Language of document : ECLI:EU:T:2022:778

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

7 dicembre 2022 (*)

«Concorrenza – Intese – Imballaggi alimentari per vendita al dettaglio – Decisione che modifica l’importo di un’ammenda – Modalità di calcolo dell’ammenda – Imputabilità del comportamento illecito – Orientamenti del 2006 per il calcolo dell’importo delle ammende – Limite massimo dell’ammenda – Proporzionalità – Parità di trattamento – Capacità contributiva»

Nella causa T‑130/21,

CCPL - Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro SC, con sede in Reggio Emilia (Italia),

Coopbox Group SpA, con sede in Bibbiano (Italia),

Coopbox Eastern s.r.o., con sede in Nové Mesto nad Váhom (Slovacchia),

rappresentate da E. Cucchiara e E. Rocchi, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da P. Rossi e T. Baumé, in qualità di agenti,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata),

composto, in sede di deliberazione, da S. Papasavvas, presidente, M.J. Costeira, M. Kancheva, P. Zilgalvis (relatore) e I. Dimitrakopoulos, giudici,

cancelliere: P. Nuñez Ruiz, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

vista l’ordinanza del 22 luglio 2021, CCPL e a./Commissione (T‑130/21 R, non pubblicata, EU:T:2021:488),

in seguito all’udienza del 16 giugno 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il loro ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, le ricorrenti, CCPL – Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro SC, Coopbox Group SpA e Coopbox Eastern s.r.o., chiedono l’annullamento della decisione C(2020) 8940 final della Commissione, del 17 dicembre 2020 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), che modifica l’importo delle ammende inflitte con la decisione C(2015) 4336 final della Commissione, del 24 giugno 2015, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso AT.39563 – Imballaggi alimentari per vendita al dettaglio) (in prosieguo: la «decisione del 2015»).

 Fatti all’origine della controversia e fatti successivi alla presentazione del ricorso

2        Le ricorrenti sono società appartenenti al gruppo CCPL attive, segnatamente, nel settore degli imballaggi alimentari.

3        CCPL è una società cooperativa che, tramite CCPL SpA, detiene partecipazioni in talune società operative, tra cui Coopbox e Coopbox Eastern.

4        Il 24 giugno 2015 la Commissione europea ha adottato la decisione del 2015, con la quale ha constatato che alcune società attive nel settore degli imballaggi alimentari per vendita al dettaglio avevano partecipato, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2008, a cinque distinte infrazioni all’articolo 101 TFUE e all’articolo 53 dell’accordo SEE. Ai sensi dell’articolo 2 di tale decisione, la Commissione, conformemente all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), ha inflitto ammende per un importo totale di EUR 33 694 000, in particolare, alle ricorrenti e ad altre due società che all’epoca facevano parte del gruppo CCPL.

5        L’importo finale di tali ammende è stato fissato dopo che alle cinque società interessate era stata concessa, ai sensi del paragrafo 35 degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»), una riduzione del 25% dell’importo finale delle ammende che la Commissione avrebbe dovuto infliggere loro, in ragione della loro ridotta capacità contributiva.

6        Con ordinanza del 15 dicembre 2015, CCPL e a./Commissione (T‑522/15 R, EU:T:2015:1012), il presidente del Tribunale ha sospeso l’obbligo di costituire una garanzia bancaria a favore della Commissione al fine di evitare l’immediata riscossione delle ammende che erano state inflitte alle cinque società interessate, a condizione, da un lato, che esse versassero alla Commissione l’importo di EUR 5 milioni nonché la totalità dei proventi liberati dalla programmata dismissione di talune partecipazioni e, dall’altro, che presentassero per iscritto alla Commissione, ogni tre mesi fino all’adozione della decisione nel procedimento principale, e comunque al sopravvenire di ogni evento atto a influire sulla loro futura capacità di assolvere le ammende inflitte, un resoconto particolareggiato dello stato di attuazione dell’accordo di ristrutturazione del debito concluso con i loro creditori (in prosieguo: il «piano di ristrutturazione») e dell’importo dei proventi liberati dalla vendita degli attivi di quest’ultimo tanto in esecuzione quanto «al di fuori» di detto piano.

7        CCPL, agendo per conto delle cinque società interessate, ha effettuato pagamenti provvisori alla Commissione per un importo totale pari a EUR 5 942 000.

8        Con sentenza dell’11 luglio 2019, CCPL e a./Commissione (T‑522/15, non pubblicata, EU:T:2019:500), il Tribunale ha constatato che, per quanto attiene alla determinazione della riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle cinque società interessate concessa in virtù dell’incapacità contributiva, la decisione del 2015 era viziata da insufficienza di motivazione. Di conseguenza, ha annullato l’articolo 2, paragrafo 1, lettere da f) a h), paragrafo 2, lettere d) ed e), e paragrafo 4, lettere c) e d), di tale decisione.

9        Con lettera del 18 settembre 2019 la Commissione ha informato CCPL in particolare della sua intenzione di adottare una nuova decisione che infliggesse ammende alle società del suo gruppo interessate e ha invitato queste ultime a presentare le loro osservazioni.

10      Il 20 settembre 2019 le ricorrenti hanno proposto impugnazione avverso la sentenza dell’11 luglio 2019, CCPL e a./Commissione (T‑522/15, non pubblicata, EU:T:2019:500).

11      Il 4 ottobre 2019 le società interessate hanno chiesto alla Commissione di esaminare la loro mancanza di capacità contributiva, ai sensi del paragrafo 35 degli orientamenti del 2006, ai fini di una riduzione dell’importo delle ammende che essa avrebbe potuto applicare al termine del procedimento in corso. Per valutare tale domanda, la Commissione ha inviato al gruppo CCPL richieste di informazioni ai sensi dell’articolo 18, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1/2003, alle quali detto gruppo ha dato seguito.

12      Il 7 ottobre 2019 la Commissione, ottemperando alla sentenza dell’11 luglio 2019, CCPL e a./Commissione (T‑522/15, non pubblicata, EU:T:2019:500), ha rimborsato a CCPL l’importo pari a EUR 5 942 084 che quest’ultima le aveva trasferito a titolo di pagamento provvisorio.

13      Il 17 dicembre 2020 la Commissione ha adottato la decisione impugnata, con la quale, in sostanza, ha respinto la domanda di riduzione dell’importo delle ammende in questione fondata sulla mancanza di capacità contributiva presentata dalle ricorrenti e ha inflitto loro ammende per un importo totale pari a EUR 9 441 000.

14      Con ordinanza del 20 gennaio 2021, CCPL e a./Commissione (C‑706/19 P, non pubblicata, EU:C:2021:45), la Corte ha respinto l’impugnazione delle ricorrenti in quanto manifestamente irricevibile. La Corte ha in particolare indicato che le ricorrenti avrebbero potuto invocare, se del caso, i motivi e gli argomenti respinti dal Tribunale nella sentenza dell’11 luglio 2019, CCPL e a./Commissione (T‑522/15, non pubblicata, EU:T:2019:500), nell’ambito di un eventuale nuovo ricorso contro la decisione che sarebbe stata adottata a seguito dell’annullamento della decisione controversa da parte del Tribunale (ordinanza del 20 gennaio 2021, CCPL e a./Commissione, C‑706/19 P, non pubblicata, EU:C:2021:45, punto 26).

15      Con ordinanza del 22 luglio 2021, CCPL e a./Commissione (T‑130/21 R, non pubblicata, EU:T:2021:488), il presidente del Tribunale ha respinto la domanda di provvedimenti provvisori delle ricorrenti diretta alla sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata e ha riservato le spese.

 Conclusioni delle parti

16      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare le ammende loro inflitte con la decisione impugnata;

–        in subordine, ridurne l’importo;

–        condannare la Commissione alle spese.

17      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

18      A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono tre motivi.

19      Il primo motivo verte, in sostanza, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. Il secondo motivo verte sulla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Il terzo motivo verte, in sostanza, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e su errori manifesti di valutazione in quanto la Commissione non avrebbe tenuto conto degli elementi forniti dal gruppo CCPL a sostegno della propria mancanza di capacità contributiva.

 Sul primo motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione dellobbligo di motivazione e sulla violazione dellarticolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003

20      Tale motivo si suddivide in due parti vertenti, la prima, su un’insufficienza di motivazione per quanto riguarda la responsabilità della società madre del gruppo CCPL a causa del comportamento delle società del gruppo CCPL e, la seconda, sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto la Commissione si sarebbe basata erroneamente sulla presunzione secondo cui CCPL esercitava un’influenza determinante sulle società del gruppo CCPL.

