CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
MACIEJ SZPUNAR
presentate il 25 gennaio 2024 (1)
Causa C‑27/23 [Hocinx] (i)
FV
contro
Caisse pour l’avenir des enfants
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Lussemburgo)]
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 45 TFUE – Previdenza sociale dei lavoratori migranti – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Articolo 1, lettera i) – Libera circolazione delle persone – Parità di trattamento – Vantaggi sociali – Regolamento (UE) n. 492/2011 – Articolo 7, paragrafo 2 – Assegno familiare – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 2, punto 2 – Nozione di “familiari” – Esclusione del minore oggetto di una decisione giudiziaria di affidamento – Differenza di trattamento tra il minore oggetto di una siffatta decisione sul territorio dello Stato membro di residenza e il minore non residente – Assenza di giustificazione»
I. Introduzione
1. Può uno Stato membro escludere un lavoratore transfrontaliero dal beneficio di un assegno familiare legato all’esercizio della sua attività subordinata in detto Stato membro per il minore, privo di legame di filiazione, collocato presso il suo nucleo familiare con decisione giudiziaria e di cui egli ha l’affidamento, benché i minori che siano stati collocati in affidamento giudiziario nello Stato membro di cui trattasi abbiano il diritto di percepire tale assegno che viene versato alla persona fisica o giuridica investita della loro custodia?
2. Questa è, in sostanza, la questione sollevata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Lussemburgo) nell’ambito di una causa che contrappone FV, un lavoratore frontaliero residente in Belgio, alla Caisse pour l’avenir des enfants (Cassa per il futuro dei minori; in prosieguo: la «CAE») con riferimento al diniego, da parte di quest’ultima, di riconoscere un assegno familiare a un minore collocato con decisione giudiziaria presso il nucleo familiare di FV e che non presenta alcun legame di filiazione con quest’ultimo.
3. In tale contesto, la Corte è invitata a interpretare nuovamente l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 (2), in combinato disposto con l’articolo 67 del regolamento (CE) n. 883/2004 (3) e con l’articolo 60 del regolamento (CE) n. 987/2009 (4), nonché a stabilire se sussista una discriminazione indiretta, vietata dal principio della parità di trattamento dei lavoratori.
4. La presente causa si colloca sulla scia della causa definita con la sentenza Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore frontaliero) (5), vertente sul medesimo assegno familiare erogato dalla CAE, e offre alla Corte l’occasione di precisare in che misura la soluzione sviluppata in detta sentenza possa essere trasposta al caso di specie, affrontando, in particolare, la questione se, ai fini della concessione di detto assegno familiare, la nozione di «familiare» debba comprendere anche un minore collocato presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
1. Regolamento n. 492/2011
5. L’articolo 7 del regolamento n. 492/2011 prevede quanto segue:
«1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.
2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.
(...)».
2. Regolamento n. 883/2004
6. Ai sensi dell’articolo 1 del regolamento n. 883/2004:
«Ai fini del presente regolamento si intende per:
(...)
i) “familiare”:
1) i) qualsiasi persona definita o riconosciuta come familiare oppure designata come componente il nucleo familiare dalla legislazione in base alla quale sono erogate le prestazioni;
ii) per quanto riguarda le prestazioni in natura di cui al titolo III, capitolo 1, in materia di prestazioni di malattia, di maternità e di paternità assimilate, qualsiasi persona definita o riconosciuta come familiare o designata come componente il nucleo familiare dalla legislazione dello Stato membro in cui essa risiede.
2) Se la legislazione di uno Stato membro applicabile ai sensi del punto 1 non distingue i familiari dalle altre persone alle quali tale legislazione è applicabile, il coniuge, i figli minori e i figli maggiorenni a carico sono considerati familiari;
3) Qualora, secondo la legislazione applicabile ai sensi dei punti 1 e 2, una persona sia considerata familiare o componente il nucleo familiare soltanto quando convive con la persona assicurata o il pensionato, si considera soddisfatta tale condizione se l’interessato è sostanzialmente a carico della persona assicurata o del pensionato;
(...)».
7. L’articolo 4 del medesimo regolamento, intitolato «Parità di trattamento», enuncia quanto segue:
«Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».
8. Ai sensi dell’articolo 67 del regolamento n. 883/2004:
«Una persona ha diritto alle prestazioni familiari ai sensi della legislazione dello Stato membro competente, anche per i familiari che risiedono in un altro Stato membro, come se questi ultimi risiedessero nel primo Stato membro. Tuttavia, il titolare di una pensione o di una rendita ha diritto alle prestazioni familiari ai sensi della legislazione dello Stato membro competente per la sua pensione o la sua rendita».
