati Uniti d’America, la questione è stata sottoposta ad arbitrato ai sensi dell’art. 22.6 del MRD.

32
Ciò premesso, in data 9 aprile 1999 gli arbitri determinavano il livello dell’annullamento ovvero della riduzione dei privilegi subita dagli Stati Uniti d’America nel caso Banane III in 191,4 milioni di USD l’anno (decisione WT/DS27/ARB, in prosieguo: la «decisione arbitrale del 9 aprile 1999»). Conseguentemente, gli arbitri decidevano che la sospensione, da parte degli Stati Uniti d’America, dell’applicazione alla Comunità e agli Stati membri di privilegi tariffari e di obblighi connessi ai sensi del GATT del 1994 riguardante scambi per un importo annuale massimo pari a 191,4 milioni di USD sarebbe compatibile con l’art. 22, n. 4, del MRD.

33
Il 6 aprile 1999, peraltro, nell’ambito di un procedimento parallelo ai sensi dell’art. 21, n. 5, del MRD, il gruppo speciale adito con una denuncia dell’Ecuador relativa all’esecuzione, da parte della Comunità, di raccomandazioni formulate dall’OCC nel caso Banane III presentava la propria relazione alle parti della controversia (relazione WT/DS27/RW/ECU; in prosieguo: la «relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999»). Ai termini della sua analisi, il gruppo speciale rilevava che il regime del 1999 era, sotto molteplici profili, incompatibile con talune disposizioni degli accordi dell’OMC. Il gruppo speciale concludeva, segnatamente:

che il limite di 857 700 tonnellate, fissato per le importazioni di banane ACP tradizionali nell’ambito del regime del 1999, «è incompatibile con i nn. 1 e 2 dell’art. XIII del GATT [del 1994]»;

che le quote specifiche per paese concesse all’Ecuador ed agli altri fornitori aventi un interesse sostanziale non sono compatibili con le disposizioni di cui all’art. XIII, n. 2, del GATT;

che il quantitativo di 857 700 tonnellate per le importazioni tradizionali ACP ammesse in esenzione da dazi può ritenersi imposto dalla Convenzione di Lomé, ma «che non è ragionevole, da parte delle Comunità europee, concludere che il Protocollo n. 5 allegato alla Convenzione di Lomé imponga una concessione collettiva per i fornitori tradizionali ACP»; che, conseguentemente, la concessione di esenzioni da dazi d’importazione oltre la miglior cifra di esportazioni precedentemente al 1991 di un singolo Stato ACP non è imposta dal Protocollo n. 5 allegato alla Convenzione di Lomé e che, conseguentemente, non ricorrendo alcun altro requisito applicabile della Convenzione di Lomé, i detti volumi in eccesso non sono ricompresi nella deroga secondo Lomé e il privilegio nei loro confronti è pertanto incompatibile con l’art. I, n. 1, del GATT del 1994 (relazione WT/DS27/RW/ECU, punto 6.161).

34
Quanto al GATS, il gruppo speciale stabiliva, in primo luogo, che, nel contesto del regime del 1999, «i fornitori ecuadoriani di servizi di commercio all’ingrosso sono assoggettati, de facto, ad un trattamento meno favorevole riguardo al rilascio di certificati rispetto al trattamento riservato ai fornitori comunitari ovvero ACP dei medesimi servizi, in violazione degli artt. II e XVII GATS, e, in secondo luogo, che i criteri di acquisizione dello status di “nuovo arrivato” nell’ambito delle procedure di licenze riviste imponevano, de facto, ai fornitori di servizi ecuadoriani condizioni di concorrenza meno favorevoli rispetto a quelle riservate ai fornitori di servizi analoghi CE, in violazione dell’art. XVII del GATS» (relazione WT/DS27/RW/ECU, punto 6.163).

35
Poiché la Comunità non proponeva appello, la detta relazione del gruppo speciale veniva adottata il 6 maggio 1999 (processo verbale della riunione dell’OCC del 6 maggio 1999, WT/DSB/M/61 del 30 giugno 1999).

36
In data 8 novembre 1999 l’Ecuador chiedeva all’OCC, conformemente all’art. 22 del MRD, di autorizzare la sospensione, nei confronti della Comunità e di tredici dei suoi Stati membri, dell’applicazione di concessioni tariffarie e di obbligazioni connesse riguardo all’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«Accordo TRIPS»), del GATS e del GATT del 1994, per un importo di 450 milioni di USD.

37
Avendo la Comunità contestato l’entità della sospensione proposta dall’Ecuador, in data 19 novembre 1999 la questione veniva sottoposta ad arbitrato, ai sensi dell’art. 22.6 del MRD.

38
Con decisione comunicata in data 24 marzo 2000, gli arbitri determinavano l’entità dell’annullamento ovvero della riduzione dei privilegi subita dall’Ecuador in USD 201,6 milioni l’anno e autorizzavano il detto Stato a sospendere le concessioni ai sensi del GATT del 1994, del GATS e dell’Accordo TRIPS, a concorrenza del detto importo.

39
L’11 aprile 2001 gli Stati Uniti d’America e la Comunità concludevano un memorandum d’accordo sulle banane, con il quale «definivano gli strumenti che possono consentire di risolvere l’annosa controversia riguardo il regime d’importazione delle banane» nella Comunità. Il detto memorandum prevede che la Comunità s’impegni ad «attuare un regime unicamente tariffario per le importazioni di banane entro e non oltre il 1º gennaio 2006». Il detto memorandum d’accordo definisce le misure che la Comunità s’impegna a prendere nel corso del periodo interlocutorio sino al 1º gennaio 2006. Da parte loro, gli Stati Uniti d’America assumevano l’impegno di sospendere provvisoriamente l’imposizione di dazi maggiorati che erano autorizzati a prelevare sulle importazioni comunitarie secondo la decisione arbitrale 9 aprile 1999 (documento WT/DS27/58). Gli Stati Uniti precisavano, tuttavia, con comunicazione 26 giugno 2001 all’OCC, che il detto memorandum d’accordo «non costitui[va], di per sé, una soluzione concertata di comune accordo conformemente all’art. [3, n. 6, del MRD] [e che], inoltre, in considerazione delle misure che tutte le parti devono ancora prendere, sarebbe anche prematuro sopprimere tale punto dall’ordine del giorno dell’OCC» (documento WT/DS27/59 – G/C/W/270 documento del 2 luglio 2001).


Procedimento

40
Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 gennaio 2001, la Chiquita Brands International, la Chiquita Banana Co. e la Chiquita Italia, tre società appartenenti al gruppo Chiquita (in prosieguo: la «ricorrente»), uno dei maggiori produttori e distributori di banane esistenti, presentavano congiuntamente il presente ricorso.

41
Con lettera 29 giugno 2001, successiva al deposito da parte della Commissione del proprio controricorso, la ricorrente chiedeva al Tribunale, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, di invitare le parti:

a concentrare le loro osservazioni sul principio di responsabilità della Comunità (sussistenza di un illecito, di un danno e di un nesso causale tra i detti elementi) al fine di riservare la questione della valutazione dell’importo preciso del danno dedotto ad una ulteriore fase del procedimento, e

a riservare la produzione di prove sulla quantificazione del danno ad una ulteriore fase del procedimento.

42
Con lettera 13 luglio 2001, la Commissione si allineava a tale proposta, sottolineando peraltro di voler insistere sulle proprie contestazioni relative tanto alla ricevibilità quanto alla fondatezza del ricorso.

43
Il 25 settembre 2001 il Tribunale decideva, ai termini dell’art. 64, n. 1, del proprio regolamento di procedura, di invitare le parti a concentrare i rispettivi argomenti, nella replica e nella controreplica, sulla ricevibilità del ricorso e sulla responsabilità della Comunità.

44
Su richiesta della Commissione, il Tribunale, con lettera 25 ottobre 2001, precisava che il procedimento sarebbe stato in tal modo diviso in due parti nei seguenti termini: «Il Tribunale deciderà, in primo luogo, in ordine alla ricevibilità dell’azione in base alla quale è stato chiamato a conoscere del ricorso e i relativi allegati e, subordinatamente a tale punto, deciderà in ordine alla questione della responsabilità, nella parte in cui essa riguarda le questioni della sussistenza di un preteso atto o comportamento illegittimo da parte della convenuta». In tal modo, con la presente decisione, il Tribunale statuisce in ordine alla ricevibilità del ricorso nonché sulla questione dell’accertamento dell’esistenza, nella specie, di un atto o di un comportamento illegittimo della Comunità.

45
Con lettera 5 febbraio 2003 la Commissione chiedeva la sospensione del presente procedimento sino alla sentenza della Corte conclusiva della causa Léon van Parys (C‑377/02). Il Tribunale non accoglieva tale richiesta.

46
In forza dell’art. 14 del regolamento di procedura e su proposta della Quinta Sezione, il Tribunale decideva, sentite le parti ai sensi dell’art. 51 del regolamento medesimo, di rinviare la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

47
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione ampliata) decideva di passare alla fase orale del procedimento.

48
All’udienza del 12 febbraio 2004 venivano sentite le difese orali e le risposte delle parti ai quesiti del Tribunale.


Conclusioni delle parti

49
La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

condannare la Comunità al risarcimento del danno derivante dall’applicazione, nei suoi confronti, del regolamento n. 2362/98, provvisoriamente quantificato in un importo pari a 564,1 milioni di euro, oltre interessi al tasso annuale dell’8%;

condannare la Commissione alle spese.

50
La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso irricevibile o, in subordine, respingerlo in quanto infondato;

condannare la ricorrente alle spese.


Sulla ricevibilità

1. Argomenti delle parti

51
Senza sollevare eccezione d’irricevibilità ai sensi dell’art. 114 del regolamento di procedura, la Commissione ritiene che il ricorso sia irricevibile. Essa deduce, sostanzialmente, che il ricorso non è conforme all’art. 44, n. 1, lett. c) e lett. e), del regolamento di procedura, ai sensi del quale il ricorso deve contenere, segnatamente, «l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti» nonché, «se del caso, le offerte di prova».

52
A parere dell’istituzione, infatti, il ricorso non soddisfa i requisiti del regolamento di procedura secondo i quali un ricorso inteso al risarcimento del danno causato da un’istituzione comunitaria deve contenere elementi che consentano di individuare il comportamento che il ricorrente contesta all’istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che sussista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché il carattere e l’entità di tale danno (sentenza del Tribunale 10 luglio 1990, causa T‑64/89, Automec/Commissione, Racc. pag. II‑367, punto 73). Tale irregolarità sarebbe tanto più grave dal momento che la ricorrente chiede il risarcimento del lucro cessante, danno che, per sua natura, è assoggettato ad esigenze probatorie particolarmente rigide (sentenze della Corte 14 luglio 1967, cause riunite 5/66, 7/66 e 13/66‑24/66, Kampffmeyer e a./Commissione CEE, Racc. pag. 317, e 14 maggio 1975, causa 74/74, CNTA/Commissione, Racc. pag. 533). Secondo la Commissione, la ricorrente chiede una somma estremamente elevata, mentre si limita a fornire, a titolo di giustificazione, solo laconiche indicazioni. I 543,6 milioni di euro di lucro cessante addotti si fonderebbero sulla differenza tra le vendite effettivamente realizzate dalla ricorrente e quelle che avrebbe potuto realizzare in assenza del regolamento n. 2362/98.

53
La Commissione, peraltro, ritiene che la ricorrente non abbia presentato neanche un principio di prova del danno dedotto. A tal riguardo, la fattispecie oggetto del presente ricorso sarebbe distinta da quella oggetto della causa sfociata nella sentenza del Tribunale 1º febbraio 2001, T. Port/Commissione (causa T‑1/99, Racc. pag. II‑465), ove la ricorrente aveva almeno comunicato cifre precise riguardo al prezzo dei certificati d’importazione acquisiti ed agli interessi bancari corrisposti.

54
A tal riguardo, la Commissione ricorda che, come affermato al punto 37 della sentenza T. Port/Commissione, cit., l’indicazione «dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a supporto». Inoltre, ai sensi dell’art. 44, n. 1, lett. e), e dell’art. 48, n. 1, del regolamento di procedura, tutti i mezzi di prova a sostegno della domanda avrebbero dovuto essere allegati al ricorso.

55
Nella specie, il ricorso non conterrebbe alcuna prova dell’esistenza e della causa del danno dedotto, ancorché la ricorrente proponga, al punto 146 del ricorso, di produrre più ampie informazioni «in una fase successiva del presente procedimento». Considerato che da tale dichiarazione emerge implicitamente che la ricorrente si trova già in possesso degli elementi di prova in questione, nessun valido motivo può giustificare il ritardo nella loro deduzione, ai sensi dell’art. 48, n. 1, del regolamento di procedura.

56
La Commissione ritiene le dette lacune ancor più flagranti dal momento che la ricorrente è la prima impresa di produzione e distribuzione di banane a livello mondiale e dispone di mezzi considerevoli. Il danno dedotto sarebbe stato già invocato a sostegno di un’azione proposta dagli Stati Uniti d’America dinanzi agli organi dell’OMC, nell’ambito della quale la ricorrente, senza peraltro essere parte nel detto procedimento, avrebbe comunicato informazioni ulteriori rispetto a quelle fornite nell’ambito del presente ricorso.

57
Secondo la Commissione, la ricorrente non può sanare le irregolarità che viziano il ricorso richiamandosi alle decisioni dell’OMC, vale a dire alla decisione arbitrale 9 aprile 1999 ed alla relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999. Tali decisioni, oltre a non essere vincolanti, non sarebbero pertinenti alla regolarità del ricorso.

58
Secondo la ricorrente, il ricorso è ricevibile. A suo avviso, esso soddisfa i criteri fissati nelle citate sentenze Automec/Commissione (punto 73) e T. Port/Commissione (punto 37).

59
In primo luogo, la ricorrente dichiara di aver chiaramente individuato i due aspetti del comportamento connesso al regolamento n. 2362/98, di cui deduce l’illegittimità. Si tratterebbe, da un canto, del sistema di attribuzione dei certificati d’importazione di banane e, dall’altro, della ripartizione in contingenti nazionali dei contingenti tariffari per le banane latino-americane.

60
In secondo luogo, la ricorrente ricorda di essersi parimenti espressa, nel ricorso, riguardo al nesso causale tra la detta illegittimità e il danno subito.

61
In terzo luogo, la ricorrente ricorda di aver specificato, al punto 155 del ricorso, i vari profili di danno di cui chiede il risarcimento. Per il periodo intercorrente dal 1º gennaio 1999 al 31 dicembre 2000, si tratta di un lucro cessante pari a 543,6 milioni di euro e di spese straordinarie per 20,5 milioni di euro.

62
La ricorrente, inoltre, contesta la tesi della Commissione secondo cui le domande di risarcimento del lucro cessante sembrerebbero essere assoggettate a criteri di ricevibilità più rigidi rispetto a quelli summenzionati.

63
In considerazione delle numerose controversie sorte nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane, la Commissione non potrebbe affermare di non essere in grado di comprendere le indicazioni contenute nel ricorso riguardo al danno dedotto.

2. Giudizio del Tribunale

Sulla conformità del ricorso con l’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura

64
In forza dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, ogni ricorso deve contenere l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di predisporre la propria difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a sostegno. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia considerato ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (ordinanza del Tribunale 28 aprile 1993, causa T‑85/92, De Hoe/Commissione, Racc. pag. II‑523, punto 20, e sentenza del Tribunale 29 gennaio 1998, causa T‑113/96, Dubois et Fils/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑125, punto 29).

65
Per essere conforme a tali requisiti, un ricorso inteso al risarcimento dei danni che si ritengano causati da un’istituzione comunitaria deve contenere elementi che consentano di individuare il comportamento che il ricorrente addebita all’istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che esista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché il carattere e l’entità di tale danno (sentenza Dubois et Fils/Consiglio e Commissione, cit., punto 30, e sentenza del Tribunale 2 luglio 2003, causa T‑99/98, Hameico Stuttgart e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑2195, punto 26).

66
Per contro, una domanda intesa ad ottenere un risarcimento generico manca della precisione necessaria e deve, di conseguenza, essere considerata irricevibile (sentenza della Corte 2 dicembre 1971, causa 5/71, Zuckerfabrik Schoeppenstedt/Consiglio, Racc. pag. 975, punto 9; sentenza Automec/Commissione, cit., punto 73, e sentenza del Tribunale 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio, Racc. pag. II‑2193, punto 181).

67
Nella specie, la ricorrente ha esposto, ai punti 142‑154 del ricorso, la natura dei vari profili del danno in ordine ai quali chiede il risarcimento, nonché il metodo utilizzato per determinarne l’importo. Essa ha indicato, in modo sufficientemente dettagliato, le circostanze sulle quali si fonda per acclarare gli aspetti di effettività e di certezza del danno dedotto, nonché la sua entità.

68
Riguardo agli aspetti di effettività e di certezza del danno, la ricorrente ha ricordato, infatti, che il regime del 1999 ha profondamente inciso sulla sua attività e sui suoi risultati. Essa ha dedotto, segnatamente, che tale danno si riflette in modo evidente sulla sua capitalizzazione che, a seguito dell’adozione del regime del 1993, è diminuita di oltre il 96%. Tra il 1999 e il 2000, secondo la ricorrente, la sua capitalizzazione è passata da 625 milioni a 79,2 milioni di USD, corrispondente ad una riduzione dell’87%. Poiché la Chiquita Brands International Inc. è una società quotata in Borsa, i detti elementi costituiscono informazioni pubbliche che godono di un’ampia diffusione, segnatamente nella stampa.

