CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 26 maggio 2005 1(1)
Causa C-178/03
Commissione delle Comunità europee
contro
Parlamento europeo
Consiglio dell’Unione europea
«Esportazione e importazione di prodotti chimici pericolosi – Regolamento (CE) n. 304/2003 – Scelta della base giuridica – Politica commerciale comune, politica in materia ambientale»
I – Introduzione
1. La presente causa ha per oggetto la controversia tra la Commissione delle Comunità europee, da un lato, e il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea, dall’altro, sulla scelta della corretta base giuridica per il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, n. 304, relativo all’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi (2) (in prosieguo: il «regolamento n. 304/2003» o anche il «regolamento»).
2. Mentre la Commissione ritiene che la base giuridica per il detto regolamento debba essere la politica commerciale comune (art. 133 CE), il Parlamento e il Consiglio difendono la loro scelta di fondare il regolamento sulla politica in materia ambientale (art. 175, n. 1, CE), e a loro sostegno intervengono tre Stati membri.
3. Nel parallelo procedimento pendente nella causa C‑94/03 (3) viene in esame la scelta della base giuridica per la Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale (4) (in prosieguo: la «convenzione di Rotterdam»).
II – Ambito normativo
4. Il regolamento n. 304/2003 sostituisce il regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1992, n. 2455, relativo alle esportazioni e importazioni comunitarie di taluni prodotti chimici pericolosi (5).
A – Estratto del preambolo del regolamento
5. Come emerge dal suo terzo e quarto ‘considerando’, il regolamento n. 304/2003 si pone un duplice obiettivo. Da un lato, esso è volto all’attuazione della convenzione di Rotterdam, ma dall’altro, sotto il profilo sostanziale, va espressamente al di là delle disposizioni della convenzione:
«(3) È opportuno che la Comunità attui le norme della convenzione (…), senza peraltro ridurre in alcun modo il livello di protezione dell’ambiente e della popolazione dei paesi importatori, in osservanza del regolamento (CEE) n. 2455/92.
(4) A tal fine risulta altresì necessario e opportuno introdurre disposizioni più rigorose rispetto a quelle della convenzione in riferimento a taluni aspetti. L’articolo 15, paragrafo 4, della convenzione consente alle parti di adottare disposizioni in materia di tutela della salute umana e dell’ambiente molto più rigorose di quelle indicate nella convenzione stessa, a condizione che esse siano compatibili con le rimanenti disposizioni in essa contenute e conformi al diritto internazionale».
B – Sintesi delle disposizioni principali del regolamento
6. L’art. 1, n. 1, del regolamento n. 304/2003 così recita:
«(1) Il presente regolamento ha i seguenti obiettivi:
a) attuare la convenzione di Rotterdam concernente la procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale;
b) promuovere la condivisione delle responsabilità e la collaborazione nel settore dei movimenti internazionali di prodotti chimici pericolosi al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente da potenziali danni; e
c) contribuire all’uso ecocompatibile di tali sostanze.
Tali obiettivi sono perseguiti favorendo lo scambio di informazioni sulle caratteristiche dei prodotti chimici, definendo una procedura per l’adozione delle decisioni nell’ambito della Comunità sulle importazioni ed esportazioni e comunicando tali decisioni alle parti e, se del caso, ad altri paesi».
7. Ai sensi dell’art. 1, n. 2, il regolamento n. 304/2003 mira inoltre a garantire che le disposizioni comunitarie (6) concernenti la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura dei prodotti chimici pericolosi per l’uomo o per l’ambiente immessi sul mercato comunitario vengano applicate anche a tutti i prodotti chimici pericolosi destinati all’esportazione da uno Stato membro verso il territorio di un’altra parte contraente della convenzione di Rotterdam o di altri paesi, «a meno che tali disposizioni siano in conflitto con norme specifiche delle parti o dei paesi stessi».
8. L’art. 2, n. 1, del regolamento n. 304/2003 definisce l’ambito di applicazione ratione materiae di quest’ultimo come segue:
«Il presente regolamento si applica:
a) a determinati prodotti chimici pericolosi soggetti alla procedura di previo assenso informato (PIC) ai sensi della convenzione di Rotterdam;
b) a determinati prodotti chimici pericolosi, vietati o soggetti a rigorose restrizioni all’interno della Comunità o di uno Stato membro; e
c) a tutti i prodotti chimici esportati, per quanto concerne la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura».
9. Per il resto le disposizioni più rilevanti del regolamento n. 304/2003 si possono riassumere – semplificando – come segue.
10. All’art. 6 il regolamento n. 304/2003 opera una distinzione fondamentale fra tre categorie di prodotti chimici pericolosi, il cui elenco dettagliato figura nelle tre parti dell’allegato I e che in parte coincidono per quanto riguarda il regime giuridico ad essi ricollegato (7).