 Sulla prima parte del primo motivo, vertente su un’insufficienza di motivazione per quanto riguarda la responsabilità della società madre del gruppo CCPL a causa del comportamento delle società di tale gruppo

21      Le ricorrenti sostengono che la decisione impugnata è viziata da insufficienza di motivazione in quanto non indica le ragioni per cui la responsabilità per le condotte di Coopbox e di Coopbox Eastern sia stata imputata a CCPL.

22      La Commissione contesta tali argomenti.

23      Occorre ricordare che la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve far apparire in maniera chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui promana l’atto, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato ai fini della difesa dei loro diritti ed al giudice dell’Unione europea di esercitare il proprio controllo (v. sentenza del 18 settembre 2003, Volkswagen/Commissione, C‑338/00 P, EU:C:2003:473, punto 124 e giurisprudenza ivi citata).

24      Inoltre, qualora una decisione iniziale della Commissione sia stata modificata da una decisione che prevede espressamente che essa costituisce una decisione di modifica della decisione iniziale, il procedimento della decisione di modifica costituisce la prosecuzione del procedimento sfociato nella decisione iniziale (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2017, Toshiba/Commissione, C‑180/16 P, EU:C:2017:520, punto 22).

25      In tali circostanze, la motivazione della decisione iniziale può essere presa in considerazione al fine di valutare la legittimità della decisione di modifica, purché su di essa non abbia inciso una sentenza di annullamento e non sia contraddetta dalla formulazione letterale della decisione di modifica (v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2016, Toshiba/Commissione, T‑404/12, EU:T:2016:18, punto 95).

26      Nel caso di specie, risulta esplicitamente dal titolo e dal contenuto della decisione impugnata che essa costituisce una decisione di modifica della decisione del 2015 per quanto riguarda le ammende inflitte alle ricorrenti.

27      L’articolo 1 della decisione impugnata infligge quindi ammende alle ricorrenti per le infrazioni menzionate all’articolo 1 della decisione del 2015.

28      Inoltre, non viene affermato che sugli elementi della decisione del 2015 diversi da quelli relativi alla capacità contributiva delle ricorrenti abbia inciso la sentenza dell’11 luglio 2019, CCPL e a./Commissione (T‑522/15, non pubblicata, EU:T:2019:500), o che essa sia contraddetta dalla decisione impugnata per quanto riguarda la responsabilità di CCPL per le infrazioni commesse dalle società del gruppo CCPL, la quale costituisce oggetto del presente motivo.

29      Ne consegue che, in applicazione della giurisprudenza citata al precedente punto 25, la motivazione della decisione impugnata deve essere letta alla luce della decisione del 2015 per quanto riguarda la responsabilità di CCPL per le infrazioni commesse dalle società del gruppo CCPL.

30      Al punto 848 della decisione del 2015, la Commissione ha constatato che CCPL era la holding del gruppo CCPL durante tutto il periodo dell’infrazione e che la sua partecipazione azionaria diretta o indiretta in una o più entità, tra cui Coopbox Group, direttamente partecipante all’infrazione, era pari al 100% fino al 18 aprile 2006 e al 93,864% tra il 18 aprile 2006 e la fine dell’infrazione.

31      Al punto 849 della decisione del 2015, la Commissione ha ritenuto che una partecipazione del 93,864% bastasse a far scattare la presunzione che una società madre esercitasse un’influenza determinante sulla condotta della sua società figlia. Essa ha altresì precisato che, sebbene, a suo avviso, la presunzione dell’esercizio di un’influenza determinante fosse sufficiente a stabilire la responsabilità delle entità interessate, tale presunzione era ulteriormente rafforzata dall’analisi dei legami giuridici, personali ed economici tra le entità facenti parte dell’impresa interessata, effettuata ai punti da 850 a 855 della medesima decisione.

32      Orbene, tali elementi sono tali da consentire alle ricorrenti di comprendere la valutazione che ha indotto la Commissione a ritenere sussistente la responsabilità di CCPL per le infrazioni commesse dalle società del gruppo CCPL e al Tribunale di controllare la fondatezza di tali motivi.

33      L’argomento delle ricorrenti relativo all’insufficienza di motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda la responsabilità di CCPL per le infrazioni commesse dalle società del gruppo CCPL deve pertanto essere respinto.

 Sulla seconda parte del primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto la Commissione si sarebbe basata erroneamente sulla presunzione secondo cui CCPL ha esercitato un’influenza determinante sulle società del gruppo CCPL

34      Le ricorrenti ritengono, in sostanza, che la decisione impugnata sia viziata da errori di diritto e da un errore manifesto di valutazione in quanto la Commissione si è basata, ai fini dell’applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, sulla presunzione secondo cui CCPL aveva esercitato un’influenza determinante sulle società del gruppo CCPL.

35      La Commissione contesta tali argomenti.

36      Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese e alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza, commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 101 TFUE.

37      Secondo costante giurisprudenza, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento. A tal riguardo, la Corte ha precisato, da un lato, che la nozione d’impresa, collocata in tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa designa un’unità economica anche se, dal punto di vista giuridico, tale unità economica è costituita da più persone fisiche o giuridiche e, dall’altro, che tale entità economica, laddove violi le regole dettate in materia di concorrenza, è tenuta, secondo il principio di responsabilità personale, a rispondere dell’infrazione (v. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

38      Inoltre, il comportamento di una società figlia può essere imputato alla società madre in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale società figlia non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, in considerazione, segnatamente, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra le due entità giuridiche (v. sentenza del 27 gennaio 2021, The Goldman Sachs Group/Commissione, C‑595/18 P, EU:C:2021:73, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

39      Emerge parimenti da una giurisprudenza costante che, per il caso particolare in cui una società madre detenga, direttamente o indirettamente, la totalità o la quasi totalità del capitale della propria società figlia responsabile di una violazione delle norme in materia di concorrenza, da un lato, tale società madre è in grado di esercitare un’influenza determinante sul comportamento di detta società figlia e, dall’altro, esiste una presunzione relativa secondo cui detta società madre esercita effettivamente un’influenza siffatta. Date tali circostanze, è sufficiente che la Commissione provi che la totalità o la quasi totalità del capitale di una società figlia è detenuto dalla sua società madre per potersi presumere che quest’ultima eserciti effettivamente un’influenza determinante sulla politica commerciale della società figlia medesima. La Commissione potrà quindi ritenere la società madre solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla sua società figlia, a meno che detta società madre, cui incombe l’onere di rovesciare detta presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la sua società figlia si comporta in maniera autonoma sul mercato (v. sentenza del 27 gennaio 2021, The Goldman Sachs Group/Commissione, C‑595/18 P, EU:C:2021:73, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

40      Pertanto, a meno che non venga smentita, una presunzione siffatta implica che l’esercizio effettivo di un’influenza determinante da parte della società madre sulla propria società figlia si considera dimostrato e legittima la Commissione a ritenere la prima società responsabile del comportamento della seconda, senza necessità di produrre una qualsivoglia prova supplementare. L’applicazione della presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante non è quindi subordinata alla produzione di indizi supplementari relativi all’esercizio effettivo di un’influenza della società madre (v. sentenza del 27 gennaio 2021, The Goldman Sachs Group/Commissione, C‑595/18 P, EU:C:2021:73, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

41      Inoltre, la Commissione non è affatto tenuta a fondarsi esclusivamente su detta presunzione. Infatti, nulla impedisce a tale istituzione di accertare l’esercizio effettivo, da parte di una società madre, di un’influenza determinante sulla sua società figlia attraverso altri elementi di prova o attraverso una combinazione di siffatti elementi con detta presunzione (v. sentenza del 27 gennaio 2021, The Goldman Sachs Group/Commissione, C‑595/18 P, EU:C:2021:73, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

42      Nel caso di specie, occorre ricordare che, al punto 846 della decisione del 2015, la Commissione ha indicato che, al fine di attribuire la responsabilità delle infrazioni in questione a CCPL in qualità di società madre, essa si era avvalsa della presunzione di responsabilità secondo cui CCPL aveva esercitato un’influenza determinante durante il periodo (o i periodi) in cui almeno un’entità direttamente coinvolta nell’infrazione era interamente (o quasi interamente) controllata da tale società madre.

43      Come ricordato ai precedenti punti 30 e 31, nella decisione del 2015 la Commissione ha constatato che CCPL era la holding del gruppo CCPL durante tutto il periodo dell’infrazione e che la sua partecipazione azionaria diretta o indiretta in una o più delle entità di tale gruppo direttamente partecipanti all’infrazione bastasse a far scattare la presunzione che essa esercitasse un’influenza determinante sulla condotta della sua società figlia. La Commissione ha altresì precisato che, sebbene, a suo avviso, la presunzione dell’esercizio di un’influenza determinante fosse sufficiente a stabilire la responsabilità delle entità interessate, tale presunzione era ulteriormente rafforzata dall’analisi dei vincoli giuridici, personali ed economici tra le entità facenti parte dell’impresa interessata.

