Language of document : ECLI:EU:C:1999:92

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ANTONIO SAGGIO

presentate il 25 febbraio 1999 (1)

Causa C-149/96

Repubblica portoghese

contro

Consiglio dell'Unione europea

«Politica commerciale - Importazione di prodotti tessili - Prodotti provenienti dalla Repubblica indiana - Accordo bilaterale concluso con la Repubblica indiana - Conflitto con le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio»

1.
    Con il ricorso di annullamento, ex art. 173 del Trattato CE, depositato in cancelleria il 3 marzo 1996, la Repubblica portoghese chiede alla Corte di dichiarare la nullità della decisione del Consiglio del 26 febbraio 1996, 96/386/CE, concernente la conclusione di memorandum d'intesa tra la Comunità europea e la Repubblica islamica del Pakistan e tra la Comunità europea e la Repubblica indiana in materia di accesso al mercato dei prodotti tessili (2) (in prosieguo: la «decisione»).

Il quadro giuridico di riferimento

Gli accordi internazionali multilaterali

2.
    Il settore dei tessili ha trovato una sua prima generale regolamentazione nell'accordo multilaterale del 20 dicembre 1973 sul commercio internazionale dei tessili, comunemente denominato «accordo multifibre» (3). Tale accordo è entrato in vigore il 1° gennaio 1974 e, grazie ad una serie di accordi di proroga (4), è restato in vigore fino al 31 dicembre 1994. L'accordo multifibre è finalizzato a «la realizzazione dell'espansione del commercio, la riduzione degli ostacoli a tale commercio e la liberalizzazione graduale del commercio mondiale, garantendo nel contempo lo sviluppo ordinato ed equo del commercio di tali prodotti ed evitando gli effetti della disorganizzazione sui mercati e sui tipi di produzione sia di paesi importatori che di paesi esportatori» (art. 1, n. 2). A tal fine, l'accordo prevede che «i paesi partecipanti, in conformità con gli obiettivi e i principi fondamentali del[l'] accordo, possono concludere degli accordi bilaterali a delle condizioni reciprocamente accettabili allo scopo, da un lato, di eliminare i rischi effettivi di disorganizzazione del mercato (...) dei paesi importatori e di disorganizzazione del commercio dei tessili dei paesi esportatori e, dall'altro, di garantire l'espansione e lo sviluppo ordinato del commercio dei tessili e l'equo trattamento dei paesi partecipanti» (art. 4, n. 2).

3.
    A seguito della dichiarazione di Punta del Este del 20 settembre 1986, venivano aperti dei negoziati internazionali finalizzati all'inserimento nel quadro del GATT del settore dei tessili e dell'abbigliamento, inserimento che comporta l'applicazione a tale settore della regolamentazione generale del GATT e quindi la tendenziale apertura dei mercati nazionali.

    Il 15 aprile 1994 veniva firmato a Marrakech l'atto finale dell'Uruguay Round, il quale comprende l'accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio e una serie di accordi commerciali multilaterali, allegati all'Accordo OMC, che includono l'Accordo sui tessili e l'abbigliamento (in prosieguo: l'«ATA»). La Comunità aderiva all'accordo con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell'Uruguay Round (1986-1994) (5).    

4.
    L'ATA contiene le regole relative al commercio internazionale dei tessili relative a un periodo transitorio di dieci anni che porterà al definitivo inserimento del settore nel quadro del GATT (art. 1 dell'ATA). Ai sensi dell'art. 2, n. 1, dell'ATA, tutte le restrizioni quantitative, quali quelle introdotte con accordi bilaterali, devono essere notificate, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore dell'ATA, all'organo di controllo dei tessili, istituito dallo stesso ATA (6). Alla data di entrata in vigore dell'Accordo OMC, ciascuno dei membri deve includere nel GATT prodotti dello stesso settore che nel complesso rappresentino almeno il 16% delle importazioni complessive dei membri nel 1990 (art. 2, n. 6). I rimanenti prodotti saranno inseriti in tre fasi che scadranno il primo giorno del 37° mese, il primo giorno dell'85° mese e, infine, il primo giorno del 121° mese successivo all'entrata in vigore dell'Accordo OMC. Allo scadere di questa terza fase, «il settore dei tessili e dell'abbigliamento dovrà essere incluso nel GATT 1994, e dovranno essere abolite tutte le restrizioni ai sensi del presente accordo» [art. 2, n. 8, in particolare lett. c)]. Infine, relativamente ai vari sistemi di flessibilità, l'art. 2, n. 16, dell'ATA prevede che «Le disposizioni relative alla flessibilità (swing, riporto e anticipo) applicabili a tutte le restrizioni mantenute ai sensi del presente articolo saranno le stesse previste negli accordi bilaterali AMF per il periodo di 12 mesi precedente l'entrata in vigore dell'Accordo OMC» (7). Inoltre «Non saranno imposti o mantenuti limiti quantitativi sull'impiego combinato delle varie forme di riporto (swing, riporto e anticipo)».

Gli accordi internazionali conclusi tra la Comunità europea e la Repubblica islamica del Pakistan e tra la Comunità europea e la Repubblica indiana

5.
    Il 15 ottobre e il 31 dicembre 1994 la Commissione ha parafato due memorandum d'intesa rispettivamente con il Pakistan e con l'India «avent[i] ad oggetto accordi nel settore dell'accesso al mercato di prodotti tessili».

    Il memorandum d'intesa con il Pakistan contempla una serie di impegni sia da parte della Comunità che da parte di questo Stato terzo. In particolare, il Pakistan si impegna ad eliminare tutte le restrizioni quantitative relative ad una serie di prodotti tessili specificamente elencati nell'allegato II del memorandum d'intesa. La Commissione invece si impegna ad eliminare «anteriormente all'entrata in vigore dell'OMC (...) tutte le restrizioni che attualmente limitano le importazioni di prodotti delle industrie manifatturiere e di quelle a conduzione familiare pakistane» (punto 7) ed «a prendere seriamente in considerazione le richieste di flessibilità straordinaria che il governo del Pakistan vorrà presentare relativamente alla gestione degli attuali contingentamenti [tariffari]» (punto 6).

    Il memorandum d'intesa con l'India stabilisce che il governo indiano consoliderà le tariffe applicate agli articoli tessili e di abbigliamento espressamente indicati nell'allegato al memorandum d'intesa, «questi tassi saranno notificati al segretariato OMC entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore dell'OMC». E' inoltre previsto che il governo indiano possa «introdurre dazi specifici alternativi per particolari prodotti» e che tali dazi «saranno determinati scegliendo l'importo più elevato fra una percentuale ad valorem ed una somma in INR per articolo/metro quadrato/kg» (punto 2). La Comunità europea, dal canto suo, sopprimerà, a partire dal 1° gennaio 1995, tutte le restrizioni alle esportazioni di prodotti provenienti da industrie manifatturiere e a conduzione familiare previste dall'art. 5 dell'accordo tra le Comunità europee e l'India (punto 5) (8). La Comunità si impegna a considerare favorevolmente le richieste di «flessibilità straordinaria presentate dal governo dell'India, in aggiunta alle flessibilità applicabili a norma dell'accordo bilaterale sui prodotti tessili» fino a determinati importi specificamente previsti nel memorandum di intesa (punto 6).

6.
    Su proposta della Commissione del 7 dicembre 1995 il Consiglio adottava, il 26 febbraio 1996, la decisione impugnata relativa alla conclusione dei dettiaccordi. Tale atto era approvato a maggioranza qualificata, con il voto contrario della Spagna, della Grecia e del Portogallo.

7.
    Gli accordi con l'India e il Pakistan erano quindi firmati rispettivamente l'8 e il 27 marzo 1996.

8.
    La summenzionata decisione del Consiglio del 26 febbraio 1996 era pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee il 27 giugno 1996.

La normativa comunitaria sui contingenti di importazione dei prodotti tessili

9.
    Il regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 3030, relativo al regime comune da applicare alle importazioni di alcuni prodotti tessili originari dei paesi terzi (in prosieguo: il «regolamento n. 3030/93») (9), fissa i limiti quantitativi delle importazioni comunitarie dei tessili provenienti dai paesi terzi. Ai sensi dell'art. 1, n. 1, così come modificato dal regolamento n. 3289/94 del 22 dicembre 1994, (10) il regolamento si applica: «- alle importazioni di prodotti tessili elencati nell'allegato I, originari di paesi terzi con i quali la Comunità ha concluso accordi bilaterali, protocolli ed altre intese, elencati nell'allegato II; - alle importazioni di prodotti tessili che non sono stati integrati nell'Organizzazione del commercio mondiale (OMC) ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 6, dell'accordo sui prodotti tessili e dell'abbigliamento (ATA), come elencato nell'allegato X e che sono originari di paesi terzi, membri dell'OMC, elencati nell'allegato XI».

    

Nel merito

Sulla violazione dei principi generali dell'ordinamento comunitario

10.
    Il governo portoghese contesta la legittimità della decisione del Consiglio deducendo che essa contrasta sia con i principi generali di diritto comunitario che con le norme dell'OMC. Con riferimento al primo profilo di illegittimità, il governo portoghese fa valere una serie di motivi di impugnazione, e precisamente: a) la violazione del principio della pubblicità delle norme comunitarie, b) la violazione del principio della trasparenza, c) la violazione del principio della cooperazione leale nei rapporti tra la Comunità e gli Stati membri, d) la violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, e) la violazione del principio della non retroattività delle norme giuridiche, f) la violazione del principio della coesioneeconomica e sociale e g) la violazione del principio dell'uguaglianza tra gli operatori economici.

    Tre di questi mezzi presentano un'autonomia rispetto agli argomenti fatti valere a sostegno dei mezzi riguardanti il conflitto tra la decisione e le regole dell'OMC e pertanto possono essere trattati sin d'ora. Essi sono il mezzo relativo alla violazione del principio della pubblicità [sub a)], quello relativo alla violazione del principio della trasparenza [sub b)] e quello relativo alla violazione del principio della non retroattività delle norme giuridiche [sub e)]. Successivamente saranno presi in conto gli altri quattro mezzi dedotti nel ricorso e ciò al termine dell'esame della compatibilità delle norme degli accordi bilaterali con quelle dell'accordo multilaterale OMC e dei suoi allegati.

11.
    Ebbene, quanto all'invocata violazione del principio della «pubblicità delle norme comunitarie», mi limito a ricordare che l'art. 191 del Trattato, che riguarda la pubblicazione degli atti comunitari, non prevede l'obbligo della pubblicazione delle decisioni di conclusione di accordi internazionali. Tuttavia, secondo una prassi ormai consolidata, gli atti del Consiglio, relativi alla conclusione di accordi internazionali, sono pubblicati sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. In linea di fatto rilevo comunque che la decisione impugnata, che risale al febbraio del 1996, è stata pubblicata nel giugno dello stesso anno e quindi circa quattro mesi dopo la sua adozione. Un tale ritardo non giustifica, a mio parere, l'annullamento dell'atto.