11. In una di queste categorie (allegato I, parte 3) figura un elenco di taluni prodotti chimici classificati quali particolarmente pericolosi, assoggettati – come prevede la convenzione di Rotterdam – ad una cosiddetta procedura di previo assenso informato (procedura Prior Informed Consent; in prosieguo: la «procedura PIC») (art. 6, n. 2, terzo comma, del regolamento n. 304/2003). Questa procedura, descritta in dettaglio agli artt. 12 e 13 del regolamento (8), prevede in sostanza uno scambio di informazioni tra la Comunità e le altre parti della convenzione di Rotterdam in merito alle rispettive prassi di importazione dei prodotti chimici in questione. A tale procedura corrisponde, all’interno della Comunità, la comunicazione agli operatori interessati riguardo alle rispettive prassi di importazione di Stati terzi (9).
12. I prodotti chimici assoggettati alla procedura PIC possono essere esportati solo se sussiste il previo assenso del paese importatore (10); con cadenza periodica il segretariato della convenzione di Rotterdam informa tutte le parti in merito all’esistenza di tali dichiarazioni di assenso [art. 13, n. 6, lett. b), del regolamento n. 304/2003].
13. Il previo assenso del paese importatore è necessario anche per l’esportazione di un’altra categoria di prodotti chimici, vale a dire i prodotti chimici che, di fatto, non sono ancora assoggettati alla procedura PIC, ma che, dal punto di vista della Comunità, sono assoggettabili a una procedura PIC ai sensi della convenzione di Rotterdam [art. 6, n. 2, secondo comma, in combinato disposto con l’art. 13, n. 6, lett. a), del regolamento n. 304/2003]. Un elenco dei prodotti chimici in questione figura nell’allegato I, parte 2, del regolamento.
14. Tutti i prodotti chimici non assoggettati alla procedura PIC soggiacciono a un obbligo di notifica di esportazione (art. 6, n. 2, secondo e terzo comma, in combinato disposto con l’art. 7 e l’allegato I, parte 1, ovvero parte 2, del regolamento n. 304/2003) (11). Anche i prodotti chimici assoggettati alla procedura PIC sono soggetti a una notifica di esportazione qualora il paese importatore lo richieda (art. 7, n. 5, secondo comma, del regolamento).
15. La notifica di esportazione di cui trattasi deve contenere talune informazioni, riportate in dettaglio nell’allegato III del regolamento, relative al tipo di sostanza da esportare e, in particolare, alle sue caratteristiche chimico‑fisiche, tossicologiche ed ecotossicologiche, nonché relative alle misure di precauzione eventualmente necessarie per il suo trattamento. La Commissione inoltra la notifica alle autorità dello Stato terzo in cui i prodotti chimici devono essere esportati e la registra altresì in una base di dati di pubblico dominio. A sua volta la Commissione pubblica nella sua base di dati le notifiche di esportazione che riceve da Stati terzi per quanto riguarda l’introduzione di prodotti chimici nella Comunità e informa le autorità competenti degli Stati membri (art. 8 del regolamento n. 304/2003).
16. Ai sensi dell’art. 14, n. 2, del regolamento n. 304/2003, è proibita l’esportazione dei prodotti chimici e degli articoli il cui uso è vietato nella Comunità ai fini della tutela della salute umana e dell’ambiente; tali prodotti sono elencati nell’allegato V del regolamento.
17. L’art. 16 del regolamento n. 304/2003 precisa che le disposizioni sull’imballaggio e l’etichettatura vigenti nella Comunità (12) sono applicabili anche all’esportazione di prodotti chimici e impone agli esportatori la comunicazione di talune informazioni obbligatorie. Ai sensi dell’art. 13, n. 7, del regolamento, i prodotti chimici vanno esportati almeno sei mesi prima della loro data di scadenza. Conformemente all’art. 13, n. 8, del regolamento, gli esportatori di pesticidi predispongono le etichette in modo che contengano informazioni specifiche sulle condizioni di conservazione e sulla stabilità delle sostanze nelle condizioni climatiche del paese importatore. Essi provvedono inoltre affinché i pesticidi esportati siano conformi alle norme in materia di purezza definite dalla legislazione comunitaria.
18. Spingendosi oltre la disciplina dettata dalla convenzione di Rotterdam, l’art. 15 del regolamento n. 304/2003 prevede taluni obblighi di informazione anche in relazione ai movimenti di transito attraverso Stati terzi di prodotti chimici soggetti alla procedura PIC.
