Language of document : ECLI:EU:T:2023:724

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

15 novembre 2023 (*)

«Funzione pubblica – Funzionari – Mutamento di assegnazione nell’interesse del servizio – Decisione con effetto retroattivo adottata in esecuzione di sentenze del giudice dell’Unione – Articolo 266 TFUE – Articoli 22 bis e 22 quater dello Statuto – Irregolarità del procedimento precontenzioso – Principio di buona amministrazione – Diritto di essere ascoltato – Principio di imparzialità – Termine ragionevole – Dovere di sollecitudine – Responsabilità – Danno morale»

Nella causa T‑790/21,

PL, rappresentato da N. de Montigny, avvocata,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da M. Brauhoff e L. Vernier, in qualità di agenti,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da L. Truchot, presidente, H. Kanninen e M. Sampol Pucurull (relatore), giudici,

cancelliere: H. Eriksson, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 15 marzo 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 270 TFUE, PL, ricorrente, chiede, da un lato, l’annullamento della decisione della Commissione europea del 16 febbraio 2021 che ha disposto la sua riassegnazione con effetto retroattivo alla direzione generale (DG) «Mobilità e trasporti» a decorrere dal 1º gennaio 2013 (in prosieguo: la «decisione impugnata») nonché della decisione del 16 settembre 2021 di rigetto parziale del suo reclamo (in prosieguo: la «decisione di rigetto parziale del reclamo») e, dall’altro lato, il risarcimento dei danni materiali e morali che egli avrebbe patito.

I.      Fatti

2        La presente controversia riguarda la riassegnazione del ricorrente dalla delegazione della Commissione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza a Gerusalemme est (in prosieguo: la «delegazione»), dove lavorava dal 16 febbraio 2012, alla DG «Mobilità e trasporti», a decorrere dal 1º gennaio 2013 (in prosieguo: la «riassegnazione controversa»).

3        La decisione impugnata fa seguito all’annullamento, da parte del giudice dell’Unione europea, di due decisioni precedenti che avevano disposto la riassegnazione controversa e alla revoca, da parte della Commissione, di una terza decisione che aveva la medesima portata (in prosieguo, congiuntamente: le «prime tre decisioni di riassegnazione»).

4        Il contesto fattuale in cui si inserisce l’adozione di tali decisioni è il seguente.

5        Il 20 dicembre 2012 il ricorrente è stato informato con messaggio di posta elettronica che la riassegnazione controversa era stata approvata il giorno prima (in prosieguo: la «prima decisione di riassegnazione»). Tale decisione è stata impugnata dal ricorrente dinanzi al Tribunale della funzione pubblica (causa F‑96/13).

6        Le circostanze in cui è stata adottata la prima decisione di riassegnazione sono state descritte ai punti da 2 a 14 della sentenza del 15 aprile 2015, PL/Commissione (F‑96/13; in prosieguo: la «sentenza F‑96/13», EU:F:2015:29), come segue:

«2      Il ricorrente è un funzionario della Commissione. All’epoca dei fatti era inquadrato nel grado AD 11 ed era inizialmente assegnato all’unità “Risorse finanziarie” della direzione “Risorse comuni” della DG “Mobilità”. Con decisione dell’[autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’“APN”)] del 16 gennaio 2012 è stato trasferito all’unità “Finanze, contratti, revisione contabile” della direzione “[Politica di v]icinato” della DG “Sviluppo e cooperazione – EuropAid” (in prosieguo: la “DG ‘Sviluppo e cooperazione’”) e assegnato come capo sezione alla delegazione (...), con effetto dal 16 febbraio 2012.

3      Mentre svolgeva le sue funzioni a capo della sezione “Finanze, contratti e revisione contabile” della delegazione, quest’ultima è stata oggetto di una revisione contabile della Corte dei conti europea relativa al programma denominato [riservato] (1). Al termine della loro missione, i revisori della Corte dei conti hanno segnalato inadeguatezze nella gestione di tale programma. Durante lo stesso periodo il ricorrente ha espresso a diversi attori le sue preoccupazioni in merito a presunte irregolarità nella gestione di detto programma, le sue inquietudini riguardanti le attività di un’organizzazione internazionale titolare di diversi contratti conclusi con la DG “Sviluppo e cooperazione”, i suoi interrogativi relativi a un rischio di conflitto di interessi derivante dai legami di taluni agenti locali della delegazione con tale organizzazione internazionale e i suoi sospetti di corruzione nell’ambito dell’attuazione, da parte di detta organizzazione, di un progetto dell’Unione europea denominato [riservato]. Inoltre, la sezione “Finanze, contratti e revisione contabile” della delegazione, che gestisce il programma [riservato], è stata oggetto di indagini dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (...) avviate nel 2011 e nel 2013.

4      Il 15 ottobre 2012 [A], [la] rappresentante del personale della delegazione (in prosieguo: la “rappresentante del personale”), ha inviato al capo delegazione una nota, firmata da 21 membri della delegazione (...), segnalando la frustrazione di una parte del personale a seguito di un cambiamento di approccio nel modo di procedere all’interno della sezione “Finanze, contratti e revisione contabile” della delegazione nel corso dei sette mesi durante i quali il ricorrente ne aveva assicurato la direzione. Tale cambiamento di approccio avrebbe causato ritardi considerevoli nella gestione dei progetti, se non addirittura il blocco di alcuni di essi, nonché una perdita di credibilità nei confronti dei partner dell’Unione. [La] rappresentante del personale rilevava altresì, in tale nota, che comportamenti inappropriati che compromettevano l’integrità professionale di membri del personale erano stati riferiti durante i sette mesi precedenti e che essi continuavano a verificarsi. La nota terminava con un appello alla gerarchia affinché quest’ultima trovasse rapidamente una soluzione a tale situazione, descritta come divenuta insostenibile.

5      Il 22 e il 23 ottobre 2012 il capo dell’unità “Finanze, contratti e revisione contabile” della direzione “[Politica di v]icinato” della DG “Cooperazione e sviluppo” cui apparteneva il ricorrente (in prosieguo: il “capo unità del ricorrente”) si è recato in missione presso la delegazione e si è intrattenuto con i colleghi dell’interessato, dal momento che quest’ultimo era assente.

6      Una riunione tenutasi a Bruxelles il 25 ottobre 2012, in presenza, in particolare, del capo unità del ricorrente e del ricorrente, è stata dedicata al comportamento di quest’ultimo e ai problemi di comunicazione tra le sezioni “Finanze, contratti e revisione contabile” e “Operazioni” all’interno della delegazione.

7      Il 9 novembre 2012 [la] rappresentante del personale ha inviato un messaggio di posta elettronica al capo unità del ricorrente per lamentarsi del fatto che il comportamento di quest’ultimo si fosse ulteriormente aggravato. Secondo [la] rappresentante del personale, il ricorrente rimproverava ora al personale di aver parlato con il capo unità in occasione della missione del 22 e 23 ottobre 2012. Nello stesso messaggio di posta elettronica [la] rappresentante del personale chiedeva che fosse adottata una misura preventiva per proteggere il personale da ogni molestia.

8      Mediante messaggi di posta elettronica del capo della delegazione e del vicedirettore generale della DG “Sviluppo e cooperazione” del 12 novembre 2012, nonché del suo capo unità del 13 novembre successivo, il ricorrente è stato messo in guardia per quanto riguarda il carattere inappropriato del suo comportamento e i problemi di comunicazione causati dalla sua sezione e da lui stesso. Secondo i superiori gerarchici del ricorrente, tali difficoltà incidevano sul lavoro della delegazione e sulle relazioni politiche dell’Unione nella regione.

9      Il 20 novembre 2012 il ricorrente è stato informato telefonicamente della sua riassegnazione in sede e ha ricevuto un messaggio di posta elettronica dal capo dell’unità “Risorse umane presso le delegazioni” della DG “Sviluppo e cooperazione” che gli “conferma[va la sua] riassegnazione alla sede, alla [sua] DG di origine[, ossia la DG ‘Mobilità’]”. Lo stesso messaggio di posta elettronica precisava che, “[i]n alcuni giorni, il tempo di portare a termine le procedure[,] [egli] [avrebbe ricevuto] una notifica ufficiale” e lo invitava a prendere i congedi residui prima della fine dell’anno, il che lo avrebbe “portato a lasciare prossimamente la delegazione”.

10      Con messaggi di posta elettronica del 28 e del 29 novembre 2012 il ricorrente ha chiesto, rispettivamente, al suo capo delegazione e al suo capo unità di comunicargli un elenco preciso dei fatti ai quali facevano riferimento nei loro messaggi di posta elettronica del 12 e del 13 novembre precedenti, al fine di potervi rispondere.

11      Il 4 dicembre 2012 il ricorrente ha informato il capo dell’unità “Risorse umane presso le delegazioni” della DG “Sviluppo e cooperazione” che stava preparando la propria partenza, ma che non aveva ancora ricevuto la notifica ufficiale della decisione di riassegnazione menzionata nel suo messaggio di posta elettronica del 20 novembre 2012, benché dovesse espletare le formalità di trasloco.

12      Il 6 dicembre 2012 il capo delegazione ha risposto al messaggio di posta elettronica del ricorrente del 28 novembre precedente, comunicandogli che i problemi da lui evocati erano ricorrenti e che non poteva prenderne nota ogniqualvolta riceveva una denuncia che lo riguardava.

13      Il 10 dicembre 2012 il ricorrente ha nuovamente chiesto al capo delegazione di fornirgli prove a sostegno degli addebiti mossi nei suoi confronti. Il 12 dicembre successivo il capo delegazione lo ha invitato a rivolgersi, per ogni altra comunicazione, all’ufficio delle risorse umane competente.

14      Il 20 dicembre 2012 un agente dell’unità “Gestione della carriera e delle prestazioni” della DG “Risorse umane e sicurezza” ha inviato un messaggio di posta elettronica al ricorrente, informandolo che la sua riassegnazione alla “DG [e all’]unità: MOVE.SRD (Bruxelles)”, vale a dire verso la DG “Mobilità”, “[era] stata approvata” dal capo gruppo “Mobilità del personale” dell’unità “Gestione della carriera e delle prestazioni” in qualità di APN in data 19 dicembre 2012, con effetto dal 1º gennaio 2013. L’autore del messaggio di posta elettronica precisava altresì che tale riassegnazione aveva come base giuridica l’articolo 7, paragrafo 1, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea nella sua versione allora applicabile, che “tale movimento [era] registrato e p[oteva] essere consultato [attraverso il sistema informatico di gestione del personale denominato] ‘Sys[p]er 2’”, che una copia di detto messaggio di posta elettronica sarebbe stata inserita nel fascicolo del ricorrente e che “nessun atto cartaceo [sarebbe stato] redatto”».

7        A partire dal 1º gennaio 2013, il ricorrente è stato promosso al grado AD 12 nell’ambito dell’esercizio di promozione 2013.

8        Il 16 gennaio 2015 il ricorrente è stato assegnato alla rappresentanza della Commissione a Londra (Regno Unito).

9        Con la sentenza F‑96/13, pronunciata il 15 aprile 2015, il Tribunale della funzione pubblica ha annullato la prima decisione di riassegnazione, a causa di una violazione dei diritti della difesa del ricorrente.

10      Il 15 ottobre 2015, dopo diversi scambi tra la Commissione e il ricorrente, si è svolta una riunione, nell’ambito dell’esecuzione della sentenza F‑96/13, tra la capo dell’unità «Gestione della carriera e delle prestazioni» della DG «Risorse umane e sicurezza» (in prosieguo: l’«unità DG HR.B4») e il ricorrente, in presenza anche del suo difensore e di altri due capi unità (in prosieguo: la «riunione del 15 ottobre 2015»).

11      Nel corso di tale riunione, la capo dell’unità DG HR.B4 ha informato il ricorrente della propria intenzione, in quanto autorità che ha il potere di nomina (APN), di disporre, in esecuzione della sentenza F‑96/13, la riassegnazione controversa con effetto retroattivo. La stessa ha spiegato che lo scopo della riunione era di dare al ricorrente la possibilità di formulare le sue osservazioni prima che ella adottasse tale decisione.

12      La capo dell’unità DG HR.B4 ha fatto riferimento al fascicolo dell’epoca, il quale rivelava, a suo avviso, una condotta inadeguata del ricorrente. A tal riguardo, taluni messaggi di posta elettronica di data 27 luglio 2012, 18 settembre 2012, 3, 5 e 14 ottobre 2012 e 12 e 13 novembre 2012 sono stati menzionati nel corso della riunione.

13      Il ricorrente si è espresso in merito al contesto dei messaggi di posta elettronica. Egli ha altresì spiegato la denuncia fatta alla sua gerarchia il 3 ottobre 2012, riguardante l’organizzazione internazionale menzionata al precedente punto 6. Lo stesso ha anche rilevato che, tra il 13 e il 20 novembre 2012, taluni eventi, che egli continuava a ignorare, avevano avuto luogo e avevano condotto l’amministrazione a disporre la riassegnazione controversa. A suo avviso, esisteva un nesso, che doveva essere oggetto di indagine, tra tale riassegnazione e la sua denuncia. Le ragioni addotte dalla capo dell’unità DG HR.B4 sarebbero state ritenute insufficienti nella sentenza F‑96/13.

14      Il 22 dicembre 2015 la capo dell’unità DG HR.B4 ha disposto la riassegnazione controversa con effetto retroattivo al 1º gennaio 2013 (in prosieguo: la «seconda decisione di riassegnazione»).

15      Per fondare tale decisione, la capo dell’unità DG HR.B4 ha rilevato una «situazione di comunicazione estremamente tesa» tra il ricorrente e i suoi colleghi sia alla delegazione che in sede, il che, a suo avviso, era tale da pregiudicare in modo sostanziale il buon funzionamento della delegazione. A tal riguardo, essa ha fatto espressamente riferimento ai messaggi di posta elettronica datati dal 18 settembre al 13 novembre 2012 che erano stati presentati dall’amministrazione al ricorrente durante la riunione del 15 ottobre 2015, citando alcuni estratti.

16      Il ricorrente ha impugnato dinanzi al Tribunale la seconda decisione di riassegnazione. Con sentenza del 13 dicembre 2018, PL/Commissione (T‑689/16; in prosieguo: la «sentenza T‑689/16», non pubblicata, EU:T:2018:925), tale decisione è stata annullata, con la motivazione che essa era stata adottata da un’autorità incompetente, in considerazione della tutela conferita al ricorrente dall’articolo 22 bis dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»), nella sua qualità di informatore.

