Language of document : ECLI:EU:T:2021:457

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

14 luglio 2021 (*)

«Dumping – Importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, originari della Russia e dell’Ucraina – Riesame intermedio – Calcolo del valore normale – Spese generali, amministrative e di vendita – Vendite tra società collegate – Normali operazioni commerciali – Entità economica unica – Articolo 2, paragrafi 3, 4 e 6, del regolamento (UE) 2016/1036 – Prezzo all’esportazione – Adeguamento – Funzioni assimilabili a quelle di un agente che opera sulla base di commissioni – Articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento 2016/1036 – Errore manifesto di valutazione – Metodo diverso da quello utilizzato in occasione di un’inchiesta precedente – Articolo 11, paragrafo 9, del regolamento 2016/1036 – Legittimo affidamento – Diritti della difesa»

Nella causa T‑716/19,

Interpipe Niko Tube LLC, con sede in Nikopol (Ucraina),

Interpipe Nizhnedneprovsky Tube Rolling Plant OJSC, con sede in Dnipro (Ucraina),

rappresentate da B. Servais, avvocato,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da P. Němečková e G. Luengo, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e volta all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2019/1295 della Commissione, del 1° agosto 2019, recante modifica del regolamento di esecuzione (UE) 2018/1469 che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, originari della Russia e dell’Ucraina, in seguito a un riesame intermedio parziale a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2016/1036 (GU 2019, L 204, pag. 22),

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto da R. da Silva Passos, presidente, L. Truchot (relatore) e M. Sampol Pucurull, giudici,

cancelliere: E. Artemiou, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 dicembre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Interpipe Niko Tube LLC e la Interpipe Nizhnedneprovsky Tube Rolling Plant OJSC, ricorrenti, sono due società di diritto ucraino che svolgono un’attività di fabbricazione e di esportazione di tubi senza saldature.

2        A seguito di una denuncia depositata il 14 febbraio 2005 dal Comitato di difesa dell’industria dei tubi in acciaio senza saldature dell’Unione europea, la Commissione delle Comunità europee ha aperto un procedimento antidumping avente ad oggetto le importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o acciaio, originari della Croazia, della Romania, della Russia e dell’Ucraina, conformemente al regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1) [sostituito dal regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51), a sua volta sostituito dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21; in prosieguo: il «regolamento di base»)] e, in particolare, all’articolo 5 del regolamento n. 384/96 (divenuto articolo 5 del regolamento di base), nella sua versione risultante dal regolamento (CE) n. 461/2004 del Consiglio, dell’8 marzo 2004, che modifica il regolamento n. 384/96 e il regolamento (CE) n. 2026/97 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 2004, L 77, pag. 12; in prosieguo: il «regolamento n. 384/96 modificato»).

3        Il 27 giugno 2006 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 954/2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, della Croazia, della Romania, della Russia e dell’Ucraina, abroga i regolamenti (CE) n. 2320/97 e (CE) n. 348/2000 del Consiglio, chiude il riesame intermedio delle misure antidumping applicabili alle importazioni di taluni tubi di ferro o di acciai non legati, originari, tra l’altro, della Russia e della Romania e chiude il riesame intermedio delle misure antidumping applicabili alle importazioni di taluni tubi senza saldature, di ferro o di acciai non legati, originari della Croazia e dell’Ucraina (GU 2006, L 175, pag. 4).

4        Con il regolamento n. 954/2006, il Consiglio ha istituito un dazio antidumping con un’aliquota del 25,1% sulle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, prodotti dalla CJSC Nikopolsky Seamless Tubes Plant Niko Tube e dalla OJSC Nizhnedneprovsky Tube Rolling Plant, due società di diritto ucraino divenute, rispettivamente, Interpipe Nikopolsky Seamless Tubes Plant Niko Tube ZAT (Interpipe Niko Tube ZAT) e Interpipe Nizhnedneprovsky Tube Rolling Plant VAT (Interpipe NTRP VAT) (in prosieguo, collettivamente: le «ex società Interpipe»), cui sono succedute di diritto le ricorrenti. In tale regolamento, il Consiglio ha considerato che dette società erano «collegate» con due società di vendita: la SPIG Interpipe, con sede in Ucraina, e la Sepco SA, con sede in Svizzera.

5        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 settembre 2006, le ex società Interpipe hanno chiesto l’annullamento del regolamento n. 954/2006, nella parte in cui le riguardava.

6        Con sentenza del 10 marzo 2009, Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP/Consiglio (T‑249/06; in prosieguo: la «prima sentenza Interpipe», EU:T:2009:62), il Tribunale, constatando un errore manifesto di valutazione e una violazione dei diritti della difesa, ha annullato l’articolo 1 del regolamento n. 954/2006, in quanto il dazio antidumping fissato per le esportazioni verso l’Unione dei prodotti fabbricati dalle società ucraine di cui trattavasi eccedeva quello che sarebbe stato applicabile se non si fosse proceduto ad un adeguamento del prezzo all’esportazione effettuato a titolo di una commissione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento n. 384/96 modificato [divenuto articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base], laddove le vendite avevano luogo tramite la società svizzera Sepco. Dal punto 178 di tale sentenza risulta che, quando viene constatato che un produttore affida incarichi normalmente rientranti in un ufficio vendita interno ad una società distributrice dei suoi prodotti che esso controlla economicamente e con la quale forma un’entità economica unica, il fatto che il Consiglio e la Commissione si basino sui prezzi pagati dal primo acquirente indipendente al distributore affiliato, senza procedere ad un adeguamento a titolo di una commissione, è giustificato. Secondo il Tribunale, la Sepco poteva essere considerata come un ufficio vendita interno delle ex società Interpipe, sicché le istituzioni non avrebbero dovuto procedere ad alcun adeguamento del prezzo da essa praticato. Il Tribunale ha respinto il ricorso per il resto.

7        Con sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP (C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78), la Corte ha respinto le impugnazioni proposte dal Consiglio e dalla Commissione contro la prima sentenza Interpipe.

8        Il Consiglio si è conformato alla prima sentenza Interpipe adottando il regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2012, del 21 giugno 2012, che modifica il regolamento n. 954/2006 (GU 2012, L 165, pag. 1). Secondo i considerando da 11 a 14 di tale regolamento di esecuzione, il margine di dumping è stato ricalcolato senza adeguare il prezzo all’esportazione, per le vendite effettuate tramite la società collegata Sepco, a titolo di una commissione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento n. 1225/2009 [divenuto articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base], che aveva nel frattempo sostituito il regolamento n. 384/96 modificato. L’aliquota del dazio antidumping applicabile alle ricorrenti è stata fissata al 17,7%.

9        Le misure antidumping previste dal regolamento n. 954/2006, come modificato dal regolamento di esecuzione n. 540/2012, sono state mantenute per un ulteriore periodo di cinque anni, in applicazione del regolamento di esecuzione (UE) n. 585/2012 del Consiglio, del 26 giugno 2012, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, originari della Russia e dell’Ucraina in seguito al riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento n. 1225/2009 e che chiude il procedimento di riesame in previsione della scadenza riguardante le importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, originari della Croazia (GU 2012, L 174, pag. 5). Il Consiglio ha considerato che le ricorrenti continuavano a lavorare con due distributori collegati, aventi sede in Ucraina e in Svizzera (v. precedente punto 4), oramai denominati LLC Interpipe Ukraine (in prosieguo: la «IPU») e Interpipe Europe SA (in prosieguo: la «IPE»). L’aliquota del dazio antidumping applicabile alle ricorrenti è rimasta fissata al 17,7%.

10      A seguito di un procedimento di riesame intermedio richiesto dalle ricorrenti sulla base dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento n. 1225/2009 (divenuto articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base) (in prosieguo: il «riesame intermedio chiuso nel 2012»), il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 795/2012 del Consiglio, del 28 agosto 2012, recante modifica del regolamento di esecuzione n. 585/2012 (GU 2012, L 238, pag. 1), ai sensi del quale l’aliquota del dazio antidumping loro applicabile è stata ridotta al 13,8%.

11      Il 4 luglio 2017 la Commissione ha pubblicato nella Gazzetta ufficiale l’avviso di apertura di un riesame in previsione della scadenza delle misure antidumping applicabili alle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, originari della Russia e dell’Ucraina (GU 2017, C 214, pag. 9). Il riesame oggetto di tale avviso (in prosieguo: il «riesame definitivo chiuso nel 2018») si basava sull’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base.

12      Il 7 maggio 2018 la Commissione ha poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale l’avviso di apertura di un riesame intermedio parziale delle misure antidumping applicabili alle importazioni di determinati tubi senza saldature originari, fra l’altro, dell’Ucraina (GU 2018, C 159, pag. 18). Il riesame oggetto di tale avviso (in prosieguo: il «riesame intermedio chiuso nel 2019»), aperto a seguito di una domanda delle ricorrenti fondata sull’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base, era limitato al dumping ad esse contestato.

13      Il 13 luglio 2018, nel contesto del riesame definitivo chiuso nel 2018, la Commissione ha trasmesso alle ricorrenti, a norma dell’articolo 20 del regolamento di base, un documento di divulgazione generale, con cui ha comunicato alle ricorrenti che, ai fini della determinazione delle loro spese generali, amministrative e di vendita (in prosieguo: le «spese GAV»), necessarie per calcolare il valore normale conformemente all’articolo 2, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base, essa intendeva prendere in considerazione non solo le spese GAV relative alle vendite del prodotto interessato che le ricorrenti eseguivano ad acquirenti indipendenti aventi sede in Ucraina, direttamente o tramite la IPU, ma anche le spese GAV relative alle vendite di detto prodotto realizzate dalle ricorrenti alla IPU, ad eccezione delle spese di trasporto, affinché quest’ultima lo rivenda ad acquirenti indipendenti aventi sede in Ucraina.

14      Inoltre, la Commissione ha osservato che le ricorrenti esportavano oramai i loro prodotti nell’Unione non solo tramite la IPE, come avveniva in precedenza, ma anche tramite la Interpipe Central Trade GmbH (in prosieguo: la «IPCT»), un’altra società collegata con sede in Germania, che doveva essere considerata come un importatore. Conformemente alla prima sentenza Interpipe, la Commissione non ha ritenuto di applicare un adeguamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base ai prezzi pagati dagli acquirenti indipendenti alla IPE, mentre ha espresso l’intenzione di introdurre un adeguamento, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, per i prodotti venduti nell’Unione dalla IPCT.

15      Nelle loro osservazioni del 30 luglio 2018 in merito al documento di divulgazione generale del 13 luglio 2018, le ricorrenti hanno contestato il calcolo, da parte della Commissione, delle spese GAV, sostenendo che il metodo preso in considerazione differiva da quello applicato in precedenza, in violazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base. Tale asserito nuovo metodo avrebbe artificialmente gonfiato le spese GAV e, di conseguenza, anche il margine di dumping.

16      A seguito del riesame definitivo chiuso nel 2018, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2018/1469 della Commissione, del 1° ottobre 2018, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, originari della Russia e dell’Ucraina in seguito al riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2018, L 246, pag. 20). Le misure antidumping in esame sono quindi state mantenute.

17      Ai considerando 82 e 83 del regolamento di esecuzione 2018/1469, la Commissione ha rilevato che, dopo aver analizzato tutti gli elementi, essa aveva accolto la domanda delle ricorrenti relativa al calcolo delle spese GAV tra società collegate.

18      Ai considerando 86 e 87 del regolamento di esecuzione 2018/1469, la Commissione ha precisato che, nei casi in cui il produttore esportatore ha venduto il prodotto in esame ad acquirenti indipendenti dell’Unione tramite la IPE, che ha operato come distributore, il prezzo all’esportazione è stato stabilito sulla base dei prezzi realmente pagati o pagabili per il prodotto in questione venduto per l’esportazione nell’Unione, conformemente all’articolo 2, paragrafo 8, del regolamento di base. Per contro, nei casi in cui il produttore esportatore ha venduto il prodotto in esame nell’Unione tramite la IPCT, che operava come importatore, il prezzo all’esportazione è stato costruito sulla base del prezzo a cui il prodotto importato era rivenduto per la prima volta ad acquirenti indipendenti nell’Unione, conformemente all’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, con gli adeguamenti consentiti da tale disposizione.

19      L’aliquota del dazio antidumping applicabile alle ricorrenti è rimasta fissata al 13,8%.

20      Il 21 maggio 2019, nell’ambito del riesame intermedio chiuso nel 2019, la Commissione ha trasmesso alle ricorrenti un documento di divulgazione generale (in prosieguo: il «DDG 2019»), ai sensi dell’articolo 20 del regolamento di base. Con tale documento, in primo luogo, la Commissione ha comunicato loro che, nel calcolo delle loro spese GAV, erano state aggiunte le spese da esse sostenute per le loro vendite alla IPU. In secondo luogo, la Commissione ha rilevato che la IPE e la IPCT operavano, a suo avviso, come due canali di esportazione degli stessi prodotti nell’Unione. Basandosi su tale elemento, sul ruolo di coordinamento svolto dalla IPU tra, da un lato, le ricorrenti, e, dall’altro, la IPE e la IPCT, sulle caratteristiche specifiche dei contratti stipulati tra la IPU e queste ultime due società, nonché sull’assenza, nello statuto della IPE, di un obbligo di esclusiva per quanto riguarda la scelta dei fornitori dei prodotti da vendere, la Commissione ha affermato che la IPE non poteva più essere considerata come un dipartimento di vendita all’esportazione interno al gruppo cui appartenevano le ricorrenti (in prosieguo: il «gruppo Interpipe») e che, nel calcolare il prezzo all’esportazione, occorreva quindi procedere a un adeguamento dei prezzi pagati alla IPE da acquirenti indipendenti nell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base.

21      Nelle loro osservazioni del 4 giugno 2019 in merito al DDG 2019, le ricorrenti hanno in particolare contestato, in primo luogo, il calcolo, da parte della Commissione, delle spese GAV, facendo valere che il metodo preso in considerazione corrispondeva a quello che era già stato proposto, e successivamente escluso, nel contesto del riesame definitivo chiuso nel 2018. In secondo luogo, esse hanno sostenuto che l’applicazione di un adeguamento, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base, ai prezzi pagati alla IPE da acquirenti indipendenti costituiva una violazione dei principi derivanti dalla prima sentenza Interpipe (v. precedente punto 6). Esse hanno sottolineato che le circostanze di fatto non sono cambiate, nonostante la creazione della IPCT.

22      Il 27 giugno 2019 la Commissione ha trasmesso alle ricorrenti un documento di divulgazione supplementare, con il quale ha accolto vari argomenti da esse presentati nelle loro osservazioni del 4 giugno 2019, diversi da quelli esposti nel precedente punto 21. La Commissione ha aggiunto che questi ultimi argomenti erano stati analizzati, ma che sarebbero stati presi in considerazione nel regolamento di esecuzione che sarebbe stato pubblicato al più tardi il 6 agosto 2019. L’aliquota del dazio antidumping prevista dalla Commissione in tale documento di divulgazione supplementare era pari all’8,1%.

23      Il 1° agosto 2019, a termine del riesame intermedio chiuso nel 2019, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2019/1295, recante modifica del regolamento di esecuzione 2018/1469 (GU 2019, L 204, pag. 22) (in prosieguo: il «regolamento impugnato»), in cui l’aliquota del dazio antidumping applicabile alle ricorrenti è stata fissata all’8,1%.

24      Nei considerando 32, 33 e da 39 a 42 del regolamento impugnato, la Commissione ha respinto gli argomenti delle ricorrenti esposti al precedente punto 21. Essa ha precisato che, data la riservatezza delle informazioni commerciali relative alla presentazione e all’analisi di tali argomenti, i motivi del loro rigetto sono stati esposti in dettaglio in una lettera separata, da essa trasmessa alle ricorrenti il 2 agosto 2019 (in prosieguo: la «lettera del 2 agosto 2019»).

 Procedimento e conclusioni delle parti

25      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 ottobre 2019, le ricorrenti hanno proposto il ricorso in esame.

26      La fase scritta del procedimento si è conclusa il 15 aprile 2020.

27      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 26 aprile 2020, le ricorrenti hanno chiesto lo svolgimento di un’udienza di discussione, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale.

28      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Settima Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, esso ha posto quesiti alle parti per risposta scritta prima dell’udienza e ha invitato la Commissione a produrre taluni documenti. Le parti hanno ottemperato a tali misure entro il termine impartito.

29      Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 17 dicembre 2020.

30      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato;

–        condannare la Commissione alle spese.

31      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

32      A sostegno del loro ricorso le ricorrenti deducono quattro motivi.

33      Il primo motivo di ricorso verte sull’illegittimità dell’inclusione, nel calcolo del valore normale, delle spese GAV relative alle vendite realizzate dalle ricorrenti alla IPU. Così facendo, la Commissione avrebbe violato l’articolo 2, paragrafo 3, primo comma, paragrafo 4, primo comma, e paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base nonché l’articolo 2.2.2, prima frase, dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping dell’OMC»), contenuto nell’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 336, L 1994, pag. 3).

34      Il secondo motivo di ricorso verte su un errore manifesto di valutazione nell’applicazione, al prezzo all’esportazione, di un importo corrispondente alle spese GAV e ai profitti di un agente che opera sulla base di commissioni. La Commissione non avrebbe dovuto dedurre dal prezzo all’esportazione delle ricorrenti l’importo corrispondente alle spese GAV e ai profitti della IPE, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, dalla prima alla quarta frase, e lettera i), del regolamento di base.

35      Il terzo motivo di ricorso verte sulla violazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, in quanto la Commissione avrebbe determinato il valore normale e il prezzo all’esportazione delle ricorrenti applicando un metodo diverso da quello che aveva utilizzato in precedenza.

36      Nell’ambito di ciascuno di tali tre motivi, le ricorrenti fanno valere la violazione dell’articolo 9, paragrafo 4, secondo comma, del regolamento di base e dell’articolo 9.3 dell’accordo antidumping dell’OMC, in quanto, per effetto delle violazioni e dell’errore manifesto di valutazione dedotti, il dazio antidumping istituito supererebbe l’importo del dumping.

37      Il quarto motivo di ricorso verte sulla violazione dei diritti della difesa.

 Sul primo motivo di ricorso, vertente sullillegittimità della presa in considerazione, nel calcolo del valore normale, delle spese GAV relative alle vendite realizzate dalle ricorrenti alla IPU

38      Le ricorrenti fanno valere che la Commissione, avendo incluso nel calcolo del valore normale le spese GAV relative alle vendite da esse realizzate alla IPU, ha violato l’articolo 2, paragrafo 3, primo comma, paragrafo 4, primo comma, e paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base, la sua stessa prassi decisionale e l’articolo 2.2.2, prima frase, dell’accordo antidumping dell’OMC, come interpretato dalle decisioni dell’organo di conciliazione dell’OMC. Inoltre, le ricorrenti sostengono che, in realtà, esse non hanno sostenuto l’onere delle spese GAV contestate.

39      In via preliminare, le ricorrenti ricordano che le vendite del prodotto interessato da esse realizzate sul mercato interno ucraino sono sempre avvenute sotto forma di vendite dirette, effettuate dalle ricorrenti stesse ad acquirenti interni indipendenti (in prosieguo: le «vendite dirette»), o di vendite indirette, nel senso che esse vendevano tale prodotto alla IPU, la quale lo rivendeva ad acquirenti interni indipendenti (in prosieguo: le «vendite indirette»).

40      Con il presente motivo di ricorso, anzitutto, le ricorrenti sostengono che, nel riesame intermedio chiuso nel 2019, da cui è scaturito il regolamento impugnato, la Commissione, nel calcolo effettuato per determinare il valore normale, per quanto riguarda le spese GAV, non si è basata, come in precedenza, soltanto sulle loro spese GAV relative alle vendite dirette del prodotto interessato e sulle spese GAV sostenute dalla IPU per le vendite indirette di tale prodotto. Essa avrebbe erroneamente aggiunto le spese GAV sostenute dalle ricorrenti per le loro vendite del prodotto interessato alla IPU (in prosieguo: le «spese GAV contestate»), che quest’ultima rivendeva ad acquirenti indipendenti sul mercato interno ucraino. Ad avviso delle ricorrenti, l’inclusione delle spese GAV contestate, che non figuravano nel calcolo effettuato Commissione nell’ambito del riesame intermedio chiuso nel 2012 e che erano infine state eliminate dal calcolo relativo al riesame definitivo chiuso nel 2018 (v. precedenti punti 11, 13 e 17), ha artificialmente gonfiato il margine di dumping.

41      Inoltre, le ricorrenti ricordano che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base, il «valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore» e che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, di detto regolamento, i prezzi praticati tra due parti apparentemente associate non possono essere considerati in linea di principio come propri di normali operazioni commerciali. Nel caso in esame, la Commissione avrebbe giustamente applicato tale principio, ma avrebbe erroneamente omesso di trarne la conclusione che nemmeno le spese GAV relative a vendite tra tali parti potevano essere considerate come proprie di normali operazioni commerciali. Le ricorrenti sottolineano che l’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base prevede che le spese GAV debbano essere calcolate su dati attinenti a normali operazioni commerciali. Il medesimo principio discenderebbe dall’articolo 2.2.2., prima frase, dell’accordo antidumping dell’OMC.

42      Infine, le ricorrenti sostengono che l’aggiunta delle spese GAV contestate ha aumentato in modo artificiale il valore normale e, di conseguenza, il margine di dumping, come risulta dai seguenti due elementi.

43      In primo luogo, le ricorrenti ricordano che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, commi primo e terzo, del regolamento di base e della prassi della Commissione, le vendite del prodotto interessato sul mercato interno del paese esportatore ad acquirenti indipendenti devono essere effettuate nel corso di normali operazioni commerciali per poter essere prese in considerazione nel calcolo del valore normale. Il test richiesto per determinare se una vendita sia effettuata nel corso di normali operazioni commerciali (in prosieguo: il «test NOC») implicherebbe, conformemente all’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento di base, un confronto tra il costo di produzione unitario, con l’aggiunta delle spese GAV, e il prezzo di vendita effettivo, per tipo di prodotto. Le ricorrenti aggiungono che il regolamento di base, in particolare il suo articolo 2, paragrafo 4, non contiene alcuna norma che imponga di includere l’insieme delle spese, comprese quelle sostenute per le vendite tra società collegate, tra le spese GAV utilizzate ai fini del test NOC.

44      Per i tipi di prodotti per i quali oltre l’80% delle vendite sul mercato interno dell’esportatore sono remunerative, nel senso che sono state realizzate a prezzi superiori al costo unitario (in prosieguo: le «vendite remunerative»), e la cui media ponderata dei prezzi di vendita è pari o superiore alla media ponderata dei costi unitari, il valore normale sarebbe calcolato sulla base di tutte le vendite, indipendentemente dal fatto che siano state remunerative o meno.

45      Per contro, nell’ipotesi in cui il volume delle vendite remunerative di un tipo di prodotto su detto mercato sia pari o inferiore all’80% del volume totale delle vendite di tale tipo di prodotto, o qualora il prezzo medio ponderato di tale tipo di prodotto sia inferiore al costo di produzione unitario, il valore normale sarebbe fondato unicamente sulle vendite remunerative.

46      Le ricorrenti sottolineano che il fatto di prendere in considerazione tutte le vendite di un tipo di prodotto (v. precedente punto 44) o solo le vendite remunerative di tale tipo di prodotto (v. precedente punto 45) incide sul calcolo del valore normale di quest’ultimo, dato che quest’ultimo aumenta nella seconda ipotesi. Il margine di dumping ne risulterebbe a sua volta aumentato.

47      Le ricorrenti sottolineano che, nel caso di specie, il fatto di aver aggiunto le spese GAV contestate nel calcolo del valore normale ha avuto l’effetto di aumentare i costi totali e, di conseguenza, di ridurre la percentuale delle vendite remunerative. In tal senso, per un maggior numero di tipi di prodotti venduti sul mercato interno ucraino, le vendite remunerative non avrebbero raggiunto la soglia dell’80%, sicché solo le vendite remunerative sarebbero state prese in considerazione e il valore normale sarebbe aumentato.

48      In secondo luogo, ad avviso delle ricorrenti, dall’articolo 2, paragrafo 3, primo comma, del regolamento di base risulta che per i tipi di prodotti che non sono venduti dal produttore sul suo mercato interno ad acquirenti indipendenti, ma che sono esportati nell’Unione, il valore normale deve essere costruito sulla base del costo di produzione, maggiorato di un congruo importo per le spese GAV e per i profitti. Tale importo ragionevole sarebbe calcolato sulla base delle vendite di altri tipi del prodotto interessato realizzate nel corso di normali operazioni commerciali. L’aggiunta delle spese GAV contestate avrebbe avuto l’effetto di aumentare anche il valore normale costruito per i tipi di prodotti non venduti sul mercato interno.

49      Dall’insieme dei suesposti argomenti le ricorrenti deducono che la Commissione, prendendo in considerazione le spese GAV contestate, è incorsa in una violazione dell’articolo 2, paragrafo 3, primo comma, paragrafo 4, primo comma, e paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base.

50      La Commissione contesta la fondatezza degli argomenti delle ricorrenti e, per quanto riguarda quelli relativi alla violazione della sua prassi decisionale e degli insegnamenti risultanti dalle decisioni dell’organo di conciliazione dell’OMC, anche la loro ricevibilità, in quanto sarebbero stati presentati in modo non conforme al punto 115 delle norme pratiche di esecuzione del regolamento di procedura, poiché non corrisponderebbero ai titoli dei motivi di ricorso dedotti nell’atto introduttivo di ricorso.

51      Sotto quest’ultimo profilo, occorre osservare che il mancato rispetto delle raccomandazioni redazionali contenute nelle norme pratiche di esecuzione del regolamento di procedura può determinare l’inammissibilità totale o parziale di un ricorso solo se quest’ultimo non è conforme all’articolo 76, lettera d), di detto regolamento. Orbene, come sarà esposto di seguito, l’atto introduttivo di ricorso chiarisce il primo motivo di ricorso e le censure dedotte a suo sostegno sono sufficientemente chiare e precise (v., in tal senso, sentenza del 25 marzo 2015, Belgio/Commissione, T‑538/11, EU:T:2015:188, punto 131 e giurisprudenza citata).

52      I motivi di non ricevibilità sollevati dalla Commissione sono quindi infondati.

53      Nel merito, occorre esaminare il presente motivo di ricorso dopo aver ricordato le principali disposizioni applicabili e la giurisprudenza che le ha interpretate.

54      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di base: «[u]n prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nell’Unione è inferiore ad un prezzo comparabile di un prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali». L’articolo 2, paragrafo 12, prima frase, di detto regolamento precisa che «[p]er margine di dumping si intende l’importo di cui il valore normale supera il prezzo all’esportazione»

55      Ne consegue che la determinazione del valore normale di un prodotto costituisce una delle tappe fondamentali che devono consentire di accertare l’esistenza di un eventuale dumping (sentenza del 1° ottobre 2014, Consiglio/Allumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 20; v. anche, in tal senso, sentenza del 4 febbraio 2016, C&J Clark International e Puma, C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 105).

56      Il metodo principale di determinazione del valore normale di un prodotto è illustrato all’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base (sentenza dell’11 luglio 2017, Viraj Profiles/Consiglio, T‑67/14, non pubblicata, EU:T:2017:481, punto 110), ai sensi del quale «[i]l valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore».

57      Come rilevato dalla Corte, nell’ambito della determinazione del valore normale, tanto dalla formulazione quanto dall’economia dell’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base risulta che, in linea di principio, per stabilire il valore normale occorre prendere in considerazione in via prioritaria il prezzo realmente pagato o pagabile nel corso di normali operazioni commerciali. In forza dell’articolo 2, paragrafo 3, primo comma, del regolamento di base, è possibile discostarsi da tale principio solo se nessuna vendita di un prodotto simile è stata effettuata nel corso di «normali operazioni commerciali», se tali vendite sono insufficienti o se vendite del genere non consentono un valido confronto. Tali deroghe al metodo di calcolo del valore normale in funzione di prezzi effettivi hanno un carattere esaustivo (v. sentenza del 1° ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punti 20 e 21 e giurisprudenza citata).

58      La Corte ha altresì rilevato che la finalità della nozione di «normali operazioni commerciali» era di assicurare che il valore normale del prodotto corrispondesse il più possibile al prezzo normale del prodotto simile sul mercato interno dell’esportatore. Se una vendita è conclusa a termini e condizioni che non corrispondono alla prassi commerciale relativa alle vendite del prodotto simile nel suddetto mercato al momento rilevante per la determinazione dell’esistenza del dumping, essa non costituisce una base adeguata per determinare il valore normale del prodotto simile nel suddetto mercato (sentenza del 1° ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 28).

59      Il regolamento di base non definisce la nozione di «normali operazioni commerciali». Tuttavia, detto regolamento prevede in maniera esplicita, al suo articolo 2, due ipotesi di vendita che, a determinate condizioni, non possono costituire operazioni di tal genere. In primo luogo, l’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base precisa che i prezzi praticati tra le parti apparentemente associate oppure vincolate da un accordo di compensazione possono essere considerati come propri di normali operazioni commerciali, e possono quindi essere utilizzati per stabilire il valore normale unicamente qualora sia dimostrato che tale rapporto non incide sui prezzi (v. sentenza del 1° ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punti 22 e 23 e giurisprudenza citata). In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, del medesimo regolamento, le vendite del prodotto simile sul mercato interno del paese esportatore, oppure destinate ad un paese terzo, che sono effettuate a prezzi inferiori ai costi di produzione unitari possono essere considerate come non eseguite nell’ambito di normali operazioni commerciali a causa del prezzo soltanto se tali vendite sono avvenute in un periodo di tempo prolungato, in quantitativi consistenti e a prezzi che non consentono di coprire tutti i costi entro un congruo termine (v. sentenza del 1° ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 24 e giurisprudenza citata). L’articolo 2, paragrafo 4, terzo comma, di tale regolamento precisa che, per «periodo di tempo prolungato» si intende di norma un anno e comunque un periodo non inferiore a sei mesi. Si ritiene che le vendite a prezzi inferiori ai costi unitari siano effettuate in quantitativi consistenti entro tale periodo qualora venga accertato che la media ponderata dei prezzi di vendita è inferiore alla media ponderata dei costi unitari oppure che il volume delle vendite a prezzi inferiori ai costi unitari è pari ad almeno il 20% del volume delle vendite prese in considerazione per determinare il valore normale.

60      Secondo la Corte, la nozione di «normali operazioni commerciali» fa riferimento al carattere delle vendite di per sé considerate (v. sentenza del 1° ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 25 e giurisprudenza citata).

 Sulle disposizioni del regolamento impugnato relative al valore normale

61      Nel caso di specie, come risulta dai considerando da 25 a 31 del regolamento impugnato, la Commissione ha determinato il valore normale nel modo seguente.

62      In primo luogo, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, da una parte, essa ha esaminato se, per le ricorrenti, il volume totale delle vendite del prodotto simile ad acquirenti indipendenti sul mercato interno, ossia in Ucraina, fosse rappresentativo rispetto al volume complessivo delle loro vendite all’esportazione nell’Unione, vale a dire se il volume totale di tali vendite corrispondesse ad almeno il 5% del volume totale delle esportazioni nell’Unione del prodotto oggetto di riesame. Essa è giunta alla conclusione che tale era l’ipotesi che ricorreva nel caso di specie (considerando 25).

63      Dall’altro lato, la Commissione ha verificato se le vendite sul mercato interno eseguite dalle ricorrenti per ciascun tipo di prodotto identico o comparabile al tipo di prodotto esportato nell’Unione fossero rappresentative, ossia se il volume totale delle vendite sul mercato interno, per tipo di prodotto, rappresentava almeno il 5% del volume totale delle vendite all’esportazione nell’Unione del tipo di prodotto identico o comparabile. Essa ha stabilito che le vendite sul mercato interno per tipo di prodotto erano risultate in larga misura rappresentative durante il periodo dell’inchiesta (considerando 26).

64      In secondo luogo, per i tipi di prodotti venduti in Ucraina in quantità rappresentative (in prosieguo: i «tipi di prodotti venduti in Ucraina»), la Commissione ha applicato il test NOC (v. precedente punto 43). A tale scopo essa ha calcolato la percentuale di vendite sul mercato interno remunerative ad acquirenti indipendenti durante il periodo dell’inchiesta (considerando 27).

65      Per i tipi di prodotto venduto in Ucraina per i quali oltre l’80% (in volume) delle vendite sul mercato interno era effettuato a un prezzo superiore al costo di produzione e la media ponderata dei prezzi di vendita era pari o superiore al costo unitario di produzione, il valore normale per tipo di prodotto è stato calcolato come media ponderata dei prezzi effettivi di tutte le vendite, remunerative o meno, del tipo di prodotto in questione sul mercato interno (considerando 28).

66      Quando il volume delle vendite remunerative di un tipo di prodotto rappresentava l’80% o meno del volume totale delle vendite di quel tipo di prodotto o quando la media ponderata dei prezzi di quel tipo di prodotto era inferiore al costo di produzione unitario, il valore normale è stato determinato in base al prezzo effettivamente applicato sul mercato interno, calcolato come media ponderata dei prezzi delle sole vendite remunerative di quel tipo di prodotto effettuate sul mercato interno nel periodo dell’inchiesta di riesame (considerando 29).

67      Dall’analisi delle vendite sul mercato interno è emerso che dal 35 al 55% di tutte le vendite sul mercato interno del tipo di prodotti venduti in Ucraina erano remunerative e che la media ponderata dei prezzi di vendita era superiore al costo di produzione. Il valore normale è quindi stato calcolato come media ponderata delle sole vendite remunerative (considerando 30).

68      In terzo luogo, per i tipi di prodotti per i quali le vendite in Ucraina hanno rappresentato meno del 5% delle vendite all’esportazione nell’Unione o che non sono stati venduti sul mercato interno ucraino (in prosieguo: i «tipi di prodotti non venduti in Ucraina»), la Commissione ha calcolato il valore normale in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, sulla base del costo di fabbricazione per tipo di prodotto maggiorato di un importo per le spese GAV e per i profitti (considerando 31).

 Sull’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafi 3, 4 e 6, del regolamento di base

69      Le ricorrenti sostengono che, nel calcolare il valore normale, la Commissione ha erroneamente preso in considerazione le spese GAV contestate, gonfiando il valore normale tanto nell’applicazione del test NOC, per i tipi di prodotti venduti in Ucraina, quanto nella costruzione del valore normale ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, per i tipi di prodotti non venduti in Ucraina (v. precedenti punti da 43 a 48).

70      Per statuire su tali censure, è necessario determinare se la Commissione fosse legittimata a includere le spese GAV contestate nel calcolo del valore normale ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base.

71      Come ricordato ai precedenti punti da 57 a 60, il principio fondamentale che disciplina la determinazione del valore normale è che deve essere fondato su elementi concernenti normali operazioni commerciali.

72      Dall’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base risulta che i prezzi delle vendite tra parti associate non possono essere utilizzati, salvo eccezioni, per stabilire il valore normale (v. precedente punto 59).

73      La Commissione sostiene che tale esclusione riguarda una questione diversa da quella se, nel caso di specie, le spese GAV relative a vendite tra parti associate, come le ricorrenti e la IPU, possano essere prese in considerazione per determinare il valore normale, ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base.

74      Va ricordato che, secondo la giurisprudenza, il costo di produzione, inteso come la somma del costo di fabbricazione del prodotto in esame e delle spese GAV, è preso in considerazione dalla Commissione, da un lato, nel contesto del test NOC previsto all’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento di base, al fine di valutare se le vendite sul mercato interno siano remunerative e possano quindi essere considerate come effettuate nel corso di normali operazioni commerciali, e, dall’altro lato, nella costruzione del valore normale ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, di tale regolamento, qualora le vendite sul mercato interno non abbiano potuto essere prese in considerazione (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2017, Viraj Profiles/Consiglio, T‑67/14, non pubblicata, EU:T:2017:481, punto 163). Dalla giurisprudenza risulta altresì che le spese rilevati in entrambi i casi devono essere le stesse, onde evitare di trattare, senza alcuna ragione, in maniera diversa i produttori esportatori a seconda che essi vendano taluni tipi di prodotti anche nel proprio paese od esclusivamente all’estero (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 1988, Brother Industries/Consiglio, 250/85, EU:C:1988:464, punto 19).

75      Ne consegue che, nel caso di specie, la Commissione doveva utilizzare le medesime spese GAV tanto nell’applicare il test NOC ai tipi di prodotti venduti in Ucraina, quanto nel costruire il valore normale per i tipi di prodotti non venduti in Ucraina. Tale constatazione, conforme alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 74, è stata peraltro confermata dalle parti in udienza.

76      Nel regolamento di base, il metodo di valutazione delle spese GAV è specificato all’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, ai sensi del quale: «[g]li importi relativi alle spese generali, amministrative e di vendita e ai profitti sono basati su dati effettivi attinenti alla produzione e alla vendita del prodotto simile, nel corso di normali operazioni commerciali, da parte dell’esportatore o del produttore soggetti all’inchiesta».

77      Nelle sue memorie, la Commissione sostiene che l’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base si applica solo alla costruzione del valore normale effettuata conformemente all’articolo 2, paragrafo 3, di detto regolamento, mentre non sarebbe rilevante ai fini del test NOC, previsto all’articolo 2, paragrafo 4, di quest’ultimo.

78      Tuttavia, occorre rilevare che l’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base non opera alcuna distinzione in base al fatto che il valore normale di cui trattasi sia valutato in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3, o di un’altra disposizione del medesimo regolamento. Esso non limita l’applicazione del regime giuridico da esso fissato a situazioni previste da determinate disposizioni specifiche di detto regolamento. Di conseguenza, l’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base non osta a che l’obbligo, da esso previsto, di basarsi su dati effettivi raccolti nel corso di normali operazioni commerciali abbia applicazione generale, tutte le volte in cui tale articolo fa riferimento alle spese GAV. Peraltro, poiché è pacifico che, come riconosciuto dalla Commissione in udienza (v. precedente punto 75), le spese GAV utilizzate per la costruzione del valore normale in base all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base siano le stesse di quelle applicate ai fini del test NOC previsto all’articolo 2, paragrafo 4, del medesimo regolamento, tali spese devono rispettare l’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, di detto regolamento ed essere, quindi, fondate su dati attinenti a vendite effettuate nel corso di normali operazioni commerciali.

79      È necessario verificare se la Commissione abbia utilizzato dati siffatti nell’applicare il test NOC nel caso di specie.

80      A tal fine, si deve ricordare che i tipi di prodotti venduti in Ucraina dal gruppo Interpipe erano venduti sotto forma di vendite tanto dirette quanto indirette, tramite la IPU (v. precedente punto 39). Orbene, l’articolo 2, paragrafo 6, prima frase del regolamento di base non si riferisce in modo specifico all’ipotesi di operazioni, come le vendite indirette, che si svolgono in due fasi, la prima delle quali avviene all’interno dell’entità economica unica costituita da detto gruppo.

81      Al fine di giustificare la presa in considerazione, ai fini del calcolo del valore normale, delle spese GAV sostenute in occasione delle vendite delle ricorrenti alla IPU, la quale è pacifico che sia una società collegata a queste ultime, la Commissione fa valere, in sostanza, che il valore normale del prodotto venduto al primo acquirente indipendente è calcolato prendendo in considerazione tutte le spese relative alla fabbricazione e alla vendita del prodotto, indipendentemente dal fatto che tali spese siano sostenute dal produttore o dalla parte che è collegata al gruppo.

82      In proposito, occorre ricordare il significato della nozione di entità economica unica nel diritto dell’Unione e le sue conseguenze sul calcolo del valore normale in presenza di operazioni come le vendite indirette nel caso di specie.

 Sulla nozione di entità economica unica e sulle sue conseguenze

83      La nozione di entità economica unica è stata forgiata ai fini della determinazione del valore normale conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di base e a disposizioni analoghe precedenti. Tale nozione si fonda sulla necessità di tener conto della realtà economica delle relazioni all’interno di un gruppo di società (sentenze del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punto 55, e del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punti 108 e 110).

84      Infatti, secondo la Corte, la suddivisione delle attività di produzione e di quelle di vendita all’interno di un gruppo formato da società giuridicamente distinte non può sminuire per nulla il fatto che si tratta di un’entità economica unica la quale organizza in questo modo un complesso di attività svolte, in altri casi, da un’entità che è unica anche sotto il profilo giuridico (v. sentenza del 13 ottobre 1993, Matsushita Electric Industrial/Consiglio, C‑104/90, EU:C:1993:837, punto 9 e giurisprudenza citata).

85      Per quanto concerne i prezzi da prendere in considerazione nell’ipotesi di una vendita che coinvolge più società appartenenti allo stesso gruppo prima che il prodotto di cui trattasi sia acquistato da un terzo, risulta dalla giurisprudenza che, quando un produttore affida compiti spettanti, di norma, a un dipartimento di vendita interno a una società di distribuzione dei suoi prodotti che esso controlla economicamente, l’utilizzo, ai fini della determinazione del valore normale, dei prezzi pagati dal primo acquirente indipendente alla suddetta società di distribuzione è giustificato, dato che tali prezzi possono essere considerati i prezzi della prima vendita del prodotto effettuata nel corso di normali operazioni commerciali, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base (sentenza del 17 marzo 2015, causa T‑466/12, RFA International/Commissione, EU:T:2015:151, punto 108; v. anche, in tal senso, sentenze del 5 ottobre 1988, Brother Industries/Consiglio, 250/85, EU:C:1988:464, punto 15, e del 10 marzo 1992, Canon/Consiglio, C‑171/87, EU:C:1992:106, punti 9 e 11). Ne consegue che le istituzioni dell’Unione competenti ad adottare dazi antidumping devono fondarsi sui prezzi pagati dal primo acquirente indipendente alle società di vendita collegate (sentenza del 10 marzo 1992, Matsushita Electric/Consiglio, C‑175/87, EU:C:1992:109, punto 16; v. altresì, in tal senso, sentenze del 5 ottobre 1988, TEC e a./Consiglio, 260/85 e 106/86, EU:C:1988:465, punto 30, e del 5 ottobre 1988, Silver Seiko e a./Consiglio, 273/85 e 107/86, EU:C:1988:466, punto 14).

86      Nel giungere a questa conclusione, che riguarda i prezzi, la Corte si è pronunciata sulle spese, rilevando che l’insieme delle spese sostenute dalle società di distribuzione controllate dal produttore, così come quelle sostenute dal produttore, che hanno contribuito alla vendita dei prodotti di cui trattasi sul mercato interno e che sarebbero chiaramente incluse nel prezzo di vendita se la vendita fosse stata effettuata da un dipartimento di vendita interno del produttore, dovevano essere incluse nel valore normale (sentenza del 10 marzo 1992, Matsushita Electric/Consiglio, C‑175/87, EU:C:1992:109, paragrafo 15).

87      Più in generale, secondo la Corte, per quando riguarda le vendite indirette come quelle controverse nel caso di specie, devono essere sempre prese in considerazione tutte le spese che sono necessariamente incluse nel prezzo pagato dal primo acquirente indipendente, al fine di evitare una discriminazione, dal punto di vista del calcolo del valore normale, in base alla circostanza che una vendita sia eseguita da un dipartimento di vendita inserito nell’organizzazione del produttore o da una società giuridicamente distinta, seppure economicamente controllata dal produttore (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 1988, TEC e a./Consiglio, 260/85 e 106/86, EU:C:1988:465, punto 29, e del 10 marzo 1992, Canon/Consiglio, C‑171/87, EU:C:1992:106, punto 13).

88      In applicazione dei suddetti principi, si deve ritenere che, nel caso di specie, una vendita indiretta possa essere suddivisa nelle sue due componenti, al fine di qualificare la seconda, che è stata eseguita tra la IPU e un acquirente indipendente, come una normale operazione commerciale, mentre la prima, avvenuta tra l’una o l’altra delle ricorrenti e la IPU, non sarebbe presa in considerazione nel calcolo del valore normale, in quanto non costituirebbe una tale operazione. Ne consegue che la Commissione deve prendere in considerazione la vendita indiretta, nel suo insieme, ai fini di tale valutazione.

89      Pertanto, in applicazione tanto dell’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base, quanto della giurisprudenza citata al precedente paragrafo 85, gli unici prezzi rilevanti ai fini del calcolo del valore normale sono, per quanto concerne le vendite indirette, quelli pagati dagli acquirenti indipendenti. Le parti concordano, del resto, su questo punto.

90      Per quanto concerne le spese GAV, in applicazione dei principi risultanti dai precedenti punti 86 e 87 e della conclusione che ne deriva, come esposta al precedente punto 88, le ricorrenti contestano erroneamente la scelta della Commissione di basarsi su tutte le spese, comprese le spese GAV contestate, che sono state sostenute, all’interno del gruppo Interpipe, nel corso delle due fasi di cui si compongono le vendite indirette.

91      Occorre aggiungere che il cumulo delle spese GAV relative alle due fasi di una vendita indiretta e la presa in considerazione del solo prezzo praticato nella seconda fase, ai fini del test NOC, è conforme alle disposizioni applicabili del regolamento di base e alla giurisprudenza summenzionata e riflette la realtà economica. In effetti, nel caso di specie, si può presumere che i prezzi praticati dalla IPU nei confronti degli acquirenti indipendenti, per prodotti che essa ha acquistato dalle ricorrenti, siano il risultato dei seguenti elementi. Anzitutto, tali prezzi praticati dalla IPU includono i prezzi che la stessa IPU ha pagato, a monte, alle ricorrenti, fermo restando che tali prezzi devono riflettere i costi di fabbricazione dei prodotti, le spese GAV sostenute dalle ricorrenti in occasione della vendita di tali prodotti alla IPU e, se del caso, i profitti di queste ultime. Essi includono, poi, le spese GAV sostenute dalla IPU per vendere tali medesimi prodotti ad acquirenti indipendenti, unitamente ad un eventuale profitto. Per determinare se una vendita indiretta è remunerativa, la Commissione deve verificare se il prezzo praticato dalla IPU le consenta di recuperare il prezzo da essa pagato alle ricorrenti e le spese GAV da essa sostenute. Poiché, come è stato appena sottolineato, il prezzo pagato dalla IPU alle ricorrenti include, tra l’altro, le spese GAV sostenute dalle ricorrenti, la Commissione è tenuta a prendere in considerazione tali spese. Occorre rilevare che, invece, non si può ritenere, e le ricorrenti non lo sostengono, che le spese GAV sostenute dalla IPU nell’ambito della vendita ad acquirenti indipendenti includano le spese GAV sostenute dalle ricorrenti nella prima fase della vendita indiretta, tra esse e la IPU. Pertanto, se la Commissione non avesse incluso nel suo calcolo le spese GAV contestate, queste ultime non sarebbero state prese in considerazione nell’ambito delle vendite indirette, sicché il valore normale sarebbe stato determinato in base ad un metodo che non rifletteva la realtà economica.

92      Alla luce delle suesposte considerazioni, l’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base non può essere interpretato nel senso che osta a che la Commissione, nell’ambito del test NOC e della costruzione del valore normale ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, di detto regolamento, si fondi su spese GAV che includono quelle contestate nel caso di specie.

93      Di conseguenza, devono essere respinte le censure delle ricorrenti vertenti sul fatto che la Commissione, prendendo in considerazione spese GAV contestate nel calcolare il valore normale, ha artificialmente aumentato detto valore. Occorre pertanto esaminare le altre censure dedotte a sostegno del primo motivo di ricorso, relative alle decisioni dell’organo di conciliazione dell’OMC, al carattere teorico delle spese GAV contestate e alla violazione della prassi della Commissione.

 Sulle censure relative alle decisioni dell’organo di conciliazione dell’OMC

94      Le ricorrenti sostengono che l’organo di appello dell’OMC, le cui relazioni sono adottate dall’organo di conciliazione dell’OMC, nell’interpretare l’articolo 2.2.2., prima frase, dell’accordo antidumping dell’OMC, che corrisponderebbe all’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base, ha specificato che era necessario basarsi sui dati effettivi attinenti alla produzione e alle vendite, nel corso di normali operazioni commerciali, e che le vendite che non avevano avuto luogo nel corso di operazioni siffatte dovevano essere escluse dal calcolo degli importi corrispondenti alle spese GAV e ai profitti.

95      Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, tenuto conto della loro natura e della loro economia, gli accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali il giudice dell’Unione controlla la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione in forza dell’articolo 263, primo comma, TFUE. Tuttavia, nel caso in cui l’Unione abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto dell’Unione rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC, il giudice dell’Unione è tenuto a controllare la legittimità dell’atto dell’Unione controverso alla luce delle norme dell’OMC (v. sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punto 134 e giurisprudenza citata; v. anche, in tal senso, sentenza del 15 novembre 2018, Baby Dan, C‑592/17, EU:C:2018:913, punti 66 e 67).

96      Conformemente al considerando 3 del regolamento di base, ai fini dell’applicazione adeguata e trasparente delle norme dell’accordo antidumping OMC, è opportuno recepire nella legislazione dell’Unione, nella misura massima possibile, i termini di tale accordo.

97      Le disposizioni dell’articolo 2.2.2, prima frase, dell’accordo antidumping OMC coincidono, in sostanza, con quelle dell’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base. Lo stesso vale, da un lato, per le disposizioni degli articoli 2.2 e 2.2.1 del medesimo accordo e, dall’altro, per quelle dell’articolo 2, paragrafi 3 e 4, di detto regolamento.

98      Ne consegue che le disposizioni del regolamento di base, nella misura in cui corrispondono a disposizioni dell’accordo antidumping OMC, devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce delle disposizioni corrispondenti di tale accordo, come interpretate dall’organo di conciliazione dell’OMC (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2013, Transnational Company «Kazchrome» e ENRC Marketing/Consiglio, C‑10/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:865, punto 54; del 18 ottobre 2018, Rotho Blaas, C‑207/17, EU:C:2018:840, punti da 46 a 48, e del 10 aprile 2019, Jindal Saw e Jindal Saw Italia/Commissione, T‑301/16, EU:T:2019:234, punto 134).

99      L’organo di appello dell’OMC, nella sua relazione concernente la controversia «Comunità europee – Dazi antidumping sulle importazioni di biancheria da letto di cotone originarie dell’India», adottata dall’organo di conciliazione dell’OMC il 12 marzo 2001 (WT/DS 141/AB/R, punto 82), ha interpretato l’articolo 2.2.2 dell’accordo antidumping OMC nei seguenti termini:

«La prima frase del testo introduttivo dell’articolo 2.2.2 si riferisce a “dati effettivi attinenti alla produzione e alla vendita, nel corso di normali operazioni commerciali”. In tal modo, i redattori dell’[a]ccordo antidumping [OMC] hanno chiaramente indicato che le vendite che non hanno avuto luogo nel corso di normali operazioni commerciali devono essere escluse dal calcolo degli importi corrispondenti alle spese [GAV] e ai profitti utilizzando il metodo previsto nel testo introduttivo dell’articolo 2.2.2».

100    Simili considerazioni sono contenute nella relazione dell’organo di appello dell’OMC concernente la controversia «Cina – