Language of document : ECLI:EU:T:2004:367

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)
16 dicembre 2004 (1)

«Personale della Banca europea per gli investimenti – Ricevibilità – Condizioni di lavoro – Procedimento disciplinare – Sospensione – Licenziamento senza preavviso»

Nelle cause riunite T-120/01 e T-300/01,

Carlo De Nicola, residente a Roma, rappresentato dall'avv. L. Isola,

ricorrente,

contro

Banca europea per gli investimenti, rappresentata dal sig. C. Gómez de la Cruz e dal sig. F. Mantegazza, in qualità di agenti, assistiti dall'avv. C. Camilli, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

aventi ad oggetto, in sostanza, per quanto riguarda la causa T-120/01, da un lato, l'annullamento della lettera 6 marzo 2001 del direttore del servizio del personale della Banca europea per gli investimenti riguardante le condizioni di reintegrazione del ricorrente a seguito della sentenza del Tribunale 23 febbraio 2001, cause riunite T-7/98, T-208/98 e T-109/99, De Nicola/BEI (Racc. PI pagg. I-A-49 e II-185), e l'annullamento della decisione del presidente della Banca, in data 22 maggio 2001, di sospenderlo dalle sue funzioni e, dall'altro, una richiesta di risarcimento dei danni, e, per quanto riguarda la causa T‑300/01, da un lato, l'annullamento della decisione del presidente della Banca, in data 6 settembre 2001, di licenziare il ricorrente senza preavviso e senza indennità di cessazione dal servizio e, dall'altro, una richiesta di risarcimento dei danni,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),



composto dal sig. J. Azizi, presidente, dai sigg. Jaeger e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alle udienze del 15 ottobre 2003 e dell'11 febbraio 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Ambito normativo della controversia

1
Ai sensi degli artt. 9 e 266 CE, lo statuto della Banca europea per gli investimenti (in prosieguo: la «Banca») è fissato da un protocollo allegato al Trattato CE, di cui costituisce parte integrante.

2
L’art. 9, n. 3, lett. h), di tale Statuto dispone che il regolamento interno della Banca è approvato dal consiglio dei governatori. Tale regolamento è stato approvato il 4 dicembre 1958 e ha successivamente subìto diverse modifiche. L’art. 29 del medesimo dispone che i regolamenti relativi al personale della Banca sono stabiliti dal consiglio di amministrazione.

3
Il 20 aprile 1960, il consiglio di amministrazione ha adottato il regolamento del personale della Banca (in prosieguo: il «regolamento del personale»).

4
L’art. 8 del regolamento del personale impone ai dipendenti ed ex dipendenti della Banca di mantenere il segreto su qualsiasi fatto o notizia di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni. Ai sensi dell’art. 9 di tale regolamento, essi non possono, senza preventiva autorizzazione, comunicare o divulgare informazioni o documenti, pubblicare scritti o articoli, e tenere conferenze, concernenti la Banca o riferentisi alla sua attività.

5
L’art. 12 del regolamento del personale così dispone: «I dipendenti non possono, senza preventiva autorizzazione della Banca, deporre in giudizio, a qualsiasi titolo, in relazione a fatti o notizie soggetti all’obbligo del segreto previsto all’art. 8. Tale disposizione si applica anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro con la Banca. L’autorizzazione prevista al comma precedente è concessa nei casi in cui un diniego potrebbe provocare conseguenze penali per l’interessato. L’autorizzazione a deporre in giudizio non è necessaria quando un dipendente o ex-dipendente venga citato come teste avanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee in una causa fra la Banca e un suo dipendente o ex-dipendente».

6
Il regolamento del personale dispone, all’art. 13, che «i rapporti tra la Banca ed i suoi dipendenti sono, in linea di massima, regolati da contratti individuali nell’ambito del presente regolamento. Il regolamento fa parte integrante di detti contratti».

7
L’art. 38 del regolamento del personale prevede quanto segue:

«I dipendenti che non adempiano i loro obblighi sono passibili, a seconda dei casi, dei seguenti provvedimenti:

[…]

3)      Licenziamento per gravi motivi, senza preavviso, con o senza indennità di cessazione dal servizio; […].

I provvedimenti previsti a[l] punt[o] 3) […] sono adottati previo parere di una commissione paritetica, alle condizioni indicate all’art. 40. […]».

8
In forza dell’art. 39 del regolamento:

«[i]n caso di gravi motivi, atti a determinare un licenziamento senza preavviso, il Presidente può sospendere immediatamente l’interessato dalle sue funzioni, per un periodo massimo di tre mesi.

Lo stesso vale nel caso in cui un dipendente sia oggetto di un’azione penale che possa sfociare in una condanna, ovvero portare ad una pena afflittiva o infamante; in tal caso, la sospensione può essere prorogata fino alla decisione giudiziaria definitiva.

La sospensione dalle funzioni può accompagnarsi alla sospensione della retribuzione, salvo concessione di un aiuto da valutarsi in ragione dell’esistenza di persone a carico. Tale aiuto non può essere superiore ad un terzo della retribuzione dell’interessato.

L’eventuale licenziamento ha effetto a partire dal giorno della sospensione; l’interessato non è tenuto a restituire le somme da lui percepite a titolo di aiuto durante il periodo di sospensione».

9
Per quanto riguarda l’art. 40 del regolamento del personale, esso dispone quanto segue:

«La commissione paritetica prevista all’art. 38 è così composta: da un lato, il direttore della Direzione dell’Amministrazione generale, in qualità di presidente, che non prende parte al voto, il capo del personale e un direttore di una direzione diversa da quella a cui appartiene il dipendente interessato; dall’altro lato, due rappresentanti del personale di sua scelta; infine un segretario, che non partecipa né alle deliberazioni né al voto.

La commissione paritetica è investita della questione tramite comunicazione scritta del presidente al direttore della Direzione degli Affari generali; tale comunicazione è notificata contemporaneamente al dipendente interessato; quest’ultimo riceve, per iscritto, comunicazione degli addebiti che gli sono mossi almeno quindici giorni prima della data prevista per la riunione della commissione.

Il dipendente può, e, se lo richiede, deve, essere sentito dalla commissione dinanzi alla quale può farsi assistere da un consulente di sua scelta.

La commissione paritetica può, se ritiene di non essere sufficientemente informata sui fatti, procedere a un’inchiesta e sentire testimoni. Il dipendente ha anch’esso il diritto di citare testimoni.

La commissione delibera senza la presenza del dipendente interessato. Essa rimette al presidente della Banca un parere motivato, a cui ciascuno dei suoi membri può allegare il proprio parere; tali pareri sono contemporaneamente comunicati per iscritto all’interessato. Il presidente decide nei quindici giorni successivi alla consegna del parere motivato».

10
Peraltro, l’art. 41 del regolamento del personale così dispone: «Tutte le controversie di carattere individuale tra la Banca e i suoi dipendenti sono sottoposte alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Indipendentemente dall’azione intentata davanti alla Corte di giustizia, le controversie che non abbiano per oggetto l’applicazione di sanzioni [disciplinari] sono sottoposte, ai fini di amichevole composizione, a una commissione di conciliazione della Banca».

11
Il 25 marzo 1997, il comitato direttivo della Banca ha adottato un codice di condotta (in prosieguo: il «codice di condotta») che, come si desume dal suo tenore letterale, precisa le regole in materia di etica professionale e deve essere letto congiuntamente al regolamento del personale.


Fatti e procedimento

I – Precedenti e dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001

12
Per una descrizione dei fatti svoltisi sino alla proposizione dei ricorsi nelle cause T‑7/98, T‑208/98 e T‑109/99, si rimanda, sostanzialmente, ai punti 26-69 della sentenza 23 febbraio 2001, cause riunite T‑7/98, T‑208/98 e T‑109/99, De Nicola/BEI (Racc. PI pagg. I‑A-49 e II‑185; in prosieguo: la «sentenza 23 febbraio 2001»).

13
Nelle cause riunite T‑7/98 e T‑208/98 il ricorrente ha contestato i propri rapporti informativi annuali relativi agli anni 1996 e 1997 nonché le decisioni della Banca riguardanti le promozioni alla funzione D con riguardo ai suddetti esercizi. Ambedue i ricorsi sono stati respinti dal Tribunale in quanto infondati con sentenza 23 febbraio 2001.

14
A tal riguardo, il Tribunale ha, anzitutto, respinto l’argomentazione del ricorrente che asseriva di essere stato vittima di una mancanza di obiettività da parte dei suoi superiori gerarchici per aver denunciato presunti errori ed illeciti commessi dalla Banca e da taluni suoi dipendenti. Il giudice comunitario ha infatti rilevato l’assenza di indizi precisi e concordanti che permettessero di suffragare le tesi del ricorrente al riguardo (punti 181-195). Il Tribunale ha quindi respinto l’argomentazione del ricorrente secondo cui, alla fine dell’esercizio di valutazione annuale per il 1996 e di quello relativo al 1997, la Banca avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione in occasione dell’esame comparativo dei meriti, ovvero avrebbe violato il principio di parità di trattamento, omettendo di menzionare una proposta di promozione nel rapporto di valutazione del ricorrente per gli anni considerati e, successivamente, astenendosi dal promuoverlo (punti 196-231). Inoltre, pur avendo rilevato che taluni fatti addotti dal ricorrente denotavano un comportamento della convenuta incompatibile con il principio di buona amministrazione e con il dovere di sollecitudine, ed avendo quindi condannato la Banca a versare simbolicamente un euro al ricorrente a titolo di risarcimento per il danno così arrecatogli, il Tribunale ha tuttavia considerato che il complesso degli elementi dedotti dal ricorrente non consentiva di ritenere che le sue dimissioni fossero state oggettivamente provocate da un comportamento della convenuta mirante a screditarlo e a peggiorare deliberatamente le sue condizioni di lavoro. Infine, ai punti 342-351 della sentenza, il Tribunale ha parzialmente accolto le domande della convenuta volte a chiedere il ritiro dagli atti di causa di taluni documenti che erano stati prodotti dal ricorrente nel corso del procedimento. Il Tribunale ha infatti rilevato, da un lato, che il ricorrente non aveva dimostrato di avere acquisito regolarmente tali documenti e, dall’altro, che gli stessi risultavano irrilevanti ai fini della soluzione della controversia.

15
Per contro, nella causa T‑109/99, nella quale il ricorso mirava, sostanzialmente, ad ottenere la dichiarazione di nullità delle dimissioni, presentate dal ricorrente il 30 novembre 1998 e poi revocate con lettera del suo avvocato del 14 gennaio 1999, il Tribunale ha accolto il motivo principale dedotto dal ricorrente. Il Tribunale ha infatti rilevato che «al più tardi in occasione della revoca della dichiarazione di dimissioni da parte del ricorrente, la convenuta disponeva manifestamente di elementi di informazione sullo stato di salute di quest’ultimo e sui motivi di tale dichiarazione sufficienti per stabilire un nesso tra quest’ultima e i disturbi psichici da cui egli era affetto. Alla luce di queste informazioni, tali da sollevare seri dubbi sulla validità delle dimissioni, spettava alla convenuta, in forza del suo dovere di sollecitudine, riesaminare tutti gli elementi a sua disposizione. Tenuto conto di tali elementi, la convenuta non poteva ritenere in buona fede che tali dimissioni fossero valide. Di conseguenza essa era tenuta ad accettarne immediatamente la revoca, di modo che la sospensione del rapporto di lavoro è terminata al momento di tale revoca» (punto 314 della sentenza). Il Tribunale ha conseguentemente annullato la decisione del 2 febbraio 1999 con cui la convenuta aveva rifiutato di accettare la revoca della dichiarazione di dimissioni del ricorrente e ha condannato la Banca a versare al ricorrente gli arretrati delle retribuzioni non percepite a decorrere dalla revoca della sua dichiarazione di dimissioni, maggiorate degli interessi di mora al tasso del 6,75%.

II – Fatti successivi alla sentenza 23 febbraio 2001

16
Successivamente alla pronuncia della sentenza 23 febbraio 2001, il ricorrente comunicava alla Banca, con telefax 28 febbraio e 1° marzo 2001, di essere pronto a riprendere il servizio.

17
Dopo aver comunicato al ricorrente, con lettera 1° marzo 2001, che era stato temporaneamente dispensato dalla prestazione del servizio, il direttore del servizio del personale della Banca, con lettera del 6 marzo 2001, comunicava al ricorrente la sua reintegrazione nella funzione «E» e che, a decorrere dal 23 febbraio, lo stesso era assegnato al Credit Risk Department (in prosieguo: la «lettera 6 marzo 2001»). In tale lettera, veniva inoltre specificato che tali misure erano state adottate in via temporanea, senza pregiudizio dei diritti che la Banca si riservava di esercitare nei confronti del ricorrente, o di ogni ulteriore conclusione che la Banca avrebbe potuto trarre dalla sentenza. Inoltre, al terzo e al quarto capoverso della lettera, si sottolineava che, nell’ambito della sua nuova destinazione, il ricorrente era stato trasferito all’ufficio della Banca a Roma, ove avrebbe lavorato sotto la direzione del sig. Hackett, direttore del servizio, il quale sarebbe stato responsabile della sua presenza in ufficio. Veniva peraltro sottoposto all’attenzione del ricorrente che le condizioni generali del suo lavoro a Roma erano previste in allegato alla lettera medesima.

18
Con messaggio di posta elettronica del 12 marzo 2001 il direttore del Credit Risk Department trasmetteva al ricorrente un programma di lavoro. Il ricorrente rispondeva con messaggio di posta elettronica del 19 marzo 2001 accettando, sostanzialmente, gli incarichi assegnatigli, ma contestando le relative condizioni di lavoro che gli venivano imposte .

19
Successivamente, con lettera 22 maggio 2001, il presidente della Banca comunicava al ricorrente la propria decisione, adottata a norma dell’art. 39, primo comma, del regolamento del personale, di sospenderlo dalla sue funzioni «con effetto immediato, per un periodo massimo di tre mesi, che sarà impiegato per riunire la commissione paritetica di cui all’art. 38 del regolamento del personale, la quale dovrà pronunciarsi sul fascicolo nel suo complesso» (in prosieguo: la «decisione di sospensione»). Nella stessa lettera veniva inoltre precisato che, nel corso del periodo di sospensione, la retribuzione del ricorrente avrebbe continuato ad essere corrisposta, ma che quest’ultimo non avrebbe avuto accesso ai locali della Banca, salvo su convocazione espressa nell’ambito del procedimento disciplinare. Il presidente dichiarava che tale decisione era fondata sulla constatazione che la condotta tenuta dal ricorrente non era conforme al contegno che è lecito attendersi da un dipendente della Banca, che il comportamento dello stesso nei confronti di alcuni suoi colleghi nuoceva gravemente alla loro reputazione nonché a quella della Banca stessa e, infine, che il ricorrente aveva utilizzato informazioni riservate e si era appropriato senza averne diritto alcuni documenti di carattere riservato.

20
Con lettera 13 giugno 2001, il presidente della Banca comunicava al ricorrente, in conformità dell’art. 40, secondo comma, del regolamento del personale, l’elenco dei fatti contestatigli nell’ambito del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti. Si tratta, anzitutto, dell’irregolare acquisizione dei sei documenti di cui il Tribunale ha disposto il ritiro dagli atti di causa con sentenza 23 febbraio 2001 (punti 220 e 342‑348 della sentenza). Il presidente della Banca addebitava inoltre al ricorrente di aver divulgato, in assenza di qualsivoglia informazione e autorizzazione dei superiori gerarchici, informazioni riservate, messe abusivamente in relazione con la sua mancata promozione, presentandole in maniera tendenziosa, come asseritamente rivelatrici di situazioni ovvero di pratiche non professionali, se non reprensibili, da parte della Banca e di taluni suoi agenti. A tal riguardo, il presidente si riferiva, segnatamente, ad una lettera scritta dal ricorrente in data 11 febbraio 1999, intitolata «On the abuses of public money in the Community institutions» («Sugli abusi riguardanti i fondi pubblici nelle istituzioni comunitarie»), ad una relazione redatta dal ricorrente in data 16 aprile 1999, intitolata «Draft information on Possibile Fraud, Mismanagement and Cover up in the European Investment Bank» («Informazioni provvisorie su possibili episodi di frode, mala amministrazione e dissimulazione presso la Banca europea per gli investimenti»). Del pari, osservava che, secondo l’articolo pubblicato il 20 aprile 1999 sul giornale danese «Ekstra Bladet», intitolato «Inizialmente folle – quindi licenziato. Carlo De Nicola ha protestato contro la frode in seno all’Unione europea – una danese ha fatto la stessa cosa. Entrambi ancora non lavorano per la Banca», il ricorrente aveva trasmesso al detto giornale documenti riservati, tra i quali la menzionata relazione. Il presidente osservava peraltro che, il 14 febbraio 1999, un giornale scozzese, lo «Scotland on Sunday», aveva pubblicato un articolo intitolato «L’informatore della Banca europea costretto ad abbandonare le sue funzioni», dal quale emergeva che le osservazioni ivi contenute erano state divulgate dal ricorrente. Infine, il presidente della Banca menzionava una lettera scritta dal ricorrente, pubblicata il 5 marzo 1999 dal quotidiano italiano «Il Mondo» con il titolo «Eurocorruzione, attenti a generalizzare». Secondo il presidente della Banca, da tali svariati fatti emergerebbe che, appropriandosi illegittimamente documenti interni e strettamente riservati della Banca e divulgando al di fuori della Banca medesima documenti ed informazioni interne con modalità non autorizzate ed utilizzandoli a fini privati, il ricorrente aveva violato gli artt. 8, 9 e 12 del regolamento del personale, nonché gli artt. 1.4., terzo, quinto ed ottavo punto, e 2.1. del codice di condotta. Il presidente della Banca sottolineava, del pari, che l’utilizzazione delle dette informazioni da parte del ricorrente appariva tanto più grave alla luce della natura delicata del posto al quale era stato assegnato nonché dei compiti affidati alla Banca e concludeva che, con il suo comportamento, il ricorrente aveva violato molteplici disposizioni del regolamento del personale e del codice di condotta e che tali violazioni apparivano tali da costituire gravi motivi suscettibili di determinare il licenziamento ai sensi degli artt. 38 e 39 del regolamento del personale. Infine, invitava il ricorrente a indicargli i due rappresentanti del personale di sua scelta in seno alla commissione paritetica e precisava che la Banca era disposta a sentirlo in qualsiasi momento durante il periodo di sospensione, e anche prima che egli venisse sentito dalla commissione paritetica.

21
Con telefax 20 giugno 2001, il ricorrente comunicava alla Banca di non poter procedere alla designazione dei due rappresentanti del personale in seno alla commissione paritetica, ma chiedeva di essere ascoltato dalla commissione medesima.

22
Con telefax 22 giugno 2001, il ricorrente inviava alla Banca un certificato di malattia per un periodo di un mese e chiedeva che la commissione paritetica si riunisse dopo il 21 luglio 2001, per poter essere ascoltato dalla commissione stessa.

23
Con lettera 5 luglio 2001, il presidente della Banca rispondeva affermativamente alle richieste del ricorrente. Conseguentemente, fissava la data della detta riunione per il 23 luglio 2001. Inoltre, il presidente della Banca ricordava al ricorrente che il suo rifiuto di designare due rappresentanti del personale in seno alla commissione paritetica si poneva in contrasto con l’obbligo generale di leale cooperazione cui lo stesso era tenuto in quanto dipendente della Banca.

24
La commissione paritetica si riuniva, una prima volta, il 23 luglio 2001. Oltre al ricorrente, erano presenti a tale riunione il sig. Carpenter, quale presidente della detta commissione, i sigg. Verykios e Dufresne, quali rappresentanti della Banca in seno alla commissione, ed il sig. Pietilä, quale segretario della commissione. Per contro, i due rappresentanti del personale designati d’ufficio dal presidente della Banca si rifiutavano di partecipare alla commissione. Durante l’audizione, al ricorrente veniva consentito di dar lettura di una difesa scritta dalla quale risultava che egli respingeva tutte le accuse mosse nei suoi confronti. In sostanza, il ricorrente contestava il fatto che la lettera da lui scritta l’11 febbraio 1999 violasse il regolamento o il codice di comportamento della Banca, non riconosceva la conformità della relazione datata 16 aprile 1999 con quella da lui firmata, smentiva di aver fornito tale relazione al giornale danese «Ekstra Bladet» nonché di aver fornito informazioni circa i fatti avvenuti in seno alla Banca menzionati nell’articolo apparso sul giornale scozzese «Scotland on Sunday» e sosteneva che la sua lettera pubblicata il 5 marzo 1999 sul quotidiano italiano «Il Mondo» era stata scritta in termini generali e con spirito costruttivo.

25
La commissione paritetica si riuniva una seconda volta in data 25 luglio 2001 per deliberare sull’interpretazione dei fatti nonché dell’art. 40, secondo comma, del regolamento del personale. Considerato che il termine minimo di quindici giorni, garantito all’interessato in forza dello stesso art. 40 per predisporre la propria difesa, non era stato rispettato a causa del congedo per malattia chiesto dal ricorrente per il periodo compreso tra il 21 giugno e il 20 luglio 2001, la commissione paritetica decideva di tenere una nuova seduta il 29 agosto 2001 ed invitava il ricorrente a nominare due rappresentanti del personale.

26
La commissione paritetica si riuniva, infine, il 29 agosto 2001 in presenza dei sigg. Carpenter, Verykios, Dufresne e Pietilä. Il ricorrente nonché i due rappresentanti del personale di cui all’art. 40 del regolamento del personale non si presentavano alla detta riunione. Il 30 agosto 2001, la commissione paritetica emetteva un parere motivato all’unanimità dei presenti, rilevando che i fatti addebitati al ricorrente costituivano «un grave motivo di licenziamento, ai sensi dell’art. 38, primo comma, n. 3 del [regolamento del personale], senza il pagamento di un’indennità di cessazione dal servizio».

27
Con lettera 30 agosto 2001, notificata al ricorrente in data 3 settembre 2001, veniva comunicato al medesimo il parere emesso dalla commissione paritetica in esito alle sedute del 23 luglio e del 29 agosto 2001.

28
Il 5 settembre 2001 il presidente della Banca riceveva il ricorrente, al fine di sentirlo prima di decidere definitivamente nell’ambito del procedimento disciplinare a suo carico.

29
Con lettera 6 settembre 2001, notificata al ricorrente il 12 settembre 2001, il presidente della Banca comunicava al medesimo il suo licenziamento con effetto a partire dal giorno della sospensione dalle funzioni, ai sensi dell’art. 39, quarto comma, del regolamento del personale. La lettera così recita:

«Con lettera del 30 agosto 2001 Le è stata data comunicazione del parere emesso dalla commissione paritetica di cui all’art. 38 del regolamento del personale della Banca europea per gli investimenti, in esito alle riunioni del 23 luglio e del 29 agosto 2001.

Dall’esame complessivo dei documenti contenuti nel fascicolo, eseguito dalla detta commissione, nonché dalle osservazioni orali da Lei svolte dinanzi alla commissione medesima, sono emersi i seguenti fatti: Lei è risultato responsabile

1)      di avere diffuso, senza l’autorizzazione del suo superiore gerarchico, documenti della Banca di carattere interno e riservato, che si era irregolarmente appropriato;

2)      di avere divulgato all’esterno della Banca, senza avere l’autorizzazione dei Suoi superiori e senza averli previamente informati, fatti, informazioni e documenti a carattere interno e riservato;

3)      attraverso la diffusione di affermazioni diffamatorie o tendenziose, di avere adottato nei confronti di alcuni suoi colleghi un comportamento lesivo della reputazione di questi ultimi e di quella della Banca, nonché una condotta atta a offendere gravemente la dignità della funzione da Lei ricoperta, in violazione del dovere di lealtà, di collegialità e di rispetto reciproco impostiLe.

Tali fatti configurano le seguenti trasgressioni:

avendo diffuso, senza l’autorizzazione del Suo superiore gerarchico, documenti della Banca di carattere interno e riservato, e avendo divulgato all’esterno di questa istituzione, senza l’autorizzazione dei Suoi superiori e senza averli previamente informati, fatti, informazioni e documenti di carattere interno e riservato, nonché avendo utilizzato questi ultimi a fini privati, Lei ha violato gravemente e simultaneamente l’obbligo del segreto professionale (art. 8 del regolamento del personale), l’obbligo di riservatezza (art. 9 del regolamento del personale) e l’obbligo di previa autorizzazione a deporre in giudizio (art. 12 del regolamento del personale); è inoltre venuto meno agli obblighi derivanti dagli artt. 1.4, terzo, quinto e ottavo punto, e 2.1. del codice di condotta della Banca, nella parte in cui si riferiscono anch’essi ai citati articoli del regolamento;

essendosi appropriato in modo irregolare i detti documenti, a fini privati, e, avendo adottato, nei confronti di alcuni colleghi e della Banca, attraverso la diffusione di affermazioni diffamatorie o tendenziose, un comportamento lesivo della loro reputazione professionale o personale nonché di quella della Banca, Lei ha gravemente contravvenuto al Suo dovere di lealtà nei confronti di questa istituzione (artt. 1.2. e 1.4. del codice di condotta), all’obbligo di riservatezza e di moderazione, recando in tal modo offesa alla dignità della Sua funzione (art. 2.3. del codice di condotta), e venendo meno ai doveri di collegialità e di rispetto reciproco che reggono le relazioni tra colleghi (artt. 3.1. e 3.5. del codice di condotta).

In subordine, Lei ha parimenti violato l’obbligo di cooperare lealmente allo svolgimento del procedimento disciplinare, rifiutandosi di nominare i due rappresentanti del personale a norma dell’art. 40 del regolamento del personale.

L’insieme di questi comportamenti dimostra in maniera sufficiente che Lei ha tenuto in pubblico una condotta non conforme a ciò che è lecito attendersi da parte di un dipendente della Banca europea per gli investimenti e che, di conseguenza, costituisce una violazione dell’art. 1 del regolamento del personale della Banca.

Inoltre, tenuto conto, a titolo di circostanza aggravante, della natura delicata del posto cui era stato assegnato (art. 2.4.4. del codice di condotta), nonché del ruolo importante rivestito dalla Banca quale istituzione finanziaria della Comunità europea, che esige l’osservanza di una condotta irreprensibile da parte del proprio personale, ritengo che le Sue azioni, data la loro estrema gravità, abbiano compromesso irreparabilmente le relazioni di fiducia e di reciproco rispetto che costituiscono la base di ogni rapporto di collaborazione tra la direzione della Banca ed il personale, nonché le relazioni tra gli stessi membri del personale.

In considerazione di quanto precede, facendo seguito al parere unanime della commissione paritetica, ritengo che i fatti che Le vengono addebitati costituiscano un motivo grave, atto a determinare il licenziamento senza preavviso, ai sensi dell’art. 38, primo comma, punto 3, del regolamento del personale, e senza il pagamento di un’indennità di cessazione dal servizio.

Di conseguenza, Le comunico con la presente il Suo licenziamento che, ai sensi dell’art. 39, quarto comma, del regolamento del personale ha effetto a partire dal giorno in cui è stato sospeso dalle Sue funzioni […]».

30
Lo stesso giorno, il responsabile dell’ufficio della Banca a Roma, il sig. Hackett, informava oralmente il ricorrente della decisione presa dal presidente della Banca.

III – Procedimento

31
Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 giugno 2001 il ricorrente proponeva un ricorso diretto sostanzialmente ad ottenere, da un lato, l’annullamento della lettera 6 marzo 2001 e della decisione di sospensione e, dall’altro, il risarcimento dei danni (causa T‑120/01).

32
Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale in pari data, il ricorrente proponeva una domanda diretta, in sostanza, ad ottenere la sospensione dell’esecuzione della lettera 6 marzo 2001 e della decisione di sospensione (causa T‑120/01 R). Tale domanda veniva respinta con ordinanza del presidente del Tribunale 9 agosto 2001, causa T‑120/01 R, De Nicola/BEI (Racc. PI pagg. I‑A-171 e II‑783).

33
Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 luglio 2001, la convenuta sollevava, con riguardo al ricorso nella causa T‑120/01, un’eccezione di irricevibilità a norma dell’art. 114 del regolamento di procedura. Con ordinanza 26 novembre 2001 del presidente della terza sezione, l’esame dell’eccezione di irricevibilità veniva rinviata all’esame del merito della causa e le spese venivano riservate.