3. Regolamento n. 987/2009
9. L’articolo 60 del regolamento n. 987/2009, intitolato «Procedura per l’applicazione degli articoli 67 e 68 del regolamento di base», dispone, al suo paragrafo 1, quanto segue:
«La domanda di prestazioni familiari è presentata all’istituzione competente. Ai fini dell’applicazione degli articoli 67 e 68 del regolamento di base, si tiene conto della situazione della famiglia nel suo insieme, come se tutti gli interessati fossero soggetti alla legislazione dello Stato membro in questione e vi risiedessero, in particolare per quel che riguarda il diritto della persona a richiedere tali prestazioni. Qualora l’avente diritto alle prestazioni non eserciti tale diritto, l’istituzione competente dello Stato membro la cui legislazione è applicabile tiene conto della domanda di prestazioni familiari presentata dall’altro genitore o assimilato o dalla persona o ente che ha la tutela dei figli».
4. Direttiva 2004/38/CE
10. Ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38/CE (6):
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
2) “familiare”:
(...)
c) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b)».
5. Direttiva 2014/54/UE
11. L’articolo 1 della direttiva 2014/54/UE (7) prevede quanto segue:
«La presente direttiva stabilisce disposizioni che agevolano l’uniforme applicazione e attuazione pratica dei diritti conferiti dall’articolo 45 TFUE e dagli articoli da 1 a 10 del regolamento [n. 492/2011]. La presente direttiva si applica ai cittadini dell’Unione che esercitano tali diritti e ai loro familiari (…)».
12. Ai sensi dell’articolo 2 di detta direttiva:
«1. La presente direttiva si applica alle materie seguenti, di cui agli articoli da 1 a 10 del regolamento [n. 492/2011], nel campo della libera circolazione dei lavoratori:
(...)
c) accesso ai vantaggi sociali e fiscali;
(...)
2. L’ambito di applicazione della presente direttiva è identico a quello del regolamento [n. 492/2011]».
B. Diritto lussemburghese
13. Le disposizioni pertinenti sono gli articoli 269 e 270 del code de la sécurité sociale (codice della previdenza sociale) (8).
14. L’articolo 269 del codice, intitolato «Condizioni per la concessione», così dispone al suo paragrafo 1:
«È introdotto un sussidio per il futuro dei minori; in prosieguo: l’“assegno familiare”.
Ha diritto agli assegni familiari:
a) ogni minore che risiede effettivamente e in modo continuativo in Lussemburgo e che ivi ha il suo domicilio legale;
b) i familiari, quali definiti dall’articolo 270, di chiunque sia assoggettato alla normativa lussemburghese e ricada nella sfera di applicazione dei regolamenti europei o di un altro accordo bilaterale o multilaterale concluso dal Lussemburgo in materia di previdenza sociale e che prevede il pagamento degli assegni familiari secondo la normativa del paese di occupazione. I familiari devono risiedere in un paese interessato dai regolamenti o dagli accordi in parola».
15. L’articolo 270 del citato codice prevede quanto segue:
«Ai fini dell’applicazione dell’articolo 269, paragrafo 1, punto b, sono considerati familiari di una persona e danno diritto all’assegno familiare i figli nati nel matrimonio, i figli nati fuori dal matrimonio e i figli adottivi di tale persona».
16. L’articolo 273, paragrafo 4, dello stesso codice precisa, per quanto attiene ai minori residenti, quanto segue:
«In caso di collocamento di un minore in affidamento con decisione giudiziaria, l’assegno familiare è versato alla persona fisica o giuridica investita della custodia del minore e presso la quale il minore ha il suo domicilio legale e la sua residenza effettiva e continuativa».
III. Fatti, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
17. FV, che lavora in Lussemburgo e risiede in Belgio, ha lo status di lavoratore frontaliero ed è, quindi, soggetto al regime lussemburghese per quanto attiene agli assegni familiari. Dal 26 dicembre 2005, il minore FW è collocato presso il nucleo familiare di FV in forza di una decisione dell’autorità giudiziaria belga. In ragione del suo status di lavoratore frontaliero, FV godeva, da molti anni, per il minore FW, degli assegni familiari lussemburghesi.
18. Con l’entrata in vigore della legge del 23 luglio 2016 che ha modificato il codice, FV ha smesso di percepire gli assegni familiari per il minore collocato presso il suo nucleo familiare. Con decisione del 7 febbraio 2017, il comitato direttivo della CAE ha revocato a FV, con effetto retroattivo al 1º agosto 2016, il beneficio degli assegni familiari percepiti per FW con la motivazione che detto minore, non avendo alcun rapporto di filiazione con FV, non godrebbe dello status di «familiare» ai sensi dell’articolo 270 del codice della previdenza sociale.
19. Il 27 gennaio 2022 il Consiglio superiore per la previdenza sociale ha confermato, riformandola, la decisione della CAE del 7 febbraio 2017. FV ha proposto ricorso in cassazione dinanzi alla Cour de cassation.