19. L’art. 20 del regolamento n. 304/2003 riguarda la prestazione di assistenza tecnica, soprattutto a favore dei paesi in via di sviluppo e di quelli con economie in transizione, al fine di sviluppare le infrastrutture, le capacità e le esperienze necessarie per la corretta gestione dei prodotti chimici durante tutto il loro ciclo di vita.
20. Il regolamento stabilisce inoltre, in particolare, norme procedurali per la partecipazione della Comunità alla convenzione di Rotterdam, l’obbligo per le autorità competenti di procedere al controllo delle esportazioni e delle importazioni, l’obbligo per gli esportatori di fornire annualmente informazioni su taluni prodotti chimici esportati durante l’anno precedente, nonché una disciplina relativa alla messa a disposizione del pubblico di informazioni sul commercio di prodotti chimici.
III – Fatti, conclusioni delle parti e procedimento
A – Fatti all’origine della controversia
21. La convenzione è stata adottata a Rotterdam il 10 settembre 1998 e sottoscritta a nome della Comunità l’11 settembre 1998 (13).
22. Il 24 gennaio 2002 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento del Consiglio sull’esportazione ed importazione dei prodotti chimici pericolosi, fondandola sull’art. 133 CE (14).
23. Tuttavia, contrariamente a quanto proposto dalla Commissione, nella seduta del 19 dicembre 2002 il Consiglio ha deciso all’unanimità, previa consultazione facoltativa del Parlamento europeo, di assumere quale base giuridica per il regolamento l’art. 175, n. 1, CE in sostituzione della disposizione di cui all’art. 133 CE. Il regolamento è stato infine approvato dal Parlamento e dal Consiglio con procedura di codecisione (art. 251 CE).
B – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte
24. Con il ricorso di annullamento proposto il 23 aprile 2003 la Commissione chiede, ai sensi dell’art. 230 CE, che la Corte voglia:
– annullare il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, n. 304, sull’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi;
– dichiarare che il regolamento rimane in vigore fino all’adozione di un nuovo regolamento da parte del Consiglio;
– condannare il Parlamento europeo e il Consiglio alle spese del procedimento.
25. Il Parlamento e il Consiglio chiedono, entrambi, che la Corte voglia:
– respingere il ricorso;
– condannare la ricorrente alle spese del procedimento.
26. Con ordinanza del Presidente della Corte in data 15 settembre 2003 è stato ammesso l’intervento della Repubblica francese, della Repubblica di Finlandia nonché del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sostegno del Parlamento e del Consiglio.
27. Tutte le parti hanno presentato osservazioni nella fase scritta del procedimento; la Commissione, il Parlamento, il Consiglio e il Regno Unito hanno presentato osservazioni anche all’udienza, comune alla causa C‑94/03, tenutasi il 7 aprile 2005.
IV – Analisi
28. Con il ricorso proposto la Commissione fa valere un unico motivo di annullamento, vale a dire la scelta di una base giuridica errata per l’adozione del regolamento. In tal modo la Commissione deduce una violazione del Trattato CE ex art. 230, secondo comma, CE.
29. La scelta della corretta base giuridica riveste una notevole importanza di natura pratica, istituzionale, ed anche costituzionale (15). Da essa dipende, com’è noto, non solo la procedura legislativa applicabile (diritti di partecipazione del Parlamento, unanimità o maggioranza qualificata in Consiglio (16)), ma anche la decisione sulla questione se la competenza normativa spetti in via esclusiva alla Comunità o debba essere ripartita con gli Stati membri (17).
A – Criteri di scelta della base giuridica
30. Secondo una giurisprudenza costante, la scelta del fondamento giuridico di un atto comunitario deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di controllo giurisdizionale; tra questi elementi figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto (18).
31. Se l’esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente, e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve fondarsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dalla finalità o componente principale o preponderante (19).
32. In questo senso l’approvazione di un atto comunitario può fondarsi sulla politica commerciale comune (art. 133 CE) anche nel caso in cui esso, oltre all’obiettivo principale di politica commerciale, ne persegua anche altri, quali ad esempio obiettivi di politica dello sviluppo (20), obiettivi di politica estera e di sicurezza (21), esigenze di salvaguardia dell’ambiente (22) o della salute (23). Ciò vale a maggior ragione in considerazione del fatto che le disposizioni relative alla politica commerciale comune si fondano su una concezione aperta e dinamica, per nulla limitata agli aspetti tradizionali del commercio estero (24). Per quanto riguarda in special modo la tutela dell’ambiente e la protezione della salute, già gli artt. 6 CE e 152, n. 1, primo comma, CE mostrano come esse costituiscano obiettivi trasversali, di cui occorre tener conto in tutte le altre politiche comunitarie e, di conseguenza, anche nella politica commerciale comune.