69
Riguardo alla portata del detto danno e alla quantificazione del risarcimento richiesto, la ricorrente ha distinto il lucro cessante subito e i costi sostenuti. Quanto al lucro cessante, la ricorrente si è riferita al metodo seguito dagli arbitri dell’OMC per quantificare il danno subito dagli Stati Uniti d’America e dall’Ecuador a causa dell’incompatibilità del regime del 1993 con le regole dell’OMC, incompatibilità che riguarderebbe, del pari, il regime del 1999. Prendendo le mosse da tali elementi e dal fatturato realizzato nel corso degli anni 1999 e 2000, la ricorrente ha effettuato un calcolo al fine di determinare il fatturato che avrebbe conseguito se il regime del 1999 non fosse stato incompatibile con il diritto dell’OMC. Essa deduce che il detto lucro cessante è pari alla differenza tra l’utile che avrebbe potuto realizzare da tale fatturato ipotetico e l’utile effettivamente conseguito nel 1999 e nel 2000. Secondo tale calcolo, la ricorrente valuta il detto lucro cessante in 543,6 milioni di euro. Riguardo alle menzionate spese straordinarie, la ricorrente ha sostenuto che si tratta dei costi relativi ai tagli del personale nel 1999, alla sovraccapacità dei trasporti nel 1999 e nel 2000, nonché alle spese di giudizio. La ricorrente valuta i detti costi in 20,5 milioni di euro.

70
L’esposizione del carattere e dell’entità del danno dedotto compiuta dalla ricorrente nel ricorso soddisfarebbe quindi i requisiti di cui all’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura. Essa consente alla Commissione di difendersi ed al Tribunale di operare il suo sindacato.

Sulla conformità del ricorso con l’art. 44, n. 1, lett. e), del regolamento di procedura

71
Dal tenore letterale dell’art. 44, n. 1, lett. e), del regolamento di procedura, più specificamente dall’espressione «se del caso», emerge che il ricorso non deve necessariamente contenere le offerte di prova. L’unica sanzione in materia di offerte di prova consiste nel rigetto per tardività, qualora vengano presentate, per la prima volta e senza giustificazioni, in fase di replica ovvero di controreplica (art. 48, n. 1, del regolamento di procedura).

72
Ai sensi dell’art. 43, n. 4, del regolamento di procedura, «[a]d ogni atto processuale dev’essere allegato un fascicolo degli atti e documenti invocati a sostegno, corredato di un indice di tali atti e documenti». Secondo la giurisprudenza, l’inosservanza di tale obbligo può comportare l’irricevibilità del ricorso se essa può ledere le altre parti nella redazione dei loro argomenti (sentenza del Tribunale 5 marzo 2003, causa T‑293/01, Ineichen/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-83 e II‑441, punti 29 e segg.).

73
Nella specie, deve necessariamente rilevarsi che la Commissione ha presentato un controricorso particolarmente dettagliato, ciò che consente di ritenere che non è stata affatto lesa dalla mancata comunicazione di atti allegati al ricorso.

74
Le censure della Commissione riguardo alle prove dell’esistenza del danno rientrano, pertanto, nella valutazione del merito della controversia e non della ricevibilità (v., in tal senso, sentenza Hameico Stuttgart e a./Consiglio e Commissione, cit., punto 32).

75
Il ricorso, pertanto, è ricevibile.


Sul merito

76
Secondo consolidata giurisprudenza, la responsabilità extracontrattuale della Comunità ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE è subordinata alla coesistenza di un insieme di requisiti, vale a dire l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra tale comportamento e il danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; sentenze del Tribunale 11 luglio 1996, causa T‑175/94, International Procurement Services/Commissione, Racc. pag. II‑729, punto 44; 16 ottobre 1996, causa T‑336/94, Efisol/Commissione, Racc. pag. II‑1343, punto 30, e 11 luglio 1997, causa T‑267/94, Oleifici Italiani/Commissione, Racc. pag. II‑1239, punto 20). Quando uno di tali requisiti non è soddisfatto, il ricorso deve essere interamente respinto senza che sia necessario esaminare gli altri presupposti della responsabilità suddetta (sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C‑146/91, KYDEP/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑4199, punti 19 e 81; sentenza del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T‑170/00, Förde‑Reederei/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑515, punto 37).

77
Quanto all’esame della domanda risarcitoria alla luce del primo dei detti requisiti, vale a dire quello relativo all’esistenza di un comportamento illegittimo, deve ricordarsi che la giurisprudenza richiede che sia acclarata una violazione sufficientemente caratterizzata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (sentenza della Corte 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I‑5291, punto 42). Quanto al requisito secondo cui la violazione dev’essere sufficientemente caratterizzata, il criterio decisivo per ritenerlo soddisfatto è quello della violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione comunitaria in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Quando tale istituzione dispone solo di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata (sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑198/95, T‑171/96, T‑230/97, T‑174/98 e T‑225/99, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, Racc. pag. II‑1975, punto 134; sentenza del Tribunale 10 febbraio 2004, cause riunite T‑64/01 e T‑65/01, Afrikanische Frucht-Compagnie/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑521, punto 71).

1. Esposizione sommaria dei motivi

78
La ricorrente deduce che la Commissione, adottando e mantenendo in vigore le disposizioni del regolamento n. 2362/98 relative alla distribuzione di certificati d’importazione ed alla ripartizione dei contingenti tariffari tra taluni Paesi dell’America latina, ha commesso varie violazioni caratterizzate di norme giuridiche preordinate alla tutela dei singoli ovvero loro conferenti diritti tali da far sorgere la responsabilità della Comunità ex art. 235 CE.

79
Riguardo alla distribuzione dei certificati d’importazione per le banane originarie di Paesi terzi, la ricorrente deduce che il regime del 1993 ha istituito un meccanismo destinato a indebolire la posizione concorrenziale delle grandi imprese che, come la ricorrente, sono integrate verticalmente e specializzate nel commercio di banane dell’America latina. Il regime del 1993, infatti, avrebbe attribuito i detti certificati ad alcuni operatori la cui attività non consisteva nell’importazione di banane di Paesi terzi. I commercianti di banane comunitarie o ACP avrebbero in tal modo disposto del 30% dei certificati destinati all’importazione di banane di Paesi terzi. Del pari, gli impianti di maturazione avrebbero ottenuto un certo quantitativo di certificati. In tal modo, il regime del 1993 avrebbe incentivato gli importatori di banane di Paesi terzi all’acquisto di certificati degli impianti di maturazione e dei commercianti di banane ACP e comunitarie. Gli importatori di banane di Paesi terzi sarebbero stati indotti a trasferire parte delle loro risorse ai loro concorrenti, con valore dei certificati di circa EUR 200 per tonnellata di banane. Inoltre, tale meccanismo avrebbe consentito ad alcuni operatori, sino a quel momento specializzati nel commercio di banane ACP, di importare direttamente banane dall’America latina e di entrare in concorrenza diretta con la ricorrente.

80
Le modifiche apportate al regime del 1999 avrebbero aggravato tale situazione. La ricorrente rileva che il regolamento n. 2362/98 non riservava più il 30% dei certificati agli importatori di banane ACP o comunitarie, ma funzionava in base al c.d. sistema «a gestione congiunta». Secondo tale sistema, i certificati d’importazione per i contingenti tariffari ACP e Stati terzi venivano gestiti congiuntamente. I certificati erano attribuiti agli operatori in funzione del quantitativo di banane effettivamente importato durante la vigenza del regime del 1993 (periodo intercorrente tra il 1994 e il 1996, detto «periodo di riferimento»), indipendentemente dalla loro origine. Tale sistema, oltre al fatto di fondarsi su un periodo di riferimento viziato dalle illegittimità acclarate nella decisione dell’OCC del 25 settembre 1997, avrebbe prodotto come conseguenza pratica un aumento della domanda di certificati d’importazione di Paesi terzi, proveniente dagli operatori tradizionalmente specializzati nel commercio di banane ACP o comunitarie. Correlativamente, il quantitativo di banane che la ricorrente poteva importare si sarebbe attestato su un livello inferiore al quantitativo di riferimento al quale poteva aspirare in considerazione del volume delle proprie precedenti importazioni.

81
Riguardo alla ripartizione dei contingenti tariffari in sotto-contingenti nazionali, la ricorrente sottolinea che la fonte principale delle sue importazioni è Panama. Essa rileva che il regime del 1993 riservava il 49,40% dei contingenti tariffari di Paesi terzi ai firmatari dell’accordo concluso il 28 e 29 marzo 1994 tra la Comunità e la Repubblica di Colombia, la Repubblica di Costa Rica, la Repubblica del Nicaragua e la Repubblica bolivariana del Venezuela (in prosieguo: l’«accordo quadro»), di cui Panama non faceva parte. A seguito della decisione dell’OCC 25 settembre 1997, in cui si constatava l’incompatibilità di tale ripartizione con l’art. XIII del GATT del 1994, il regime del 1999 avrebbe modificato la ripartizione del contingente tariffario in sotto-contingenti nazionali. La quota riservata a Panama sarebbe stata allora fissata al 15,76%. Secondo la ricorrente, tale distribuzione per Paesi è ingiustificata. Essa sarebbe, del pari, arbitraria, poiché Colombia e Costa Rica disporrebbero di quote superiori ai volumi di scambi ai quali potrebbero aspirare in assenza di restrizioni quantitative agli scambi. Indipendentemente dal motivo ispiratore della detta ripartizione per Paesi, la ricorrente sottolinea che tale ripartizione si fonda sugli scambi realizzati durante la vigenza del regime del 1993. Orbene, come rilevato nella relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999, la scelta di tale periodo di riferimento avrebbe avuto come conseguenza la perpetuazione delle discriminazioni derivanti dal regime del 1993, acclarate nella decisione dell’OCC 25 settembre 1997.

82
Ai fini di dimostrare l’illegittimità del comportamento della Commissione, la ricorrente deduce quattro motivi, che possono essere così riassunti. Il primo è relativo ad una violazione della normativa dell’OMC. Il secondo motivo attiene ad una violazione del mandato conferito dal Consiglio alla Commissione per l’attuazione del regolamento n. 1637/98. Il terzo motivo riguarda la violazione di principi generali di diritto comunitario. Il quarto motivo attiene ad una violazione dei principi di buona fede e del legittimo affidamento nel diritto internazionale.

2. Sul primo motivo, attinente ad una violazione della normativa dell’OMC

Sull’interpretazione della giurisprudenza Nakajima

Argomenti delle parti

83
La ricorrente deduce l’incompatibilità del regolamento n. 2362/98 con la normativa dell’OMC, incompatibilità che sarebbe stata già rilevata nella relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999. Essa afferma che, con il motivo in esame, non intende invocare direttamente una violazione delle norme dell’OMC. Poiché tali norme sono sprovviste di effetto diretto, un’azione di responsabilità extracontrattuale che si fondasse direttamente sulla violazione delle norme dell’OMC non potrebbe trovare accoglimento (sentenze del Tribunale 20 marzo 2001, causa T‑30/99, Bocchi Food Trade International/Commissione, Racc. pag. II‑943, punto 56; causa T‑18/99, Cordis/Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 51, e causa T‑52/99, T. Port/Commissione, Racc. pag. II‑981, punto 51).

84
La ricorrente precisa che il motivo in esame si fonda sulla consolidata giurisprudenza secondo cui i giudici comunitari possono controllare la legittimità di un atto di diritto derivato alla luce delle norme dell’OMC, tra cui il GATT, nel caso in cui «la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC» [sentenza della Corte 23 novembre 1999, causa C‑149/96, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I‑8395, punto 49; v., parimenti, sentenze della Corte 12 novembre 1998, causa C‑352/96, Italia/Consiglio, Racc. pag. I‑6937; in prosieguo: la «sentenza Italia/Consiglio (Riz)», punto 19, e 5 ottobre 1994, causa C‑280/93, Germania/Consiglio Racc. pag. I‑4973; in prosieguo: la «sentenza Germania/Consiglio (Banane)», punto 111]. Tale principio trarrebbe origine dalla sentenza della Corte 7 maggio 1991, causa C‑69/89, Nakajima/Consiglio (Racc. pag. I‑2069; in prosieguo: la «sentenza Nakajima»).

85
Al fine di interpretare il principio affermato nella sentenza Nakajima, come successivamente precisato e attuato dalla Corte e dal Tribunale (in prosieguo: la «giurisprudenza Nakajima»), la ricorrente esamina, in successione, la ragion d’essere, i requisiti di applicabilità, nonché la rilevanza della sentenza Portogallo/Consiglio, cit.

86
Riguardo, in primo luogo, alla ragion d’essere della giurisprudenza Nakajima, il principio ad essa sotteso, secondo la ricorrente, consiste nel consentire un controllo giurisdizionale alla luce delle norme dell’OMC quando l’organo legislativo della Comunità ha deciso di adempiere obblighi che discendono dalle norme medesime, la cui assenza di effetti diretti perde perciò ogni rilevanza. I giudici comunitari non controllerebbero la compatibilità degli atti della Comunità con le norme dell’OMC, bensì la valuterebbero riguardo alla decisione fondamentale di adempiere un obbligo sorto dalle norme dell’OMC. La ricorrente sottolinea infatti che «in tali ipotesi l’invocabilità delle norme GATT non è costruita sull’effetto diretto delle stesse, bensì riferita all’esistenza di un atto comunitario che abbia dato attuazione a tali norme o comunque espresso la volontà di applicarle» (conclusioni dell’avvocato generale Tesauro relative alla sentenza della Corte 16 giugno 1998, causa C‑53/96, Hermès , Racc. pag. I‑3603, I‑3606, nota 45).

87
La ricorrente ritiene, inoltre, che la giurisprudenza Nakajima vada riconsiderata, nella prospettiva generale dell’effetto diretto degli accordi internazionali nell’ordinamento giuridico comunitario, effetto del quale il GATT e gli accordi dell’OMC sarebbero privi (sentenze della Corte 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72‑24/72, International Fruit Company e a., Racc. pag. 1219, e Portogallo/Consiglio, cit.).

88
Tale situazione non escluderebbe qualsivoglia controllo giurisdizionale della compatibilità degli atti comunitari con le norme del GATT e degli accordi dell’OMC. La giurisprudenza Nakajima consentirebbe, al contrario, di assicurare un controllo giurisdizionale rigorosamente limitato, ma essenziale per la tutela del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva [conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza della Corte 9 ottobre 2001, causa C‑377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑7079, I‑7084; in prosieguo: la «sentenza Biotecnologie»)].

89
Riguardo, in secondo luogo, ai presupposti di applicabilità della giurisprudenza Nakajima, secondo la ricorrente essi sono due: in primo luogo, l’intenzione della Comunità di conformarvisi («intention to comply»); in secondo luogo, un «obbligo particolare» discendente dagli accordi dell’OMC.

90
La ricorrente precisa il primo di tali requisiti con la circostanza che, qualora risulti che la Comunità abbia inteso conformarsi alle norme dell’OMC, le preoccupazioni che hanno indotto la Corte a escludere l’effetto diretto degli accordi dell’OMC perderebbero qualsivoglia rilevanza. La Comunità non potrebbe mai essere costretta ad applicare le norme dell’OMC contro la propria volontà; la giurisprudenza Nakajima non metterebbe assolutamente in discussione tale principio.

91
L’obbligo discendente dalla normativa OMC al quale la Comunità intendeva conformarsi dovrebbe parimenti costituire un «obbligo particolare»; tale obbligo deve essere «sufficientemente chiaro e preciso» affinché il giudice possa applicarlo.

92
In base alle suesposte considerazioni, la ricorrente confuta quattro interpretazioni concorrenti volte a limitare i requisiti di applicabilità della giurisprudenza Nakajima.

93
Primo, sarebbe erroneo, sotto il profilo del diritto, restringere l’applicabilità della giurisprudenza Nakajima alle sole fattispecie in cui l’atto comunitario si riferisca esplicitamente ad una specifica disposizione del GATT ovvero di accordi dell’OMC. La ricorrente ritiene, infatti, che tale interpretazione confonda la fattispecie oggetto della sentenza Nakajima con quella oggetto della sentenza della Corte 22 giugno 1989, causa 70/87, Fediol/Commissione (Racc. pag. 1781), riguardante, effettivamente, l’ipotesi di un riferimento esplicito alle disposizioni del GATT ovvero di accordi dell’OMC. Il requisito di applicabilità della giurisprudenza Nakajima consisterebbe nell’«intento di dare esecuzione ad un obbligo particolare» discendente dal GATT ovvero da accordi dell’OMC. A tal riguardo, la ricorrente osserva che, nella sentenza Nakajima, l’atto comunitario de quo non si riferiva ad una specifica disposizione del GATT.

94
Certamente la giurisprudenza, nel richiamare la regola secondo cui il giudice è competente ad esercitare il controllo della legittimità dell’atto comunitario alla luce delle norme del GATT e degli accordi dell’OMC, nonostante essi non producano effetti diretti, citerebbe, talvolta, congiuntamente le menzionate sentenze Nakajima e Fediol/Commissione. Tuttavia, resterebbe il fatto che tali due sentenze riguardano ciascuna distinti requisiti di applicabilità della detta norma (conclusioni dell’avvocato generale Saggio relative alla sentenza Portogallo/Consiglio, cit., Racc. pag. I‑8397, nota 20).

95
La ricorrente aggiunge che il principio secondo cui l’applicabilità della giurisprudenza Nakajima possa essere subordinato all’esistenza di un riferimento specifico a disposizioni del GATT ovvero ad accordi dell’OMC sarebbe assurdo. Infatti, il sindacato giurisdizionale non potrebbe dipendere da un requisito formale lasciato alla mera volontà dell’autore dell’atto in questione. Tale requisito sarebbe incompatibile con lo Stato di diritto.