17      A seguito di tale annullamento, il capo facente funzione dell’unità DG HR.B4 ha nuovamente adottato la riassegnazione controversa con decisione del 25 giugno 2019, con effetto retroattivo al 1º gennaio 2013 (in prosieguo: la «terza decisione di riassegnazione»).

18      Con ricorso proposto il 18 maggio 2020 (causa T‑308/20), il ricorrente ha chiesto l’annullamento della terza decisione di riassegnazione, in ragione, in particolare, dell’incompetenza dell’autore dell’atto.

19      Con lettera del 27 luglio 2020 la direttrice generale della DG «Risorse umane e sicurezza» (in prosieguo: la «direttrice generale della DG HR») ha informato il ricorrente della sua volontà di revocare la terza decisione di riassegnazione e di sostituirla con una nuova decisione da lei stessa adottata, in qualità di APN. Ella ha precisato che tale decisione avrebbe avuto a oggetto la riassegnazione controversa, con effetto retroattivo al 1º gennaio 2013. La direttrice generale della DG HR ha invitato il ricorrente a presentare le sue eventuali osservazioni prima dell’adozione di una nuova decisione.

20      Con lettera del 13 agosto 2020 il ricorrente ha chiesto alla direttrice generale della DG HR di precisare le ragioni che l’avevano portata a ritenere che il capo facente funzione dell’unità DG HR.B4 non fosse l’APN competente a decidere in merito alla sua riassegnazione. Considerando che, vista l’annunciata revoca della terza decisione di riassegnazione, beneficiava ancora della condizione di informatore, egli ha sostenuto che la nuova decisione doveva essere adottata nel rispetto dell’articolo 22 bis dello Statuto. Per di più, ha osservato che la revoca della terza decisione di riassegnazione avrebbe avuto ripercussioni sulla ricevibilità del ricorso proposto nella causa T‑308/20. Infine, ha chiesto alla Commissione di prendere posizione su tali questioni.

21      Con lettera del 7 settembre 2020 la direttrice generale della DG HR ha indicato che, alla luce della motivazione della sentenza T‑689/16, risultava che la decisione di riassegnazione poteva essere adottata solo da lei. Quest’ultima ha altresì precisato che la revoca della terza decisione di riassegnazione mirava ad attuare tale sentenza nel modo più incontestabile possibile, senza attendere l’esito del procedimento avviato nell’ambito della causa T‑308/20. A tal fine, essa ha ribadito il suo invito al ricorrente a presentare osservazioni sulla decisione prevista, menzionata nella lettera del 27 luglio 2020.

22      Con lettera del 17 settembre 2020 il ricorrente ha ricordato le circostanze in cui era stata adottata la prima decisione di riassegnazione. In particolare, tale riassegnazione gli sarebbe stata annunciata il 20 novembre 2012, ossia meno di un mese dopo la comunicazione alla sua gerarchia di possibili irregolarità nella gestione del programma [riservato], delle sue inquietudini riguardanti le attività di un’organizzazione titolare di diversi contratti conclusi con la DG «Sviluppo e cooperazione – EuropeAid» (in prosieguo: la «DG “Sviluppo e cooperazione”»), dei suoi interrogativi relativi ai rischi di conflitto di interessi derivanti dai legami di taluni agenti locali e contrattuali della delegazione con tale organizzazione internazionale e di sospetti di corruzione nell’ambito dell’attuazione, da parte di detta organizzazione, del progetto [riservato]. Il ricorrente ha altresì ricordato le ragioni che avevano condotto il Tribunale della funzione pubblica ad annullare la prima decisione di riassegnazione, facendo riferimento ai punti 66 e 67 della sentenza F‑96/13. Egli ha anche sostenuto che, nel corso della riunione del 15 ottobre 2015, la Commissione non aveva fornito elementi nuovi, né precisato alcuna censura successiva al 13 novembre 2012. Pertanto, il ricorrente non avrebbe potuto far valere utilmente le sue osservazioni. Il ricorrente ha parimenti ricordato che, dal 10 ottobre 2016, aveva chiesto di essere ascoltato dalla direttrice generale della DG HR sulla sua situazione, caratterizzata da sette riassegnazioni a partire dal 1º gennaio 2013, nell’interesse del servizio, a posti creati appositamente a tale scopo e soppressi dopo la sua partenza. Anche la terza decisione di riassegnazione sarebbe stata adottata senza che il ricorrente avesse potuto presentare utilmente le sue osservazioni. Se, come annunciato dalla direttrice generale della DG HR, tale decisione avesse dovuto essere successivamente revocata, sarebbe spettato alla Commissione indicare al ricorrente la motivazione precisa della riassegnazione controversa, per consentirgli di presentare utilmente le sue osservazioni. La Commissione avrebbe dovuto assicurarsi, inoltre, che la nuova decisione fosse adottata nel rispetto delle disposizioni che disciplinavano il suo status di informatore. Tenuto conto della complessità della vicenda, risalente al 2012, il ricorrente ha chiesto di essere ricevuto dalla direttrice generale della DG HR al fine di esaminare, in un primo tempo in modo informale, gli elementi in grado di porre fine a tale situazione.

23      Con lettera del 9 ottobre 2020 la direttrice generale della DG HR ha comunicato al ricorrente che egli disponeva di tutti gli elementi rilevanti che gli consentivano di esercitare utilmente il suo diritto di essere ascoltato. A tal riguardo, la stessa ha menzionato i verbali della riunione del 15 ottobre 2015 redatti dall’amministrazione e dal ricorrente, dai quali emergevano, a suo avviso, i motivi presi in considerazione dalla capo dell’unità DG HR.B4 per adottare la seconda decisione di riassegnazione. La direttrice generale della DG HR ha ricordato che tale decisione era stata annullata dal Tribunale solo per il motivo vertente sull’incompetenza del suo autore. Pertanto, ella ha invitato il ricorrente a comunicarle, entro il termine di due settimane, le sue osservazioni, allegando i verbali alla lettera. Inoltre, la stessa ha comunicato al ricorrente la decisione di revoca della terza decisione di riassegnazione. Ella ha precisato che la revoca era destinata a porre fine all’irregolarità esistente, connessa all’incompetenza dell’autore di tale decisione, e che detta revoca sarebbe stata seguita dall’adozione di una nuova decisione di riassegnazione del ricorrente, dopo averlo ascoltato.

24      Con lettera del 31 ottobre 2020 il ricorrente ha sostenuto che, come risultava dai punti 60, 61 e 66 della sentenza F‑96/13, i suoi superiori gerarchici avevano mosso addebiti relativi al suo comportamento dopo il 13 novembre 2012, che egli non era stato in grado di contestare. Gli eventi successivi a tale data non sarebbero stati chiariti durante la riunione del 15 ottobre 2015, nel corso della quale la Commissione si sarebbe limitata a rileggere gli scambi di messaggi di posta elettronica intercorsi tra il ricorrente e il capo della delegazione, da un lato, e con il suo capo unità alla DG «Sviluppo e cooperazione», dall’altro. Il ricorrente ha ricordato di aver chiesto invano di avere accesso a una nota recante il timbro del 26 novembre 2012, indirizzata ai membri della commissione sulla gestione delle risorse nelle delegazioni (in prosieguo: il «Comdel») e che lo riguardava, nonché a tutti i documenti a essa relativi e, più specificamente, a quelli trasmessi nel 2012 dalla DG «Sviluppo e cooperazione» al servizio giuridico della Commissione e a quelli detenuti da quest’ultimo. Secondo il ricorrente, il Tribunale della funzione pubblica ha definitivamente dichiarato che i motivi anteriori al 13 novembre 2012 non potevano legittimamente motivare la riassegnazione controversa. A suo avviso, le informazioni da lui fornite ai suoi superiori gerarchici, senza reazione da parte di questi ultimi, erano state comunicate dalla Corte dei conti europea all’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), che l’aveva convocato quattro volte. Sulla base di questi stessi elementi, la Commissione avrebbe annullato tutti i contratti di gestione indiretta stipulati con l’organizzazione di cui trattasi nell’ambito del programma [riservato]. Questi stessi elementi avrebbero condotto il capo della missione di revisione contabile della Corte dei conti a dare atto espressamente, nel corso di una riunione, di corruzione, frode, nepotismo e collusione. Quale capo della sezione «Finanze, contratti e revisione contabile» della delegazione, il ricorrente era tenuto ad adottare le misure idonee a preservare gli interessi dell’Unione. I motivi di un’eventuale nuova decisione di riassegnazione, che, a suo avviso, non figuravano nella lettera del 27 luglio 2020, dovevano quindi essere obiettivi, chiari e precisi per consentirgli di contestarli in occasione di un’audizione con l’APN competente, da lui richiesta in qualità di informatore, al fine di regolarizzare la sua posizione amministrativa e di ristabilire il suo onore e la sua dignità professionale.

25      Con ordinanza del 25 novembre 2020, PL/Commissione (T‑308/20, non pubblicata, EU:T:2020:571), il Tribunale ha accertato che il ricorso proposto dal ricorrente contro la terza decisione di riassegnazione era divenuto privo di oggetto a seguito della revoca di quest’ultima. La Commissione è stata condannata a farsi carico delle spese di giudizio, poiché si è ritenuto che, revocando la terza decisione di riassegnazione, essa avesse implicitamente riconosciuto che il procedimento di adozione della stessa non era stato esente da critiche.

26      Con messaggio di posta elettronica dell’11 dicembre 2020 il ricorrente ha reiterato alla direttrice generale della DG HR la sua domanda di essere ascoltato nel corso di una riunione.

27      Il 16 febbraio 2021 la direttrice generale della DG HR ha adottato la decisione impugnata.

28      Nei primi tre considerando della decisione impugnata la direttrice generale della DG HR ha indicato che i diversi scritti scambiati nel 2012 tra il ricorrente e i suoi superiori gerarchici, che sia alla DG «Sviluppo e cooperazione» a Bruxelles (Belgio) o nell’ambito della delegazione, davano atto di una «situazione relazionale (...) che diveniva sempre più insostenibile» e che, allo scopo di acquietare la situazione all’interno della delegazione, era opportuno disporre la riassegnazione controversa, dato che l’amministrazione aveva un ampio margine di discrezionalità nell’organizzazione dei suoi servizi.

29      La direttrice generale della DG HR ha poi ricordato i procedimenti che avevano portato all’adozione delle prime tre decisioni di riassegnazione e le ragioni che avevano giustificato, a seconda dei casi, il loro annullamento da parte del giudice dell’Unione o la sua revoca da parte della Commissione.

30      Nel dodicesimo considerando della decisione impugnata la direttrice generale della DG HR ha ritenuto che il ricorrente beneficiasse delle disposizioni dell’articolo 22 bis dello Statuto e che, di conseguenza, ella fosse l’APN competente a decidere la riassegnazione controversa.

31      Dopo aver valutato che il ricorrente aveva potuto esercitare il suo diritto di essere ascoltato nell’ambito degli scambi descritti ai precedenti punti da 19 a 24, la direttrice generale della DG HR ha indicato, all’ultimo considerando della decisione impugnata, che occorreva «regolarizzare la situazione amministrativa» del ricorrente con effetto retroattivo al 1º gennaio 2013, adottando una nuova decisione con lo stesso contenuto della seconda decisione di riassegnazione e fondata sui medesimi motivi, esposti ai primi tre considerando della decisione impugnata.

32      Nel messaggio di posta elettronica di trasmissione della decisione impugnata, anch’esso datato 16 febbraio 2021, la direttrice generale della DG HR ha comunicato al ricorrente che, nel corso degli anni precedenti l’adozione di tale decisione, egli aveva avuto ampiamente l’opportunità di esprimere il suo punto di vista sulla riassegnazione controversa e sulle ragioni che la giustificavano, sicché non le sembrava necessaria una riunione bilaterale tra lei e lui.

33      Il 17 maggio 2021 il ricorrente ha presentato un reclamo ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto contro la decisione impugnata, chiedendo, in particolare, la sua revoca, l’annullamento di tutte le altre decisioni adottate nei suoi confronti da autorità incompetenti in considerazione della sua qualità di informatore e la soppressione nel sistema informatico di gestione del personale della Commissione denominato «Sysper 2» di ogni altra decisione amministrativa irregolarmente adottata tra il 2013 e il 2022, nonché il versamento delle somme di EUR 100 000 e di EUR 250 000 a titolo, rispettivamente, del danno materiale e del danno morale asseriti.

34      Il reclamo è stato proposto mediante un modulo di presentazione, che faceva riferimento all’articolo 22 quater dello Statuto e che doveva essere inviato all’unità «Ricorsi e trattamento dei casi» della DG «Risorse umane e sicurezza» (in prosieguo: l’«unità DG HR.E2») della Commissione. Il modulo e il reclamo sono stati accompagnati da una lettera del ricorrente, indirizzata alla direttrice generale della DG HR, in cui veniva indicato che si trattava di un reclamo fondato sull’articolo 22 quater dello Statuto. Il modulo, il reclamo e la lettera sono stati inviati congiuntamente per posta elettronica all’unità DG HR.E2.

35      Con messaggio di posta elettronica del 31 maggio 2021, inviato al ricorrente, l’unità DG HR.E2 ha confermato la ricezione dell’invio effettuato il 17 maggio 2021, facendo riferimento al reclamo «presentato ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto» e allegando un documento denominato «Dichiarazione di riservatezza riguardante la protezione dei dati personali». Con lo stesso messaggio di posta elettronica il ricorrente è stato invitato a presentare, se lo riteneva utile, ogni nuovo documento riguardante il suo reclamo entro il termine di quindici giorni.

36      Con messaggio di posta elettronica del 3 giugno 2021 il ricorrente ha chiesto all’unità DG HR.E2 che fossero chiariti taluni aspetti del messaggio di posta elettronica del 31 maggio 2021, dopo la convalida della direttrice generale della DG HR quale APN competente. In primo luogo, egli ha rilevato che il reclamo era stato presentato sulla base dell’articolo 22 quater dello Statuto. In secondo luogo, ha chiesto che fossero comunicate le norme interne previste dall’APN per il trattamento dei reclami ai sensi di tale disposizione. In terzo luogo, ha chiesto che il termine di quindici giorni concessogli per presentare ogni documento utile fosse sospeso in attesa di una risposta alla sua richiesta di chiarimenti. Inoltre, ha chiesto il rispetto della riservatezza garantita dallo Statuto per questo tipo di cause.