34
Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 dicembre 2001, il ricorrente proponeva un ricorso avente ad oggetto, segnatamente, l’annullamento della decisione di licenziamento, l’esecuzione della sentenza 23 febbraio 2001 ed il risarcimento del danno (causa T‑300/01).

35
Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 dicembre 2001, il ricorrente presentava una domanda volta, sostanzialmente, ad ottenere la sospensione dell’esecuzione della decisione di licenziamento e un provvedimento del Tribunale che ordinasse la sua reintegrazione provvisoria nel posto di lavoro e la ricostituzione della sua carriera professionale. Il ricorrente chiedeva, inoltre, l’adozione di misure istruttorie e l’assegnazione della causa al collegio del Tribunale (causa T‑300/01 R). Tali domande venivano respinte con ordinanza del presidente del Tribunale 29 aprile 2002 (causa T‑300/01 R, non pubblicata nella Raccolta). Quest’ultima ordinanza veniva confermata in sede di impugnazione, con ordinanza del presidente della Corte 25 luglio 2002, causa C‑198/02 P(R), De Nicola/BEI (non pubblicata nella Raccolta).

36
Su proposta del giudice relatore, il Tribunale convocava le parti ad una riunione informale al fine di intraprendere un tentativo di conciliazione nei procedimenti T‑120/01 e T‑300/01. Tale riunione si svolgeva il 12 maggio 2003. Non essendo riuscito il tentativo di conciliazione, le parti venivano informate della fissazione di un’udienza.

37
Con ordinanza 31 luglio 2003, il presidente della terza sezione del Tribunale disponeva la riunione delle cause T‑120/01 e T‑300/01 ai fini dell’udienza e della sentenza.

38
Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (terza sezione) decideva di avviare la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’art. 64 del regolamento di procedura, invitava le parti a depositare determinati documenti e a rispondere a taluni quesiti.

39
Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti posti dal Tribunale venivano sentite all’udienza del 15 ottobre 2003. In occasione di tale udienza, il Tribunale prendeva atto della volontà delle parti di tentare una composizione amichevole quanto alla parte della controversia relativa all’esecuzione della sentenza 23 febbraio 2001 e di comunicare al Tribunale i risultati di tale tentativo entro e non oltre il 10 novembre 2003.

40
La fase orale del procedimento si concludeva il 10 novembre 2003 con il deposito delle osservazioni delle parti in ordine all’esito di tale tentativo. In tali osservazioni, le parti informavano il Tribunale del fallimento delle trattative, precisando le loro posizioni con riguardo alla parte della controversia relativa all’esecuzione della sentenza 23 febbraio 2001 ed al versamento della retribuzione dovuta dal momento della reintegrazione del ricorrente, nel marzo 2001.

41
Alla luce di tali osservazioni, il Tribunale (terza sezione) decideva di riaprire la fase orale del procedimento e poneva alle parti taluni quesiti integrativi.

42
L’11 febbraio 2004 si svolgeva una nuova udienza, limitata a tale parte della controversia. Alla detta udienza si presentavano solo i rappresentanti della Banca, le cui difese orali venivano sentite.


Conclusioni

43
Nella causa T‑120/01 il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

annullare la lettera 6 marzo 2001 del direttore del personale della Banca nella parte in cui, al terzo capoverso, introduce un nuovo e non previsto tipo di sanzione, specificamente destinata a disciplinare il rapporto di lavoro del ricorrente;

annullare l’allegato alla lettera 6 marzo 2001, nella parte in cui, ai punti 1, 2, 4 e 5, stabilisce unilateralmente regole nuove, diverse e contrarie rispetto a quelle previste dal contratto di lavoro;

annullare la lettera 22 maggio 2001 con la quale il presidente della Banca ha sospeso il ricorrente da ogni funzione, con effetto immediato, per un periodo di tre mesi;

annullare l’art. 39 del regolamento del personale, nei limiti in cui consentirebbe di privare il dipendente di ogni funzione e dello stipendio, per un periodo massimo di tre mesi, senza la necessità dell’immediata e contestuale comunicazione dei fatti addebitati;

annullare tutti gli atti connessi conseguenti e presupposti ai provvedimenti impugnati;

dichiarare l’inapplicabilità del codice di condotta al ricorrente;

condannare la convenuta al risarcimento dei danni materiali e morali subiti dal ricorrente;

condannare la convenuta alle spese.

44
Nella causa T‑300/01, il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

accertare e dichiarare l’inesistenza e/o la nullità del licenziamento verbale comunicato al ricorrente dal sig. M. Hackett il 6 settembre 2001;

annullare la decisione del presidente della Banca in data 6 settembre 2001, notificata il 12 settembre 2001, di licenziamento del ricorrente;

accertare e dichiarare l’inapplicabilità al ricorrente e/o l’illegittimità degli artt. 8, 9, 12, 38, 39, 40, 41 e 44 del regolamento del personale;

accertare e dichiarare l’inapplicabilità al ricorrente del codice di condotta;

condannare la convenuta a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro, a ricostruire la sua carriera a decorrere dal febbraio 1999 e, se del caso, previa consulenza tecnica e nomina di un apposito commissario ad acta, condannarla a versare al ricorrente tutte le retribuzioni medio tempore maturate, rivalutate e maggiorate degli interessi al tasso annuo del 10%, al netto degli acconti ricevuti dal 6 marzo al 6 settembre 2001;

condannare la convenuta al risarcimento, da un lato, del danno materiale subito dal ricorrente, inteso come danno alla salute e come perdita della possibilità di far carriera e, dall’altro, al risarcimento del danno morale passato e futuro arrecato al ricorrente;

condannare la convenuta alla restituzione del bonus sugli interessi relativi al mutuo gravante sulla casa del ricorrente a Lussemburgo e alla concessione di un bonus analogo sugli interessi relativi al mutuo per la casa che il ricorrente ha acquistato a Roma;

ordinare alla convenuta di formulare le valutazioni annuali del ricorrente dal 1998 in avanti e di fissarne gli obiettivi per il futuro;

ordinare che siano tolte dal controricorso le parole «appropriazione di documenti riservati», che compaiono alla pag. 17, primo capoverso; «diffusione d’informazioni riservate e calunniose a carico della BEI e dei suoi funzionari», figuranti a pag. 29, ultimo e penultimo rigo; l’intero primo periodo della pag. 32; la parola «appropriazione» a pag. 34, quartultimo rigo, e altresì le parole «denigrazione sistematica», che compaiono al terzultimo e al penultimo rigo, e ogni altra parola che ecceda i limiti di una corretta e leale difesa;

respingere la domanda avente ad oggetto l’esclusione dei sei documenti il cui ritiro dagli atti è stato ordinato dal Tribunale con sentenza 23 febbraio 2001;

in subordine, previo annullamento del corrispondente articolo del regolamento del personale, dichiarare l’illegittimità del mancato versamento dell’indennità di cessazione dal servizio e condannare la BEI a pagarla;

condannare la convenuta alle spese.

45
Nella causa T‑120/01, la convenuta chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare irricevibile il ricorso, ovvero rigettarlo nel merito;

condannare il ricorrente alle spese, ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, vista la natura vessatoria del ricorso.

46
Nella causa T‑300/01, la convenuta conclude che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso irricevibile, ovvero rigettarlo nel merito;

ordinare l’esclusione dal fascicolo dei sei documenti di cui il Tribunale di primo grado ha ordinato il ritiro dagli atti di causa con sentenza 23 febbraio 2001;

condannare il ricorrente al pagamento delle spese, vista la natura vessatoria del ricorso, ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura.


In diritto

I – Sulla ricevibilità dei ricorsi

47
Sia nella causa T‑120/01, sia nella causa T‑300/01, la convenuta eccepisce l’irricevibilità del ricorso in ragione del mancato rispetto della procedura precontenziosa, da un lato, e del mancato deposito di un certificato di legittimazione da parte del difensore del ricorrente, dall’altro. All’udienza, la convenuta ha dichiarato, in risposta ad un quesito del Tribunale, di desistere da tale ultimo motivo.

48
Inoltre, nella causa T‑120/01, la convenuta deduce vari motivi, volti a dimostrare l’irricevibilità di specifiche domande formulate dal ricorrente nell’ambito della causa T‑120/01. In tal senso la convenuta deduce che il ricorrente non ha più interesse ad agire per l’annullamento della lettera 6 marzo 2001 e della decisione di sospensione. Essa sostiene, inoltre, che la domanda di annullamento dell’art. 39 del regolamento del personale è irricevibile, trattandosi di un atto di portata generale. La convenuta ritiene peraltro che non spetti al Tribunale dichiarare il codice di condotta inapplicabile al ricorrente. Infine, eccepisce l’irricevibilità della domanda di risarcimento in ragione, segnatamente, della sua imprecisione.

49
Ciò premesso, in questa fase occorre limitare l’esame al motivo relativo al mancato rispetto della procedura precontenziosa.

A – Argomenti delle parti

50
La convenuta eccepisce l’irricevibilità dei presenti ricorsi in quanto il ricorrente, prima di proporli dinanzi al Tribunale, non ha adito la commissione conciliatrice di cui all’art. 41 del regolamento del personale e/o rivolto all’amministrazione una petizione o un reclamo. Essa osserva, infatti, richiamandosi ai punti 96-107 della sentenza 23 febbraio 2001, che il principio dell’economia processuale e l’esigenza fondamentale di una corretta gestione dei rapporti di lavoro impongono una fase siffatta prima di avviare il procedimento dinanzi ai giudici comunitari. Essa d’altronde rileva che lo svolgimento di tale fase è previsto espressamente dagli artt. 90 e 91 dello Statuto del personale delle Comunità europee (in prosieguo: lo «Statuto del personale»), ed è comunemente previsto dalla generalità delle legislazioni del lavoro degli Stati membri (nell’ordinamento italiano, dagli artt. 410 e 410 bis del codice di procedura civile). La convenuta domanda peraltro al Tribunale di verificare se, nella specie, il ricorrente abbia rispettato le prescrizioni di cui agli artt. 90 e 91 dello Statuto del personale che, secondo costante giurisprudenza del Tribunale (sentenza 23 febbraio 2001, punto 100; sentenza del Tribunale 28 settembre 1999, causa T‑140/97, Hautem/BEI, Racc. PI pagg. I‑A-171 e II‑897, punto 77), sono applicabili al personale della Banca, ma in via subordinata rispetto alle disposizioni del regolamento del personale.

51
La convenuta ritiene, in subordine, che, ove il Tribunale ritenesse la procedura di conciliazione di natura facoltativa, i ricorsi in esame sarebbero comunque irricevibili, in quanto il ricorrente, prima di proporli, non ha rivolto alla Banca istanze, reclami o petizioni. Secondo la convenuta, un obbligo di procedere in tal senso risulta, segnatamente, dal disposto dell’art. 46, n. 2, del regolamento di procedura, che fa obbligo al convenuto di allegare al controricorso una copia del reclamo del dipendente.

52
Il ricorrente contesta l’asserzione secondo cui il fatto ch’egli non abbia instaurato la procedura di conciliazione prevista all’art. 40 del regolamento del personale prima di adire il Tribunale comporta automaticamente l’irricevibilità dei suoi ricorsi.

B – Giudizio del Tribunale

53
Dall’art. 41 del regolamento del personale emerge che «[i]ndipendentemente dall’azione intentata davanti alla Corte di giustizia, le controversie che non abbiano per oggetto l’applicazione di sanzioni previste dall’art. 38 sono sottoposte, ai fini di amichevole composizione, a una commissione di conciliazione della Banca».

54
Alla luce della chiara formulazione di tale disposizione il Tribunale, nella sentenza 23 febbraio 2001, ha affermato che «la ricevibilità di [un ricorso presentato da un dipendente della Banca dinanzi al Tribunale] non è affatto subordinata all’esaurimento di tale procedura amministrativa, come d’altra parte ha ammesso la convenuta in risposta ad un quesito del Tribunale» (punto 96 della sentenza; v., parimenti in tal senso, sentenza del Tribunale 17 giugno 2003, causa T‑385/00, Seiller/BEI, Racc. PI pagg. I‑A‑161 e II‑801, punti 50‑51, 65 e 73). D’altronde, risulta chiaramente da tale passo che, contrariamente a quanto suggerito dalla convenuta, tale affermazione del Tribunale si fonda solo in subordine sulla dichiarazione resa dall’avvocato della Banca nel corso dell’udienza relativa alle cause T‑7/98, T‑208/98 e T‑109/99. Tale affermazione si basa, in primo luogo, sul tenore letterale dell’art. 41 del regolamento del personale.

55
È pur vero che, in linea di principio, l’esperimento di una fase procedimentale precontenziosa prima di adire il giudice competente può risultare opportuno in virtù, segnatamente, del principio di economia processuale e al fine di garantire una corretta gestione dei rapporti di lavoro. In tal senso, occorre riconoscere che il procedimento di conciliazione previsto all’art. 41 del regolamento del personale persegue il medesimo obiettivo della fase precontenziosa obbligatoria del procedimento istituita dall’art. 90 dello Statuto del personale, vale a dire consentire la composizione amichevole delle controversie, conferendo all’amministrazione la possibilità di rivedere l’atto contestato e al dipendente interessato la facoltà di accettare la motivazione su cui si fonda tale atto e di rinunciare, eventualmente, a proporre ricorso (con riguardo alla fase precontenziosa del procedimento statutario, v. sentenza della Corte 14 marzo 1989, causa 133/88, Del Amo Martinez/Parlamento, Racc. pag. 689, punto 9).

56
Tali elementi, di per sé, non possono tuttavia alterare la conclusione secondo cui la Banca, che è l’unico organo competente a definire i requisiti di ricevibilità dei ricorsi proposti dai suoi dipendenti (sentenza 23 febbraio 2001, punto 95), non ha previsto l’obbligo, per questi ultimi, di presentare un reclamo alla Banca stessa ovvero di fare uso dei procedimenti di risoluzione interna delle controversie prima di adire il Tribunale.

57
In linea generale occorre ricordare, infatti, che, escludendo l’applicazione dell’art. 283 CE, il quale conferisce al Consiglio la competenza di stabilire lo Statuto del personale e il regime applicabile agli altri agenti delle Comunità, lo statuto della Banca attribuisce a quest’ultima un’autonomia funzionale per la determinazione del regime applicabile ai suoi dipendenti (sentenza 23 febbraio 2001, punti 90 e 91). Nell’esercizio di tale competenza, la Banca ha optato per un regime di natura contrattuale piuttosto che statutaria (sentenza della Corte 15 giugno 1976, causa 110/75, Mills/BEI, Racc. pag. 955, punto 22). È pertanto escluso che le disposizioni dello Statuto del personale possano essere applicate, in quanto tali, ai rapporti di lavoro tra la Banca ed i suoi dipendenti.

58
Cionondimeno, in un certo numero di decisioni, il Tribunale ha preso spunto dalle condizioni relative ai termini di ricorso stabilite dagli artt. 90 e 91 dello Statuto del personale al fine di colmare una lacuna nel regime contenzioso applicabile al personale della Banca, rivelatasi incompatibile con il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (v., segnatamente, sentenza 23 febbraio 2001, punto 101, e sentenza del Tribunale 6 marzo 2001, causa T‑192/99, Dunnett e a./BEI, Racc. PI pagg. I‑A-65 e II‑313; Racc pag. II‑813, punto 54). Del pari, occorre ricordare che, nella sentenza 28 settembre 1999, causa T‑140/97, Hautem/BEI (Racc. PI pagg. I‑A-171 e II‑897), il Tribunale ha applicato per analogia l’art. 91, n. 1, dello Statuto del personale al fine di fondare la propria competenza anche di merito nelle controversie di carattere pecuniario tra la Banca e i suoi agenti (punto 77 della sentenza). Tale valutazione, d’altronde, è stata confermata dalla Corte nella sentenza che ha respinto il ricorso della Banca avverso la detta decisione (sentenza della Corte 2 ottobre 2001, causa C‑449/99 P, BEI/Hautem, Racc. pag. I‑6733, punti 90-98).

59
Tale valutazione non viene rimessa in discussione per il fatto che l’art. 46, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale prevede che «[n]elle controversie tra le Comunità e i loro dipendenti il controricorso dev’essere corredato del reclamo ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto del personale e della decisione di rigetto con l’indicazione delle date di proposizione e di notifica». Infatti, come risulta chiaramente dal tenore letterale di tale disposizione, un siffatto obbligo è previsto unicamente quando la fase contenziosa del procedimento sia preceduta da una procedura precontenziosa di reclamo ai sensi dello Statuto. In caso contrario, come può verificarsi nelle controversie tra la Banca e i suoi dipendenti nelle quali il ricorso ad una siffatta procedura è facoltativo, tale obbligo non trova applicazione.

60
Infine, è parimenti erronea la tesi della convenuta secondo cui il ricorrente avrebbe dovuto proporre petizioni e/o reclami preliminarmente alla proposizione del proprio ricorso dinanzi al Tribunale. Infatti, nessuna disposizione regolamentare emanata dalla Banca subordina la proposizione di un ricorso dinanzi al Tribunale a siffatti adempimenti amministrativi.

61
Alla luce delle suesposte considerazioni, il presente motivo di irricevibilità deve essere respinto in quanto infondato.

II – Sul merito

A – Sulle domande nella causa T‑120/01

1. Sulla domanda di annullamento della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato

a) Sulla ricevibilità della domanda

Argomenti della parti

62
La convenuta sostiene che il ricorrente non ha più interesse ad agire per l’annullamento della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato in quanto, a seguito dell’adozione della decisione di sospensione del 22 maggio 2001 e, a maggior ragione, della decisione di licenziamento del 6 settembre 2001, gli effetti puramente temporanei dei provvedimenti contenuti nella lettera 6 marzo 2001 e nell’allegato sono venuti a cessare. Infatti, anche se, per ipotesi, il Tribunale annullasse la decisione di sospensione e/o quella di licenziamento, non vi sarebbe alcun dubbio, secondo la convenuta, che l’assegnazione del ricorrente agli uffici della Banca in Roma avrebbe ormai esaurito i suoi effetti e che la Banca dovrebbe assegnare al ricorrente nuove mansioni. La convenuta sottolinea poi che, secondo costante giurisprudenza, non spetta al giudice comunitario rivolgere ingiunzioni alle istituzioni (v., in particolare, punto 318 della sentenza 23 febbraio 2001), per cui la domanda del ricorrente diretta ad ottenere una pronuncia che determini le regole da applicare al futuro svolgimento del rapporto di lavoro è irricevibile.

63
Il ricorrente contesta l’affermazione secondo cui egli non avrebbe un interesse ad agire per l’annullamento della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato.

Giudizio del Tribunale

64
Secondo costante giurisprudenza, l’interesse ad agire costituisce un presupposto indispensabile per la ricevibilità del ricorso proposto da agenti e dipendenti delle istituzioni (v., segnatamente, sentenza del Tribunale 24 aprile 2001, causa T‑159/98, Torre e a./Commissione, Racc PI pagg. I‑A-83 e II‑395, punto 28). Tale condizione si applica anche ai ricorsi proposti dagli agenti della Banca (v., in tal senso, sentenza 23 febbraio 2001, punto 127).

65
Nella specie, si deve rilevare che, a decorrere dall’adozione della decisione di sospensione, la lettera 6 marzo 2001, in realtà, non ha più prodotto effetti sulla situazione giuridica e lavorativa del ricorrente in quanto, per effetto della detta sospensione, quest’ultimo per un periodo determinato non poteva più fornire prestazioni lavorative. Il medesimo rilievo si impone con riguardo alla decisione di licenziamento che ha definitivamente messo fine al rapporto di lavoro.

66
Occorre tuttavia rilevare che, nell’ipotesi di eventuale annullamento delle decisioni di sospensione e di licenziamento, i provvedimenti previsti nella lettera 6 marzo 2001 tornerebbero ad essere efficaci. Tale conclusione non è inficiata dalla circostanza che, come emerge dalla menzionata lettera, i provvedimenti ivi previsti con riguardo alla riassegnazione del ricorrente sono di natura temporanea e non pregiudicano qualsivoglia altro diritto che la Banca ritenesse di dover esercitare nonché ogni altra conclusione alla quale essa potrebbe pervenire alla luce della sentenza 23 febbraio 2001. Infatti, se le decisioni di sospensione e di licenziamento dovessero essere annullate, tali provvedimenti riprenderebbero la loro efficacia temporanea sino all’adozione di nuovi provvedimenti da parte della convenuta.

67
Ne consegue che il ricorrente mantiene un interesse ad agire per l’annullamento della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato.

68
Ciò premesso, la domanda di annullamento della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato è ricevibile.

b) Sul merito

Sul motivo relativo alla modifica unilaterale delle condizioni di lavoro

– Argomenti delle parti

69
Il ricorrente sostiene che, con la lettera 6 marzo 2001 ed il relativo allegato, la convenuta ha unilateralmente modificato le sue condizioni di lavoro. Egli rileva, infatti, che dal terzo capoverso della lettera risulta che le condizioni generali relative al suo rapporto di lavoro presso la sede di Roma della Banca sono disciplinate dalle disposizioni contenute in allegato a tale lettera. Orbene, a suo avviso, alcune di tali disposizioni modificano e alterano il suo rapporto di lavoro con la Banca. In primo luogo, egli osserva che il punto 1 dell’allegato, in cui è previsto che egli ha facoltà di lavorare dalla propria abitazione, può essere interpretato soltanto nel senso che la convenuta è legittimata a considerarlo alla stregua di un lavoratore extra muros o a domicilio. Secondo il ricorrente, tale interpretazione trova conferma nella precisazione che figura nel quarto capoverso della suddetta lettera, secondo cui il sig. Hackett, superiore gerarchico del ricorrente, sarà responsabile dell’organizzazione della sua presenza in ufficio. In secondo luogo, il ricorrente sottolinea che dal punto 2 dell’allegato risulta che gli verranno assegnati unicamente compiti non operativi e mai compiti di altro tipo, il che costituisce una forte limitazione del suo diritto alle pari opportunità, all’accrescimento professionale e alle normali aspirazioni di carriera. In terzo luogo, egli osserva che il punto 4 dell’allegato, in cui gli viene posto il divieto di avere contatti con persone che abbiano avuto, hanno o avranno rapporti di affari con la Banca senza il consenso esplicito di quest’ultima, rappresenta una forma di censura inaccettabile, in quanto, da un lato, egli è nell’impossibilità di rendersi conto se una persona possa intrattenere rapporti con la Banca e, dall’altro, può rivelarsi impraticabile ottenere il consenso della Banca prima di ogni contatto.

70
Il ricorrente ritiene illegittima tale modificazione unilaterale delle sue condizioni di lavoro presso la Banca.

71
Egli rileva, infatti, che il suo rapporto di lavoro con la Banca è regolato unicamente dalle disposizioni accettate al momento dell’assunzione, nel 1991, vale a dire, da un lato, dal contratto di lavoro firmato in tale occasione e, dall’altro, dal regolamento del personale all’epoca vigente. A suo avviso, tali norme possono essere modificate soltanto dalla concorde volontà di entrambe le parti e non, come nella fattispecie, con decisione unilaterale di una di esse, atteso che il lavoratore non ha concesso al datore di lavoro alcuna delega in tal senso. Secondo il ricorrente, la modifica unilaterale di tali norme costituisce pertanto una violazione del contratto di lavoro, del regolamento del personale, del codice di condotta (qualora applicabile), della Carta dei diritti fondamentali e dei principi generali di diritto comunitario. Egli sostiene, d’altra parte, che il rinvio al regolamento del personale figurante nell’atto di assunzione sarebbe di ordine statico e non dinamico, cioè limitato alle norme regolamentari vigenti al momento della sottoscrizione dell’atto, con esclusione di tutte le modifiche successive del regolamento medesimo, e questo sino alla sottoscrizione di un nuovo contratto contenente un nuovo rinvio statico.

72
Il ricorrente fa valere che la sua tesi circa il carattere statico del rinvio al regolamento del personale trova conferma nella circostanza che la convenuta fa firmare ai propri dipendenti una nuova lettera di assunzione ad ogni avanzamento di carriera. Inoltre, pur ammettendo la possibilità prevista in alcuni Stati membri di integrare e modificare i contratti di lavoro di diritto privato per mezzo di contratti collettivi (v., nell’ordinamento italiano, la possibilità prevista all’art. 2067 e segg. del codice civile italiano), il ricorrente pone in evidenza che tale facoltà è subordinata almeno a tre condizioni, vale a dire: in primo luogo, che il contratto collettivo preveda norme più favorevoli per il lavoratore; in secondo luogo, che il contratto collettivo sia concordato e sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi e, infine, che il lavoratore sia iscritto ad uno di questi sindacati oppure accetti tacitamente la nuova normativa. Orbene, secondo il ricorrente, nessuna di queste tre condizioni è soddisfatta nella fattispecie.

73
Inoltre, il ricorrente contesta l’argomento dedotto dalla convenuta a proposito della natura temporanea del provvedimento in questione. Egli sottolinea, infatti, che tale temporaneità è riferita unicamente alla sua reintegrazione e all’assegnazione al Credit Risk Department. Invece, a suo avviso, deve escludersi qualunque temporaneità con riguardo alle condizioni di lavoro imposte con la lettera 6 marzo 2001, considerato che, da un lato, nell’allegato non si fa menzione della natura temporanea del provvedimento e, dall’altro, trattandosi di condizioni generali di lavoro, devono presumersi dotate di una certa stabilità.

74
La convenuta contesta di avere unilateralmente modificato le condizioni di lavoro del ricorrente con la lettera 6 marzo 2001 ed il relativo allegato.

– Giudizio del Tribunale

75
Con lettera 6 marzo 2001, il direttore del servizio del personale della Banca ha comunicato al ricorrente che quest’ultimo era stato reintegrato, a seguito della sentenza 23 febbraio 2001, nella funzione E e che, da tale data, lo stesso era assegnato al Credit Risk Department e trasferito preso la sede di Roma della Banca. In tale lettera, il direttore del servizio del personale specificava, inoltre, che tali disposizioni erano state adottate in via temporanea, senza pregiudizio dei diritti che la Banca si riservava di esercitare nei confronti del ricorrente, o di ogni ulteriore conclusione che la Banca avrebbe potuto trarre dalla sentenza. Egli sottolineava, inoltre, che le condizioni generali di lavoro del ricorrente a Roma erano indicate in allegato alla lettera. In tale allegato si afferma, in sostanza, che il ricorrente sarebbe stato assegnato all’ufficio della Banca situato in via Sardegna avendo, previa autorizzazione, la possibilità di lavorare dal proprio domicilio (punto 1), che gli sarebbero stati affidati incarichi non operativi adeguati alle sue qualifiche e alla sua esperienza (punto 2), che avrebbe goduto dei privilegi generalmente spettanti al personale della Banca (punto 3), che non avrebbe instaurato alcun contatto con interlocutori situati al di fuori della Banca o che con la Banca abbiano avuto – ovvero possano avere in futuro – relazioni d’affari senza il consenso esplicito di quest’ultima (che dovrà essere accordato caso per caso) (punto 4) e, infine, che sarebbe stato sottoposto alla disciplina normalmente applicabile al personale (ivi compreso il codice di condotta) e, in particolare, alle regole in materia di riservatezza (punto 5).

76
Secondo il ricorrente la detta lettera sarebbe illegittima in quanto, adottando tale atto, la Banca avrebbe modificato unilateralmente le sue condizioni di lavoro.

77
A tal riguardo occorre osservare, in via preliminare, che la lettera 6 marzo 2001, nel prevedere la reintegrazione del ricorrente nella categoria «personale di concetto», «funzione E», alla quale egli apparteneva precedentemente, costituisce un provvedimento di esecuzione conforme al punto 1 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001. Quanto al trasferimento del ricorrente all’ufficio della Banca a Roma, si tratta di una decisione presa di concerto con quest’ultimo.

78
Occorre inoltre rilevare che i provvedimenti previsti nella lettera 6 marzo 2001 e nel suo allegato sono di natura temporanea. D’altronde, a torto il ricorrente tenta di contestare tale natura temporanea rilevando che in nessun punto dell’allegato alla lettera 6 marzo 2001 si fa riferimento alla natura temporanea. È sufficiente rilevare, infatti, che l’allegato in questione accompagna la lettera 6 marzo 2001 e non costituisce un documento autonomo. Pertanto, se il direttore del servizio del personale della Banca precisa, nella lettera, che i provvedimenti nella stessa previsti sono di natura temporanea, ciò vale, del pari, per i provvedimenti allegati alla lettera.