12.
    A sostegno del secondo mezzo, riguardante la violazione del principio della trasparenza, il governo portoghese invoca la risoluzione del Consiglio dell'8 giugno 1993, relativa alla qualità redazionale della legislazione comunitaria (11). Come rilevato dal Consiglio, tale risoluzione non ha effetti obbligatori (12) e quindi non vincola le istituzioni a seguire specifiche regole nella redazione degli atti normativi, sebbene costituisca un impegno politico a che tali atti siano redatti in modo chiaro e comprensibile per i destinatari e, più in generale, per tutti i soggetti interessati. In via di fatto, comunque, la decisione si presenta chiara in tutti i suoi aspetti e questo sia relativamente alla lettera delle sue disposizioni, riguardanti la conclusione di due accordi internazionali, sia relativamente alle norme contenute nei due memorandum di intesa, le quali prevedono una serie di impegni reciproci delle parti contraenti finalizzati alla progressiva liberalizzazione del mercato dei tessili. Il fatto, lamentato dallo Stato ricorrente, che la decisione non indichi espressamente le disposizioni di precedenti atti, che essa modifica o abroga non comporta la nullità dell'atto stesso, l'assenza di un tale riferimento non costituisceinfatti violazione di alcuna regola di diritto che ne possa giustificare l'annullamento. Anche questo mezzo quindi è a mio parere infondato.

13.
    L'illegittimità della decisione impugnata non può essere ricondotta nemmeno alla violazione del principio di non retroattività degli atti comunitari. E' vero che la decisione, che è stata adottata nel febbraio del 1996, riguarda la conclusione di due accordi in cui la Comunità ha assunto degli impegni - relativi alla progressiva apertura del mercato interno - a partire dal 1994 nei confronti del Pakistan, e a partire dal 1995 nei confronti dell'India, tuttavia a mio parere la previsione di tali impegni non comporta una violazione del principio della non retroattività invocato dallo Stato ricorrente.

    Il Consiglio osserva in proposito che i memorandum d'accordo sono stati parafati nel 1994 e che è quindi naturale che contengano delle disposizioni riguardanti le importazioni dei tessili effettuate a partire dal 1995. In ogni caso, sostiene l'istituzione resistente, la decisione impugnata fissando, quale data di entrata in vigore degli stessi accordi, il giorno della loro firma da parte dei soggetti contraenti, avvenuta l'8 e il 27 marzo 1996, non prevederebbe l'applicazione retroattiva dei medesimi. A mio parere, il Consiglio confonde l'entrata in vigore con l'efficacia temporale dell'atto. La decisione non contiene una disposizione specifica circa la sua entrata in vigore e quindi essendo stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee essa è entrata in vigore, secondo le regole generali, il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione (art. 191 del Trattato). Inoltre, la medesima decisione non prevede espressamente l'efficacia retroattiva delle sue disposizioni. Tuttavia, l'assenza di una tale previsione non comporta che, nella specie, l'atto impugnato non vincoli la Comunità per il periodo anteriore alla conclusione degli accordi in quanto questi contengono espressamente una serie di impegni della Comunità, come degli altri Stati contraenti, da assolvere già a partire dal 1994/95. Pertanto, contrariamente a quanto assume il Consiglio, non occorre stabilire quale sia l'effettiva data di entrata in vigore dell'atto, sulla base delle norme generali relative agli accordi internazionali, e in particolare sulla base dell'art. 24 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 22 maggio 1969, articolo che, ricordo, riguarda l'entrata in vigore degli accordi internazionali, ma occorre piuttosto valutare se, alla luce dei principi generali del diritto comunitario, le disposizioni degli accordi di cui è causa possano essere considerate efficaci a far data dal 1994/95.

    Il principio generale di non retroattività degli atti comunitari è stato interpretato, da una nota e consolidata giurisprudenza, nel senso che un atto può avere efficacia retroattiva, in via eccezionale, solo nel caso in cui il suo scopo giustifichi l'efficacia retroattiva e questa efficacia non violi il legittimo affidamento degli interessati. Nel caso di specie è evidente che la retroattività dell'atto di conclusione degli accordi è giustificata dal fatto che la Comunità si è espressamente impegnata, nei confronti degli altri Stati contraenti, a provvedere alla progressiva liberalizzazione dell'accesso dei prodotti tessili provenienti da tali Stati a partire dal1994/95 e che quindi l'eventuale slittamento, all'atto della conclusione degli accordi, dell'inizio del processo di apertura del mercato comunitario costituirebbe una modifica del testo dell'accordo (salvo a vedere se il regime previsto dagli accordi possa di fatto incidere sul commercio delle merci importate già prima dell'entrata in vigore dei medesimi). Per quanto riguarda poi il profilo dell'eventuale mancato rispetto del legittimo affidamento degli interessati, ritengo che non si possano individuare delle specifiche aspettative degli operatori del settore nel senso di un consolidamento dei contingenti di importazione, considerato che la liberalizzazione del mercato dei tessili è stata oggetto di lunghi negoziati nell'ambito dell'Uruguay Round e considerato altresì che, già all'inizio del 1995, la Commissione, proprio in applicazione del memorandum d'intesa concluso con l'India alla fine del 1994, ha abrogato, con il regolamento n. 3052/95 (13), il regolamento n. 3030/93, sulle importazioni dei prodotti tessili nella Comunità, nella parte in cui prevedeva la fissazione di contingenti tariffari per i prodotti tessili di artigianato provenienti dall'India. Sulla base di queste osservazioni ritengo dunque che anche questo mezzo sia da ritenere infondato.

Sulla violazione delle disposizioni degli accordi dell'organizzazione mondiale del commercio

-    Sulla ricevibilità dei mezzi relativi alla violazione delle disposizioni degli accordi dell'organizzazione mondiale del commercio

a)    Considerazioni generali: la giurisprudenza sull'effetto diretto delle norme GATT

14.
    A sostegno dell'invocabilità delle disposizioni dell'Organizzazione mondiale del commercio il governo portoghese rileva che, poiché la decisione impugnata, con cui sono stati conclusi gli accordi bilaterali con l'India ed il Pakistan sull'importazione di prodotti tessili, costituisce un atto di esecuzione delle disposizioni del GATT, tali disposizioni, pur essendo prive di effetto diretto, possono, secondo la nota sentenza 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (14), essere invocate nel presente giudizio. Il Consiglio contesta che l'atto impugnato costituisca un atto di esecuzione delle disposizioni dell'OMC e ritiene che, in realtà, il governo portoghese deduca un conflitto, quello tra l'accordo bilaterale tra la Comunità el'India e l'accordo multilaterale sui tessili -ATA- (allegato all'accordo sull'organizzazione mondiale del commercio), la cui cognizione rientrerebbe tra le competenze esclusive dell'organo di supervisione dei tessili previsto nel medesimo accordo multilaterale. La Commissione, dal canto suo, si limita a rilevare che le disposizioni dell'Organizzazione mondiale del commercio non potrebbero costituire un parametro di legittimità in quanto sono prive di effetto diretto per esplicita volontà del Consiglio, il quale, all'atto della conclusione dell'Accordo OMC, e precisamente nella decisione del 22 dicembre 1994, ha espressamente escluso l'invocabilità delle disposizioni di tale accordo e dei suoi allegati «dinanzi alle autorità giudiziarie della Comunità e degli Stati membri» (undicesimo 'considerando‘ della decisione 94/800).

    Per giudicare dell'ammissibilità dei motivi di illegittimità fatti valere dal governo portoghese è opportuno precisare quale sia l'efficacia degli accordi internazionali nell'ordinamento comunitario e ciò con particolare riguardo alla giurisprudenza relativa all'Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio.

15.
    L'art. 228, n. 7, del Trattato stabilisce che gli accordi conclusi - secondo le condizioni indicate nello stesso articolo - tra la Comunità e uno o più Stati ovvero un'organizzazione internazionale «sono vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati membri». Gli accordi internazionali costituiscono quindi delle fonti di diritto alla cui osservanza sono tenute le istituzioni. Essi, come enunciato nella sentenza Haegeman del 1974, costituendo, «per quanto riguarda la Comunità, un atto compiuto da una delle istituzioni della Comunità nel senso di cui all'art. 177, primo comma, lettera b) (...) formano, dal momento della loro entrata in vigore, parte integrante dell'ordinamento comunitario» (15). Nell'adottare atti di diritto derivato le istituzioni devono quindi conformarsi alle norme di origine convenzionale e ciò a partire dal momento della conclusione degli accordi internazionali. Un eventuale conflitto tra la fonte comunitaria e quella convenzionale costituisce, in via di principio, un vizio dell'atto comunitario che ne giustifica l'annullamento.

    La Corte, nell'espletamento della sua funzione di organo che assicura il rispetto del diritto comunitario e quindi di tutte le fonti che producono effetti all'interno dello stesso ordinamento, ivi compresi gli accordi internazionali conclusi dalla Comunità, ha riconosciuto la propria competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dei medesimi e ciò al fine di «garantire la (...) applicazione uniforme nell'intera Comunità» (16). In numerose sentenze aventi ad oggetto l'interpretazione di convenzioni internazionali la Corte ha poi affermato che, per valutare se una disposizione convenzionale produce effetti diretti negliordinamenti degli Stati membri è necessario, da un lato, accertare se la disposizione ha un contenuto chiaro, preciso ed incondizionato e, dall'altro, valutare tale contenuto alla luce dell'oggetto, dello scopo e del contesto della fonte pattizia (17).

16.
    Per quanto riguarda più particolarmente le norme contenute nel GATT o in accordi conclusi in sede GATT, il giudice comunitario ha escluso, in via di principio, la sua competenza sia ad interpretare le norme GATT che a giudicare della legittimità di atti comunitari confliggenti con tali norme ed ha pertanto negato a queste norme internazionali la natura di parametro di legittimità degli atti comunitari.

    Ma ripercorriamo la strada che ha portato la Corte a concludere per una tale esclusione. Nella causa International Fruit del 1972 (18), veniva sollevata una questione di validità in ordine a tre regolamenti relativi all'organizzazione comune dei mercati nel settore ortofrutticolo, regolamenti di cui si lamentava il conflitto con l'art. XI del GATT. La Corte ha confermato la propria competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità, anche nel caso in cui l'invalidità è dedotta da un conflitto con norme di diritto internazionale, ma ha affermato che, «affinché la validità di un atto comunitario possa risultare inficiata da una sua incompatibilità con una norma di diritto internazionale, occorre in primo luogo che questa norma sia vincolante per la Comunità». La Corte quindi pur confermando la propria competenza ad esaminare «i motivi d'invalidità tratti dal diritto internazionale», ha subordinato l'esercizio della sua competenza all'invocabilità della norma GATT davanti al giudice nazionale. La Corte ha infatti dichiarato che, «qualora tale motivo d'invalidità sia addotto dinanzi al giudice nazionale, è inoltre necessario che la stessa norma sia suscettibile di attribuire ai soggetti dell'ordinamento comunitario il diritto di farla valere in giudizio» (punti 4-9).