33. All’opposto, però, anche atti comunitari che perseguono in primo luogo obiettivi di politica ambientale possono avere incidentalmente conseguenze sul commercio. L’approvazione di siffatti accordi va fondata sull’art. 175, n. 1, CE e non sull’art. 133 CE, purché rimanga sempre prevalente la loro finalità di politica ambientale (25).
34. In riferimento ad un accordo internazionale, la Corte ha formulato, per distinguere tra politica commerciale comune (art. 133 CE) e politica in materia ambientale (art. 175 CE) quali possibili fondamenti giuridici di atti comunitari, il criterio dell’effetto diretto e immediato (26). Questa considerazione può essere trasposta anche ad altri tipi di atti comunitari. Quindi, qualora un atto comunitario con finalità di politica ambientale sia privo di effetti diretti e immediati sul commercio, va fondato sull’art. 175 CE; in caso contrario esso va fondato sull’art. 133 CE (27). A questo riguardo gli effetti diretti e immediati sul commercio non debbono necessariamente consistere nel promuovere o agevolare gli scambi commerciali. Per poter far ricadere un atto comunitario nell’ambito di applicazione dell’art. 133 CE, è sufficiente piuttosto che tale atto sia «uno strumento destinato essenzialmente (…) a promuovere, ad agevolare oppure a disciplinare gli scambi commerciali» (28).
35. Alla luce di quanto precede occorre a questo punto esaminare, in base al contenuto, alla finalità e al contesto del regolamento, quale sia l’intima ratio di quest’ultimo e se esso produca eventuali effetti diretti e immediati sul commercio (a questo riguardo, v. infra, parte B). Per completezza occorrerà altresì chiarire il motivo per cui il regolamento non poteva fondarsi su una duplice base giuridica (a questo riguardo, v. infra, parte C).
B – Contenuto, obiettivi e contesto del regolamento
36. Le parti controvertono sull’ambito politico in cui occorre classificare il regolamento in base al contenuto, agli obiettivi e al contesto suoi propri. La Commissione sostiene la tesi secondo cui il regolamento rientra essenzialmente nell’ambito di applicazione della politica commerciale comune, mentre il Consiglio, sostenuto dalle parti intervenienti, vi riconosce soprattutto uno strumento di politica in materia ambientale. In questo modo le due parti nella presente causa difendono sostanzialmente le stesse posizioni sostenute nella causa C‑94/03 trattata in parallelo.
37. Per la corretta classificazione del regolamento n. 304/2003 in uno dei due ambiti politici rileva anzitutto la sua stretta correlazione con la convenzione di Rotterdam, al recepimento della quale esso è diretto, come risulta dal suo art. 1, n. 1, lett. a), e dal suo terzo ‘considerando’. Come osservo nelle conclusioni presentate in data odierna nella causa C‑94/03 (29), l’obiettivo principale di detta convenzione non risiede nell’ambito della politica commerciale comune, bensì in quello della politica in materia ambientale; si tratta di un accordo in materia ambientale presentante connessioni con la politica commerciale, e non di un accordo di politica commerciale presentante connessioni con la politica in materia ambientale.
38. Inoltre è importante, dal punto di vista interno della Comunità, l’affinità del regolamento n. 304/2003 con il sesto programma di azione in materia di ambiente del 22 luglio 2002 (30); questo programma, a sua volta fondato sull’art. 175 CE, presenta, sotto il profilo tematico, numerosi punti di contatto con il regolamento (31) e inserisce la modifica del regolamento n. 2455/92, fino ad allora vigente, tra le azioni prioritarie della politica comunitaria in materia ambientale (32).
39. Già questo contesto, in cui si colloca il regolamento n. 304/2003, suggerisce la conclusione che esso costituisca essenzialmente uno strumento di politica in materia ambientale e non di politica commerciale. Questa prima valutazione è confermata anche ad un esame più approfondito degli obiettivi e del contenuto del regolamento.
40. In primo luogo, per quanto riguarda gli obiettivi del regolamento, dall’art. 1, n. 1, lett. b) e c), di quest’ultimo risulta che la preminenza è accordata ad obiettivi di politica ambientale, vale a dire la condivisione delle responsabilità e la collaborazione al fine di tutelare l’ambiente (nonché la salute umana) da potenziali danni derivanti da prodotti chimici pericolosi, oltre al fatto di contribuire all’uso ecocompatibile di tali sostanze. All’art. 1 il regolamento menziona il commercio (33) di prodotti chimici pericolosi non tanto nel senso di obiettivo autonomo, quanto piuttosto come elemento di collegamento per i suoi effettivi obiettivi di politica ambientale. Si tratta di uno strumento di politica in materia ambientale presentante connessioni con la politica commerciale, e non di uno strumento di politica commerciale presentante connessioni con la politica in materia ambientale. Questa impressione è ulteriormente rafforzata dal fatto che il legislatore comunitario era interessato a non ridurre in alcun modo il livello di protezione dell’ambiente e ad introdurre, per la tutela dell’ambiente nonché della salute umana, disposizioni più rigorose di quelle della convenzione di Rotterdam (34).