79
Inoltre, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, non vi è alcun passo della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato che consenta di concludere che, con tale atto, la convenuta abbia inteso modificare le condizioni di lavoro del ricorrente. Al contrario, dal tenore letterale della lettera emerge che con essa si intendeva informare il ricorrente circa le modalità pratiche del suo lavoro a Roma. Del pari, si deve rilevare che, se è pur vero che l’ultima frase del terzo capoverso della lettera nonché il titolo del relativo allegato possono creare confusione al riguardo, tuttavia, a termini del punto 5 dell’allegato, il ricorrente resta assoggettato alle regole normalmente applicabili a tutti i dipendenti della Banca.

80
Deve parimenti osservarsi che, ad esclusione del trasferimento all’ufficio di Roma, che riguarda il luogo di esecuzione del rapporto di lavoro, i provvedimenti previsti nell’allegato non vertono su elementi essenziali del detto rapporto nel senso in cui tale nozione viene interpretata, segnatamente, nell’art. 2 della direttiva del Consiglio 14 ottobre 1991, 91/533/CEE, relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro (GU L 288, pag. 32). Si tratta, infatti, rispettivamente, della possibilità di lavorare a domicilio (punto 1, seconda frase), dell’assegnazione di nuovi incarichi al ricorrente (punto 2), della determinazione dei privilegi di cui il ricorrente potrà disporre (punto 3) e dell’instaurazione di un regime di previa autorizzazione per i contatti con terzi (punto 4).

81
Peraltro, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale, la convenuta ha confermato che nel marzo 2001 non esistevano condizioni di lavoro adottate dalla banca relative, in particolare, alle modalità di cui all’allegato alla lettera 6 marzo 2001 e che, pertanto, sarebbero state modificate dal detto allegato. Nemmeno il ricorrente ha dimostrato che ciò sarebbe avvenuto.

82
Dalle suesposte considerazioni risulta che la lettera 6 marzo 2001, ivi compreso il relativo allegato, non ha modificato le condizioni di lavoro del ricorrente, quali previste dal contratto di assunzione sottoscritto da quest’ultimo e dalle condizioni generali di lavoro fissate dalla convenuta in forza dei propri poteri regolamentari.

83
Tale lettera contiene, invece, una serie di provvedimenti di natura temporanea presi dalla convenuta per conformarsi in tempo utile al dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001.

84
Tali provvedimenti sono stati adottati nell’ambito dell’ampio potere discrezionale di cui la convenuta dispone, al pari delle altre istituzioni e degli altri organismi comunitari, nell’organizzazione dei suoi servizi e nell’assegnazione del suo personale al fine di svolgere i compiti di interesse pubblico ad essa affidati (v., analogamente, sentenze del Tribunale 16 dicembre 1993, causa T‑80/92, Turner/Commissione, Racc. pag. II‑1465, punto 53 ; 22 ottobre 2002, cause riunite T‑178/00 e T‑341/00, Pflugradt/BCE, Racc. pag. II‑4035, punto 54 ; v. anche ordinanza del presidente del Tribunale 9 agosto 2001, causa T‑120/01 R, De Nicola/BEI, Racc. PI pagg. I‑A-171 e II‑783, punto 28).

85
L’ampiezza di tale potere discrezionale implica che l’applicazione dei provvedimenti adottati in tale contesto dalla convenuta non può essere subordinata al consenso dei dipendenti interessati. Tale condizione, infatti, «si risolverebbe (…) nel limitare in modo inaccettabile la libertà di disposizione delle istituzioni nell’organizzazione dei loro servizi e nell’adattamento di detta organizzazione alle mutate esigenze» (v., analogamente, sentenza della Corte 24 febbraio 1981, cause riunite 161/80 e 162/80, Carbognani e a./Commissione, Racc. pag. 543, punto 28 ; sentenza del Tribunale 17 luglio 1998, causa T‑28/97, Hubert/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-435 e II‑1255, punto 76).

86
Inoltre, essa ha come conseguenza che il sindacato da parte del giudice comunitario della legittimità di tali provvedimenti deve limitarsi ad accertare che la convenuta non abbia travalicato i limiti ragionevoli delle esigenze del servizio e non si sia avvalsa del suo potere discrezionale in modo manifestamente errato (v., segnatamente, sentenza Turner/Commissione, punto 84 supra, punto 53, e sentenza del Tribunale 16 dicembre 1999, causa T‑143/98, Cendrowicz/Commission, Racc. PI pagg. I‑A-273 e II‑1341, punto 23).

87
È alla luce di tali principi che occorre esaminare gli argomenti del ricorrente volti a contestare la legittimità dei punti 1, 2, 4 e 5 dell’allegato alla lettera 6 marzo 2001.

88
A tal riguardo occorre sottolineare, in primo luogo, che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, la seconda frase del punto 1 dell’allegato alla lettera 6 marzo 2001 non può essere interpretata nel senso che la convenuta intenda renderlo un lavoratore a domicilio. Dal passo controverso del punto 1 dell’allegato, ai sensi del quale «[p]revia autorizzazione, il sig. De Nicola può anche lavorare dal proprio domicilio» emerge, infatti, che il ricorrente ha la possibilità, e non l’obbligo, di lavorare a domicilio. D’altronde, erroneamente il ricorrente fa valere, in tale contesto, che la penultima frase della lettera 6 marzo 2001 conferma la sua tesi circa la portata del punto 1 dell’allegato. Tale frase, infatti, si limita a precisare che il capo dell’ufficio di Roma sarebbe stato responsabile dell’organizzazione della presenza del ricorrente in ufficio. Essa non prevede che questi abbia l’obbligo di lavorare al proprio domicilio.

89
In secondo luogo, con riguardo all’assegnazione di compiti non operativi previsti al punto 2 dell’allegato, occorre rilevare che, come correttamente sottolineato dalla convenuta senza essere contestata dal ricorrente, i compiti non operativi hanno valore equivalente ai compiti operativi. Il ricorrente, inoltre, non ha dimostrato che, attribuendogli compiti non operativi, la convenuta avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione ovvero avrebbe travalicato i limiti della ragionevolezza nel perseguimento dell’interesse del servizio. Occorre peraltro osservare che, con messaggio di posta elettronica del 19 marzo 2001, il ricorrente ha accettato, sostanzialmente, i compiti che gli erano stati affidati dal suo superiore gerarchico.

90
In terzo luogo, va respinto l’argomento del ricorrente inteso a dimostrare che il divieto di contatti con terzi in assenza di previa autorizzazione della Banca, previsto al punto 4 dell’allegato, costituisce «una forma di censura inaccettabile».

91
Occorre, infatti, tener conto delle circostanze particolari in presenza delle quali è stato adottato tale provvedimento, vale a dire che, da un lato, la controversia sfociata nella sentenza 23 febbraio 2001 aveva seriamente intaccato il rapporto di fiducia tra la Banca ed il ricorrente e, dall’altro, che la Banca disponeva di indizi di natura tale che non si può escludere, prima facie, che abbiano potuto indurre quest’ultima a concludere che il ricorrente aveva divulgato a terzi informazioni riservate sulla propria attività e aveva espresso affermazioni diffamatorie nei confronti della Banca e di alcuni membri del suo personale. Date tali premesse, la convenuta poteva ritenere, senza incorrere in un errore manifesto di valutazione, che il solo modo di conciliare gli interessi del servizio con quelli del ricorrente consistesse nel limitare i contatti che quest’ultimo poteva avere con terzi nell’ambito dell’esecuzione delle proprie mansioni. Il Tribunale, inoltre, ritiene che, assoggettando tali contatti a un regime di previa autorizzazione piuttosto che ad un regime di divieto assoluto, la convenuta si sia mantenuta entro i limiti ragionevoli di quanto richiesto dall’interesse del servizio. Tale conclusione s’impone tanto più che, al pari degli altri provvedimenti previsti nella lettera 6 marzo 2001 e nel relativo allegato, tale provvedimento, ancorché fortemente restrittivo, è di natura temporanea.

92
Infine, con riguardo al punto 5 dell’allegato alla lettera 6 marzo 2001, occorre rilevare che tale disposizione si limita a ricordare che il ricorrente è sottoposto alla disciplina normalmente applicabile a tutto il personale della Banca (ivi compreso il codice di condotta) e, in particolare, alle regole in materia di riservatezza. Tale disposizione non istituisce alcuna nuova modalità circa lo svolgimento delle proprie mansioni da parte del ricorrente. A tal riguardo, va respinto l’argomento di quest’ultimo secondo il quale la detta disposizione lo danneggerebbe nella parte in cui dichiara il codice di condotta applicabile nei suoi confronti pur non essendo stato da lui approvato. Infatti, al pari di quanto previsto per le altre condizioni generali di lavoro adottate dalla convenuta in forza dei suoi poteri regolamentari, l’applicabilità del codice non dipende da qualsivoglia previo consenso del dipendente interessato. Occorre peraltro rilevare che l’argomentazione del ricorrente, nella parte in cui si risolve nella contestazione dell’applicabilità, nei suoi confronti, delle norme applicabili a tutto il personale, si pone in contraddizione rispetto alla sua affermazione secondo cui la lettera 6 marzo 2001 ed il relativo allegato comporterebbero il suo assoggettamento ad un regime eccezionale.

93
Alla luce di tali considerazioni, il presente motivo deve essere respinto in quanto infondato.

Sul motivo relativo all’incompetenza dell’autore della lettera 6 marzo 2001

– Argomenti delle parti

94
Il ricorrente sostiene che la modifica unilaterale delle sue condizioni di lavoro risultante dalla lettera 6 marzo 2001 e dal suo allegato è illegittima, in quanto tale lettera reca la firma del direttore del servizio del personale, sig. Verykios, il quale non ha alcuna competenza ad adottare provvedimenti concernenti i rapporti di lavoro all’interno della Banca. A suo avviso, si ricava infatti dal regolamento del personale che tale competenza spetta solo al presidente della Banca.

95
Egli precisa inoltre di non contestare di aver ricevuto la comunicazione delle sue nuove mansioni dal direttore del servizio del personale, bensì il fatto che, con la lettera 6 marzo 2001, quest’ultimo ha imposto dei limiti al suo rapporto di lavoro con la Banca. Il ricorrente rileva, peraltro, che la lettera 6 marzo 2001 non contiene alcuna precisazione riguardo alle nuove mansioni attribuitegli, ma indica solamente che le stesse gli saranno comunicate successivamente, il che è avvenuto con il messaggio di posta elettronica inviato dal sig. Gilibert il 12 marzo 2001. Egli del resto sottolinea di aver risposto al sig. Gilibert con messaggio di posta elettronica del 19 marzo 2001, protestando ancora una volta avverso le anomale condizioni di lavoro che gli erano state imposte dal direttore del servizio del personale.

96
La convenuta contesta l’argomentazione del ricorrente secondo cui il direttore del servizio del personale sarebbe stato incompetente ad adottare i provvedimenti contenuti nella lettera 6 marzo 2001 e nel relativo allegato.

– Giudizio del Tribunale

97
L’art. 13, n. 7, dello statuto della Banca prevede che il suo presidente ha il potere di assumere e di licenziare i dipendenti di tale organismo.

98
Contrariamente a quanto suggerito dal ricorrente, da tale disposizione non discende che tutte le decisioni che incidono sui rapporti di lavoro presso la Banca debbano essere necessariamente adottate dal presidente della Banca personalmente. L’efficacia dell’organizzazione della Banca esige, al contrario, che, al pari di ogni altra istituzione o organismo comunitario e, più generalmente, di ogni datore di lavoro, l’adozione di tali decisioni possa essere delegata a determinati organi o persone nell’ambito delle dette istituzioni o dei detti organismi. In particolare, con riguardo alla gestione pratica dei rapporti di lavoro nell’ambito di un organismo quale la Banca, può rivelarsi utile che l’adozione di decisioni necessarie in tale contesto venga delegata, in forza di un atto di delega formale recante specificazione dell’ampiezza dei poteri così delegati, ad un persona che disponga delle qualifiche necessarie a tal fine.

99
Nella specie, dai precedenti punti 83 e segg. risulta che la lettera 6 marzo 2001 ed il relativo allegato contengono una serie di provvedimenti di organizzazione, di natura temporanea, presi dalla convenuta al fine di conformarsi in tempo utile al dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001.

100
Orbene, non si può escludere che l’adozione di tali provvedimenti rientri nei poteri delegati al direttore del servizio del personale della Banca. In ogni caso, il ricorrente non ha dimostrato sotto quale profilo l’adozione di tali provvedimenti da parte di quest’ultimo avrebbe oltrepassato i limiti dei detti poteri. Tale conclusione s’impone tanto più dal momento che, come rilevato supra, al punto 82, i provvedimenti previsti nella lettera 6 marzo 2001 e nel relativo allegato non hanno modificato le condizioni di lavoro del ricorrente, quali previste dal contratto di assunzione sottoscritto da quest’ultimo e dalle condizioni generali di lavoro fissate dalla convenuta in forza dei suoi poteri regolamentari.

101
Infine, va respinto l’argomento dedotto dal ricorrente in subordine, secondo cui i provvedimenti previsti nella lettera 6 marzo 2001 e nel relativo allegato avrebbero dovuto essere adottati dal direttore del Credit Risk Department. Infatti, trattandosi delle modalità di esecuzione delle mansioni affidate al ricorrente, spetta, in primo luogo, al direttore del servizio del personale della Banca adottare siffatti provvedimenti.

102
Alla luce delle suesposte considerazioni, il presente motivo deve essere respinto in quanto infondato.

Sul carattere sanzionatorio della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato

– Argomenti delle parti

103
Il ricorrente sostiene che la lettera 6 marzo 2001 è illegittima, in considerazione del carattere sanzionatorio delle nuove regole ivi impostegli. Egli sottolinea, infatti, che il regolamento del personale non prevede la possibilità di imporre sanzioni al di fuori dell’ambito del procedimento disciplinare e in violazione di principi generali del diritto, quali il rispetto del diritto di difesa. Inoltre, la modifica unilaterale delle sue condizioni di lavoro presso la Banca pregiudicherebbe la sua salute, già minata dai comportamenti della convenuta, che il Tribunale ha stigmatizzato nella sentenza 23 febbraio 2001.

104
La convenuta contesta che le disposizioni contenute nell’allegato alla lettera 6 marzo 2001 possiedano carattere sanzionatorio.

– Giudizio del Tribunale

105
Come rilevato supra, ai punti 75 e segg., la convenuta, nell’adottare i provvedimenti indicati nella lettera 6 marzo 2001 e nel relativo allegato, non è incorsa in un errore manifesto di valutazione e ha rispettato i limiti della ragionevolezza nel perseguimento dell’interesse del servizio. Ne consegue che tali provvedimenti, che non figurano tra quelli di carattere disciplinare previsti dall’art. 38 del regolamento del personale, non costituiscono una sanzione nei confronti del ricorrente.

106
Conseguentemente, il presente motivo deve essere respinto in quanto infondato.

Conclusione

107
Alla luce delle suesposte considerazioni, la domanda di annullamento della lettera 6 marzo 2001 e del suo allegato deve essere respinta in quanto infondata.

2. Sulla domanda di annullamento della decisione di sospensione

a) Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

108
Secondo la convenuta, il ricorrente non ha più un interesse ad agire per l’annullamento della decisione di sospensione, in quanto, con l’adozione della decisione di licenziamento nel settembre 2001, la prima ha cessato di produrre effetti, tanto più che non è stata accompagnata da una sospensione della retribuzione.

109
A sostegno di tale tesi, la convenuta si richiama alla sentenza del Tribunale 3 luglio 2001, cause riunite T‑24/98 e T‑241/99, E/Commissione (Racc. PI pagg. I‑A-149 e II‑681), in cui il Tribunale ha dichiarato che, qualora la decisione di licenziamento non venga annullata e la domanda di annullamento della decisione medesima venga quindi respinta, il ricorrente che non si trova più in posizione di sospensione dalle sue mansioni, poiché è stato licenziato, non vanta più un interesse attuale all’annullamento della decisione di sospensione. Essa chiede pertanto al Tribunale di pronunciare il non luogo a statuire riguardo alla relativa domanda (punti 110-119 della sentenza).

Giudizio del Tribunale

110
Nella specie, con lettera 22 maggio 2001 il presidente della Banca ha comunicato al ricorrente che, a norma dell’art. 39, primo comma, del regolamento del personale, questi era sospeso dalle sue funzioni con effetto immediato, per un periodo massimo di tre mesi e che, durante il detto periodo, la sua retribuzione sarebbe stata mantenuta.

111
L’art. 39, primo comma, del regolamento del personale stabilisce che «[i]n caso di gravi motivi, atti a determinare un licenziamento senza preavviso, il Presidente può sospendere immediatamente l’interessato dalle sue funzioni, per un periodo massimo di tre mesi».

112
Tale disposizione, con riserva della peculiarità descritta infra al punto 115, presenta un contenuto ed una portata analoghi all’art. 88, primo comma, dello Statuto del personale, ai sensi del quale «[i]n caso di colpa grave addebitata ad un funzionario dall’autorità che ha il potere di nomina, sia che si tratti di una mancanza ai suoi obblighi professionali o di una infrazione delle norme di diritto comune, questa ultima può sospendere immediatamente il colpevole».

113
Orbene, come riconosciuto da costante giurisprudenza, le decisioni di sospensione di un dipendente in forza dell’art. 88 dello Statuto del personale costituiscono atti recanti pregiudizio, che possono essere oggetto di un ricorso di annullamento alle condizioni previste dagli artt. 90 e 91 dello Statuto del personale (sentenza della Corte 5 maggio 1966, cause riunite 18/65 e 35/65, Gutmann/Commissione, Racc. pag. 141, in particolare pag. 160, e sentenza del Tribunale 19 maggio 1999, causa T‑203/95, Connolly/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-83 e II‑443, punto 33). Del pari, secondo la giurisprudenza, una decisione di sospensione in base all’art. 88 dello Statuto del personale non costituisce un atto procedurale indispensabile, preparatorio della decisione finale di pronuncia della sanzione, ma una decisione autonoma, che l’APN «può» adottare in forza dell’art. 88, primo comma, dello Statuto del personale, la cui applicazione è subordinata all’allegazione di una colpa grave. Pertanto, l’eventuale legittimità della decisione finale non può pregiudicare quella della decisione che pronuncia la sospensione (v., in tal senso, sentenza Connolly/Commissione, cit. supra, punto 36).

114
La detta giurisprudenza può essere trasposta alle decisioni di sospensione che il presidente della Banca può adottare ai sensi dell’art. 39 del regolamento del personale. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato ricevibile nella parte in cui è volto all’annullamento della decisione recante sospensione del ricorrente.

115
Tale conclusione si impone tanto più che, a differenza dal caso di specie deciso dal Tribunale nella sentenza E/Commissione (cit. supra, al punto 109), il regolamento del personale della Banca prevede, all’art. 39, quarto comma, che «l’eventuale licenziamento ha effetto a partire dal giorno della sospensione». È in base a tale disposizione che, nella specie, il presidente della Banca ha fatto retroagire gli effetti del licenziamento del ricorrente «a partire dal giorno in cui è stato sospeso dalle [sue] funzioni» (v. penultimo capoverso della lettera 6 settembre 2001). In ragione di tale effetto retroattivo, il ricorrente è divenuto debitore nei confronti della Banca della retribuzione percepita a decorrere dal 22 maggio 2001. Ne consegue che il ricorrente mantiene un interesse manifesto ad agire per l’annullamento della decisione di sospensione poiché, nell’ipotesi di annullamento della detta decisione, il suo licenziamento non potrà più retroagire sino al giorno della sospensione.

116
Ciò premesso, la domanda di annullamento della decisione di sospensione è ricevibile.

b) Sul merito

Sulla violazione del principio del rispetto del diritto di difesa e sulla violazione dell’obbligo di motivazione

– Argomenti delle parti

117
Il ricorrente sostiene che, anche supponendo che sussistessero realmente gravi motivi tali da comportare un licenziamento, questi avrebbero dovuto essergli notificati previamente e avrebbero dovuto essere menzionati esplicitamente nel provvedimento di sospensione, onde assicurare, da una parte, il rispetto dell’obbligo di motivazione che incombe alla convenuta e, dall’altra, il rispetto del suo diritto di difesa. Orbene, a suo avviso tali condizioni non sono state rispettate nella specie.

118
La convenuta contesta di aver violato l’obbligo di motivazione e/o il principio del rispetto del diritto di difesa con l’adozione del provvedimento di sospensione. In primo luogo, essa evidenzia come, tanto dal ricorso quanto dalla domanda di provvedimenti provvisori risulti chiaramente che il ricorrente ha una conoscenza precisa delle circostanze oggetto della decisione di sospensione. Essa rileva, infatti, che, nei suoi scritti, il ricorrente asserisce che la Banca non può tenere conto di fatti risalenti a diversi anni prima. In secondo luogo, la convenuta espone che, come emerge dalla sentenza 23 febbraio 2001, il ricorrente ha avuto ampie opportunità di essere ascoltato sui fatti relativi all’utilizzazione abusiva di documenti e al tentativo di screditare la Banca e la sua direzione, che sono stati ampiamente dibattuti dinanzi al Tribunale. Essa rileva, d’altra parte, che in tale sentenza il Tribunale ha constatato il carattere abusivo dell’appropriazione e dell’utilizzo, da parte del ricorrente, di documenti riservati e confidenziali ai quali non aveva libero accesso. In terzo luogo, la convenuta fa valere che, comunque, con lettera 13 giugno 2001, il presidente della Banca ha precisato in dettaglio tutti gli addebiti mossi al ricorrente nell’ambito del procedimento disciplinare, allegando tutti i documenti sui quali si fondavano tali addebiti. Essa rileva inoltre che, sebbene con la stessa lettera il presidente abbia offerto al ricorrente la possibilità di essere ascoltato personalmente, quest’ultimo non si è avvalso di tale facoltà, e sembra anzi avervi implicitamente rinunciato, dato che, con la lettera in data 20 giugno 2001, ha chiesto di essere ascoltato dalla commissione paritetica. La convenuta, d’altronde, fa notare che il provvedimento di sospensione e la lettera 13 giugno 2001 fanno parte dello stesso procedimento disciplinato dagli artt. 39 e 40 del regolamento del personale, talché sarebbe assurdo esaminarli separatamente. Da ultimo, essa evidenzia che dall’art. 40, secondo comma, del regolamento del personale emerge che soltanto nella seconda fase del procedimento disciplinare, la quale include la «comunicazione degli addebiti» all’interessato e l’audizione di quest’ultimo dinanzi alla commissione paritetica, e non nella prima fase, che riguarda la «notifica» della richiesta di costituzione della commissione, appare l’esigenza di rispettare il termine minimo di quindici giorni, che deve intercorrere tra la comunicazione dei fatti e la data della riunione della detta commissione. Secondo la convenuta, ne consegue che, al fine di soddisfare l’esigenza di motivazione nell’ambito della prima fase, è sufficiente una descrizione sommaria dei fatti contestati e della valutazione data dalla Banca della gravità degli stessi, tale da giustificare la risoluzione del rapporto.

– Giudizio del Tribunale

119
Tale motivo consta di due capi. Da un lato, il ricorrente fa valere che la convenuta ha violato l’obbligo di motivazione non avendo indicato con sufficiente precisione, nella decisione di sospensione, gli addebiti fatti valere nei suoi confronti nell’ambito del procedimento disciplinare. Dall’altro, sostiene che essa ha violato il principio del rispetto del diritto di difesa non avendolo ascoltato prima di adottare tale decisione.

120
Il Tribunale decide di esaminare, innanzi tutto, il motivo relativo alla violazione del principio del rispetto del diritto di difesa.

121
A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, il rispetto del diritto di difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario che deve essere garantito anche in mancanza di una disposizione espressa prevista a tal fine (v., segnatamente, sentenza della Corte 24 ottobre 1996, causa C‑32/95 P, Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I‑5373, punto 21).

122
Orbene, un provvedimento di sospensione costituisce un atto recante pregiudizio (sentenza Gutmann/Commissione, punto 113 supra, pag. 160, e Connolly/Commissione, punto 113 supra, punto 33).

123
Ne consegue che, anche tenendo conto dell’urgenza che generalmente esiste di adottare una decisione di sospensione in presenza dell’attribuzione di una colpa grave, siffatta decisione dev’essere presa rispettando il diritto di difesa. Di conseguenza, salvo circostanze particolari debitamente determinate, una decisione di sospensione può essere adottata solo dopo che il dipendente è stato posto in grado di far conoscere utilmente il suo punto di vista sugli elementi posti a suo carico e sui quali l’autorità competente prevede di fondare tale decisione. Solo in circostanze particolari potrebbe rivelarsi impossibile nella pratica, o incompatibile con l’interesse del servizio, procedere a un’audizione prima dell’adozione di un provvedimento di sospensione. In tali circostanze, le esigenze derivanti dal principio del rispetto del diritto di difesa potrebbero essere soddisfatte mediante l’audizione del dipendente interessato il più presto possibile dopo la decisione di sospensione (sentenze del Tribunale 15 giugno 2000, causa T‑211/98, F/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-107 e II‑471, punti 26 e segg., e 18 ottobre 2001, causa T‑333/99, X/BCE, Racc. PI pagg. I‑A-199 e II‑921; Racc. pag. II‑3021, punto 183).

124
Trattandosi dell’interpretazione di un principio generale di diritto comunitario, tale giurisprudenza può essere applicata alle decisioni di sospensione adottate dalla convenuta in forza dell’art. 39 del regolamento del personale. Ne consegue che la convenuta ha l’obbligo di ascoltare il dipendente interessato prima di adottare un provvedimento di sospensione nei suoi confronti.

125
Orbene, nella specie la convenuta non ha dimostrato di aver ascoltato il ricorrente prima di adottare la decisione di sospensione 22 maggio 2001.

126
A tal riguardo, erroneamente essa fa valere che, con la lettera 13 giugno 2001, il ricorrente sarebbe stato informato in modo preciso e dettagliato degli addebiti fatti valere nei suoi confronti nell’ambito del procedimento disciplinare, ed è irrilevante il fatto che il presidente della Banca gli avrebbe proposto di ascoltarlo personalmente. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza sopra citata, solo circostanze eccezionali possono giustificare che l’interessato sia ascoltato solo dopo l’adozione del provvedimento lesivo. Orbene, la convenuta non ha addotto alcuna circostanza eccezionale di tal sorta. D’altronde, sembra escluso che circostanze di questo tipo potessero essere fatte valere nella specie, vertendo gli addebiti su fatti verificatisi circa due anni prima della decisione di sospensione. Deve peraltro rilevarsi che la lettera 13 giugno 2001 aveva ad oggetto la comunicazione al ricorrente dei fatti che gli venivano addebitati nell’ambito del procedimento disciplinare conformemente all’art. 40, secondo comma, del regolamento del personale. Tale lettera, per contro, non verteva sull’adozione della decisione di sospensione e ancor meno sulla possibilità di ascoltare il ricorrente prima dell’adozione di tale misura.

127
Inoltre, va respinta la deduzione della convenuta secondo la quale, nell’ambito dei procedimenti sfociati nella sentenza 23 febbraio 2001, il ricorrente sarebbe stato ascoltato su a tutti i fatti addebitatigli nell’ambito del procedimento disciplinare. Deve sottolinearsi, in primo luogo, che i procedimenti giurisdizionali ai quali si riferisce la convenuta avevano un oggetto diverso dalle presenti cause, poiché riguardavano le decisioni della Banca di non promuovere il ricorrente e di rifiutare il ritiro delle sue dimissioni. Inoltre, se è pur vero che alcuni dei fatti dedotti sono stati ampiamente discussi e sono sfociati in alcune constatazioni del Tribunale con riguardo ai sei documenti controversi prodotti dal ricorrente nell’ambito di tali procedimenti, la maggior parte dei fatti addebitati come costitutivi di un «motivo grave, atto a determinare il licenziamento senza preavviso», che, secondo la convenuta, hanno giustificato la decisione di sospensione, tuttavia, non è mai stata richiamata nel corso di tali procedimenti. Ciò vale, in particolare, da un lato, per l’addebito relativo all’invio di una lettera in data 11 febbraio 1999, intitolata «On the abuses of public money in the Community institutions», nonché di una relazione, datata 16 aprile 1999, intitolata «Draft information on Possibile Fraud, Mismanagement and Cover up in the European Investment Bank» e, dall’altro, per l’asserita trasmissione di informazioni a giornali (articoli apparsi sul giornale danese «Ekstra Bladet», sul giornale scozzese «Scotland on Sunday» e sul giornale italiano «Il Mondo»). Pertanto, anche a voler ritenere che il ricorrente sia stato sufficientemente ascoltato con riguardo all’utilizzazione e all’appropriazione abusiva di documenti interni della Banca prima dell’adozione della decisone di sospensione, tuttavia, da un lato, risalendo tali fatti al 1999, nessuna urgenza poteva giustificare una deroga al rispetto del diritto di difesa e, dall’altro, è pacifico che il ricorrente non è mai stato ascoltato sugli altri fatti addebitatigli nell’ambito del procedimento disciplinare e addotti a fondamento della decisione di sospensione.