    La Corte è passata quindi ad analizzare se il GATT «attribuisca ai singoli cittadini della Comunità il diritto di far valere in giudizio le sue disposizioni avverso un atto comunitario». Ai fini di un tale accertamento, continua il giudice del Lussemburgo, «si deve aver riguardo allo spirito, alla struttura ed alla lettera delGATT stesso» (punti 19-20). Analizzando le caratteristiche dell'accordo GATT, la Corte è arrivata alla conclusione che le disposizioni di tale accordo non sono invocabili davanti ai giudici nazionali e ciò sulla base essenzialmente di due considerazioni: in primo luogo, tenendo conto della grande flessibilità delle norme che permettono molteplici possibilità di deroga, e in particolare la facoltà degli Stati di adottare atti unilaterali in caso di difficoltà eccezionali, e, in secondo luogo, dell'incompletezza del sistema di soluzione delle controversie tra gli Stati contraenti. La Corte ha quindi concluso nel senso che, sebbene in forza del Trattato CE la Comunità abbia assunto nell'ambito dell'applicazione del GATT dei poteri già spettanti agli Stati membri e sebbene le disposizioni di questo accordo siano da considerare vincolanti all'interno dell'ordinamento comunitario, l'Accordo generale non può tuttavia essere invocato dal singolo davanti al giudice nazionale e che, pertanto, essa Corte, non può giudicare del conflitto tra l'atto comunitario e la norma del GATT nel quadro di una questione di validità sollevata ai sensi dell'art. 177 del Trattato (19). Successivamente, nelle sentenze SIOT, SAMI e Chiquita (20) la Corte, seguendo lo stesso ragionamento, ha escluso altresì la propria competenza ad interpretare le norme GATT nel quadro di ricorsi ex art. 177 del Trattato.

17.
    Nella sentenza 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio, invocata dalle parti, una tale limitazione della competenza del giudice comunitario è stata ritenuta anche nell'ambito di procedure basate sull'art. 173 del Trattato. In tale sentenza è stato ribadito che la grande flessibilità delle disposizioni del GATT così come l'elasticità del sistema di soluzione delle controversie, non solo comportano che «i singoli della Comunità non possono farle valere in giudizio per contestare la legittimità di atti comunitari, [ma] ostano parimenti a che la Corte prenda in considerazione le disposizioni dell'Accordo generale per valutare la legittimità di un [atto comunitario] nell'ambito di un ricorso proposto da uno Stato membro ai sensi dell'art. 173, primo comma, del Trattato» (punto 109). In altri termini, data la non diretta applicabilità di tutto l'accordo GATT, non solo il giudice nazionale non può applicare le disposizioni pattizie e rimettere la questione pregiudiziale relativa ad un eventuale conflitto tra le due fonti, ma la stessa Corte non può giudicare della legittimità di un atto comunitario di cui si deduce, in un ricorso diretto di annullamento, il conflitto con una norma GATT. Ritiene infatti la Corte che «le diverse particolarità [delle disposizioni del GATT] mostrano che le norme dell'Accordo generale sono sprovviste di carattere incondizionato», ciò evidentementea prescindere dal contenuto eventualmente incondizionato delle medesime, e che «l'obbligo di riconoscere loro il valore di norme di diritto internazionale direttamente applicabili negli ordinamenti giuridici interni dei contraenti non può essere fondato sullo spirito, sulla struttura e sulla lettera dell'accordo». La Corte ne deduce poi che proprio in assenza di siffatto obbligo essa non è tenuta a controllare la legittimità di un atto comunitario di cui si deduce il conflitto con le norme GATT. Sempre nella stessa sentenza Germania/Consiglio, la Corte, rinviando a due precedenti pronunce (21), ha ammesso la competenza a effettuare tale controllo in soli due casi e precisamente «nell'ipotesi in cui la Comunità abbiainteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell'ambito del GATT o in quella in cui l'atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni dell'Accordo generale» (punto 111). La Corte quindi, rinviando a una giurisprudenza che sembra non inquadrarsi perfettamente in quella classica che nega l'effetto diretto delle norme GATT e quindi la loro applicabilità da parte del giudice comunitario, ha ritenuto che tali disposizioni producano effetti vincolanti all'interno dell'ordinamento comunitario solo nel caso in cui l'atto impugnato dìa esecuzione dell'Accordo generale, e quindi nel caso in cui sussista un rapporto funzionale tra le norme GATT e le norme comunitarie, e altresì nel caso in cui l'atto comunitario faccia espresso rinvio alla fonte internazionale.

18.
    La giurisprudenza richiamata suscita perplessità: in effetti è stato ritenuto necessario perché il GATT, così come gli accordi conclusi sulla base dell'Accordo generale, possano considerarsi fonte di diritto, e quindi parametro di legittimità degli atti comunitari all'interno dell'ordinamento comunitario, che le sue disposizioni possano essere invocate dai singoli in sede giurisdizionale. La necessità di tale condizione è stata affermata, per la prima volta, in una pronuncia pregiudiziale di validità e quindi in un procedimento sorto nell'ambito di un giudizio nazionale. La Corte è stata indotta ad escludere l'applicabilità delle norme GATT, nel caso della sentenza International Fruit, partendo dalla premessa che tali norme non erano invocabili davanti al giudice nazionale e che, pertanto, tale giudice non aveva titolo per sollevare la questione pregiudiziale di validità di un atto comunitario in rapporto alle norme pattizie in questione. Al riguardo, tengo solamente a rilevare che l'effetto diretto della disposizione invocata, quale parametro di legitimità di un atto comunitario, non costituisce di norma una condizione per giudicare della validità di tale atto nei casi in cui sia dedotto un conflitto con altre disposizioni comunitarie di rango superiore o con disposizioni di diritto internazionale diverse dall'Accordo generale (22). Perplessità ancora maggiori suscita poi l'esclusione dell'invocabilità delle stesse disposizioni del GATT sempre come parametro di legittimità da parte di soggetti privilegiati, quali gli Stati membri, nei procedimenti introdotti con ricorso diretto ex art. 173 del Trattato. Infatti, non si comprende perché si dovrebbe subordinare il funzionamento della convenzione internazionale, quale misura di legittimità di atti comunitari, allecondizioni che sono normalmente richieste, nello specifico ambito comunitario, per il riconoscimento dell'efficacia diretta delle disposizioni di convenzioni internazionali concluse dalla Comunità. A me sembra piuttosto che una norma convenzionale, in ragione del suo contenuto chiaro, preciso e incondizionato, possa in via di principio costituire un parametro di legittimità degli atti comunitari. Ciò non implica - alla luce del diritto comunitario in materia - che una norma avente tali caratteristiche attribuisca necessariamente ai singoli posizioni soggettive azionabili in sede giurisdizionale. Perché quest'ultimo effetto si produca nell'ordinamento comunitario, e cioè perché i singoli possano invocare la disposizione convenzionale dinanzi ai giudici, è necessario che risulti dal contesto complessivo dell'accordo che le norme pattizie siano invocabili dai singoli in giudizio. Sulla base di tali considerazioni, ritengo che l'eventuale esclusione della efficacia diretta di una norma convenzionale non giustifica il mancato riconoscimento del suo effetto vincolante nei confronti delle istituzioni comunitarie e quindi l'esclusione della sua funzione di parametro (comunitario) di legittimità.

    Ricondurre poi la competenza a interpretare e applicare le norme OMC solo al caso in cui si tratti di atti di esecuzione delle stesse fonti o di atti che contengano un rinvio espresso alle medesime significherebbe subordinare l'efficacia della norma convenzionale all'adattamento dell'ordinamento comunitario alla fonte internazionale tramite un atto di esecuzione o di attuazione, significherebbe quindi comprimere la portata del disposto dell'art. 228, n. 7, del Trattato, il quale prevede, secondo la stessa interpretazione della Corte di giustizia, che gli accordi internazionali sono efficaci all'interno dell'ordinamento comunitario a partire dal momento della loro conclusione.

b)     La diretta applicabilità delle disposizioni dell'OMC e la portata dell'undicesimo 'considerando‘ della decisione del Consiglio 94/800

19.
    Partendo da tali considerazioni, passiamo dunque all'analisi della efficacia, e quindi della eventuale diretta applicabilità - nel senso cui si è appena accennato -, delle disposizioni dell'OMC. E' stato giustamente sottolineato in dottrina che le norme dell'organizzazione mondiale del commercio per loro natura si differenziano dalle disposizioni del precedente accordo GATT: un accordo, quest'ultimo, di carattere transitorio che prevedeva un sistema di flessibilità e di competenze degli Stati membri che riduceva la capacità vincolante delle singole disposizioni e, secondo la stessa logica, non prevedeva (come sottolineato dalla stessa Corte) un sistema definito e chiuso di soluzione delle controversie. Pur dovendosi riconoscere, sulla base delle precedenti osservazioni, che tali caratteristiche non precludono, in linea di principio, la possibilità che una singola norma di un accordo internazionale comporti dei vincoli specifici per i soggetti di diritto internazionale - e quindi per le istituzioni che fanno capo a tali soggetti - che hanno ratificato l'accordo o che (come per la Comunità nell'ambito dell'accordo GATT del 1947) indirettamente a questi siano vincolati, si deve comunque prendere atto del processo di modificadegli accordi sulla liberalizzazione del commercio internazionale, processo che ha condotto alla creazione di un organismo internazionale a carattere istituzionale, quale l'Organizzazione mondiale del commercio, avente una struttura più equilibrata e stabile rispetto a quello istituito con l'accordo del 1947. Soprattutto, non si può non ammettere che innumerevoli disposizioni degli accordi allegati a quello istitutivo dell'organizzazione fanno nascere degli obblighi e dei divieti che hanno carattere incondizionato e comportano impegni precisi per i soggetti contraenti nelle loro reciproche relazioni.

    Per non dire poi della riforma del sistema di risoluzione delle controversie sulla quale molto si è scritto e, a giusto titolo, si è sottolineato che il sistema ormai non lascia grande libertà di reazione allo Stato che si ritiene vittima di un comportamento illegale di un altro contraente. Il sistema generale (23) prevede la costituzione di un Consiglio generale che esercita, tra l'altro, le funzioni di organo di conciliazione (art. IV, n. 3, Accordo OMC). L'organo di conciliazione nomina un panel che giudica in tutta autonomia dell'eventuale violazione della norma degli Accordi OMC (art. 6, n. 1, dell'intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie). Il rapporto del panel viene adottato dallo stesso organo a maggioranza dei voti dei membri presenti. L'unanimità è chiesta solo in caso di rigetto del rapporto, con la conseguenza che il veto eventuale dello Stato, cui è stata imputata la violazione di una disposizione OMC, non è sufficiente a compromettere l'adozione del rapporto medesimo (art. 16, n. 4, dell'intesa sulla soluzione delle controversie, già citata) (24).

20.
    Il Consiglio, all'atto della conclusione dell'Accordo OMC, ha dichiarato, nell'ultimo 'considerando‘ della decisione 94/800, che «l'accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio, compresi gli allegati, non è di natura tale da essere invocato direttamente dinanzi alle autorità giudiziarie della Comunità e degli Stati membri». Il Consiglio sembra avere così inteso limitare gli effetti dell'accordo e allinearsi al comportamento di altri contraenti che hanno manifestato l'esplicita volontà di limitare l'invocabilità delle disposizioni di detto accordo davanti ai giudici nazionali.