96
Secondo, sarebbe erroneo, sotto il profilo del diritto, limitare l’applicabilità della giurisprudenza Nakajima alle ipotesi in cui l’obbligo discendente dal GATT o dagli accordi dell’OMC sia formulato in modo positivo.

97
Anzitutto, siffatto requisito sarebbe artificioso, dal momento che qualsivoglia obbligo positivo può essere espresso nella forma di un divieto, come i principi di eguaglianza di trattamento e di non discriminazione. La ricorrente sottolinea, inoltre, che gli artt. II, n. 1, e XVII del GATS, nonché l’art. XIII del GATT del 1994, pertinenti nella specie, contengono, tutti, obblighi positivi. Tale limitazione, infine, sarebbe contraddetta dalla sentenza Nakajima, riguardante la compatibilità della normativa comunitaria antidumping con l’art. 1 dell’accordo concernente l’attuazione dell’art. VI del GATT, approvato, a nome della Comunità, con decisione del Consiglio 10 dicembre 1979, 80/271/CEE, relativa alla conclusione degli accordi multilaterali derivanti dai negoziati commerciali degli anni 1973/1979 (GU L 71, pag. 1; in prosieguo: il «codice antidumping del 1979»). Tale disposizione conterrebbe un obbligo negativo, che fa divieto alle parti contraenti di imporre diritti antidumping senza rispettare le norme del codice antidumping del 1999.

98
Terzo, sarebbe errato, sotto il profilo del diritto, limitare l’applicabilità della giurisprudenza Nakajima alle ipotesi in cui l’obbligo derivante dal GATT ovvero dagli accordi dell’OMC sia stato incorporato o trasposto nell’atto comunitario in oggetto. La ricorrente sottolinea, infatti, che tale interpretazione non si fonda su alcuna decisione della Corte o del Tribunale. Essa riconosce che, nel contesto dei procedimenti antidumping, il codice antidumping del 1979 era stato trasposto nella normativa comunitaria. Tuttavia, essa contesta che il detto elemento consenta di fondare l’assunto secondo il quale la giurisprudenza Nakajima sarebbe applicabile solo quando l’atto comunitario contestato costituisce trasposizione di una norma stabilita dal GATT o da accordi dell’OMC. Tale proposizione sarebbe contraddetta dalla sentenza Italia/Consiglio (Riz), nella quale la Corte ha applicato la giurisprudenza Nakajima nonostante la Comunità non avesse trasposto nella normativa comunitaria l’art. XXIV, n. 6, del GATT.

99
Quarto, sarebbe errato, sotto il profilo del diritto, limitare l’applicabilità della giurisprudenza Nakajima alle sole ipotesi in cui la conformità con le norme poste dal GATT o dagli accordi dell’OMC costituisca l’unico obiettivo che l’atto comunitario contestato è volto a conseguire. Dal momento che siffatte ipotesi sono rarissime, la ricorrente ritiene che tale interpretazione priverebbe la giurisprudenza Nakajima della propria sostanza. Essa ritiene tale giurisprudenza applicabile anche quando l’atto contestato persegue più obiettivi contraddittori, in quanto il solo limite imposto in tal caso al giudice consiste nel non infrangere l’equilibrio che il legislatore è giunto ad instaurare.

100
In terzo luogo, la ricorrente ritiene che la sua interpretazione della giurisprudenza Nakajima non sarebbe inficiata dalla sentenza Portogallo/Consiglio, cit. In tale sentenza, la Corte avrebbe rifiutato la tesi dell’effetto diretto degli accordi dell’OMC per una ragione di politica giudiziaria. La Corte avrebbe ritenuto che, accogliendo tale tesi, la Comunità sarebbe stata privata unilateralmente del «margine di manovra» nell’ambito dell’OMC, mentre nessuna altra parte contraente ha sottoscritto un impegno reciproco nei confronti della Comunità.

101
La ricorrente ritiene, infatti, che la giurisprudenza Nakajima sarebbe svuotata di contenuto se dovesse venire assoggettata al requisito di reciprocità evidenziato nella sentenza Portogallo/Consiglio, cit. Essa ricorda che la ragion d’essere della giurisprudenza Nakajima attiene proprio al fatto che essa riguarda, per definizione, esclusivamente ipotesi in cui la Comunità non dispone più di alcun «margine di manovra», avendo deciso di attuare norme poste dal GATT o da accordi dell’OMC.

102
Secondo la ricorrente, non c’è ragione di temere che un’interpretazione del genere dia adito ad una valanga di ricorsi ogni qual volta la Comunità non si adegui ad una decisione dell’OCC, poiché tali ricorsi restano assoggettati alla condizione che la Comunità abbia chiaramente deciso di attuare un obbligo derivante dagli accordi dell’OMC. Le circostanze in presenza delle quali il giudice comunitario potrebbe applicare la giurisprudenza Nakajima sarebbero pertanto limitate. In pratica, esse concernerebbero le sole ipotesi in cui il Consiglio abbia chiaramente deciso di attuare una decisione degli organi dell’OMC risolvendo una controversia, ove peraltro l’attuazione della decisione medesima nell’ordinamento giuridico comunitario si riveli in contrasto con l’obiettivo del Consiglio.

103
A tale riguardo, la ricorrente insiste sulle circostanze che contraddistinguono la presente controversia rispetto al «caso ormoni» (relazione dell’organo d’appello 16 gennaio 1998, WT/DS26/AB/R WT/DS48/AB/R, adottato il 13 febbraio 1998 dall’OCC), sottoposto all’OMC. In tale caso, la Comunità avrebbe chiaramente deciso di non emendare la propria normativa per conformarsi alle decisioni prese in esito al procedimento di composizione delle controversie dell’OMC. Non essendo pervenuta ad una soluzione negoziata quanto all’importo del risarcimento, la Comunità avrebbe allora deciso di esporsi a misure di ritorsione da parte della vincitrice, vale a dire gli Stati Uniti d’America. Nel caso in esame, la Comunità non avrebbe deciso di mantenere in vigore gli aspetti dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane dichiarati incompatibili con i suoi obblighi derivanti dagli accordi dell’OMC. Al contrario, essa avrebbe chiaramente indicato che intendeva conformarsi alle decisioni prese dagli organi di composizione delle controversie dell’OMC.

104
La Commissione respinge tale interpretazione della sentenza Nakajima. L’istituzione ricorda che, nonostante il carattere monista dell’ordinamento giuridico comunitario, la giurisprudenza ha costantemente respinto la tesi dell’effetto diretto degli accordi dell’OMC (citate sentenze International Fruit Company e a. e Portogallo/Consiglio). Una relazione dell’OCC potrebbe essere presa in considerazione al fine di verificare la compatibilità di una norma comunitaria con una norma dell’OMC solo se l’obbligo ad essa sotteso è dotato di effetto diretto (sentenza della Corte 14 ottobre 1999, causa C‑104/97 P, Atlanta/Comunità europea, Racc. pag. I‑6983, punto 20).

105
La Commissione contesta, del pari, l’interpretazione dei requisiti di applicabilità della giurisprudenza Nakajima esposti dalla ricorrente.

106
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il primo dei detti requisiti non sarebbe l’intento «di conformarsi» («to comply») , ma di «dare esecuzione» («to implement») ad un obbligo particolare (sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punto 49). Le dette espressioni non si equivarrebbero: «conformarsi» avrebbe una portata molto più ampia di «dare esecuzione». Sarebbe frequente che uno Stato membro o la Comunità intenda conformarsi a taluni obblighi, senza peraltro dar loro esecuzione.

107
La Commissione contesta l’interpretazione del secondo requisito relativo all’esigenza di un «obbligo particolare». Un obbligo si intenderebbe «particolare» in contrapposizione ad un obbligo «generale».

108
La Commissione sostiene che, a motivo del carattere restrittivo dei detti requisiti, gli esempi di applicazione della giurisprudenza Nakajima sono rari. Tali esempi riguarderebbero, in primo luogo, i ricorsi avverso norme antidumping (sentenza della Corte 10 marzo 1992, causa C‑188/88, NMB/Commissione, Racc. pag. I‑1689; sentenze del Tribunale 2 maggio 1995, cause riunite T‑163/94 e T‑165/94, NTN Corporation e Koyo Seiko/Consiglio, Racc. pag. II‑1381; 5 giugno 1996, causa T‑162/94, NMB France e a./Commissione, Racc. pag. II‑427, e 15 dicembre 1999, cause riunite T‑33/98 e T‑34/98, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. II‑3837, punto 105). L’unico esempio di applicazione della giurisprudenza Nakajima al di fuori dell’ambito antidumping sarebbe costituito dalla sentenza Italia/Consiglio (Riz). Tutti gli altri tentativi di applicazione della giurisprudenza Nakajima non sarebbero riusciti [sentenze della Corte 13 dicembre 2001, causa C‑317/99, Kloosterboer Rotterdam, Racc. pag. I‑9863, Germania/Consiglio (Banane) e Portogallo/Consiglio, cit.; sentenze Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., Cordis/Commissione, cit., e 20 marzo 2001, T. Port/Commissione, cit.].

109
Secondo la Commissione, l’applicazione della giurisprudenza Nakajima presuppone il ricorrere dei quattro requisiti di seguito esposti.

110
In primo luogo, l’«obbligo particolare» di cui trattasi deve costituire un obbligo positivo di agire in un modo determinato. I codici antidumping del GATT rappresenterebbero un esempio di tale tipo di obblighi. Una raccomandazione o una decisione dell’OCC non potrebbe costituire un «obbligo particolare», poiché si limiterebbe ad imporre l’obbligo generale di rendere l’atto conforme alle norme dell’OMC. Infatti, spetterebbe alla parte contraente in questione decidere le misure destinate a garantire la conformità del proprio sistema normativo con le dette norme.

111
Secondo, la giurisprudenza Nakajima sarebbe applicabile esclusivamente quando l’atto in questione comunitario incorpora o traspone nell’ordinamento giuridico comunitario un «obbligo particolare» assunto nel contesto dell’OMC. Tale proposizione discenderebbe direttamente dall’espressione «dare esecuzione».

112
Terzo, perché la giurisprudenza Nakajima sia applicabile occorrerebbe ancora che il legislatore comunitario non persegua molteplici obiettivi contraddittori.

113
Quarto, la giurisprudenza Nakajima richiederebbe, inoltre, che l’atto comunitario in questione si riferisca espressamente agli obblighi particolari sorti dal diritto dell’OMC cui esso intende dare esecuzione.

Giudizio del Tribunale

114
Tenuto conto della loro natura e della loro ratio, gli accordi OMC ed i relativi allegati non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie (sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punto 47). I detti testi non sono idonei a creare in capo ai singoli diritti che questi possano invocare direttamente dinanzi al giudice ai sensi del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza della Corte 14 dicembre 2000, cause riunite C‑300/98 e C‑392/98, Dior e a., Racc. pag. I‑11307, punto 44).

115
Solo nel caso in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni delle intese di cui agli allegati dell’Accordo OMC, spetta alla Corte e al Tribunale controllare la legittimità dell’atto comunitario controverso alla luce delle norme dell’OMC (v. sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punto 49).

116
La ricorrente si avvale esclusivamente della prima delle dette eccezioni. Essa asserisce che, nell’adottare il regolamento n. 1637/98, le cui misure di attuazione sono state fissate dal regolamento n. 2362/98, la Comunità ha inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC ai sensi della giurisprudenza successiva alla sentenza Nakajima.

117
La norma emersa dalla sentenza Nakajima è volta, a titolo eccezionale, a consentire al soggetto di diritto di dedurre, in via incidentale, la violazione da parte della Comunità o delle sue istituzioni delle norme del GATT o degli accordi dell’OMC. In quanto eccezione al principio secondo il quale i singoli non possono invocare direttamente le disposizioni degli accordi dell’OMC dinanzi al giudice comunitario, tale norma è soggetta ad interpretazione restrittiva.

118
A tale riguardo, si deve rilevare che, trattandosi di ricorsi presentati da singoli, la Corte ed il Tribunale non hanno applicato il principio emerso dalla sentenza Nakajima in un contesto diverso da quello del controllo, in via incidentale, della conformità dei regolamenti di base antidumping rispetto alle disposizioni dei codici antidumping del 1979 e del 1994 [accordo relativo all’attuazione dell’art. VI del GATT del 1994; decisione del Consiglio 22 dicembre 1994 relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU L 336, pag. 1), allegato 1 A].

119
La Corte e il Tribunale, infatti, hanno esaminato in più occasioni motivi relativi alla compatibilità dei regolamenti antidumping con le disposizioni dei codici antidumping (sentenze della Corte 13 febbraio 1992, causa C‑105/90, Goldstar/Consiglio, Racc. pag. I‑677, punti 31 e segg.; NMB/Commissione, cit., punto 23; sentenze NTN Corporation/Consiglio, cit., punto 65, e NMB France e a./Commissione, cit., punto 99) e, in due occasioni, hanno accolto i detti motivi (sentenza della Corte 9 gennaio 2003, causa C‑76/00 P, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. I‑79, punti 52 e segg., nonché sentenza del Tribunale 27 gennaio 2000, causa T‑256/97, BEUC/Commissione, Racc. pag. II‑101, punti 63 e segg.).

120
Tuttavia, al di fuori di tale contesto particolare del contenzioso antidumping, la Corte ed il Tribunale hanno respinto l’applicabilità della giurisprudenza scaturita dalla sentenza Nakajima. La Corte ed il Tribunale, in tal modo, hanno rifiutato di controllare la legittimità dell’atto comunitario alla luce di disposizioni degli accordi dell’OMC nel contesto di ricorsi presentati da singoli contestando taluni aspetti dell’organizzazione comune dei mercati delle banane (ordinanza della Corte 2 maggio 2001, causa C‑307/99, OGT Fruchthandelsgesellschaft, Racc. pag. I‑3159; citate sentenze Cordis/Commissione; Bocchi Food Trade International/Commissione, e 20 marzo 2001, T. Port/Commissione), nonché della normativa comunitaria relativa alla somministrazione agli animali da azienda di sostanze ad azione ormonale (sentenze del Tribunale 11 gennaio 2002, causa T‑174/00, Biret International/Consiglio, Racc. pag. II‑17, e 11 gennaio 2002, causa T‑210/00, Biret et Cie/Consiglio, Racc. pag. II‑47).

121
Orbene, deve sottolinearsi che, nel settore antidumping, gli accordi rilevanti del GATT e dell’OMC imponevano direttamente ad ognuna delle parti contraenti l’obbligo di adeguare la loro normativa nazionale al fine di riflettere il tenore dei detti accordi. Infatti, il codice antidumping del 1979, all’art. 16, n. 6, lett. a), intitolato «Legislazione nazionale», imponeva alle parti contraenti di «prendere tutte le misure necessarie, di carattere generale o particolare, per garantire, al più tardi alla data in cui detto accordo entrerà in vigore per ciò che lo riguarda, la conformità delle sue leggi, regolamenti e procedure amministrative con le disposizioni dell’accordo stesso, nella misura in cui si applicano alla parte in questione» (decisione 80/271). Il codice antidumping del 1994 prevede, all’art. 18, n. 4, disposizioni analoghe.

122
Al fine di adempiere i detti obblighi, il Consiglio ha modificato la normativa applicabile alle procedure antidumping. Infatti, successivamente all’adozione del codice antidumping del 1979, il Consiglio ha adottato il regolamento (CEE) 20 dicembre 1979, n. 3017/79, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU L 339, pag. 1). Segnatamente dal preambolo del detto regolamento (terzo e quarto ‘considerando’) emerge che è stato necessario modificare le norme comunitarie in tema di difesa contro le importazioni oggetto di dumping alla luce degli accordi in esito alle negoziazioni commerciali multilaterali concluse nel 1970 al termine del ciclo di Tokio, il Consiglio avendo ritenuto «essenziale che, al fine di mantenere l’equilibrio tra diritti e obblighi che detti accordi intendevano creare, la Comunità tenga conto della loro interpretazione da parte dei principali suoi partner commerciali quale risulta dalla legislazione o dalla prassi in vigore». Il preambolo del regolamento (CEE) del Consiglio 11 luglio 1988, n. 2423, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU L 209, pag. 1), la cui conformità con il codice antidumping del 1979 era stata contestata nella causa da cui è scaturita la sentenza Nakajima, conteneva disposizioni identiche e ricordava, del pari, che le norme comuni relative alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping «sono state istituite in conformità degli obblighi internazionali esistenti», in particolare quelli derivanti dall’articolo VI del GATT e dal codice antidumping del 1979.

123
Del pari, a seguito della conclusione del codice antidumping del 1979, la Comunità ha codificato le proprie norme interne relative alle procedure antidumping con la successiva adozione del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3283, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 349, pag. 1), quindi del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1). Il preambolo del regolamento n. 3283/94 indicava che, a seguito dei negoziati commerciali multilaterali conclusi nel 1994, «è opportuno modificare le norme comunitarie alla luce delle nuove disposizioni» (terzo ‘considerando’). Il preambolo precisa che, al fine di mantenere «l’equilibrio tra diritti e obblighi derivanti dall’accordo GATT», è «essenziale che (…) la Comunità tenga conto della loro interpretazione da parte dei suoi principali partner commerciali» (quarto ‘considerando’). Esso sottolinea, inoltre, che, «data la portata delle modifiche [risultanti dal codice antidumping del 1994] e ai fini dell’applicazione adeguata e trasparente delle nuove norme, è opportuno trasporre, per quanto possibile, le formulazioni del nuovo accordo nella legislazione comunitaria» (quinto ‘considerando’). Tali disposizioni sono state mantenute nel preambolo del regolamento n. 384/96, rilevante nella sentenza 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica/Consiglio, cit.