128
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ritiene fondato il secondo capo del presente motivo, relativo ad una violazione del principio del rispetto del diritto di difesa, sicché la decisione di sospensione deve essere annullata senza che occorra esaminare gli altri motivi dedotti dal ricorrente.

3. Sulla domanda di annullamento dell’art. 39 del regolamento del personale

a) Argomenti delle parti

129
La convenuta asserisce che l’art. 39 del regolamento del personale non tocca direttamente e individualmente la situazione giuridica del ricorrente, per cui il ricorso, nei limiti in cui è diretto ad ottenere l’annullamento di tale disposizione, è irricevibile.

130
Il ricorrente contesta la tesi secondo cui egli non avrebbe un interesse ad agire per l’annullamento dell’art. 39 del regolamento del personale.

b) Giudizio del Tribunale

131
Occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, gli atti di portata generale, in linea di principio, non possono costituire oggetto di un ricorso diretto dinanzi al Tribunale (v., segnatamente, sentenza del Tribunale 6 marzo 2001, causa T‑192/99, Dunnett e a./BEI, Racc. PI pagg. I‑A-65 e II‑313; Racc. pag. II‑813, punto 62).

132
Orbene, occorre rilevare che, quale disposizione del regolamento del personale emanato dalla Banca in forza dei poteri normativi ad essa conferiti dal suo statuto, l’art. 39 del regolamento del personale costituisce un atto di portata generale.

133
Conseguentemente, la domanda di annullamento della detta disposizione è irricevibile.

4. Sulla domanda volta ad ottenere dal Tribunale la dichiarazione di inapplicabilità del codice di condotta al ricorrente

a) Argomenti delle parti

134
La convenuta sostiene che le disposizioni del codice di condotta non toccano direttamente e individualmente la situazione giuridica del ricorrente, sicché il ricorso, nei limiti in cui mira all’annullamento di tali disposizioni, è irricevibile. Essa sottolinea, inoltre, che la domanda diretta ad ottenere l’accertamento, da parte del Tribunale, dell’inapplicabilità del codice di condotta nei confronti del ricorrente risulta troppo imprecisa perché il Tribunale possa pronunciarsi in proposito.

135
Il ricorrente sostiene di avere interesse a chiedere che il Tribunale accerti l’inapplicabilità del codice.

b) Giudizio del Tribunale

136
Secondo costante giurisprudenza, non spetta al giudice comunitario fare dichiarazioni di principio o rivolgere ingiunzioni all’amministrazione (sentenza X/BCE, punto 123 supra, punto 48).

137
Ne consegue che la domanda volta ad ottenere dal Tribunale la dichiarazione di inapplicabilità del codice di condotta al ricorrente va respinta in quanto irricevibile.

5. Sulla domanda di risarcimento

a) Argomenti delle parti

138
Il ricorrente sottolinea che gli atti impugnati e gli atti ad essi connessi dimostrano la volontà inequivocabile della convenuta di emarginarlo, estromettendolo da ogni ruolo significativo all’interno della Banca e screditando la sua immagine a Lussemburgo e altrove. Di conseguenza, egli chiede al Tribunale di condannare la convenuta al risarcimento del danno materiale e morale arrecatogli. Per quanto riguarda il danno materiale, secondo il ricorrente, si tratterebbe, da un lato, del danno biologico, inteso come disagio nevrotico, senso di frustrazione, stress e ansia, quantificabile previa consulenza medica, che egli stima in EUR 300 000 e, dall’altro, di un danno patrimoniale stimato in EUR 2 000 000, pari al valore attuale di una rendita vitalizia, calcolata in base alla speranza di vita dell’interessato, alla percentuale di danno accertata e ad un parametro monetario dato dalla somma del reddito effettivo dell’interessato e di quello simbolico per l’attività svolta presso il suo domicilio. D’altra parte, ricorre, a suo avviso, un danno morale, derivante dal provvedimento di sospensione e dalle relative ripercussioni sulla sua carriera, che egli valuta in EUR 2 000 al giorno, a partire dal 6 marzo 2001 e fino alla soppressione dei provvedimenti impugnati.

139
La convenuta contesta sia la ricevibilità sia la fondatezza della domanda di risarcimento formulata dal ricorrente.

b) Giudizio del Tribunale

140
Essendo del tutto privo di fondamento quanto dedotto dalla convenuta con riguardo all’eventuale irricevibilità della domanda di risarcimento del danno e contenendo invece il ricorso elementi che consentono l’esame della detta domanda, il Tribunale ritiene che occorra esaminare la fondatezza della domanda medesima. Secondo giurisprudenza costante, la responsabilità extracontrattuale della Comunità presuppone che il ricorrente provi l’illegittimità del comportamento addebitato all’organo comunitario, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra tale comportamento e il danno dedotto (v., segnatamente, sentenza del Tribunale 26 maggio 1998, causa T‑177/96, Costacurta/Commissione, Racc. PI pag. II‑705).

141
Nella specie, per i motivi precedentemente esposti ai punti 75 e seguenti, il presupposto relativo all’esistenza di un comportamento illegittimo non è soddisfatto con riguardo alla lettera 6 marzo 2001. Pertanto, la domanda di risarcimento deve essere respinta in quanto infondata nella parte in cui è intesa ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito in ragione della detta lettera.

142
Per contro, per i motivi esposti ai punti 121 e seguenti, tale presupposto, che si riferisce ad una violazione sufficientemente grave e manifesta di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (v. sentenza della Corte 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I‑5291, punto 42), è soddisfatto con riguardo alla decisione di sospensione. Il Tribunale ritiene, tuttavia, che l’annullamento della decisione di sospensione rappresenti un risarcimento adeguato e sufficiente del danno subito, a tal riguardo, dal ricorrente (v., in tal senso, sentenza 23 febbraio 2001, punto 332).

143
Alla luce delle suesposte considerazioni, la domanda di risarcimento va respinta per il resto.

B – Sulle domande nella causa T‑300/01

1. Osservazione preliminare

144
In via preliminare, il Tribunale ricorda che il ricorrente ha dichiarato, all’udienza, in risposta ad un quesito del Tribunale, di rinunciare alla sua domanda di annullamento del licenziamento orale che gli sarebbe stato comunicato il 6 settembre 2001. L’esame nel merito si limiterà quindi alle altre domande del ricorrente.

2. Sulle domanda di annullamento della decisione di licenziamento

145
Il ricorrente deduce motivi vertenti rispettivamente sull’inapplicabilità del codice di condotta, sull’inapplicabilità degli artt. 41 e 44 del regolamento del personale, sulla rinuncia tacita ai provvedimenti disciplinari, sui vizi che inficiano la regolarità del procedimento disciplinare, sull’illegittimità dell’art. 38 del regolamento del personale, sull’assenza di notificazione immediata e puntuale degli addebiti prima dell’adozione della decisione di licenziamento, sull’accertamento e/o valutazione erronei dei fatti addebitati, sulla mancata presa in considerazione delle circostanze attenuanti, sull’illegittimità dell’efficacia retroattiva della decisione di licenziamento e sulla violazione del principio di proporzionalità.

146
Tra tali diversi motivi, il Tribunale decide di esaminare anzitutto il motivo relativo ad errori manifesti nell’accertamento e nella valutazione dei fatti addebitati.

a) Argomenti delle parti

Sul motivo relativo ad errori manifesti nell’accertamento e nella valutazione dei fatti addebitati

– Sull’appropriazione irregolare e sulla produzione di sei documenti appartenenti alla Banca

147
Il ricorrente contesta l’affermazione del presidente della Banca secondo cui egli si sarebbe procurato in modo irregolare sei documenti interni e riservati appartenenti alla Banca e li avrebbe utilizzati per fini diversi da quelli direttamente collegati all’esercizio delle sue funzioni specifiche. Egli sottolinea, in primo luogo, che la convenuta non ha mai provato che egli avesse acquisito tali documenti in modo irregolare e che, nonostante egli avesse contestato tale affermazione in sede di procedimento disciplinare, la commissione paritetica non si è premurata di svolgere alcuna indagine per verificarne l’esattezza. In secondo luogo, egli contesta il fatto che dai diversi punti della sentenza 23 febbraio 2001 richiamati al punto 1 della lettera 13 giugno 2001 si possa dedurre che il Tribunale abbia constatato un’appropriazione irregolare, da parte sua, dei sei documenti in questione. Infine, egli sostiene che è illegittimo comminargli la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per aver prodotto i sei documenti di cui trattasi senza l’autorizzazione dei superiori gerarchici (v. punto 1 della decisione di licenziamento), laddove tale circostanza non era menzionata nella lettera 13 giugno 2001 (v. punti 1 e 2 della lettera).

148
La convenuta ritiene che tale motivo debba essere respinto in quanto infondato, poiché la prova dell’acquisizione illegittima di numerosi documenti da parte del ricorrente emerge inequivocabilmente dalla sentenza 23 febbraio 2001. Essa ricorda, anzitutto, che dal punto 220 della sentenza risulta che, secondo una giurisprudenza consolidata, l’acquisizione e la produzione in giudizio di documenti riservati può costituire, di per sé, una violazione delle regole di comportamento, in quanto tale utilizzabile in sede di valutazione del comportamento del dipendente, a prescindere dalla loro rilevanza rispetto alla decisione presa nei confronti di quest’ultimo. Essa rileva poi che dai punti 226 e 227, il Tribunale ha constatato che i documenti provenienti dai sigg. Page e Brück e dalla sig.ra Obolensky costituivano certamente documenti riservati, non diretti al ricorrente, che non aveva alcun diritto né di consultarli né di farne copia. Essa nota inoltre che dai punti 223 e 345 della sentenza emerge che il ricorrente non ha fornito la prova della legittimità dell’acquisizione di tali documenti, laddove incombeva a lui l’onere della prova. A tale riguardo essa contesta l’affermazione del ricorrente secondo cui, con la sentenza 23 febbraio 2001, il Tribunale non avrebbe constatato l’appropriazione irregolare dei detti documenti. Inoltre, essa ricorda che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la sentenza 23 febbraio 2001 ha chiaramente stabilito il carattere riservato dei sei documenti controversi. Infine, la convenuta ritiene che, avendo essa sufficientemente dimostrato il carattere riservato dei sei documenti e l’illegittimità della loro acquisizione e diffusione da parte del ricorrente, incombe ormai a quest’ultimo l’onere di provare le sue allegazioni.

– Sulla lettera dell’11 febbraio 1999 indirizzata ai membri del Parlamento europeo

149
Il ricorrente sostiene che, ai punti 3, 4 e 5 della lettera 13 giugno 2001, il presidente della Banca ha solamente affermato, ma non provato che, con l’invio della lettera 11 febbraio 1999, egli ha divulgato all’esterno della Banca, senza previa autorizzazione, informazioni interne e riservate, presentandole come rivelatrici delle irregolarità commesse nella gestione della Tesoreria. Orbene, egli sottolinea che, nell’ambito del procedimento disciplinare, ha contestato in toto tali accuse, avendo osservato che nella lettera dell’11 febbraio 1999 sono menzionati soltanto fatti personali, che il Tribunale ha poi stigmatizzato, dichiarando che erano incompatibili con il principio di buona amministrazione e il dovere di sollecitudine (punto 285 della sentenza 23 febbraio 2001). Egli ricorda inoltre che il Tribunale ha respinto l’istanza presentata dalla convenuta affinché la trattazione della causa che ha portato alla sentenza 23 febbraio 2001 si svolgesse a porte chiuse, il che deve essere interpretato come un implicito riconoscimento, da parte del giudice comunitario, che i fatti in questione potevano essere divulgati e resi pubblici e che non costituivano una violazione del dovere di confidenzialità e di riservatezza o di altri obblighi analoghi. Infine, in risposta a un quesito del Tribunale, egli ha sostenuto di non aver mai affermato di aver inviato una qualsivoglia lettera ai 626 membri del Parlamento europeo e che, nella lettera del presidente della Banca del 13 giugno 2001, non gli era stato mosso alcun addebito di questo tipo. Inoltre, all’udienza, egli ha contestato di aver inviato la lettera 11 febbraio 1999 ai membri del Parlamento europeo, pur ammettendo che tale lettera si trovava nel suo computer in ufficio quando il suo rapporto di lavoro terminò nel febbraio 1999. In tale contesto, egli ha anche sostenuto che la lettera del sig. Blak in data 10 marzo 1999, depositata dalla Banca nel corso dell’udienza del 15 ottobre 2003, in ragione della data in cui era stata scritta e del suo contenuto, non permette di provare che la lettera dell’11 febbraio 1999 è stata inviata dal ricorrente.

150
La convenuta considera del tutto priva di fondamento l’affermazione del ricorrente secondo cui egli non avrebbe diffuso la lettera 11 febbraio 1999. Essa rileva, infatti, che, con lettera 20 marzo 1999, indirizzata al ricorrente, il sig. Blak, membro del Parlamento europeo, chiedeva a quest’ultimo di inviargli informazioni supplementari, il che dimostra che effettivamente la lettera del ricorrente gli era pervenuta. Inoltre, essa osserva che gli articoli apparsi sulla stampa fanno preciso riferimento alla lettera 11 febbraio 1999, a prova del fatto che il ricorrente ha effettivamente inviato tale lettera ai membri del Parlamento europeo. Infine, nel corso dell’udienza del 15 ottobre 2003, essa ha presentato copia di una lettera indirizzata dal sig. Blak alla Banca il 10 marzo 1999, da cui risulta che quest’ultimo ha ricevuto copia di una lettera inviata dal sig. De Nicola ad alcuni membri del Parlamento europeo, in cui egli menziona episodi di cattiva gestione e di frode all’interno della divisione della Tesoreria della Banca.

151
La convenuta contesta poi quanto affermato dal ricorrente secondo cui la lettera 11 febbraio 1999 si limita a illustrare fatti personali. Essa rileva, da una parte, che il ricorrente in tale lettera riferisce di una vera e propria volontà di persecuzione da parte della Banca nei suoi confronti, insinuando che tale volontà sarebbe una conseguenza della denuncia, da parte sua, di fatti e comportamenti contrari alla buona gestione dell’istituzione. Essa sottolinea, d’altra parte, che la lunga premessa sulla funzione del whistleblower che precede l’esposizione della sua storia personale lascia chiaramente intendere che le situazioni evocate riguardano effettivamente l’autore della lettera che, proprio per questo, si sarebbe visto bloccare la carriera e sarebbe stato oggetto di molteplici vessazioni.

– Sulla relazione del 16 aprile 1999 indirizzata alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo

152
Il ricorrente afferma che, ai punti 3, 4 e 5 della lettera 13 giugno 2001, il presidente della Banca ha solamente affermato ma non provato che, con l’invio della relazione del 16 aprile 1999 alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo, egli avrebbe divulgato all’esterno della Banca, senza previa autorizzazione, informazioni interne e riservate, presentandole come rivelatrici di irregolarità commesse nella gestione della Tesoreria. In primo luogo, egli evidenzia che, durante il procedimento disciplinare, ha contestato la conformità all’originale della copia della detta relazione allegata alla lettera del presidente della Banca 13 giugno 2001. In risposta ad un quesito del Tribunale che lo invitava a produrre la versione originale di tale relazione e dei suoi allegati, egli ha affermato di non essere in grado di produrre tale versione dal momento che questa relazione era stata redatta in un unico originale che è stato trasmesso personalmente al sig. Blak. Del resto egli ritiene che, poiché tale relazione è stata trasmessa in un unico esemplare, ne consegue che la Banca ne ha ottenuto irregolarmente una copia, cosicché il Tribunale deve ordinarne il ritiro. Inoltre, egli ha precisato che la parte dell’originale della relazione che non figura nella copia che di essa ha prodotto la convenuta è una richiesta espressa al Parlamento europeo affinché ottenesse dal presidente della Banca l’autorizzazione per il ricorrente di precisare taluni fatti. In secondo luogo egli fa valere di aver dichiarato e provato di aver redatto la relazione del 16 aprile 1999 in seguito ad una richiesta esplicita che gli era stata indirizzata dalla Commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo (v. lettera del sig. Blak del 30 marzo 1999) e che, successivamente, è stato convocato per tre volte da tale commissione per presentarvi la sua testimonianza orale. Orbene, egli sottolinea che, poiché l’art. 12, terzo comma, del regolamento del personale autorizza gli agenti della Banca a deporre in giudizio in qualsiasi circostanza, a suo parere è evidente che la previa autorizzazione dei suoi superiori gerarchici non era richiesta o, comunque, avrebbe dovuto intervenire senza indugi. Infine, il ricorrente sostiene che egli aveva incontestabilmente il dovere civico, morale e giuridico (art. 12, secondo comma, del regolamento del personale) di rispondere sia alle domande dei membri della commissione per il controllo dei bilanci, sia alle ulteriori domande a lui rivolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode. Del resto, egli osserva che, dal momento che non poteva deporre il falso dinanzi a tali organi e, come la convenuta, aveva perfino l’obbligo di deporre, la convenuta non può sindacare il contenuto delle deposizioni rese dal ricorrente, a meno che non lo accusi di aver dichiarato il falso.

153
La convenuta considera del tutto infondati gli argomenti dedotti dal ricorrente per quanto concerne la relazione del 16 aprile 1999.

154
In primo luogo, essa ritiene che il carattere confidenziale delle informazioni contenute nella relazione e la natura di questa, fortemente diffamatoria nei confronti sia della Banca sia dei suoi dirigenti, non possano essere seriamente posti in discussione. Essa ricorda, inoltre, che a tale relazione sono stati allegati i documenti prodotti dal ricorrente nel procedimento T‑7/98 (allegati 1-33 al ricorso e allegati 101‑180 alla replica), numerosi ulteriori documenti non prodotti in giudizio (allegati 201 e xxx), nonché alcune tabelle illustrative contenenti dati relativi ad operazioni finanziarie della Banca. Secondo la convenuta, è inutile procedere ad un’analisi dettagliata di tale relazione essendo certo che essa i) contiene informazioni confidenziali e riservate circa operazioni finanziarie della Banca; ii) diffonde documenti per loro natura riservati; iii) contiene apprezzamenti diffamatori su numerosi dipendenti della Banca, in particolare su tutti coloro che sono venuti in contatto con il ricorrente; iv) accusa i dirigenti della Banca di aver operato contro le finalità istituzionali, omettendo di riportare le perdite subite nei bilanci periodici. Essa sottolinea che, con la produzione di tale relazione, il ricorrente ha gravemente violato i suoi obblighi non mantenendo il segreto sulle informazioni confidenziali ad esso pervenute nell’esecuzione dei suoi compiti, divulgando documenti della Banca, la maggior parte dei quali ottenuti attraverso ricerche da lui svolte personalmente negli archivi e, infine, non informando la Banca del fatto che la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento gli aveva chiesto di fornire una relazione sui fatti evocati nella sua lettera dell’11 febbraio 1999. Essa sostiene parimenti che il ricorrente ha commesso una mancanza ancora più grave allorché è stato chiamato a fornire dettagli ed informazioni a discredito del vice‑presidente della Banca, sig. Roth, convocato dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci, e, come sembra, ha accolto tale richiesta.

155
In secondo luogo, essa fa notare che il rilievo mosso dal ricorrente circa la non conformità all’originale della copia della relazione, prodotta in allegato alla lettera 13 giugno 2001, è assolutamente generico. Secondo la convenuta, spetta al ricorrente, che non contesta la paternità di tale documento, produrlo nella versione originale e indicare espressamente le eventuali difformità, specificandone l’importanza.

156
In terzo luogo, essa ritiene che il fatto che la relazione sia stata richiesta dal sig. Blak sia ininfluente e non valga a giustificare la violazione, da parte del ricorrente, dei suoi obblighi a termini del regolamento del personale e del codice di condotta. Secondo la convenuta il ricorrente fa erroneamente riferimento all’art. 12 del regolamento del personale. Infatti essa rileva che, tra le norme applicabili in materia, figura, da un lato, l’art. 8, che enuncia il principio fondamentale in forza del quale i dipendenti della Banca sono tenuti a mantenere il segreto su tutte le informazioni di cui abbiano avuto conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni, anche dopo la cessazione del loro rapporto di lavoro, e, dall’altro, l’art. 9, che completa tale principio, vietando esplicitamente, salvo che esista un’autorizzazione della Banca, qualsiasi comunicazione o diffusione di informazioni o documenti, ivi inclusa la pubblicazione di articoli o la partecipazione a seminari riguardanti la Banca o le sue attività. Quanto all’art. 12, il suo primo comma riafferma il principio enunciato all’art. 8, secondo cui i dipendenti non possono, senza preventiva autorizzazione della Banca, deporre in giudizio in relazione a informazioni che, in forza dell’art. 9, sono coperte dal segreto professionale, mentre gli altri due commi ammettono eccezioni per i casi in cui, da un lato, la mancata testimonianza potrebbe comportare conseguenze penali per il dipendente (secondo comma) e, dall’altro, il dipendente è chiamato a testimoniare in un giudizio dinanzi al giudice comunitario tra la Banca ed un suo dipendente (terzo comma). Ne risulta, secondo la convenuta, che, salvo il caso in cui ottengano l’autorizzazione prevista a tale riguardo, i dipendenti della Banca non possono diffondere documenti interni al di fuori dei due casi eccezionali sopra menzionati.

157
Ora, secondo la convenuta, è evidente che tali eccezioni non sono applicabili nella fattispecie. Essa, infatti, ritiene inapplicabile l’eccezione prevista all’art. 12, terzo comma, perché riguarda unicamente il caso di una lite tra la Banca e un suo dipendente o ex dipendente. Del pari, essa ritiene che erroneamente il ricorrente invochi l’eccezione contemplata nel secondo comma di questo articolo, poiché nessuna conseguenza penale può farsi discendere dalla mancata risposta ad una richiesta di informazioni proveniente dalla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo. D’altra parte, essa sottolinea che è stato il ricorrente a sollecitare l’intervento del Parlamento europeo, con l’invio della lettera dell’11 febbraio 1999.

158
Infine, essa aggiunge che i comportamenti addebitati al ricorrente non possono trovare giustificazione nel generale diritto alla libertà di espressione (sentenza della Corte 6 marzo 2001, causa C‑274/99 P, Connolly/Commissione, Racc. pag. I‑1611, punti 46 e 47).

–  Sull’articolo apparso sul giornale danese Ekstra Bladet

159
Il ricorrente asserisce che, ai punti 3, 4 e 5 della lettera 13 giugno 2001, il presidente della Banca ha solo affermato, ma non provato che dall’articolo apparso sul giornale danese Ekstra Bladet si evince che egli ha divulgato all’esterno della Banca, senza previa autorizzazione, informazioni interne e riservate, presentandole come rivelatrici di irregolarità commesse nella gestione della Tesoreria.

160
La convenuta contesta l’affermazione secondo cui le informazioni riportate sul giornale Ekstra Bladet non sarebbero state fornite dal ricorrente. Essa rileva, infatti, che il giornalista dichiara espressamente nel suo articolo che il ricorrente non voleva avere contatti diretti con la stampa ma ha messo la documentazione a disposizione del giornale («he does not want to see the press but has made his documentation available to Ekstra Bladet - including the 57-pages report he drafted for the Budget Committee»). Essa osserva inoltre come l’ampiezza e la precisione delle informazioni pubblicate, nonché la loro rispondenza al contenuto della relazione preparata dal ricorrente e l’indicazione del numero delle pagine, dimostrino chiaramente che il giornalista aveva ricevuto una copia della relazione. D’altra parte, essa rileva che, se effettivamente tale informazione non fosse stata fornita dal ricorrente, quest’ultimo non avrebbe mancato di far pubblicare una smentita sullo stesso giornale.

– Sull’articolo apparso sul giornale scozzese Scotland on Sunday

161
Il ricorrente asserisce che, ai punti 6 e 7 della lettera 13 giugno 2001, il presidente della Banca ha solo affermato ma non provato che dall’articolo apparso sul giornale scozzese Scotland on Sunday si ricava che egli ha divulgato all’esterno della Banca, senza previa autorizzazione, informazioni interne e riservate, presentandole come rivelatrici di irregolarità commesse nella gestione della Tesoreria.

162
La convenuta contesta tale asserzione del ricorrente. Essa rileva, infatti, che l’articolista del giornale scozzese Scotland on Sunday riporta tra virgolette il contenuto di una sua conversazione con il ricorrente («Carlo de Nicola, 37 told Scotland on Sunday […] My career is effectively over - he said - I am fighting people who are a lot more powerful than I am»). Essa ritiene che, a meno che non si voglia accusare il giornalista di avere inventato i brani riportati, appare difficile credere al ricorrente quando nega di avere rilasciato interviste o trasmesso documentazione. Inoltre, la convenuta osserva che l’ampiezza e la precisione delle informazioni pubblicate nonché la loro esatta rispondenza al contenuto della relazione preparata dal ricorrente dimostrano chiaramente che il giornalista ne aveva ricevuta copia. Essa ritiene, del resto, che, se effettivamente tale informazione non fosse stata fornita dal ricorrente, quest’ultimo non avrebbe mancato di far pubblicare una smentita sullo stesso giornale.

– Sull’articolo comparso sul giornale italiano Il Mondo

163
Il ricorrente asserisce che, al punto 8 della lettera 13 giugno 2001, il presidente della Banca ha solo affermato ma non provato che dall’articolo apparso sul giornale italiano «Il Mondo» si evince che egli ha divulgato all’esterno della Banca, senza previa autorizzazione, informazioni interne e riservate, presentandole come rivelatrici di irregolarità commesse nella gestione della Tesoreria.

164
La convenuta rileva che il ricorrente non contesta di essere l’autore della lettera pubblicata su «Il Mondo». Orbene, essa osserva come dal contenuto della lettera risulti palese che il ricorrente si riferisce a pretesi misfatti che sarebbero stati compiuti all’interno della Banca. Essa sottolinea che tale conclusione deriva sia dalla qualifica che si attribuisce il firmatario della lettera («portfolio manager of the European Investment Bank»), sia dal suo testo, che è espresso in prima persona («Se io, dipendente, vengo a conoscenza di misfatti, anche per molti miliardi, senza preventiva autorizzazione non posso denunciarli (…) e quindi l’istituzione può coprire tutto negandomi l’autorizzazione»). Essa fa osservare che è evidente anche per un lettore di scarsa attenzione che, se un ex dipendente di un’istituzione comunitaria denuncia le conseguenze di misfatti che egli stesso ha scoperto, non può che riferirsi proprio a quello specifico organismo di cui ha cessato di far parte.

–  Sulla mancata collaborazione allo svolgimento del procedimento disciplinare

165
Il ricorrente rileva che tra i comportamenti e le mancanze ad esso addebitati nella decisione di licenziamento figura in particolare il fatto che egli non avrebbe prestato la propria leale collaborazione in occasione del procedimento disciplinare, laddove tale fatto non è menzionato nella lettera 13 giugno 2001. A suo parere, se la convenuta voleva perseguirlo per questi fatti o mancanze, avrebbe dovuto avviare un nuovo procedimento disciplinare.