37      Con messaggio di posta elettronica del 4 giugno 2021 una persona dell’unità DG HR.E2 ha precisato che il reclamo proposto dal ricorrente sul fondamento dell’articolo 22 quater dello Statuto sarebbe stato trattato da tale unità, conformemente all’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, come risultava dall’Informazione amministrativa n. 79-2013, del 19 dicembre 2013, relativa alla presentazione di domande in virtù dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, dei reclami ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto e delle domande di assistenza in base all’articolo 24 dello Statuto, trasmessa in allegato.

38      Con la decisione recante parziale rigetto del reclamo, notificata al ricorrente il 16 settembre 2021, il membro della Commissione incaricato delle risorse umane e della sicurezza (in prosieguo: il «membro della Commissione incaricato della DG HR»), in qualità di APN, ha parzialmente accolto il reclamo del ricorrente, accettando di ritirare dal suo fascicolo Sysper 2 la terza decisione di riassegnazione e tutte le menzioni relative all’articolo 22 bis dello Statuto riguardanti le decisioni di riassegnazione. Il reclamo è stato respinto quanto al resto. Per quanto riguarda la domanda di risarcimento proposta nel reclamo, il membro della Commissione incaricato della DG HR l’ha ritenuta priva di nesso con la decisione impugnata, poiché l’asserito danno derivava, a suo avviso, da una successione di eventi verificatisi dopo il 2013. Di conseguenza, tale parte del reclamo è stata riqualificata come domanda ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto. Il membro della Commissione incaricato della DG HR ha indicato di non essere l’APN competente per il trattamento di tale domanda e che, in tali circostanze, vi sarebbe stata data risposta in una decisione diversa.

II.    Conclusioni delle parti

39      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata e, se e in quanto necessario, la decisione di rigetto parziale del reclamo;

–        accertare la mancata adozione, da parte della Commissione, dei provvedimenti di esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 in conformità alla loro motivazione, nonché la violazione del giudicato;

–        condannare la Commissione al pagamento di un risarcimento dell’importo di EUR 250 000 per i danni materiali e dell’importo di EUR 100 000 per i danni morali patiti;

–        condannare la Commissione alle spese.

40      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

III. In diritto

A.      Sull’oggetto del ricorso

41      Con il primo capo delle sue conclusioni, il ricorrente chiede l’annullamento della decisione impugnata e, «se e in quanto necessario», l’annullamento della decisione di rigetto parziale del reclamo.

42      Conformemente al principio di economia processuale, il giudice può decidere di non pronunciarsi specificamente sulle conclusioni dirette avverso la decisione di rigetto del reclamo, qualora constati che esse sono prive di contenuto autonomo e si confondono, in realtà, con le conclusioni dirette avverso la decisione oggetto del reclamo (v. sentenza del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑584/16, EU:T:2017:282, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

43      Nel caso di specie, le conclusioni dirette all’annullamento della decisione di rigetto parziale del reclamo non si confondono con quelle dirette contro la decisione impugnata. Infatti, a sostegno delle prime, il ricorrente lamenta specificamente una violazione delle garanzie accordate agli informatori dall’articolo 22 quater dello Statuto riguardo al trattamento dei reclami da essi presentati nell’ambito del procedimento precontenzioso. Da un lato, nell’ambito del primo motivo di ricorso, il ricorrente afferma che il reclamo non è stato esaminato da un’APN competente. Dall’altro, a sostegno della prima parte del terzo motivo di ricorso, egli afferma che il trattamento differenziato del suo reclamo, garantito dall’articolo 22 quater dello Statuto, non è stato garantito.

44      Orbene, il ricorrente deve poter sottoporre al controllo del giudice dell’Unione la regolarità del procedimento di reclamo, che ha lo scopo di consentire e favorire una composizione amichevole della controversia sorta fra il funzionario e l’amministrazione e di obbligare l’autorità da cui dipende il funzionario a riesaminare la propria decisione, nel rispetto delle norme, alla luce delle eventuali obiezioni di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2015, Z/Corte di giustizia, T‑88/13 P, EU:T:2015:393, punti da 143 a 146 e giurisprudenza ivi citata).

45      In tali circostanze, occorre statuire non solo sulle conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata, ma anche su quelle relative alla decisione di rigetto parziale del reclamo.

46      Inoltre, occorre rilevare che, con il secondo capo delle sue conclusioni, il ricorrente chiede che il Tribunale accerti la mancata adozione, da parte della Commissione, dei provvedimenti di esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 in conformità alla loro motivazione, nonché la violazione del giudicato.

47      In risposta a un quesito del Tribunale posto in udienza, il ricorrente ha precisato che il secondo capo delle sue conclusioni verteva su una delle illegittimità alla base della domanda di risarcimento formulata nel terzo capo delle sue conclusioni.

48      Pertanto, occorre interpretare congiuntamente il secondo e il terzo capo delle conclusioni come un unico capo delle conclusioni, di natura risarcitoria.

B.      Sulle conclusioni di annullamento

49      A sostegno delle sue conclusioni di annullamento, il ricorrente deduce tre motivi, vertenti:

–        il primo, sull’incompetenza dell’autorità amministrativa che ha disposto il rigetto del reclamo;

–        il secondo, sulla violazione dell’articolo 266 TFUE, del giudicato e del principio di irretroattività, sullo sviamento di procedura nonché sulla violazione delle sue garanzie procedurali e del diritto di essere ascoltato in modo effettivo e in conformità all’obiettivo perseguito da tale diritto;

–        il terzo, sulla violazione dell’articolo 22 bis dello Statuto, del dovere di assistenza e di sollecitudine nell’ambito del procedimento di riassegnazione, dell’articolo 22 quater dello Statuto e della tutela spettante agli informatori, dei doveri di diligenza, neutralità, imparzialità e obiettività e del suo diritto all’equo trattamento del proprio caso da parte dell’amministrazione nonché sulle sue legittime aspettative e sullo sviamento di procedura.

1.      Considerazioni preliminari

50      In via preliminare, occorre ricordare gli obblighi che incombono all’amministrazione quando essa decide di riassegnare un funzionario.

51      Le decisioni di riassegnazione sono soggette, per quanto riguarda la salvaguardia dei diritti e degli interessi legittimi dei funzionari interessati, alle norme dell’articolo 7, paragrafo 1, dello Statuto. Ai sensi di tale disposizione, l’APN assegna ciascun funzionario mediante nomina o trasferimento, nel solo interesse del servizio e prescindendo da considerazioni di cittadinanza, ad un impiego corrispondente al suo grado, nel suo gruppo di funzioni.

52      Le istituzioni dispongono, a tale titolo, di un ampio potere discrezionale nell’organizzare i loro servizi in funzione dei compiti loro affidati e nell’assegnare, per lo svolgimento di tali compiti, il personale disponibile, a condizione però che tale assegnazione venga effettuata, da un lato, nell’interesse del servizio e, dall’altro, nel rispetto dell’equivalenza tra il grado e il posto (v. sentenza del 27 ottobre 2022, CE/Comitato delle Regioni, C‑539/21 P, non pubblicata, EU:C:2022:840, punto 44).

53      Difficoltà relazionali interne, qualora provochino tensioni pregiudizievoli al buon funzionamento di un servizio, possono giustificare la riassegnazione di un funzionario nell’interesse del servizio, senza il consenso del funzionario interessato, a fortiori qualora tale servizio sia incaricato di missioni diplomatiche. Una misura del genere può essere persino adottata a prescindere dalla questione della responsabilità degli incidenti di cui trattasi (v. sentenza del 12 ottobre 2022, Paesen/SEAE, T‑88/21, EU:T:2022:631, punto 213 e giurisprudenza ivi citata).

54      Poiché il ricorrente è stato considerato un informatore in buona fede ai sensi dell’articolo 22 bis, paragrafo 3, dello Statuto, occorre ricordare anche le garanzie di cui beneficiava nell’ambito dell’adozione della decisione impugnata.

55      La tutela prevista dall’articolo 22 bis, paragrafo 3, dello Statuto è concessa, senza alcuna formalità, ai funzionari che hanno fornito informazioni in buona fede su fatti che fanno presumere l’esistenza di un’attività illegale, e ciò per il semplice fatto di aver fornito dette informazioni (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2014, AN/Commissione, T‑512/13 P, EU:T:2014:1073, punti 30 e 31).

56      La circostanza che una decisione sfavorevole a un funzionario o agente faccia seguito, cronologicamente, alla comunicazione, da parte di quest’ultimo, di informazioni ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto deve condurre il Tribunale, quando è investito di un ricorso proposto contro tale decisione, a esaminare il motivo vertente sulla violazione di tali disposizioni con particolare attenzione. Tuttavia, occorre ricordare che tale disposizione non offre al funzionario una tutela contro qualsiasi decisione che possa recargli pregiudizio, ma solo contro le decisioni collegate alle denunce da lui effettuate (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2017, CJ/ECDC, T‑692/16, non pubblicata, EU:T:2017:894, punti 109 e 110).

57      Per quanto riguarda l’onere della prova, il punto 3 della comunicazione SEC(2012) 679 final del vicepresidente Šefčovič alla Commissione, del 6 dicembre 2012, sugli orientamenti relativi alla trasmissione di informazioni in caso di gravi irregolarità (whistleblowing) (in prosieguo: gli «orientamenti relativi all’allerta professionale») precisa che spetta a chi adotta una misura sfavorevole nei confronti dell’informatore dimostrare che tale misura è stata motivata da ragioni diverse dalla notifica di irregolarità.

58      Infine, l’articolo 22 quater dello Statuto impone all’APN di ciascuna istituzione di stabilire norme interne concernenti, in particolare, la comunicazione ai funzionari di cui all’articolo 22 bis, paragrafo 1, dello Statuto di informazioni sul trattamento dato alle loro segnalazioni, la tutela dei loro interessi legittimi e della loro sfera privata, nonché la procedura per la gestione dei loro reclami. Questi ultimi devono essere trattati in modo riservato e, ove giustificato dalle circostanze, prima della scadenza dei termini stabiliti all’articolo 90 dello Statuto.

59      È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare i motivi dedotti dal ricorrente a sostegno delle sue conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata e della decisione di rigetto parziale del reclamo.

2.      Sul primo motivo di ricorso, vertente sullincompetenza dellautorità amministrativa che ha respinto il reclamo

60      Il ricorrente contesta la competenza del membro della Commissione incaricato della DG HR a respingere il suo reclamo, presentato, a suo avviso, ai sensi dell’articolo 22 quater dello Statuto, e non già ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, di detto Statuto. Secondo il ricorrente, nessun testo consentirebbe di riconoscere tale competenza. Quest’ultima, d’altronde, non sarebbe stata riconosciuta dal ricorrente nel suo reclamo. Nella replica il ricorrente aggiunge che è stata l’unità DG HR.E2 a trattare tale reclamo, mentre il membro della Commissione incaricato della DG HR si è limitato a firmarlo. Tuttavia, tale delega o tale supporto amministrativo non sarebbero previsti dal diritto applicabile.

61      La Commissione deduce l’irricevibilità degli argomenti del ricorrente in quanto tardivi oppure la loro infondatezza.

62      A tal riguardo, occorre constatare che la decisione impugnata è stata adottata, senza delega, dalla direttrice generale della DG HR in qualità di APN competente, secondo le norme ricordate ai punti 47 e 48 della sentenza T‑689/16.

63      Orbene, conformemente al punto 12 della tabella V dell’allegato I alla decisione (2013) 3288 della Commissione, del 4 giugno 2013, relativa all’esercizio dei poteri conferiti dallo Statuto dei funzionari all’APN e all’autorità abilitata a concludere i contratti di assunzione (AACC), come modificata dalla decisione C(2014) 9864 della Commissione, del 16 dicembre 2014 (in prosieguo: la «decisione APN/AACC della Commissione»), i reclami proposti contro decisioni adottate nei confronti dei funzionari di tutti i gradi sono presentati, di norma, dinanzi alla direttrice generale della DG HR. Tuttavia, la nota a piè di pagina n. 2 relativa al punto 12 della tabella prevede che, se la direttrice generale della DG HR ha adottato una decisione senza delega di potere, come nel caso di specie (v. punto 62 supra), la risposta al reclamo proposto contro tale decisione deve essere fornita dal membro della Commissione incaricato della DG HR.

64      Indubbiamente, il punto 12 della tabella V dell’allegato I alla decisione APN/AACC della Commissione verte sui reclami fondati sull’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, mentre il ricorrente si avvale anche dell’articolo 22 quater dello Statuto.

65      Tuttavia, l’articolo 22 quater dello Statuto si riferisce esso stesso ai reclami provenienti da funzionari e riguardanti il modo in cui essi sono stati trattati dopo o per aver adempiuto ai loro obblighi ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto, rinviando, in particolare, all’articolo 90 dello Statuto.

66      In tali circostanze, il membro della Commissione incaricato della DG HR era competente a statuire sul reclamo del ricorrente.

67      Per quanto riguarda la censura del ricorrente relativa alla trattazione del suo reclamo da parte dell’unità DG HR.E2, occorre constatare che né l’articolo 22 quater dello Statuto, né la decisione APN/AACC della Commissione, né gli orientamenti relativi all’allerta professionale impediscono a tale unità di fornire un supporto all’APN competente. Inoltre, il ricorrente non produce alcun elemento idoneo a dimostrare il suo argomento secondo cui il membro della Commissione incaricato della DG HR si sarebbe limitato a firmare il progetto di decisione proposto dagli uffici. Pertanto, senza che sia necessario esaminare la loro tardività, si deve ritenere che tali censure non siano fondate.

68      Da quanto precede risulta che il primo motivo di ricorso deve essere respinto.

3.      Sul secondo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 266 TFUE, del giudicato e del principio di irretroattività, sullo sviamento di procedura nonché sulla violazione delle garanzie procedurali e del diritto di essere ascoltato 

69      Il secondo motivo di ricorso è suddiviso in tre parti.

70      La prima parte verte sulla «violazione dei diritti della difesa e del diritto di essere ascoltato, sull’assenza di un’indagine amministrativa, sulla violazione dei principi del contraddittorio e di parità delle armi, dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e del diritto a una buona amministrazione, nonché del termine ragionevole».

71      Le parti seconda e terza, che il Tribunale esaminerà congiuntamente, vertono, in sostanza, su diverse violazioni riguardanti il modo in cui la Commissione ha dato esecuzione alle sentenze F‑96/13 e T‑689/16.

a)      Sulla prima parte, vertente sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto di essere ascoltato, sullassenza di unindagine amministrativa, sulla violazione del principio del contraddittorio, del principio di parità delle armi, dellarticolo 41 della Carta e del diritto a una buona amministrazione, nonché del termine ragionevole

72      In via preliminare, occorre rilevare, al pari della Commissione, che, nel titolo di tale parte, il ricorrente fa valere la violazione dei principi del contraddittorio e della parità delle armi, che sono propri dei diritti della difesa, anch’essi menzionati. Tuttavia, tali censure non vengono successivamente sviluppate. Orbene, come risulta dall’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso deve contenere l’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti dedotti nonché un’esposizione sommaria di tali motivi. Poiché il ricorso non soddisfa, per quanto riguarda tali censure, i requisiti stabiliti da tale disposizione, le stesse devono essere dichiarate irricevibili.

73      A sostegno di tale parte, il ricorrente deduce, in sostanza, due censure, vertenti sulla violazione, in primo luogo, del suo diritto di essere ascoltato e, in secondo luogo, del diritto a una buona amministrazione garantito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), vista l’assenza di indagine amministrativa e a causa del superamento di un termine ragionevole.

1)      Sulla violazione del diritto di essere ascoltato

74      A sostegno di tale censura, il ricorrente afferma che i primi tre considerando della decisione impugnata contengono un’interpretazione retroattiva dei fatti che non figurava nelle prime tre decisioni di riassegnazione e a proposito della quale non è stato ascoltato. Inoltre, egli non sarebbe stato informato, prima della decisione impugnata, del fatto che l’APN competente avrebbe preso in considerazione scambi intervenuti con i suoi superiori gerarchici nel 2012.

75      Il ricorrente aggiunge che la direttrice generale della DG HR ha rifiutato di organizzare un colloquio con lui, mentre la Commissione aveva affermato dinanzi al Tribunale, nell’ambito della causa T‑308/20, che la decisione impugnata sarebbe stata adottata dopo averlo debitamente ascoltato. Secondo il ricorrente, nel corso di tale colloquio egli avrebbe potuto, per la prima volta, essere ascoltato dall’APN competente sul nesso tra le informazioni da lui comunicate ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto, sensibili e riservate nei confronti degli uffici, e la riassegnazione controversa, richiesta dai suoi precedenti superiori gerarchici presso la delegazione, sottoposta all’indagine dell’OLAF, per mera ritorsione.

76      Orbene, invece di ascoltare il ricorrente nel corso di un colloquio bilaterale, la direttrice generale della DG HR si sarebbe limitata a tener conto degli scambi avvenuti nel 2015 tra il ricorrente e l’amministrazione, in merito agli addebiti dei suoi superiori gerarchici, nell’ambito di un procedimento durante il quale egli non aveva potuto beneficiare delle garanzie accordate dall’articolo 22 bis dello Statuto, in termini di riservatezza, dinanzi a un’APN competente. Il ricorrente non avrebbe potuto beneficiare di tali garanzie neppure nell’ambito degli scambi intercorsi con l’amministrazione immediatamente dopo la revoca della terza decisione di riassegnazione.

77      Infine, il ricorrente ritiene di non poter essere utilmente ascoltato quasi nove anni dopo i fatti contestati.

78      La Commissione sostiene che gli argomenti del ricorrente devono essere respinti.

79      A tal riguardo, è opportuno ricordare che il contenuto del diritto fondamentale di essere ascoltato implica che l’interessato abbia la possibilità di influenzare il processo decisionale di cui trattasi, il che è idoneo a garantire, in particolare, che la decisione costituisca il risultato di un’adeguata ponderazione tra l’interesse del servizio e l’interesse personale della persona in questione (v. sentenza del 13 dicembre 2017, CJ/ECDC, T‑692/16, non pubblicata, EU:T:2017:894, punto 80 e giurisprudenza ivi citata).

80      Nel caso di specie, conformemente alla giurisprudenza, la direttrice generale della DG HR, nella sua qualità di APN, doveva adottare una decisione in esecuzione delle sentenze di annullamento, ricollocandosi alla data in cui la prima decisione di riassegnazione era stata adottata (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2017, CJ/ECDC, T‑692/16, non pubblicata, EU:T:2017:894, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

81      Quando, come nel caso di specie, una decisione può essere adottata solo nel rispetto del diritto di essere ascoltato, l’interessato deve essere messo in condizione di far conoscere utilmente il suo punto di vista in ordine al provvedimento previsto, nell’ambito di uno scambio di vedute, scritto o orale, avviato dall’amministrazione e la cui prova incombe a quest’ultima (v. sentenza del 10 gennaio 2019, RY/Commissione, T‑160/17, EU:T:2019:1, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

82      Occorre osservare che la violazione dei diritti della difesa del ricorrente nell’ambito dell’adozione della prima decisione di riassegnazione è stata accertata dal giudice dell’Unione nella sentenza F‑96/13 nelle circostanze ricordate al precedente punto 6. In particolare, il Tribunale della funzione pubblica ha accertato che, sebbene il ricorrente non potesse ignorare, nel 2012, la percezione negativa del suo comportamento da parte dei suoi colleghi e dei superiori gerarchici, tuttavia la conseguenza prevista dall’APN, ossia la riassegnazione controversa, non era stata esposta anteriormente all’adozione di tale prima decisione, senza che egli potesse, quindi, far valere il suo punto di vista. Peraltro, secondo il giudice dell’Unione, dal fascicolo risultava che i superiori gerarchici del ricorrente avevano mosso addebiti relativi al suo comportamento dopo il 13 novembre 2012, che egli non era stato in grado di contestare.

83      Orbene, la decisione impugnata non è stata adottata nelle medesime condizioni.

84      Infatti, nel corso della riunione del 15 ottobre 2015, menzionata nella decisione impugnata, è stato indicato al ricorrente, in particolare, che gli elementi contenuti in una serie di messaggi di posta elettronica risalenti al periodo compreso tra il 18 settembre e il 13 novembre 2012 potevano giustificare la riassegnazione controversa. Nessun elemento successivo a tale data è stato messo in evidenza dalla Commissione. Come risulta dai verbali dettagliati di tale riunione, il ricorrente ha potuto esprimere il suo punto di vista su tali elementi e spiegare il contesto nel quale i messaggi di posta elettronica erano stati inviati, che includeva i suoi sospetti riguardo all’organizzazione menzionata al precedente punto 6 e le informazioni che aveva comunicato ai superiori gerarchici dal 3 ottobre 2012.

85      Nell’ambito dell’adozione della decisione impugnata, la direttrice generale della DG HR ha preso in considerazione i verbali di tali riunioni, nel corso delle quali il ricorrente aveva fatto valere il suo punto di vista. Per di più, dopo aver annunciato la revoca della terza decisione di riassegnazione, la direttrice generale della DG HR ha invitato il ricorrente, per tre volte, a presentare osservazioni in merito al contesto nel quale la prima e la seconda decisione di riassegnazione erano state adottate e che emergeva, secondo lei, da tali verbali.

86      Alla luce di tali elementi, occorre ritenere che il diritto di essere ascoltato ricordato al precedente punto 79 sia stato rispettato.

87      Gli argomenti del ricorrente non mettono in discussione tale conclusione.

88      In primo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i primi tre considerando della decisione impugnata non contengono una nuova interpretazione retroattiva dei fatti controversi. Infatti, come risulta dall’ultimo considerando di tale decisione, i tre considerando in parola si limitano a riprendere, in sostanza, il contenuto della seconda decisione di riassegnazione descritto al precedente punto 15.

89      In secondo luogo, nella sua lettera del 9 ottobre 2020 la direttrice generale della DG HR ha comunicato al ricorrente i verbali della riunione del 15 ottobre 2015, che menzionano gli scambi di messaggi di posta elettronica intervenuti tra lui e i suoi superiori gerarchici. Risulta, in sostanza, da tale lettera che la direttrice generale della DG HR intendeva prendere in considerazione gli elementi contenuti in tali verbali, rispetto ai quali ha invitato il ricorrente a presentare osservazioni.

90      In terzo luogo, come risulta dall’ordinanza del 25 novembre 2020, PL/Commissione (T‑308/20, non pubblicata, EU:T:2020:571), è certo vero che la Commissione ha precisato dinanzi al Tribunale che intendeva ascoltare il ricorrente dopo la revoca della terza decisione di riassegnazione. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza ricordata al precedente punto 81, il rispetto del diritto di essere ascoltato non esige che l’interessato faccia conoscere il suo punto di vista nel corso di una riunione, potendo le sue osservazioni essere raccolte nell’ambito di uno scambio scritto, come è avvenuto nel caso di specie.

91      In quarto luogo, è vero che, nella sua qualità di informatore, il ricorrente è stato ascoltato nel corso della riunione del 15 ottobre 2015 da un’APN incompetente. Tuttavia, gli elementi discussi nel corso di tale riunione sono stati descritti dettagliatamente in due verbali, uno dei quali è stato redatto dallo stesso ricorrente. Pertanto, tali verbali potevano essere validamente presi in considerazione dalla direttrice generale della DG HR ai fini dell’adozione della decisione impugnata, dopo aver dato al ricorrente la possibilità di fornire elementi supplementari.

92      In quinto luogo, come afferma la Commissione, nulla impediva al ricorrente, in risposta alle tre richieste della direttrice generale della DG HR, di fornire precisazioni sulle irregolarità da lui denunciate quando lavorava all’interno della delegazione. Tali denunce, sotto forma di messaggi di posta elettronica inviati ai suoi superiori gerarchici, erano già state menzionate nel corso della riunione del 15 ottobre 2015 e dinanzi al giudice dell’Unione nell’ambito delle cause F‑96/13 e T‑689/16. Peraltro, il rispetto delle garanzie fatte valere dal ricorrente riguardo alla sua qualità di informatore sarà esaminato in prosieguo, nell’ambito dell’analisi del terzo motivo di ricorso.

93      Infine, anche l’argomento del ricorrente secondo cui egli non poteva essere utilmente ascoltato quasi nove anni dopo i fatti deve essere respinto. Infatti, il ricorrente e la Commissione si sono a lungo confrontati per iscritto, a partire dal 2013, in merito alla riassegnazione controversa, anche dinanzi al giudice dell’Unione. Pertanto, nonostante il tempo trascorso, il ricorrente era in grado di esporre utilmente il suo punto di vista alla direttrice generale della DG HR sulle circostanze in cui la prima decisione di riassegnazione era stata adottata.

94      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre concludere che la censura relativa alla violazione del diritto di essere ascoltato è infondata e deve essere respinta.

2)      Sulla violazione dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta per assenza di indagine amministrativa e a causa del superamento del termine ragionevole

95      In primo luogo, il ricorrente sostiene che, nella decisione impugnata, la direttrice generale della DG HR si è pronunciata nel 2021 sulla sua situazione tra il 1º gennaio 2013 e il 16 gennaio 2015, data della sua riassegnazione alla rappresentanza della Commissione a Londra, senza che il periodo intercorso possa essere ragionevolmente e legittimamente giustificato, in violazione dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta. Il ricorrente aggiunge che le illegittimità che si sono susseguite da parte della Commissione non possono legittimare tale periodo. A suo parere, non era possibile regolarizzare la sua situazione a posteriori e avrebbe dovuto essere risarcito.

96      In secondo luogo, il ricorrente deduce che il principio di buona amministrazione, garantito dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, richiedeva un’analisi minuziosa, effettiva e concreta di tutti gli elementi, condotta in modo diligente, la quale implicava, per la Commissione, di raccogliere tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari all’esercizio del suo potere discrezionale. A suo avviso, il rispetto di tali obblighi imponeva alla direttrice generale della DG HR di condurre un’indagine amministrativa sui fatti, risalenti a nove anni prima, invece di fondare la sua conclusione sui verbali della riunione del 15 ottobre 2015, tenuta da un’APN incompetente, nel corso della quale sarebbero stati evocati taluni scambi incompleti tra il ricorrente e i suoi superiori gerarchici, anteriori al 13 novembre 2012 e svoltisi in violazione delle norme di tutela connesse allo status di informatore.

97      In terzo luogo, il ricorrente afferma, nella replica, che la direttrice generale della DG HR avrebbe dovuto gestire il suo fascicolo da sola, senza l’assistenza dei relativi uffici, e che spettava a lei dimostrare che la riassegnazione controversa non derivava affatto, in modo diretto o indiretto, dai fatti che erano all’origine del riconoscimento della sua qualità di informatore. Il suo superiore gerarchico era una persona interessata dai fatti oggetto dell’indagine dell’OLAF connessa alle informazioni che egli aveva trasmesso in qualità di informatore.

98      La Commissione chiede il rigetto degli argomenti del ricorrente perché irricevibili in quanto tardivi oppure infondati.

99      Occorre esaminare anzitutto le censure seconda e terza del ricorrente, che riguardano il modo in cui la direttrice generale della DG HR ha esaminato la sua situazione, prima di analizzare la prima censura, relativa al superamento del termine ragionevole.

100    Per quanto riguarda la seconda censura del ricorrente, vertente sull’obbligo della direttrice generale della DG HR di condurre un’indagine, occorre ricordare che il diritto dell’Unione richiede che i procedimenti amministrativi si svolgano nel rispetto delle garanzie conferite dal principio di buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta. Tra tali garanzie figura l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare con cura e imparzialità tutti gli elementi rilevanti del caso e di raccogliere tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari all’esercizio del suo potere discrezionale, nonché a garantire il corretto svolgimento e l’efficacia delle procedure da essa attuate (v. sentenza dell’11 luglio 2019, BP/FRA, T‑888/16, non pubblicata, EU:T:2019:493, punto 162 e giurisprudenza ivi citata).

101    Nel caso di specie, anche se i fatti controversi risalgono al 2012, la direttrice generale della DG HR disponeva degli elementi necessari all’esercizio del suo potere discrezionale. In particolare, ella ha preso in considerazione i verbali dettagliati della riunione del 15 ottobre 2015, nel corso della quale la situazione nella delegazione era stata discussa con il ricorrente. Indubbiamente, come indicato al precedente punto 91, tale riunione si è svolta dinanzi a un’APN incompetente. Tuttavia, i verbali menzionano elementi precisi e oggettivi, ripresi nella motivazione della seconda decisione di riassegnazione, sui quali il ricorrente è stato nuovamente invitato a pronunciarsi dalla direttrice generale della DG HR il 9 ottobre 2020. Per di più, anche le constatazioni effettuate dal giudice dell’Unione nella sentenza F‑96/13 hanno contribuito ad accertare i fatti controversi.

102    Pertanto, non si può rimproverare alla direttrice generale della DG HR di non aver condotto alcuna indagine dopo la revoca della terza decisione di riassegnazione.