20. È in tali circostanze che la Cour de cassation, con decisione del 19 gennaio 2023, pervenuta alla Corte il 23 gennaio 2023, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il principio della parità di trattamento garantito dall’articolo 45 TFUE e dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento [n. 492/2011], nonché l’articolo 67 del regolamento [n. 883/2004] e l’articolo 60 del regolamento [n. 987/2009] ostino alle disposizioni di uno Stato membro ai sensi delle quali i lavoratori frontalieri non possono percepire un assegno familiare legato all’esercizio, da parte loro, di un’attività di lavoro subordinato in tale Stato membro per i minori collocati in affidamento presso di loro con decisione giudiziaria, mentre tutti i minori che siano stati collocati in affidamento con decisione giudiziaria e siano residenti in detto Stato membro hanno il diritto di percepire tale assegno, che è versato alla persona fisica o giuridica investita della custodia del minore e presso la quale il minore ha il domicilio legale e la residenza effettiva e continuativa. Se ai fini della risposta a detta questione rilevi il fatto che il lavoratore frontaliero provveda al mantenimento di tale minore».
21. FV, la CAE e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. La Corte ha deciso di non tenere alcuna udienza nella presente causa.
IV. Analisi
22. Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, in combinato disposto con l’articolo 67 del regolamento n. 883/2004 e con l’articolo 60 del regolamento n. 987/2009, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i lavoratori frontalieri non possono percepire un assegno familiare legato all’esercizio, da parte loro, di un’attività di lavoro subordinato in tale Stato membro per i minori collocati in affidamento presso di loro e di cui hanno la custodia, mentre i minori che siano stati collocati in affidamento giudiziario in detto Stato membro hanno il diritto di percepire tale assegno che viene erogato alla persona fisica o giuridica investita della loro custodia; il giudice del rinvio chiede poi se il fatto che il lavoratore frontaliero provveda al mantenimento del minore rilevi ai fini della risposta a detta questione.
23. Per quanto concerne la situazione oggetto del procedimento principale, ricordo che, con decisione del 7 febbraio 2017, la CAE, basandosi sugli articoli 269 e 270 del codice, ha dichiarato che FV non beneficiava più, con effetto retroattivo a decorrere dal 1° agosto 2016, degli assegni familiari per il minore FW, in quanto detto minore non aveva alcun legame di parentela con lui e non poteva, pertanto, essere considerato un familiare in applicazione dell’articolo 270 di tale codice (9). Infatti, come indicato dal giudice del rinvio, la situazione di un minore collocato con decisione giudiziaria in affidamento presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero non è prevista da detto codice e non dà, quindi, diritto a tale prestazione familiare (10).
24. Per quanto attiene alla normativa di cui trattasi, il giudice del rinvio spiega che un minore residente ha, in ogni caso, a titolo diretto, un diritto al pagamento delle prestazioni familiari (11). Per contro, per i minori non residenti, un siffatto diritto è previsto solo come diritto a titolo derivato per i «familiari» del lavoratore transfrontaliero, tra i quali non rientrano i minori collocati in affidamento nel nucleo familiare di un siffatto lavoratore con decisione giudiziaria (12). Detto giudice, riferendosi in particolare alla sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, desidera pertanto sapere se tale differenza di trattamento sia conforme al diritto dell’Unione. Infatti, da detta sentenza risulta che l’espressione «figlio di un lavoratore frontaliero» che può beneficiare indirettamente dei vantaggi sociali deve essere intesa nel senso che comprende anche il minore che ha un legame di parentela con il coniuge o il partner registrato del lavoratore interessato.
25. FV e la Commissione ritengono che le disposizioni controverse nel procedimento principale integrino una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità. Per contro, la CAE deduce che, nel caso di specie, il minore FW non ha alcun legame di parentela con il lavoratore frontaliero o con il suo coniuge. Essa sostiene, pertanto, che FV non può invocare il principio della parità di trattamento né direttamente e personalmente, né a titolo dei suoi familiari.
26. Per rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio, in primo luogo, esaminerò brevemente l’applicabilità dei regolamenti n. 883/2004 e n. 492/2011 a fatti come quelli oggetto del procedimento principale (sezione A); in secondo luogo, illustrerò la pertinente giurisprudenza della Corte sul principio di parità di trattamento nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori, riferendomi, in particolare, alla sentenza Caisse pour l’avenir des enfants (sezione B); in terzo luogo, affronterò la nozione di «familiare» ai fini della concessione di un assegno familiare (sezione C); in quarto luogo, mi soffermerò, alla luce della giurisprudenza, sull’interpretazione dell’articolo 45 TFUE, in combinato disposto, segnatamente, con i regolamenti n. 883/2004 e n. 492/2011, per stabilire se la normativa oggetto del procedimento principale integri una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, esaminando, in particolare, gli argomenti dedotti dalla CAE (sezione D) e, infine, in quinto e ultimo luogo, preciserò in che misura il fatto che il lavoratore frontaliero provveda al mantenimento del minore incida sulla risposta proposta (sezione E).
A. Sull’applicabilità dei regolamenti n. 883/2004 e 492/2011 a fatti come quelli oggetto del procedimento principale
27. Tenuto conto della copiosa giurisprudenza della Corte sulle prestazioni di sicurezza sociale e sui vantaggi sociali di cui possono beneficiare i lavoratori migranti e frontalieri per i loro figli (13) e, in particolare, del fatto che, nella sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, la Corte si è già pronunciata sull’applicabilità dei regolamenti n. 883/2004 e n. 492/2011 a un assegno familiare come quello oggetto del procedimento principale, affronterò solo brevemente tale questione (14).