    Ora, sebbene la lettera del 'considerando‘ sia chiara, restano dubbi circa gli effetti che tale dichiarazione può produrre a livello internazionale, nelle relazioni con i paesi terzi, e a livello comunitario. E' appena il caso di rilevare che l'interpretazione dell'accordo fornita unilateralmente nell'ambito della procedura interna di prestazione del consenso non può - al di fuori del meccanismo delle riserve - limitare gli effetti dell'accordo stesso. Questa interpretazione, che privilegia il contenuto oggettivo delle disposizioni dell'accordo rispetto a quella che risulta dalla volontà espressa in dichiarazioni unilaterali ad esso esterne è conforme al diritto consuetudinario in materia di interpretazione dei trattati, diritto codificato nella Convenzione di Vienna del 22 maggio 1969, in particolare nei suoi artt. 31-33 (25). Secondo tale giurisprudenza «Embodying customary international law, Article 31 provides that a treaty must be interpreted in good faith in accordance with the ordinary meaning to be given its terms in their context and in light of its object and purpose. The text of the treaty is the primary source for interpretation, while external aids such as travaux préparatoires, constitute a supplementary source» (26).

    Per quanto riguarda la portata di tale dichiarazione nell'ambito dell'ordinamento comunitario, basti qui sottolineare che gli Accordi OMC, per la loro natura di convenzioni internazionali, vincolano tutte le istituzioni (ex art. 228, n. 7, del Trattato più volte richiamato) e pertanto costituiscono una fonte di diritto comunitario, con la conseguenza che la Corte di giustizia è tenuta ad assicurarne il rispetto sia da parte delle stesse istituzioni comunitarie che da parte degli Stati membri, e con l'ulteriore conseguenza che il Consiglio non può, con un atto didiritto derivato, limitare questa competenza della Corte, né decidere di escludere la competenza dei giudici nazionali in ordine all'applicazione delle stesse fonti (27).

    Sulla base di tali considerazioni ritengo che, contrariamente a ciò che ha affermato la Commissione, la dichiarazione contenuta nell'undicesimo 'considerando‘ della decisione abbia carattere meramente politico e come tale non possa avere nessuna incidenza sulla competenza del giudice, sia esso comunitario o nazionale, ad interpretare ed applicare le norme contenute negli Accordi OMC.

21.
    Allo stesso modo non si può ritenere che assumano rilievo le eventuali dichiarazioni di altri Paesi, aderenti agli Accordi OMC, relative al mancato riconoscimento dell'efficacia diretta delle disposizioni pattizie. Tali dichiarazioni, infatti, non incidono sulla portata di queste disposizioni e quindi sulla loro efficacia vincolante nel quadro dell'ordinamento comunitario. In altri termini, sono restio a ritenere che queste dichiarazioni possano giustificare tout court la limitazione dell'efficacia vincolante di tutto il complesso degli Accordi OMC e ciò nei confronti di tutti gli altri Stati contraenti. Per ammettere la non vincolatività delle norme OMC, sulla base della reciprocità degli impegni assunti in sede internazionale, potrebbe essere determinante invece la effettiva inosservanza di una o più disposizione dell'accordo da parte di uno Stato contraente, inosservanza accompagnata dalla effettiva inesistenza di adeguati strumenti di tutela in ordine ad eventuali violazioni e inadempimenti delle stesse autorità statali. Al riguardo va infatti considerato che, sulla base della norma di diritto internazionale consuetudinario inadimplenti non est adimplendum, la violazione di una disposizione pattizia da parte di uno Stato terzo, sempre che abbia carattere sostanziale, può giustificare la sospensione o addirittura l'estinzione dell'accordo e ciò nei confronti di tutti gli Stati contraenti o anche nei soli confronti dello Stato inadempiente (art. 60 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati) (28). Una tale inosservanzapotrebbe quindi giustificare la sospensione dell'Accordo OMC e quindi l'esclusione della applicazione della disposizione convenzionale in sede giudiziaria (29).

22.
    Vale la pena di aggiungere che l'inadempimento di una parte contraente non è la sola causa che potrebbe giustificare la sospensione e quindi la non applicazione in sede giudiziaria dell'Accordo OMC. Infatti, l'Accordo OMC così come gli altri accordi internazionali ad esso allegati non escludono la possibilità di fare ricorso a tutte le cause di estinzione o sospensione del trattato previste dal diritto consuetudinario, cause che si ritrovano codificate nella Convenzione di Vienna agli articoli da 54 a 64 (quali, per esempio, la regola rebus sic stantibus).

    La non applicazione e quindi la non vincolatività delle norme pattizie potrebbe poi imporsi, anche in assenza di un atto di sospensione e di estinzione dell'Accordo, tutte le volte che l'esecuzione di un impegno in sede OMC comporti per la Comunità il rischio di compromettere l'equilibrato funzionamento dell'ordinamento comunitario ed il conseguimento delle finalità che lo caratterizzano. In altri termini, tutte le volte in cui l'esecuzione degli Accordi OMC costituisca un'inosservanza di norme di diritto comunitario primario o di principi generali che hanno assunto nell'ordinamento comunitario rango di norme costituzionali, la Corte può, a mio parere, considerare illegittimo l'obbligo assuntoin sede convenzionale e non applicare la norma pattizia al caso di specie. Anche se ciò potrà dare luogo ad un illecito internazionale imputabile alla Comunità, la Corte, che ha il compito di assicurare il rispetto della autonomia dell'ordinamento, sarà tenuta a disapplicare le disposizioni che impongono alle istituzioni comportamenti non compatibili con il buon funzionamento e con gli scopi del trattato.

23.
    Il Consiglio rileva nelle sue difese che gli Accordi OMC prevedono un sistema autonomo di soluzione delle controversie che sottrarrebbe al giudice comunitario la competenza ad interpretare e applicare le norme pattizie. A mio avviso, il sistema previsto negli Accordi OMC, e in particolare nell'intesa sulla risoluzione delle controversie, non comporta alcuna limitazione della competenza della Corte di Giustizia, e ciò, in primo luogo, perché esso non prevede la costituzione di un organo avente natura giurisdizionale ma si presenta come un sistema di conciliazione tra soggetti internazionali: l'organo che adotta le decisioni o raccomandazioni ha infatti natura politica e ad esso non hanno accesso i soggetti di diritto interno; e, in secondo luogo, perché l'istituzione di un organo di natura giurisdizionale, la cui competenza non si limitasse ad interpretare e applicare l'accordo ma comprendesse anche il potere di annullare atti delle istituzioni comunitarie, sarebbe incompatibile con l'ordinamento giuridico comunitario, in quanto in palese contrasto con l'art. 164 del Trattato (30). In ogni caso, è evidente che il controllo interno dell'osservanza delle norme pattizie, da parte delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri, non fa che offrire una maggiore garanzia in ordine alla esecuzione degli impegni assunti a livello internazionale ed è quindi in armonia con le finalità dell'accordo. Il fatto poi che le parti contraenti si sono impegnate a fare ricorso al sistema di soluzione delle controversie, previstodagli Accordi OMC, ai fini della composizione delle controversie originate dalle violazioni di tale accordo e dalla eventuale adozione di misure di ritorsione, non esclude che le parti stesse possano annullare o sanzionare atti interni eventualmente contrari alle norme pattizie.

24.
    Per le considerazioni che precedono ritengo che, nella specie, trattandosi di un ricorso diretto, ex art. 173 del Trattato, di uno Stato membro contro un atto del Consiglio, non sussista alcun profilo di inammissibilità in ordine alla invocabilità degli Accordi OMC da parte del ricorrente.

-    Nel merito (a) dei mezzi relativi alla violazione delle disposizioni degli accordi dell'organizzazione mondiale del commercio e (b) dei mezzi che presentano una attinenza con la pretesa incompatibilità tra le fonti pattizie

25.
    a) Il governo portoghese deduce il conflitto della decisione impugnata con le norme OMC sotto quattro profili. Esso contesta la legittimità della facoltà, riconosciuta al governo indiano, di reintrodurre dei dazi specifici alternativi e di rilasciare licenze di esportazione secondo modalità non previste dagli Accordi OMC: tale facoltà sarebbe in contrasto sia con l'art. II dell'accordo GATT che con le disposizioni dell'accordo relativo alle procedure in materia di rilascio delle licenze d'importazione (che figura tra gli allegati 1A dell'Accordo OMC). Deduce altresì l'illegittimità dello squilibrio tra gli impegni assunti dalla Comunità e quelli assunti dall'India e dal Pakistan in ordine all'apertura dei rispettivi mercati dei tessili, e ciò in particolare con riguardo alla possibilità di accogliere domande di flessibilità eccezionali. Invoca, infine, la violazione dell'obbligo di pubblicare gli accordi internazionali previsto dall'art. X del GATT.

26.
    Prima di esaminare la fondatezza di tali mezzi, è opportuno richiamare brevemente il testo dei memorandum d'intesa.

    Il memorandum d'intesa con il Pakistan contempla una serie di impegni sia da parte della Comunità che da parte di questo Stato. In particolare, il Pakistan si impegna ad eliminare tutte le restrizioni quantitative relative ad una serie di prodotti tessili specificamente elencati nell'allegato II del memorandum d'intesa. E' prevista comunque la possibilità che il Pakistan nel caso in cui «dovesse trovarsi in una situazione critica o sorgessero difficoltà riguardo alla situazione della bilancia dei pagamenti [possa] a norma del GATT 1994 ed dell'OMC rintrodurre dopo le dovute consultazioni con la Commissione europea restrizioni quantitative» (punto 4). La Commissione invece si impegna ad eliminare «anteriormente all'entrata in vigore dell'OMC tutte le restrizioni che attualmente limitano le importazioni di prodotti delle industrie manifatturiere e di quelle a conduzione familiare pakistane» (punto 7) ed «a prendere seriamente in considerazione le richieste di flessibilità straordinaria che il governo del Pakistan vorrà presentare relativamente alla gestione degli attuali contingentamenti [tariffari]» (punto 6).

    Il memorandum d'intesa con l'India stabilisce che il governo indiano consoliderà le tariffe applicate agli articoli tessili e di abbigliamento espressamente indicati nell'allegato al memorandum d'intesa, «questi tassi saranno notificati al segretariato OMC entro sessanta giorni dalla data dell'entrata in vigore dell'OMC». Tuttavia, «qualora il processo di integrazione contemplato dall'articolo 2, sottoparagrafi 6 e 8 dell'Accordo OMC sui prodotti tessili e dell'abbigliamento non giunga a compimento o venga ritardato, i dazi torneranno ai livelli del 1° gennaio 1990». E' inoltre previsto che il governo indiano possa «introdurre dazi specifici alternativi per particolari prodotti» e che tali dazi «saranno determinati scegliendo l'importo più elevato fra una percentuale ad valorem ed una somma in INR per articolo/metro quadrato/kg» (punto 2). Il governo indiano si dichiara disposto, nel caso in cui la Comunità «ritenesse che questi dazi producano effetti negativi» sulla esportazione di tali prodotti, «a risolvere le questioni emerse in maniera vantaggiosa per entrambi le parti attraverso sollecite consultazioni» con la Comunità (punto 2). La Comunità europea, dal canto suo, sopprimerà, a partire dal 1° gennaio 1995, tutte le restrizioni alle esportazioni di prodotti provenienti da industrie manifatturiere e a condizione familiare previste dall'articolo 5 dell'accordo tra le Comunità europee e l'India (punto 5). La Comunità si impegna a considerare favorevolmente le richieste di «flessibilità straordinaria presentate dal governo dell'India, in aggiunta alle flessibilità applicabili a norma dell'accordo bilaterale sui prodotti tessili» fino a determinati importi specificamente previsti nel memorandum di intesa. Si prevede, infine, che il governo indiano faccia ricorso a tali flessibilità straordinarie sotto forma di riporti e trasferimenti fra categorie, in funzione di quanto consentito dalla utilizzazione dei contingenti (punto 6).