103    Per quanto riguarda la terza censura del ricorrente, dedotta nella replica, secondo la quale la direttrice generale della DG HR avrebbe dovuto adottare la decisione impugnata senza l’assistenza dei suoi uffici, occorre constatare, senza che sia necessario esaminarne il carattere tardivo, che essa non verte sulla violazione del diritto a una buona amministrazione, bensì su quella delle garanzie di cui lo stesso beneficerebbe nella sua qualità di informatore. Tale censura è, in sostanza, formulata dal ricorrente anche nell’ambito del terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione degli articoli 22 bis e 22 quater dello Statuto, sicché essa sarà esaminata nell’ambito di tale motivo.

104    Per quanto riguarda la prima censura del ricorrente, vertente sul superamento del termine ragionevole nell’ambito dell’adozione della decisione impugnata in violazione dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, occorre ricordare che l’obbligo di osservare un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale del diritto dell’Unione di cui il giudice dell’Unione garantisce il rispetto e che viene ripreso, come componente del diritto a una buona amministrazione, dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta (v. sentenza dell’11 novembre 2020, AV e AW/Parlamento, T‑173/19, non pubblicata, EU:T:2020:535, punto 131 e giurisprudenza ivi citata).

105    Il carattere ragionevole della durata di un procedimento amministrativo si valuta in relazione alle circostanze proprie di ciascun caso e, in particolare, al contesto di quest’ultimo, alle varie fasi procedurali seguite dall’istituzione, al comportamento delle parti nel corso del procedimento, alla complessità nonché all’importanza della controversia per le varie parti interessate (v. sentenza del 14 settembre 2010, AE/Commissione, F‑79/09, EU:F:2010:99, punto 105 e giurisprudenza ivi citata).

106    Nel caso di specie l’adozione della decisione impugnata, relativa alla riassegnazione controversa più di otto anni dopo i fatti contestati, si spiega principalmente con l’annullamento della prima e della seconda decisione di riassegnazione e con la revoca, da parte della Commissione, della terza decisione di riassegnazione.

107    Come indicato dalla Commissione, tra tale revoca e la decisione impugnata sono trascorsi solo quattro mesi.

108    Tuttavia, si tratta solo dell’ultima fase di un procedimento amministrativo che ha dovuto essere ripreso, a causa dell’errore commesso dalla Commissione nella terza decisione di riassegnazione, in esecuzione della sentenza T‑689/16, pronunciata il 13 dicembre 2018.

109    Orbene, il decorso di un periodo di oltre due anni tra la sentenza T‑689/16, la cui esecuzione non era complessa, e la decisione impugnata non è ragionevole.

110    Lo stesso vale per il periodo di oltre otto anni trascorso tra i fatti contestati e la decisione impugnata, adottata il 16 febbraio 2021 con effetto retroattivo al 1º gennaio 2013.

111    Indubbiamente, tale periodo è in parte imputabile alle interruzioni dovute al controllo giurisdizionale e ai numerosi scambi tra il ricorrente e la Commissione nell’ambito dell’esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16.

112    Tuttavia, la Commissione ha riconosciuto in udienza che la revoca della terza decisione di riassegnazione adottata in esecuzione della sentenza T‑689/16 aveva contribuito a ritardare l’esito del procedimento amministrativo. Orbene, a causa degli errori commessi in successione dalla Commissione e accertati nelle sentenze F‑96/13 e T‑689/16, tale procedimento era già lungo.

113    Pertanto, la decisione impugnata non è stata adottata entro un termine ragionevole.

114    Ciò posto, occorre ricordare che la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole non giustifica, in linea di massima, l’annullamento della decisione adottata in esito a un procedimento amministrativo. Infatti, solo qualora l’eccessivo decorso di tempo possa avere influenza sul contenuto stesso della decisione adottata in esito al procedimento amministrativo, il mancato rispetto del principio del termine ragionevole pregiudica la validità del procedimento amministrativo (v. sentenza del 17 maggio 2018, Commissione/AV, T‑701/16 P, EU:T:2018:276, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). In caso contrario, l’annullamento di tale decisione avrebbe come principale conseguenza pratica l’effetto perverso di prolungare ulteriormente il procedimento per il motivo che quest’ultimo è stato troppo lungo (v., in tal senso, sentenza del 2 ottobre 2013, Nardone/Commissione, F‑111/12, EU:F:2013:140, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

115    Nel caso di specie, contrariamente a quanto indicato dal ricorrente, l’eccessivo decorso di tempo non ha inciso sul contenuto stesso della decisione impugnata.

116    Infatti, come dichiarato al precedente punto 93, il periodo tra i fatti contestati e la data di adozione della decisione impugnata non ha impedito al ricorrente di esporre alla direttrice generale della DG HR il suo punto di vista sulla riassegnazione controversa. Parimenti, come indicato al precedente punto 101, nonostante il decorso del tempo, la direttrice generale della DG HR disponeva di tutti gli elementi necessari per prendere la sua decisione.

117    Pertanto, la violazione del termine ragionevole garantito dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta non giustifica l’annullamento della decisione impugnata.

118    Di conseguenza, la prima parte dedotta a sostegno del secondo motivo di ricorso deve essere respinta.

b)      Sulle parti seconda e terza del secondo motivo di ricorso, relative allesecuzione delle sentenze F96/13 e T689/16

119    La seconda parte dedotta a sostegno del secondo motivo di ricorso è intitolata «Fatti giurisprudenziali non contestati, ammissione del mancato rispetto dello scopo procedurale e dello sviamento di procedura, inosservanza del dovere di sollecitudine e della tutela spettante all’informatore».

120    La terza parte verte sulla «violazione dei principi e delle regole relativi alla retroattività e alla certezza del diritto[, sulla] violazione dei principi di imparzialità (oggettiva e soggettiva)[, sull’]intenzione di adottare una decisione di pari tenore e portata, basata sugli stessi motivi, anziché indennizzare la perdita dell’opportunità di vedere rispettati i suoi diritti procedurali tempestivamente e in modo effettivo».

121    Nell’ambito di queste due parti, che il Tribunale esaminerà congiuntamente, il ricorrente fa una serie di constatazioni e lamenta diverse violazioni riguardanti il modo in cui le sentenze F‑96/13 e T‑689/16 sono state eseguite dalla Commissione.

122    Gli argomenti dedotti a sostegno delle due parti sono ripetitivi e, salvo eccezioni, non sono specificamente collegati alle violazioni invocate nei titoli delle parti. Tuttavia, è possibile individuare due serie di argomenti.

123    La prima serie di argomenti dedotti dal ricorrente può essere collegata allo sviamento di procedura, all’inosservanza del dovere di sollecitudine e alla violazione del principio di imparzialità.

124    La seconda serie di argomenti è dedotta a supporto della violazione del principio di irretroattività, dell’articolo 266 TFUE e della tutela spettante all’informatore.

125    Occorre esaminare anzitutto questa seconda serie di argomenti.

1)      Sulla violazione dei principi di irretroattività e di certezza del diritto, dell’articolo 266 TFUE e della tutela spettante all’informatore nell’ambito dell’esecuzione delle sentenze F96/13 e T689/16

126    Il ricorrente afferma, in sostanza, che la Commissione non ha spiegato le ragioni per le quali, adottando la decisione impugnata, ha derogato al principio di irretroattività, benché non fosse più possibile, per essa, occuparsi di una situazione così risalente e definitivamente conclusa, tanto più nel rispetto della tutela delle garanzie procedurali connesse alla sua qualità di informatore. L’esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 implicava, quindi, la rinuncia alla riassegnazione controversa e il risarcimento del ricorrente.

127    La Commissione contesta gli argomenti del ricorrente in quanto irricevibili oppure infondati.

128    A tal riguardo, occorre ricordare la giurisprudenza costante secondo la quale, per conformarsi a una sentenza di annullamento e dare a essa piena esecuzione, l’istituzione è tenuta a rispettare non solo il dispositivo della sentenza, ma anche la motivazione che ha condotto a esso e ne costituisce il sostegno necessario, nel senso che è indispensabile per determinare il significato esatto di quanto è stato dichiarato nel dispositivo. È, infatti, questa motivazione che, da un lato, identifica la disposizione esatta considerata illegittima e, dall’altro, evidenzia le ragioni esatte dell’illegittimità accertata nel dispositivo e che l’istituzione interessata deve prendere in considerazione nel sostituire l’atto annullato. Per di più, l’articolo 266 TFUE impone all’istituzione interessata di evitare che qualsiasi atto destinato a sostituire l’atto annullato sia viziato dalle medesime irregolarità individuate nella sentenza di annullamento. Tali principi si applicano a maggior ragione quando la sentenza di annullamento di cui trattasi ha acquisito l’autorità di giudicato (v. sentenza del 10 novembre 2010, UAMI/Simões Dos Santos, T‑260/09 P, EU:T:2010:461, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

129    Per conformarsi all’obbligo posto a suo carico dall’articolo 266 TFUE, l’istituzione deve adottare provvedimenti concreti che possano eliminare l’illegittimità commessa nei confronti della persona interessata. Pertanto, secondo la giurisprudenza, essa non può eccepire, per sottrarsi a tale obbligo, difficoltà pratiche che potrebbe comportare il ripristino del ricorrente nella situazione giuridica in cui si trovava prima dell’adozione dell’atto annullato (v. sentenza dell’8 dicembre 2014, Cwik/Commissione, F‑4/13, EU:F:2014:263, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

130    Solo in via subordinata, qualora l’esecuzione di una sentenza di annullamento si scontri con ostacoli particolarmente rilevanti, l’istituzione interessata può adempiere i suoi obblighi adottando una decisione atta a compensare equamente lo svantaggio derivante all’interessato dalla decisione annullata. In tale contesto, l’amministrazione può instaurare un dialogo con lo stesso, al fine di giungere a un accordo che gli offra un’equa compensazione per l’illegittimità di cui è stato vittima (v. sentenza dell’8 dicembre 2014, Cwik/Commissione, F‑4/13, EU:F:2014:263, punto 80 e giurisprudenza ivi citata).

131    Infine, dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 80 si evince che l’annullamento di una decisione ha un effetto retroattivo che impone all’autorità di adottare una decisione ricollocandosi alla data in cui la decisione annullata è stata adottata. Occorre, tuttavia, distinguere tale questione da quella della natura retroattiva della nuova decisione adottata dall’amministrazione al fine di sostituire l’atto annullato. Infatti, secondo la giurisprudenza, il principio della certezza delle situazioni giuridiche, il quale costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, osta, in linea di massima, a che l’efficacia nel tempo di un atto decorra da una data anteriore alla sua pubblicazione. Secondo una giurisprudenza costante, può tuttavia essere diversamente stabilito, a titolo eccezionale, quando lo richieda lo scopo da raggiungere e fatto salvo il legittimo affidamento degli interessati (v. sentenza del 5 settembre 2014, Éditions Odile Jacob/Commissione, T‑471/11, EU:T:2014:739, punto 102 e giurisprudenza ivi citata). Tale affidamento sorge quando l’amministrazione fornisce all’interessato assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate e affidabili, che fanno nascere nei suoi confronti aspettative fondate. Inoltre, tali assicurazioni devono essere conformi alle disposizioni dello Statuto e alle norme applicabili in generale (v. sentenza del 7 novembre 2013, Cortivo/Parlamento, F‑52/12, EU:F:2013:173, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

132    Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 266 TFUE è sufficientemente spiegato nel ricorso, nel rispetto degli obblighi imposti dall’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura. Detta censura è, quindi, ricevibile.

133    Conformemente ai principi ricordati ai precedenti punti 128 e 129, la Commissione doveva dare esecuzione alle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 nel rispetto non solo dei loro dispositivi, ma anche delle motivazioni che avevano condotto a questi ultimi e che ne costituivano il sostegno necessario, eliminando l’illegittimità commessa nei confronti del ricorrente ed evitando che la nuova decisione fosse viziata dalle medesime irregolarità individuate in tali sentenze.

134    Orbene, nella sentenza F‑96/13 il giudice dell’Unione ha accertato unicamente la violazione dei diritti della difesa del ricorrente nelle circostanze ricordate al precedente punto 82, il che ha condotto all’annullamento della prima decisione di riassegnazione. Per quanto riguarda la sentenza T‑689/16, il giudice dell’Unione ha soltanto affermato l’incompetenza della capo dell’unità DG HR.B4 ad adottare la seconda decisione di riassegnazione.

135    L’esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 imponeva, quindi, alla direttrice generale della DG HR, nella sua qualità di APN competente, di esaminare la situazione del ricorrente alla data di adozione della prima decisione di riassegnazione, dandogli la possibilità di esprimersi sulle asserite tensioni e sulle conseguenze che ella intendeva trarne in qualità di APN competente, ossia la riassegnazione controversa con effetto retroattivo al 1º gennaio 2013.

136    Dopo aver ascoltato il ricorrente, la direttrice generale della DG HR ha confermato che le tensioni vissute all’interno della delegazione avevano generato una situazione relazionale sempre più insostenibile e che la riassegnazione controversa era giustificata. Pertanto, a suo avviso, si imponevano la conferma della prima decisione di riassegnazione e la regolarizzazione della situazione amministrativa del ricorrente. Tale obiettivo richiedeva che la decisione impugnata avesse effetto retroattivo, conformemente alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 131.

137    Contrariamente a quanto suggerisce il ricorrente, senza avanzare argomenti precisi a tal fine, il principio di certezza del diritto non è stato violato da tale effetto retroattivo, poiché né il giudice dell’Unione né l’amministrazione hanno mai messo in discussione la fondatezza della riassegnazione controversa dal 2012, né hanno, a fortiori, fornito al ricorrente assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, idonee a far sorgere un legittimo affidamento, conformemente alla giurisprudenza menzionata al precedente punto 131.

138    Pertanto, la decisione impugnata poteva avere effetto retroattivo nel rispetto dei criteri ricordati al precedente punto 131.

139    Per di più, occorre sottolineare che l’esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 non si scontrava con ostacoli particolarmente rilevanti, ai sensi della giurisprudenza menzionata al precedente punto 130. Infatti, come indicato ai precedenti punti 93 e 101, il decorso del tempo non ha impedito al ricorrente di esercitare pienamente il suo diritto di essere ascoltato dalla direttrice generale della DG HR, né a quest’ultima di avere tutti gli elementi di contesto per pronunciarsi sui fatti controversi, sicché la Commissione poteva porre rimedio alle illegittimità individuate in tali sentenze adottando una nuova decisione e non era tenuta a compensare equamente il ricorrente. Pertanto, la decisione impugnata è stata adottata nel rispetto dell’articolo 266 TFUE.