28. Osservo, anzitutto, che, a norma dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004, un lavoratore, come FV, che, pur lavorando in Lussemburgo ed essendo, per tale ragione, soggetto alla normativa lussemburghese in materia di sicurezza sociale, risiede in Belgio (15), ricade nell’ambito di applicazione ratione personae del suddetto regolamento (16).
29. Per quanto attiene, inoltre, all’ambito di applicazione ratione materiae del regolamento n. 883/2004, nella sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, la Corte ha già dichiarato che un assegno familiare come quello previsto all’articolo 269, paragrafo 1, lettera a), del codice costituisce una prestazione di previdenza sociale, rientrante nelle prestazioni familiari ai sensi dell’articolo 1, lettera z), del regolamento di cui trattasi (17). Da un lato, la Corte ha precisato che un siffatto assegno familiare è versato per tutti i minori residenti in Lussemburgo nonché per tutti i figli dei lavoratori non residenti che abbiano un legame di filiazione con questi ultimi. Pertanto, tale prestazione viene concessa prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali, in base a una situazione definita per legge (18). Dall’altro, la Corte ha osservato che detta prestazione sembra rappresentare una contribuzione pubblica al bilancio familiare, destinata ad alleggerire gli oneri che derivano dal mantenimento dei figli (19).
30. Per quanto concerne, infine, il regolamento n. 492/2011 (20), la Corte ha ripetutamente ricordato come risulti dall’obiettivo di parità di trattamento perseguito dall’articolo 7, paragrafo 2, di tale regolamento che la nozione di «vantaggio sociale», estesa da tale disposizione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri, comprende tutti i vantaggi che, connessi o meno a un contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali, in ragione principalmente del loro status obiettivo di lavoratori o del semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri risulta, quindi, atta a facilitare la loro mobilità all’interno dell’Unione e, pertanto, la loro integrazione nello Stato membro ospitante (21).
31. È alla luce di questa nozione che la Corte ha anche stabilito che un assegno familiare legato all’esercizio di un’attività di lavoro subordinato da parte di un lavoratore frontaliero, come, nel caso di specie, FV, costituisce un vantaggio sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 (22).
32. Non vi è, quindi, alcun dubbio che un assegno familiare come quello considerato all’articolo 269, paragrafo 1, lettera a), del codice rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione quale prestazione familiare, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, e quale vantaggio sociale, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 (23).
B. Giurisprudenza della Corte
1. Breve rassegna della giurisprudenza relativa al principio di parità di trattamento nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori
33. Come sappiamo, l’articolo 45 TFUE assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. Detta libertà costituisce uno dei fondamenti dell’Unione. In particolare, il paragrafo 2 di tale articolo prevede che la libera circolazione dei lavoratori implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla cittadinanza, tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
34. Nella sentenza Kempf (24) la Corte ha evocato, per la prima volta, il principio secondo il quale le disposizioni che sanciscono la libera circolazione dei lavoratori devono essere interpretate estensivamente (25). Una siffatta interpretazione estensiva deriva dal fatto che la nozione di «lavoratore» – come quella di «attività subordinata» – determina il campo di applicazione di una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (26).
35. In tale contesto, secondo una giurisprudenza consolidata, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 costituisce l’espressione particolare, nel campo specifico della concessione di vantaggi sociali, della regola della parità di trattamento sancita dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e deve essere interpretato allo stesso modo di detta seconda disposizione (27). Così, i lavoratori che hanno già avuto accesso al mercato del lavoro, come nel caso di FV, possono pretendere, sulla base di detta prima disposizione, gli stessi vantaggi sociali dei lavoratori nazionali (28). Infatti, la Corte ha ripetutamente osservato che detta disposizione opera a favore, indifferentemente, tanto dei lavoratori migranti, quanto dei lavoratori frontalieri (29).
36. Inoltre, come ripetutamente ricordato dalla Corte, il principio di parità di trattamento sancito sia nell’articolo 45, paragrafo 2, TFUE sia nell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga di fatto al medesimo risultato (30).
37. In particolare, nella sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, al centro delle domande poste dal giudice del rinvio, la Corte ha dichiarato che il diritto dell’Unione osta a disposizioni di uno Stato membro in forza delle quali i lavoratori frontalieri possono percepire un assegno familiare connesso all’esercizio, da parte loro, di un’attività di lavoro dipendente in uno Stato membro solo per i propri figli e non per i figli del coniuge con i quali non hanno un legame di filiazione pur occupandosi del loro mantenimento, mentre tutti i minori residenti in detto Stato membro hanno diritto al percepimento di tale allocazione (31).
38. Come già indicato nella mia introduzione, si pone la questione se una siffatta risposta della Corte possa essere trasposta alla situazione di FV, oggetto del procedimento principale, vale a dire quella di un minore che è stato collocato in affidamento presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero con una decisione giudiziaria. Devo, quindi, esaminare se, alla luce dei principi fondamentali sviluppati dalla giurisprudenza della Corte e ricordati poco sopra, la normativa di cui trattasi possa generare una differenza di trattamento a danno dei lavoratori frontalieri che potrebbe integrare una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità.