124
La ricorrente sostiene, correttamente, che l’applicabilità della giurisprudenza scaturita dalla sentenza Nakajima non è limitata, a priori, al settore dell’antidumping. Essa è applicabile in altri settori disciplinati da disposizioni degli accordi dell’OMC, qualora la natura ed il contenuto dei detti accordi, delle disposizioni comunitarie di cui si contesti la legittimità siano comparabili con quelli appena richiamati riguardo ai codici antidumping del GATT ed ai regolamenti che ne garantiscono la trasposizione nel diritto comunitario.

125
Deve pertanto ritenersi che il requisito di applicabilità della giurisprudenza Nakajima – secondo il quale l’atto comunitario la cui legittimità sia controversa deve essere stato adottato al fine di «dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC» – presuppone, in particolare, che tale atto garantisca, specificamente, la trasposizione nel diritto comunitario di prescrizioni derivanti dagli accordi dell’OMC.

126
Riguardo alla questione se, come asserito dalla ricorrente, la sentenza Italia/Consiglio (Riz) confuti la detta interpretazione della giurisprudenza Nakajima, deve ritenersi che ciò non accada. Infatti, nella causa da cui è scaturita tale sentenza veniva impugnato un regolamento comunitario di applicazione di accordi bilaterali conclusi con Stati terzi a seguito di trattative effettuate sulla base dell’art. XXIV, n. 6, del GATT. A termini di tali accordi, la Comunità si era impegnata ad aprire contingenti tariffari per il riso a beneficio dei detti Stati terzi. Il regolamento oggetto di tale causa [regolamento (CE) del Consiglio 24 luglio 1996, n. 1522, recante apertura e modalità di gestione di taluni contingenti tariffari per l’importazione di riso e rotture di riso (GU L 190, pag. 1)] aveva dunque come oggetto la trasposizione di norme derivanti da accordi bilaterali conclusi a seguito di trattative nell’ambito del GATT. Esso era volto, pertanto, a dare esecuzione ad un «obbligo specifico assunto nell’ambito del GATT» [sentenza Italia/Consiglio (Riz), punto 20].

127
Alla luce delle suesposte considerazioni, deve verificarsi se la giurisprudenza Nakajima sia applicabile nella specie.

Sull’applicabilità, nella specie, della giurisprudenza Nakajima

Argomenti delle parti

128
La ricorrente deduce che i requisiti di applicabilità della giurisprudenza sono soddisfatti nella specie e insiste, a tale riguardo, sulle differenze tra la presente causa e quella sfociata nella sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit.

129
In primo luogo, la ricorrente deduce che il requisito di applicabilità della giurisprudenza Nakajima, relativo all’«intento di conformarsi» alle norme dell’OMC, è soddisfatto. Essa ritiene che, quando, nel 1998, la Comunità ha deciso di modificare il regime del 1993, il suo intento fosse di conformarsi alle decisioni degli organi dell’OMC.

130
A titolo di prova dell’intento della Comunità, la ricorrente invoca i seguenti elementi.

131
Primo, essa deduce che il 16 ottobre 1997 la Comunità ha dichiarato, durante una riunione dell’OCC dell’OMC, di avere «integralmente rispettato i propri obblighi internazionali con riguardo a tale questione».

132
Secondo, la ricorrente invoca il preambolo del regolamento n. 1637/98 del Consiglio, che recita quanto segue:

«considerando che occorre procedere ad alcune modifiche del regime degli scambi con i paesi terzi istituito dal titolo IV del regolamento (CEE) n. 404/93;

considerando che è necessario rispettare gli impegni internazionali contratti dalla Comunità nel quadro dell’[OMC], nonché gli impegni assunti nei confronti delle parti cofirmatarie della quarta convenzione ACP-CE garantendo nel contempo la realizzazione degli obiettivi dell’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana».

133
Terzo, l’art. 20, lett. e), del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, imporrebbe alla Commissione di adottare «le misure occorrenti per adempiere gli obblighi derivanti dagli accordi conclusi dalla Comunità conformemente all’articolo 228 del trattato».

134
Quarto, la ricorrente rileva che gli accordi dell’OMC sono conclusi dalla Comunità in base all’art. 300 CE.

135
Quinto, la ricorrente ricorda che, nel suo memorandum esplicativo allegato alla proposta sfociata nell’adozione del regolamento n. 1637/98, la Commissione ha dichiarato:

«(1) L’[OCC] dell’[OMC] ha ritenuto con decisione che alcune disposizioni relative alle importazioni dell’Organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane violino le norme del GATT e del GATS. Le violazioni riguardano i certificati di importazione, la ripartizione attuale dei contingenti tariffari e altri aspetti dell’accordo-quadro relativo alle banane, ivi compreso il rilascio di certificati di importazione nei Paesi firmatari e taluni quantitativi fissati per le importazioni tradizionali provenienti da Stati ACP.

(2) Altri aspetti dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane non vengono messi in discussione. Essi comprendono l’entità dei contingenti tariffari e le aliquote dei contingenti e fuori contingente connessi ai nostri impegni nei confronti del GATT, la preferenza per le importazioni tradizionali e il trattamento tariffario preferenziale per le importazioni non tradizionali provenienti da paesi ACP, e il meccanismo di aiuto per i produttori comunitari.

(3) Si deve pertanto chiedere al Consiglio di modificare il regolamento (CEE) n. 404/93 per adeguarlo ai nostri impegni internazionali nell’ambito dell’OMC e della quarta convenzione di Lomé, mantenendo il sostegno ai coltivatori comunitari ed un’offerta adeguata sul mercato, nel rispetto degli interessi dei consumatori».

136
Sesto, la ricorrente si richiama all’ordinanza del Tribunale 15 settembre 1999, causa T‑11/99, Van Parys e a./Commissione (Racc. pag. II‑2653, punto 6), in cui si è affermato quanto segue:

«Dopo che l’[OCC] dell’[OMC] ebbe dichiarato incompatibili con le norme dell’OMC taluni aspetti del detto regime d’importazione delle banane nella Comunità, venivano emanati il regolamento [n. 1637/98], nonché il regolamento [n. 2362/98] in particolare al fine di eliminare tali incompatibilità».

137
Settimo, in data 10 novembre 1998 il sig. Santer, Presidente della Commissione, avrebbe scritto al Presidente Clinton, riguardo ai regolamenti n. 1637/98 e n. 2362/98:

«A seguito della decisione dell’Organo d’appello dell’OMC, l’Unione europea ha adottato provvedimenti per adeguare il proprio regime d’importazione alle norme dell’OMC entro il 1º gennaio 1999».

138
Ottavo, la ricorrente ricorda che il 27 gennaio 1999 il sig. L. Brittan, allora membro della Commissione incaricato della concorrenza, rispondendo al quesito scritto P-4069/1998 di Yvonne Sandberg-Fries, membro del Parlamento, (GU C 182, pag. 188), ha dichiarato quanto segue:

«La Comunità ha eseguito le raccomandazioni fatte, il 25 settembre 1997, dall’[OCC] dell’[OMC], relativamente al settore bananiero ed ha attuato i provvedimenti necessari per rendere il regime comunitario delle banane conforme alle disposizioni dell’OMC. Il 20 luglio 1998, il Consiglio ha adottato il regolamento [n. 1637/98]. Il 28 ottobre 1998, la Commissione ha adottato il regolamento [n. 2362/98]. Tali provvedimenti sono stati attuati all’interno di un periodo di tempo ben delimitato, che è scaduto il primo gennaio 1999».

139
Nono, la ricorrente ricorda le dichiarazioni della Commissione nel suo memorandum esplicativo del 10 novembre 1999 allegato ad una proposta di modifica del regolamento n. 404/93 [COM(1999) 582, del 10 novembre 1999], secondo le quali:

«In seguito ad una decisione adottata dall’[OCC] dell’[OMC] nel 1997, il Consiglio ha adottato, il 20 luglio 1998, il regolamento [n. 1637/98], per conformare gli elementi del regime d’importazione giudicati incompatibili con le norme dell’OMC ai nostri obblighi verso l’OMC, pur rispettando gli altri obiettivi della Comunità».

140
Decimo, la ricorrente fa valere che in una memoria del 10 novembre 1999, depositata dalla Comunità nel procedimento «Stati Uniti – Misure all’importazione di taluni prodotti provenienti dalle Comunità europee», che ha dato luogo alla relazione del gruppo speciale 17 luglio 2000, WT/DS165/R), la Comunità ha dichiarato:

«3. Il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento [n. 1637/98]. Il regolamento n. 1637/98 è entrato in vigore il 31 luglio 1998 ed era applicabile a partire dal 1º gennaio 1999. Il Consiglio, avvalendosi delle competenze delegate attribuitegli dalla Commissione europea, ha adottato il regolamento [n. 2362/98]. Esso è entrato in vigore il 1° novembre 1998 ed era applicabile in tutte le sue parti dal 1° gennaio 1999.

4. Le modifiche introdotte da tali regolamenti hanno creato un sistema di norme completamente nuovo, riguardante specificamente gli elementi del regime in materia di banane precedente che era stato ritenuto incompatibile con le norme dell’OMC nell’ambito del GATT e del GATS».

141
Undicesimo, la ricorrente ricorda che in un documento pubblico del 5 maggio 2000 relativo alla controversia in materia di banane, la Commissione ha dichiarato quanto segue:

«Pascal Lamy ha osservato che l’UE aveva un’unica politica in materia: quella di conformarsi alla decisione dell’OMC».

142
In secondo luogo, quanto alla condizione di applicabilità della giurisprudenza Nakajima relativa all’esistenza di un «obbligo particolare» assunto nell’ambito degli accordi dell’OMC, la ricorrente ritiene che anche questa sia soddisfatta. In seguito alle diverse procedure di composizione delle controversie nell’ambito dell’OMC, gli obblighi della Comunità con riferimento alla normativa dell’OMC per quanto riguarda l’attribuzione dei certificati d’importazione a la ripartizione dei contingenti latino-americani sarebbero chiari e ben noti. La Comunità, in particolare la Commissione, non potrebbe sostenere di nutrire dubbi sull’incompatibilità delle disposizioni dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane con le norme dell’OMC.

143
Al riguardo, la ricorrente precisa che, nelle circostanze della fattispecie, una volta che la Comunità abbia inteso conformarsi ad una decisione di composizione di una controversia adottata dagli organi dell’OMC, tale decisione consente di identificare l’«obbligo particolare» da cui dipende la seconda condizione prevista nella giurisprudenza Nakajima. La ricorrente precisa che una decisione resa conformemente alle procedure di composizione delle controversie dell’OMC non è, di per sé, sufficiente ad applicare la giurisprudenza Nakajima. Qualora questa sia invece applicabile, una decisione di composizione delle controversie adottata dall’OMC costituisce un’importante guida all’interpretazione per il giudice comunitario tenuto ad applicare la normativa dell’OMC. Sarebbe tuttavia eccessivo ritenere, in base al punto 20 della sentenza Atlanta/Comunità europea, cit., che una decisione di tale natura possa essere presa in considerazione dal giudice comunitario solo qualora si basi su una disposizione degli accordi dell’OMC avente effetto diretto. Infatti, tale valutazione sarebbe strettamente collegata alla circostanza che nella sentenza Atlanta/Comunità europea, cit., la ricorrente faceva valere l’effetto diretto degli accordi dell’OMC.

144
La ricorrente sostiene inoltre che le disposizioni degli accordi dell’OMC violate dal regolamento n. 2362/98 sono chiaramente individuate. Si tratterebbe dell’art. XIII, n. 2, del GATT del 1994 e degli artt. II e XVII del GATS. A tal proposito essa sottolinea che la Commissione ha chiaramente individuato tali disposizioni nel memorandum esplicativo allegato al progetto di regolamento n. 1637/98, come essa ha precedentemente rilevato. Parimenti, la ricorrente ricorda che il Consiglio, in un documento del 2 aprile 1998, n. 7163, intitolato «Progress Report» (Relazione intermedia), ha fatto esplicito riferimento all’«esigenza fondamentale di impedire qualsiasi discriminazione di fatto e di diritto». Secondo la ricorrente, l’espressione «discriminazione di fatto» rinvia direttamente alle decisioni dell’Organo d’appello e del gruppo speciale del 1997.

145
La ricorrente rileva inoltre che l’art. 18, n. 4, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, si ispira direttamente all’art. XIII, n. 2, del GATT del 1994 al punto da soddisfare anche «il requisito di incorporazione» che la Commissione pone tra le condizioni di applicazione della giurisprudenza Nakajima.

146
In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., non rimette in discussione l’applicazione, nella fattispecie, della giurisprudenza Nakajima. Essa ricorda che, in tale sentenza, il Tribunale, ai punti 63 e 64, ha affermato quanto segue:

«A tale riguardo è sufficiente ricordare che solo nel caso in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni delle intese di cui agli allegati dell’Accordo OMC, spetta alla Corte e al Tribunale controllare la legittimità dell’atto comunitario controverso alla luce delle norme dell’OMC (v. citata sentenza Portogallo/Consiglio, punto 49).

Orbene, né le relazioni 22 maggio 1997 del gruppo speciale dell’OMC né la relazione 9 settembre 1997 dell’organo di appello permanente dell’OMC, adottata il 25 settembre 1997 dall’[OCC], contenevano obblighi particolari cui il regolamento della Commissione n. 2362/98 avrebbe “inteso dare esecuzione” ai sensi della giurisprudenza (v., per quanto riguarda il GATT del 1947, sentenza Nakajima, punto 31). Parimenti, tale regolamento non rinvia espressamente né a obblighi precisi derivanti dalle relazioni degli organi dell’OMC né a disposizioni precise delle intese di cui agli allegati dell’Accordo OMC».

147
La ricorrente sottolinea che, al punto 63 di questa sentenza, il Tribunale ha ricordato la regola derivante dalle citate sentenze Nakajima e Fediol/Commissione, facendo riferimento all’intento della Comunità. Il Tribunale, al punto 64, si sarebbe limitato a far valere la mancanza d’intento da parte della Commissione, in quanto apparentemente non è stato adito per altre questioni. La ricorrente ammette che nella sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., il Tribunale è probabilmente giunto ad una conclusione corretta per quanto riguarda l’intento della Commissione. Essa sottolinea tuttavia che, nella fattispecie, è in questione non l’intento della Commissione, ma quello della Comunità: quest’ultima, contrariamente alla Commissione, aveva indubbiamente l’intenzione di conformarsi agli obblighi derivanti dalla normativa dell’OMC quando ha adottato il regolamento n. 1637/98.

148
La ricorrente sottolinea che la Commissione, al punto 104 del suo controricorso nell’ambito del presente ricorso, ha espressamente riconosciuto che «la Comunità aveva l’intenzione di introdurre un regime delle banane conforme a tutti gli obblighi assunti nell’ambito dell’OMC».

149
Inoltre, la ricorrente sostiene che la convenuta nella causa che ha dato luogo alla sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., non aveva invocato l’applicazione della giurisprudenza Nakajima, ma il principio nemini licet venire contra factum proprium, e solo nella fase orale del procedimento. La convenuta non avrebbe fornito alcun elemento probatorio relativo all’intento della Comunità. In tal modo, il Tribunale non sarebbe stato in grado di prendere posizione su tale questione in modo definitivo, mentre, nell’ambito del presente ricorso, la ricorrente sostiene di aver versato agli atti un complesso di prove che consente di decidere tale questione.

150
La Commissione contesta tali argomenti. Adottando il regime del 1999, la Comunità avrebbe inteso conformarsi agli obblighi da essa assunti nell’ambito del GATT e dell’OMC e non di «dare esecuzione» ai medesimi.

151
La Commissione fa valere che il regolamento n. 2362/98 non contiene alcun riferimento esplicito a obblighi particolari derivanti dal GATT o dall’OMC, come il Tribunale ha potuto rilevare al punto 64 della sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit.

152
La Commissione sostiene che la giurisprudenza Nakajima non è applicabile qualora siano in questione misure comunitarie adottate al fine di conformarsi ad una decisione dell’OCC. Infatti, successivamente all’adozione di una decisione o di una raccomandazione dell’OCC o di un gruppo speciale, il MRD concede alla parte soccombente una serie di opzioni (compensazione; sospensione delle concessioni; accordo) anche laddove si tratti di una decisione di un gruppo speciale di «applicazione». Il MRD privilegerebbe le soluzioni negoziate. Orbene, applicare la giurisprudenza Nakajima in una situazione di questo tipo equivarrebbe a negare qualsiasi margine di manovra alla parte soccombente. La parte avversaria non sarebbe affatto indotta a negoziare per raggiungere una soluzione reciprocamente soddisfacente, in quanto avrebbe la garanzia che i suoi operatori potrebbero ottenere compensazioni o l’annullamento delle misure in questione adendo il giudice comunitario. L’applicazione diretta degli accordi dell’OMC per contestare la validità di misure comunitarie priverebbe d’effetto le opzioni previste dal MRD (sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punti 38‑40).

153
Peraltro, quando la Comunità propone una compensazione o in caso di sospensione di talune concessioni, l’equilibrio generale delle concessioni convenute nell’ambito dell’OMC sarebbe quindi ristabilito. Ciò premesso, la concessione del risarcimento danni avrebbe la conseguenza di costringere la Comunità a «pagare» due volte per una medesima incompatibilità con le norme dell’OMC.