41. Di fatto è vero che – anche al di là delle disposizioni programmatiche di cui all’art. 1 – il tenore letterale del regolamento non è privo di riferimenti alla politica commerciale. Sia il titolo, sia il preambolo (35), sia taluni articoli del regolamento utilizzano nozioni quali importazione ed esportazione, esportatori e importatori, nonché commercio internazionale. Tuttavia, il testo del regolamento contiene riferimenti alla politica in materia ambientale perlomeno altrettanto evidenti. Infatti, il preambolo (36) e in particolare l’art. 1 del regolamento vertono sulla tutela ambientale e sulla protezione della salute umana; altri punti (37) menzionano anche il fine di promuovere la corretta gestione dei prodotti chimici durante tutto il loro ciclo di vita.
42. Sotto il profilo contenutistico si deve in effetti convenire con la Commissione che il regolamento è imperniato sugli artt. 6‑17, con i quali vengono tra l’altro trasposte nell’ordinamento comunitario la procedura PIC e la procedura di notifica di esportazione. Tuttavia, contrariamente alla tesi della Commissione, una procedura PIC non è affatto in primo luogo uno strumento di politica commerciale, bensì, al contrario, come la Corte ha dichiarato già nel parere 2/00, un tipico strumento di politica in materia ambientale (38). A differenza di quanto sostiene la Commissione, la valutazione compiuta nel parere 2/00 in relazione alla procedura PIC di cui al Protocollo di Cartagena può essere trasposta alla procedura PIC del caso di specie. Infatti, anche in relazione ai prodotti chimici pericolosi pertinenti nel caso in esame, la procedura PIC serve «in via prioritaria allo scambio di informazioni riguardanti i benefici e i rischi connessi con l’utilizzo di prodotti chimici e mira a promuovere un uso ecocompatibile delle sostanze tossiche mediante lo scambio di informazioni scientifiche, tecniche, economiche e giuridiche» (39).
43. Quindi il commercio internazionale di taluni prodotti chimici qualificati di comune accordo come pericolosi dalle parti della convenzione di Rotterdam (40) costituisce unicamente l’elemento di collegamento esterno della procedura PIC. Infatti, tale procedura, prevista dalla convenzione di Rotterdam, non si propone in realtà, in primo luogo, di promuovere, agevolare o anche solo disciplinare il traffico commerciale di prodotti chimici pericolosi, ma ha piuttosto per oggetto lo scambio di informazioni tra le parti riguardo alle rispettive prassi di importazione (art. 10, nn. 7 e 10, della convenzione di Rotterdam (41)), unitamente all’inoltro delle informazioni in tal modo ottenute agli operatori interessati [art. 11, n. 1, lett. a), della convenzione di Rotterdam, nonché art. 13, nn. 1 e 3, del regolamento].
44. Mediante la procedura PIC, come pure attraverso le notifiche di esportazione relative a taluni prodotti chimici (art. 12 della convenzione di Rotterdam e art. 7 del regolamento), si intende anzitutto impedire che uno Stato terzo – in special modo un paese in via di sviluppo – si trovi a dover affrontare l’importazione di prodotti chimici pericolosi senza aver avuto in precedenza la possibilità di adottare le precauzioni necessarie per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e della salute umana (42).
45. È tutt’al più in modo indiretto che la procedura PIC introdotta dal regolamento n. 304/2003 può contribuire, mediante l’informazione degli operatori interessati citata in precedenza [art. 11, n. 1, lett. a), della convenzione di Rotterdam, nonché art. 13, nn. 1 e 3, del regolamento], a una maggiore trasparenza delle disposizioni vigenti nei diversi paesi e, quindi, eventualmente, ad agevolare il commercio estero di prodotti chimici pericolosi. Dall’altro lato, il regolamento può anche aggravare i costi commerciali per l’esportatore interessato, ad esempio nel caso in cui a quest’ultimo venga chiesto di adempiere le formalità necessarie per la notifica di esportazione (art. 7 in combinato disposto con l’allegato III del regolamento).