27.
    Il governo portoghese sostiene, quanto al primo profilo di illegittimità, che il fatto che il punto 2 del memorandum d'intesa con l'India preveda che tale Stato può «introdurre dazi specifici alternativi per particolari prodotti» e che può imporre tali dazi sulla base del valore della merce ovvero in relazione ai «dati relativi ai prezzi di esportazione forniti alla Comunità», costituisce un diritto che è in palese contrasto con l'obbligo di consolidamento dei dazi doganali previsto dall'art. II del GATT. Il fatto poi che sia prevista la possibilità che il governo indiano modifichi il sistema dei dazi qualora questi «producano effetti negativi» sulle esportazioni dalla Comunità non escluderebbe, secondo il ricorrente, l'illegalità del sistema.

    Il secondo profilo di illegittimità dedotto dal governo Portoghese riguarda, come si è già enunciato, la procedura di rilascio delle licenze di esportazione. Dall'allegato del memorandum di intesa con l'India risulterebbe infatti che tale Paese continuerà a rilasciare licenze di importazione speciale (che corrispondono all'acronimo LIS). Tali licenze, rileva lo Stato ricorrente, sono normalmente rilasciate dal governo ad esportatori indiani, i quali le rivendono ad operatori di altri Paesi oppure ad importatori indiani: esse non sarebbero quindi rilasciate agli stranieri che intendono esportare in India, ma ad operatori interni che li rivenderebbero poi ad un prezzo che non è controllato dalle autoritàamministrative. Tale sistema sarebbe in contrasto con le regole relative alla procedura previste dall'accordo che figura all'allegato 1 A all'Accordo OMC.

    Questo accordo prevede due procedure di rilascio delle licenze di importazione: la prima impone il rilascio automatico delle licenze a tutti gli operatori che ne facciano domanda (art. 2), la seconda non prevede il rilascio ma obbliga lo Stato a non introdurre, nel commercio dei prodotti, restrizioni superiori a quelle risultanti dalla imposizione di una determinata limitazione quantitativa. Sempre nel quadro di tale procedura è previsto che gli Stati devono rendere noti l'ammontare totale dei contingenti di importazione, in termini di volume e/o di valore, le date di apertura e di chiusura del periodo di applicazione e ogni relativa modifica [articolo 3, lett. b)]. Una volta fissato il sistema di rilascio delle licenze, ogni «persona fisica, società e/o istituzione che soddisfi i requisiti locali e amministrativi previsti dall'importatore membro ha diritto, a pari condizioni, a presentare domanda per una licenza di importazione e a vederla prendere in considerazione». In caso di rigetto della domanda, il richiedente potrà chiedere la motivazione della decisione, proporre appello o chiederne la revisione conformemente alla legislazione o alle procedure interne dell'importatore membro [art. 3, lett. e)].

28.
    Il terzo profilo di contrasto con le norme OMC riguarda l'equilibrio degli impegni assunti dalle parti contraenti. Il governo portoghese infatti rileva che l'India e il Pakistan hanno in realtà concesso un'apertura «aleatoria» del loro mercato, considerando che, da un lato, l'India si è riservata la possibilità di reintrodurre in modo arbitrario e discrezionale dei dazi specifici e di lasciare in vita il sistema delle licenze speciali e, dall'altro, che la Comunità ha assunto l'impegno di concedere delle flessibilità di carattere eccezionale, cioè di dare seguito alle domande di deroga ai contingenti tariffari fissati per l'importazione dei prodotti tessili provenienti da tali territori. Tale sistema di flessibilità creerebbe un contingente globale di importazione relativo a tutte le categorie di prodotti tessili, facendo venir meno i limiti quantitativi imposti per ogni categoria di tessili a tutela dei produttori comunitari, e genererebbe altresì una forte accelerazione del processo di liberalizzazione concordato nel quadro dell'accordo sui tessili allegato all'Accordo OMC. Un tale squilibrio sarebbe in evidente contrasto con gli artt. 4 e 7 dell'ATA.

    Ricordo che il citato art. 4 prevede, al punto 2, che «l'introduzione di modifiche nella prassi, nelle regole, nelle procedure (...) nell'attuazione o nell'amministrazione delle restrizioni notificate o applicate ai sensi [dell'accordo ATA] non devono: perturbare l'equilibrio tra diritti o obblighi dei membri interessati ai sensi [dello stesso] accordo» e non devono «disorganizzare il commercio» dei tessili. Inoltre, l'art. 7 prevede, in particolare al punto 1, che tutti i membri sono tenuti ad intraprendere «azioni necessarie per conformarsi alle regole e alle discipline del GATT 1994». Essi devono tra l'altro «evitare ogni discriminazione nei confronti delle importazioni nel settore dei tessili e dell'abbigliamento» (lett. c).

29.
    Prima di passare all'esame di tali gravami, che si analizzeranno congiuntamente dato l'evidente collegamento tra le varie argomentazioni, occorre sottolineare che le disposizioni OMC invocate a parametro di legittimità degli atti comunitari hanno un contenuto chiaro, preciso e incondizionato: l'art. II dell'accordo GATT prevede un esplicito divieto di introdurre nuove restrizioni all'importazione, mentre l'accordo relativo alle procedure in materia di licenze d'importazione, allegato all'Accordo OMC, contiene specifici obblighi degli Stati contraenti in ordine all'adozione del sistema interno di rilascio delle licenze. Gli artt. 4 e 7 dell'ATA prevedono esplicitamente il divieto di misure che possono incidere sul sistema «armonizzato» in ambito OMC e sul processo di liberalizzazione previsto dall'accordo stesso.

    Ebbene, atteso il contenuto delle disposizioni richiamate degli accordi bilaterali impugnati - in particolare dell'accordo concluso con l'India - e di quelle degli accordi multilaterali, non si può non pervenire alla conclusione che delle diseguaglianze di sistema sussistono tra le disposizioni OMC invocate dal Portogallo e quelle degli accordi bilaterali e ciò in relazione a tutti i profili invocati dallo Stato ricorrente. Tuttavia, a mio parere, una tale diversità di contenuti non comporta una incompatibilità tra gli accordi multilaterali OMC e gli accordi bilaterali di cui è causa, ma semplicemente una modifica degli accordi precedenti. Secondo il diritto internazionale consuetudinario, le parti di un accordo multilaterale possono,in via di principio, modificare, con una convenzione bilaterale successiva, le proprie reciproche relazioni sempre che, come dispone l'art. 41, punto 1, lett. b), della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati che trascrive una regola consuetudinaria, la modifica «i) ne porte atteinte ni à la jouissance par les autres parties des droits qu'elles tiennent du traité ni à l'exécution de leurs obligations; et ii) ne porte pas sur une disposition à laquelle il ne peut être dérogé sans qu'il y ait incompatibilité avec la réalisation effective de l'objet et du but du traité pris dans son ensemble». Perché un accordo bilaterale sia considerato incompatibile con un accordo multilaterale precedente è necessario dunque - limitatamente al profilo che rileva nella specie - che quest'ultimo pregiudichi in modo sostanziale gli effetti del primo accordo e ciò in particolare in relazione ai diritti e agli obblighi assunti dalle parti contraenti che non hanno partecipato al secondo accordo. L'eventuale incompatibilità, comunque, come è stato giustamente rilevato dalla Commissione, non sarebbe, dal punto di vista del diritto internazionale, causa di invalidità dell'accordo bilaterale successivo ma potrebbe eventualmente dare luogo ad un illecito internazionale della Comunità nei confronti delle Parti all'accordo multilaterale precedente.

    In ogni caso, nella specie, pare evidente che l'accordo tra la Comunità e l'India così come quello tra la Comunità e il Pakistan non solo non incidono in alcun modo sulle relazioni trale Parti contraenti dei due accordi bilaterali e quelle che hanno aderito agli Accordi OMC, ma non compromettono nemmeno gli impegni reciproci assunti nel quadro dei negoziati internazionali. A tale riguardo il fatto che uno Stato membro della Comunità, quale il Portogallo, subisca deglieffetti pregiudizievoli in ragione del contenuto degli accordi bilaterali, non rileva, contrariamente a quanto assume il governo portoghese, ai fini dell'esame di tale profilo di legittimità dei due accordi bilaterali. Sebbene gli Stati membri della Comunità abbiano aderito in via autonoma agli Accordi OMC, data la loro natura di accordi misti, tuttavia essi non possono considerarsi parte terza rispetto ad una convenzione bilaterale, quale quella di specie, conclusa dalla Comunità successivamente all'entrata in vigore degli accordi multilaterali. Gli accordi contestati sono infatti stati conclusi dal Consiglio sulla base di competenze esclusive relative al settore della politica commerciale comune. Tali competenze gli sono espressamente attribuite dalle disposizioni del Trattato (art. 113) e quindi gli sono state direttamente trasferite dagli Stati membri. Ne consegue che il Portogallo è da considerare parte contraente non solo degli accordi multilaterali OMC ma anche degli accordi bilaterali conclusi rispettivamente con l'India ed il Pakistan.

    Dal punto di vista del contenuto delle fonti pattizie di cui è causa, rilevo che gli accordi bilaterali, contrariamente a quanto è stato sostenuto dallo Stato ricorrente, accentuano l'integrazione dei mercati dei tessili dei paesi contraenti e quindi sono in armonia con gli obiettivi degli accordi multilaterali invocati, e ciò sia in ordine ai rapporti reciproci che in ordine ai rapporti con gli altri Paesi aderenti all'OMC. Risulta, infatti, dalle dichiarazioni delle parti che l'India e il Pakistan hanno offerto, come concessioni di partenza del processo di liberalizzazione, l'apertura di quote di mercato irrisorie e che la negoziazione di accordi bilaterali con tali Stati è stata decisa proprio al fine di realizzare l'obiettivo dell'Accordo OMC consistente nell'apertura graduale e completa dei reciproci mercati. Sembrerebbe quindi che le modeste concessioni iniziali che l'India è tenuta ad assicurare siano comunque inferiori a quelle previste nell'accordo bilaterale. Il fatto poi che, secondo quest'ultimo, l'India, nonostante il suo impegno a consolidare i dazi esistenti (dazi che sinora vengono peraltro notificati al segretariato OMC) possa introdurre nuovi dazi e quindi non osservare tale impegno di consolidamento non si ispira sicuramente alla logica generale del sistema OMC. Tuttavia l'introduzione di tali dazi non pare incidere sul processo di liberalizzazione del commercio dei tessili contemplato dall'accordo multilaterale dato il carattere eventuale e provvisorio di tale misura. Allo stesso modo, la possibilità prevista nell'accordo con l'India che questo Paese rilasci delle «licenze di importazione speciali», secondo una procedura - descritta dal governo portoghese e non contestata dalle altre parti contraenti - che prevede che i destinatari delle licenze siano gli operatori indiani e non gli esportatori, non si ispira alle regole generali di procedura previste dal citato accordo multilaterale. Nonostante ciò, una tale previsione non sembra incidere sugli effetti dell'Accordo OMC: le licenze infatti sono richieste per un arco di tempo determinato (v. la colonna LSI che figura nell'allegato dell'accordo) e non riguardano la totalità dei prodotti.    