154
Inoltre, l’interpretazione proposta dalla ricorrente prescinderebbe dalla mancanza di reciprocità tra la Comunità e gli altri contraenti dell’OMC, aspetto evidenziato dalla Corte nella sentenza Portogallo/Consiglio, cit. Essa sottolinea, in particolare, che gli Stati Uniti d’America non si sono conformati a diverse decisioni di gruppi speciali e dell’OCC [DS/136 Stati Uniti – Anti-Dumping Act of 1916, DS/160 Stati Uniti- Section 110(5) of the Copyright Act e DS/108 Stati Uniti – Foreign Sales Corporation], senza che gli operatori comunitari potessero avviare un’azione di risarcimento dinanzi ai giudici americani.

155
La Commissione sostiene che la sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., afferma chiaramente, per quanto riguarda il regolamento n. 2362/98, che le relazioni del gruppo speciale e le decisioni dell’OCC non contenevano obblighi particolari. Tale impostazione sarebbe confermata dall’ordinanza OGT Fruchthandelsgesellschaft, cit.

Giudizio del Tribunale

156
Per determinare se l’atto comunitario la cui legittimità viene contestata sia stato adottato allo scopo di «dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi dell’OMC» ai sensi della giurisprudenza Nakajima, è necessario esaminare, caso per caso, da una parte, le caratteristiche specifiche di tale atto e, dall’altra, quelle delle pertinenti disposizioni degli accordi dell’OMC invocate.

157
Nella fattispecie, né le disposizioni comunitarie di cui la ricorrente contesta la legittimità né le disposizioni degli accordi dell’OMC di cui la ricorrente invoca la violazione consentono di concludere per l’esistenza dell’intento di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ai sensi della giurisprudenza Nakajima.

158
Quanto agli accordi dell’OMC, la ricorrente fa valere la violazione da parte della Comunità dell’art. XIII del GATT del 1994 nonché degli artt. II e XVII del GATS, violazione constatata dalla decisione dell’OCC 25 settembre 1997 per quanto riguarda il regime del 1993 e poi dalla relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999 e dalla decisione arbitrale 9 aprile 1999 per quanto riguarda talune disposizioni del regime del 1999 contenute nel regolamento n. 2362/98.

159
Tuttavia, tali disposizioni del GATT del 1994 e del GATS non hanno caratteristiche che consentano di concludere per l’applicazione della giurisprudenza Nakajima. Infatti, l’art. XIII del GATT del 1994 («Applicazione non discriminatoria delle restrizioni quantitative»), gli artt. II («Trattamento della nazione più favorita») e XVII («Trattamento nazionale») del GATS enunciano principi e obblighi che per i loro termini, la loro natura e la loro portata hanno un carattere generale. Tali disposizioni differiscono così nettamente da quelle dei codici antidumping del 1979 e del 1994. A tale riguardo basta ricordare, ad esempio, che i preamboli dei regolamenti nn. 3283/94 e 384/96 sottolineavano che il codice antidumping del 1994 «contiene nuove norme circostanziate per quanto riguarda, tra l’altro, il calcolo del dumping, la procedura relativa all’apertura e allo svolgimento successivo delle inchieste, compresi gli aspetti inerenti all’accertamento e all’esame dei fatti, l’istituzione di misure antidumping e l’istituzione e la riscossione dei dazi provvisori, la durata e il riesame delle misure antidumping e la divulgazione delle informazioni relative alle inchieste antidumping».

160
Inoltre, né il GATT del 1994 né il GATS impongono ai loro firmatari l’obbligo di adeguamento del loro diritto nazionale equivalente a quello previsto all’art. 16, n. 6, lett. a), del codice antidumping del 1979 e all’art. 18, n. 4, del codice antidumping del 1994.

161
Quand’anche l’argomento della ricorrente potesse essere interpretato nel senso che è diretto a far valere la violazione da parte della Comunità del suo obbligo di attuare le raccomandazioni o decisioni dell’OCC, esso non può essere accolto. Infatti, anche se la Commissione ritiene che il MRD imponga – con riferimento al diritto internazionale – alla parte soccombente di conformare agli accordi dell’OMC una misura dichiarata incompatibile da una decisione dell’OCC, tale obbligo di assicurare la conformità di misure interne agli impegni internazionali derivanti dagli accordi dell’OMC presenta innegabilmente un carattere generale, in contrasto con le regole dei codici antidumping. Di conseguenza, esso non può essere preso in considerazione ai fini dell’applicazione della giurisprudenza Nakajima.

162
Peraltro, senza che sia necessario interrogarsi sulle eventuali conseguenze quanto al risarcimento che potrebbero derivare ai singoli dalla mancata esecuzione da parte della Comunità di una decisione dell’OCC che constata l’incompatibilità di un atto comunitario con le norme dell’OMC, questione che non è stata espressamente sollevata dalla ricorrente in maniera autonoma rispetto a quella dell’applicazione della giurisprudenza Nakajima, basta sottolineare che il MRD non introduce un meccanismo di composizione giudiziaria delle controversie internazionali mediante decisioni aventi effetti obbligatori paragonabili a quelli di una decisione giurisdizionale negli ordinamenti giuridici interni degli Stati membri. Infatti, la Corte ha affermato che gli accordi OMC, interpretati alla luce del loro oggetto e del loro scopo, non stabiliscono i mezzi giuridici idonei a provvedere al loro adempimento in buona fede nell’ordinamento giuridico interno delle parti contraenti. La Corte ha rilevato che nonostante il rafforzamento del regolamento di composizione delle controversie derivante dagli accordi dell’OMC, non è men vero che tale meccanismo riserva una posizione importante ai negoziati tra le parti (sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punto 36). La Corte ha aggiunto, ai punti 37‑40, che:

«Sebbene il primo obiettivo del [MRD] sia di norma, ai sensi dell’art. 3, n. 7, del memorandum d’intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie (allegato 2 dell’accordo OMC), quello di garantire il ritiro delle misure in questione qualora esse risultino incompatibili con le norme dell’OMC, lo stesso memorandum prevede tuttavia, qualora il ritiro immediato di tali misure risulti impraticabile, la possibilità di ricorrere alle disposizioni in materia di compensazioni, quale misura provvisoria in attesa che venga ritirata la misura incompatibile.

È vero che, ai sensi dell’art. 22, n. 1, del detto memorandum, la compensazione costituisce una misura provvisoria cui si può fare ricorso nel caso in cui le raccomandazioni e le decisioni dell’[OCC] caso previsto all’art. 2, n. 1, dello stesso memorandum non siano applicate entro un termine ragionevole, e che la stessa disposizione esprime la preferenza per la piena applicazione di una raccomandazione per rendere una misura conforme agli accordi OMC contemplati.

La stessa disposizione, tuttavia, prevede, al suo n. 2, che, qualora il membro interessato venga meno al suo obbligo di eseguire le dette raccomandazioni e decisioni entro un termine ragionevole, tale membro avvii, se invitato a farlo, e non oltre la scadenza di detto termine, negoziati con qualsiasi parte abbia invocato le procedure di risoluzione delle controversie, al fine di stabilire una compensazione reciprocamente accettabile. 

Pertanto, imporre agli organi giurisdizionali l’obbligo di escludere l’applicazione delle norme di diritto interno che siano incompatibili con gli accordi OMC avrebbe la conseguenza di privare gli organi legislativi o esecutivi delle parti contraenti della possibilità, offerta dall’art. 22 del detto memorandum, di trovare, sia pure a titolo provvisorio, soluzioni negoziate».

163
Tale conclusione non può essere limitata alle ipotesi in cui il termine ragionevole previsto all’art. 21, n. 3, del MRD per l’applicazione delle raccomandazioni o decisioni dell’OCC non sia scaduto.

164
Infatti, è giocoforza constatare che, anche alla scadenza di tale termine e dopo l’introduzione di misure di compensazione o di sospensione di concessioni ai sensi dell’art. 22 del MRD, tale accordo continua a riservare un posto importante al negoziato tra le parti. A tal riguardo occorre sottolineare che l’art. 21, n. 6, del MRD prevede espressamente che, «salvo che l’OCC decida diversamente, la questione dell’applicazione delle raccomandazioni o delle decisioni dell’OCC verrà iscritta all’ordine del giorno della riunione dell’OCC dopo un periodo di sei mesi successivo alla data in cui verrà fissato il termine ragionevole previsto al n. 3, ove rimarrà iscritta all’ordine del giorno delle riunioni dell’OCC finché non sarà risolta». Parimenti, nel caso in cui l’OCC autorizzi la sospensione di concessioni o di altri obblighi, l’art. 22, n. 8, del MRD prevede che, conformemente all’art. 21, n. 6, del MRD, «l’[OCC] continua a tenere sotto controllo l’applicazione delle raccomandazioni o delle decisioni adottate». Tale disposizione prevede anche che «la sospensione di concessioni o altri obblighi è provvisoria e si applica soltanto finché non viene abolita la misura giudicata incompatibile con un accordo contemplato o finché il membro che deve applicare le raccomandazioni o le decisioni non trova una soluzione all’annullamento o al pregiudizio dei benefici, o finché non si trova una soluzione reciprocamente soddisfacente».

165
Nella fattispecie, occorre rilevare che la controversia che ha dato luogo alla decisione dell’OCC 25 settembre 1997 e alla relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999, poi all’autorizzazione di sospensione di concessioni a svantaggio della Comunità, alla data di proposizione del presente ricorso, era ancora pendente e iscritta all’ordine del giorno dell’OCC (v. sopra punto 39).

166
Di conseguenza, il giudice comunitario, a meno di privare di effetto l’art. 21, n. 6, del MRD, non può esercitare un controllo sulla legittimità degli atti comunitari in questione, in particolare nell’ambito di un ricorso per risarcimento proposto ai sensi dell’art. 235 CE, finché non sia risolta la questione dell’applicazione delle raccomandazioni o decisioni dell’OCC, incluso, come previsto all’art. 22, n. 8, del MRD, «nei casi in cui è stata fornita una compensazione o sono stati sospesi concessioni o altri obblighim ma non sono state applicate le raccomandazioni per rendere una misura conforme agli accordi contemplati» (v., per analogia, sentenze della Corte 30 settembre 2003, causa C‑93/02 P, Biret International/Consiglio, Racc. pag. 10497, punto 62, e C-94/02 P, Biret et Cie/Consiglio, Racc. pag. I‑10505, punto 65).

167
Per quanto riguarda le caratteristiche del regolamento n. 2362/98, gli elementi probatori versati agli atti dalla ricorrente nonché gli scritti e le dichiarazioni della Commissione indicano che, al momento dell’adozione del regime del 1999, in particolare del regolamento n. 2362/98, la Comunità intendeva conformarsi agli obblighi assunti a titolo degli accordi dell’OMC in seguito alla decisione dell’OCC 25 settembre 1997 (sentenza del Tribunale 28 settembre 1999, causa T‑254/97, Fruchthandelsgesellschaft Chemnitz/Commissione, Racc. pag. II‑2743, punto 26). Tuttavia tali elementi non dimostrano che la Comunità aveva l’intenzione di dare esecuzione a obblighi assunti nell’ambito degli accordi dell’OMC, ai sensi della giurisprudenza Nakajima.

168
Infatti, le circostanze dell’adozione del regolamento n. 2362/98 non possono essere paragonate con quelle dell’adozione dei regolamenti antidumping di base nei confronti dei quali è stata applicata la giurisprudenza Nakajima. Il regolamento n. 2362/98 non garantisce la trasposizione nel diritto comunitario di regole derivanti da un accordo dell’OMC al fine di conservare l’equilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti di tale accordo. Il Tribunale ha così affermato che «né le relazioni 22 maggio 1997 del gruppo speciale dell’OMC né la relazione 9 settembre 1997 dell’organo di appello permanente dell’OMC, adottata il 25 settembre 1997 dall’[OCC], contenevano obblighi particolari cui il regolamento della Commissione n. 2362/98 avrebbe “inteso dare esecuzione” ai sensi della giurisprudenza [Nakajima]» (sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., punto 64).

169
Inoltre, le disposizioni del regolamento n. 2362/98 messe in discussione dalla ricorrente, che riguardano la distribuzione dei certificati d’importazione e la ripartizione dei sotto-contingenti tariffari nazionali, non riflettono un complesso di regole nuove e dettagliate derivanti dagli accordi dell’OMC, ma introducono misure di gestione dei contingenti tariffari adottati nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane. La Corte ha, infatti, affermato che «l’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana, quale è stata istituita dal regolamento n. 404/93 e successivamente modificata, non mira a garantire l’esecuzione nell’ordinamento giuridico comunitario di un obbligo particolare assunto nell’ambito del GATT» (ordinanza OGT Fruchthandelsgesellschaft, cit., punto 28).

170
Tenuto conto di quanto precede, occorre concludere che la Comunità, adottando il regime del 1999 e, in particolare, il regolamento n. 2362/98, non ha inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi dell’OMC, ai sensi della giurisprudenza Nakajima. Di conseguenza, la ricorrente non è in grado di invocare la violazione da parte della Comunità dei suoi obblighi ai sensi degli accordi dell’OMC.

171
Ne consegue che, con il suo primo motivo, la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un comportamento illegittimo idoneo a far sorgere la responsabilità della Comunità.

3. Sul secondo motivo, relativo alla violazione del mandato conferito dal Consiglio alla Commissione per l’applicazione del regolamento n. 1637/98

Argomenti delle parti

172
Secondo la ricorrente, la Commissione ha oltrepassato i limiti del mandato che le è stato conferito dal Consiglio ai fini dell’applicazione del regolamento n. 1637/98. Nell’adottare tale regolamento, il Consiglio avrebbe senz’altro avuto l’intenzione di eseguire gli obblighi risultanti dagli accordi dell’OMC. La ricorrente ricorda, a tal riguardo, che l’art. 20 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, prevede quanto segue:

«La Commissione adotta le modalità di applicazione del presente titolo secondo la procedura prevista all’articolo 27. Tali modalità comprendono: (…) e) le misure occorrenti per adempiere gli obblighi derivanti dagli accordi conclusi dalla Comunità conformemente all’articolo 228 [del Trattato CE (divenuto art. 300 CE)]».

173
Quanto alla distribuzione dei certificati d’importazione, la Commissione, nell’esercizio del suo potere di esecuzione ai sensi dell’art. 19 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, non avrebbe tenuto conto della volontà del Consiglio di assicurare la compatibilità dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane con gli accordi dell’OMC. La Commissione si sarebbe limitata a ritoccare superficialmente il regime del 1993 pur conservando, nel complesso, il sistema di distribuzione dei certificati d’importazione. Orbene, la relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999 avrebbe dichiarato tali lievi modifiche incompatibili con la normativa dell’OMC.

174
Quanto alla ripartizione dei contingenti per paese, la ricorrente sostiene che anche la Commissione ha ignorato la volontà del Consiglio e ha, quindi, violato i limiti del suo mandato. La ricorrente sottolinea che, all’art. 18, n. 4, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, il Consiglio ha fatto riferimento, implicitamente, alle disposizioni citate dell’art. XIII, n. 2, lett. d), del GATT del 1994 in cui sono previste due ipotesi in cui un membro dell’OMC può dividere un contingente tariffario in sotto-contingenti nazionali, vale a dire mediante un accordo con gli Stati in questione o unilateralmente, sulla base di un «periodo rappresentativo». Essa insiste sul fatto che si tratta in tal caso solo di una possibilità. La Comunità non sarebbe tenuta ad introdurre sotto-contingenti nazionali contrariamente a quanto affermato dalla Commissione al secondo ‘considerando’ del regolamento n. 2362/98 secondo cui, non avendo raggiunto un accordo con i quattro principali Stati fornitori di banane, «la Commissione deve pertanto ripartire i contingenti tariffari». Quanto alla rappresentatività del periodo di riferimento, la ricorrente fa valere essenzialmente che la Commissione non poteva ignorare che gli anni 1994‑1996 non erano adatti, in quanto erano stati giudicati non rappresentativi dalla decisione dell’OCC 25 settembre 1997.

175
Inoltre, la ricorrente ritiene che la Commissione abbia omesso di informare il Consiglio delle sue intenzioni, circostanza di cui si sarebbero lamentate diverse delegazioni nazionali durante i lavori preparatori del regolamento n. 2362/98. Essa afferma che la partecipazione del comitato di gestione delle banane al procedimento di adozione del regolamento n. 2362/98 non può equivalere ad un accordo del Consiglio.

176
Peraltro, la ricorrente ritiene che il mandato del Consiglio di cui essa fa valere la violazione costituisce una regola giuridica volta a proteggere i singoli la cui violazione è idonea a far sorgere la responsabilità della Comunità. Essa riconosce che la norma secondo cui la Commissione è tenuta a rispettare i limiti del suo mandato nell’esercitare i poteri che le sono stati delegati mira a garantire il rispetto dell’equilibrio istituzionale tra la Commissione ed il Consiglio (sentenza della Corte 13 marzo 1992, causa C‑282/90, Vreugdenhil/Commissione, Racc. pag. I‑1937). Tuttavia, essa precisa di non invocare tale regola astrattamente, ma alla luce dei termini del mandato del Consiglio enunciati nel regolamento n. 1637/98. Orbene, da tali termini emergerebbe che l’obiettivo del Consiglio era di creare un regime compatibile con le norme dell’OMC. Tale mandato sarebbe quindi volto direttamente al miglioramento della situazione della ricorrente, vale a dire alla tutela dei diritti dei singoli.