46. Tuttavia, fatta eccezione per siffatti effetti indiretti sul commercio, il regolamento n. 304/2003 non reca, in sostanza, disposizioni di politica commerciale. In particolare, dal regolamento non emerge se e, eventualmente, a quali condizioni l’importazione di un determinato prodotto chimico nella Comunità sia consentita o vietata. A questo riguardo il regolamento non contiene prescrizioni sostanziali di alcun tipo. Piuttosto, le decisioni concrete della Comunità in ordine all’ammissibilità o meno dell’importazione di prodotti chimici pericolosi – le quali vanno comunicate alle parti della convenzione di Rotterdam nell’ambito della procedura PIC – vengono adottate «conformemente alla legislazione comunitaria vigente» (43). All’art. 12 il regolamento n. 304/2003 stabilisce unicamente la competenza della Commissione ad adottare tali decisioni ed a rendere dichiarazioni nei confronti del segretariato della convenzione di Rotterdam. Ai sensi dell’art. 24, n. 2, del regolamento, la Commissione è assistita al riguardo da un comitato consultivo (44).
47. Tanto meno il regolamento contiene autonome disposizioni sostanziali in merito alla questione se e a quali condizioni un prodotto chimico possa essere esportato dalla Comunità. Mediante il regolamento, la Comunità – in accordo con l’art. 11, n. 1, lett. b), della convenzione di Rotterdam – assiste unicamente le altre parti della convenzione per quanto riguarda l’attuazione delle loro rispettive politiche di importazione relativamente ai prodotti chimici soggetti alla procedura PIC. A tal fine, viene imposto agli esportatori che intendono esportare siffatti prodotti chimici dalla Comunità in paesi terzi l’obbligo di osservare le prescrizioni dei relativi paesi importatori e, in particolare, di attenderne il previo consenso esplicito (art. 13, nn. 4 e 6, del regolamento (45)).
48. Solo l’art. 14, n. 2, del regolamento contiene un autonomodivieto di esportazione della Comunità, riguardante i prodotti chimici il cui uso è vietato in quest’ultima ai fini della tutela della salute umana o dell’ambiente. Detta disposizione rivolge quindi all’esterno le disposizioni intracomunitarie relative alla tutela della salute umana e dell’ambiente, al fine di impedire che prodotti vietati all’interno della Comunità producano danni all’esterno della stessa. Sia il divieto all’interno della Comunità, sia la sua estensione alle esportazioni dalla Comunità attengono in sostanza alla politica in materia ambientale.
49. Anche estendendo l’esame alle altre disposizioni del regolamento, viene confermata l’impressione che quest’ultimo costituisca in sostanza uno strumento di politica in materia ambientale e non di politica commerciale. Né lo scambio di informazioni con Stati terzi (art. 19 del regolamento), né l’assistenza tecnica reciproca (art. 20 del regolamento), né l’informazione del pubblico (artt. 6, n. 3, 7, n. 1, quarto comma, 8, n. 1, 9, n. 3, seconda frase, 13, n. 1, seconda frase, e 21, n. 2, seconda frase, del regolamento) mirano a promuovere, agevolare o anche solo a disciplinare il traffico commerciale di prodotti chimici pericolosi. Come emerge già dal testo di queste disposizioni, esse sono volte piuttosto, in primo luogo, alla tutela dell’ambiente, oltre che alla protezione della salute umana.
50. Del resto, nonostante la prima impressione, neanche le disposizioni di cui all’art. 16 del regolamento relative a etichettatura e informazioni obbligatorie per i prodotti chimici si configurano in primo luogo come disposizioni di politica commerciale, bensì rientrano nella politica in materia ambientale. Vero è che le direttive a cui si riferiscono gli artt. 16, n. 1, e 1, n. 2, del regolamento si propongono di operare un ravvicinamento delle legislazioni all’interno della Comunità e servono al riconoscimento reciproco degli imballaggi e delle informazioni obbligatorie nel commercio tra Stati membri. Tuttavia, la situazione è diversa per quanto riguarda i rapporti della Comunità con gli Stati terzi: in questo caso non si tratta affatto di ravvicinamento delle legislazioni o di riconoscimento reciproco al fine di migliorare la commerciabilità di prodotti chimici o il loro accesso al mercato (46); ciò è quanto emerge anche dall’art. 16, n. 1, seconda frase, nonché dall’ultima proposizione dell’art. 1, n. 2, del regolamento (47), secondo cui le norme specifiche della parte importatrice relative a imballaggio della merce e informazioni obbligatorie restano immutate. Piuttosto, l’art. 16, n. 1, del regolamento è inteso unicamente a soddisfare le esigenze di informazione del pubblico su rischi e pericoli nella gestione dei prodotti chimici in questione. In sostanza la disposizione estende alle esportazioni solo le disposizioni comunitarie esistenti in materia di etichettatura, ma non contribuisce al ravvicinamento delle legislazioni tra Comunità e Stati terzi o al riconoscimento reciproco di prodotti.