166
La convenuta contesta, anzitutto, la deduzione secondo cui essa avrebbe dovuto avviare un nuovo procedimento disciplinare con riguardo alla censura relativa al difetto di collaborazione. Infatti, essa rileva che, a seguire tale tesi, il comportamento di non collaborazione del dipendente nel corso del procedimento disciplinare richiederebbe ogni volta un nuovo procedimento, e quindi una nuova contestazione, e così ad infinitum. Inoltre, essa considera evidente che il ricorrente si è reso responsabile di un consapevole e deliberato tentativo di boicottaggio del funzionamento della commissione paritetica attraverso il rifiuto di nominare i membri di sua scelta, il che costituisce una violazione del dovere di lealtà sancito dall’art. 1 del regolamento del personale e ribadito dalle regole del codice di condotta (in particolare, dall’art. 1.4 del codice). Essa ritiene infatti che, con tale comportamento, il ricorrente abbia ostacolato il buon funzionamento di tale organismo, la cui funzione consiste, da una parte, nel tutelare gli interessi del dipendente di cui trattasi, dandogli la possibilità di far valere le proprie ragioni prima dell’adozione di un grave provvedimento disciplinare a suo carico e, dall’altra, nell’assicurare, nell’interesse della buona amministrazione, che le decisioni importanti in materia di impiego vengano prese dalla Banca dopo un esame dei fatti rilevanti da parte di un organismo composito che possa tenere conto dell’opinione dei membri della direzione e dei rappresentanti del personale. Del resto, essa rileva che tale atteggiamento di deliberato boicottaggio emerge chiaramente dai motivi di rifiuto espressi con la lettera 20 giugno 2001.

b) Giudizio del Tribunale

167
Nel caso di specie, occorre anzitutto esaminare se la convenuta ha commesso un errore nell’accertamento e nella valutazione dei fatti e/o violato il principio di proporzionalità adottando nei confronti del ricorrente, in seguito al procedimento previsto all’art. 40 del regolamento del personale, un provvedimento di licenziamento per grave motivo senza preavviso e senza indennità di cessazione dal servizio.

168
Come risulta dalla giurisprudenza, una simile decisione implica necessariamente considerazioni delicate da parte dell’istituzione, tenuto conto delle conseguenze serie ed irrevocabili che ne derivano per l’interessato. L’istituzione dispone, a tale riguardo, di un ampio potere discrezionale e il sindacato giurisdizionale si limita alla verifica dell’esattezza materiale dei fatti assunti e dell’assenza di errori manifesti nella valutazione dei fatti (v., in particolare, sentenza del Tribunale 28 settembre 1999, causa T‑140/97, Hautem/BEI, Racc. PI pagg. I‑A-171 e II‑897, punto 66).

169
Per quanto riguarda i fatti addebitati al ricorrente, dalla decisione di licenziamento risulta che essi sono di quattro tipi. In primo luogo, gli è stato rimproverato di aver diffuso, senza l’autorizzazione dei suoi superiori gerarchici, documenti di carattere interno e riservato della Banca, che si era irregolarmente appropriato. In secondo luogo, viene rimproverato al ricorrente di aver divulgato all’esterno della Banca, senza l’autorizzazione dei suoi superiori gerarchici, e senza averli previamente informati, fatti, informazioni e documenti a carattere interno e riservato. In terzo luogo, il ricorrente è accusato di aver adottato nei confronti di alcuni dei suoi colleghi, attraverso la diffusione di affermazioni diffamatorie o tendenziose, un comportamento che lede la loro reputazione e quella della Banca e che compromette gravemente la dignità della funzione e il dovere di lealtà nonché quello di collegialità e di rispetto reciproco. Infine, viene addebitato al ricorrente, in subordine, di aver rifiutato di designare i due rappresentanti del personale in conformità dell’art. 40 del regolamento del personale.

170
Benché la decisione di licenziamento non comprenda la descrizione degli elementi di fatto su cui sono fondate queste quattro censure, dalla lettera del presidente della Banca 13 giugno 2001 nonché dal parere della commissione paritetica 30 agosto 2001 a cui si riferisce la decisione impugnata risulta che tali constatazioni si fondano sugli elementi seguenti: un articolo comparso il 14 febbraio 1999 sul giornale scozzese Scotland on Sunday, una lettera scritta dal ricorrente comparsa il 5 marzo 1999 sul giornale italiano Il Mondo, un articolo comparso il 20 aprile 1999 sul giornale danese Ekstra Bladet, taluni passi della sentenza 23 febbraio 2001 (in particolare i punti 220 e 342‑348), una lettera scritta dal ricorrente in data 11 febbraio 1999, una relazione redatta dal ricorrente recante la data del 16 aprile 1999 e, infine, il rifiuto del ricorrente di designare i rappresentanti del personale che dovevano far parte della commissione paritetica.

171
È quindi alla luce di questi soli elementi che occorre verificare se, come afferma il ricorrente, la convenuta abbia dimostrato in maniera insufficiente i fatti che gli sono addebitati e/o abbia commesso un errore manifesto nella valutazione di tali fatti.

172
A tale proposito, il Tribunale decide di esaminare, anzitutto, gli argomenti del ricorrente riguardanti la censura vertente sulla presentazione, senza autorizzazione dei suoi superiori gerarchici, di documenti interni e riservati della Banca che si sarebbe irregolarmente appropriato. L’esame verterà poi sull’argomento del ricorrente relativo alle censure riguardanti gli articoli pubblicati sui giornali Ekstra Bladet e Scotland on Sunday nonché la lettera del ricorrente pubblicata sul giornale Il Mondo. Infine, il Tribunale analizzerà la fondatezza degli argomenti del ricorrente relativi alle censure riguardanti la lettera 11 febbraio 1999, e la relazione 16 aprile 1999, nonché alla censura vertente sulla mancata collaborazione al procedimento disciplinare.

Sulla censura vertente sulla presentazione, senza l’autorizzazione dei suoi superiori gerarchici, di documenti interni e riservati della Banca che il ricorrente si sarebbe irregolarmente appropriato

173
Dal parere della commissione paritetica in data 30 agosto 2001, a cui si riferisce la decisione di licenziamento, risulta che tale censura si fonda esclusivamente sugli accertamenti effettuati dal Tribunale ai punti 220 e 342‑348 della sentenza 23 febbraio 2001.

174
In via preliminare, occorre respingere l’argomento del ricorrente secondo cui la convenuta ha violato l’art. 40, secondo comma, del regolamento del personale relativamente a tale censura in quanto essa non gli ha notificato, almeno quindici giorni prima della riunione della commissione paritetica, che gli veniva addebitato di aver presentato i documenti controversi senza previa autorizzazione dei suoi superiori gerarchici. È vero che nella lettera 13 giugno 2001, con cui il presidente della Banca ha comunicato al ricorrente l’elenco dei fatti che gli erano addebitati, non è specificamente menzionata la presentazione di documenti senza autorizzazione della Banca. Tuttavia si deve osservare che, dopo aver elencato l’insieme degli elementi del fascicolo disciplinare, il presidente della Banca ha concluso, a pagina 3 di tale lettera, che il ricorrente «[si è appropriato], senza averne diritto, documenti della Banca a carattere interno e strettamente riservato [e ha divulgato] senza autorizzazione all’esterno della Banca documenti e informazioni a carattere interno, ed ha utilizzato questi ultimi per fini privati». Da tali passi risulta che nella lettera 13 giugno 2001 viene menzionata non solo l’appropriazione irregolare dei documenti, ma anche l’utilizzazione di tali documenti a fini privati, senza autorizzazione della Banca.

175
Inoltre, occorre esaminare se, come suggerisce in sostanza la convenuta, le constatazioni effettuate dal Tribunale nella sentenza 23 febbraio 2001 per quanto riguarda l’appropriazione asseritamente irregolare di taluni documenti riservati della Banca possano da sole costituire il fondamento dei provvedimenti disciplinari adottati dalla Banca nei confronti del ricorrente.

176
A tale proposito, occorre ricordare che, al punto 220 della sentenza 23 febbraio 2001, il Tribunale ha precisato che «la produzione senza autorizzazione di documenti riservati che appartengono alla Banca e acquisiti irregolarmente dal dipendente interessato può presentare carattere d’illiceità e, per tale motivo, può essere presa legittimamente in considerazione dall’autorità competente per escludere, eventualmente, la candidatura dell’interessato alla promozione, indipendentemente dalla questione se tali documenti saranno considerati dal Tribunale indispensabili per la soluzione della controversia in esame e per questo mantenuti nel fascicolo, fatta salva la tutela della riservatezza». Orbene, occorre rilevare che, a tale proposito, il Tribunale si è limitato a constatare, al punto 229 della citata sentenza, che il ricorrente non ha dedotto elementi sufficienti per provare che la convenuta ha ecceduto i limiti del suo potere discrezionale prendendo in considerazione, tra gli altri elementi, nell’ambito di un procedimento di promozione, l’acquisizione, a suo parere irregolare, dei documenti controversi da parte del ricorrente.

177
Per quanto riguarda i punti 342‑348 della sentenza 23 febbraio 2001, il Tribunale ha esaminato in essi la richiesta della convenuta diretta ad ottenere che il Tribunale ordinasse il ritiro di un certo numero di documenti prodotti dal ricorrente nell’ambito dei ricorsi T‑7/98, T‑208/98 e T‑109/99. A tale proposito, il Tribunale ha ritenuto che tali documenti dovessero essere ritirati dal fascicolo «dato che non [erano] rilevanti per la valutazione della presente causa e il ricorrente non [aveva] dimostrato che li aveva acquisiti regolarmente (punto 348)».

178
Tali constatazioni effettuate dal Tribunale nella sentenza 23 febbraio 2001 non permettono di trarre alcuna conclusione per quanto riguarda la realtà e la qualificazione dei fatti addebitati al ricorrente nell’ambito del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti e nell’ambito della presente controversia.

179
Infatti, nella sentenza sopra menzionata, il Tribunale ha esclusivamente verificato se il ricorrente abbia fornito la prova di aver acquisito regolarmente i documenti di cui trattasi e se abbia sufficientemente provato che la convenuta ha oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale tenendo conto, nell’ambito di un procedimento di promozione, dell’acquisizione asseritamene irregolare dei documenti in parola.

180
Al contrario, in un procedimento disciplinare, l’onere della prova delle censure mosse a un dipendente incombe all’autorità competente, nel caso specifico il presidente della Banca. Nella fattispecie, spetta a tale autorità, da un lato, fornire prove sufficienti del fatto che il ricorrente si era irregolarmente appropriato i sei documenti che aveva presentato nell’ambito delle cause T‑7/98, T‑208/98 e T‑109/99 e, dall’altro, motivare sufficientemente in diritto la sua valutazione della gravità dell’illecito così fatto valere.

181
Orbene, occorre constatare che la convenuta non ha fornito alcuna prova a sostegno delle sue affermazioni riguardanti tale acquisizione asseritamene irregolare.

182
La censura fondata su tali affermazioni deve quindi essere respinta.

Sulle censure relative agli articoli comparsi sui giornali Ekstra Bladet e Scotland on Sunday nonché alla lettera del ricorrente pubblicata sul giornale Il Mondo

183
In primo luogo, occorre esaminare gli argomenti del ricorrente per quanto riguarda gli articoli comparsi sul giornale danese Ekstra Bladet e sul giornale scozzese Scotland on Sunday.

184
A tale proposito, occorre, in via preliminare, respingere l’argomento del ricorrente diretto a contestare l’autenticità di tali articoli. Infatti, in risposta a un quesito del Tribunale nel corso dell’udienza, la convenuta ha presentato una copia della pagina dell’edizione del giornale Scotland on Sunday su cui è comparso l’articolo in parola. Inoltre, per quanto riguarda l’articolo comparso sul giornale Ekstra Bladet, essa ha presentato una copia della corrispondenza elettronica che ha scambiato con la società Infomedia che gestisce gli archivi del giornale Ekstra Bladet. Essa ha anche presentato una dichiarazione del responsabile della sua divisione della traduzione in cui si conferma che la traduzione in inglese di tale articolo è stata effettuata sulla base dell’originale dell’articolo pubblicato sul giornale di cui si tratta. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, tali elementi non costituiscono una prova tardiva. Infatti, il ricorrente non ha mai contestato l’autenticità di tali articoli nell’ambito del procedimento disciplinare per cui non si può addebitare alla convenuta di non aver fornito la prova della loro autenticità nel corso di tale procedimento.

185
Inoltre, è pacifico tra le parti che gli autori di tali articoli indicano nel ricorrente la fonte delle informazioni di cui danno conto. Infatti, nell’articolo comparso sul giornale Scotland on Sunday è precisato, al secondo paragrafo, che il ricorrente ha avuto un contatto diretto con l’autore di tale articolo («Carlo de Nicola, 37, told Scotland on Sunday […]»). Per quanto riguarda l’articolo comparso sul giornale Ekstra Bladet, in esso si precisa che il sig. De Nicola si rifiuta di parlare alla stampa, ma ha trasmesso tutta la sua documentazione al detto giornale, compresa la relazione da lui redatta per la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo.

186
Analogamente, è evidente che tali articoli attribuiscono al ricorrente affermazioni gravemente dannose per la reputazione della Banca e di taluni dei suoi dipendenti e che, secondo l’articolo comparso sul giornale Ekstra Bladet, il ricorrente avrebbe trasmesso a quest’ultimo tutta la sua documentazione, compresa la relazione da lui redatta per la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo.

187
Tuttavia, la convenuta non ha presentato alcuna prova del fatto che le informazioni riportate in tali articoli sarebbero state comunicate ai giornali in parola dal ricorrente personalmente o quanto meno dopo che egli ne fosse stato informato e avesse prestato il suo consenso.

188
Inoltre, occorre rilevare che, sia nell’ambito del procedimento disciplinare, sia nell’ambito della presente controversia, il ricorrente ha categoricamente negato di aver avuto contatti con gli autori di tali articoli e, a maggior ragione, di aver loro trasmesso informazioni e documenti interni e riservati appartenenti alla Banca.

189
Inoltre, occorre osservare che, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale, il ricorrente ha affermato, senza che la convenuta contestasse tale affermazione, che egli è stato informato per la prima volta di questi due articoli nel giugno 2001, quando il presidente della Banca gli ha comunicato i fatti che gli erano addebitati nell’ambito del procedimento disciplinare. La convenuta non aveva mai, prima di quella data, contattato il ricorrente per chiedergli spiegazioni in merito al contenuto di tali articoli.

190
Inoltre, si deve sottolineare che, quando egli è stato informato di tali articoli nel giugno 2001, erano trascorsi quasi due anni dalla loro pubblicazione. Pertanto, anche supponendo che, secondo la legge applicabile, esistesse un diritto di replica e che i giornali Ekstra Bladet e Scotland on Sunday fossero obbligati ad accettare di pubblicare una smentita su richiesta del ricorrente, una rettifica così tardiva sarebbe stata priva di ogni interesse sia per quest’ultimo sia per la convenuta.

191
D’altra parte, la convenuta non ha presentato alcun valido motivo per spiegare perché il ricorrente, che senz’alcun dubbio aveva conoscenza delle gravi conseguenze che poteva comportare per la sua carriera la comunicazione alla stampa di affermazioni diffamatorie nei confronti della Banca e dei suoi colleghi, avrebbe scelto di comunicare tali affermazioni a giornali a diffusione limitata come lo Scotland on Sunday e l’Ekstra Bladet. Inoltre, il Tribunale giudica poco credibile la circostanza che, dopo aver redatto la relazione in data 16 aprile 1999 che, secondo la prima pagina, era destinata a essere comunicata «in via strettamente riservata» alla commissione per il controllo dei bilanci, il ricorrente abbia ritenuto opportuno comunicare, quattro giorni più tardi, una copia di questa stessa relazione al giornale Ekstra Bladet. Infatti, una simile azione avrebbe irrimediabilmente compromesso la credibilità della sua testimonianza all’interno di questa stessa commissione.

192
In tale contesto, occorre considerare che gli articoli comparsi sui giornali Scotland on Sunday e Ekstra Bladet non costituiscono una prova sufficiente del fatto che il ricorrente abbia trasmesso direttamente e personalmente o abbia prestato il suo consenso alla divulgazione a tali giornali delle informazioni interne e riservate della Banca e/o che abbia diffuso affermazioni diffamatorie o a carattere tendenzioso che danneggiano la reputazione di quest’ultima e di taluni dei suoi colleghi.

193
Una conclusione analoga si impone, del resto, per quanto riguarda la lettera del ricorrente che è stata pubblicata il 5 marzo 1999 sul giornale italiano Il Mondo.

194
Infatti, come giustamente rileva la ricorrente, tale lettera non contiene alcuna informazione interna e riservata sull’attività della Banca. Certo, tale lettera contiene un determinato numero di critiche generali nei confronti delle istituzioni comunitarie. Tuttavia, la convenuta non ha provato in quale misura tali affermazioni, che sono state pubblicate in un momento in cui il ricorrente non era più dipendente della Banca, dovevano essere qualificate come «affermazioni diffamatorie o a carattere tendenzioso che danneggiano la reputazione della Banca o di taluni suoi dipendenti» o, come risulta dal parere della commissione paritetica del 30 agosto 2001, come una violazione dell’obbligo di riservatezza.

Sui motivi relativi alla lettera 11 febbraio 1999 e alla relazione 16 aprile 1999

195
Dai punti 2.5 e 2.6 del parere della commissione paritetica del 30 agosto 2001, a cui fa riferimento la decisione di licenziamento, risulta che la convenuta addebita al ricorrente di aver indirizzato a taluni membri del Parlamento europeo una lettera in data 11 febbraio 1999 e alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo una relazione in data 16 aprile 1999, senza aver informato i suoi superiori gerarchici e senza previa autorizzazione degli stessi, laddove, secondo la convenuta, tali documenti contengono informazioni riservate della Banca nonché affermazioni diffamatorie e a carattere tendenzioso che danneggiano la reputazione di taluni colleghi del ricorrente nonché quella della Banca e compromettono gravemente la dignità della funzione, il dovere di lealtà nonché il dovere di collegialità e di mutuo rispetto.

196
A tale proposito, occorre anzitutto respingere l’argomento del ricorrente diretto a negare che egli abbia inviato la lettera 11 febbraio 1999 a taluni membri del Parlamento europeo. È vero che, come afferma il ricorrente, non v’è alcun elemento del fascicolo che permetta di provare che egli ha inviato tale lettera ai 626 membri del Parlamento europeo. Tuttavia, la convenuta ha fornito una serie di indizi precisi e concordanti per dimostrare che il ricorrente ha effettivamente inviato la lettera 11 febbraio 1999 a taluni membri del Parlamento europeo.

197
In effetti, dalla lettera 10 marzo 1999, indirizzata alla convenuta dal sig. Blak, vice presidente della commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo, risulta chiaramente che la lettera 11 febbraio 1999 è stata effettivamente inviata a taluni membri del Parlamento europeo, anche se il suo contenuto non permette di individuare né la loro identità né il loro numero. Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, né la data alla quale tale lettera è stata inviata né il suo contenuto permettono di dubitare della sua autenticità. Allo stesso modo, è a torto che il ricorrente fa valere che tale lettera, che è stata presentata dalla convenuta nel corso dell’udienza del 15 ottobre 2003, costituisce una prova tardiva. Infatti, il ricorrente non ha mai contestato, nell’ambito del procedimento disciplinare, il fatto che la lettera 11 aprile 1999 sia stata inviata a taluni membri del Parlamento europeo, cosicché non si può addebitare alla convenuta di non aver fornito la prova di tale fatto nel corso di tale procedimento. Inoltre, occorre sottolineare che il ricorrente ha accettato l’invito rivoltogli dal sig. Blak, con lettera 30 marzo 1999, a testimoniare dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo e a presentare «informazioni supplementari» in merito alle sue affermazioni di cattiva gestione e di frode nei confronti della Banca. Orbene, il ricorrente avrebbe difficilmente potuto ricevere un simile invito, se, come afferma nei suoi scritti, non avesse inviato la lettera 11 febbraio 1999. Inoltre, l’accettazione, da parte del ricorrente, dell’invito a testimoniare dinanzi a tale commissione ed a fornire informazioni supplementari rende poco credibile la sua affermazione secondo cui la Banca avrebbe approfittato della sua assenza, nel febbraio 1999, per inviare tale lettera che si trovava nel computer in dotazione nel suo ufficio.

198
Analogamente, occorre respingere in quanto infondata l’obiezione del ricorrente relativa al carattere incompleto della copia della relazione 16 aprile 1999 che è stata presentata dalla convenuta come documento a carico. Infatti, da un lato, il ricorrente non è stato in grado di provare quanto da lui affermato a tale proposito. Dall’altro, dalla sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale risulta che la parte di tale relazione che mancherebbe nella copia presentata dalla Banca sarebbe una domanda indirizzata al Parlamento europeo affinché sollecitasse presso la convenuta l’autorizzazione per il ricorrente a trasmettere informazioni complementari relative ai fatti riferiti in detta relazione. Orbene, anche supponendo che la copia controversa della relazione fosse effettivamente incompleta a tale riguardo, cionondimeno tale elemento non giustifica, di per sé, la conclusione che tale copia è sprovvista di efficacia probatoria relativamente agli addebiti mossi al ricorrente.

199
Poiché è sufficientemente provato che il ricorrente ha inviato la lettera 11 febbraio 1999 a taluni membri del Parlamento europeo e che il carattere asseritamene incompleto della copia della relazione 16 aprile 1999 non compromette la sua efficacia probatoria, il Tribunale decide di esaminare, qui di seguito, gli argomenti del ricorrente diretti a dimostrare che la convenuta non ha provato sufficientemente che, inviando tali documenti, il ricorrente, da un lato, ha divulgato senza autorizzazione della Banca né previa informazione fatti, informazioni e documenti interni e riservati della Banca e, dall’altro, ha diffuso affermazioni diffamatorie o a carattere tendenzioso che danneggiano la reputazione di taluni suoi colleghi nonché quella della Banca.

200
Per quanto riguarda la relazione 16 aprile 1999, è evidente che, come sottolinea la convenuta, tale relazione contiene accuse molto gravi relative a casi di frode e di incompetenza che si sarebbero verificati all’interno della Banca.

201
A tale proposito, occorre rilevare, in via preliminare, che non spetta al Tribunale pronunciarsi sulla fondatezza di tali accuse. Infatti, nell’ambito del presente ricorso, il Tribunale è esclusivamente investito della questione se la convenuta abbia commesso un errore di fatto o di diritto considerando che, nell’inviare tale relazione alla Commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo, il ricorrente ha commesso gli inadempimenti che gli sono addebitati nell’ambito del procedimento disciplinare.

202
Inoltre, il Tribunale ritiene che non vi sia alcun dubbio sul fatto che le accuse contenute nella relazione 16 aprile 1999 possano danneggiare gravemente la reputazione della Banca e quella di taluni colleghi del ricorrente. Contrariamente a quanto afferma quest’ultimo, non si può addebitare alla convenuta di non aver indicato con precisione i passi di tale relazione che considera diffamatori nei suoi confronti nonché nei confronti di coloro che lavorano presso la Banca. Infatti, è sufficiente constatare che tale relazione contiene, praticamente in ogni pagina, gravi accuse nei confronti della Banca, dei suoi dirigenti e di un gran numero di suoi dipendenti. Inoltre, anche se è vero che la relazione non menziona il nome dei destinatari di tali accuse, tuttavia la descrizione precisa delle loro funzioni e del periodo in cui si sono svolti i fatti considerati permette di identificarli facilmente.

203
Inoltre, il ricorrente non contesta il fatto che la relazione 16 aprile 1999 nonché i documenti ad essa allegati contengano informazioni interne e riservate relative alle operazioni della Banca.

204
Inoltre, per quanto riguarda la lettera 11 febbraio 1999, il Tribunale ritiene che il ricorrente sostenga erroneamente che tale lettera contiene solo fatti personali.

205
È vero che, come afferma il ricorrente, questi ha fatto valere, nella lettera 11 febbraio 1999, un certo numero di fatti relativi alla sua situazione personale presso la Banca nel 1998 e nel 1999, e cioè che: i) taluni suoi colleghi lo hanno accusato di soffrire di una mania di persecuzione; ii) nell’agosto 1998 egli è stato privato delle funzioni che aveva esercitato per quattro anni, e gli sono stati attribuiti compiti che nessun altro desiderava; iii) è stata distribuita una foto segnaletica agli agenti della sicurezza a cui era stato dato l’ordine di informare direttamente il direttore del servizio del personale dell’arrivo del ricorrente.

206
Tuttavia, risulta chiaramente da tale lettera che il ricorrente non si è limitato a far valere questi diversi fatti personali, ma li ha collegati al suo asserito tentativo di rendere pubbliche informazioni relative a pratiche scorrette o a malversazioni all’interno della Banca. Ciò risulta, in primo luogo, dal fatto che la lettera 11 febbraio 1999 è intitolata «Sugli abusi riguardanti i fondi pubblici nelle istituzioni comunitarie». Inoltre, tale conclusione si impone in considerazione del fatto che, dopo una lunga premessa sulle difficoltà che devono affrontare i dipendenti che intendono denunciare fatti riprovevoli all’interno delle istituzioni (che il ricorrente chiama «whistleblowers»), il ricorrente ha illustrato il suo punto di vista a tale proposito, facendo riferimento alla sua situazione personale (v. terzultimo paragrafo della pagina 2 della lettera: «Se qualcuno dovesse pensare che quanto precede è una rappresentazione esagerata della situazione, vorrei descrivere taluni problemi che io stesso ho incontrato»). Da quanto esposto risulta chiaramente che il ricorrente si considera come un denunciante (whistleblower) e che ritiene di essere stato oggetto di diversi provvedimenti infamanti perché ha voluto divulgare presunte malversazioni che si sono verificate all’interno della Banca. Se è vero che, nella lettera in parola, egli non descrive tali irregolarità in quanto tali, ma si limita a far valere «situazioni particolari che si sono prodotte nel suo dipartimento» (pag. 2) o «informazioni particolari da trasmettere alle autorità penali» (pag. 3), tuttavia risulta chiaramente dal contesto generale in cui egli colloca tali passi che si tratta effettivamente di irregolarità che si asserisce essere avvenute all’interno della Banca. La conclusione della lettera 11 febbraio 1999 non lascia del resto alcun dubbio a tale proposito poiché essa è formulata nel modo seguente: «Alla luce di tutti questi motivi e dei fatti sopra descritti, mi sembra che i dipendenti onesti e capaci che rifiutano di rendersi complici di comportamenti poco chiari i quali o hanno carattere criminoso o si risolvono, in ogni caso, in impieghi abusivi di fondi pubblici devono pagare un prezzo molto alto».

207
Inoltre, il ricorrente erroneamente sostiene che la circostanza che, all’inizio dell’udienza nelle cause T‑7/98, T‑208/98 e T‑109/99, il Tribunale abbia respinto la domanda di udienza a porte chiuse presentata dalla convenuta deve essere interpretata come un’ammissione che i fatti riferiti nella lettera 11 febbraio 1999 sono di pubblico dominio. Infatti, è sufficiente constatare che l’udienza in parola si è svolta il 26 settembre 2000, per cui essa non può essere fatta valere per giustificare un fatto avvenuto nel febbraio 1999. Inoltre, la decisione del Tribunale di rifiutare l’udienza a porte chiuse non giustifica affatto la conclusione che il dipendente interessato sia autorizzato a divulgare liberamente a terzi, vale a dire senza autorizzazione dei suoi superiori gerarchici, l’insieme dei fatti che sono evocati nell’ambito del procedimento. D’altra parte, occorre sottolineare che, nella fattispecie, le parti avevano dato il loro consenso all’inizio dell’udienza per escludere dal dibattimento i documenti per i quali la convenuta aveva richiesto un trattamento riservato.

208
Alla luce di quanto precede, il Tribunale ritiene che la convenuta abbia sufficientemente provato che il ricorrente, inviando la relazione 16 aprile 1999 alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo e indirizzando la lettera 11 febbraio 1999 a taluni membri del Parlamento europeo, ha divulgato, senza autorizzazione o previa informazione dei suoi superiori gerarchici, fatti, informazioni e documenti interni e riservati della Banca. Del pari, essa ha sufficientemente provato che, agendo in tal modo, il ricorrente ha diffuso affermazioni che danneggiano gravemente la reputazione di taluni suoi colleghi nonché quella della Banca.

209
Tuttavia, occorre anzitutto rilevare che, nella valutazione dell’illiceità di tali fatti, la convenuta non ha, in alcun momento, tenuto conto della circostanza che la lettera 11 febbraio 1999 è stata indirizzata a membri del Parlamento europeo, competente, in particolare, ad adottare, in forza dell’art. 280 CE, provvedimenti diretti a combattere la frode e qualsiasi altro pregiudizio agli interessi finanziari della Comunità, compresi quelli della Banca (v. sentenza della Corte 10 luglio 2003, causa C‑15/00, Commissione/BEI, Racc. pag. I‑7281, punto 125).

210
Analogamente, occorre sottolineare, in secondo luogo, che la BEI non ha tenuto conto del fatto che il ricorrente ha redatto la relazione 16 aprile 1999 su espressa richiesta del vicepresidente della commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo e che, in seguito alla trasmissione «in via strettamente riservata» di tale relazione, il ricorrente ha in più occasioni testimoniato dinanzi a tale commissione e ha partecipato a diversi colloqui con membri dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode.