140    Infine, il ricorrente non spiega le ragioni per le quali il fatto di dover esaminare una situazione così risalente in esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 non garantirebbe il rispetto della tutela delle garanzie procedurali connesse alla sua qualità di informatore.

141    Su tale base, occorre respingere la seconda serie di argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno delle parti seconda e terza del secondo motivo di ricorso.

2)      Sullo sviamento di procedura, sull’inosservanza del dovere di sollecitudine e sulla violazione del principio di imparzialità

142    A sostegno della prima serie di argomenti individuata al precedente punto 123, connessi allo sviamento di procedura, all’inosservanza del dovere di sollecitudine e alla violazione del principio di imparzialità, il ricorrente rileva che, in esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16, la Commissione non ha mai avuto la minima intenzione di rivedere la sua posizione in merito alla riassegnazione controversa.

143    Secondo il ricorrente, il senso della decisione impugnata era annunciato sin dall’inizio negli scambi che l’hanno preceduta. Di fronte a un fatto compiuto, la direttrice generale della DG HR si sarebbe limitata ad adottare la medesima decisione con effetto retroattivo, formalizzando una riassegnazione che sarebbe illegittima dal 1º gennaio 2013. Ciò sarebbe dimostrato dalla necessità di «regolarizzare» la situazione amministrativa del ricorrente, menzionata nella decisione impugnata, dal fatto che la prima decisione di riassegnazione aveva dovuto essere formalizzata dopo la sua adozione in data 20 novembre 2012, nonché dall’affermazione della Commissione dinanzi al giudice dell’Unione nella causa T‑689/16, secondo la quale era «poco probabile» che la direttrice generale della DG HR adottasse nel 2015 una decisione diversa rispetto alla decisione adottata dalla capo dell’unità DG HR.B4. Il ricorrente ritiene che la ricercata retroattività abbia influenzato la portata dell’atto e non viceversa. La Commissione non si sarebbe concretamente preoccupata dello scopo perseguito dalle «fasi procedurali imposte» nelle sentenze F‑96/13 e T‑689/16, consistente in particolare nel consentire al ricorrente di avere una reale possibilità di influenzare l’APN nell’ambito di un’analisi obiettiva e imparziale. Nel caso di specie, il ricorrente sarebbe stato ascoltato per pura forma.

144    A tal riguardo, occorre anzitutto osservare che il ricorrente deduce, in sostanza, gli stessi argomenti a sostegno di tutte le asserite violazioni, benché le nozioni di «imparzialità», di «sviamento di procedura» e di «dovere di sollecitudine» abbiano una portata ben precisa.

145    Il requisito di imparzialità include, da un lato, l’imparzialità soggettiva, nel senso che nessun membro dell’istituzione interessata che è incaricata del caso deve manifestare opinioni preconcette o pregiudizi personali, ossia un’imparzialità personale che si presume fino a prova contraria, e, dall’altro, l’imparzialità oggettiva, nel senso che l’istituzione è tenuta a offrire garanzie sufficienti per escludere qualsiasi legittimo dubbio a tal riguardo (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2021, PL/Commissione, T‑586/19, non pubblicata, EU:T:2021:370, punti 107 e 110 nonché giurisprudenza ivi citata).

146    La nozione di «sviamento di potere» fa riferimento all’uso, da parte di un’autorità amministrativa, dei suoi poteri per uno scopo diverso da quello in vista del quale essi sono stati attribuiti. Una decisione è viziata da sviamento di potere solo se, in base a indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottata per raggiungere fini diversi da quelli addotti a giustificazione (v. sentenza del 19 giugno 2013, BY/AESA, F‑81/11, EU:F:2013:82, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

147    Infine, il dovere di sollecitudine dell’amministrazione nei confronti dei suoi dipendenti rispecchia l’equilibrio dei diritti e degli obblighi reciproci creati dallo Statuto nei rapporti tra l’autorità pubblica e i dipendenti del servizio pubblico. Tale dovere, così come il principio di buona amministrazione, implicano in particolare che, quando si pronuncia sulla situazione di un funzionario, l’autorità competente prenda in considerazione l’insieme degli elementi che possono determinare la sua decisione e che, così facendo, essa tenga conto non soltanto dell’interesse del servizio, ma anche di quello del funzionario interessato (v. sentenza del 25 giugno 2003, Pyres/Commissione, T‑72/01, EU:T:2003:176, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

148    Gli argomenti del ricorrente devono essere esaminati alla luce di tali principi.

149    In primo luogo, non si può rimproverare alla direttrice generale della DG HR di aver esposto al ricorrente, nell’ambito degli scambi ricordati ai precedenti punti da 19 a 24, il senso della decisione che intendeva adottare. Infatti, la mancata comunicazione di tale informazione da parte dell’amministrazione anteriormente all’adozione della prima decisione di riassegnazione ha giustificato il suo annullamento da parte del giudice dell’Unione nella sentenza F‑96/13, a causa della violazione dei diritti della difesa del ricorrente.

150    In secondo luogo, neppure l’impiego del termine «regolarizzazione» nella decisione impugnata denota opinioni preconcette o pregiudizi personali da parte della direttrice generale della DG HR, né l’esistenza di uno sviamento di procedura. Infatti, le illegittimità relative alla prima e alla seconda decisione di riassegnazione, accertate dal giudice dell’Unione nelle sentenze F‑96/13 e T‑689/16, non riguardavano la fondatezza della riassegnazione controversa, bensì le condizioni di adozione di tali decisioni. Sebbene in tali cause il giudice dell’Unione non abbia escluso l’adozione di una decisione diversa in esecuzione delle sue sentenze, quest’ultima implicava di porre rimedio alle illegittimità accertate, conformemente alla giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 128 e 129.

151    In terzo luogo, le condizioni di adozione della prima decisione di riassegnazione, che sono state giudicate irregolari nella sentenza F‑96/13, non incidono su quelle della decisione impugnata. Quest’ultima è stata adottata, d’altronde, allo scopo di porre rimedio alle irregolarità constatate.

152    In quarto luogo, l’affermazione della Commissione nell’ambito della causa T‑689/16 che era poco probabile che la direttrice generale della DG HR adottasse nel 2015 una decisione diversa da quella adottata dalla capo dell’unità DG HR.B4 costituisce solo una presa di posizione del suo servizio giuridico nell’ambito del contenzioso dinanzi al Tribunale, che non esclude, peraltro, un risultato diverso.

153    Infine, per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo cui egli sarebbe stato ascoltato dalla direttrice generale della DG HR solo per pura forma, esso non si basa su alcun dato obiettivo.

154    Al contrario, occorre constatare che, come rilevato al precedente punto 85, il ricorrente è stato invitato tre volte a presentare le sue osservazioni sull’intenzione della direttrice generale della DG HR di regolarizzare la sua situazione amministrativa, confermando la riassegnazione controversa.

155    La prima serie di argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno delle parti seconda e terza non è, quindi, fondata.

156    Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.

4.      Sul terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 2bis dello Statuto, del dovere di assistenza e di sollecitudine, dellarticolo 22 quater dello Statuto, dei doveri di diligenza, neutralità, imparzialità e obiettività, del diritto allequo trattamento del caso del ricorrente e delle sue legittime aspettative, nonché sullo sviamento di procedura

157    Tale motivo di ricorso è suddiviso in quattro parti, la prima vertente sulla violazione dell’articolo 22 quater dello Statuto, la seconda relativa alla violazione del dovere di sollecitudine, la terza vertente sulla violazione dei principi di obiettività, imparzialità e neutralità dell’APN competente, nonché sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione, e la quarta relativa alla violazione delle norme in materia di onere della prova stabilite negli orientamenti relativi all’allerta professionale.

158    In via preliminare, occorre osservare, al pari della Commissione, che, sebbene la violazione del dovere di assistenza sia invocata nel titolo del presente motivo, nel ricorso non viene presentata alcuna argomentazione a suo sostegno. Tale censura non soddisfa, quindi, i requisiti imposti dall’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura e deve, pertanto, essere dichiarata irricevibile. Lo stesso vale per quanto riguarda la censura relativa alla violazione delle legittime aspettative del ricorrente. Quest’ultima è menzionata nel titolo del motivo, ma non è sviluppata in modo sufficientemente chiaro nel ricorso.

159    Ciò precisato, occorre analizzare anzitutto le parti prima e quarta dedotte dal ricorrente a sostegno del terzo motivo di ricorso, prima di esaminare le altre due parti.

a)      Sulla prima parte del terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 22 quater dello Statuto

160    Il ricorrente afferma che l’articolo 22 quater dello Statuto impone alla Commissione di adottare norme in materia di gestione riservata dei reclami presentati da una persona avente la qualità di informatore, qualora la stessa si ritenga vittima di atti di ritorsione. Secondo il ricorrente, tali norme dovrebbero riguardare i tre aspetti menzionati dall’articolo 22 quater, secondo comma, di detto Statuto. Orbene, non esisterebbe alcuna norma relativa a questi tre aspetti. Le sole norme che sarebbero state adottate dalla Commissione sulla base dell’articolo 22 quater dello Statuto riguarderebbero i termini di trattamento, l’onere della prova e la competenza della direttrice generale, e non degli uffici, a statuire in qualità di APN.

161    Il ricorrente aggiunge che il trattamento specifico delle domande degli informatori, garantito dall’articolo 22 quater dello Statuto, richiede che l’APN competente agisca da sola, senza l’aiuto degli uffici, e che l’informatore sia tutelato, evitando che lo stesso sia soggetto alle stesse norme degli altri funzionari o agenti, dovendo sistematicamente divulgare la sua condizione di informatore e la giustificazione di quest’ultima.

162    La Commissione contesta gli argomenti del ricorrente.

163    In via preliminare, occorre osservare che non è contestato che l’articolo 22 quater dello Statuto doveva essere rispettato nell’ambito dell’adozione della decisione impugnata.

164    L’articolo 22 quater dello Statuto prevede quanto segue:

«Ai sensi degli articoli 24 e 90, ogni istituzione pone in essere una procedura per la gestione dei reclami dei funzionari concernenti il trattamento da essi ricevuto a seguito o in conseguenza dell’adempimento dei propri doveri ai sensi dell’articolo 22 bis o 22 ter. L’istituzione interessata garantisce che tali reclami siano trattati in modo confidenziale e, ove giustificato dalle circostanze, prima dello scadere dei termini di cui all’articolo 90.

L’autorità che ha il potere di nomina di ciascuna istituzione stabilisce norme interne concernenti fra l’altro:

–        la comunicazione ai funzionari di cui all’articolo 22 bis, paragrafo 1, o all’articolo 22 ter di informazioni sul trattamento dato alle loro segnalazioni,

–        la tutela degli interessi legittimi di tali funzionari e della loro sfera privata, e

–        la procedura per la gestione dei reclami di cui al primo comma del presente articolo».

165    L’articolo 22 quater dello Statuto è stato introdotto dal regolamento (UE, Euratom) n. 1023/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che modifica lo statuto dei funzionari dell’Unione europea e il regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea (GU 2013, L 287, pag. 15), allo scopo di imporre alle APN di ciascuna istituzione l’obbligo di stabilire norme interne volte a concedere garanzie agli informatori, compresa una procedura per la gestione dei reclami riguardante il modo in cui gli stessi sono stati trattati dopo o per aver adempiuto ai loro obblighi ai sensi degli articoli 22 bis e 22 ter dello Statuto.

166    Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’articolo 22 quater, secondo comma, dello Statuto non richiede che tutte le norme applicabili agli informatori, compreso quando presentano reclami, siano previste in un unico atto.

167    Per quanto riguarda la Commissione, talune garanzie stabilite dall’articolo 22 quater dello Statuto erano già previste prima dell’entrata in vigore di tale disposizione nell’ambito degli orientamenti relativi all’allerta professionale.

168    In tali orientamenti sono menzionate diverse misure di tutela degli informatori, tra cui figura la riservatezza relativa all’identità dell’informatore, che la Commissione si impegna a rispettare. In forza di tale norma, il suo nome non viene reso noto alle persone potenzialmente implicate negli atti censurabili né a chiunque non abbia strettamente bisogno di conoscerlo, a meno che l’informatore non autorizzi personalmente la divulgazione della sua identità o si tratti di un requisito nell’ambito dei procedimenti penali che potrebbero conseguire a tali atti. Le norme che disciplinano l’onere della prova, menzionate al precedente punto 57 e di cui si avvale il ricorrente, sono parimenti previste quale misura di tutela degli informatori. Per di più, viene precisato che, affinché la Commissione sia in grado di adottare misure di tutela, il membro del personale interessato deve rendersi noto presso l’istituzione come informatore.

169    La decisione APN/AACC della Commissione, richiamata al precedente punto 63, prevede altresì norme specifiche riguardanti le decisioni di riassegnazione di un funzionario che abbia denunciato irregolarità conformemente alle procedure previste a tal riguardo. Come risulta dai punti 47 e 48 della sentenza T‑689/16, simili decisioni possono essere adottate solo dalla direttrice generale della DG HR, senza delega. Come indicato al precedente punto 63, la decisione APN/AACC della Commissione stabilisce altresì la competenza del membro della Commissione incaricato della DG HR a statuire sui reclami presentati da tale funzionario contro la decisione di riassegnazione.

170    Tali norme sono integrate dall’Informazione amministrativa n. 79-2013 menzionata al precedente punto 37. Quest’ultima conferisce all’unità DG HR.D 2 (ora denominata DG HR.E2) la competenza a gestire tutte le domande e tutti i reclami, compresi quelli presentati da informatori, affinché l’APN competente prenda una decisione. Tale comunicazione prevede che i reclami presentati in base all’articolo 22 quater dello Statuto devono ricevere, se le circostanze lo giustificano, una risposta motivata entro termini inferiori a quelli previsti dall’articolo 90 dello Statuto. Viene altresì previsto che i reclami relativi ad argomenti sensibili non siano discussi durante le consultazioni inter-servizi.

171    Tali norme sono ulteriormente integrate da quelle contenute nella dichiarazione di riservatezza riguardante la protezione dei dati personali, richiamata al precedente punto 35. Conformemente a tale dichiarazione, che fa parimenti riferimento all’articolo 22 quater dello Statuto, l’accesso ai dati personali contenuti nel reclamo è concesso solo al personale autorizzato che ne abbia strettamente bisogno. Sono istituiti meccanismi di protezione dei dati personali, come l’accesso limitato all’hard disk dell’unità DG HR.E2 all’interno della DG «Risorse umane e sicurezza». Per di più, si ricorda che i membri di tale unità sono tenuti a rispettare il dovere di riservatezza e di discrezione.