39. Ciò premesso, tenuto conto delle differenze tra la situazione giuridica di un minore collocato in affidamento giudiziario e quella di minore con un legame di filiazione, anche adottiva, con uno o entrambi i genitori con cui vive, si pone una questione preliminare, vale a dire se la nozione di «familiare» debba, ai fini della concessione dell’assegno familiare di cui trattasi, comprendere anche un minore collocato in affidamento presso il nucleo familiare del lavoratore frontaliero.
40. Per le ragioni che illustrerò in prosieguo, sono persuaso che occorra rispondere in senso affermativo a tale domanda.
2. Sentenza Caisse pour l’avenir des enfants: nozione di «familiare»ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38
41. La questione se la nozione di «familiare» debba, ai fini della concessione dell’assegno familiare, comprendere anche un minore collocato in affidamento presso il nucleo familiare del lavoratore frontaliero assume rilievo nella misura in cui, nella sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, la Corte si è fondata sulla nozione di «familiare», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38 (32).
42. Diversamente dalla presente causa (33), nella controversia che ha dato luogo alla sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, il giudice del rinvio voleva sapere, con la sua seconda questione, se la definizione della nozione di «familiare» prevista all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 fosse applicabile all’assegno familiare di cui all’articolo 269, paragrafo 1, lettera a), del codice e, in caso di risposta affermativa, con la sua terza questione, se l’esclusione del figlio del coniuge dalla definizione della nozione di «familiare» di cui all’articolo 270 del codice costituisse una discriminazione indiretta.
43. Per rispondere alle suddette due questioni, la Corte si è fondata, segnatamente, sui punti 40 e 64 della sentenza Depesme e a., ricordando, da un lato, che i familiari di un lavoratore migrante sono beneficiari indiretti della parità di trattamento riconosciuta a detto lavoratore dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 e, dall’altro, che l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, di detto regolamento vanno interpretati nel senso che deve intendersi per figlio di un lavoratore frontaliero che può beneficiare indirettamente dei vantaggi sociali di cui a quest’ultima disposizione non solo il minore che ha un legame di filiazione con il lavoratore in parola, ma altresì il figlio del coniuge o del partner registrato del lavoratore suddetto, laddove quest’ultimo provveda al mantenimento di tale minore (34). Essa ha, quindi, dichiarato che la nozione di «familiare» del lavoratore frontaliero idoneo a beneficiare indirettamente del principio di parità di trattamento sancito dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, corrisponde a quella di «familiare» ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38, che comprende il coniuge o il partner con il quale il cittadino dell’Unione ha stipulato un vincolo di partenariato registrato (35).
44. Condivido tale conclusione. Ricordo che, a tal proposito, la Corte ha in particolare preso in considerazione, da un lato, l’evoluzione della normativa dell’Unione (36) e il fatto che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 si è limitato a riprendere, senza modifiche, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 e, dall’altro, il considerando 1, l’articolo 1 e l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2014/54. Queste ultime disposizioni corroborano la volontà del legislatore dell’Unione di riprendere, all’articolo 2 della direttiva 2004/38, la nozione di «familiare» come definita dalla giurisprudenza della Corte sul regolamento n. 1612/68, abrogato e sostituito dal regolamento n. 492/2011 (37).
45. Certamente, il fatto che, nella suddetta sentenza, la Corte si sia fondata sulla nozione di «familiare» ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38 potrebbe far pensare che detta circostanza impedisce di ritenere che la nozione di «familiare» possa, ai fini della concessione di un assegno familiare nel contesto della libera circolazione dei lavoratori, comprendere, segnatamente, un minore collocato in affidamento con decisione giudiziaria presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero.
46. Tuttavia, sono persuaso che non sia così per le ragioni che andrò a illustrare in prosieguo.
C. Sulla nozione di «familiare» nel contesto specifico della parità di trattamento dei lavoratori frontalieri
47. In primo luogo, come ho già osservato (38), contrariamente a quanto avvenuto nella causa che ha dato luogo alla sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, il giudice del rinvio non chiede alla Corte se, a norma dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38, occorra estendere l’ambito di applicazione dell’articolo 270 del codice ai minori collocati in affidamento con decisione giudiziaria. Detto giudice si limita a chiedere se, per quanto attiene al diritto agli assegni familiari di cui trattasi, la differenza di trattamento tra il minore non residente collocato in affidamento con decisione giudiziaria presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero e il minore residente in affidamento giudiziario sia conforme al diritto dell’Unione.
48. Il problema giuridico al centro della controversia principale non è, quindi, la possibilità di considerare i minori collocati in affidamento con decisione giudiziaria come «familiari» all’interno dell’ordinamento giuridico degli Stati membri, bensì il diritto alla libera circolazione e alla parità di trattamento di un lavoratore frontaliero. Orbene, benché gli aventi diritto alle prestazioni familiari siano determinati in conformità al diritto nazionale (39), resta il fatto che, come ripetutamente ricordato dalla Corte, nell’esercizio di detta competenza gli Stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione, nel caso di specie le disposizioni in materia di libera circolazione dei lavoratori (40).