    Per quanto riguarda poi il lamentato «squilibrio» tra le prestazioni delle parti contraenti, risulta dal testo dei due memorandum una differenza evidente tra i tempi previsti per l'apertura dei rispettivi mercati. Gli accordi prevedono infatti l'impegno della Comunità ad eliminare, anteriormente alla entrata in vigoredell'Accordo OMC, le attuali restrizioni all'importazione dei tessili di produzione artigianale e, altresì, ad accogliere le eventuali domande di flessibilità eccezionale, cioè di deroga ai sistemi di contingenti di importazione fissati dalla Comunità. A fronte di tali impegni, il Pakistan si dichiara pronto ad eliminare tutte le restrizioni quantitative relative ad una lista determinata di prodotti tessili allegata all'accordo, mentre l'India si obbliga semplicemente a non inserire nuovi dazi, e quindi a non limitare ulteriormente l'importazione dei prodotti tessili, riservandosi però la possibilità di reintrodurre dazi specifici ad valorem rilasciando tra l'altro le dette licenze speciali di importazione. Un tale squilibrio tuttavia non è causa di invalidità dell'accordo, in quanto il diritto internazionale dei trattati non impone la perfetta corrispondenza delle prestazioni delle parti contraenti e, inoltre, in quanto le disposizioni dell'OMC - in particolare gli artt. 4 e 7 dell'ATA invocati dal governo portoghese - non vietano, nemmeno implicitamente, la conclusione di accordi bilaterali che hanno un tale contenuto, ma unicamente le misure che incidono sugli effetti dell'accordo multilaterale limitando il processo di liberalizzazione dei mercati previsto dagli Accordi OMC. Ora, per le considerazioni già fatte, ritengo che gli accordi di cui si contesta la legittimità non producano un tale effetto (31). Inoltre, le disposizioni OMC invocate non vietano, contrariamente a quanto assume il governo portoghese, un sistema di flessibilità, cioè di deroga dei contingenti d'importazione, quale quello previsto dagli accordi con l'India e il Pakistan.

30.
    Sull'ultimo profilo di illegittimità, dedotto dal governo portoghese, riguardante l'inosservanza dell'obbligo di pubblicazione degli accordi internazionali previsto dall'art. X del GATT (32), mi limito a rinviare a quanto in precedenza considerato in punto di fatto circa l'infondatezza delle argomentazioni dello Stato ricorrente sulla pretesa violazione del medesimo obbligo imposto dal diritto comunitario. E' vero che la decisione, accompagnata dai due memorandum d'intesa, è stata pubblicata successivamente alla impugnazione da parte del Portogallo e solo quattro mesi dopo la sua adozione, tuttavia un tale ritardo, non essendo particolarmente prolungato, non giustifica, a mio parere, l'annullamento della decisione per violazione delle norme internazionali invocate.

31.
    b) Passo ora all'esame dei mezzi del ricorso relativi alla violazione di principi di diritto comunitario che presentano un'attinenza con gli argomenti dedotti a sostegno del lamentato contrasto tra gli accordi bilaterali conclusi con l'India e il Pakistan e gli Accordi OMC. Si tratta dei mezzi relativi alla violazione del principio della cooperazione leale nei rapporti tra la Comunità e gli Stati membri, alla violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, alla violazione del principio della coesione economica e sociale e, infine, alla violazione del principio dell'uguaglianza tra gli operatori economici.

32.
    Quanto al mezzo relativo alla cooperazione leale nei rapporti tra le istituzioni comunitarie e gli Stati membri, il governo portoghese sostiene che gli accordi bilaterali sono stati conclusi senza tener conto della posizione dello stesso governo relativa all'apertura del mercato comunitario nei confronti dell'India e del Pakistan. Lo Stato ricorrente ricorda di aver dichiarato a più riprese la volontà di aderire agli Accordi OMC solo nel caso in cui la Comunità non avesse derogato agli impegni assunti in sede multilaterale offrendo, a questi due ultimi Stati terzi, concessioni di apertura del mercato per quantitativi superiori a quelli proposti in sede OMC. Tale posizione sarebbe stata ufficialmente espressa, in particolare, nella riunione del Consiglio del 15 dicembre 1993, in cui si è decisa l'adesione agli Accordi OMC, e nella lettera del 7 aprile 1994 del Ministro degli Affari esteri portoghese indirizzata al Consiglio (33). Nonostante le dichiarazioni dello Stato ricorrente, il Consiglio avrebbe negoziato gli accordi con l'India e con il Pakistan prevedendo un'accelerazione del processo di apertura del mercato dei tessili e quindi lo smantellamento dei contingenti tariffari comunitari per questi prodotti.

    Il Consiglio non contesta la ricostruzione dei fatti del governo portoghese, ma sottolinea che la posizione da questo espressa, in particolare nella lettera del Ministro degli Affari esteri del 7 aprile 1994, sarebbe di carattere politico e sarebbe all'origine dell'adozione del regolamento n. 852/95 con il quale il Consiglio haconcesso una serie di stanziamenti in favore dell'industria tessile portoghese (34). L'istituzione convenuta fa valere che, poiché la decisione impugnata costituisce un atto di politica commerciale, essa può essere adottata a maggioranza qualificata dei membri del Consiglio (art. 113, n. 4, del Trattato). Ora, però il riconoscere a tale posizione del Portogallo una rilevanza ai fini della adozione della decisione comporterebbe la messa in discussione della base legale dell'atto impugnato, in quanto l'atto richiederebbe per la sua adozione non la maggioranza qualificata, ma bensì l'unanimità.

    Le argomentazioni del Consiglio sembrano fondate. La posizione assunta dal governo portoghese, ed in particolare la citata dichiarazione del ministro del 7 aprile 1994, ha infatti carattere meramente politico e quindi come tale non può rilevare ai fini del giudizio di legittimità della decisione. Quand'anche si considerasse che tale posizione produca effetti giuridici, questa costituirebbe piuttosto una riserva apposta all'adesione del Portogallo agli Accordi OMC e non potrebbe pertanto compromettere la validità degli accordi bilaterali impugnati. Rilevo, inoltre, che l'invocato principio di cooperazione tra istituzioni e Stati è inteso a garantire la realizzazione degli obiettivi del Trattato ma non incide sulla individuazione della base legale degli atti comunitari e quindi sulla procedura legislativa da seguire per la loro adozione (35). Nel caso di specie, la decisione impugnata è manifestamente un atto di politica commerciale comune da adottare a maggioranza qualificata secondo quanto previsto dall'art. 113, n. 4, del Trattato. Ne consegue che la posizione contraria del governo di uno Stato membro non comporta alcun vizio che ne possa giustificare l'annullamento. Pertanto tale mezzo di annullamento è da considerare infondato.

33.
    Inoltre, secondo il governo portoghese, il Consiglio, nell'adottare la decisione impugnata, avrebbe violato il principio della tutela del legittimo affidamento: gli accordi conclusi con l'India e con il Pakistan comporterebbero una forte accelerazione del processo di liberalizzazione del commercio dei prodotti provenienti da tali Stati e quindi farebbero venir meno tutte le aspettative che gli operatori comunitari del settore avrebbero acquisito grazie al graduale processo di apertura del mercato previsto dagli Accordi OMC, in particolare dall'accordo ATA, e dalla normativa comunitaria in vigore, in particolare dal regolamento n. 3030/93 così come modificato dal regolamento n. 3289/94 che traspone nel dirittocomunitario quanto concordato con l'accordo ATA. Il Consiglio rileva in proposito che gli accordi bilaterali non incidono in modo sostanziale sul contenuto degli impegni assunti in sede multilaterale, in quanto sia la progressiva apertura dei mercati delle parti contraenti sia la possibilità di concedere delle flessibilità eccezionali, cioè delle deroghe ai limiti quantitativi di importazione, non alterano di molto il quadro prospettato negli Accordi OMC. Il Consiglio dubita che gli operatori del settore avrebbero potuto ignorare l'apertura di negoziati bilaterali della Comunità con l'India e il Pakistan per la conclusione di accordi sul commercio dei tessili, considerando che già nel dicembre del 1993 il direttore generale del GATT aveva invitato la stessa Comunità a chiudere i negoziati bilaterali con questi due Paesi terzi.

    Al riguardo mi preme fare due considerazioni. In primo luogo, ricordo che ad una regolamentazione come quella di specie, relativa a dei quantitativi generali di importazione per determinate categorie di prodotti, non può ricondursi la costituzione in capo ai singoli operatori economici di aspettative concrete e specifiche tali da comportare il legittimo affidamento a che la normativa in vigore non sia oggetto di modifica. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, il rispetto del principio del legittimo affidamento non può giustificare l'immodificabilità di una disciplina, e ciò in particolare in settori - come quello dell'importazione dei tessili - nei quali è necessario, e quindi ragionevolmente prevedibile, il continuo adattamento delle regole in funzione dei mutamenti della situazione economica (36). In secondo luogo, rilevo che, sebbene dai termini degli accordi bilaterali risulti che, grazie alle varie tappe di apertura del mercato comunitario e grazie alla espressa possibilità di accordare delle deroghe ai contingenti tariffari di importazione, la Comunità ha concesso un'apertura del mercato comunitario in tempi più brevi rispetto a quelli previsti negli accordi multilaterali, tuttavia, data la portata della differenza nei tempi previsti per la liberalizzazione, ciò non comporta, come già visto, un reale conflitto con le disposizioni OMC e in particolare con quelle dell'ATA. Ne consegue che non si ravvisano apprezzabili differenze di trattamento tra i prodotti indiani e pakistani, da una parte, e quelli provenienti dagli altri Stati che hanno aderito all'OMC, dall'altra, e comunque differenze tali da far venir meno le aspettative degli operatori interessati.

34.
    Il Portogallo deduce poi la violazione del principio della coesione economica e sociale quale si ritrova enunciato agli artt. 2, 3 j), e da 130 A a 130 E del Trattato. Secondo il Portogallo, il fatto che la Comunità non si sia attenuta alla politica espressa in occasione dei negoziati delle convenzioni multilaterali, durante i quali erano stati ponderati gli interessi degli operatori economici delle varie aree comunitarie, avrebbe finito con il penalizzare un particolare tipo di operatori e precisamente l'industria tessile portoghese. Ciò avrebbe infatti comportato lanecessità di adottare il regolamento n. 852/95 con cui sono stati appunto stanziati dei finanziamenti a favore degli operatori portoghesi del settore.