44      Tra gli elementi che dimostrano i vincoli giuridici, personali ed economici esistenti tra le entità facenti parte dell’impresa interessata, la Commissione ha menzionato, in particolare, che CCPL poteva nominare tutti i membri del consiglio di amministrazione, nonché l’amministratore delegato di CCPL SpA, che CCPL approvava il bilancio di CCPL SpA e decideva le responsabilità degli amministratori, che il consiglio di amministrazione di CCPL SpA disponeva dei più ampi poteri per la gestione ordinaria dell’impresa e nominava un presidente, al quale spettava garantire l’orientamento strategico della società vigilando sulla debita attuazione delle decisioni del consiglio di amministrazione, che il contratto parasociale riconosceva esplicitamente che CCPL aveva una partecipazione di controllo su CCPL SpA, che gli azionisti di minoranza non godevano di diritti speciali e che il restante 6,14% di CCPL SpA era detenuto dagli stessi azionisti proprietari di CCPL. Essa ha altresì rilevato che lo stesso modello aziendale valeva per Coopbox Group.

45      In tale contesto, all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione del 2015, la Commissione ha considerato che Coopbox Group e CCPL avevano violato l’articolo 101 TFUE partecipando, dal 18 giugno 2002 al 17 dicembre 2007, a una violazione unica e continuata, costituita da distinte e separate infrazioni, nel settore dei vassoi termoformati per imballaggi alimentari destinati alla vendita al dettaglio in Italia.

46      All’articolo 1, paragrafo 4, della decisione del 2015, la Commissione ha considerato che CCPL, dall’8 dicembre 2004 al 24 settembre 2007, e Coopbox Eastern, dal 5 novembre 2004 al 24 settembre 2007, avevano violato l’articolo 101 TFUE partecipando a una violazione unica e continuata, costituita da più infrazioni distinte, nel settore dei vassoi termoformati per imballaggi alimentari destinati alla vendita al dettaglio, nei territori di Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia.

47      Su tale base, all’articolo 1 della decisione impugnata, la Commissione ha inflitto, per l’infrazione di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione del 2015, un’ammenda di EUR 4 627 000 a Coopbox Group e CCPL, in solido, per l’infrazione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della decisione del 2015, un’ammenda di EUR 4 010 000 a CCPL e, per l’infrazione di cui all’articolo 1, paragrafo 4, della decisione del 2015, un’ammenda di EUR 789 000 a Coopbox Eastern e CCPL, in solido, nonché un’ammenda di EUR 15 000 a Coopbox Eastern.

48      Essa ha quindi ritenuto CCPL responsabile per l’intera durata delle infrazioni a causa, in particolare, della sua partecipazione diretta o indiretta in una o più delle entità del gruppo CCPL.

49      In primo luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione è incorsa in un errore di diritto imputando a CCPL pratiche attuate da Coopbox Group e da Coopbox Eastern, che CCPL detiene tramite CCPL SpA, senza constatare alcuna infrazione nei confronti di CCPL SpA.

50      Tuttavia, dalla giurisprudenza ricordata al precedente punto 38 risulta che il comportamento di una società figlia può essere imputato alla società madre in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale società figlia non determini in modo autonomo la propria linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, in considerazione, segnatamente, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra le due entità giuridiche.

51      Infatti, in una siffatta situazione, atteso che la società madre e la sua società figlia fanno parte di una stessa unità economica e formano così una sola impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE, la Commissione può emanare una decisione che infligge ammende nei confronti della società madre, senza necessità di dimostrare l’implicazione personale di quest’ultima nell’infrazione (v. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 55 e giurisprudenza ivi citata). In altri termini, non è necessariamente una relazione di istigazione in merito all’infrazione tra la società madre e la società figlia né, a maggior ragione, un coinvolgimento della prima in detta infrazione che consente alla Commissione di indirizzare alla società madre la decisione che impone ammende, ma il fatto che le società di cui trattasi costituiscono un’unica impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE (sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 88).

52      Peraltro, in forza della giurisprudenza, la presunzione di cui al precedente punto 39 si applica altresì allorché la società madre detiene il capitale della propria società figlia, non direttamente, ma tramite altre società (v., in tal senso, sentenze del 20 gennaio 2011, General Química e a./Commissione, C‑90/09 P, EU:C:2011:21, punto 86; dell’8 maggio 2013, Eni/Commissione, C‑508/11 P, EU:C:2013:289, punti 48 e 49, e del 15 luglio 2015, GEA Group/Commissione, T‑45/10, non pubblicata, EU:T:2015:507, punto 142).

53      Risulta quindi dalla giurisprudenza che la Commissione può imputare la responsabilità del comportamento di società figlie indirettamente detenute da una società madre a tale società, anche senza constatare un’infrazione nei confronti delle società intermediarie.

54      Infatti, la circostanza che tali società figlie siano detenute per il tramite di una società alla quale non viene imputata alcuna infrazione non rimette in discussione la presunzione dell’esercizio effettivo, da parte della società madre, a causa della sua partecipazione indiretta in tali società figlie, di un’influenza determinante sul comportamento di queste ultime.

55      Risulta altresì dalla giurisprudenza ricordata al precedente punto 37 che incombe ad un’unità economica costituita da più persone fisiche o giuridiche che viola le regole dettate in materia di concorrenza rispondere di tale infrazione in base al principio della responsabilità personale.

56      Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non si può quindi ritenere che la decisione impugnata sia stata adottata in violazione del principio della responsabilità personale in quanto CCPL è stata ritenuta responsabile per un’infrazione che non ha commesso e che non è stata imputata all’entità tramite la quale possedeva l’entità che aveva commesso l’infrazione.

57      Di conseguenza, la decisione impugnata non è viziata da un errore di diritto in quanto la Commissione ha imputato a CCPL pratiche attuate da Coopbox Group e da Coopbox Eastern, che CCPL detiene tramite CCPL SpA, senza aver constatato alcuna infrazione nei confronti di CCPL SpA.

58      In secondo luogo, le ricorrenti fanno valere che la presunzione di responsabilità di CCPL per le condotte delle società del gruppo CCPL non era applicabile, in quanto CCPL deteneva solo una partecipazione del 93,864% in CCPL SpA dal 18 aprile 2006 alla fine del periodo dell’infrazione.

59      Tuttavia, la società madre che detiene la quasi totalità del capitale della propria società figlia si trova, in linea di principio, in una situazione analoga a quella di un proprietario esclusivo, per quanto concerne il suo potere di esercitare un’influenza determinante sul comportamento della propria società figlia, tenuto conto dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che la uniscono a quest’ultima. Di conseguenza, la Commissione può applicare a tale situazione il medesimo regime probatorio, ossia fare ricorso alla presunzione secondo cui detta società madre si avvale effettivamente del proprio potere di esercitare un’influenza determinante sul comportamento della propria società figlia. Non è tuttavia escluso che, in alcuni casi, i soci di minoranza possano disporre, nei confronti della società figlia, di diritti che consentano di rimettere in discussione l’analogia suddetta.

60      Orbene, da un lato, a causa della sua partecipazione del 93,864% nel capitale di CCPL SpA, CCPL deteneva, nel periodo compreso tra il 18 aprile 2006 e la fine del periodo dell’infrazione, la quasi totalità del capitale di CCPL SpA. Dall’altro lato, le ricorrenti non affermano e, a fortiori, non dimostrano che i soci di minoranza disponevano, nei confronti di CCPL SpA, di diritti che consentissero di rimettere in discussione la presunzione dell’esercizio effettivo, da parte di CCPL, di un’influenza determinante sul comportamento di tale società figlia.

61      Ne consegue che la decisione impugnata non è viziata da un errore di diritto in quanto la Commissione si è avvalsa della presunzione di responsabilità di CCPL per il comportamento delle società del gruppo CCPL nel corso del periodo durante il quale CCPL deteneva soltanto una partecipazione del 93,864% in CCPL SpA.

62      In terzo luogo, deve essere respinto l’argomento secondo cui la Commissione non poteva avvalersi della presunzione di responsabilità di CCPL per il comportamento delle società del gruppo CCPL in quanto, al momento dell’adozione della decisione del 2015, la partecipazione di CCPL nel capitale di CCPL SpA era stata ulteriormente ridotta al 90% circa.