49. In tale contesto, come ho già osservato (41), per individuare i «familiari» di un lavoratore, occorre ricordare che la libertà di circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione si fonda su un certo numero di principi, segnatamente quello della parità di trattamento. L’attuazione di questo principio nel settore della sicurezza sociale è peraltro garantita da una normativa dell’Unione fondata, in particolare, sul principio dell’unicità della legislazione applicabile in tale materia (42). È così che, al fine di garantire nel modo migliore la parità di trattamento di tutte le persone occupate nel territorio di uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, letto alla luce del suo considerando 8 (43), la persona che esercita, in particolare, un’attività subordinata in uno Stato membro è soggetta, di norma, alla legislazione di tale Stato membro e, conformemente a detto articolo, deve ivi godere delle stesse prestazioni alle stesse condizioni dei cittadini del medesimo Stato. La Corte ha ripetutamente dichiarato che i lavoratori, con i contributi fiscali e sociali che versano nello Stato membro ospitante per l’attività retribuita che esercitano, contribuiscono al finanziamento delle politiche sociali di detto Stato. Essi devono pertanto potersene avvalere alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali (44).
50. Nello stesso senso, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 prevede che il lavoratore di un altro Stato membro gode degli stessi vantaggi sociali dei lavoratori nazionali. Come ho già ricordato, queste due disposizioni concretizzano, nei loro rispettivi ambiti, il principio della parità di trattamento previsto all’articolo 45, paragrafo 2, TFUE che tutela i lavoratori interessati da qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, fondata sulla cittadinanza risultante dalle normative nazionali degli Stati membri e devono essere interpretate allo stesso modo di quest’ultima disposizione (45).
51. In secondo luogo, occorre tener conto del principio secondo il quale le disposizioni che sanciscono la libera circolazione dei lavoratori, che costituisce uno dei fondamenti dell’Unione, devono essere interpretate estensivamente (46). Ciò significa, a mio parere, che, nel contesto della parità di trattamento dei lavoratori, la nozione di «familiare» deve essere intesa in maniera estensiva, cosicché essa ricomprende anche, se del caso, persone diverse da quelle elencate nell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38, segnatamente un minore collocato stabilmente in affidamento sotto tutela legale mediante una decisione giudiziaria, quando tali persone sono in una situazione comparabile a quella di un minore previsto da tale disposizione (47).
52. A tal proposito, ricordo che il considerando 31 della direttiva 2004/38 enuncia che tale direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
53. Il principio del primato dell’interesse superiore del minore, sancito dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, è uno dei principi cardine dell’ordinamento giuridico dell’Unione (48). La Corte ha considerato detto principio come la lente attraverso la quale devono essere lette le disposizioni del diritto dell’Unione (49). Nella sua giurisprudenza, la Corte tiene conto anche dell’interesse dei minori a proseguire la loro vita familiare, tutelato dall’articolo 7 della Carta (50), che corrisponde all’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (51). Orbene, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo emerge che l’esistenza di una vita familiare di fatto tra i genitori affidatari e un minore collocato in affidamento presso il loro nucleo familiare deve tener conto di una serie di elementi, come il tempo trascorso insieme, la qualità dei rapporti e il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del minore (52).
54. Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio e dal fascicolo di cui la Corte dispone emergono i seguenti elementi. Anzitutto, con decisione giudiziaria di uno Stato membro, il Belgio, il minore FW è stato collocato in affidamento presso il nucleo familiare di FV e di sua moglie, coppia che ha due figli biologici in comune; poi, detto affidamento giudiziario ha carattere stabile, poiché il minore FW vive presso il nucleo familiare di FV dal 2005, vale a dire dalla sua primissima infanzia (53); inoltre, FV è investito della custodia del minore FW e provvede direttamente al suo mantenimento; infine, il minore FW ha il suo domicilio legale e la sua residenza effettiva e continuativa presso FV.
55. Questi elementi devono essere presi in considerazione dalle autorità competenti per determinare, previo esame dell’effettiva situazione familiare del lavoratore interessato, se il minore collocato presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero sia, di fatto, un «familiare» di detto lavoratore ai fini della concessione degli assegni familiari.
56. Infine, in terzo luogo, ricordo che dall’articolo 1, paragrafo 2, lettera d), del regolamento (UE) n. 2019/111 (54) emerge che il collocamento del minore in affidamento presso una famiglia affidataria rientra nel suo ambito di applicazione. Dall’articolo 30, paragrafo 1, di detto regolamento risulta altresì che le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento particolare. Pertanto, nel caso di specie, le competenti autorità lussemburghesi sono tenute a riconoscere una decisione giudiziaria di affidamento ai fini della concessione dell’assegno familiare di cui trattasi.