172    Infine, occorre rilevare che il reclamo di un informatore può essere proposto, come è avvenuto nel caso di specie, mediante un modulo di presentazione che si riferisce all’articolo 22 quater dello Statuto. Il riferimento a tale disposizione nel modulo di reclamo consente all’unità DG HR.E2 di identificare, sin dal suo deposito, il suo carattere sensibile e di assicurare il rispetto delle misure di tutela nei confronti degli informatori, ricordate ai precedenti punti da 165 a 171.

173    Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Commissione ha adottato norme specifiche riguardanti la gestione dei reclami degli informatori, conformemente all’articolo 22 quater dello Statuto.

174    Per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo cui sarebbe stato necessario che l’APN competente agisse senza l’aiuto degli uffici, un requisito del genere non è imposto né dall’articolo 22 quater dello Statuto né da alcuna delle norme interne menzionate ai precedenti punti da 167 a 172. Per di più, la riservatezza relativa all’identità dell’informatore è sufficientemente tutelata da tali norme.

175    Infine, per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo cui la tutela conferita alle persone che hanno denunciato irregolarità mirerebbe a evitare che esse si vedano obbligate a divulgare sistematicamente il loro status di informatori e la giustificazione di quest’ultimo a chiunque sia incaricato dei reclami, le norme ricordate ai precedenti punti da 168 a 172 non esigono che tali persone descrivano nei dettagli le irregolarità denunciate nei loro reclami. Per contro, come indicato negli orientamenti relativi all’allerta professionale, tali persone devono rendersi note all’istituzione quali informatori, affinché gli uffici possano garantire le misure di tutela previste dalle norme adottate conformemente all’articolo 22 quater dello Statuto.

176    Alla luce di tali considerazioni, la prima parte del terzo motivo di ricorso deve essere respinta.

b)      Sulla quarta parte del terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione delle norme in materia di onere della prova stabilite negli orientamenti relativi allallerta professionale

177    Il ricorrente sostiene che, conformemente al punto 3 degli orientamenti relativi all’allerta professionale, incombe a chi adotta una misura sfavorevole nei confronti dell’informatore l’onere di provare che non esiste alcun nesso tra le informazioni trasmesse in forza degli obblighi di cui all’articolo 22 bis dello Statuto e tale misura. Orbene, volendo regolarizzare un periodo trascorso, la Commissione non avrebbe mai cercato di proteggere il ricorrente contro la riassegnazione controversa, benché essa fosse altamente pregiudizievole.

178    La Commissione chiede il rigetto degli argomenti del ricorrente in quanto irricevibili oppure infondati.

179    In via preliminare, occorre osservare che il ricorrente non ha affermato l’esistenza di un errore manifesto di valutazione al fine di contestare la constatazione, nella decisione impugnata, dell’esistenza di difficoltà relazionali interne nell’ambito della delegazione.

180    Il ricorrente sostiene, per contro, che le norme riguardanti l’onere della prova stabilite negli orientamenti relativi all’allerta professionale sono state violate a causa del fatto che la direttrice generale della DG HR non ha dimostrato l’assenza di nesso tra la riassegnazione controversa e le sue denunce.

181    Occorre evidenziare che la Commissione non contesta che le norme che disciplinano l’onere della prova previste al punto 3 degli orientamenti relativi all’allerta professionale, menzionate al precedente punto 57, trovassero applicazione nel caso di specie.

182    Il punto 3 degli orientamenti relativi all’allerta professionale prevede quanto segue:

«Ogni membro del personale che segnala gravi irregolarità sarà protetto contro gli atti di ritorsione, a condizione che agisca in buona fede e nel rispetto delle disposizioni dei presenti orientamenti. Per quanto riguarda l’onere della prova, spetterà a chi adotta una misura sfavorevole nei confronti dell’informatore dimostrare che tale misura è stata motivata da ragioni diverse dalla notifica di irregolarità».

183    Si deve, quindi, esaminare se la direttrice generale della DG HR abbia sufficientemente dimostrato che la riassegnazione controversa era stata motivata da ragioni diverse dalla denuncia di irregolarità da parte del ricorrente.

184    Nella decisione impugnata, come integrata dalla decisione di rigetto parziale del reclamo, la riassegnazione controversa viene motivata sulla base delle difficoltà relazionali interne, che emergevano da diversi messaggi di posta elettronica risalenti al periodo compreso tra il 18 settembre e il 13 novembre 2012. In risposta al reclamo, viene indicato che la riassegnazione controversa non era motivata dalle denunce formulate dal ricorrente nel 2012. Inoltre, vengono menzionati i problemi interpersonali tra il ricorrente e i suoi colleghi.

185    A tal riguardo, occorre constatare che, sebbene la denuncia del ricorrente del 3 ottobre 2012 possa aver reso più difficili i rapporti tra quest’ultimo, i suoi superiori gerarchici e i suoi colleghi, a essere in gioco nel caso di specie erano problemi interpersonali e di atteggiamento all’interno della delegazione che precedevano tale denuncia e che potevano giustificare la riassegnazione controversa, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai precedenti punti 52 e 53.

186    Come indicato dalla Commissione, tali problemi vengono evidenziati, in particolare, nel messaggio di posta elettronica inviato dal capo della delegazione al ricorrente il 18 settembre 2012 e menzionato nel corso della riunione del 15 ottobre 2015 (v. punto 12 supra).

187    In tale messaggio di posta elettronica, il capo della delegazione ha comunicato al ricorrente che si trattava della seconda volta in un breve lasso di tempo che chiedeva scuse ai suoi colleghi. Il capo della delegazione si è chiesto per quale motivo tali colleghi formulassero determinati commenti e ha ricordato al ricorrente che il rispetto era una strada a doppio senso, sottintendendo che egli non era esente da critiche a questo proposito. Peraltro, egli ha preso le difese della persona alla quale il ricorrente chiedeva scuse. Pertanto, sebbene il contesto al quale fa riferimento il messaggio di posta elettronica non sia identificabile in base alla sola lettura di quest’ultimo, lo stesso consente di individuare l’esistenza di problemi interpersonali che riguardavano la delegazione e che precedevano la denuncia.

188    Parimenti, nel messaggio di posta elettronica del 12 novembre 2012 inviato al ricorrente, anch’esso menzionato nel corso della riunione del 15 ottobre 2015 (v. punto 12 supra), il capo della delegazione ha evocato problemi di comunicazione nonché le denunce di diversi colleghi, secondo le quali il ricorrente aveva adottato un atteggiamento verbale e non verbale inadeguato. In tale messaggio di posta elettronica il capo della delegazione ha altresì chiesto al ricorrente di cambiare immediatamente il suo atteggiamento, il suo comportamento e la sua modalità di comunicazione.

189    Da tali messaggi di posta elettronica emerge che gli incidenti erano legati all’atteggiamento del ricorrente e non erano isolati e che egli era stato più volte avvertito di tali difficoltà relazionali.

190    Basandosi su tali elementi, la Commissione ha assolto l’onere della prova a essa incombente in forza delle norme ricordate ai precedenti punti 181 e 182, dimostrando che la riassegnazione controversa era stata motivata da ragioni diverse dalla notifica di disfunzioni effettuata dal ricorrente ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto.

191    La quarta parte del terzo motivo di ricorso non è, quindi, fondata e deve essere respinta.

c)      Sulla seconda parte del terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione del dovere di sollecitudine

192    Il ricorrente afferma che solo l’interesse del servizio è stato preso in considerazione nell’ambito della sua riassegnazione a una serie di posti in soprannumero, creati per lui dal 2013, mentre si sarebbe dovuto tener conto anche del suo interesse personale e del suo status di informatore, dopo averlo ascoltato in merito allo scopo di garantirgli la migliore tutela.

193    La Commissione contesta gli argomenti del ricorrente.

194    Occorre ricordare che la violazione del dovere di sollecitudine è stata invocata dal ricorrente anche nella seconda parte del secondo motivo di ricorso, connessa a un asserito sviamento di potere e alla violazione del principio di imparzialità. A sostegno di tali censure, che sono state respinte (v. punti da 142 a 155 supra), il ricorrente ha rilevato che, in esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16, la Commissione non aveva mai avuto la minima intenzione di rivedere la sua posizione in merito alla riassegnazione controversa.

195    Nell’ambito della presente parte, il ricorrente lamenta una violazione del dovere di sollecitudine ad altro titolo, in relazione alla mancata presa in considerazione del suo interesse personale.

196    A questo proposito, occorre ricordare che sebbene, in forza del dovere di sollecitudine, l’autorità competente debba, nel valutare l’interesse del servizio, tener conto dell’insieme degli elementi che possono determinare la sua decisione, e in particolare dell’interesse dell’agente di cui trattasi, la considerazione dell’interesse personale del funzionario non può, tuttavia, giungere fino al punto di vietare all’APN di riassegnare un funzionario contro la sua volontà, se ciò è nell’interesse del servizio (v. sentenza del 28 ottobre 2004, Meister/UAMI, T‑76/03, EU:T:2004:319, punto 192 e giurisprudenza ivi citata).

197    Come risulta dall’analisi della prima parte del secondo motivo di ricorso, il ricorrente è stato più volte messo in condizione di esporre il suo punto di vista sulla riassegnazione controversa. Quest’ultima non ha impedito la sua promozione al grado AD 12 nell’ambito dell’esercizio di promozione 2013. Per quanto riguarda l’interesse del servizio, il ricorrente non contesta le difficoltà relazionali dedotte dalla Commissione.

198    Alla luce di tali constatazioni, occorre respingere la seconda parte del terzo motivo di ricorso.

d)      Sulla terza parte, vertente sulla violazione dei principi di obiettività, imparzialità e neutralità dellAPN competente, nonché sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione

199    Il ricorrente afferma che l’amministrazione ha riconosciuto di aver agito unicamente per correggere le illegittimità che si sono susseguite, senza avere come obiettivo la tutela che gli era dovuta in ragione del suo status di informatore, in violazione del dovere di neutralità, imparzialità e obiettività.

200    Il ricorrente aggiunge che il Comdel avrebbe dovuto essere consultato dall’APN competente. Se tale comitato fosse stato informato sin dal 2012 dell’erronea motivazione a sostegno della riassegnazione controversa e della qualità di informatore del ricorrente, nonché dei suoi sospetti di corruzione connessi all’organizzazione menzionata al precedente punto 6, sarebbe stata verosimilmente adottata un’altra decisione. Infatti, la DG «Bilancio» è membro di tale comitato e i suoi uffici sono quelli che avevano formalmente proposto un avvertimento contro tale organizzazione internazionale.

201    La Commissione chiede il rigetto degli argomenti del ricorrente in quanto irricevibili oppure infondati.

202    Per quanto riguarda le censure relative alla violazione dei doveri di neutralità, imparzialità e obiettività, occorre rilevare, al pari della Commissione, che il ricorrente reitera gli argomenti già esaminati e respinti nell’ambito della seconda parte del secondo motivo di ricorso, a sostegno della violazione del principio di imparzialità, secondo i quali la Commissione si è limitata a regolarizzare la situazione amministrativa del ricorrente, senza avere come obiettivo di riesaminare la sua situazione. Per le ragioni esposte ai precedenti punti da 144 a 155, tali censure non sono fondate.

203    Per quanto riguarda la violazione dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione, menzionata nel titolo di tale parte, la Commissione evidenzia, correttamente, che il ricorrente non deduce alcun argomento a sostegno di tali censure, sicché su tale punto il ricorso non è conforme ai requisiti imposti dall’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura. Tali censure sono, pertanto, irricevibili.

204    Gli unici argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno di tale parte che non sono stati trattati nell’ambito di altri motivi di ricorso riguardano la mancata consultazione del Comdel.

205    A tal riguardo, occorre constatare, al pari della Commissione, che il ricorrente non deduce la violazione di una disposizione specifica della decisione della Commissione del 10 ottobre 2012, relativa alla gestione delle sue risorse nelle delegazioni dell’Unione, che disciplina il Comdel e le relative modalità di consultazione.

206    Gli argomenti riguardanti il Comdel vengono a sostegno della violazione dei principi di obiettività, imparzialità e neutralità dell’APN competente, invocata nell’ambito della presente parte. A tal riguardo, il ricorrente precisa nella replica che l’intervento del Comdel avrebbe, quanto meno, fornito un elemento oggettivo di apparenza di neutralità e di obiettività della decisione impugnata, poiché un terzo avrebbe potuto dare la propria valutazione sul caso.

207    Anche ammettendo che il ricorso possa essere considerato, su tale punto, conforme ai requisiti previsti dall’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, occorre osservare che la competenza della direttrice generale della DG HR a statuire sulle riassegnazioni di persone che abbiano denunciato irregolarità, ricordata al punto 48 della sentenza T‑689/16, mira proprio a concedere agli informatori le garanzie supplementari di imparzialità, obiettività e neutralità richieste dal ricorrente.

208    Peraltro, è pacifico che il Comdel era stato consultato anteriormente all’adozione della prima decisione di riassegnazione. Orbene, in esecuzione della sentenza F‑96/13, la Commissione doveva solo rimediare all’illegittimità che aveva viziato tale decisione e che riguardava la violazione dei diritti della difesa del ricorrente.

209    Inoltre, anche nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere che il Comdel avrebbe dovuto essere consultato dalla direttrice generale della DG HR prima dell’adozione della decisione impugnata, occorre ricordare che un’irregolarità procedurale può comportare l’annullamento in tutto o in parte della decisione di cui trattasi soltanto se è dimostrato che, in assenza di tale irregolarità, il procedimento amministrativo sarebbe potuto giungere a un risultato differente e che, di conseguenza, la decisione impugnata avrebbe potuto avere un contenuto differente (v. sentenza del 2 marzo 2010, Evropaïki Dynamiki/ AESM, T‑70/05, EU:T:2010:55, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).

210    Orbene, nessun elemento del fascicolo consente di stabilire che, in caso di nuova consultazione del Comdel, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato differente. Infatti, come constatato ai precedenti punti da 184 a 190, la riassegnazione controversa è stata motivata dalle difficoltà relazionali vissute nella delegazione ed era priva di nesso con la notifica di irregolarità, rispetto alle quali la DG «Bilancio» avrebbe potuto, se del caso, agire in seno al Comdel.