177
La Commissione obietta di non aver oltrepassato i limiti del suo potere di esecuzione nell’adottare il regolamento n. 2362/98. Essa avrebbe agito conformemente all’art. 27 del regolamento n. 404/93, dopo aver debitamente notificato il Consiglio dei Ministri dell’agricoltura del giugno 1998.

178
Essa rileva che l’art. 18, n. 4, del regolamento n. 404/93 prevede che il contingente tariffario sia ripartito tra paesi fornitori. Tale articolo prevede espressamente che «la Commissione è autorizzata a procedere alla ripartizione dei contingenti tariffari» unilateralmente qualora non sia possibile addivenire ad un accordo con i paesi terzi. La Commissione fa valere, a tal riguardo, il settimo ‘considerando’ del regolamento n. 1637/98, precisando che è opportuno, a tale scopo, «attenersi ad un unico criterio per determinare quali sono gli Stati produttori che hanno un interesse sostanziale (…), ai fini della ripartizione dei contingenti tariffari». Il fatto che il Consiglio abbia autorizzato la Commissione a negoziare con paesi fornitori e che abbia adottato direttive a tale scopo sarebbe in contraddizione con quanto asserito dalla ricorrente.

179
Essa fa valere che tale motivo non è , in ogni caso, pertinente, in quanto la ricorrente ha ammesso, al punto 156 della replica, che la Commissione poteva introdurre una chiave di ripartizione per paese.

180
Infine, la Commissione sostiene che il mandato del Consiglio e la ripartizione delle competenze tra quest’ultimo e la Commissione non costituisce una norma volta alla «tutela dei singoli», come affermato dalla Corte nella sentenza Vreugdenhil/Commissione, cit., punti 20 e 21. A titolo del presente motivo sarebbe dunque esclusa qualsiasi responsabilità della Comunità.

Giudizio del Tribunale

181
Quanto alla questione se, nell’adottare il regolamento n. 2362/98, la Commissione abbia oltrepassato i limiti della competenza che le era stata delegata dal Consiglio, occorre rammentare che il sistema di ripartizione delle competenze fra le varie istituzioni comunitarie mira a garantire il rispetto dell’equilibrio istituzionale contemplato dal Trattato e non a conferire diritti ai singoli. Conseguentemente, il mancato rispetto dell’equilibrio istituzionale non può, di per sé, essere sufficiente per comportare la responsabilità della Comunità verso gli operatori economici interessati (sentenza Vreugdenhil/Commissione, cit., punti 20 e 21).

182
In ogni caso, conformemente a quanto precedentemente affermato riguardo al primo motivo, vanno respinte le censure secondo cui la ricorrente cerca di invocare direttamente talune incompatibilità con gli accordi dell’OMC constatate per quanto riguarda determinate disposizioni del regolamento n. 2362/98. Infatti, poiché la giurisprudenza Nakajima non è applicabile alla fattispecie, la ricorrente non può invocare l’incompatibilità delle regole di distribuzione dei certificati d’importazione e di ripartizione dei contingenti nazionali con gli accordi dell’OMC.

183
Peraltro, quanto alla questione se la Commissione abbia violato i termini del mandato che le era stato conferito dal Consiglio, da una parte, in virtù dell’art. 18, n. 4, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, per la ripartizione dei sotto-contingenti tariffari nazionali e, dall’altra, in virtù degli artt. 19, n. 1, e 20 del detto regolamento, per l’adozione delle modalità di gestione dei contingenti tariffari e, in particolare, per la distribuzione dei certificati d’importazione, occorre ricordare che, a tenore dell’art. 211, quarto trattino, CE, la Commissione, al fine di assicurare il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune, esercita le competenze conferitele dal Consiglio per l’attuazione delle norme da esso stabilite. Per giurisprudenza costante, dal contesto del Trattato nel quale tale articolo dev’essere considerato, nonché dalle esigenze concrete, risulta che la nozione di attuazione dev’essere interpretata in senso lato. Poiché solo la Commissione è in grado di seguire costantemente ed attentamente l’andamento dei mercati agricoli e di agire con la necessaria tempestività, il Consiglio può essere indotto, nel settore di cui trattasi, ad attribuire alla Commissione ampi poteri. Di conseguenza, i limiti di tali poteri devono essere definiti in particolare con riferimento agli obiettivi generali essenziali dell’organizzazione di mercato (sentenze della Corte 17 ottobre 1995, causa C‑478/93, Paesi Bassi/Commissione, Racc. pag. I‑3081, punto 30, e 30 settembre 2003, causa C‑239/01, Germania/Commissione, Racc. pag. I‑10333, punto 54).

184
In tal senso la Corte ha dichiarato che, in materia agricola, la Commissione è autorizzata ad adottare tutte le misure d’applicazione necessarie o utili per l’attuazione della disciplina di base, purché non siano contrastanti con tale disciplina o con la normativa di applicazione del Consiglio (v. citate sentenze Paesi Bassi/Commissione, punto 31, e Germania/Commissione, punto 55).

185
Nella fattispecie va rilevato che il Consiglio ha imposto alla Commissione di adottare misure di gestione dei contingenti tariffari ispirate al metodo che tiene conto dei flussi di scambio tradizionali (art. 19, n. 1, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98). Al contempo, il Consiglio ha imposto alla Commissione di adottare «le misure occorrenti per adempiere gli obblighi derivanti dagli accordi conclusi dalla Comunità conformemente all’articolo [300 CE]». La ricorrente non ha dimostrato che la Commissione abbia manifestamente oltrepassato i limiti del potere discrezionale conferitole dal Consiglio quando ha tentato di conciliare tali obiettivi adottando misure di distribuzione dei certificati d’importazione e di ripartizione dei contingenti nazionali.

186
Quanto alla regolarità del procedimento di adozione del regolamento n. 2362/98, la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di irregolarità sostanziali. Emerge al contrario dagli scritti della Commissione, in particolare dal resoconto sommario della 96ª riunione del comitato di gestione relativo alle banane del 16 ottobre 1998, che il comitato di cui all’art. 27 del regolamento n. 404/93 è stato consultato ai fini dell’adozione del regolamento n. 2362/98.

187
Ne consegue che, con il secondo motivo, la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un comportamento illegittimo idoneo a far sorgere la responsabilità della Comunità.

4. Sul terzo motivo, relativo alla violazione di principi generali del diritto comunitario

188
Il presente motivo è suddiviso in tre parti relative rispettivamente alla violazione dei principi di non discriminazione, di libero esercizio di un’attività economica e di proporzionalità.

Sulla prima parte, relativa al principio di non discriminazione

Sulla ricevibilità

–     Argomenti delle parti

189
La Commissione sostiene che questa prima parte, come esposta nel ricorso, non è conforme ai requisiti dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura. Infatti, la ricorrente non preciserebbe in cosa consiste la discriminazione fatta valere, ma si limiterebbe a rinviare la sua descrizione del regime del 1993. Di conseguenza, questa parte dell’argomento della ricorrente sarebbe irricevibile.

190
La ricorrente sostiene che la presente parte è ricevibile in quanto il ricorso, su tale punto, è conforme all’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura. Essa sostiene di aver chiaramente esposto, ai punti 25‑28 del ricorso, le differenze di trattamento tra operatori a titolo del regime del 1993 e, ai punti 66‑99 del medesimo, l’aggravamento di tale discriminazione sotto il regime del 1999.

–     Giudizio del Tribunale

191
Conformemente ai principi precedentemente ricordati, l’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura richiede, perché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto su cui esso si basa emergano, perlomeno sommariamente, ma in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso medesimo.

192
Nella fattispecie, la ricorrente ha osservato (punto 95 del ricorso) che la violazione del principio di non discriminazione «si deduce chiaramente dal fatto che il regime in materia di banane è stato creato per effettuare una discriminazione a svantaggio della ricorrente e per ridurre sostanzialmente le dimensioni delle attività commerciali della ricorrente nell’ambito della Comunità». Inoltre, la ricorrente ha fatto esplicito riferimento ai punti 25‑28 del suo ricorso che contengono non solo una descrizione del regime del 1993, ma anche una critica consistente nel far valere che oggetto di tale regime era, sostanzialmente, l’indebolimento della posizione economica delle grandi società multinazionali attive sul mercato delle banane in generale e della ricorrente in particolare. La ricorrente ha peraltro chiaramente esposto (v., in particolare, i punti 66‑98 del ricorso) che, lungi dal modificare il regime del 1993 per eliminare le incompatibilità con la normativa dell’OMC, rilevate dall’OCC nella sua decisione 25 settembre 1997, il regime del 1999 e in particolare il regolamento n. 2362/98 si sono limitati a protrarre i vizi del regime precedente, Di conseguenza, i termini del ricorso sono sufficientemente chiari e precisi per consentire alla Commissione di preparare la sua difesa e al Tribunale di statuire su questa prima parte.

193
Pertanto, i passaggi del ricorso relativi a questa prima parte sono conformi alle esigenze dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, per cui occorre respingere gli argomenti della Commissione.

194
Ne consegue che questa prima parte del terzo motivo è ricevibile.

Sul merito

–     Argomenti delle parti

195
La ricorrente fa essenzialmente valere che, una volta acclarato che i contingenti tariffari erano sufficienti a promuovere le banane comunitarie e ACP, incombeva alla Comunità riformare il regime del 1993 per quanto riguarda la distribuzione dei certificati d’importazione, aspetto, questo, descritto come «oneroso» e «gravoso» nelle conclusioni pronunciate dall’avvocato generale Gulmann nella sentenza della Corte, Germania/Consiglio (Banane) (Racc. pag. I‑4980). Adottando il regolamento n. 2362/98, la Commissione avrebbe tuttavia optato per un regime che ha aumentato, da una parte, i vantaggi economici conferiti agli operatori della ex categoria B e, dall’altra, gli inconvenienti imposti agli ex importatori primari rientranti nella ex categoria A, come la ricorrente (v. supra l’esposizione sommaria dei motivi).

196
La ricorrente considera che la violazione del principio di non discriminazione si deduce direttamente dall’obiettivo perseguito dall’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane. Infatti, il regime del 1999 si sarebbe limitato a prolungare il regime del 1993 il cui scopo riconosciuto era quello di diminuire sostanzialmente le attività della ricorrente nella Comunità a vantaggio degli operatori comunitari.

197
Nella sentenza Germania/Consiglio (Banane) la Corte avrebbe affermato che il regime del 1993 poteva, potenzialmente, violare il principio di non discriminazione. Essa avrebbe tuttavia escluso una tale violazione dopo aver constatato che il regime del 1993 aveva instaurato un equilibrio accettabile tra gli interessi delle diverse categorie di operatori interessati. La Corte, al punto 74, avrebbe affermato che le differenze di trattamento tra operatori erano «inerenti all’obiettivo dell’integrazione di mercati fino ad allora isolati». La Corte avrebbe confermato tale tesi ai punti 63‑65 della sentenza 10 marzo 1998, causa C‑122/95, Germania/Consiglio (Racc. pag. I‑973).

198
Nella fattispecie, la situazione sarebbe diversa. Il regime del 1999 sarebbe stato adottato cinque anni dopo l’integrazione dei mercati realizzata con la creazione, nel 1993, dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane. Durante questo periodo gli operatori comunitari e ACP avrebbero avuto l’occasione di approfittare dei vantaggi concorrenziali ad essi conferiti. Di conseguenza, la giustificazione fondamentale sollevata dalla Corte nella sentenza Germania/Consiglio (Banane) per negare l’esistenza di una discriminazione nella fattispecie avrebbe cessato di esistere al momento dell’adozione del regime del 1999.

199
La ricorrente sostiene che la semplice trasposizione dell’analisi effettuata nella sentenza Germania/Consiglio (Banane) alle circostanze della fattispecie equivarrebbe a ritenere che la diversa situazione degli operatori constatata dalla Corte nella sentenza Germania/Consiglio (Banane) durante la vigenza del regime del 1993 sussisteva ancora durante il regime del 1999. Ciò presupporrebbe inoltre che il regime del 1999 sia, di fatto, la continuazione del regime del 1993. Orbene, la ricorrente sottolinea che la Commissione sostiene al contrario che il regime del 1999 è completamente diverso dal regime del 1993. In tal caso, non sarebbe possibile trasporre la soluzione della sentenza Germania/Consiglio (Banane) al regime del 1999.

200
In ogni caso, la ricorrente sostiene che, manifestamente, gli operatori non erano nella medesima situazione prima del regime del 1993 e durante la vigenza del regime del 1999. Dalla sentenza Germania/Consiglio (Banane), il mercato sarebbe profondamente cambiato. Prima del 1993, gli operatori che avrebbero poi costituito la categoria B non potevano, in taluni paesi, importare banane dall’America latina senza restrizioni. La ricorrente sostiene che nella sentenza Germania/Consiglio (Banane), la Corte ha considerato che, a causa di tale situazione svantaggiosa, poteva essere riservato loro un trattamento diverso. I vantaggi che sono stati in tal modo loro concessi avrebbero avuto un effetto profondo sul mercato. Durante il regime del 1993 numerosi operatori di categoria A avrebbero acquisito operatori di categoria B per ottenere i loro certificati d’importazione. All’inverso, taluni operatori di categoria B avrebbero tentato di estendere la loro attività al settore delle banane latino-americane acquistando operatori di categoria A.

201
Peraltro, la ricorrente contesta la tesi secondo cui la cristallizzazione del regime del 1993 non potrebbe essere discriminatoria in quanto taluni importatori primari rientranti nella categoria A hanno assunto il controllo di operatori di categoria B e hanno acquisito, in tal modo, certificati d’importazione. Essa sottolinea, infatti, che tale argomento è già stato respinto, nell’ambito dell’OMC, dalla decisione arbitrale 9 aprile 1999 (punto 5.69). Tale reazione degli importatori primari sarebbe la conseguenza normale e diretta delle misure discriminatorie imposte.

202
Infine, la ricorrente ritiene che le ragioni che hanno portato il Tribunale a respingere il motivo diretto contro il regolamento n. 2362/98, relativo ad una discriminazione, nella sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., non sono applicabili alla fattispecie. Il motivo in questione nella causa che ha dato luogo a tale sentenza riguardava un’asserita discriminazione tra piccole imprese e imprese multinazionali. Poiché tale aspetto non ha alcuna relazione con la presente fattispecie, la ricorrente ritiene che la sentenza Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., non sia pertinente riguardo a tale punto.

203
La Commissione respinge tali affermazioni. La giurisprudenza avrebbe già chiaramente affermato che le restrizioni alla facoltà di importare le banane da paesi terzi sono inerenti agli obiettivi dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane e, pertanto, avrebbe respinto taluni motivi relativi al carattere discriminatorio dei regimi del 1993 e del 1999 [sentenze Germania/Consiglio (Banane), cit., punto 82, e Bocchi Food Trade International/Commissione, cit., punto 81].

204
La Commissione contesta la distinzione che la ricorrente tenta di introdurre tra la situazione che prevaleva all’epoca dei fatti della causa che ha dato luogo alla sentenza Germania/Consiglio (Banane) e quella della fattispecie. Essa contesta inoltre la pertinenza nella fattispecie delle conclusioni menzionate dall’avvocato generale Gulmann nella sentenza Germania/Consiglio (Banane).

205
Quanto alla pertinenza delle decisioni dell’OMC sul carattere discriminatorio del regime del 1999, la Commissione fa valere che la nozione stessa di «discriminazione» secondo la normativa dell’OMC non è identica a quella utilizzata nel diritto comunitario. Una differenza di trattamento che sia solo una conseguenza automatica dei diversi trattamenti riservati alle importazioni da paesi terzi non può essere considerata discriminatoria (sentenza della Corte 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust/Commissione, Racc. pag. 3745, punto 25).

–     Giudizio del Tribunale

206
La tesi secondo cui il regime del 1999 era diretto a favorire gli operatori comunitari specializzati nel commercio delle banane di origine comunitaria o ACP a svantaggio della ricorrente non può essere accolta.

207
Quanto all’asserita discriminazione tra, da una parte, gli operatori specializzati nel commercio di banane di origine latino-americana e , dall’altra, quelli specializzati nel commercio di banane di origine comunitaria o ACP, va ricordato che, pur supponendo che il regolamento n. 2362/98 abbia potuto incidere diversamente sulla situazione di tali categorie di operatori, ciò non costituirebbe un trattamento discriminatorio in quanto un tale trattamento sembrerebbe inerente all’obiettivo di integrazione dei mercati nella Comunità [v., in tal senso, citate sentenze Germania/Consiglio (Banane), punto 74, e Bocchi Food Trade International/Commissione, punto 75].

208
Infatti, prima della creazione dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane, la situazione fra queste due categorie di operatori non era paragonabile. Secondo la Corte, «il settore della banana a livello comunitario era caratterizzato dalla coesistenza di mercati nazionali aperti, soggetti a norme per giunta diverse, e di mercati nazionali protetti». Così, secondo la Corte:

«Sui mercati nazionali aperti, gli operatori economici potevano rifornirsi di banane di paesi terzi senza soggiacere a restrizioni quantitative. Gli importatori sul mercato tedesco fruivano persino di un’esenzione doganale entro un contingente regolarmente adattato sulla base del protocollo banane. Per contro, sui mercati nazionali protetti, gli operatori economici che smerciavano banane comunitarie e ACP tradizionali avevano la garanzia di poter smaltire i propri prodotti senza essere esposti alla concorrenza dei distributori di banane di paesi terzi più competitivi. (…) [Il] prezzo di vendita delle banane comunitarie e ACP superava infatti sensibilmente quello delle banane dei paesi terzi» [sentenza Germania/Consiglio (Banane), punti 70‑72].