    Tale mezzo mi pare manifestamente infondato. E' vero che la Comunità nella sua azione, soprattutto legislativa, ha l'esigenza di assicurare, come espressamente previsto agli artt. 2 e 3 del Trattato, la coesione economica e sociale, tuttavia un tale obiettivo politico non costituisce un principio di diritto e quindi una misura di legittimità degli atti comunitari. Ne consegue che, nella specie, la decisione non può essere annullata per il solo fatto che pregiudica la posizione sul mercato di una categoria di operatori economici situati in una determinata area del territorio comunitario.

35.
    Queste considerazioni conducono a ritenere infondato anche l'ultimo mezzo invocato dallo Stato ricorrente, relativo alla violazione del principio di uguaglianza tra operatori economici. Il governo portoghese rileva in proposito che la decisione impugnata favorisce i produttori di lana rispetto ai produttori di cotone, in quanto nell'accordo bilaterale è stata concessa l'apertura del mercato indiano unicamente per la prima categoria di prodotti. A mio parere una decisione come quella di specie, riguardante i contingenti di importazione, la quale abbia effetti tali da favorire una determinata categoria di produttori penalizzando quelli operanti nello stesso settore ma in mercati diversi non può essere considerata un atto illegale in ragione di un preteso trattamento discriminatorio nei confronti dei destinatari dell'atto. Il principio di non discriminazione infatti impone al legislatore comunitario di «non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che una differenza di trattamento sia giustificata» (37). Nella specie, gli operatori del settore agiscono in due mercati distinti, quello della lana e quello del cotone, e pertanto l'eventuale pregiudizio economico di una delle due categorie di produttori non comporta una violazione del principio di non discriminazione.

36.
    Per tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte:

-    di rigettare il ricorso;

-    di condannare la Repubblica portoghese a pagare le spese sostenute dal Consiglio;

-    di lasciare che ciascuna delle parti intervenienti sopporti le proprie spese.


1: Lingua originale: l'italiano.


2: -    GU L 153, pag. 47.


3: -    La Comunità ha aderito all'accordo multifibre con decisione del Consiglio del 21 marzo 1974, relativa alla conclusione dell'accordo sul commercio internazionale dei tessili (GU L 118, pag. 1).


4: -    I protocolli di proroga dell'accordo multifibre sono stati conclusi il 14 dicembre 1977, il 22 dicembre 1981, il 31 luglio 1986, il 31 luglio 1991, il 9 dicembre 1992 e, infine, il 9 dicembre 1993. La Comunità ha aderito a tutti i protocolli.


5: -    GU L 336, pag. 1.


6: -    Ai sensi dell'art. 8, n. 1, dell'accordo ATA, «E' istituito l'organo di controllo dei tessili (OCT), che ha il compito di sorvegliare l'attuazione del presente accordo, di esaminare tutte le misure prese ai sensi del presente accordo e la loro conformità con il medesimo e di intraprendere le azioni specificamente assegnategli dal presente accordo. L'OCT è composto da un presidente e da dieci membri. La scelta dei componenti è equilibrata e generalmente rappresentativa dei membri ed è prevista una rotazione dei membri ad intervalli appropriati. I membri sono nominati da membri designati dal Consiglio per gli scambi di merci per prestare servizio nell'OCT, svolgendo le proprie funzioni ad personam».


7: -    Si intende per flessibilità la possibilità di concedere licenze per l'importazione di prodotti per quantitativi superiori ai contingenti di importazione.


8: -    L'art. 5 dell'accordo concluso tra la Comunità e la Repubblica indiana, con decisione del Consiglio dell'11 dicembre 1986 relativa all'applicazione, a titolo provvisorio, dell'accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica dell'India sul commercio dei prodotti tessili (GU 1988 L 267, pag. 1), dispone che, in riferimento all'art. 12, n. 3, dell'accordo di Ginevra, l'Accordo sul commercio internazionale dei tessili, concluso dalla Comunità con decisione del Consiglio del 21 marzo 1974 (GU L 118, pag. 1), i contingenti di importazione «non si applicano ai tessuti di fabbricazione artigianale, agli articoli fabbricati a mano con detti tessuti nonché ai prodotti artigianali tipici del folclore tradizionale».


9: -    GU L 275, pag. 1.


10: -    Regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3289, che modifica il regolamento (CEE) n. 3030/93 relativo al regime comune da applicare alle importazioni di alcuni prodotti tessili originari dei paesi terzi (GU L 349, pag. 85).


11: -    GU C 166, pag. 1.


12: -    Sulle risoluzioni che, in ragione del loro contenuto, producono effetti vincolanti v. sentenze della Corte 10 aprile 1984, causa 108/83, Lussemburgo/Parlamento (Racc. pag. 1945, punto 23) e 28 novembre 1991, cause riunite C-213/88 e C-39/89, Lussemburgo/Parlamento (Racc. pag. I-5643, punti 25-27).


13: -    Regolamento (CE) della Commissione 20 dicembre 1995, n. 3053, che modifica gli allegati I, II, III, V, VI, VII, VIII, IX, XI del regolamento (CEE) n. 3030/93 del Consiglio relativo al regime comune da applicare alle importazioni di alcuni prodotti tessili originari dei paesi terzi (GU L 323, pag. 1). Tale regolamento è stato impugnato dalla Repubblica portoghese con ricorso depositato alla cancelleria della Corte il 21 marzo 1996 (causa C-89/96).


14: -    Sentenza nella causa C-280/93 (Racc. pag. I-4973).


15: -    Sentenza della Corte 30 aprile 1974, causa 181/73, Haegemann (Racc. pag. 449, in particolare punti 2-6).


16: -    V., in proposito, la citata sentenza Haegemann, punto 6.


17: -    V. sentenze della Corte 5 febbraio 1976, causa 87/75, Bresciani (Racc. pag. 129, punto 16); 9 febbraio 1982, causa 270/80, Polydor (Racc. pag. 329, punti 14 e ss.); 29 aprile 1982, causa 17/81, Pabst (Racc. pag. 1331, punti 26 e 27); sentenze 26 ottobre 1982, causa n. 104/81, Kupferberg (Racc. pag. 3641, punti 11-14 e 23); 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719, punto 14); 30 settembre 1990, causa C-192/89, Sevince (Racc. pag. I-3461, punto 15); 31 gennaio 1991, causa C-18/90, Onem (Racc. pag. I-199, punto 15); 5 ottobre 1994, causa C-432/92, Anastasiou (Racc. pag. I-3087).


18: -    Sentenza della Corte 12 dicembre 1972, cause riunite da 21/72-24/72, International Fruit Co. (Racc. pag. 1219).


19: -    In senso conforme, cfr. sentenza della Corte 24 ottobre 1973, Schlüter, causa 9-73, Racc. pag. 1135, punto 27.


20: -    Sentenze della Corte 16 marzo 1983, SIOT, causa 266/81, Racc. pag. 731, punto 12, e SAMI, cause riunite 267 a 269/81, Racc. pag. 801, punti 23 e 24, nonché sentenza della Corte 12 dicembre 1995, Chiquita, causa C-469/93, Racc. pag. I-4533, punti 25-29.


21: -    La sentenza Germania/Consiglio del 1994 fa espresso rinvio a due pronunce che a prima vista costituiscono delle eccezioni rispetto all'orientamento generale sull'effetto normativo delle norme GATT. La prima pronuncia è la sentenza 22 giugno 1989, causa 70/87, Fediol/Commissione, (Racc. pag. 1781). In questa causa l'impresa Fediol contestava la legalità di un atto della Commissione di rigetto di una sua denuncia presentata ai sensi dell'art. 3, n. 5, del regolamento (CEE) del Consiglio 17 settembre 1984, n. 2641, relativo al rafforzamento della politica commerciale comune, particolarmente in materia di difesa contro le pratiche commerciali illecite (GU L 252, pag. 1). L'art. 2, n. 1, di tale regolamento stabilisce che sono considerate illecite tutte le pratiche imputabili ad un paese terzo che siano incompatibili, in materia di commercio internazionale, con il diritto internazionale oppure con le norme generalmente ammesse. La Corte ha ritenuto che il combinato disposto dell'art. 3 e dell'art. 2 del regolamento attribuisca agli operatori interessati il diritto «di invocare le norme dell'Accordo generale nella denuncia che essi presentano alla Commissione, per fare accertare la natura illecita delle pratiche commerciali da cui si ritengono lesi». In tal caso la Corte afferma la propria competenza ad esercitare il «controllo della legittimità della decisione mediante la quale la Commissione ha applicato tali norme» (punto 22). La Corte ritiene quindi che, sebbene in via generale le norme del GATT non producano effetti diretti, tuttavia l'espresso rinvio, che si trova nel regolamento n. 2641/84, attribuisce ai privati il diritto di invocare in giudizio queste disposizioni. Tale sentenza pare inquadrarsi nel generale orientamento sul mancato riconoscimento dell'effetto diretto delle norme del GATT. Differente invece è la pronuncia richiamata dalla Corte nella causa Germania/Consiglio: la sentenza 7 maggio 1991, causa C-69/89, Nakajima (Racc. pag. I-2069). In quest'ultima, infatti, la Corte parte dal presupposto che le disposizioni dell'Accordo generale sono vincolanti per la Comunità e con esse anche il codice antidumping «istituito per l'attuazione dell'art. VI dell'Accordo generale». In coerenza con questa considerazione essa afferma, a fronte dell'impugnativa di un atto adottato per adempiere obblighi internazionali assunti sulla base di detto codice, che la Corte deve «garantire il rispetto delle disposizioni dell'Accordo generale e dei suoi provvedimenti esecutivi» e pertanto «accertare se (...) il Consiglio abbia oltrepassato i limiti del contesto normativo così stabilito e quindi se vi sia stata violazione del codice antidumping». In tale causa l'impresa Nakajima aveva invocato il conflitto tra il regolamento antidumping del Consiglio dell'11 luglio 1988, n. 2423 (GU L 209, pag. 1), e il codice antidumping, cioè l'Accordo relativo all'attuazione dell'art. VI dell'Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio approvato a nome della Comunità con decisione del Consiglio 80/271/CEE (GU L 71, pag. 1). A mio parere, una tale sentenza è più coerente con la giurisprudenza generale sugli accordi internazionali e si discosta dai criteri applicati per giudicare dell'efficacia degli accordi GATT rispetto alle fonti comunitarie secondarie.


22: -    Di recente la Corte, rispondendo ad una questione di validità in cui si contestava il conflitto tra un regolamento del Consiglio che sospendeva un accordo internazionale concluso con la Iugoslavia e la regola di diritto internazionale consuetudinario contenuta nell'art. 65 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, ha precisato che l'invocabilità delle norme di diritto consuetudinario prescinde dall'effetto diretto delle medesime, in quanto tali norme sono comunque vincolanti per la Comunità, che è tenuta ad esercitare le sue competenze nel rispetto del diritto internazionale. La Corte ha infatti ritenuto che l'amministrato può invocare le «norme di diritto consuetudinario internazionale di natura fondamentale nei confronti del regolamento controverso, il quale è stato adottato in applicazione di tali norme e lo priva dei diritti al trattamento preferenziale» (sentenza della Corte del 16 giugno 1998, causa C-162/96, Racke, non ancora pubblicata in Raccolta, punto 48).