57. Tenuto conto di queste considerazioni, ritengo che, ai fini della concessione dell’assegno familiare, un minore collocato in affidamento con decisione giudiziaria presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero debba rientrare nella nozione di «familiare», posto che detta nozione comprende anche persone diverse da quelle elencate nell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38.
58. Occorre ancora esaminare se, alla luce dei principi fondamentali sviluppati dalla giurisprudenza della Corte e da me ricordati (55), la normativa di cui trattasi possa generare una differenza di trattamento a danno dei lavoratori frontalieri che potrebbe integrare una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità.
D. Se la normativa controversa costituisca una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011
1. Sulla differenza di trattamento fondata sulla residenza
59. Fondandosi sul punto 51 della sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, la CAE sostiene che, nella misura in cui un minore collocato in affidamento con decisione giudiziaria presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero non ha alcun legame di filiazione con detto lavoratore o con il suo coniuge, tale lavoratore non può invocare il principio di parità di trattamento per il minore di cui trattasi. A parere della CAE, la presente causa deve quindi essere distinta da quella che ha dato luogo alla sentenza succitata.
60. Non sono d’accordo. Benché le due cause possano, in una certa misura, essere distinte, ritengo che detta distinzione non riguardi, tuttavia, la comparabilità della situazione dei minori interessati sotto il profilo della concessione dell’assegno familiare di cui trattasi.
61. Anzitutto, è indubbiamente vero che la situazione dei minori oggetto di un affidamento giudiziario presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero è giuridicamente diversa da quella dei minori che hanno un legame di filiazione, anche adottiva, con uno o entrambi i genitori con cui vivono. Tuttavia, in linea con la giurisprudenza, sussiste una discriminazione quando norme diverse sono applicate a situazioni analoghe ovvero quando situazione diverse sono assoggettate alla medesima norma (56). Secondo una giurisprudenza consolidata, la comparabilità oggettiva dei due gruppi deve essere esaminata tenendo conto dell’obiettivo perseguito dalla normativa di cui trattasi (57). Come ho già osservato, l’assegno familiare di cui trattasi nel procedimento principale costituisce un vantaggio sociale che ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 (58), il quale vieta ogni forma indiretta di discriminazione.
62. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, una distinzione simile, in base alla residenza, che è idonea ad operare maggiormente a sfavore dei cittadini di altri Stati membri in quanto i non residenti sono più frequentemente cittadini non nazionali, costituisce una discriminazione indiretta fondata sulla cittadinanza, ammissibile soltanto a condizione di essere oggettivamente giustificata (59).
63. Per quanto attiene alla presente causa, ricordo che dalla decisione di rinvio risulta che, ai sensi dell’articolo 269, paragrafo 1, lettera a), del codice, tutti i minori che risiedono effettivamente e in maniera continuativa in Lussemburgo e che hanno ivi il proprio domicilio legale danno diritto all’assegno familiare. Nell’ambito di questa categoria di minori residenti, l’articolo 273, paragrafo 4, di detto codice prevede che, in caso di collocamento in affidamento con decisione giudiziaria, detto assegno è versato alla persona fisica o giuridica investita della custodia del minore e presso la quale detto minore ha il suo domicilio legale e la sua residenza effettiva e continuativa. Per contro, un minore collocato con decisione giudiziaria presso un lavoratore frontaliero e, quindi, non residente, che ne ha la custodia non dà diritto a detto assegno. Infatti, ai sensi dell’articolo 269, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 270 del codice, un lavoratore frontaliero ha diritto all’assegno familiare unicamente per i figli nati nel matrimonio, i figli nati fuori dal matrimonio e i figli da lui adottati.
64. Dalla normativa nazionale oggetto del procedimento principale emerge che tutti i minori residenti in Lussemburgo possono pretendere l’assegno familiare di cui trattasi, il che implica che tutti i minori che fanno parte della famiglia di un lavoratore residente in Lussemburgo possono pretendere detta allocazione, ivi compresi i minori collocati in affidamento presso il nucleo familiare di detto lavoratore con decisione giudiziaria. Per contro, i lavoratori non residenti non possono pretenderla per i minori collocati in affidamento presso i loro nuclei familiari con decisione giudiziaria e con cui non hanno alcun legame di filiazione.
65. Ritengo, pertanto, che la normativa di cui trattasi introduca due regimi differenti per quanto attiene al diritto all’assegno familiare a seconda che i minori risiedano o meno in Lussemburgo, instaurando così una differenza di trattamento fondata su un criterio di residenza e, quindi, vietata dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011. A mio avviso, una distinzione simile, in base alla residenza, in relazione alla concessione di un vantaggio sociale è idonea ad operare maggiormente a sfavore dei lavoratori frontalieri e costituisce, pertanto, una discriminazione indiretta fondata sulla cittadinanza, ammissibile soltanto a condizione di essere oggettivamente giustificata (60).