209
Benché il regime del 1993 abbia inciso diversamente sulle categorie di operatori economici, la Corte ha affermato che un «trattamento differenziato di questo genere appare tuttavia inerente all’obiettivo dell’integrazione di mercati fino ad allora isolati, tenuto conto della diversa situazione nella quale versavano le diverse categorie di operatori economici prima dell’istituzione dell’organizzazione comune dei mercati». La Corte ha anche considerato che «il regolamento [n. 404/93] è infatti volto a garantire lo smaltimento della produzione comunitaria e della produzione tradizionale ACP, il che implica il raggiungimento di un certo equilibrio tra le due categorie di operatori economici interessate» [sentenza Germania/Consiglio (Banane), punto 74].

210
La ricorrente fa essenzialmente valere che le circostanze che hanno portato la Corte ad una conclusione di questo tipo non sussisterebbero più per quanto attiene all’adozione del regime del 1999, poiché l’obiettivo di integrazione dei mercati aperti e dei mercati protetti è stato ampiamente raggiunto. Essa invoca, a tal riguardo, una dichiarazione della Commissione secondo cui «gli obiettivi fondamentali dell’[organizzazione comune dei mercati] sono stati ampiamente conseguiti, in special modo la fusione di più mercati nazionali in un solo mercato unico, l’equilibrio quantitativo dell’approvvigionamento del mercato, un livello di prezzi equo per i consumatori e per i produttori comunitari e ACP» [relazione speciale della Corte dei conti n. 7/2002 sulla sana gestione finanziaria dell’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana, corredata delle risposte della Commissione, alla pag. 27 (GU 2002, C 294, pag. 1); in prosieguo: la «relazione della Corte dei conti»]. Essa invoca inoltre una perizia dello studio Arthur D. Little del 22 giugno 1995, finanziata dalla Commissione (in prosieguo: la «relazione Arthur D. Little»).

211
È vero che, in seguito alla creazione dell’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana e per i cinque anni durante i quali è rimasto in vigore il regime del 1993, il mercato comunitario della banana ha subito notevoli trasformazioni, come attestato sia dalle dichiarazioni della Commissione che figurano nella relazione della Corte dei conti sia dalla relazione Arthur D. Little. Quest’ultima (pagg. 46 e 47) rileva in particolare che «l’introduzione dell’organizzazione comune dei mercati ha consentito l’eliminazione della compartimentazione dei mercati nazionali e ha comportato un’esplosione del commercio intracomunitario» e, inoltre, «ha permesso una penetrazione delle banane latino-americane in paesi tradizionalmente protetti, mediante l’eliminazione delle restrizioni all’importazione e la possibilità concessa agli operatori di categoria B di importare banane dollari». Quanto all’obiettivo dell’organizzazione comune dei mercati diretto allo smercio di banane di origine comunitaria e ACP, la medesima relazione osserva che la loro produzione «accenna un inizio di penetrazione nell’Europa del Nord» e che tale fenomeno di «accresciuta mescolanza, in tutti i paesi, delle importazioni per origine riflette un altro aspetto dell’insorgenza di un vero mercato unico».

212
Tuttavia, tale andamento del settore delle banane derivante dall’organizzazione comune dei mercati introdotta dal regolamento n. 404/93 non può rimettere in discussione le scelte legislative effettuate al momento dell’adozione del regime del 1999 e, in particolare, il trattamento differenziato riservato ad ogni categoria di operatori. Sebbene le modalità di funzionamento dell’organizzazione comune dei mercati risultante dai regimi del 1993 e 1999 differiscano, gli obiettivi d’integrazione dei mercati nazionali e di smercio delle banane di origine comunitaria e ACP persistono. Le disposizioni del regolamento n. 1637/98, infatti, non hanno modificato tali obiettivi, ma si sono limitate, per quanto riguarda il regime di scambi con i paesi terzi (titolo IV del regolamento n. 404/93), a riformarne le modalità di funzionamento. Di conseguenza, durante il regime del 1999, il trattamento differenziato tra operatori specializzati nel commercio di banane latino-americane e quelli specializzati nel commercio di banane comunitarie e ACP continua ad essere inerente agli obiettivi dell’organizzazione comune dei mercati della banana. Ciò premesso, il trattamento differenziato riservato alle diverse categorie di operatori non costituisce una violazione del principio di non discriminazione idonea a far sorgere la responsabilità della Comunità.

213
Quanto agli argomenti della ricorrente basati sulle discriminazioni rilevate nella decisione arbitrale 9 aprile 1999 con riferimento a talune disposizioni del regolamento n. 2362/98, dalle valutazioni relative al primo motivo emerge che la ricorrente non può invocare la violazione delle norme degli accordi dell’OMC, in quanto le condizioni d’applicazione della giurisprudenza Nakajima non sono soddisfatte nella fattispecie. In ogni caso la Commissione fa giustamente valere che le discriminazioni rilevate dagli arbitri riguardano, da una parte, il trattamento riservato ai distributori di banane stabiliti fuori della Comunità rispetto ai loro concorrenti stabiliti nella Comunità e, dall’altra, la ripartizione dei sotto‑contingenti tariffari nazionali fra taluni paesi dell’America latina. Non si tratta, di conseguenza, di situazioni idonee a rientrare nell’ambito del principio comunitario della parità di trattamento (v., in tal senso, sentenza Faust/Commissione, cit., punto 25).

214
Di conseguenza, occorre concludere che, tenuto conto dell’ampio margine di valutazione di cui essa disponeva, la Commissione non ha commesso una violazione del principio di non discriminazione tale da comportare la responsabilità della Comunità.

215
Di conseguenza, tale prima parte deve essere respinta.

Sulla seconda parte, relativa al libero esercizio di un’attività economica

Argomenti delle parti

216
La ricorrente considera che la violazione del principio di libero esercizio di un’attività economica si deduce direttamente dallo scopo perseguito dall’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane. Nella sentenza Germania/Consiglio (Banane), la Corte avrebbe concluso, al punto 87, che il regime del 1993 non pregiudicava tale principio. La ricorrente fa tuttavia valere che la situazione all’epoca dei fatti della causa che ha dato luogo a questa sentenza della Corte è diversa da quella esistente durante il regime del 1999.

217
Inoltre, la ricorrente insiste sul fatto che la Corte, nella sentenza Germania/Consiglio (Banane), si è basata anche sull’equilibrio degli interessi in contrapposizione per statuire sul motivo attinente alla violazione del principio di libero esercizio di un’attività economica. La Corte avrebbe, infatti, esaminato «se le restrizioni introdotte dal [regime del 1993] rispond[evano] ad obiettivi di interesse generale comunitario e non pregiudic[avano] l’essenza stessa del diritto».

218
Essa fa valere che gli obiettivi del regime del 1999 sono, da una parte, la promozione delle banane comunitarie e ACP e, dall’altra, la compatibilità dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane con le norme dell’OMC. Orbene, nel regime del 1999, sarebbero estranei a tali obiettivi sia il meccanismo di distribuzione dei certificati d’importazione, sia la ripartizione per paese. Tuttavia, tali due elementi limiterebbero la libertà della ricorrente di continuare la sua attività economica in modo più incisivo rispetto al regime precedente. Ne conseguirebbe, alla luce delle valutazioni della Corte ai punti 82‑86 della sentenza Germania/Consiglio (Banane), che il regolamento n. 2362/98 interrompe l’equilibrio tra l’interesse generale della Comunità e l’interesse particolare della ricorrente.

219
La Commissione contesta tali affermazioni. La ricorrente sarebbe indifferente all’obiettivo di integrazione dei mercati perseguito dal regime del 1999. La giurisprudenza avrebbe già respinto motivi analoghi [sentenza Germania/Consiglio (Banane), cit., punto 82, e sentenza del Tribunale 11 dicembre 1996, causa T‑521/93, Atlanta e a./Comunità europea, Racc. pag. II‑1707, punti 62‑64].

Giudizio del Tribunale

220
Occorre rammentare che possono essere imposte restrizioni al libero esercizio di un’attività economica, in particolare nell’ambito di un’organizzazione comune di mercato, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v. sentenza della Corte 11 luglio 1989, causa 265/87, Schraeder, Racc. pag. 2237, punto 15). In tal modo, la Corte ha già statuito che il pregiudizio al libero esercizio dell’attività professionale degli operatori tradizionali di banane dei paesi terzi conseguente al regolamento n. 404/93 rispondeva ad obiettivi di interesse generale comunitario e non incideva sull’essenza stessa del diritto [sentenza Germania/Consiglio (Banane), cit., punto 87].

221
Orbene, come è stato constatato nell’ambito della prima parte del presente motivo, il regime del 1999 persegue, senza modificarli, gli obiettivi di interesse generale del regolamento n. 404/93, vale a dire l’integrazione dei mercati nazionali e lo smercio delle banane di origine comunitaria e ACP. Alla luce di tali obiettivi, va considerato che l’andamento delle condizioni economiche in seguito all’entrata in vigore dell’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane invocato dalla ricorrente non permette di concludere per l’esistenza di un pregiudizio intollerabile, non rispondente ai detti obiettivi di interesse generale, ai diritti di quest’ultima.

222
Peraltro, occorre rilevare che, nel regime del 1999, la Comunità, per conformarsi agli obblighi generali da essa assunti nell’ambito dell’OMC, pur conservando il metodo dei flussi di scambio tradizionali denominato «operatori tradizionali/nuovi arrivati» (art. 19, n. 1, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98), ha eliminato le categorie e le funzioni per attività degli operatori e ha aumentato, peraltro, il quantitativo dei certificati disponibili per i nuovi arrivati.

223
Di conseguenza, la seconda parte deve essere dichiarata infondata.

Sulla terza parte, relativa al principio di proporzionalità

Argomenti delle parti

224
La ricorrente sostiene che secondo la sentenza Germania/Consiglio (Banane), il regolamento n. 2362/98 potrebbe essere censurato a titolo del principio di proporzionalità solo nel caso in cui i provvedimenti da esso introdotti siano «manifestamente inidonei» a realizzare l’obiettivo perseguito. Nella fattispecie, il regolamento n. 2362/98 sarebbe manifestamente inadeguato rispetto agli obiettivi del regime del 1999 che sono, da una parte, la compatibilità con le norme dell’OMC e, dall’altra, la promozione di banane ACP e comunitarie. Infatti, i sistemi di distribuzione dei certificati e di ripartizione per paese sarebbero stati giudicati incompatibili dall’OMC con le regole del GATT del 1994 e del GATS. Inoltre, tali misure non favorirebbero tanto le banane comunitarie e ACP quanto taluni commercianti comunitari che hanno potuto beneficiare della concessione di certificati d’importazione. Di conseguenza, il regolamento n. 2362/98 contrasterebbe con il principio di proporzionalità.

225
La Commissione ritiene che tale argomento sia strettamente legato al motivo relativo all’incompatibilità con la normativa dell’OMC; tale argomento sarebbe quindi irrilevante. Del resto, il regime del 1999 non violerebbe il principio di proporzionalità. Tale regime fa parte di una politica destinata a favorire la produzione di banane comunitarie e ACP. Sia le regole di distribuzione dei certificati d’importazione, sia quelle relative alla ripartizione per paese perseguirebbero tale obiettivo.

Giudizio del Tribunale

226
Vanno immediatamente respinti gli argomenti della ricorrente relativi all’incompatibilità del regolamento n. 2362/98 con gli accordi dell’OMC, conformemente a quanto è stato affermato nell’ambito del primo motivo.

227
Occorre infine ricordare che, per stabilire se una norma di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalità, si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto scopo (sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C‑183/95, Affish, Racc. pag. I-4315, punto 30).

228
Il legislatore comunitario dispone, in materia di politica agricola comune, di un ampio potere discrezionale, corrispondente alle responsabilità politiche che gli artt. 34 CE e 37 CE gli attribuiscono. La Corte ha dichiarato, infatti, che solo la manifesta inidoneità di un provvedimento adottato in tale ambito rispetto allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire può inficiare la legittimità di tale provvedimento. Questa limitazione del controllo giurisdizionale si impone segnatamente allorché, nell’attuare un’organizzazione comune di mercato, il Consiglio e la Commissione si trovano a dover operare come arbitri di interessi confliggenti e ad esercitare quindi opzioni nell’ambito delle scelte politiche che rientrano nelle loro proprie responsabilità [sentenza Germania/Consiglio (Banane), punti 89 e 90].

229
Quanto alla definizione delle modalità di applicazione del regime degli scambi con i paesi terzi e, più in particolare, della gestione dei contingenti tariffari, la Commissione ha tentato, al momento dell’adozione del regolamento n. 2362/98, di conciliare gli obiettivi inerenti all’organizzazione comune dei mercati nel settore delle banane con il rispetto degli impegni internazionali della Comunità derivanti dagli accordi dell’OMC nonché dalla Convenzione di Lomé, pur piegandosi alla volontà del Consiglio di veder effettuata la gestione dei contingenti tariffari mediante l’applicazione del metodo basato sulla presa in considerazione dei flussi di scambi tradizionali (art. 19 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98).

230
È giocoforza constatare che la ricorrente si limita a denunciare la manifesta inidoneità delle disposizioni del regolamento n. 2362/98, disciplinante la distribuzione dei certificati d’importazione e la ripartizione dei sotto-contingenti tariffari nazionali senza tuttavia dimostrare che tali misure siano manifestamente inidonee a conseguire l’obiettivo prefissato e che esse eccedano quanto necessario per raggiungerlo.

231
Poiché la ricorrente non ha fornito la prova di tale manifesta inidoneità occorre respingere questa terza parte.

232
Ne consegue che, con il terzo motivo, la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un comportamento illegittimo idoneo a far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità.

5. Sul quarto motivo, relativo alla violazione dei principi di buona fede e di tutela del legittimo affidamento nel diritto internazionale

Argomenti delle parti

233
La ricorrente sostiene che, adottando e mantenendo in vigore il regolamento n. 2362/98, la Commissione ha violato il principio di buona fede nel diritto internazionale. Essa ricorda che tale principio, ai sensi dell’art. 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati 23 maggio 1969 (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 788, pag. 354) così recita: «Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede». In occasione del contenzioso Banane III, la Comunità avrebbe chiaramente violato tale principio.

234
Infatti, la Comunità, con le sue dichiarazioni e osservazioni avrebbe chiaramente affermato più volte di avere intenzione di applicare le raccomandazioni o decisioni dell’OCC (v. OMC, status report by the European Communities: documenti 13 luglio 1998, WT/DS27/17; 9 settembre 1998, WT/DS27/17/add. 1; 9 ottobre 1998, WT/DS27/17/Add. 2 e 13 novembre 1998, WT/DS27/17/Add. 3; verbale della riunione dell’OCC 22 gennaio 1998, documento 26 febbraio 1998, WT/DSB/M/41).

235
Orbene, tali dichiarazioni non resisterebbero all’esame. La ricorrente ritiene, infatti, che il regime del 1999 non sia diretto a rimediare ai vizi constatati dall’OMC riguardo al regime del 1993. Lungi dal conformarsi alle decisioni degli organi dell’OMC, la Comunità avrebbe tentato, con il pretesto di modifiche puramente formali, di irrigidire la situazione illecita risultante dal regime del 1993. Un comportamento di tale tipo costituirebbe, di per sé, una violazione del principio di buona fede. La Comunità avrebbe tentato, mediante manovre dilatorie, di sottrarsi ai suoi obblighi derivanti dalla normativa dell’OMC e avrebbe abusato della complessità della sua regolamentazione per indurre in errore le sue controparti commerciali nell’ambito dell’OMC.

236
Nessun elemento consentirebbe di invalidare tali affermazioni. In primo luogo, per quanto riguarda la ripartizione per paese, la Commissione non potrebbe sostenere di aver agito in buona fede. La ricorrente rammenta di aver precedentemente esposto che il fallimento dei negoziati avviati con quattro paesi dell’America latina non obbligava affatto la Commissione ad adottare, nell’ambito del regolamento n. 2362/98, un meccanismo di ripartizione per paese equivalente al sistema di sotto-contingenti in vigore durante il regime del 1993.

237
In secondo luogo, la circostanza che la Comunità abbia partecipato all’arbitrato e all’applicazione delle decisioni nel caso Banane III non costituirebbe una prova di buona fede. Si tratterebbe semplicemente dell’esercizio, da parte della Comunità, dei suoi diritti della difesa. La ricorrente sottolinea a tale proposito che la Comunità non ha ritenuto necessario impugnare la relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999 che ha concluso per l’incompatibilità del regime del 1999 con le norme dell’OMC.

238
In terzo luogo, il procedimento avviato dalla Comunità in base all’art. 21, n. 5, MRD che ha dato luogo alla relazione del gruppo speciale 12 aprile 1999 (WT/DS27/RW/EEC) sarebbe irrilevante nella fattispecie o, perlomeno, non costituirebbe una prova di buona fede della Comunità. La ricorrente espone, infatti, che oggetto di tale procedimento era una domanda diretta a che il regime del 1999 venisse dichiarato conforme agli accordi dell’OMC, fino a decisione contraria in virtù del MRD. Secondo la ricorrente, tale procedimento non riguardava direttamente la compatibilità del regime del 1999 con le norme dell’OMC. Il gruppo speciale non sarebbe stato in grado di rispondere a questa domanda poiché la Commissione non ha fornito elementi sufficienti per statuire. Tuttavia, dalla lettura di tale relazione emergerebbe chiaramente che la Commissione esitava ad affrontare la questione della compatibilità del regime del 1999 con le norme dell’OMC.