23: -    L'accordo sui tessili prevede, come già è stato ricordato, un proprio sistema di soluzione delle controversie che concorre con quello generale (secondo il disposto dell'art. 1, punto 2, della menzionata intesa sulla soluzione delle controversie relative agli accordi OMC). E' istituito un Organo di controllo dei tessili (OCT), il quale, sulla base delle «informazioni» e «notificazioni» delle parti all'accordo e in assenza di una «soluzione reciprocamente concordata nell'ambito delle consultazioni bilaterali» previste dallo stesso accordo, e su richiesta di uno dei membri, «le sue raccomandazioni ai membri interessati» (art. 8 dell'ATA).


24: -    Ricordo che nelle cause in cui è stata dedotta l'irricevibilità dei mezzi relativi al conflitto con norme di accordi OMC, la Corte ha riconosciuto la propria competenza sotto due specifici profili. In primo luogo, si è dichiarata competente ad interpretare, nel quadro di un procedimento pregiudiziale, l'art. 50 dell'Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (allegato 1C dell'accordo OMC), il quale prevede la facoltà dei giudici nazionali di adottare misure provvisorie in caso di rischio di violazione dei diritti dei titolari di marchio. Secondo la Corte, poiché attiene unicamente al giudice nazionale valutare la necessità della adozione di tale misura, la Corte è tenuta a decidere relativamente alle questioni pregiudiziali di interpretazione che attengono ad una tale valutazione. Inoltre, rileva la Corte, «quando una disposizione trova applicazione sia per situazioni che rientrano nel diritto nazionale sia per situazioni che rientrano nel diritto comunitario, esiste un interesse comunitario certo a che, per evitare future divergenze di interpretazione, questa disposizione riceva un'interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui essa verrà applicata» (sentenza 16 giugno 1998, Hermès, causa C-53/96, Racc. pag. 3603, punti 30 e 31). Nella successiva sentenza su un ricorso diretto dell'Italiacontro un regolamento del Consiglio relativo ai contingenti tariffari di importazione del riso di cui veniva invocato il conflitto con l'art. XXIV, paragrafo 6, del GATT e in particolare dei punti 5 e seguenti dell'intesa sull'interpretazione dell'art. XXIV dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994, la Corte ha rigettato l'eccezione di inammissibilità di un tale mezzo di annullamento rilevando che il regolamento impugnato ha «inteso dare esecuzione ad un obbligo specifico assunto nell'ambito del GATT» e che pertanto «la Corte è tenuta a controllare la legittimità del regolamento [] in relazione alle norme GATT» (sentenza 12 novembre 1998, Italia/Consiglio, causa C-352/96, non ancora pubblicata in Raccolta, in particolare punti 19-21).


25: -    V. da ultimo sentenza della Corte 16 giugno 1998, Racke, già citata, punti 45-48.


26: -    V., tra le altre, sentenza della Corte di giustizia internazionale 3 febbraio 1994, Libyan Arab Jamahiriya/Chad.


27: -    Al riguardo v. le conclusioni dell'Avvocato generale Tesauro presentate il 13 novembre 1997, nella causa C-53/96, Hermès, punto 24.


28: -    Secondo l'art. 60 della Convenzione di Vienna, una violazione sostanziale di un trattato multilaterale di una parte «autorizza» l'altra parte «spécialment atteinte par la violation» ad invocare la violazione come motivo di sospensione dell'applicazione del trattato nella relazione tra la stessa parte e l'autore della violazione [n. 2, lett. b)]. Tale eccezione permette quindi alle istituzioni comunitarie di decidere di sospendere l'accordo e di adottare nei confronti dei singoli Stati, che abbiano violato delle disposizioni OMC, atti e comportamenti in contrasto con le stesse disposizioni convenzionali.


29: -    E' vero che nella giurisprudenza comunitaria la mancata applicazione delle norme internazionali di origine convenzionale da parte di giudici di Stati terzi non è stata considerata come una causa che possa escludere la vincolatività delle stesse disposizioni. Nella sentenza Kupferberg, la Corte ha infatti affermato che, «se ciascuna delle parti contraenti è responsabile dell'adempimento integrale degli impegni che ha sottoscritto, è suo compito, per contro, stabilire i mezzi giuridici idonei a raggiungere tale scopo nel suo ordinamento giuridico». Tuttavia, «il fatto che i giudici di una delle parti ritengano che talune disposizioni dell'accordo abbiano efficacia diretta [ammettendone quindi la invocabilità da parte dei singoli] mentre i giudici dell'altra parte non ammettono tale efficacia, non è, di per sé solo, tale da costituire una mancanza di reciprocità nell'attuazione dell'accordo» (punto 18). La Corte quindi sembra avere escluso che il non riconoscimento dell'invocabilità delle norme pattizie da parte di giudici di uno Stato contraente costituisca un inadempimento che giustifichi la mancata osservanza dello stesso Trattato da parte delle istituzioni comunitarie e quindi la invocabilità delle disposizioni da parte dei soggetti di diritto all'interno dell'ordinamento comunitario. Come è stato giustamente osservato in dottrina, tale considerazione del giudice comunitario non deve essere interpretata nel senso che, nell'ordinamento comunitario, sia esclusa tout court ogni possibilità di prendere in considerazione la invocabilità delle norme convenzionali davanti al giudice di uno Stato terzo, e quindi che il mancato rispetto in sede giudiziaria della norma internazionale possa giustificare l'inosservanza, da parte del giudice nazionale o comunitario, della stessa disposizione internazionale. Il passaggio deve essere interpretato piuttosto nel senso che l'esclusione dell'invocabilità in sede giudiziaria non esclude che uno Stato terzo abbia predisposto altri strumenti di difesa degli interessi e dei diritti dei soggetti interessati e che, pertanto, l'esistenza di un sistema alternativo di tutela di tali diritti faccia venir meno gli estremi dell'eventuale inadempimento dello Stato terzo. Al riguardo v. le conclusioni dell'Avvocato generale Tesauro nella causa Hermès, già citate, punti 31 e ss..


30: -    Relativamente alla possibilità di istituire, nel quadro di una convenzione internazionale, sistemi di soluzione di controversie paralleli a quello previsto dal Trattato v. sentenza 26 ottobre 1982, Kupferberg, già citata, in cui la Corte ha affermato che l'istituzione di comitati misti nel quadro dell'accordo tra la Comunità economica europea e il Portogallo del 22 luglio 1972, incaricati della gestione e corretta esecuzione dell'accordo non bastava ad «escludere ogni applicazione giurisdizionale dell'accordo stesso» (v. punti 19 e 20); v. inoltre il parere 1/91 del 14 dicembre 1991, sul progetto di accordo tra la Comunità ed i Paesi dell'Associazione europea di libero scambio relativo alla creazione dello Spazio economico europeo, Racc. pag. I-6079, in cui la Corte ha affermato che «la competenza della Comunità in materia di relazioni internazionali e la capacità di concludere accordi internazionali implicano necessariamente la facoltà di assoggettarsi alle decisioni di un organo giurisdizionale istituito o designato in forza di tali accordi, per quanto concerne l'interpretazione e l'applicazione delle loro disposizioni» pertanto un accordo internazionale che prevede un sistema giurisdizionale è, in linea di principio, compatibile con il diritto comunitario. Qualora però tale accordo istituisca un sistema giurisdizionale le cui decisioni vincolano la Corte di Giustizia nella sua interpretazione ed applicazione di norme che fanno parte integrante dell'ordinamento giuridico comunitario esso, accordo, condiziona l'interpretazione delle norme comunitarie e quindi «pregiudica l'art. 164 del trattato CEE, e, più in generale, gli stessi principi fondamentali della Comunità» (v. punto IV, Racc. pag. I-6104).


31: -    A sostegno degli argomenti dedotti in ordine alla illegittimità dello squilibrio tra le concessioni delle Parti contraenti ai due accordi bilaterali di cui è causa, lo Stato ricorrente invoca, nel controricorso, la violazione dell'art. XXVIII del GATT. Un tale mezzo è non solo tardivo e quindi inammissibile ma è anche infondato in quanto il riferimento alle «concessions accordées sur une base de réciprocité et d'avantage mutuelle», che figura al n. 1 di tale articolo, non riguarda, a mio parere, la equivalenza delle prestazioni ma la reciprocità nella esecuzione degli obblighi assunti in sede GATT e quindi nell'effettivo rispetto delle concessioni offerte sulla base di tale accordo.


32: -    L'art. X del GATT prevede in particolare che: «Les accords intéressant la politique commerciale internationale et qui seraient en vigueur entre le gouvernement ou un organisme gouvernemental de toute partie contractante et le gouvernement ou un organisme gouvernemental d'une autre partie contractante seront également publiés».


33: -    Nella lettera del 7 aprile 1994 del Ministro degli Affari esteri portoghese si legge che: «L'acceptation de ce compromis par le Portugal, y compris le démantèlement de l'accord multifibres, était étroitement subordonnée au respect de trois conditions: l'ouverture effective et généralisée de tous les marchés, le renforcement des règles et de la discipline du GATT, et l'utilisation du système communautaire des préférences généralisées comme instrument de rééquilibrage face aux éventuels écarts de pays tiers. C'est avec inquiétude que je constate, précisément dans le secteur textile, une évolution défavorable, certaines parties contractantes ne s'acquittant pas des obligations qu'elles ont contractées, en refusant d'ouvrir leurs marchés. Je me réfère concrètement aux cas de l'Inde et du Pakistan qui, jusqu'à présent, n'ont toujours pas présenté leurs offres. Il convient que l'Union européenne, agissant en l'occurence par l'intermédiaire de la Commission, exige de nos partenaires qu'ils respectent intégralement les obligations qu'ils ont contractées le 15 décembre, sur la base des orientations fixées par le Conseil. Vous comprendrez que toute négociation de ces engagements est inacceptable, et qu'aucune autre concession ne peut être admise de la part de l'Union européenne, en particulier dans les secteurs les plus sensibles, tel celui du textile et des vêtements».


34: -    Regolamento (CE) n. 852/95 del Consiglio del 10 aprile 1995, relativo ad un contributo finanziario a favore del Portogallo per un programma specifico di ammodernamento dell'industria tessile e dell'abbigliamento (GU L 86, pag. 10).


35: -    Sulla applicazione all'azione delle istituzioni comunitarie dell'obbligo di leale cooperazione di cui all'art. 5 del Trattato, v. le sentenze della Corte del 10 febbraio 1983, causa 230/81, Lussemburgo/Parlamento (Racc. pag. 255, punti 36-38), e del 22 settembre 1988, cause riunite 358/85 e 51/86, Francia/Parlamento (Racc. pag. 4821, punti 34-36) e l'ordinanza della Corte del 13 settembre 1988, causa C-2/88 Imm., Zwartveld e altri (Racc. pag. I-3365, punti 17-21).


36: -    V., al riguardo, le mie conclusioni, presentate il 16 luglio 1998, nella causa C-159/96, Portogallo/Commissione, punti 79-81.


37: -    V., in particolare, la sentenza della Corte 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio, più volte citata, punto 67.