211
Tali circostanze si rivelano tanto più importanti in quanto, in terzo luogo, trattandosi del controllo che il Tribunale deve effettuare circa la valutazione dell’illiceità dei fatti addebitati al ricorrente, come risulta dai punti 192 e ss. supra, la convenuta non ha sufficientemente provato che il ricorrente abbia comunicato tali informazioni a persone o organi diversi da quelli indicati ai punti precedenti.

212
Pertanto, se è vero che le circostanze rilevate ai punti 209 e 210 supra non giustificano, in quanto tali, la conclusione che i fatti addebitati al ricorrente con riferimento alla lettera 11 febbraio 1999 e alla relazione 16 aprile 1999 non costituiscono violazioni degli obblighi di comportamento stabiliti dalla Banca, cionondimento la convenuta avrebbe dovuto imperativamente tenerne conto, in quanto circostanze attenuanti, nell’ambito della valutazione della gravità di tali violazioni al fine di adottare un provvedimento disciplinare adeguato.

213
Orbene, occorre constatare che, nella valutazione della gravità dei fatti addebitati al ricorrente, la convenuta non ha considerato alcuna circostanza attenuante a favore del ricorrente.

214
Alla luce di quanto precede, occorre concludere che la convenuta ha commesso un errore manifesto di valutazione per quanto riguarda la gravità dei fatti addebitati al ricorrente con riferimento alla lettera 11 febbraio 1999 e alla relazione 16 aprile 1999.

Sulla censura relativa al rifiuto del ricorrente di designare i rappresentanti del personale nella commissione paritetica

215
Per quanto riguarda tale censura, è sufficiente constatare che essa è fatta valere esclusivamente a titolo accessorio. Pertanto, tenuto conto delle conclusioni a cui è giunto il Tribunale per quanto riguarda le tre censure principali su cui si fonda la decisione di licenziamento, non è necessario pronunciarsi su quest’ultima censura. Ad abundantiam e senza che occorra esaminare la questione se il rifiuto di designare rappresentanti del personale nella commissione paritetica sia sufficientemente grave da giustificare da solo un licenziamento, il Tribunale constata, a tale proposito, che quest’ultima censura era successiva all’avvio del procedimento disciplinare, e non può quindi averne, di per sé, costituito l’oggetto ed essere valutata nell’ambito del medesimo nel pieno rispetto del diritto della difesa. Di conseguenza, quest’ultima censura non può giustificare la decisione impugnata.

Conclusione

216
Dall’esame del presente motivo risulta, da un lato, che la convenuta non ha sufficientemente provato che il ricorrente si è irregolarmente appropriato i sei documenti interni e riservati che ha presentato dinanzi al Tribunale nell’ambito delle cause decise con sentenza 23 febbraio 2001 e, dall’altro, che essa ha commesso un errore manifesto di valutazione per quanto riguarda tale addebito.

217
Allo stesso modo, si deve ritenere che gli articoli comparsi sui giornali Scotland on Sunday e Ekstra Bladet non costituiscano una prova sufficiente del fatto che il ricorrente ha divulgato informazioni interne e riservate della Banca e che ha diffuso affermazioni diffamatorie o a carattere tendenzioso che danneggiano la reputazione di quest’ultima e di taluni suoi colleghi. La medesima conclusione si impone per quanto riguarda la lettera del ricorrente che è stata pubblicata sul giornale Il Mondo.

218
Infine, la convenuta ha sufficientemente provato che, inviando la relazione 16 aprile 1999 alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo e indirizzando la lettera 11 febbraio 1999 a taluni membri del Parlamento europeo, il ricorrente ha divulgato, senza autorizzazione né previa informazione dei suoi superiori gerarchici, fatti, informazioni e documenti interni e riservati della Banca. Analogamente, essa ha sufficientemente provato che, agendo in tal modo, il ricorrente ha diffuso affermazioni che danneggiano gravemente la reputazione di taluni suoi colleghi nonché quella della Banca. Tuttavia, il Tribunale considera che essa ha commesso un errore manifesto nella valutazione dell’illiceità di tali fatti.

219
Ne consegue che il motivo relativo ad errori nell’accertamento e/o nella valutazione dei fatti addebitati al ricorrente deve essere accolto nei limiti precisati ai punti precedenti. Di conseguenza, senza che sia necessario pronunciarsi sugli altri motivi e argomenti svolti dal ricorrente nelle sue conclusioni dirette all’annullamento, occorre annullare integralmente la decisione di licenziamento tenuto conto del carattere unico e indivisibile della sanzione disciplinare contenuta nella detta decisione e del fatto che tale sanzione si fonda sulle censure accolte in tale decisione, considerate nel loro complesso. Pertanto, non spetta al Tribunale sostituirsi all’autorità disciplinare nel decidere la sanzione disciplinare adeguata, eventualmente, alle censure che risultano accertate al termine dell’esame del motivo supra menzionato (sentenze del Tribunale 9 luglio 2002, causa T‑21/01, Zavvos/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-101 e II‑483, punto 316, e 11 settembre 2002, T‑89/01, Willeme/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-153 e II‑803, punto 83).

3. Sulle altre domande

a) Sulle domande del ricorrente relative alla sua reintegrazione nella Banca, alla compilazione delle sue valutazioni annuali e alla consegna delle sue buste paga

Argomenti delle parti

220
Il ricorrente chiede al Tribunale di ordinare alla convenuta la sua reintegrazione nel posto di lavoro, ricostruendo la sua carriera a far data dal febbraio 1999, la compilazione delle sue valutazioni annuali dal 1998 in poi e la fissazione dei suoi obiettivi per gli anni a venire, nonché la consegna delle sue buste paga a decorrere dal gennaio 1999.

221
Egli respinge, al riguardo, l’argomentazione della convenuta nel suo complesso. Infatti, egli rileva che la sua situazione attuale è del tutto identica a quella in cui si è trovato dopo la pronuncia della sentenza 23 febbraio 2001, poiché, a seguito di tale sentenza, il rapporto di lavoro è ripreso esattamente dal momento in cui era stato illegittimamente interrotto dalla Banca, cioè dal febbraio 1999. Egli ritiene, quindi, che, qualora il Tribunale dovesse annullare la decisione di licenziamento, egli debba essere reintegrato a decorrere dalla data in cui il licenziamento ha avuto effetto.

222
La convenuta sostiene che le suddette domande sono irricevibili, nei limiti in cui, secondo una giurisprudenza costante, il Tribunale non è competente a rivolgere ingiunzioni o a sostituirsi alle istituzioni comunitarie (sentenza 23 febbraio 2001, punto 318).

223
Inoltre, essa ritiene che la domanda relativa alla compilazione delle valutazioni annuali per gli anni 1998 e seguenti sia priva di senso, poiché non è possibile formulare giudizi sull’attività di un dipendente se questo non ha svolto alcuna attività professionale per un determinato periodo. Essa sostiene, quindi, di avere correttamente rifiutato, con lettera 31 maggio 2001, di formulare una valutazione relativa all’anno 2000, precisando peraltro che gli aumenti di retribuzione per gli anni 1998, 1999 e 2000 sarebbero stati calcolati sulla base dell’ultima valutazione da lui ottenuta per l’anno 1997 («B»).

Giudizio del Tribunale

224
Occorre ricordare che, nell’ambito della competenza di annullamento conferitagli dall’art. 236 CE, il giudice comunitario non è competente a rivolgere ingiunzioni o a sostituirsi alle istituzioni comunitarie. Spetta all’istituzione interessata adottare, ai sensi dell’art. 233 CE, le misure richieste dall’esecuzione di una sentenza di annullamento esercitando, fatto salvo il sindacato del giudice comunitario, la discrezionalità di cui essa dispone al riguardo nel rispetto tanto del dispositivo e della motivazione della sentenza che è tenuta ad eseguire quanto delle disposizioni del diritto comunitario (sentenza 23 febbraio 2001, punti 318 e 319 e giurisprudenza ivi citata).

225
Di conseguenza le presenti domande devono essere dichiarate irricevibili.

226
Ad abundantiam, il Tribunale considera che tali domande non sono fondate. Infatti, dalla lettera 6 marzo 2001 risulta che, in seguito alla sentenza 23 febbraio 2001, il ricorrente è stato reintegrato nella funzione E e assegnato al Credit Risk Department. Inoltre occorre rilevare che, come giustamente sostiene la convenuta, non è possibile ricostruire la carriera di un dipendente o formulare giudizi sulla sua attività professionale se lo stesso non ha svolto alcuna attività di questo tipo durante il periodo di riferimento. D’altra parte deve notarsi che il ricorrente non è stato danneggiato, da un punto di vista economico, da tale mancata valutazione dal momento che, come risulta dalla lettera 31 maggio 2001, la convenuta ha deciso di calcolare i suoi aumenti di retribuzione per gli anni 1998, 1999 e 2000 sulla base della valutazione ottenuta per l’anno 1997, e cioè la nota «B». Infine, si deve constatare che i documenti che sono stati presentati dalla convenuta per precisare le modalità di calcolo degli arretrati delle retribuzioni non percepite dal ricorrente per gli anni 1999, 2000 e 2001 contengono informazioni almeno equivalenti se non addirittura più ampie di quelle contenute nelle buste paga di cui il ricorrente chiede la presentazione.

b) Sulle domande del ricorrente relative al pagamento degli arretrati di retribuzione maturati dal gennaio 1999, aumentati degli interessi di mora e al pagamento della somma di un euro simbolico

Argomenti delle parti

227
Il ricorrente fa valere che la convenuta non gli ha versato la totalità degli stipendi maturati dal gennaio 1999, aumentati degli interessi di mora a un tasso del 10%.

228
Anzitutto, egli considera che la convenuta non ha correttamente eseguito il punto 3 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001 con cui il Tribunale ha condannato la convenuta a versargli la somma di un euro simbolico come risarcimento del suo danno morale. Infatti egli esige che il pagamento di tale somma sia accompagnato da una lettera del presidente della Banca in cui quest’ultimo precisi che il pagamento di un euro è effettuato a titolo di risarcimento del danno morale subìto dal ricorrente, come accertato nella sentenza 23 febbraio 2001.

229
Inoltre, per quanto riguarda l’esecuzione del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, egli formula, in via preliminare, riserve circa la ricevibilità di numerosi argomenti dedotti tardivamente dalla convenuta nella lettera 10 novembre 2003 su punti riguardo ai quali il Tribunale non ha chiesto alcuna precisazione. A suo parere, tali riserve sono ancora più giustificate in quanto il Tribunale senza alcun motivo ha rifiutato il deposito delle osservazioni sulla relazione d’udienza da lui formulate nella lettera 7 ottobre 2003. Pertanto, egli ritiene che la lettera della convenuta 10 novembre 2003 debba anch’essa essere ritirata dal fascicolo. In subordine, egli nutre dubbi circa l’efficacia probatoria delle fotocopie anonime di pretese disposizioni vigenti che sono state tardivamente depositate dalla convenuta. Inoltre, egli si stupisce del fatto che il Tribunale conduca di propria iniziativa un’indagine contabile sull’esecuzione della sentenza 23 febbraio 2001 piuttosto che accogliere la sua domanda diretta alla nomina di un perito o meglio di un commissario ad acta, che disponga del potere di entrare negli uffici della convenuta e di verificare ciò che gli è dovuto alla luce dei documenti prodotti in giudizio, e che adotti decisioni in merito al pagamento delle somme dovute a tale titolo.

230
Alla luce di tali riserve il ricorrente espone la sua argomentazione diretta a provare che la convenuta non ha pagato l’intera retribuzione a cui egli aveva diritto in forza del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001.

231
In primo luogo, egli fa valere che la convenuta non gli ha versato la totalità delle retribuzioni di base che egli avrebbe dovuto percepire dalla revoca della sua dichiarazione di dimissioni nel gennaio 1999. Infatti egli sottolinea che dai suoi calcoli risulta che la convenuta gli è debitrice a tale titolo di una somma pari a EUR 170 721,12, a cui occorre aggiungere gli interessi di mora al tasso del 6,75% fino al 23 febbraio 2001 e al tasso del 9,75% per il periodo successivo fino al pagamento effettuato l’8 giugno 2001. Egli conclude quindi che, previa deduzione dell’insieme delle somme che gli sono state versate dalla convenuta fino al 12 settembre 2001 (compresa l’indennità di mobilità geografica), la convenuta deve, a questo titolo, ancora pagargli una somma pari a EUR 4 821,31 (compresi gli interessi di mora fino al 12 settembre 2001).

232
In secondo luogo, il ricorrente sostiene che la convenuta non gli ha corrisposto la retribuzione corrispondente ai premi annuali per gli esercizi 1998‑2001. Orbene, egli sottolinea che il personale della Banca ha diritto, ogni anno, a un premio che viene versato contemporaneamente allo stipendio del mese di luglio. Egli si riferisce, a titolo di prova, a un estratto conto del 15 luglio 1997 che conferma il versamento di tale premio. Orbene, poiché egli ha percepito tale premio per gli anni che hanno preceduto le sue dimissioni nel 1999 e dato che la convenuta gli ha attribuito la nota «B» a titolo di valutazione per gli anni 1998, 1999 e 2000, egli ritiene di avere diritto a questo premio per questi tre anni nonché per l’anno 2001.

233
A tale proposito, egli contesta l’insieme degli argomenti dedotti dalla convenuta nonché i calcoli che quest’ultima ha prodotto nella lettera 10 novembre 2003. Nel constatare che la convenuta riconosce che egli ha diritto al premio annuale per l’anno 1998 e che le fotocopie anonime delle disposizioni vigenti che essa ha presentato in allegato alla sua lettera 10 novembre 2003 non consentono di attribuirle a un organo decisionale della Banca, egli ritiene che tale premio gli sia dovuto anche per gli anni seguenti (compreso l’anno 2001) e che, poiché la somma totale dei premi non è mai stata pagata, gli interessi moratori su tale somma gli siano dovuti al tasso del 6,75% fino al 23 febbraio 2001 e al tasso del 10% per il periodo successivo a tale sentenza fino alla data del pagamento effettivo. Per quanto riguarda i calcoli dei premi annuali che sono stati anticipati dalla convenuta, egli rileva che, da un lato, tali calcoli non sono credibili, tenuto conto degli aumenti generali dei premi annuali per gli anni 1993, 1994, 1995, 1998, 1999, 2000 e 2001 e, dall’altro, che essi non sono affidabili in quanto sono stati predisposti unilateralmente dalla Banca. Inoltre, egli rileva che l’importo totale di EUR 20 175,64 che è anticipato dalla convenuta per i premi annuali relativi agli anni 1998, 1999 e 2000 è anch’esso erroneo in quanto include solamente gli interessi maturati al 10 settembre 2001, mentre la somma realmente dovuta non è mai stata pagata, per cui gli interessi continuano a maturare. In conclusione, nel confermare le riserve espresse sugli importi annuali di partenza indicati dalla convenuta, egli considera che, applicando le formule indicate nelle disposizioni applicabili presentate dalla convenuta, l’importo minimo che gli è dovuto a titolo dei premi annuali per gli anni 1998‑2001 ammonta a EUR 49 157,61 (compresi gli interessi di mora ad un tasso del 6,75% fino al 23 febbraio 2001 e del 10% per il periodo successivo fino al 31 marzo 2004).

234
In terzo luogo, il ricorrente fa valere che la convenuta non gli ha pagato la retribuzione equivalente ai giorni di ferie di cui non ha potuto godere durante gli anni 1998‑2001. Egli contesta, anzitutto, l’efficacia probatoria delle fotocopie anonime delle presunte disposizioni applicabili che la convenuta ha prodotto tardivamente in allegato alla sua lettera 10 novembre 2003. In seguito, egli sottolinea che la convenuta riconosce di non avergli corrisposto alcuna indennità a tale titolo, che egli non ha utilizzato nove giorni di ferie nel 1998 e non ha beneficiato di alcun giorno di ferie durante gli anni 1999‑2001, che egli ha diritto, per ogni giorno di ferie non goduto, a un’indennità proporzionale alla sua retribuzione mensile, e che il diritto alle ferie è un diritto inviolabile. Per quanto riguarda il calcolo dell’indennità relativa ai giorni di ferie non goduti, il ricorrente fa valere che il valore giornaliero di tale indennità si stabilisce dividendo per 20,5 la retribuzione al lordo dell’imposta a cui ha diritto al 1° agosto di ogni anno. A suo parere, l’importo complessivo di tale indennità deve essere aumentato degli interessi di mora ad un tasso del 6,75% fino al 23 febbraio 2001 e di un interesse del 10% dalla data della sentenza fino al pagamento effettivo. In conclusione, pur ribadendo le riserve già espresse, egli valuta di aver diritto, per i giorni di ferie di cui non ha goduto, ad una somma totale di EUR 77 300, 43 (compresi gli interessi di mora a un tasso del 6,75% fino al 23 febbraio 2001 e del 10% per il periodo successivo fino al 31 marzo 2004).

235
In quarto luogo, egli afferma che, contrariamente a quanto sostiene la convenuta, quest’ultima non gli ha corrisposto le indennità per i viaggi verso il centro di interessi alle quali ha diritto in forza delle disposizioni applicabili. Infatti, egli rileva che, al momento del pagamento delle retribuzioni in aprile e in ottobre di ogni anno, tutti i dipendenti della Banca percepiscono un’indennità corrispondente al costo di un biglietto aereo andata e ritorno, per sé e per la loro famiglia. Egli sottolinea parimenti che, nei suoi scritti, la convenuta ha riconosciuto, da un lato, che essa paga tale indennità a tutti i dipendenti, compresi quelli che non ritornano ai centri di interessi, e, dall’altro, che i dipendenti che viaggiano in aereo hanno diritto al rimborso del loro titolo di trasporto. Inoltre, egli prende atto del fatto che la convenuta riconosce, da un lato, che essa gli ha pagato l’indennità di viaggio in passato e, dall’altro, che egli ha diritto a tale indennità, per gli anni 1999 e 2000. Infine, per quanto riguarda il calcolo di tale indennità egli ritiene che, tenuto conto delle disposizioni prodotte dalla convenuta e del fatto che il suo centro di interessi è situato a più di cinquecento chilometri da Lussemburgo, lui e la sua famiglia hanno diritto al rimborso del biglietto aereo per gli anni 1999, 2000 e per la prima metà del 2001. Pertanto egli considera che, poiché il costo di un simile biglietto ammonta attualmente a EUR 4 267,16, egli ha diritto, a titolo di indennità per i viaggi verso il centro di interessi, a una somma totale di EUR 25 658,15 (compresi gli interessi di mora fino al 31 marzo 2004).

236
In quinto luogo, il ricorrente fa valere che la convenuta non gli ha versato le somme a cui egli ha diritto a titolo del bonus di interessi sui mutui relativi all’acquisto delle sue case a Lussemburgo e a Roma.

237
Per quanto riguarda il prestito per l’acquisto della casa a Lussemburgo, egli sottolinea che la somma a cui ha diritto corrisponde alla differenza tra, da un lato, gli interessi convenzionali che ha pagato alla BCEE, a decorrere dal giugno 1999, per il prestito relativo all’acquisto di tale casa e, dall’altro, quelli che avrebbe dovuto pagare alla Banca se avesse potuto continuare a beneficiare, dopo il 1° marzo 1999, del prestito inizialmente autorizzato dalla Banca nel 1995. Egli afferma anche che l’importo totale del bonus di interessi di cui avrebbe dovuto beneficiare deve essere calcolato sulla somma inizialmente presa a prestito dal ricorrente, e cioè EUR 139 000, e non sull’importo inferiore del finanziamento sostitutivo che ha contratto presso la BCEE, e cioè EUR 100 000. Pertanto egli ritiene di aver diritto a tale titolo alla somma di EUR 15 816,86 (compresi gli interessi di mora al tasso del 6,75% fino al 23 febbraio 2001 e al tasso del 10% per il periodo successivo fino al 31 dicembre 2003).

238
Per quanto concerne il bonus di interessi sul mutuo relativo all’acquisto della casa a Roma, il ricorrente fa valere che egli ha diritto a tale agevolazione in quanto, con un messaggio di posta elettronica dell’8 maggio 2001, il capo della divisione dei servizi amministrativi della Banca ha confermato che, secondo le regole applicabili, egli ha diritto a un prestito sovvenzionato per un importo massimo di EUR 231 385,72 e che tale prestito può essere utilizzato per acquistare una casa in Lussemburgo o altrove o per acquistare diverse case, a condizione di rispettare tale importo massimo. A suo parere, ne consegue che, per il periodo dal luglio 2001 al 12 settembre 2001, egli ha diritto, a tale titolo, alla somma di EUR 273,91 (compresi gli interessi di mora al tasso del 10% per il periodo dal 12 settembre 2001 fino al 31 dicembre 2003).

239
In sesto luogo, il ricorrente sostiene che, nella sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale, la convenuta ha ammesso che egli ha diritto all’indennità di nuova sistemazione prevista all’art. 1.3 delle disposizioni amministrative, che corrisponde a tre volte la retribuzione di base al momento del trasferimento (v. nota del servizio del personale del 6 marzo 2001). Orbene, egli rileva che, benché dovesse percepire, a tale titolo, la somma di EUR 19 086,57 (uguale a tre volte EUR 6 362,19), la convenuta gli ha versato solo EUR 18 799,49. A suo giudizio, ne deriva a suo favore un credito di EUR 287,08 (senza gli interessi di mora).

240
In settimo luogo, il ricorrente fa valere che, nella lettera che la Banca gli ha indirizzato il 16 luglio 2001, quest’ultima ha espressamente riconosciuto che, in seguito al suo trasferimento all’ufficio della Banca a Roma, egli ha diritto, da un lato, al pagamento delle spese di viaggio per sé e per la sua famiglia e, dall’altro, alle spese di trasloco. Egli chiede quindi il pagamento delle spese di viaggio per una somma di EUR 3 200 (senza gli interessi di mora). Per quanto riguarda le spese di trasloco, egli si riserva il diritto di chiederne il rimborso in tempo utile.

241
In ottavo luogo, il ricorrente fa valere che, nei calcoli che sono stati presentati dalla convenuta, quest’ultima ha correttamente escluso, a partire dal marzo 2001, la concessione al ricorrente dell’indennità di espatrio, ma ha dimenticato di aggiungere l’indennità di mobilità geografica a cui ha diritto. Inoltre, a suo parere, la convenuta ha, successivamente, pagato soltanto una parte di tale indennità, che corrisponde a EUR 1 290 al mese. Del resto, egli fa valere che le fotocopie anonime delle disposizioni applicabili che essa ha presentato in allegato alla sua lettera 10 novembre 2003 non consentono di attribuirle a un organo decisionale della Banca. Infine, essa rileva che tale indennità è una delle componenti della retribuzione mensile del ricorrente e che egli non ha mai rilasciato una ricevuta del pagamento di tale indennità.

242
Infine, il ricorrente riconosce di dover restituire la somma di EUR 27 524,91 che ha ricevuto nel 1999 a titolo di indennità di cessazione dal servizio. Egli sottolinea tuttavia che tale questione non rientra nell’oggetto della presente controversia in quanto la convenuta avrebbe dovuto introdurre una domanda riconvenzionale per chiedere la restituzione di tale somma. Inoltre, egli contesta il fatto di dover rimborsare la somma di EUR 11 015,94 che la convenuta asserisce di avergli corrisposto e per cui essa non ha mai introdotto una domanda di restituzione. In ogni caso, egli osserva che la convenuta non ha formulato una domanda riconvenzionale a tale riguardo, e che quindi tale questione non costituisce oggetto della presente controversia.

243
La convenuta contesta in toto l’argomentazione del ricorrente.

244
Anzitutto essa sottolinea che, a suo parere, anche se la somma di un euro simbolico prevista al punto 3 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001 può costituire oggetto di una compensazione con le somme che le sono dovute dal ricorrente, essa, per mostrare la sua disponibilità a risolvere la presente controversia, ha versato tale somma sul conto del ricorrente.

245
Inoltre, essa contesta in toto l’argomentazione del ricorrente diretta a provare che essa non avrebbe correttamente eseguito il punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, con cui il Tribunale l’ha condannata a pagare gli arretrati delle retribuzioni non percepite dal ricorrente, maggiorati degli interessi di mora.

246
In primo luogo, essa rileva che, conformemente alle disposizioni applicabili, l’importo totale delle retribuzioni di base, da un lato, è stato adattato all’inflazione e agli avanzamenti di carriera e, dall’altro, è stato maggiorato delle diverse indennità previste dalle disposizioni applicabili (indennità di compensazione, indennità di mobilità geografica, assegni famigliari, indennità scolastiche, assegni per figli a carico). A suo giudizio, tale importo ammonta, detratte le imposte e altri prelievi, a EUR 181 764,86 (compresi gli interessi di mora fino al 28 febbraio 2001).

247
In secondo luogo, essa indica che, a titolo di transazione e a condizione espressa di una rinuncia nell’ambito dell’udienza, essa accetta di pagare al ricorrente i premi annuali per gli anni 1998‑2000, maggiorati degli interessi di mora. Essa sottolinea che, compresa la concessione di un premio annuale per l’anno 2001, il ricorrente ha diritto a tale titolo, previa deduzione delle imposte, a una somma complessiva di EUR 25 065,46 (compresi gli interessi di mora fino al 10 settembre 2001). Tuttavia essa precisa che la concessione di un premio per l’anno 2001 è prevista solo nel caso in cui il Tribunale annullasse la decisione di sospensione e mantenesse gli effetti della decisione di licenziamento. Inoltre, in risposta a un quesito del Tribunale, essa sostiene che i coefficienti utilizzati per il calcolo dei premi sono derivati, da un lato, dalla percentuale di incremento annuale degli stipendi e, dall’altro, dalla percentuale di aumento annuale del bilancio dei premi annuali. Essa osserva anche che la proposta fatta al ricorrente è in realtà più vantaggiosa rispetto a quanto gli altri dipendenti della Banca hanno ricevuto a tale titolo.

248
In terzo luogo, la convenuta rileva che le regole relative ai giorni di ferie annuali sono riportate agli artt. 5.1.1 e 5.1.2 delle disposizioni amministrative e che, secondo tali regole, quando un dipendente cessa dalle sue funzioni presso la Banca, ha diritto al pagamento dei giorni di ferie che non ha utilizzato durante il detto anno e dei giorni di ferie che ha riportato dall’anno precedente. A suo parere, ne deriva che, nel caso di specie, il ricorrente ha diritto al pagamento di sette giorni di ferie per i due primi mesi del 1999 e, benché tale periodo non sia coperto dalla sentenza 23 febbraio 2001, a 21,5 giorni di ferie per il periodo da marzo a settembre 2001. Per contro, esse contesta il fatto che il ricorrente abbia diritto alla retribuzione corrispondente ai giorni di ferie per i periodi in cui non ha lavorato. Infatti essa sottolinea che, dal momento che la sentenza 23 febbraio 2001 ha ordinato la reintegrazione del ricorrente con effetto retroattivo, quest’ultimo ha, in realtà, beneficiato di ferie pari all’intero periodo trascorso tra la data effettiva della cessazione del suo contratto di lavoro e quella della sua reintegrazione.

249
In quarto luogo, la convenuta rileva che, conformemente agli artt. 6.2 e 6.2.3 delle disposizioni amministrative, la Banca paga ogni anno un’indennità forfetaria destinata a rimborsare le spese di viaggio dal luogo di servizio al centro di interessi del dipendente interessato e della sua famiglia. Essa sottolinea che, a tale titolo, ha versato al ricorrente una somma di EUR 5 461,08 che corrisponde al rimborso forfettario di due viaggi nel 1999 e di due viaggi nel 2000, e ciò per il ricorrente, sua moglie e i suoi due figli. Inoltre, essa osserva che, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, un rimborso aggiuntivo può essere ottenuto unicamente quando l’agente interessato prova, sulla base di una ricevuta, che il costo del viaggio è stato effettivamente superiore al rimborso forfettario. Orbene, essa precisa che, nella fattispecie, il ricorrente e la sua famiglia non hanno mai effettuato tali viaggi e che quindi non hanno potuto presentare alcuna ricevuta. Essa rileva, del resto, che tutti i dipendenti della Banca che si trovavano nella stessa situazione del ricorrente hanno ottenuto il rimborso della stessa somma e nessuno ha richiesto il rimborso aggiuntivo previsto all’art. 6.2.3 delle disposizioni amministrative. Analogamente essa osserva che l’indennità annuale di EUR 2 730,54 riconosciuta al ricorrente rappresenta la media delle indennità versate dalla Banca per viaggi al centro di interessi a Roma durante gli anni 1999 e 2000. Infine, essa osserva che, nel 2001, il ricorrente è stato trasferito a Roma, perdendo il suo diritto al versamento forfettario, come risulta dalla nota RH/Adm 1623 del 16 luglio 2001.