239
Inoltre, la ricorrente ritiene che la Comunità abbia commesso un abuso di procedura. Nonostante la debolezza della sua posizione giuridica, la Comunità avrebbe continuato a sottrarsi ai suoi obblighi continuando ad affermare che la sua regolamentazione, grazie a modifiche superficiali, era conforme alle norme dell’OMC. Tale attitudine avrebbe costretto diversi membri dell’OMC a moltiplicare le azioni dinanzi all’OCC, creando in tal modo tensioni inutili.

240
Infine, la ricorrente ritiene di avere diritto ad invocare la violazione da parte della Comunità del principio di buona fede nel diritto internazionale. Essa fa valere, a tal riguardo, le sentenze della Corte 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke (Racc. pag. I‑3655, in prosieguo: la «sentenza Racke»), e del Tribunale 22 gennaio 1997, causa T‑115/94, Opel Austria/Consiglio (Racc. pag. II‑39), e fa due osservazioni sulla pertinenza di tale giurisprudenza.

241
Da una parte, la ricorrente ammette che, secondo la sentenza Racke, un singolo non può far valere una norma di diritto internazionale unicamente in presenza di «manifesti errori di valutazione quanto alle condizioni per l’applicazione di tali norme». Essa sostiene che, nella fattispecie, la Commissione ha commesso un primo errore manifesto di valutazione quando ha adottato il regolamento n. 2362/98, come emerge dagli argomenti esposti nell’ambito del primo motivo. Essa avrebbe poi commesso un secondo errore di tale natura astenendosi dal ritirare il regime del 1999 dopo l’adozione definitiva della relazione del gruppo speciale 6 aprile 1999, che conferma l’incompatibilità del regime del 1999 con le norme dell’OMC.

242
D’altra parte, essa sottolinea che la circostanza che le citate sentenze Racke e Opel Austria/Consiglio si riferiscono ad accordi internazionali idonei ad avere un effetto diretto non pregiudica la loro pertinenza nella fattispecie. Essa sottolinea che tali sentenze, nonché la sentenza Nakajima, riguardano situazioni in cui la Comunità aveva assunto l’impegno di rispettare un obbligo di diritto internazionale. La Corte ha ritenuto, secondo la ricorrente, che, anche in mancanza di effetto diretto degli accordi in questione, l’obbligo che scaturisce dal diritto internazionale potesse avere ripercussioni sulla situazione giuridica degli operatori economici, circostanza che le istituzioni non potevano ignorare. Nella sentenza Racke, la Corte avrebbe affermato che, sebbene la Comunità possa sospendere unilateralmente un accordo internazionale avente effetto diretto, essa non potrebbe agire contrariamente al principio rebus sic stantibus senza pregiudicare il legittimo affidamento di tali operatori (v., in particolare, le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella sentenza Racke, Racc. pag. I‑3659, paragrafi 86‑90 ed il punto 47 di tale sentenza).

243
La ricorrente ritiene che tale interpretazione delle citate sentenze Racke e Opel Austria/Consiglio sia stata confermata dalla sentenza Biotechnologies. La ricorrente ricorda che, al punto 54 di tale sentenza, la Corte ha affermato che:

«Anche ipotizzando che, come sostiene il Consiglio, [la Convenzione sulla diversità biologica siglata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e approvata a nome della Comunità europea con decisione del Consiglio 25 ottobre 1993, 93/626/CEE (GU L 309, pag. 1)] contenga disposizioni non direttamente applicabili, nel senso che esse non creerebbero diritti che i privati possano far valere direttamente in giudizio, questa circostanza non costituirebbe un ostacolo al controllo da parte del giudice dell’osservanza degli obblighi incombenti alla Comunità in qualità di parte aderente al detto accordo [v. sentenza Racke, punti 45, 47 e 51]».

244
Secondo la ricorrente, la pietra angolare di tale giurisprudenza consiste nel fatto che essa conferisce efficacia, a titolo limitato ed eccezionale, a strumenti internazionali che, per principio, non possono essere invocati da un singolo, perché non ancora entrati in vigore (sentenza Opel Austria/Consiglio, cit.), perché, sebbene in vigore, sono stati sospesi (sentenza Racke), oppure perché non hanno, per loro natura, un effetto diretto (sentenza Nakajima). La giurisprudenza Nakajima sarebbe solo un’applicazione particolare del principio generale sotteso alle citate sentenze Racke e Opel Austria/Consiglio.

245
La Commissione censura tali argomenti. La ricorrente non potrebbe invocare il principio «pacta sunt servanda», in quanto, da una parte, la Comunità ha agito in buona fede, senza commettere errori manifesti di valutazione e, dall’altra, la ricorrente non poteva nutrire il benché minimo legittimo affidamento e non ha alcun diritto idoneo ad essere direttamente invocato a titolo di tale principio.

Giudizio del Tribunale

246
La ricorrente fa valere la violazione da parte della Comunità del principio «pacta sunt servanda», che costituisce un principio fondamentale di qualsiasi ordinamento giuridico, in particolare dell’ordinamento giuridico internazionale. Applicato al diritto internazionale, tale principio, codificato all’art. 26 della convenzione di Vienna, prescrive che ogni trattato vincoli le parti e che queste lo attuino in buona fede.

247
Tale argomento si confonde quindi con quello esposto nell’ambito del primo motivo, in quanto la ricorrente invoca la mancata esecuzione da parte della Comunità dei suoi obblighi a titolo degli accordi dell’OMC. Occorre dunque considerare che, per le ragioni esposte nell’ambito dell’analisi del primo motivo, tale argomento non può essere accolto. Infatti, la ricorrente non ha dimostrato che nella fattispecie sono soddisfatte le condizioni di applicazione della giurisprudenza Nakajima.

248
Anche nel caso in cui il presente motivo possa essere interpretato nel senso che mira a dimostrare che la Comunità, pur senza aver violato i suoi obblighi a titolo degli accordi dell’OMC, ha nondimeno agito senza dar prova di buona fede, detto motivo deve essere respinto. Il principio dell’art. 26 della convenzione di Vienna è, infatti, un principio di diritto internazionale che la ricorrente non può invocare nella fattispecie, tenuto conto della mancanza di effetto diretto dell’accordo internazionale di cui essa contesta l’esecuzione in buona fede.

249
Anzitutto, la ricorrente non può far valere il beneficio della giurisprudenza risultante dalla sentenza Opel Austria/Consiglio, cit. Essa non è pertinente nella fattispecie, in quanto tale sentenza non riguarda il principio «pacta sunt servanda», bensì l’art. 18 della convenzione di Vienna, il quale vieta di eludere il carattere coercitivo degli accordi internazionali con atti adottati giusto prima dell’entrata in vigore di un accordo, i quali sarebbero incompatibili con principi fondamentali di tale accordo.

250
La ricorrente non può inoltre far valere il beneficio della sentenza Racke. In tale sentenza, la Corte ha affermato (punto 51) che non può «negarsi ad un amministrato, allorché si avval[e] giudizialmente dei diritti conferitigli direttamente da un accordo con un paese terzo, la facoltà di mettere in discussione la validità di un regolamento che, sospendendo le concessioni commerciali conferite da tale accordo, gli impedisca di avvalersene, né gli si può negare la facoltà d’invocare, al fine di contestarne la validità, gli obblighi derivanti dalle norme del diritto consuetudinario internazionale che disciplinano la cessazione e la sospensione delle relazioni convenzionali». Orbene, nella fattispecie la ricorrente non invoca norme di diritto consuetudinario internazionale che disciplinano, in deroga al principio «pacta sunt servanda» la cessazione e la sospensione delle relazioni convenzionali a causa di una modifica radicale delle circostanze. Inoltre, contrariamente all’accordo internazionale in questione nella sentenza Racke (punto 34), le disposizioni degli accordi dell’OMC non mirano, in linea di principio, a conferire diritti ai singoli che essi potrebbero invocare in giudizio.

251
Occorre infine negare anche la pertinenza della sentenza Biotechnologies. Infatti, in tale causa, il motivo relativo ad una violazione del diritto internazionale era una censura «non tanto di una violazione diretta da parte della Comunità dei suoi obblighi internazionali, quanto piuttosto dell’obbligo che sarebbe imposto agli Stati membri dalla [direttiva in questione] di violare i loro specifici obblighi di diritto internazionale, quando invece [tale direttiva], in base al suo stesso dettato, non dovrebbe incidere sui detti obblighi» (sentenza Biotechnologies, punto 55).

252
In ogni caso è giocoforza constatare che il presente motivo è carente in fatto. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente non si può ritenere che la Comunità, in seguito alla decisione dell’OCC del 25 settembre 1997, non abbia agito in buona fede. La Comunità ha abrogato il regime del 1993 dato a tale decisione dell’OCC per conformarsi ai suoi obblighi generali assunti nell’ambito degli accordi dell’OMC. Con il regolamento n. 1637/98, il Consiglio ha espressamente affidato alla Commissione il compito di adottare le modalità di applicazione del regime degli scambi con i paesi terzi, laddove tali modalità comprendono, secondo l’art. 20, lett. e), del regolamento n. 1637/98, «le misure occorrenti per adempiere gli obblighi derivanti dagli accordi conclusi dalla Comunità conformemente all’articolo [300 CE]». La Commissione è stata in tal modo indotta a definire nuove modalità di gestione dei contingenti tariffari e di attribuzione dei certificati d’importazione, nell’ambito del regolamento n. 2362/98.

253
Nell’ambito dell’OMC, la Comunità ha avviato, in seguito, negoziati con le sue controparti commerciali, parti della controversia Banane III, al fine di trovare una soluzione decisa di comune accordo conformemente alle disposizioni dell’art. 3, n. 6, del MRD. Nel preambolo del regolamento n. 216/2001, il Consiglio osserva quanto segue:

«Numerose ed intense consultazioni si sono svolte con i paesi fornitori e con le altre parti interessate per porre fine alle contestazioni suscitate dal regime d’importazione definito dal regolamento (CEE) n. 404/93 e per tener conto delle conclusioni del gruppo speciale istituito nell’ambito del sistema di risoluzione delle controversie dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La disamina di tutte le possibilità presentate dalla Commissione porta a ritenere che l’istituzione, a medio termine, di un regime d’importazione fondato sull’applicazione di un dazio doganale ad un tasso adeguato e l’applicazione di una preferenza tariffaria per le importazioni originarie dei paesi ACP costituirebbero il mezzo più idoneo per conseguire gli obiettivi dell’organizzazione comune dei mercati per quanto riguarda la produzione comunitaria e la domanda dei consumatori, come pure per rispettare le norme del commercio internazionale ed evitare nuove contestazioni. Tale regime deve tuttavia essere definito a conclusione di negoziati con i partner della Comunità secondo le procedure dell’OMC, in particolare dell’articolo XXVIII dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT). Il risultato di tali negoziati deve essere sottoposto per approvazione al Consiglio che deve altresì, conformemente alle disposizioni del trattato, fissare il tasso del dazio doganale comune applicabile».

254
Tali circostanze non consentono di concludere che la Comunità non abbia agito in buona fede. Parimenti, l’avvalersi dei mezzi di impugnazione previsti dal MRD non può essere assimilato ad un abuso di procedura da parte della Comunità.

255
Quanto, infine, all’asserita violazione del principio del rispetto del legittimo affidamento, va sottolineato che possono appellarsi al principio di tutela del legittimo affidamento tutti gli operatori economici nei quali un’istituzione abbia ingenerato speranze fondate (sentenza del Tribunale 13 luglio 1995, cause riunite T‑466/93, T‑469/93, T‑473/93, T‑474/93 e T‑477/93, O’Dwyer e a./Consiglio, Racc. pag. II‑2071, punto 48). Orbene, nella fattispecie la ricorrente non ha affatto dimostrato in che modo gli atti o i comportamenti della Comunità le avrebbero legittimamente consentito di nutrire tali speranze. Poiché la ricorrente non era parte delle controversie che hanno opposto la Comunità alle sue controparti commerciali quanto ai regimi del 1993 e del 1999, le consultazioni tra queste ultime non potevano far sorgere tali speranze.

256
Peraltro, sebbene la Comunità sia tenuta ad un obbligo generale di attuare raccomandazioni o decisioni dell’OCC conformemente agli accordi dell’OMC, un tale obbligo non può tuttavia essere inteso nel senso di vincolare la Comunità per quanto riguarda la scelta della forma e dei mezzi da attuare per raggiungere un tale risultato. Occorre ammettere, al contrario, che a causa della complessità delle disposizioni enunciate da tali accordi e dell’imprecisione di talune nozioni a cui si riferiscono, il principio di esecuzione in buona fede delle convenzioni internazionali, codificato all’art. 26 della Convenzione di Vienna, implica che la Comunità faccia uno sforzo ragionevole per giungere all’adozione di misure conformi agli accordi dell’OMC, pur lasciandole la scelta quanto alla forma e ai mezzi per raggiungere tale obiettivo. La Corte ha così ricordato che «anche se ciascuna delle parti contraenti è responsabile dell’adempimento integrale degli impegni che ha sottoscritto, è suo compito, per contro, stabilire i mezzi giuridici idonei a raggiungere tale scopo nel suo ordinamento giuridico, a meno che l’accordo, interpretato alla luce del suo oggetto e del suo scopo, non determini esso stesso questi mezzi» (sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punto 35). Tenuto conto del margine discrezionale di cui dispongono le istituzioni comunitarie per la scelta dei mezzi necessari alla realizzazione della loro politica e all’esecuzione dei loro impegni internazionali, la ricorrente non aveva motivo di riporre il suo legittimo affidamento in una modifica del regime del 1993 conforme ai suoi interessi.

257
Poiché la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un comportamento illegittimo idoneo a far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità, il presente motivo deve essere respinto.

258
La ricorrente fa valere, infine, che il rigetto del presente ricorso contrasterebbe con il principio generale di un’effettiva tutela giurisdizionale sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 4 novembre 1950, e dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza della Corte 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097). Essa precisa, tuttavia, che tale principio non costituisce direttamente la base del suo ricorso, ma deve guidare il Tribunale nella sua interpretazione. Infatti, il presente ricorso per risarcimento costituirebbe l’unico modo seriamente concepibile per ottenere un controllo giurisdizionale, in quanto il Tribunale ha dichiarato irricevibili diversi ricorsi di annullamento e domande di provvedimenti urgenti diretti contro il regolamento n. 2362/98.

259
Il Tribunale ricorda che ai singoli deriva, dal diritto comunitario, il diritto ad una tutela giurisdizionale completa ed effettiva [ordinanza del presidente della Corte 29 gennaio 1997, causa C‑393/96 P(R), Antonissen/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑441, punto 36] e che nell’ambito del Trattato è stato previsto di istituire un sistema di tutela giurisdizionale completo nei confronti degli atti delle istituzioni comunitarie che producono effetti giuridici (sentenza della Corte 27 settembre 1988, causa 302/87, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. 5615, punto 20). Nella fattispecie, la ricorrente non può fondare una qualche pretesa a veder accolto il suo ricorso su tali principi. Essa è stata in grado di utilizzare i mezzi giuridici a sua disposizione. Di conseguenza, va esclusa qualsiasi violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva.

260
Da quanto precede risulta che la condizione relativa all’illegittimità del comportamento contestato all’istituzione comunitaria interessata non è soddisfatta nella fattispecie. Di conseguenza il ricorso deve essere dichiarato infondato.


Sulle spese

261
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

2)
La ricorrente sopporterà le proprie spese nonché quelle della Commissione.

Lindh

García-Valdecasas

Cooke

Mengozzi

Martins Ribeiro

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 febbraio 2005.

Il cancelliere

Le président

H. Jung

P. Lindh

Indice

Contesto normativo e fatti della controversia

    1.  Regolamento n. 404/93

    2.  Regolamento n. 1442/93

    3.  Regolamento n. 1637/98

    4.  Regolamento n. 2362/98

    5.  Regolamento n. 216/2001

    6.  Regolamento n. 896/2001

    7.  Sintesi del contenzioso «banane» nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)

Procedimento

Conclusioni delle parti

Sulla ricevibilità

    1.  Argomenti delle parti

    2.  Giudizio del Tribunale

        Sulla conformità del ricorso con l’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura

        Sulla conformità del ricorso con l’art. 44, n. 1, lett. e), del regolamento di procedura

Sul merito

    1.  Esposizione sommaria dei motivi

    2.  Sul primo motivo, attinente ad una violazione della normativa dell’OMC

        Sull’interpretazione della giurisprudenza Nakajima

            Argomenti delle parti

            Giudizio del Tribunale

        Sull’applicabilità, nella specie, della giurisprudenza Nakajima

            Argomenti delle parti

            Giudizio del Tribunale

    3.  Sul secondo motivo, relativo alla violazione del mandato conferito dal Consiglio alla Commissione per l’applicazione del regolamento n. 1637/98

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    4.  Sul terzo motivo, relativo alla violazione di principi generali del diritto comunitario

        Sulla prima parte, relativa al principio di non discriminazione

            Sulla ricevibilità

                –  Argomenti delle parti

                –  Giudizio del Tribunale

            Sul merito

                –  Argomenti delle parti

                –  Giudizio del Tribunale

        Sulla seconda parte, relativa al libero esercizio di un’attività economica

            Argomenti delle parti

            Giudizio del Tribunale

        Sulla terza parte, relativa al principio di proporzionalità

            Argomenti delle parti

            Giudizio del Tribunale

    5.  Sul quarto motivo, relativo alla violazione dei principi di buona fede e di tutela del legittimo affidamento nel diritto internazionale

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

Sulle spese



1
Lingua processuale: l'inglese.