63      Invero, l’applicazione della presunzione che consente di imputare il comportamento di una società figlia alla sua società madre implica che la responsabilità della società madre deriva dal comportamento della sua società figlia durante il periodo in cui l’infrazione è stata commessa, di modo che è irrilevante l’entità della partecipazione della società madre nella sua società figlia alla data della decisione che constata un’infrazione.

64      In quarto luogo, da un lato, le ricorrenti fanno valere che spettava alla Commissione dimostrare l’esercizio effettivo di un’influenza determinante di CCPL sulle società del gruppo CCPL, in quanto essa si era fondata, allo stesso tempo, sulla presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante e su un insieme di elementi.

65      Tuttavia, è sufficiente constatare che, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 40, l’applicazione della presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante non è subordinata alla produzione di indizi supplementari relativi all’esercizio effettivo di un’influenza della società madre.

66      Dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 41 risulta altresì che nulla impedisce alla Commissione di accertare l’esercizio effettivo, da parte di una società madre, di un’influenza determinante sulla sua società figlia attraverso altri elementi di prova o attraverso una combinazione di siffatti elementi con detta presunzione.

67      Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il fatto che la Commissione abbia rilevato diversi elementi destinati a rafforzare la constatazione dell’esistenza di un’influenza determinante di CCPL sulle società del gruppo CCPL non le imponeva un onere della prova più elevato rispetto al caso in cui essa si fosse limitata ad avvalersi della presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante.

68      Dall’altro lato, le ricorrenti ritengono che la Commissione sia incorsa in un errore manifesto di valutazione in quanto la presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante avrebbe dovuto essere superata, poiché CCPL non esercitava effettivamente un’influenza determinante sulle società del gruppo CCPL, non solo per il periodo in cui essa deteneva l’intero capitale sociale delle entità del gruppo CCPL partecipanti all’infrazione, ma anche allorché la partecipazione di CCPL era inferiore al 100%.

69      A sostegno di tale argomento,  le ricorrenti affermano che CCPL ha cessato ogni attività relativa alla gestione del settore degli imballaggi alimentari e ha attribuito alle società del gruppo CCPL poste a capo di tale settore piena autonomia in merito alle politiche produttive, commerciali, industriali e gestionali. Esse indicano altresì, in sostanza, che l’amministratore delegato di Coopbox Group determina in modo autonomo le politiche commerciali e strategiche gestionali della società.

70      Inoltre, le ricorrenti affermano che CCPL è una società cooperativa che svolge principalmente la funzione di azionista detenendo partecipazioni nelle società operative tramite CCPL SpA, il cui ruolo di sub-holding non comporta alcun coinvolgimento nella gestione operativa e corrente delle società da essa controllate, e che CCPL non svolge alcun ruolo attivo nella gestione corrente delle società del gruppo CCPL.

71      Peraltro, le ricorrenti sottolineano che CCPL era la holding di un gruppo di imprese che operava in sei distinti settori di attività, che né Coopbox Group né alcuna delle altre società che hanno preso parte alle contestate infrazioni hanno mai informato CCPL in merito alle attività oggetto dell’infrazione, né hanno agito con la sua autorizzazione preventiva.

72      Le ricorrenti sostengono altresì che nessuno dei tre membri del consiglio di amministrazione di CCPL, che sono stati al contempo membri del consiglio di amministrazione delle società del gruppo CCPL, ha rivestito all’interno di queste ultime alcun ruolo operativo o ha preso parte, direttamente o indirettamente, agli incontri con le imprese concorrenti.

73      A tal riguardo, occorre ricordare, anzitutto che, per confutare la presunzione di influenza determinante, una società madre, nell’ambito dei ricorsi avverso una decisione della Commissione, deve sottoporre alla valutazione del giudice dell’Unione ogni elemento relativo ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti tra la stessa e la sua società figlia, idonei a dimostrare che essi non costituiscono un’entità economica unica (v. sentenza del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

74      Inoltre, da una giurisprudenza costante emerge che l’indipendenza operativa non prova, di per sé, che una società figlia definisca il proprio comportamento sul mercato in modo indipendente rispetto alla sua società madre. La ripartizione dei compiti tra le società figlie e le loro società madri e, in particolare, il fatto di affidare la gestione delle attività correnti alla direzione locale di una società figlia è una prassi abituale delle imprese di grandi dimensioni composte da un numero elevato di società figlie detenute, in definitiva, dalla medesima holding (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2014, RWE e RWE Dea/Commissione, T‑543/08, EU:C:2014:627, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

75      Inoltre, il fatto che la prima ricorrente non impartisse istruzioni a CCPL SpA, a Coopbox Group o a Coopbox Eastern in ordine alle intese in questione o che addirittura essa non fosse a conoscenza di dette intese non è idoneo a confutare la presunzione d’influenza determinante (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2016, Ori Martin e SLM/Commissione, C‑490/15 P e C‑505/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:678, punti 59 e 60).

76      Ne consegue che le affermazioni, peraltro non comprovate, secondo cui CCPL avrebbe cessato ogni attività di gestione nel settore degli imballaggi alimentari e avrebbe concesso alle società del gruppo CCPL responsabili di tale settore piena autonomia, senza che essa o CCPL SpA svolgessero alcun ruolo attivo nella gestione corrente di Coopbox Group e di Coopbox Eastern, non sono idonee a confutare la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante.

77      Occorre poi ricordare che, secondo il giudice dell’Unione, la rappresentanza della società madre negli organi di direzione della propria società figlia costituisce un elemento di prova pertinente dell’esercizio di un controllo effettivo sulla politica commerciale di quest’ultima (v. sentenza del 15 luglio 2015, Socitrel e Companhia Previdente/Commissione, T‑413/10 e T‑414/10, EU:T:2015:500, punto 213 e giurisprudenza ivi citata).

78      Gli argomenti delle ricorrenti relativi all’assenza di ruolo operativo dei tre membri del consiglio di amministrazione di CCPL, che sono stati contemporaneamente membri del consiglio di amministrazione delle società del gruppo CCPL, devono pertanto essere respinti.

79      Per lo stesso motivo, deve essere parimenti respinto l’argomento secondo cui nessuno dei documenti acquisiti al fascicolo del presente procedimento conterrebbe elementi in merito al coinvolgimento di tali membri del consiglio di amministrazione di CCPL nelle attività di gestione di alcuna delle società del gruppo CCPL.

80      Infine, dal momento che un società madre può essere considerata responsabile di un’infrazione commessa da una società figlia, anche quando in un gruppo esista un numero elevato di società operative (v. sentenza del 27 settembre 2012, Shell Petroleum e a./Commissione, T‑343/06, EU:T:2012:478, punto 52 e giurisprudenza ivi citata), il fatto che CCPL fosse la holding di un gruppo di imprese operanti in sei diversi settori commerciali non impedisce di imputarle le infrazioni di Coopbox Group e Coopbox Eastern.

81      Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, gli elementi addotti dalle ricorrenti, in quanto tali, non sono sufficienti a confutare la presunzione applicata dalla Commissione secondo la quale CCPL esercitava un’influenza determinante sulle società del gruppo CCPL.

82      Di conseguenza, la seconda parte del primo motivo è infondata e il primo motivo deve essere respinto.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento

83      Secondo le ricorrenti, in sostanza, la decisione impugnata è contraria ai principi di proporzionalità, di equità, di individualizzazione e di gradazione delle ammende, di ragionevolezza e di parità di trattamento, in quanto la Commissione ha applicato il limite massimo del 10% del fatturato fissato all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 distintamente per ciascuna infrazione, e in quanto tale metodo di applicazione del limite massimo del 10% del fatturato ha indotto la Commissione a infliggere loro ammende ben superiori alle ammende inflitte alle altre imprese interessate.

84      La Commissione contesta tali argomenti.

85      A tal riguardo, in primo luogo, per quanto riguarda l’applicazione nella decisione impugnata del limite massimo del 10% distintamente per ciascuna infrazione, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, per ciascuna impresa partecipante all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

86      Inoltre, secondo la giurisprudenza, la qualificazione di talune condotte illecite come integranti un’unica e medesima infrazione o una pluralità di infrazioni distinte non è, in linea di principio, priva di conseguenze sulla sanzione che può essere inflitta, dal momento che la constatazione di una pluralità di infrazioni distinte può comportare l’applicazione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, ossia nel rispetto del limite massimo del 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente l’adozione della decisione (v. sentenza del 6 febbraio 2014, AC-Treuhand/Commissione, T‑27/10, EU:T:2014:59, punto 230 e giurisprudenza ivi citata).