250
In quinto luogo, essa respinge l’argomento del ricorrente secondo cui, in seguito al suo trasloco a Roma, egli avrebbe diritto al rimborso delle spese di viaggio e di trasloco ad esso relative. In via principale, essa fa valere che tale aspetto non è coperto dalla sentenza 23 febbraio 2001 e che il ricorrente non ha formulato alcuna domanda su tale punto nelle sue memorie. In subordine, nell’ipotesi in cui il Tribunale decidesse cionondimeno di statuire su tale richiesta, essa rileva che il ricorrente ha certamente diritto al rimborso delle spese di viaggio per un importo di EUR 585, pur sottolineando tuttavia che un importo di EUR 219,98 gli è stato già versato a tale titolo. Per quanto riguarda le spese di trasloco, essa sottolinea che tali spese non rientrano nella presente controversia e non sono mai state richieste dal ricorrente. Ad abundantiam essa rileva che, in seguito alle sue dimissioni, il ricorrente ha già ottenuto, nell’aprile 1999, il rimborso delle spese di trasloco da Lussemburgo a Roma.

251
In sesto luogo, la convenuta contesta l’argomento del ricorrente sui bonus di interessi relativi ai mutui per l’acquisto delle sue case a Lussemburgo e a Roma.

252
Per quanto riguarda il bonus di interessi relativi al mutuo per l’acquisto della casa a Lussemburgo, essa rileva, anzitutto, che le regole vigenti sono previste dal Vademecum dei prestiti immobiliari che è in vigore dal maggio 1992, in una nota di servizio del 12 aprile 1995, n. 514, e in una nota di servizio del 16 dicembre 1998. Essa ricorda poi che, al momento della cessazione delle sue funzioni nel febbraio 1999, il ricorrente ha dovuto rimborsare alla Banca il prestito che essa gli aveva concesso, cosa che quest’ultimo ha fatto nel maggio 1999, ad eccezione di una somma di EUR 2 766,95 che rimane ancora a suo debito. Essa ritiene, di conseguenza, che, in seguito all’annullamento ex tunc della decisione di rifiuto della revoca della dichiarazione di dimissioni, il ricorrente abbia diritto alla differenza tra gli interessi convenzionali che egli ha pagato sul prestito concesso dalla BCEE e quelli che avrebbe dovuto pagare sul prestito della Banca. A suo parere, prendendo come base di calcolo la data del licenziamento, tale differenza ammonta, con gli interessi di mora, a EUR 6 058,07 per un prestito di EUR 139 077,56 e a EUR 5 514,34 per un prestito di EUR 100 000. Inoltre, essa ritiene che il ricorrente abbia anche diritto al rimborso della commissione di EUR 1 204, 76 che ha dovuto pagare a causa del rimborso anticipato del prestito concesso dalla Banca.

253
Per quanto riguarda il bonus di interessi relativi al mutuo per l’acquisto della casa a Roma, essa ritiene che il ricorrente non abbia diritto a tale beneficio in quanto, conformemente alle regole applicabili, non ha presentato una domanda formale completa in tal senso. Essa osserva, d’altra parte, che, dopo che vi era stato un primo scambio di messaggi di posta elettronica all’inizio del mese di maggio 2001 a proposito della concessione di tale bonus, la Banca ha deciso di sospendere e successivamente di licenziare il ricorrente. A suo parere, tali circostanze hanno probabilmente impedito o concorso a impedire al ricorrente di presentare una domanda formale per la concessione di tale bonus.

254
In settimo luogo, la convenuta riconosce che, a decorrere dal suo trasferimento a Roma, il ricorrente aveva diritto all’indennità di mobilità geografica prevista all’art. 1.4 delle disposizioni amministrative. Essa rileva, tuttavia, che, il 27 luglio 2001, l’indennità corrispondente al periodo dal marzo all’agosto 2001 è stata versata al ricorrente insieme all’indennità di nuova sistemazione. Quanto all’indennità per il mese di settembre, essa sottolinea che tale indennità è stata versata l’8 agosto 2001, insieme alla retribuzione del mese di agosto 2001.

255
Infine, la convenuta ritiene di essere legittimata a compensare le somme che essa deve pagare al ricorrente con quelle che quest’ultimo le deve in seguito alla sentenza 23 febbraio 2001. Infatti, essa sottolinea che, in seguito all’annullamento ex tunc delle dimissioni del ricorrente, i versamenti di somme che sono stati effettuati dalla Banca a causa di tali dimissioni hanno perduto la loro ragion d’essere. Tale è, in particolare, il caso dell’indennità di cessazione dal servizio, dell’importo netto di EUR 26 510,23, e dell’indennità di nuova sistemazione di EUR 11 015,94, che sono state versate al ricorrente nel febbraio/marzo 1999. A suo parere, tale conclusione si impone a maggior ragione per quest’ultima indennità in quanto, il 27 luglio 2003, essa gli ha corrisposto la somma di EUR 18 814,98, anch’essa a titolo di indennità di nuova sistemazione. Inoltre, essa osserva che il ricorrente è ancora debitore nei suoi confronti della somma di EUR 2 766,95 nell’ambito del rimborso del mutuo relativo all’acquisto della casa a Lussemburgo. Infine la convenuta lascia alla valutazione del Tribunale la questione se gli interessi sulle somme indebitamente percepite dal ricorrente possano essere compensati con gli interessi su una somma equivalente che la Banca dovrebbe versargli.

Giudizio del Tribunale

– Osservazioni preliminari

256
In primo luogo, occorre rilevare che, laddove il ricorrente chiede di condannare la convenuta al pagamento di tutti gli stipendi arretrati dal gennaio 1999 fino al suo licenziamento, la sua argomentazione comporta, in realtà, due parti distinte. La prima parte riguarda il pagamento di tutte le somme a cui il ricorrente ha diritto in forza della sentenza 23 febbraio 2001. Il ricorrente ritiene, infatti, che, in violazione del punto 2 del dispositivo di tale sentenza, la convenuta non gli abbia versato la totalità degli arretrati delle retribuzioni dalla revoca della sua dichiarazione di dimissioni, maggiorati degli interessi di mora al tasso del 6,75%. Inoltre, egli afferma che la convenuta non ha dato correttamente esecuzione al punto 3 della citata sentenza in forza del quale essa è stata condannata a versargli la somma di un euro simbolico a causa del danno morale da lui subito. La seconda parte dell’argomentazione del ricorrente riguarda, invece, il versamento di retribuzioni e benefici a cui quest’ultimo può aver diritto a decorrere dalla sua reintegrazione nel marzo 2001 fino al suo licenziamento nel settembre 2001. Il Tribunale ritiene opportuno esaminare queste due parti separatamente.

257
In secondo luogo, si deve ricordare che, dal momento che tale aspetto della presente controversia riguarda la determinazione delle somme a cui il ricorrente può avere diritto in forza delle norme applicabili, esso ha carattere pecuniario per cui il Tribunale dispone al riguardo di una competenza anche di merito (sentenza della Corte 2 ottobre 2001, causa C‑449/99 P, BEI/Hautem, Racc. pag. I‑6733, punti 94 e 95).

258
Nella fattispecie, l’esercizio di tale competenza comporta, anzitutto, che il Tribunale valuti entro quali limiti il ricorrente può pretendere il versamento di talune retribuzioni e/o benefici, quindi, che determini autoritativamente le somme a cui il ricorrente può aver diritto a tale titolo e, infine, che analizzi se la convenuta, con i versamenti che ha effettuato tra il 6 marzo 2001 e il 6 settembre 2001, abbia pagato l’insieme di tali somme al ricorrente.

259
Nell’esercizio di tale competenza il Tribunale intende basarsi, in particolare, sulle lettere depositate dal ricorrente il 15 luglio 2003, il 10 novembre 2003 e il 20 gennaio 2004, nonché sulle lettere depositate dalla convenuta il 1° ottobre 2003, il 10 novembre 2003 e il 30 gennaio 2004.

260
A tale proposito, il ricorrente chiede a torto al Tribunale di rifiutare il deposito della lettera 10 novembre 2003 della convenuta. È vero che tale lettera contiene un certo numero di informazioni e di documenti che non sono stati allegati o presentati in una fase precedente del procedimento. Tuttavia, occorre sottolineare che, con tale lettera, la convenuta ha risposto alla richiesta del Tribunale di precisare le regole applicabili ai diversi elementi della retribuzione che costituiscono oggetto di controversia tra le parti nonché di chiarire i suoi calcoli dei diversi importi versati al ricorrente a tale titolo. Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, il fatto che la convenuta precisi in tale lettera che, ai fini del calcolo delle somme che essa deve versargli in esecuzione della sentenza 23 febbraio 2001, essa ha effettuato una compensazione con le somme che le sono dovute dal ricorrente non costituisce un argomento nuovo, ma una precisazione utile al fine di valutare l’esattezza di tale calcolo. Inoltre, occorre rilevare che sia nella sua lettera al ricorrente in data 30 maggio 2001 sia nelle sue memorie, la convenuta ha sottolineato più volte che le somme dovute dalla Banca devono essere compensate con gli importi che essa ha versato al ricorrente quando quest’ultimo ha lasciato la Banca nel febbraio 1999.

261
D’altronde il tenore della lettera 10 novembre 2003 della convenuta non può assolutamente essere paragonato a quello delle osservazioni sulla relazione d’udienza che sono state depositate dal ricorrente il 7 ottobre 2003. Infatti, il Tribunale ha rifiutato il deposito di tale documento a causa del fatto che esso andava ben oltre l’oggetto di simili osservazioni, che, conformemente ai principi essenziali che disciplinano il procedimento dinanzi al Tribunale, è esclusivamente quello di correggere eventuali errori o inesattezze di fatto contenute nella relazione d’udienza che è stata comunicata alle parti prima dell’udienza e non di consentire a queste ultime di replicare agli argomenti della controparte e ancor meno di dedurre nuovi argomenti.

262
Inoltre, occorre respingere le censure fatte valere dal ricorrente per quanto riguarda l’efficacia probatoria delle copie delle disposizioni applicabili che sono state presentate dalla convenuta in allegato alla sua lettera 10 novembre 2003. Infatti, il semplice fatto che la convenuta non abbia indicato su tali copie l’organo decisionale che ha adottato tali disposizioni non è sufficiente a privarle di qualsiasi efficacia probatoria. L’argomento del ricorrente è d’altronde contraddittorio su tale punto poiché, da un lato, egli afferma di aver diritto a taluni benefici in forza delle disposizioni applicabili e, dall’altro, considera che le copie di tali disposizioni presentate dalla convenuta non abbiano alcuna efficacia probatoria.

263
In terzo luogo, si deve osservare che dagli scritti delle parti risulta che, sotto molteplici aspetti, esse non concordano né sulle somme a cui il ricorrente ha diritto né sul momento in cui tali somme avrebbero dovuto essere versate e, pertanto, sul modo in cui gli interessi di mora devono essere calcolati. Tali divergenze sono la conseguenza, tra l’altro, del fatto che il calcolo degli arretrati delle retribuzioni non percepite dal ricorrente relative al periodo precedente alla sua reintegrazione si basa su una situazione fittizia, in quanto il ricorrente non ha fornito prestazioni professionali durante tale periodo. Esse risultano anche dall’esistenza di un potere discrezionale degli organi competenti della Banca relativamente alla concessione di taluni benefici o ancora da imprecisioni nelle disposizioni pertinenti.

264
In tali circostanze e nell’intento di fornire una soluzione equa a tale parte della controversia, il Tribunale ritiene necessario stabilire, alla luce delle disposizioni applicabili e dell’insieme degli elementi di fatto di cui dispone, gli importi dovuti da ciascuna delle parti e valutare in tal modo se, con i versamenti effettuati, la convenuta abbia soddisfatto tutti i suoi obblighi pecuniari nei confronti del ricorrente.

265
A tale proposito, il ricorrente addebita ingiustamente al Tribunale di voler condurre di propria iniziativa un’indagine di natura contabile piuttosto che accogliere la sua domanda diretta alla nomina di un perito o di un commissario ad acta per risolvere tale parte della controversia. Infatti, occorre sottolineare che, nei suoi scritti, il ricorrente non ha dedotto alcun motivo valido per giustificare l’accoglimento di tale domanda da parte del Tribunale. Inoltre, se è vero che, in talune circostanze precise, il Tribunale può ordinare la nomina di un perito, tuttavia tale perito può essere incaricato solo di indagini specifiche di natura fattuale o tecnica. Contrariamente a quanto suggerisce il ricorrente, in nessun caso il Tribunale può delegare a tale perito il potere «di accertare quanto è ancora effettivamente dovuto al ricorrente per i titoli dedotti in giudizio, disponendo direttamente per il relativo pagamento», in quanto tale delega equivarrebbe a trasferire al perito il potere di decidere su una parte della controversia. Tale constatazione si impone tanto più che, nella fattispecie, l’imprecisione di talune disposizioni pertinenti richiede l’esercizio di un certo potere discrezionale del Tribunale.

266
Infine, occorre rilevare che questa parte della controversia è indissolubilmente legata al resto del procedimento in quanto, da un lato, essa riguarda le conseguenze economiche della sentenza 23 febbraio 2001 e delle decisioni adottate dalla convenuta in seguito a tale sentenza e, dall’altro, la sua soluzione nell’ambito della presente sentenza deve permettere la definizione, con la pronuncia, dell’insieme dei punti di conflitto che oppongono le parti nell’ambito delle presenti cause, comprese le questioni di ordine finanziario. In tali circostanze, occorre respingere la domanda del ricorrente diretta alla pronuncia di una sentenza interlocutoria da parte del Tribunale.

267
È alla luce di tali considerazioni generali che occorre esaminare, anzitutto, l’argomento del ricorrente relativo all’esecuzione dei punti 2 e 3 della sentenza 23 febbraio 2001 e, successivamente, l’argomento del ricorrente relativo al pagamento delle retribuzioni in seguito alla sua reintegrazione.

– Sull’esecuzione dei punti 2 e 3 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001

268
In via preliminare, occorre respingere l’argomento del ricorrente secondo cui la convenuta non ha correttamente eseguito il punto 3 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001 in forza del quale essa è stata condannata a versare al ricorrente la somma di un euro simbolico a risarcimento del suo danno morale. Infatti, come risulta dalla lettera 6 novembre 2003, che figura nell’allegato 1 della lettera 10 novembre 2003 della convenuta, tale somma è stata effettivamente versata sul conto del ricorrente. Inoltre, a tale proposito, il ricorrente esige a torto una lettera del presidente della Banca che confermi che tale pagamento è diretto a risarcire il danno morale che egli ha subito. Infatti, tale incombenza non risulta dal punto 3 del dispositivo della citata sentenza.

269
Inoltre, occorre ricordare che, in conformità del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, la convenuta è stata condannata a versare al ricorrente gli arretrati delle retribuzioni non percepite dalla revoca della sua dichiarazione di dimissioni, maggiorati degli interessi di mora al tasso del 6,75%.

270
Per valutare se la convenuta abbia correttamente eseguito tale parte del dispositivo della sentenza, occorre anzitutto rilevare che, benché diverse somme siano state versate al ricorrente durante il periodo compreso tra il 6 marzo 2001 e il 6 settembre 2001, solo la somma di EUR 180 654, che gli à stata versata il 1° giugno 2001, è stata espressamente imputata all’esecuzione del punto 2 della sentenza 23 febbraio 2001. Infatti, le altre somme sono state versate al ricorrente come retribuzione per il periodo compreso tra la sua reintegrazione nel marzo 2001 e il suo licenziamento nel settembre 2001. Per l’esame degli argomenti esposti dal ricorrente in merito a tali somme, si rinvia ai punti 287 e ss. infra.

271
Inoltre, occorre sottolineare che, in forza del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, il ricorrente ha diritto al pagamento di tutte le retribuzioni che avrebbe dovuto percepire se la Banca non avesse rifiutato di accettare la revoca delle sue dimissioni ed egli avesse quindi continuato ad essere dipendente della stessa. Come risulta da tale punto del dispositivo, per il calcolo di tali arretrati di retribuzione bisogna partire dalla data in cui il ricorrente ha revocato la sua dichiarazione di dimissioni, vale a dire il 14 gennaio 1999 (sentenza 23 febbraio 2001, punto 307). Inoltre, è pacifico tra le parti che, poiché il ricorrente à stato reintegrato a decorrerere dal 1° marzo 2001, gli arretrati di retribuzione di cui al punto 2 devono essere calcolati fino al 28 febbraio 2001.

272
Del resto, il Tribunale rileva che, per quanto riguarda il calcolo degli interessi di mora al tasso del 6,75% a cui il ricorrente ha diritto in forza del punto 2 della sentenza 23 febbraio 2001, il punto di partenza è il momento in cui le somme in questione avrebbero dovuto essere versate al ricorrente conformemente alle disposizioni applicabili. In assenza di precisazioni a tale proposito nelle disposizioni, spetta al Tribunale stabilire il momento in cui esse avrebbero dovuto ragionevolmente essergli versate.

273
Infine, si deve rilevare che, poiché gli interessi di mora hanno lo scopo di risarcire il danno subìto da una parte a causa del mancato pagamento di somme certe ad opera di un’altra parte, essi continuano a maturare fino al momento in cui tali somme sono effettivamente pagate. Orbene, come è stato precedentemente ricordato, la convenuta ha versato, il 1° giugno 2001, un importo di EUR 180 654,10 sul conto del ricorrente per dare esecuzione al punto 2 della sentenza 23 febbraio 2001, cosicché gli interessi di mora devono, in linea di principio, essere calcolati fino a quella data. Tuttavia, qualora tale somma dovesse risultare inferiore all’importo totale a cui il ricorrente ha diritto in forza del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, gli interessi di mora continueranno a maturare sul saldo fino al suo pagamento effettivo.

274
È alla luce di tali premesse che occorre esaminare l’insieme degli argomenti dedotti dal ricorrente per provare che la convenuta non ha correttamente eseguito il punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001.

275
In primo luogo, occorre constatare che, in seguito a trattative tra le parti che hanno avuto luogo dopo l’udienza del 15 ottobre 2003, le posizioni delle parti si sono notevolmente avvicinate per quanto riguarda l’importo totale a cui il ricorrente ha diritto a titolo della retribuzione di base, dell’indennità di compensazione, degli assegni famigliari, dell’indennità di espatrio, dell’indennità scolastica e dell’indennità per figli a carico. Alla luce dell’insieme dei dati di fatto e dei calcoli trasmessi dalle parti, il Tribunale decide che l’importo totale a cui il ricorrente ha diritto a tale titolo per il periodo dal 14 gennaio 1999 al 28 febbraio 2001 ammonta, dopo il prelievo dell’imposta e di altri contributi, a EUR 170 700. Per quanto riguarda gli interessi di mora su tale somma, occorre, tenendo conto dei calcoli trasmessi dalle parti, fissarli a EUR 14 000.

276
In secondo luogo, il Tribunale ritiene che il ricorrente, in considerazione del fatto che è stato dipendente della Banca per tutto l’anno 1998 e che ha ottenuto un premio per ciascuno degli anni 1992‑1997, abbia diritto al versamento di tale premio per gli anni 1998, 1999 e 2000 a titolo degli arretrati di retribuzione. Per quanto riguarda l’importo di tali premi, il Tribunale osserva che non occorre tener conto dei calcoli trasmessi a tal fine dalla convenuta in quanto tali calcoli sono stati effettuati mediante un coefficiente e non con le formule previste a tal fine dalle disposizioni applicabili da essa prodotte su richiesta del Tribunale. Di conseguenza, il Tribunale decide che, alla luce dei calcoli trasmessi dal ricorrente e tenendo conto del fatto che dai documenti presentati dalle parti risulta che tali premi sono applicati al tasso medio del 25%, gli importi dei premi annuali ammontano rispettivamente a EUR 6 970 per l’anno 1998, a EUR 7 130 per l’anno 1999, e a EUR 7 500 per l’anno 2000. Per quanto riguarda il pagamento del premio annuale per l’anno 2001, esso non può essere richiesto in forza del punto 2 della sentenza 23 febbraio 2001. Pertanto, l’importo totale a cui il ricorrente ha diritto a tale titolo ammonta, detratte le imposte, a EUR 21 600. Quanto agli interessi di mora su tale importo, alla luce dei calcoli trasmessi dalle parti, occorre fissarli a EUR 1 450.

277
In terzo luogo, per quanto riguarda l’eventuale pagamento della retribuzione corrispondente ai giorni di ferie non goduti nel 1998 nonché durante il periodo compreso tra il gennaio 1999 e il 23 febbraio 2001, il Tribunale considera che spetterà all’autorità competente, nell’ambito dell’esecuzione della presente sentenza, provvedere o a un riporto di tali giorni di ferie o a una compensazione finanziaria adeguata.

278
In quarto luogo, il Tribunale rileva che è pacifico tra le parti che, in esecuzione del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, il ricorrente ha diritto, per sé e per la sua famiglia, al pagamento dell’indennità forfettaria per i viaggi verso il centro di interessi prevista all’art. 6.2 delle disposizioni amministrative. Al contrario, le parti non si accordano sull’importo dell’indennità che il ricorrente può pretendere a tale titolo, avendo quest’ultimo basato i suoi calcoli sull’ipotesi di un viaggio in aereo mentre la convenuta lo ha fatto sulla base di un viaggio via terra.

279
A tale proposito, tenuto conto del fatto che, conformemente all’art. 6.2.3 delle disposizioni amministrative, il rimborso complementare è previsto solo in caso di impiego effettivo dell’aereo e su presentazione dei documenti giustificativi delle spese relative, nonché del fatto che il ricorrente e la sua famiglia non hanno mai effettuato i viaggi in parola, il Tribunale decide che il ricorrente ha diritto solo al pagamento dell’indennità forfettaria prevista all’art. 6.2.2 delle disposizioni amministrative. Inoltre, poiché tale indennità è pagata il 1° aprile e il 1° ottobre di ogni anno, il ricorrente ha diritto al versamento delle somme che erano pagabili a tale titolo il 1° aprile 1999, il 1° ottobre 1999, il 1° aprile 2000 e il 1° ottobre 2000. D’altronde, dai calcoli trasmessi dalla convenuta risulta che, nel caso del ricorrente, tale indennità ammonta a EUR 1 365 per viaggio. Pertanto, alla luce dell’insieme delle informazioni di cui dispone, il Tribunale decide che il ricorrente ha diritto, a titolo delle indennità di viaggio verso il centro di interessi che gli spettano in forza del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, a un importo totale di EUR 5 460. Per quanto riguarda gli interessi di mora su tale somma, occorre, tenuto conto dei calcoli trasmessi dalle parti, fissarli a EUR 540.

280
In quinto luogo, le parti sono concordi sul fatto che, in seguito all’annullamento ex tunc del rifiuto delle revoca delle dimissioni del ricorrente, quest’ultimo ha diritto di percepire una somma corrispondente alla differenza tra gli interessi che egli ha pagato alla BCEE dal marzo 1999 sul mutuo relativo all’acquisto della sua casa a Lussemburgo e quelli che avrebbe dovuto pagare alla Banca se non fosse stato costretto a rimborsare anticipatamente il prestito concesso da quest’ultima. Il Tribunale decide che, alla luce dei calcoli trasmessi dalla convenuta e tenuto conto della mancanza di precisione dei calcoli prodotti al riguardo dal ricorrente, l’importo a cui il ricorrente ha diritto a tale titolo ammonta a EUR 5 991. Inoltre, è pacifico tra le parti che quest’ultimo ha diritto al rimborso, da un lato, della commissione bancaria di EUR 1 204 che ha pagato alla BCEE e, dall’altro, della trattenuta per spese private di EUR 250 che ha pagato alla convenuta nell’ambito del rimborso anticipato del suo prestito immobiliare. Pertanto, il Tribunale decide che, alla luce delle disposizioni vigenti e dell’insieme delle informazioni di cui dispone, l’importo totale a cui il ricorrente ha diritto a tale titolo ammonta a EUR 7 445. Per quanto riguarda gli interessi di mora su tale somma, occorre, tenuto conto dei calcoli trasmessi dalle parti, fissarli a EUR 700.

281
Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che, in esecuzione del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, il ricorrente ha diritto al pagamento di un importo totale di EUR 221 895.

282
Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, la convenuta aveva il diritto di compensare tale somma con l’insieme delle somme che essa ha versato al ricorrente in seguito alla sua cessazione dal servizio nel marzo 1999, e cioè rispettivamente l’importo netto dell’indennità di cessazione dal servizio e dell’indennità di nuova sistemazione che sono state versate al ricorrente in tale circostanza, e cioè rispettivamente EUR 26 510 e EUR 11 015. Infatti, poiché la sentenza 23 febbraio 2001 ha comportato l’annullamento ex tunc degli effetti del rifiuto della Banca di accettare la revoca della dichiarazione di dimissioni del ricorrente, il pagamento di tali somme ha perso la sua ragion d’essere e, di conseguenza, il loro rimborso da parte del ricorrente è giustificato. A tale proposito occorre d’altronde respingere l’obiezione del ricorrente secondo cui il rimborso di tali somme non costituisce oggetto della presente controversia in mancanza di una domanda riconvenzionale della convenuta. Infatti, risulta chiaramente dai calcoli prodotti dalla convenuta che essa ha tenuto conto di tali somme nell’ambito del calcolo degli arretrati di retribuzione dovuti al ricorrente in forza del punto 2 del dispositivo della citata sentenza. Orbene, poiché il ricorrente contesta tale calcolo, è evidente che il rimborso di tali somme rientra nella presente controversia.

283
Per contro, il Tribunale ritiene che, in mancanza di domanda di rimborso dell’indennità di cessazione dal servizio e dell’indennità di nuova sistemazione precedentemente menzionate, la convenuta non possa pretendere che tali somme siano maggiorate degli interessi di mora.

284
Inoltre, il ricorrente giustamente contesta il diritto della convenuta di compensare le somme che gli sono dovute dalla Banca in forza del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001 con il saldo del prestito immobiliare che egli deve ancora rimborsare alla Banca in seguito alla sua cessazione dal servizio nel marzo 1999, e cioè una somma di EUR 2 766. Infatti, contrariamente all’indennità di cessazione dal servizio e all’indennità di nuova sistemazione, non si tratta di una somma che ha perso la sua ragion d’essere a causa della citata sentenza ma, al contrario, di un debito certo ed esigibile dal 1999 di cui la convenuta non ha mai chiesto il pagamento.

285
Pertanto, il Tribunale considera che, nel versare, il 1° giugno 2001, la somma di EUR 180 654 al ricorrente, la convenuta non abbia eseguito correttamente il punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001. Infatti, dopo la compensazione con l’indennità di cessazione dal servizio e con l’indennità di nuova sistemazione versate al ricorrente in seguito alla sua cessazione dal servizio nel marzo 1999, la convenuta avrebbe dovuto versare al ricorrente la somma di EUR 184 370.

286
In conclusione, il Tribunale decide, esercitando la sua competenza anche di merito, che la convenuta deve versare al ricorrente la somma di EUR 3 716, maggiorata, se del caso, di un’eventuale compensazione finanziaria supplementare corrispondente ai giorni di ferie non goduti (v. supra, punto 277). Inoltre, per risarcire il danno subìto dal ricorrente a causa della parziale mancata esecuzione del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, occorre maggiorare tale somma degli interessi di mora a decorrere dal 1° giugno 2001 fino alla data del pagamento effettivo. Il tasso degli interessi di mora da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla Banca centrale europea per le principali operazioni di rifinanziamento, vigente durante il periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

– Sul pagamento delle retribuzioni scadute a partire dal 1° marzo 2001

287
Tenuto conto dell’annullamento della decisione di sospensione (v. punto 128 supra) e della decisione di licenziamento (v. punto 219 supra), occorre decidere che la Banca deve versare al ricorrente gli arretrati delle retribuzioni che egli avrebbe dovuto percepire dal 1° marzo 2001.

288
Tuttavia occorre tener conto del fatto che, come risulta dai documenti prodotti a tale riguardo dalla convenuta, essa ha versato al ricorrente taluni importi a titolo di retribuzione per il periodo dal marzo 2001 al settembre 2001. Pertanto, essa ha pagato un importo totale di EUR 38 371 a titolo di retribuzione di base per il periodo da marzo ad agosto 2001. Inoltre, essa ha pagato, nel luglio 2001, una somma di EUR 18 814 a titolo di indennità di nuova sistemazione e una somma di EUR 7 740 a titolo di indennità di mobilità geografica per il periodo marzo-agosto 2001. Infine, essa ha versato al ricorrente, insieme alla retribuzione del mese di agosto 2001, una somma di EUR 1 290 a titolo di indennità di mobilità geografica per il mese di settembre 2001.