66. Per concludere, la Corte ha osservato che il fatto che il diritto a un assegno familiare come quello di cui al procedimento principale sia conferito direttamente dalla normativa nazionale oggetto del procedimento principale al minore residente in Lussemburgo, compresi i minori in affidamento giudiziario, mentre, per quanto riguarda i lavoratori non residenti, questo diritto è conferito al lavoratore frontaliero per i membri della sua famiglia come definiti da detta normativa, è inconferente al riguardo. Infatti, dalla giurisprudenza della Corte risulta che le prestazioni familiari non possono, per loro stessa natura, essere considerate come dovute ad un individuo a prescindere dalla sua situazione familiare (61).
2. Sulla giustificazione della discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori transfrontalieri
67. Da una giurisprudenza consolidata della Corte si evince che, per essere giustificata, una discriminazione indiretta dev’essere idonea a garantire il conseguimento di un obiettivo legittimo e non eccedere quanto necessario per il conseguimento di tale obiettivo (62).
68. Orbene, nel caso di specie, il giudice del rinvio non indica alcuna giustificazione e, fatte salve le verifiche che compete ad esso compiere, non ravviso alcun obiettivo legittimo che consenta di giustificare una discriminazione tra il minore in affidamento giudiziario nel territorio del Lussemburgo e il minore collocato in affidamento con una decisione giudiziaria presso il nucleo familiare di un lavoratore frontaliero.
69. Ritengo, quindi, che l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, in combinato disposto con l’articolo 67 del regolamento n. 883/2004 e con l’articolo 60 del regolamento n. 987/2009, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i lavoratori transfrontalieri non possono percepire un assegno familiare legato all’esercizio, da parte loro, di un’attività di lavoro subordinato in tale Stato membro per i minori collocati in affidamento presso di loro e di cui hanno la custodia, mentre i minori che siano stati collocati in affidamento giudiziario in detto Stato membro hanno il diritto di percepire tale assegno che viene erogato alla persona fisica o giuridica investita della custodia del minore.
E. Sull’incidenza, sulla risposta proposta, del fatto che il lavoratore frontaliero provvede al mantenimento del minore
70. Il giudice del rinvio desidera altresì sapere se il fatto che il lavoratore frontaliero provveda al mantenimento del minore incida sulla risposta alla questione pregiudiziale.
71. Devo osservare che, dal punto 50 della sentenza Caisse pour l’avenir des enfants, emerge che, per quanto attiene alla necessità che il lavoratore frontaliero provveda al mantenimento del minore, la Corte ha ritenuto che tale requisito debba altresì risultare da una situazione di fatto, che spetta all’amministrazione e, se del caso, ai giudici nazionali, verificare sulla base degli elementi di prova forniti dall’interessato, senza che gli stessi siano tenuti a stabilire le ragioni di detto sostegno né a quantificarne l’entità in modo preciso.
72. A tal proposito, mi sembra pertinente precisare che, come osservato correttamente dalla Commissione, detta condizione deve essere applicata con riferimento alla concessione di un assegno familiare a un lavoratore non residente unicamente se la normativa nazionale prevede una siffatta condizione per la concessione di tale assegno a una persona residente investita della custodia del minore che è collocato in affidamento presso il suo nucleo familiare e che ha, presso di esso, il proprio domicilio legale e la propria residenza effettiva e continuativa. Una conclusione diversa sarebbe contraria alla parità di trattamento tra i lavoratori non residenti ed i lavoratori residenti. Su questa linea, ritengo che l’eventuale condizione, secondo cui, ai fini della concessione di un assegno familiare, detto lavoratore frontaliero deve farsi carico interamente dei bisogni del minore collocato in affidamento non può essere ammessa se essa non si applica al residente investito della custodia del minore collocato in affidamento, poiché un’obbligazione di alimenti o l’eventuale partecipazione al mantenimento del minore da parte dei genitori biologici, se noti, non comporta di fatto la mancata partecipazione al mantenimento da parte del lavoratore frontaliero presso il quale il minore è collocato in affidamento. In ogni caso, la partecipazione al mantenimento di detto minore da parte dei genitori biologici può essere molto contenuta o inesistente, in ragione della loro situazione, spesso, precaria (63).
V. Conclusione
73. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sottoposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Lussemburgo) come segue:
L’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, letto alla luce dell’articolo 67 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e dell’articolo 60 del regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale,
devono essere interpretati nel senso che
essi ostano alla normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i lavoratori transfrontalieri non possono percepire un assegno familiare legato all’esercizio, da parte loro, di un’attività di lavoro subordinato in tale Stato membro per i minori collocati in affidamento presso di loro e di cui hanno la custodia, mentre i minori che sono stati collocati in affidamento giudiziario in detto Stato membro hanno il diritto di percepire tale assegno che viene erogato alla persona fisica o giuridica investita della custodia del minore. Un’eventuale condizione per la concessione di un assegno familiare a un lavoratore non residente, in base alla quale detto lavoratore deve farsi carico del mantenimento del minore, può essere applicata unicamente se la normativa nazionale prevede una siffatta condizione per la concessione di tale assegno a una persona residente investita della custodia del minore collocato in affidamento presso il suo nucleo familiare e che ha, presso di esso, il proprio domicilio legale e la propria residenza effettiva e continuativa.