211    Di conseguenza, occorre respingere la terza parte e, dunque, il terzo motivo di ricorso in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

212    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che le conclusioni di annullamento devono essere respinte.

C.      Sulla domanda risarcitoria

213    Il ricorrente chiede al Tribunale di condannare la Commissione al pagamento di un risarcimento dell’importo di EUR 250 000 per il danno materiale patito e dell’importo di EUR 100 000 per l’asserito danno morale.

214    Per quanto riguarda le illegittimità invocate, anzitutto, il ricorrente fa riferimento alle prime tre decisioni di riassegnazione, affermando che esse sono state annullate o revocate in successione, con la motivazione che esse erano illegittime.

215    Il ricorrente fa poi valere che la decisione impugnata è stata adottata, in particolare, in violazione del suo diritto di essere ascoltato e dei suoi diritti della difesa, senza rispettare le norme relative alla tutela degli informatori, la cui qualità, il contenuto della protezione e l’assenza di limitazione nel tempo erano già stati chiariti dal giudice dell’Unione. Secondo il ricorrente, le prime tre decisioni di riassegnazione sarebbero viziate dalle stesse illegittimità. Nel corso dell’udienza, in risposta a un quesito posto dal Tribunale, il ricorrente ha precisato che anche l’esecuzione scorretta delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 in violazione dell’articolo 266 TFUE fondava la sua domanda di risarcimento.

216    Infine, il ricorrente deduce una serie di profili di illegittimità. Egli sostiene di essere stato riassegnato sette volte contro la sua volontà dal 2013 a posti in soprannumero, creati per lui, senza che sia mai stata presa interamente in considerazione la portata degli annullamenti che si sono susseguiti. La DG «Risorse umane e sicurezza» non avrebbe fornito alcun sostegno durante tali riassegnazioni. La direttrice generale della DG HR avrebbe sistematicamente rifiutato di riceverlo, benché il giudice dell’Unione abbia ritenuto che i presunti motivi di riassegnazione avessero una connotazione soggettiva che imponeva all’APN competente di ascoltare essa stessa il ricorrente. Egli sarebbe stato inserito in una lista nera e classificato come «controverso», senza che l’amministrazione cercasse di comprendere la sua situazione come informatore. Tutte le sue domande di assistenza sarebbero state respinte, mentre non sarebbe stata adottata alcuna norma relativa all’attuazione della tutela spettante all’informatore. Vi sarebbe stata una violazione sistematica della riservatezza dei suoi dati personali, causata dalle decisioni di riassegnazione. Ad eccezione della decisione impugnata, le decisioni di riassegnazione che si sono susseguite sarebbero state adottate da un’autorità incompetente.

217    Per quanto riguarda l’asserito danno, da un lato, il ricorrente sostiene di aver subito un danno morale, stimato dinanzi al Tribunale in EUR 100 000, dovuto a tre fattori. In primo luogo, il ricorrente denuncia una lesione della sua reputazione, della sua dignità personale e professionale nonché della sua credibilità professionale, a causa del fatto che la Commissione lo avrebbe illegittimamente mantenuto in una situazione irregolare, negando la portata degli insegnamenti delle sentenze pronunciate una dopo l’altra. In secondo luogo, il ricorrente fa riferimento all’incertezza della sua situazione amministrativa da più di nove anni, a causa della serie delle decisioni illegittime di riassegnazione, due delle quali sono state annullate dal Tribunale, il che dimostrerebbe una cattiva amministrazione e una mancanza di diligenza che gli avrebbero causato ansia e stress. In terzo luogo, il ricorrente lamenta i cambiamenti di posizione e di funzioni che si sono susseguiti, a partire dalla prima decisione di riassegnazione, senza particolare sostegno nonostante il suo status di informatore.

218    Dall’altro lato, il ricorrente sostiene di aver subito un danno materiale, stimato in EUR 250 000, connesso, in primo luogo, a spese precontenziose moltiplicate dopo l’annullamento della prima decisione di riassegnazione, in secondo luogo, alla situazione di incertezza giurisdizionale e amministrativa, caratterizzata dalla sua assegnazione, dal 2013, a posti in soprannumero, il che ha condotto a un ritardo nella sua carriera e a essere percepito dai suoi superiori gerarchici come una «pecora nera» che disturba, e, in terzo luogo, all’impossibilità per lui di beneficiare delle condizioni stabilite nell’allegato X allo Statuto e di una carriera internazionale, nonché di una promozione sulla base dei risultati del suo investimento professionale.

219    La Commissione chiede il rigetto della domanda risarcitoria in quanto irricevibile oppure infondata.

220    A tal riguardo, occorre ricordare che, nell’ambito di una domanda di risarcimento danni proposta da un funzionario o da un agente, l’affermazione della responsabilità di un’istituzione, di un organo o di un organismo dell’Unione presuppone la presenza di un complesso di condizioni cumulative, concernenti l’illegittimità del comportamento contestatogli, l’effettività del danno lamentato e l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno lamentato. Le tre condizioni di affermazione della responsabilità sono cumulative, il che implica che, qualora una di esse non sia soddisfatta, la responsabilità dell’istituzione non può sorgere [v. sentenza del 16 giugno 2021, CE/Comitato delle Regioni, T‑355/19, EU:T:2021:369, punto 142 (non pubblicata) e giurisprudenza ivi citata].

221    Occorre altresì ricordare che il procedimento precontenzioso in materia di ricorso per risarcimento cambia a seconda che il danno di cui si chiede il risarcimento sia stato cagionato da un atto che arreca pregiudizio ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto o da un comportamento dell’amministrazione privo di carattere decisionale. Nel primo caso spetta all’interessato proporre, nei termini stabiliti, un reclamo all’amministrazione avverso l’atto di cui trattasi. Nel secondo caso, per contro, il procedimento amministrativo deve iniziare con la presentazione di una domanda ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, diretta a ottenere un risarcimento, e proseguire, se del caso, con un reclamo avverso la decisione di rigetto di tale domanda (v. sentenza del 13 dicembre 2012, A/Commissione, T‑595/11 P, EU:T:2012:694, punto 111 e giurisprudenza ivi citata).

222    Per quanto riguarda la domanda risarcitoria connessa all’esecuzione del giudicato ai sensi dell’articolo 266 TFUE, vertente sul fatto che le decisioni adottate consentirebbero di rimediare solo parzialmente alle conseguenze dell’illegittimità commessa, essa può essere parimenti proposta nel reclamo avverso tali decisioni, senza che la ricevibilità del ricorso sia subordinata alla presentazione di una domanda sul fondamento dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2011, AA/Commissione, F‑101/09, EU:F:2011:133, punto 75 et giurisprudenza ivi citata).

223    Infine, in forza di una giurisprudenza costante, un funzionario che abbia omesso di presentare, entro i termini previsti agli articoli 90 e 91 dello Statuto, un ricorso di annullamento contro un atto a lui asseritamente pregiudizievole non può, mediante una domanda di risarcimento del danno causato da tale atto, sanare tale omissione e procurarsi così nuovi termini di ricorso. Egli non può neppure far valere la pretesa illegittimità di tale atto nell’ambito di un ricorso per risarcimento. In termini generali, un funzionario non può, attraverso la domanda di risarcimento, cercare di ottenere un risultato identico a quello che egli avrebbe raggiunto in caso di accoglimento del ricorso di annullamento che ha omesso di proporre in tempo utile (v. sentenza del 18 novembre 2014, McCoy/Comitato delle regioni, F‑156/12, EU:F:2014:247, punto 96 e giurisprudenza ivi citata).

224    Nel caso di specie occorre esaminare anzitutto i profili di illegittimità menzionati al precedente punto 216, la cui ricevibilità è contestata dalla Commissione, prima di analizzare le illegittimità fatte valere dal ricorrente riguardo alle decisioni che si sono susseguite relativamente alla riassegnazione controversa, descritte ai precedenti punti 214 e 215.

225    Nella replica il ricorrente precisa che le allegazioni richiamate al precedente punto 216 erano solo una contestualizzazione dei ricorsi che hanno condotto ad annullamenti in serie da parte del giudice dell’Unione.

226    Nel corso dell’udienza il ricorrente ha affermato che la descrizione, in tali allegazioni, del trattamento che l’amministrazione gli ha riservato a partire dalla prima decisione di riassegnazione consente di fornire elementi cronologici utili affinché il Tribunale valuti, nel caso di specie, il rispetto del termine ragionevole. Per di più, le decisioni adottate dall’amministrazione nei suoi confronti a partire dal 1º gennaio 2013 sarebbero viziate dalla medesima illegittimità che inficia la riassegnazione controversa e che attiene alla mancata presa in considerazione della sua condizione di informatore. Inoltre, tale riassegnazione e il fatto di essere percepito come una «pecora nera» a seguito delle sue denunce sarebbero all’origine delle riassegnazioni che si sono susseguite.

227    Al pari della Commissione, occorre ritenere che le allegazioni del ricorrente richiamate al precedente punto 216 siano irricevibili, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai precedenti punti da 221 a 223. Infatti, il danno di cui si chiede il risarcimento relativamente a tali profili di illegittimità non deriva dalla decisione impugnata né dall’esecuzione delle sentenze F‑96/13 e T‑689/16, bensì da una serie di comportamenti non decisionali dell’amministrazione, nonché da altri atti pregiudizievoli anteriori alla decisione impugnata che il ricorrente ha omesso di contestare dinanzi al Tribunale.

228    In ogni caso, tali profili di illegittimità sono infondati. Infatti, le allegazioni del ricorrente muovono, in sostanza, dalla premessa che la riassegnazione controversa, quale confermata dalla decisione impugnata con effetto retroattivo al 1º gennaio 2013, sia stata decisa in ragione delle sue denunce e che essa abbia perciò condizionato la sua carriera successiva.

229    Orbene, come si è concluso al precedente punto 190, la Commissione ha assolto l’onere della prova a essa incombente e ha sufficientemente dimostrato che la riassegnazione controversa è stata motivata da ragioni diverse dalle denunce formulate dal ricorrente. Per di più, nelle sentenze pronunciate nelle cause F‑96/13 e T‑689/16, il giudice dell’Unione non ha messo in discussione la fondatezza della riassegnazione controversa.

230    Per quanto riguarda le illegittimità menzionate al precedente punto 215, esse sono state parimenti dedotte dal ricorrente a sostegno delle conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata e della decisione di rigetto parziale del reclamo.

231    A tal riguardo, è sufficiente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la domanda diretta a ottenere il risarcimento di un danno materiale o morale deve essere respinta quando presenti uno stretto collegamento con la domanda di annullamento che, come nel caso di specie, sia stata a sua volta respinta in quanto irricevibile o infondata (v. sentenza del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑570/16, EU:T:2017:283, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

232    Infine, per quanto riguarda l’adozione di una serie di decisioni di riassegnazione illegittime menzionata al precedente punto 214, la Commissione sostiene, correttamente, che le domande risarcitorie connesse alle illegittimità constatate nelle sentenze F‑96/13 e T‑689/16 che viziano le decisioni di riassegnazione prima e seconda sono già state esaminate e respinte dal giudice dell’Unione in tali sentenze. Tali censure sono, quindi, in contrasto con il giudicato e sono irricevibili.

233    Per quanto riguarda la revoca in corso di causa della terza decisione di riassegnazione per illegittimità (causa T‑308/20), dall’analisi di cui ai precedenti punti da 109 a 113 emerge che tale revoca ha contribuito a ritardare un procedimento amministrativo già lungo, sicché la decisione impugnata non è stata adottata entro un termine ragionevole, in violazione dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta.

234    Tuttavia, tale illegittimità non ha condotto all’annullamento della decisione impugnata, poiché non è stato stabilito che, nel caso di specie, la violazione di tale termine abbia potuto incidere sul suo contenuto (v. punti da 115 a 117 supra).

235    Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza, la violazione del termine ragionevole può condurre il giudice dell’Unione a condannare l’amministrazione, anche d’ufficio, al pagamento di un risarcimento per il danno morale causato da tale violazione (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2011, A/Commissione, F‑12/09, EU:F:2011:136, punti 225 e 226 nonché giurisprudenza ivi citata).

236    Nel caso di specie, a sostegno della sua domanda di risarcimento del danno morale, il ricorrente afferma in particolare che, a causa di una serie di errori che hanno viziato le prime tre decisioni di riassegnazione, la Commissione ha creato una situazione di incertezza relativamente alla sua posizione che è durata nel tempo, il che costituisce un caso di cattiva amministrazione e di mancanza di diligenza che gli ha causato ansia e stress al di là di quanto può essere considerato ragionevole.

237    Il ricorrente chiede al Tribunale di condannare la Commissione a versargli la somma di EUR 100 000 per tutti i danni morali lamentati, senza distinguere tra loro.

238    Anche se il ricorrente non ha fornito indicazioni che consentano di quantificare con precisione il danno connesso al suo stato di incertezza prolungato nel tempo, il Tribunale ritiene, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, che tale circostanza non osti alla possibilità di fissare in via equitativa un importo idoneo a risarcire un simile danno, la cui esistenza, nel caso di specie, può essere accertata.

239    A tal riguardo, occorre tener conto del fatto che la durata particolarmente lunga del procedimento amministrativo, che ha condotto all’adozione della decisione impugnata oltre otto anni dopo i fatti, è dovuta agli errori dell’amministrazione che si sono susseguiti, i quali possono aver creato uno stato di incertezza e di ansia in capo al ricorrente relativamente alla sua situazione, tanto più che egli si avvaleva della sua condizione di informatore.

240    In tali circostanze, il Tribunale ritiene che sia equo valutare il danno morale patito dal ricorrente fissandolo nella fattispecie, in via equitativa, nell’importo di EUR 3 000.

241    Alla luce di quanto precede, occorre accogliere parzialmente la domanda risarcitoria, per un importo pari a EUR 3 000, e di respingerla quanto al resto.

IV.    Sulle spese

242    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

243    Nelle circostanze del caso di specie, occorre decidere che la Commissione si farà carico, oltre che delle proprie spese, della metà delle spese del ricorrente, condannando quest’ultimo a farsi carico dell’altra metà delle sue spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La Commissione europea è condannata a versare un risarcimento di EUR 3 000 a PL.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Commissione è condannata a farsi carico, oltre che delle proprie spese, della metà delle spese sostenute da PL, che si farà carico dell’altra metà delle sue spese.

Truchot

Kanninen

Sampol Pucurull

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 novembre 2023.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.


1 Dati riservati omessi.