289
Da tali documenti risulta che, fatta salva l’indennità di mobilità geografica di EUR 1 290, il ricorrente non ha percepito alcuna retribuzione dal 1° settembre 2001. Pertanto, la Banca deve versare al ricorrente gli arretrati delle retribuzioni non percepite a decorrere dal 1° settembre 2001, maggiorati degli interessi di mora, operando una deduzione della somma di EUR 1 290 versata al ricorrente nell’agosto 2001. Il tasso degli interessi di mora da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla Banca centrale europea per le principali operazioni di rifinanziamento, vigente durante il periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

290
Per quanto riguarda la retribuzione dovuta al ricorrente per il periodo dal 1° marzo 2001 al 31 agosto 2001, occorre, anzitutto, respingere in quanto infondato l’argomento del ricorrente secondo cui la somma di EUR 18 814 che gli è stata versata a titolo di indennità di nuova sistemazione non è esatta. Infatti, risulta dall’art. 1.3 delle disposizioni amministrative che, in seguito alla sua riassegnazione a Roma, il ricorrente ha diritto ad un’indennità di nuova sistemazione pari a tre volte la retribuzione di base in vigore al momento del trasferimento. Orbene, nella fattispecie, la retribuzione di base a cui il ricorrente aveva diritto nel marzo 2001 era di EUR 6 271,66 (v. stipendio corrispondente alla funzione E29 sulla tabella degli stipendi di base per l’anno 2001), per cui l’indennità di nuova sistemazione a cui il ricorrente ha diritto in seguito alla sua riassegnazione ammonta a EUR 18 814,98, il che corrisponde alla somma versata dalla convenuta.

291
Inoltre, occorre respingere la domanda del ricorrente diretta ad ottenere che il Tribunale condanni la convenuta a concedergli il bonus di interessi relativo al mutuo per l’acquisto della sua casa a Roma. Infatti, la convenuta ha sottolineato nei suoi scritti, senza essere contestata sul punto dal ricorrente, che quest’ultimo non ha presentato una domanda formale per la concessione di tale beneficio.

292
Per contro, alla luce delle considerazioni esposte al punto 280 supra, il Tribunale ritiene che il ricorrente giustamente chieda il pagamento del bonus di interessi relativi al mutuo per l’acquisto della sua casa a Lussemburgo per il periodo dal 1° marzo 2001 al 31 agosto 2001. Pertanto, il Tribunale decide che, alla luce delle disposizioni applicabili e dell’insieme delle informazioni di cui dispone, il ricorrente ha diritto, a tale titolo, a un importo complessivo di EUR 2 315.

293
Inoltre, se è vero che, per l’insieme dei motivi esposti al punto 276 supra, il ricorrente può aver diritto al pagamento di un premio annuale per l’anno 2001, cionondimeno, in conformità alle disposizioni applicabili, tale premio annuale è pagabile esclusivamente al 1° luglio dell’anno che segue l’anno della valutazione. Pertanto, il ricorrente non può addebitare alla convenuta di non avergli pagato tale premio durante il periodo compreso tra il 1° marzo 2001 e il 31 agosto 2001.

294
Infine, il Tribunale giudica che a torto il ricorrente chiede il pagamento dell’indennità di viaggio verso il centro di interessi per l’anno 2001. Infatti, come sottolinea giustamente la convenuta, dall’art. 6.2 delle disposizioni amministrative della Banca risulta che, in seguito alla sua rassegnazione presso la sede della Banca a Roma, il ricorrente non ha più diritto al pagamento di tale indennità dal momento che la sua sede di servizio e il suo centro di interessi sono identici. Analogamente, occorre respingere la domanda del ricorrente diretta al pagamento delle spese di trasloco e di viaggio risultanti dalla sua riassegnazione a Roma. Infatti, da un lato, il ricorrente non ha mai dovuto sostenere tali spese e, dall’altro, la convenuta ha già rimborsato le spese di trasloco del ricorrente in occasione della sua cessazione dal servizio nel marzo 1999.

295
Da quanto precede risulta che, a titolo di retribuzione non percepita per il periodo compreso tra il 1° marzo 2001 e il 31 agosto 2001, il ricorrente ha diritto al pagamento di una somma di EUR 2 315. Per risarcire il danno subìto dal ricorrente a causa del ritardo nel pagamento di tale somma, questa deve essere maggiorata degli interessi di mora. Inoltre, poiché tale beneficio è concesso su base mensile, il Tribunale ritiene equo far decorrere tali interessi di mora dal 1° giugno 2001.

296
Pertanto, la Banca deve pagare al ricorrente, a titolo di arretrati di retribuzione per il periodo compreso tra il 1° marzo 2001 e il 31 agosto 2001, la somma di EUR 2 315, maggiorata degli interessi di mora a decorrere dal 1° giugno 2001. Il tasso degli interessi di mora da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla Banca centrale europea per le principali operazioni di rifinanziamento, vigente durante il periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

c) Sulla domanda di risarcimento

Argomenti delle parti

297
Il ricorrente chiede innanzi tutto il risarcimento del danno biologico, inteso come incapacità temporanea e danno alla salute conseguenti alle vessazioni da lui subite dopo il 1999 e successivamente alla sua reintegrazione, nonché alle numerose irregolarità che hanno viziato il procedimento disciplinare. Egli stima che tale danno ammonti indicativamente ad un milione di euro, riservandosi di quantificarlo più precisamente in corso di causa, segnatamente previa consulenza tecnica disposta dal Tribunale al fine di valutare la percentuale di incapacità del ricorrente.

298
In secondo luogo, il ricorrente chiede il risarcimento del danno patrimoniale conseguente all’impossibilità di aspirare alla benché minima carriera o di trovare un’altra occupazione. Egli indica che tale danno ammonta a due milioni di euro, cifra ottenuta sulla base della retribuzione annuale percepita nel 1998, cui si aggiungono i normali incrementi della retribuzione per il periodo compreso tra il 1998 e il 2026, tenuto conto dell’inflazione. Secondo il ricorrente, con questo calcolo si ottiene, con una certa approssimazione e tenuto conto della speranza di vita e della ripercussione sul trattamento pensionistico, il valore del danno da lui subito.

299
Infine, il ricorrente chiede il risarcimento del danno morale subito in conseguenza della mala fede della Banca, e in particolare dell’insieme dei comportamenti illeciti da questa tenuti.

300
La convenuta sostiene che la domanda di risarcimento del danno asseritamente subito dal ricorrente deve essere respinta in quanto, per le ragioni già indicate nell’ambito del presente procedimento, il presupposto relativo all’illegittimità dell’atto non sussiste.

301
Inoltre, essa rileva che le domande risarcitorie anteriori alla pronuncia della sentenza 23 febbraio 2001 sono state già respinte dal Tribunale che, ritenendo insussistente il danno patrimoniale, gli ha accordato simbolicamente un euro a titolo di risarcimento del danno morale. Essa considera, perciò, che tali domande non possono venire riproposte al Tribunale.

302
Per il resto, essa rileva che sia la domanda di risarcimento del danno derivante dalla perdita delle opportunità di carriera, sia quella relativa alle vessazioni che il ricorrente asserisce di aver subito, riguardano danni futuri. Orbene, secondo la convenuta, il risarcimento di tale danno può essere ammesso solo nei limiti in cui sia già verificata la situazione dalla quale origina il danno. Ne consegue che, in una situazione come quella della fattispecie, in cui manca il fatto generatore del pregiudizio, non può neppure configurarsi una domanda di risarcimento.

Giudizio del Tribunale

303
Secondo la giurisprudenza, la responsabilità extracontrattuale della Comunità presuppone che sussista un insieme di condizioni costituite dall’illegittimità del comportamento addebitato all’istituzione interessata, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento addebitato e il pregiudizio asserito (v., in particolare, sentenze del Tribunale 26 maggio 1998, causa T‑205/96, Bieber/Parlamento, Racc. PI, pagg. I‑A‑231 e II‑723, punto 48, e 12 dicembre 2002, cause riunite T‑338/00 e T‑376/00, Morello/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑301 e II‑1457, punto 150).

304
Le tre condizioni per la responsabilità della Comunità sopra menzionate sono cumulative, il che implica che, qualora una di esse venga meno, la responsabilità della Comunità non può sussistere (v., in tal senso, sentenza della Corte 9 settembre 1999, causa C‑257/98 P, Lucaccioni /Commissione, Racc. pag. I‑5251, punto 14, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑165/95, Lucaccioni/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑203 e II‑627, punto 57).

305
In primo luogo, per quanto riguarda la richiesta di risarcimento del danno biologico, inteso come incapacità temporanea e danno alla salute che il ricorrente ha sofferto a causa delle vessazioni subite dopo il 1999, occorre rilevare che il ricorrente non prova il nesso di causalità tra il danno asserito e l’illegittimità della decisione di licenziamento del 6 settembre 2001. Ne consegue che, anche supponendo che il ricorrente sia in grado di provare l’effettività di tale danno, la responsabilità della convenuta non può sussistere a tale riguardo. Per queste stesse ragioni, non si deve accogliere la domanda del ricorrente diretta ad ottenere che il Tribunale disponga una perizia per valutare il grado di incapacità fisica del ricorrente.

306
Inoltre per quanto riguarda il risarcimento del danno patrimoniale conseguente all’impossibilità di aspirare alla benché minima carriera o di trovare un’altra occupazione, occorre rilevare che una decisione di licenziamento per grave motivo costituisce un provvedimento di tale gravità da essere idoneo a compromettere seriamente le possibilità del dipendente interessato di trovare un’occupazione adeguata sul mercato del lavoro. Tuttavia, nella valutazione del danno subito a tale titolo dal ricorrente, occorre anche tener conto dell’atteggiamento adottato da quest’ultimo e dal suo rappresentante durante la riunione informale che si è svolta tra le parti il 12 maggio 2003. Infatti, durante tale riunione, il ricorrente ha rifiutato di prendere in considerazione talune proposte dirette a facilitare il suo ritorno sul mercato del lavoro. Il Tribunale ritiene che con tale atteggiamento negativo il ricorrente si sia astenuto dal prendere le disposizioni necessarie al fine di limitare il danno patrimoniale e professionale derivante dall’estrema difficoltà per lui di trovare di nuovo un’occupazione adeguata. Pertanto, il Tribunale ritiene che l’annullamento della decisione di licenziamento costituisca, di per sé, un risarcimento adeguato di tale danno.

307
Da ultimo, per quanto riguarda il danno morale subìto in conseguenza dei comportamenti illeciti della Banca, occorre rilevare che, come risulta dalla sentenza 23 febbraio 2001 e dalla presente sentenza, la convenuta ha, in due occasioni, commesso un atto illegittimo che ha avuto l’effetto di porre fine prematuramente al rapporto di lavoro con il ricorrente. Pertanto, il Tribunale considera che occorre condannare la convenuta a versare al ricorrente la somma di EUR 10 000 come risarcimento del danno morale da esso subìto.

d) Sulle domande dirette ad ottenere che il Tribunale constati l’inapplicabilità al ricorrente di talune disposizioni del regolamento del personale e dell’intero codice di condotta.

Argomenti delle parti

308
Il ricorrente chiede al Tribunale di constatare e di dichiarare inapplicabili gli artt. 8, 9, 12, 36, 39, 41 e 44 del regolamento del personale nonché l’intero codice di condotta.

309
La convenuta contesta la fondatezza di tale domanda.

Giudizio del Tribunale

310
Secondo una costante giurisprudenza, non spetta al giudice comunitario fare dichiarazioni di principio o rivolgere ingiunzioni all’amministrazione (v. punto 136 supra).

311
Ne consegue che la presente domanda deve essere dichiarata irricevibile.

e) Sulla domanda del ricorrente relativa alla soppressione di taluni passi del controricorso

Argomenti delle parti

312
Il ricorrente chiede al Tribunale di ordinare la cancellazione dal controricorso delle parole «appropriazione di documenti riservati» che compaiono a pag. 17, primo capoverso, delle parole «diffusione di informazioni riservate e calunniose a carico della Banca e dei suoi funzionari» figuranti a pag. 29, ultimo e penultimo rigo, dell’intero primo capoverso della pag. 32, della parola «appropriazione» a pag. 34, quartultimo rigo, e delle parole «denigrazione sistematica», che compaiono al terzultimo e al penultimo rigo della pag. 34 e di tutti gli altri passaggi che eccedono il limite di una corretta e leale difesa.

313
La convenuta ritiene che tale domanda debba essere respinta come infondata in quanto le espressioni criticate dal ricorrente appaiono pertinenti e non eccedono i limiti di una descrizione precisa dei fatti di causa nei limiti di una corretta e appropriata manifestazione del pensiero.

Giudizio del Tribunale

314
Relativamente alla presente domanda è sufficiente rilevare che non è compito dei giudici comunitari limitare la libertà di espressione di cui godono le parti, nei limiti del rispetto delle regole deontologiche. La domanda è perciò irricevibile.

f) Sulla domanda della convenuta diretta al ritiro di sei documenti presentati dal ricorrente

Argomenti delle parti

315
La convenuta chiede al Tribunale di escludere dal dibattito, con divieto di far riferimento ad essi in occasione di un’eventuale udienza, tutti i documenti presentati dall’una o dall’altra parte, in particolare i sei documenti di cui Tribunale ha ordinato il ritiro dagli atti di causa nella sentenza 23 febbraio 2001.

316
Il ricorrente ritiene che tale richiesta debba essere respinta. Infatti, egli rileva che tali documenti sono già stati presentati dalla convenuta in altre cause. Per quanto riguarda il suggerimento della convenuta secondo cui non sarebbe necessario tenere un’udienza nelle presenti cause, egli sottolinea che la convenuta non ha indicato alcun motivo che giustificasse una tale misura.

Giudizio del Tribunale

317
Il Tribunale osserva che la decisione di licenziamento è basata, almeno in parte, sull’asserita appropriazione e sull’utilizzazione abusiva dei sei documenti controversi. Pertanto, tali documenti sono pertinenti per la risoluzione della presente controversia. La domanda di ritiro deve quindi essere respinta in quanto infondata.

g)  Sulla domanda del ricorrente diretta ad ottenere che il Tribunale condanni la convenuta a versargli un’indennità di cessazione dal servizio

Argomenti delle parti

318
Il ricorrente chiede al Tribunale, nell’ipotesi in cui non annullasse la decisione di licenziamento, di dichiarare illegittimo l’art. 38, primo comma, del regolamento del personale nella parte in cui non prevede il versamento di un’indennità di cessazione dal servizio, e di condannare la convenuta a versargli tale indennità.

Giudizio del Tribunale

319
In considerazione del fatto che la decisione di licenziamento è annullata (v. punto 219 supra), questa domanda è divenuta priva di oggetto.


Domanda di misure di organizzazione del procedimento

I – Argomenti delle parti

320
A titolo di misure di organizzazione del procedimento nella causa T‑300/01, il ricorrente chiede al Tribunale di ordinare:

la produzione della relazione medica redatta dal prof. Busnengo a seguito della visita del 28 giugno 2001;

la produzione di tutte le buste paga del ricorrente successive al gennaio 1999;

la produzione del rapporto predisposto dalla società KPMG e dell’incarico che alla stessa era stato conferito, nonché della lettera del sig. Sandher del 27 gennaio 1995;

l’audizione del legale rappresentante della Banca affinché venga interrogato su i) la mancata esecuzione della sentenza 23 febbraio 2001 (incluso il mancato pagamento di tutti gli arretrati retributivi su base documentata), ii) la mancata ricostruzione della carriera del ricorrente dal febbraio 1999 al marzo 2001, iii) la mancata restituzione del bonus sugli interessi relativi al mutuo sulla casa del ricorrente a Lussemburgo, iv) il rifiuto di concedere un bonus sugli interessi relativi al mutuo che grava sulla casa che il ricorrente ha acquistato a Roma, v) la mancata formulazione delle valutazioni annuali sul ricorrente dal 1998 in poi, nonché la mancata fissazione di obiettivi per il futuro, vi) il mancato risarcimento del danno morale cui la Banca è stata condannata con sentenza 23 febbraio 2001, vii) il mancato rimborso delle spese legali relative ai procedimenti definiti con sentenza 23 febbraio 2001;

una perizia nonché la nomina di un commissario speciale ad acta per stabilire gli importi a cui il ricorrente ha diritto a titolo di arretrati di retribuzione come previsto al punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001;

una perizia medica per accertare il danno alla salute e l’invalidità di cui soffre il ricorrente in seguito al comportamento della Banca;

una perizia volta ad accertare l’esattezza dei fatti che il ricorrente ha portato a conoscenza del Parlamento europeo.

321
Per quanto riguarda la domanda relativa alla produzione della relazione medica del dott. Busnengo, la convenuta produce, in allegato al controricorso, una copia della lettera scritta dal dott. Busnengo in data 2 luglio 2001 e una copia della domanda di intervento.

322
Per quanto concerne poi le domande relative agli arretrati di retribuzione, essa produce un prospetto dei compensi dovuti e dei versamenti effettuati. Essa presenta anche una copia di una lettera del 30 maggio 2001 con la quale comunica al ricorrente che gli è stato accreditato un importo di EUR 180 654,10, con allegato il relativo prospetto. Infine, la convenuta allega al controricorso copia di tutta la corrispondenza scambiata tra le parti da marzo a maggio 1999 con riguardo alla liquidazione delle somme reciprocamente dovute all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro in seguito alle dimissioni del ricorrente.

323
In merito alle altre domande di organizzazione del procedimento presentate dal ricorrente, la convenuta ritiene che esse siano del tutto prive di pertinenza. Essa nota, anzitutto, che il rapporto KPMG è palesemente estraneo alla lite, in quanto il presente procedimento ha ad oggetto solo la validità del licenziamento del ricorrente e non le modalità della gestione del portafoglio obbligazionario. Essa considera poi altrettanto non pertinente la lettera del sig. Sandher in data 27 gennaio 1995. Essa ritiene peraltro che le domande relative all’audizione del legale rappresentante della Banca siano anch’esse non pertinenti, se non addirittura irricevibili, non essendo formulate in modo specifico e definito.

II – Giudizio del Tribunale

324
In primo luogo, per quanto riguarda la domanda di presentazione della relazione medica del dott. Busnengo, si deve osservare che la convenuta ha presentato, in allegato al suo controricorso, una copia della lettera del dott. Busnengo del 2 luglio 2001 e della domanda di intervento di quest’ultimo. Di conseguenza, tale domanda del ricorrente è divenuta priva di oggetto.

325
Inoltre, occorre constatare che il ricorrente non deduce alcun motivo a sostegno della sua domanda di presentazione del rapporto KPMG e della lettera del sig. Sandher del 27 gennaio 1995. Tale domanda deve quindi essere respinta in quanto infondata.

326
Allo stesso modo, il Tribunale giudica che la domanda di audizione del rappresentante legale della Banca deve essere respinta in quanto il ricorrente non apporta alcun elemento per giustificare la necessità di tale misura.

327
Per il resto, per l’insieme dei motivi esposti al punto 265 supra, occorre respingere la domanda del ricorrente diretta ad ottenere che il Tribunale nomini un perito o un commissario ad acta per quanto riguarda il pagamento delle retribuzioni che sono dovute al ricorrente dal gennaio 1999. Analogamente, per i motivi indicati a punto 226 supra, occorre respingere la sua domanda diretta ad ottenere che il Tribunale ordini alla convenuta di produrre in tale fase tutte le sue buste paga dal gennaio 1999. Infine, per il motivo esposto al punto 201, la domanda del ricorrente diretta a nominare un perito al fine di accertare i fatti che sono stati portati a conoscenza del Parlamento europeo, deve essere respinta in quanto priva di fondamento.

328
Infine, come è stato precedentemente sottolineato (v. punto 305 supra), non occorre disporre una perizia diretta ad accertare il danno alla salute fatto valere e l’invalidità di cui soffre il ricorrente in seguito al comportamento della Banca.


Sulle spese

329
L’art. 87 del regolamento di procedura del Tribunale, al suo n. 2, dispone che la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda e, al suo n. 3, che il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi.

330
Inoltre, in forza dell’art. 88 dello stesso regolamento, nelle controversie tra le Comunità e i loro dipendenti, le spese sostenute dalle istituzioni restano a loro carico.

331
Nella fattispecie, occorre rilevare che il Tribunale, pur avendo accolto le domande di annullamento della decisione di sospensione e della decisione di licenziamento nonché, nella causa T‑300/01, la domanda di risarcimento del danno morale, ha tuttavia respinto come irricevibili e/o infondate tutte le altre domande formulate dal ricorrente nelle due cause. Inoltre, si deve osservare che, nonostante l’invito loro rivolto in due occasioni dal Tribunale, né il ricorrente né il suo difensore si sono presentati all’udienza dell’11 febbraio 2004 né hanno fornito alcuna valida giustificazione al riguardo. Infine, la convenuta non ha provato il carattere vessatorio dei ricorsi proposti dal ricorrente.

332
In tale contesto, occorre decidere, alla luce delle disposizioni sopramenzionate, che la convenuta sopporterà le proprie spese, comprese quelle relative ai procedimenti sommari, e la metà delle spese sostenute dal ricorrente nella cause T‑120/01 e T‑300/01 nonché nel corso dei procedimenti sommari in tali cause.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
La decisione della convenuta 22 maggio 2001 con cui il ricorrente è sospeso dal servizio è annullata.

2)
La decisione della convenuta 6 settembre 2001 con cui il ricorrente è licenziato è annullata.

3)
La convenuta deve versare al ricorrente, in ragione della parziale mancata esecuzione del punto 2 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001, la somma di EUR 3 716, aumentata, eventualmente, di una compensazione finanziaria corrispondente ai giorni di ferie non goduti, e maggiorata di interessi di mora a decorrere dal 1º giugno 2001 fino alla data dell’effettivo pagamento. Il tasso degli interessi di mora da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla Banca centrale europea per le principali operazioni di rifinanziamento, vigente durante il periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

4)
La convenuta deve versare al ricorrente la somma di EUR 2 315 a titolo di retribuzioni non percepite per il periodo compreso tra il 1º marzo 2001 e il 31 agosto 2001, maggiorata di interessi di mora a decorrere dal 1º giugno 2001 fino alla data dell’effettivo pagamento. Il tasso degli interessi di mora da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla Banca centrale europea per le principali operazioni di rifinanziamento, vigente durante il periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

5)
La convenuta deve versare al ricorrente gli arretrati delle retribuzioni non percepite a decorrere dal 1º settembre 2001, maggiorati di interessi di mora, effettuando la deduzione della somma di EUR 1 290, versata al ricorrente a titolo di indennità di mobilità geografica per il mese di settembre 2001. Il tasso degli interessi di mora da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla Banca centrale europea per le principali operazioni di rifinanziamento, vigente durante il periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

6)
La convenuta è condannata a versare al ricorrente la somma di EUR 10 000 come risarcimento del danno morale da esso subìto.

7)
La convenuta sopporterà le proprie spese, comprese quelle relative ai procedimenti sommari, e la metà delle spese sostenute dal ricorrente nelle cause T‑120/01 e T‑300/01, nonché nel corso dei procedimenti sommari in tali cause.

8)
I ricorsi sono respinti per il resto.

Azizi

Jaeger

Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 dicembre 2004.

Il cancelliere

Le président

H. Jung

J. Azizi

Indice

Ambito normativo della controversia

Fatti e procedimento

    I –  Precedenti e dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001

    II –  Fatti successivi alla sentenza 23 febbraio 2001

    III –  Procedimento

Conclusioni

In diritto

    I –  Sulla ricevibilità dei ricorsi

        A –  Argomenti delle parti

        B –  Giudizio del Tribunale

    II –  Sul merito

        A –  Sulle domande nella causa T‑120/01

            1.  Sulla domanda di annullamento della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato

                a)  Sulla ricevibilità della domanda

                    Argomenti della parti

                    Giudizio del Tribunale

                b)  Sul merito

                    Sul motivo relativo alla modifica unilaterale delle condizioni di lavoro

                        –  Argomenti delle parti

                        –  Giudizio del Tribunale

                    Sul motivo relativo all’incompetenza dell’autore della lettera 6 marzo 2001

                        –  Argomenti delle parti

                        –  Giudizio del Tribunale

                    Sul carattere sanzionatorio della lettera 6 marzo 2001 e del relativo allegato

                        –  Argomenti delle parti

                        –  Giudizio del Tribunale

                    Conclusione

            2.  Sulla domanda di annullamento della decisione di sospensione

                a)  Sulla ricevibilità

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

                b)  Sul merito

                    Sulla violazione del principio del rispetto del diritto di difesa e sulla violazione dell’obbligo di motivazione

                        –  Argomenti delle parti

                        –  Giudizio del Tribunale

            3.  Sulla domanda di annullamento dell’art. 39 del regolamento del personale

                a)  Argomenti delle parti

                b)  Giudizio del Tribunale

            4.  Sulla domanda volta ad ottenere dal Tribunale la dichiarazione di inapplicabilità del codice di condotta al ricorrente

                a)  Argomenti delle parti

                b)  Giudizio del Tribunale

            5.  Sulla domanda di risarcimento

                a)  Argomenti delle parti

                b)  Giudizio del Tribunale

        B –  Sulle domande nella causa T‑300/01

            1.  Osservazione preliminare

            2.  Sulle domanda di annullamento della decisione di licenziamento

                a)  Argomenti delle parti

                    Sul motivo relativo ad errori manifesti nell’accertamento e nella valutazione dei fatti addebitati

                        –  Sull’appropriazione irregolare e sulla produzione di sei documenti appartenenti alla Banca

                        –  Sulla lettera dell’11 febbraio 1999 indirizzata ai membri del Parlamento europeo

                        –  Sulla relazione del 16 aprile 1999 indirizzata alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo

                        –  Sull’articolo apparso sul giornale danese Ekstra Bladet

                        –  Sull’articolo apparso sul giornale scozzese Scotland on Sunday

                        –  Sull’articolo comparso sul giornale italiano Il Mondo

                        –  Sulla mancata collaborazione allo svolgimento del procedimento disciplinare

                b)  Giudizio del Tribunale

                    Sulla censura vertente sulla presentazione, senza l’autorizzazione dei suoi superiori gerarchici, di documenti interni e riservati della Banca che il ricorrente si sarebbe irregolarmente appropriato

                    Sulle censure relative agli articoli comparsi sui giornali Ekstra Bladet e Scotland on Sunday nonché alla lettera del ricorrente pubblicata sul giornale Il Mondo

                    Sui motivi relativi alla lettera 11 febbraio 1999 e alla relazione 16 aprile 1999

                    Sulla censura relativa al rifiuto del ricorrente di designare i rappresentanti del personale nella commissione paritetica

                    Conclusione

            3.  Sulle altre domande

                a)  Sulle domande del ricorrente relative alla sua reintegrazione nella Banca, alla compilazione delle sue valutazioni annuali e alla consegna delle sue buste paga

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

                b)  Sulle domande del ricorrente relative al pagamento degli arretrati di retribuzione maturati dal gennaio 1999, aumentati degli interessi di mora e al pagamento della somma di un euro simbolico

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

                        –  Osservazioni preliminari

                        –  Sull’esecuzione dei punti 2 e 3 del dispositivo della sentenza 23 febbraio 2001

                        –  Sul pagamento delle retribuzioni scadute a partire dal 1° marzo 2001

                c)  Sulla domanda di risarcimento

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

                d)  Sulle domande dirette ad ottenere che il Tribunale constati l’inapplicabilità al ricorrente di talune disposizioni del regolamento del personale e dell’intero codice di condotta.

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

                e)  Sulla domanda del ricorrente relativa alla soppressione di taluni passi del controricorso

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

                f)  Sulla domanda della convenuta diretta al ritiro di sei documenti presentati dal ricorrente

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

                g)  Sulla domanda del ricorrente diretta ad ottenere che il Tribunale condanni la convenuta a versargli un’indennità di cessazione dal servizio

                    Argomenti delle parti

                    Giudizio del Tribunale

Domanda di misure di organizzazione del procedimento

    I –  Argomenti delle parti

    II –  Giudizio del Tribunale

Sulle spese



1
Lingua processuale: l'italiano.