87      Pertanto, all’interno di un’unica decisione la Commissione può accertare due infrazioni distinte e irrogare due ammende il cui importo totale sia superiore al limite massimo del 10% stabilito all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, purché l’importo di ciascuna ammenda non superi detto limite massimo. Infatti, ai fini dell’applicazione di detto limite massimo del 10%, non rileva che differenti violazioni delle norme dell’Unione in materia di concorrenza siano sanzionate nel corso di un unico procedimento o nel corso di procedimenti distinti, scaglionati nel tempo, dato che il limite massimo del 10% si applica a ciascuna violazione dell’articolo 101 TFUE (sentenza del 6 febbraio 2014, AC‑Treuhand/Commissione, T‑27/10, EU:T:2014:59, punti 231 e 232).

88      Poiché l’applicazione del limite massimo del 10% distintamente per ciascuna infrazione è conforme all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, come interpretato dalla giurisprudenza, tale argomento delle ricorrenti non è idoneo a dimostrare che la decisione impugnata sia contraria ai principi di proporzionalità, di equità, di individualizzazione e di gradazione delle ammende, di ragionevolezza e di parità di trattamento.

89      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la proporzione dell’ammenda inflitta alle ricorrenti rispetto al loro fatturato complessivo, che sarebbe significativamente più elevata di quella delle ammende inflitte alle altre imprese interessate, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, non è contrario ai principi di proporzionalità e di parità di trattamento che, in applicazione del metodo di calcolo delle ammende di cui agli orientamenti del 2006, a un’impresa sia inflitta un’ammenda che rappresenti una quota del suo fatturato complessivo più elevata di quella rappresentata dalle ammende inflitte rispettivamente a ciascuna delle altre imprese. Infatti, è inerente a tale metodo di calcolo, che non si basa sul fatturato complessivo delle imprese interessate, il fatto che appaiano disparità tra tali imprese in ordine al rapporto tra tale fatturato e l’importo delle ammende che sono loro inflitte (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 64).

90      Emerge altresì dalla giurisprudenza che la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’importo delle ammende, ad assicurarsi, nel caso in cui siano inflitte ammende di tale genere a più imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende rendano conto di una differenziazione tra le imprese interessate quanto al loro fatturato complessivo (v. sentenza del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

91      Per quanto attiene all’asserita violazione del principio di parità di trattamento invocato dalle ricorrenti, si deve rilevare che la differenza di percentuale che rappresenterebbe l’ammenda nell’ambito del fatturato totale delle imprese interessate non può di per sé costituire un motivo sufficiente per giustificare che la Commissione si discosti dal metodo di calcolo che essa stessa si è fissata. Infatti, ciò finirebbe per avvantaggiare talune imprese in base a un criterio che non è rilevante rispetto alla gravità e alla durata dell’infrazione. Orbene, per quanto attiene alla determinazione dell’importo dell’ammenda, l’applicazione di metodi di calcolo diversi non può comportare una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato a un accordo o a una pratica concordata contrari all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

92      L’esistenza di asserite disparità tra, da un lato, il rapporto tra le ammende inflitte alle ricorrenti e il loro fatturato totale e, dall’altro, quello tra le ammende inflitte alle altre imprese interessate e il loro fatturato non è quindi idonea a dimostrare che la decisione impugnata sia stata adottata in violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

93      Inoltre, per quanto riguarda l’argomento secondo cui l’importo esiguo dell’ammenda inflitta alle società del gruppo Vitembal nella decisione del 2015 dimostrerebbe che la decisione impugnata è stata adottata in violazione del principio di parità di trattamento, occorre ricordare che il principio di parità di trattamento esige che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera identica, a meno che un trattamento siffatto non sia obiettivamente giustificato (sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 51).

94      A tal riguardo, occorre rilevare che le ricorrenti non sostengono che la Commissione ha applicato metodi di calcolo diversi alle imprese interessate. Infatti, l’unico elemento addotto dalle ricorrenti, che riguarda l’importo totale delle ammende inflitte alle entità interessate rispetto al loro rispettivo fatturato totale, è insufficiente, come indicato al precedente punto 92, a dimostrare l’asserita discriminazione. Poiché le ricorrenti non hanno invocato alcun altro elemento relativo alle circostanze di fatto e di diritto che la Commissione avrebbe preso in considerazione nell’ambito del calcolo dell’importo delle ammende, si deve constatare che esse non hanno dimostrato che la situazione finanziaria delle altre società interessate, in particolare le società del gruppo Vitembal, fosse comparabile alla loro situazione, cosicché, in applicazione della giurisprudenza richiamata al precedente punto 93, il loro argomento deve essere respinto.

95      Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, gli argomenti delle ricorrenti non dimostrano che la Commissione sia incorsa in un errore di diritto applicando distintamente, per ciascuna infrazione, il limite massimo del 10% del fatturato fissato all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003.

96      Il secondo motivo di ricorso dev’essere quindi respinto.

 Sul terzo motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione dellobbligo di motivazione e su errori manifesti di valutazione della capacità contributiva delle ricorrenti

97      Le ricorrenti lamentano un’insufficienza di motivazione della valutazione della Commissione relativa alla loro capacità contributiva e contestano a quest’ultima errori manifesti di valutazione di detta capacità contributiva.

98      La Commissione contesta tali argomenti.

99      A tal riguardo, occorre ricordare che il punto 35 degli orientamenti del 2006, intitolato «Capacità contributiva» prevede quanto segue:

«In circostanze eccezionali la Commissione può, a richiesta, tener conto della mancanza di capacità contributiva di un’impresa in un contesto sociale ed economico particolare. La Commissione non concederà alcuna riduzione di ammenda basata unicamente sulla constatazione di una situazione finanziaria sfavorevole o deficitaria. Una riduzione potrebbe essere concessa soltanto su presentazione di prove oggettive dalle quali risulti che l’imposizione di un’ammenda, alle condizioni fissate dai presenti orientamenti, pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa e priverebbe i suoi attivi di qualsiasi valore».

100    Secondo costante giurisprudenza, adottando norme di comportamento, quali gli orientamenti, ed annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in avanti applicate ai casi a cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi generali del diritto, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento (v. sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 287 e giurisprudenza ivi citata).

101    Inoltre, una riduzione dell’ammenda ai sensi del punto 35 degli orientamenti del 2006 può essere concessa unicamente in circostanze eccezionali e alle condizioni definite in tali orientamenti. Pertanto, da un lato, deve dimostrarsi che l’ammenda inflitta «pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa e priverebbe i suoi attivi di qualsiasi valore». Dall’altro, deve provarsi anche l’esistenza di un «contesto sociale ed economico particolare». Si deve ricordare, inoltre, che tali due gruppi di condizioni sono stati precedentemente enucleati dai giudici dell’Unione (sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 288).

102    Quanto al primo gruppo di condizioni, la Corte ha già dichiarato che, in via di principio, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere per una violazione delle norme sulla concorrenza, a prendere in considerazione la situazione finanziaria di passività di un’impresa, dal momento che il riconoscimento di un tale obbligo equivarrebbe a procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno idonee alle condizioni del mercato (v. sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 289 e giurisprudenza ivi citata).

103    Infatti, se così fosse, sussisterebbe il rischio che dette imprese siano favorite a scapito di altre imprese, più efficienti e meglio gestite. Ne consegue che la semplice constatazione di una situazione finanziaria sfavorevole o deficitaria dell’impresa interessata non può costituire il fondamento sufficiente di una domanda diretta a ottenere che la Commissione tenga conto dell’incapacità contributiva di tale impresa per accordarle una riduzione dell’ammenda (sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 290).

104    Peraltro, secondo costante giurisprudenza, il fatto che un provvedimento adottato da un’autorità dell’Unione provochi il fallimento o la liquidazione di un’impresa non è vietato, in quanto tale, dal diritto dell’Unione. Sebbene una simile operazione possa pregiudicare gli interessi finanziari dei proprietari o degli azionisti, ciò non significa tuttavia che gli elementi personali, materiali e immateriali da cui l’impresa è costituita perdano anch’essi il loro valore (v. sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 291 e giurisprudenza ivi citata).

105    Dalla suddetta giurisprudenza può dedursi che solo nel caso della perdita di valore degli elementi personali, materiali e immateriali di cui l’impresa è costituita, in altri termini del suo patrimonio, potrebbe essere giustificato che, al momento della fissazione dell’importo dell’ammenda, venga presa in considerazione l’eventualità del suo fallimento o della sua liquidazione in conseguenza dell’imposizione di tale ammenda (v. sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 292 e giurisprudenza ivi citata).

106    Infatti, la liquidazione di una società non implica necessariamente il venir meno dell’impresa in questione. Questa può continuare ad esistere in quanto tale, o nel caso di ricapitalizzazione della società, o nel caso di rilevamento complessivo degli elementi del suo patrimonio da parte di un’altra entità. Un tale rilevamento può avvenire vuoi mediante un acquisto volontario, vuoi mediante una vendita forzata dell’attivo della società con continuità operativa (sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 293).

107    Pertanto, il riferimento, fatto al punto 35 degli orientamenti del 2006, alla totale perdita di valore del patrimonio dell’impresa interessata deve essere inteso nel senso che esso ha ad oggetto la situazione in cui il rilevamento dell’impresa nelle circostanze indicate al precedente punto 106 risulti improbabile se non addirittura impossibile. In una simile ipotesi, gli elementi patrimoniali di tale impresa saranno offerti in vendita separatamente ed è probabile che molti di essi non trovino alcun acquirente o, nell’ipotesi migliore, siano venduti solo ad un prezzo significativamente ridotto (v. sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 294 e giurisprudenza ivi citata).

108    Per quanto riguarda il secondo gruppo di condizioni, relativo alla sussistenza di un contesto economico sociale particolare, secondo la giurisprudenza esso rinvia alle conseguenze che il pagamento dell’ammenda potrebbe produrre, segnatamente in termini di aumento della disoccupazione o di deterioramento dei settori economici a monte e a valle dell’impresa interessata (v. sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 295 e giurisprudenza ivi citata).

109    Pertanto, se le condizioni cumulative prima menzionate sono soddisfatte, il fatto di imporre un’ammenda che rechi il rischio di provocare il venir meno di un’impresa sarebbe contrario all’obiettivo perseguito dal punto 35 degli orientamenti del 2006. L’applicazione di detto punto alle imprese interessate configura, in tal modo, un’espressione concreta del principio di proporzionalità in materia di sanzioni delle infrazioni al diritto della concorrenza (v. sentenza del 15 luglio 2015, Westfälische Drahtindustrie e a./Commissione, T‑393/10, EU:T:2015:515, punto 296 e giurisprudenza ivi citata).

110    È alla luce di tali principi che occorre valutare gli argomenti delle ricorrenti che contestano la legittimità della decisione impugnata.

111    Nel caso di specie, al punto 3.4.2 della decisione impugnata, dopo aver proceduto ad un’analisi economica e finanziaria della capacità contributiva delle ricorrenti e dell’incidenza di un’eventuale ammenda sulla loro redditività economica, la Commissione ha concluso, al punto 90 di detta decisione, che, nonostante gli indici di solvibilità e di redditività del gruppo CCPL siano bassi e nonostante l’entità significativa dell’importo complessivo delle ammende controverse rispetto alle dimensioni del gruppo, detto gruppo disponeva di liquidità sufficienti per pagare l’importo complessivo dell’ammenda e che le probabilità che ciò pregiudicasse la redditività economica di tale gruppo erano basse.

112    A sostegno della sua constatazione relativa all’esistenza di liquidità sufficienti, la Commissione ha indicato anzitutto, al punto 90, lettera a), della decisione impugnata, che, negli anni 2018 e 2019, il gruppo CCPL aveva evidenziato significativi saldi di disponibilità liquide, pari rispettivamente a EUR 18,6 milioni e a EUR 22,8 milioni. Al punto 90, lettera b), di detta decisione, essa ha affermato che il saldo medio delle disponibilità liquide di detto gruppo nel periodo 2014-2018, ossia circa l’11,6% delle vendite annuali medie di tale gruppo, rappresentava un buon indice che permetteva di inferire che il livello di liquidità era sufficiente per far fronte alle passività e alle spese a breve termine, garantire la continuità delle attività ed evitare carenze temporanee di liquidità. Al punto 90, lettera c), di tale decisione, essa ha indicato che la stessa conclusione valeva se si considerava il rapporto saldo delle disponibilità liquide/vendite. Al punto 90, lettera d), della medesima decisione, essa ha rilevato che, poiché le liquidità erano detenute il più delle volte dalle società holding del gruppo in questione, che non disponevano praticamente di personale e generavano fatturati molto bassi, sarebbe improbabile che il pagamento dell’ammenda ricorrendo alla liquidità disponibile a livello di gruppo comprometta la redditività economica delle due principali società operative del gruppo. Al punto 90, lettera e), della decisione impugnata, essa ha sottolineato che, nelle sue osservazioni e nelle sue risposte, CCPL non aveva menzionato alcuna esigenza specifica di liquidità per affrontare le difficoltà derivanti dalla pandemia di COVID-19, né per portare avanti il piano di ristrutturazione per il periodo 2020-2023. Infine, al punto 90, lettera f), della decisione impugnata, essa ha indicato che, sebbene abbia esplicitamente chiesto a CCPL di fornire commenti sulla capacità di tale gruppo di mobilitare risorse finanziarie per pagare l’ammenda, CCPL non aveva né risposto né indicato il motivo per cui non avrebbe potuto utilizzare la liquidità disponibile a livello di gruppo per tale pagamento. La Commissione ha aggiunto che, in tale calcolo, si doveva tenere conto anche dell’importo di EUR 5 942 084 che essa ha rimborsato a CCPL il 7 ottobre 2019, in esecuzione della sentenza dell’11 luglio 2019, CCPL e a./Commissione (T‑522/15, non pubblicata, EU:T:2019:500).

 Sulla prima parte del terzo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

113    Le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che la decisione impugnata non contiene una motivazione della mancata presa in considerazione del loro capitale circolante netto negativo, della sufficienza delle liquidità del gruppo CCPL nonostante i suoi rilevanti debiti, dell’incidenza dei dati previsionali forniti con riferimento a Coopbox Group e a Coopbox Eastern in relazione alla liquidità, né dell’analisi effettuata dalle ricorrenti nella loro risposta alla quinta richiesta di informazioni sulla sostenibilità dell’ammenda.

114    La Commissione contesta tali argomenti.

115    Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dell’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e di permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. L’obbligo di motivazione deve essere valutato in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari o altre persone interessate direttamente e individualmente dall’atto possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto per accertare se la motivazione di un atto soddisfi le prescrizioni di cui all’articolo 296 TFUE occorre far riferimento non solo al suo tenore, ma anche al suo contesto e al complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (v. sentenza del 9 settembre 2015, Philips/Commissione, T‑92/13, non pubblicata, EU:C:2015:605, punto 102 e giurisprudenza ivi citata).

116    Nel caso di specie, occorre rilevare che, come risulta dal punto 90 della decisione impugnata, ricordato al precedente punto 112, la Commissione ha motivato in modo chiaro e inequivocabile la constatazione secondo cui le ricorrenti non avevano dimostrato che esse non avrebbero potuto utilizzare le liquidità del gruppo CCPL per pagare le ammende senza rimettere in discussione la loro redditività. Per quanto riguarda la valutazione da parte della Commissione dei dati previsionali riguardanti le liquidità di Coopbox Group e di Coopbox Eastern, essa emerge dai punti 86 e 92 della decisione impugnata, che riprendono in parte gli elementi forniti dalle ricorrenti nella loro risposta alla quinta richiesta di informazioni. Inoltre, la Commissione non ha un obbligo generale di pronunciarsi, in detta decisione, su tutti i documenti o su tutte le informazioni che ha richiesto alle parti durante la procedura amministrativa.

117    Infatti, la Commissione non è tenuta a prendere posizione su tutti gli argomenti che gli interessati invocano dinanzi ad essa, ma è sufficiente che essa esponga i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione (v. sentenza del 9 settembre 2015, Philips/Commissione, T‑92/13, non pubblicata, EU:T:2015:605, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).

118    Pertanto, la valutazione della Commissione relativa alla capacità contributiva delle ricorrenti non è viziata da insufficienza di motivazione.

119    La prima parte del terzo motivo deve essere pertanto respinta in quanto infondata.

 Sulla seconda parte del terzo motivo, vertente su errori manifesti di valutazione della capacità contributiva delle ricorrenti

120    In limine va osservato che, come risulta dalla giurisprudenza citata supra ai punti da 102 a 107, per dimostrare che la decisione impugnata è viziata da un errore manifesto di valutazione della loro capacità contributiva, spetta alle ricorrenti dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione, il pagamento delle ammende per un totale di EUR 9 441 000 pregiudicherebbe irrimediabilmente la loro redditività economica e finirebbe col privare i loro attivi di qualsiasi valore.

121    In primo luogo, le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che le constatazioni effettuate al punto 90, lettere a), e) e f), della decisione impugnata, secondo cui esse non hanno fornito i dati previsionali richiesti per il periodo 2020-2023, il che giustificava la considerazione delle liquidità disponibili nel 2018 e nel 2019, e secondo cui il gruppo CCPL non ha indicato perché non avrebbe potuto utilizzare le liquidità disponibili del gruppo per pagare l’ammenda, sono errate in punto di fatto.

122    Anzitutto, le ricorrenti ricordano il contenuto della loro corrispondenza con la Commissione per contestare la constatazione effettuata nella decisione impugnata secondo cui CCPL non avrebbe menzionato alcuna necessità specifica di liquidità per affrontare le difficoltà derivanti dalla pandemia di COVID-19, né per portare avanti il piano di ristrutturazione per il periodo 2020-2023.

123    Inoltre, le ricorrenti affermano di aver fornito i dati previsionali fino al 2023 per Coopbox Group e Coopbox Eastern, le cui vendite rappresentavano il 94% del fatturato consolidato per l’esercizio 2019, che la Commissione non avrebbe analizzato.

124    Esse aggiungono in sostanza che alla data della decisione impugnata non erano disponibili dati previsionali per l’intero gruppo CCPL, in particolare perché le altre società del gruppo non erano più operative sul mercato e si limitavano alla dismissione dei loro assets e a utilizzare le somme ricavate e le distribuzioni ricevute al fine di pagare i loro debiti nell’ambito del piano di ristrutturazione.

125    Infine, le ricorrenti ricordano il contenuto della loro corrispondenza con la Commissione al fine di contestare quanto indicato nella decisione impugnata secondo cui il gruppo CCPL non ha risposto né ha indicato il motivo per cui non avrebbe potuto utilizzare la liquidità disponibile a livello di gruppo per pagare l’ammenda.

126    La Commissione contesta tali argomenti.

127    A tal riguardo, occorre rilevare che le ricorrenti riconoscono di aver fornito soltanto, nel corso del procedimento amministrativo, i dati previsionali per il periodo 2020-2023 per Coopbox Group e Coopbox Eastern, in quanto i dati previsionali per l’intero gruppo CCPL non erano disponibili o pertinenti.

128    Non si può quindi contestare alla Commissione di aver constatato che le ricorrenti non avevano fornito i dati previsionali consolidati richiesti per il periodo 2020-2023.

129    Per quanto riguarda l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui i dati previsionali per l’intero gruppo CCPL non erano rilevanti, è importante sottolineare che, nel valutare la capacità contributiva di un gruppo di imprese, la Commissione deve tenere conto della situazione finanziaria di tutte le entità di tale gruppo, nella misura in cui le risorse di tutte queste entità possono essere mobilizzate per far fronte alle ammende (v., in tal senso, sentenze del 16 settembre 2013, Rubinetteria Cisal/Commissione, T‑368/10, non pubblicata, EU:T:2013:460, punto 118, e dell’11 luglio 2019, Italmobiliare e a./Commissione, T‑523/15, non pubblicata, EU:T:2019:499, punti da 180 a 182).

130    Ciò è tanto più vero in quanto, come sottolineato dalla Commissione, alla fine del 2019, il 96% delle risorse liquide del gruppo CCPL si collocava al di fuori di Coopbox Group e di Coopbox Eastern.

131    Pertanto, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, i dati previsionali relativi alle società del gruppo diverse da Coopbox Group e Coopbox Eastern, in particolare i dati relativi alla cessione di attivi, erano pertinenti per valutare la capacità contributiva del gruppo CCPL.

132    Per lo stesso motivo, l’argomento delle ricorrenti, secondo cui le risorse di CCPL SpA non potevano essere prese in considerazione per valutare la capacità contributiva del gruppo CCPL in quanto tale società non era destinataria della decisione impugnata, deve essere respinto.

133    Inoltre, le ricorrenti affermano che dalle loro risposte alle richieste di informazioni risulta che le risorse finanziarie del gruppo CCPL non potevano essere mobilizzate per pagare l’ammenda. Tuttavia, è giocoforza constatare che la risposta delle ricorrenti, del 31 luglio 2020, alla quinta richiesta di informazioni della Commissione, contenuta nell’allegato A.22 e menzionata dalle ricorrenti, si limita a presentare lo stato del debito bancario e del loro attivo netto, nonché una valutazione della redditività, della capitalizzazione, della solvibilità e delle liquidità del gruppo CCPL, senza esporre le ragioni per le quali le ricorrenti ritenevano che le liquidità e le risorse del gruppo CCPL non potessero essere destinate al pagamento delle ammende a causa del piano di ristrutturazione.

134    In tali circostanze, non si può ritenere che la constatazione, effettuata nella decisione impugnata, secondo cui il gruppo CCPL non ha indicato la ragione per cui non avrebbe potuto utilizzare le liquidità disponibili a livello di gruppo per pagare l’ammenda, sia errata in punto di fatto.

135    Gli argomenti delle ricorrenti volti a dimostrare che la decisione impugnata è viziata da un errore manifesto di valutazione, in quanto la Commissione si sarebbe basata su erronee constatazioni di fatto indicando nella decisione in parola che le ricorrenti non avevano prodotto i dati previsionali consolidati richiesti per il periodo 2020-2023 e che il gruppo CCPL non aveva indicato i motivi per i quali non avrebbe potuto utilizzare le liquidità disponibili a livello di gruppo per pagare l’ammenda, devono pertanto essere respinti.

136    In secondo luogo, le ricorrenti affermano, in sostanza, che la decisione impugnata è viziata da un errore manifesto di valutazione in quanto la Commissione ha preso in considerazione i saldi di disponibilità liquide del gruppo CCPL per gli esercizi 2018 e 2019 senza tener conto dei suoi debiti e dell’indisponibilità di tali liquidità per fini diversi dal rimborso dei suoi debiti imposto dal piano di ristrutturazione, mentre tali elementi, dimostrando un livello di passivo ampiamente superiore a quello degli attivi, erano stati presentati in dettaglio nel corso del procedimento amministrativo.

137    Inoltre, le ricorrenti affermano sostanzialmente che la considerazione del saldo medio delle disponibilità liquide nel periodo 2014-2018 sarebbe ugualmente errata poiché tali disponibilità non costituivano somme immediatamente e liberamente spendibili e dovevano essere destinate a ripagare i loro debiti a motivo dei loro vincoli nell’ambito del piano di ristrutturazione.

138    Per lo stesso motivo, le ricorrenti affermano che la decisione impugnata è errata in quanto si basa sul rapporto saldo delle disponibilità liquide/vendite per dimostrare l’esistenza di liquidità sufficienti per pagare le ammende.

139    Infatti, il gruppo CCPL comprenderebbe ormai unicamente società holding o subholding non operative sul mercato, altre società non attive e impegnate unicamente nella dismissione dei rispettivi assets immobiliari, che producono liquidità pressoché esclusivamente dalla vendita derivante dalla dismissione degli assets aziendali in esecuzione del piano sottostante l’accordo di ristrutturazione, e due uniche società operative (Coopbox Group e Coopbox Eastern), le uniche che generano liquidità operativa derivante da un’attività normale di vendita di beni e servizi a clienti terzi.

140    Da un lato, le ricorrenti precisano che la liquidità derivante da dismissioni di assets non è disponibile dal momento che la stessa è destinata a ripagare il debito in esecuzione del piano di ristrutturazione e che la liquidità generata dalle società operative è pari soltanto a EUR 1,4 milioni.

141    Dall’altro lato, le ricorrenti sostengono che tale rapporto tra disponibilità liquide e vendite non consente di valutare la capacità di far fronte a esigenze di liquidità dal momento che le disponibilità liquide dipendono dalla concreta possibilità di dismissione degli assets rimanenti, dal vincolo di destinare la quasi totalità delle dismissioni al piano di ristrutturazione e dal ridotto numero nonché dalla scarsa attrattiva degli assets ancora oggetto di cessione.

142    La Commissione contesta tali argomenti.

143    A tal riguardo, occorre sottolineare che, come risulta dal precedente punto 135, le ricorrenti non hanno prodotto i dati previsionali consolidati richiesti per il periodo 2020-2023 e non hanno indicato la ragione per cui esse non avrebbero potuto utilizzare le liquidità disponibili a livello di gruppo per pagare le ammende inflitte dalla decisione impugnata.

144    In tali circostanze, non si può contestare alla Commissione di aver preso in considerazione i saldi di liquidità del gruppo CCPL per gli esercizi 2018 e 2019 senza tener conto dei suoi debiti e dell’indisponibilità di tali liquidità per fini diversi dal rimborso dei debiti imposto dal piano di ristrutturazione.

145    Peraltro, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 102 supra, la Commissione non è obbligata, in linea di principio, in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere per una violazione delle regole di concorrenza, a tener conto della situazione finanziaria deficitaria di un’impresa, dal momento che il riconoscimento di un tale obbligo equivarrebbe a procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno idonee alle condizioni del mercato.

146    Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la presenza di elementi che dimostrano un livello di passività ampiamente superiore a quello degli attivi non può bastare, di per sé, a dimostrare che l’imposizione di ammende pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica delle imprese interessate e potrebbe privare di qualsiasi valore gli attivi delle imprese interessate ai sensi del punto 35 degli orientamenti del 2006.

147    Del resto, è giocoforza constatare che, come risulta dal punto 84 della decisione impugnata, la Commissione ha preso in considerazione il livello dei debiti delle ricorrenti nell’ambito della sua valutazione della loro capacità contributiva.

148    In terzo luogo, le ricorrenti contestano la possibilità di utilizzare, per pagare l’ammenda, tutte le risorse rimaste al di fuori del piano di ristrutturazione, compreso l’importo di EUR 5 942 084 restituito dalla Commissione e menzionato al precedente punto 12, il provento ricavabile dalla vendita di Erzelli Energia Srl (valutato al punto 91 della decisione impugnata in EUR 1,4 milioni), e della cessione degli assets di Refincoop Srl in occasione dell’eventuale cessione di società.

149    Infatti, in sostanza, tali risorse rimaste al di fuori del piano sarebbero le uniche somme disponibili per garantire la sopravvivenza di Coopbox Group e Coopbox Eastern, consentendo loro di effettuare investimenti stante la mancanza di fonti di finanziamento alternative.

150    Le ricorrenti sottolineano altresì che le uniche liquidità che potevano essere prese in considerazione, valutate per il periodo 2020-2023 in EUR 1,8 milioni, erano quelle generate dalle uniche due società operative del gruppo CCPL, vale a dire Coopbox Group e Coopbox Eastern, che avevano una limitatissima capacità di generare flussi di cassa in grado di essere destinati a finalità diverse dalla gestione operativa. Le ricorrenti indicano al riguardo che le liquidità di Coopbox Group e Coopbox Eastern sono insufficienti a far fronte alla normale gestione.

151    Secondo le ricorrenti, il pagamento delle ammende, in particolare mediante l’utilizzo delle risorse non coperte dal piano di ristrutturazione, impedirebbe a tali società di far fronte a talune spese operative indispensabili, ma anche di realizzare investimenti necessari all’ammodernamento dei propri impianti, allo sviluppo tecnologico e alla loro sopravvivenza.

152    Inoltre, le ricorrenti contestano l’affermazione della Commissione, effettuata al punto 90, lettera d), della decisione impugnata, secondo cui sarebbe improbabile che il pagamento dell’ammenda ricorrendo alla liquidità disponibile a livello di gruppo comprometta la redditività economica delle due principali società operative del gruppo.

153    Innanzitutto, le ricorrenti sottolineano che le disponibilità liquide al 31 dicembre 2019 sono appena un sesto del solo debito finanziario a cui deve aggiungersi un debito non finanziario, inclusi i debiti verso i fornitori.

154    Le ricorrenti ricordano poi che la quasi totalità del gruppo CCPL è composta da società non più operative sul mercato, che non generano ricavi e impiegano la loro pochissima liquidità rimasta per gli affari correnti in vista dell’ultimazione del piano di ristrutturazione.

155    Inoltre, il fatto che le due società operative (Coopbox e Coopbox Eastern) abbiano debiti finanziari per oltre dieci volte il valore delle proprie disponibilità liquide, le quali risultano insufficienti a far fronte alla normale gestione, renderebbe necessarie iniezioni di liquidità da parte di CCPL, di modo che l’utilizzo di liquidità delle holding per pagare l’ammenda intaccherebbe necessariamente la redditività di Coopbox Group e Coopbox Eastern.

156    La Commissione contesta tali argomenti.

157    A tal riguardo, occorre sottolineare che, conformemente alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 101, affinché sia concessa una riduzione dell’ammenda ai sensi del punto 35 degli orientamenti del 2006, si deve dimostrare che l’ammenda inflitta pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa interessata e priverebbe i suoi attivi di qualsiasi valore.

158    Dal momento che una riduzione dell’ammenda può essere giustificata solo dall’obiettivo di evitare di pregiudicare irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa interessata e di privare i suoi attivi di qualsiasi valore, l’intenzione di realizzare investimenti destinati a sviluppare le società operative del gruppo CCPL o pagamenti destinati a non nuocere alla loro redditività non può, in linea di principio, giustificare una siffatta riduzione.

159    Infatti, le ricorrenti non hanno sostenuto che tali investimenti erano indispensabili per il loro funzionamento e che non potevano essere differiti senza che ciò pregiudicasse irrimediabilmente la redditività economica delle società interessate. Lo stesso vale per i pagamenti effettuati al fine di non nuocere alla redditività delle imprese interessate.

160    Ne consegue che l’argomento delle ricorrenti relativo alla necessità di destinare le risorse non coperte dal piano di ristrutturazione alla realizzazione di investimenti a favore di Coopbox Group e di Coopbox Eastern al fine di assicurare il loro funzionamento o la loro redditività deve essere respinto.

161    Devono essere parimenti respinti gli argomenti secondo cui la Commissione sarebbe incorsa in un errore manifesto di valutazione non tenendo conto del capitale circolante netto negativo del gruppo CCPL, ritenendo che l’accantonamento di EUR 16,4 milioni previsto nel bilancio del 2018 per pagare le ammende non possa essere considerato come una nuova disponibilità, o gli argomenti sull’incidenza più significativa delle ammende sul loro fatturato in valore relativo rispetto alle ammende inflitte nella decisione del 2015.

162    Infatti, poiché gli elementi individuati dalla Commissione al punto 90 della decisione impugnata e ricordati al precedente punto 112, quali i saldi di cassa per il 2018 e il 2019, pari, rispettivamente, a EUR 18,6 milioni e a EUR 22,8 milioni, il saldo medio delle disponibilità liquide per il periodo 2014-2018, ossia circa l’11,6% del fatturato medio annuo del gruppo, che non sono validamente contestati dalle ricorrenti, costituiscono, come ritenuto dalla Commissione, un buon indice che permette di inferire che il livello di liquidità era sufficiente per far fronte alle spese a breve termine, garantire la continuità delle attività ed evitare carenze temporanee di liquidità.

163    Inoltre, va sottolineato che, dopo essere state informate dalla Commissione della sua intenzione di adottare una nuova decisione che infliggeva loro ammende, le ricorrenti hanno ricevuto, il 7 ottobre 2019, l’importo di EUR 5 942 084 a titolo di rimborso dell’importo che avevano pagato in via provvisoria in esecuzione dell’ordinanza del 15 dicembre 2015, CCPL e a./Commissione (T‑522/15 R, EU:T:2015:1012). Ne consegue che l’importo supplementare da pagare per raggiungere l’ammontare totale delle ammende in questione è inferiore a EUR 3,5 milioni.

164    Alla luce della situazione finanziaria complessiva del gruppo CCPL, e in particolare dell’esistenza di risorse non coperte dal piano di ristrutturazione non validamente contestata dalle ricorrenti, gli argomenti di queste ultime non sono idonei a dimostrare che il pagamento delle ammende avrebbe potuto pregiudicare irrimediabilmente la redditività economica del gruppo CCPL.

165    Peraltro, occorre constatare che l’affermazione delle ricorrenti secondo la quale la liquidità generata da Coopbox Group e Coopbox Eastern è insufficiente a far fronte alla normale gestione è insufficientemente suffragata, cosicché non può essere considerata dimostrata dal Tribunale.

166    Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, le ricorrenti non sono ancora riuscite a dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione, il pagamento delle ammende per un importo totale di EUR 9 441 000 pregiudicherebbe irrimediabilmente la loro redditività economica e finirebbe col privare i suoi attivi di qualsiasi valore.

167    Il terzo motivo deve quindi essere respinto.

168    In subordine, le ricorrenti chiedono al Tribunale di volere rideterminare l’ammontare delle ammende inflitte con la decisione impugnata alla luce della loro effettiva capacità contributiva.

169    Tuttavia, poiché gli argomenti invocati dalle ricorrenti a sostegno del loro terzo motivo non hanno dimostrato che la decisione impugnata fosse viziata da un errore manifesto di valutazione né hanno invocato un cambiamento sostanziale della loro situazione, segnatamente economica, dopo l’emanazione di tale decisione, non occorre che il Tribunale eserciti la sua competenza estesa al merito.

 Sulle spese

170    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima, ivi comprese quelle relative al procedimento sommario.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      CCPL – Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro SC, Coopbox Group SpA e Coopbox Eastern s.r.o. sopporteranno, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione europea, incluse quelle relative al procedimento sommario.

Papasavvas

Costeira

Kancheva

Zilgalvis

 

Dimitrakopoulos

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 dicembre 2022.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

S. Papasavvas


*      Lingua processuale: l’italiano.