51. In sintesi si deve dunque rilevare che, tenuto conto del contesto in cui si colloca il regolamento n. 304/2003, nonché del contenuto e degli obiettivi del medesimo, la sua intima ratio va ricercata non nell’ambito della politica commerciale comune, bensì in quello della politica in materia ambientale. Gli effetti – senz’altro possibili – del regolamento sul commercio internazionale di prodotti chimici pericolosi sono piuttosto indiretti che diretti (48). In questo senso condivido l’opinione del Consiglio, del Parlamento e degli intervenienti a loro sostegno, secondo cui era corretto fondare il regolamento sull’art. 175, n. 1, CE e non sull’art. 133 CE (49).
52. Il fatto che l’ambito di applicazione del regolamento n. 304/2003, come emerge dal suo quarto ‘considerando’, ecceda quello della convenzione di Rotterdam (50) non porta a valutazioni di segno diverso. Infatti, in sostanza il regolamento estende quanto in ogni caso previsto per l’ambito di applicazione della convenzione di Rotterdam anche agli altri ambiti da esso contemplati. In questo contesto il regolamento persegue i medesimi obiettivi, attinenti essenzialmente alla politica in materia ambientale. Le considerazioni che precedono sono quindi pienamente trasponibili.
53. La Commissione obietta peraltro che si dovrebbero temere un grave pregiudizio del mercato interno e distorsioni degli scambi qualora si assumesse come base giuridica l’art. 175, n. 1, CE e non l’art. 133 CE. Infatti, in mancanza di competenza esclusiva della Comunità, gli Stati membri potrebbero adottare unilateralmente disposizioni più rigorose in materia di importazione ed esportazione di prodotti chimici pericolosi, ed anche eludere le disposizioni già vigenti a livello comunitario in materia di classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze pericolose.
54. A questo riguardo occorre anzitutto rilevare che nell’ambito della politica in materia ambientale, secondo la «giurisprudenza AETR», può senz’altro configurarsi una competenza esterna esclusiva della Comunità (51). In definitiva però è superfluo stabilire se ricorresse tale ipotesi in relazione all’adozione del regolamento controverso nel caso di specie. Infatti, anche nell’ambito della ripartizione delle competenze gli Stati membri devono attenersi al diritto comunitario vigente per l’esercizio dei poteri a essi restanti. A questo riguardo essi non possono violare né il diritto derivato vigente, né il diritto primario, e segnatamente non possono violare le libertà fondamentali garantite dal Trattato CE e l’art. 95, nn. 4‑10, CE. Ciò si impone in forza del principio del primato del diritto comunitario. L’obiezione sollevata dalla Commissione è pertanto infondata.
55. Nel complesso pervengo quindi alla conclusione che il ricorso proposto dalla Commissione è infondato e, di conseguenza, va respinto.
C – Esclusione di una duplice base giuridica
56. Ad abundantiam è d’uopo aggiungere che nel caso di specie era comunque fuori discussione un collegamento tra i due fondamenti normativi possibili, vale a dire l’art. 133 CE e l’art. 175 CE, e ciò anche presupponendo che nel regolamento siano presenti su un piede di parità aspetti di politica commerciale e di politica in materia ambientale e che dunque – contrariamente alla tesi suesposta – il regolamento non sia riconducibile in maniera univoca a nessuna delle due politiche.
57. Vero è che in realtà è possibile fondare un atto su varie pertinenti basi giuridiche. Ciò avviene nel caso in cui si accerti, in via eccezionale, che l’atto persegue contemporaneamente più obiettivi inscindibilmente connessi tra loro, senza che uno sia subordinato e indiretto rispetto all’altro (52).
58. Il cumulo di differenti basi giuridiche è però escluso quando le rispettive procedure previste sono tra loro incompatibili (53).
59. Ciò è quanto si verifica nel caso di specie: infatti, mentre nell’ambito di applicazione della politica commerciale comune il Parlamento viene consultato tutt’al più in modo facoltativo, senza che gli spetti, in base al Trattato, un qualsivoglia diritto di partecipazione formale (art. 133, n. 4, CE (54)), nella politica in materia ambientale la detta istituzione esercita la funzione legislativa congiuntamente al Consiglio, mediante la procedura di codecisione (art. 175, n. 1, CE, in combinato disposto con l’art. 251 CE). Sebbene il Consiglio in entrambe tali materie politiche decida di norma a maggioranza qualificata (rispettivamente, art. 133, n. 4, CE e – per la procedura di codecisione – art. 251 CE (55)), le sostanziali differenze per quanto riguarda i diritti di partecipazione del Parlamento dimostrano che le procedure legislative di cui agli artt. 133 CE e 175 CE sono incompatibili tra loro e, pertanto, non possono neppure trovare combinata applicazione (56).
60. Infatti, da un lato, è evidente che non si può rinunciare alla codecisione del Parlamento nell’ambito dell’art. 175 CE; la procedura di codecisione costituisce, a partire dal Trattato di Maastricht, uno dei diritti di partecipazione centrali del Parlamento e fornisce un contributo rilevante alla legittimazione democratica della legislazione comunitaria. Dall’altro lato, tuttavia, è altrettanto impossibile integrare tout court la procedura di cui all’art. 133, n. 4, CE con un diritto di codecisione del Parlamento ivi non previsto. In entrambi i casi si configura il rischio che la procedura decisionale prevista da ciascuna delle dette basi giuridiche e, di conseguenza, anche l’equilibrio istituzionale sancito dal Trattato possano essere falsati: un cambiamento della procedura legislativa può infatti sempre produrre conseguenze anche sul contenuto dell’atto adottato (57).
61. Sotto questo aspetto la presente causa si distingue anche dal parallelo procedimento pendente nella causa C‑94/03 (58). Infatti, in quest’ultima fattispecie la combinazione dei due fondamenti normativi presi in considerazione (art. 133 CE e art. 175, n. 1, CE, entrambi in connessione con l’art. 300 CE) porterebbe unicamente a una consultazione del Parlamento – sempre possibile senza complicazioni – anche nell’ambito della politica commerciale comune; com’è noto, l’esito di siffatta consultazione del Parlamento non è vincolante per il Consiglio. Per contro, nel caso di specie, estendendo la procedura di codecisione all’ambito proprio dell’art. 133 CE si priverebbe il Consiglio del suo potere legislativo esclusivo, che esso dovrebbe condividere con il Parlamento. Siffatto esito contrasterebbe con la consapevole posizione assunta dagli Stati membri – e confermata in diverse conferenze intergovernative – riguardo alla procedura legislativa nella politica commerciale comune (59).
62. Né dalla sentenza Swedish Match (60), né dalla sentenza British American Tobacco (61) emergono del resto elementi in senso contrario. Infatti, in nessuna delle due sentenze la Corte approfondisce le diverse competenze attribuite dal Trattato alle istituzioni o l’equilibrio istituzionale nell’ambito della procedura di codecisione, da un lato, e della procedura di cui all’art. 133 CE, dall’altro (62).
63. Quindi, a motivo dell’incompatibilità delle procedure legislative previste dagli artt. 133 CE e 175 CE, il legislatore comunitario avrebbe dovuto – anche nel caso di un presunto equilibrio nel regolamento tra gli aspetti di politica ambientale e quelli di politica commerciale – privilegiare uno solo dei due fondamenti normativi. A causa dell’incompatibilità delle procedure, il detto legislatore non avrebbe potuto fondare il regolamento congiuntamente sulla politica commerciale comune e sulla politica in materia ambientale.
64. In un caso del genere avrebbe dovuto imporsi la politica in materia ambientale, con l’art. 175 CE quale fondamento normativo. Infatti, per quanto riguarda la procedura legislativa, il diritto di codecisione del Parlamento rappresenta il caso normale, mentre fondamenti giuridici quali l’art. 133 CE, che non prevedono diritti di partecipazione formali del Parlamento, costituiscono un’eccezione dal punto di vista tecnico‑procedurale. Inoltre, corrisponde anche ai principi di trasparenza (art. 1, secondo comma, UE) (63) e di democrazia (art. 6, n. 1, UE) il fatto che, in presenza di due fondamenti giuridici parimenti rilevanti e implicati in ugual misura, ma incompatibili tra loro, si scelga, in caso di dubbio, quello nel cui ambito di applicazione sono maggiori i diritti di partecipazione del Parlamento.
65. Quindi, anche ammettendo che nel regolamento controverso emergano con pari rilevanza aspetti di politica commerciale e di politica in materia ambientale, motivi di ordine tecnico‑procedurale deporrebbero in senso contrario alla scelta di una duplice base giuridica ed a favore della scelta di una disposizione attinente alla politica in materia ambientale quale unico fondamento normativo. La decisione del Parlamento e del Consiglio di adottare il regolamento sulla base dell’art. 175, n. 1, CE nell’ambito della procedura di codecisione non sarebbe quindi censurabile neppure sotto questo profilo.
V – Sulle spese
66. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione è rimasta soccombente, le spese vanno poste a suo carico come richiesto dal Parlamento europeo e dal Consiglio.
67. In deroga a quanto precede, consegue dall’art. 69, n. 4, del regolamento di procedura che i tre Stati membri intervenuti nella controversia sopportano le proprie spese.
VI – Conclusione
68. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:
1) Il ricorso è respinto.
2) La Repubblica francese, la Repubblica di Finlandia, nonché il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopportano ciascuno le proprie spese. Per il resto la Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese del procedimento.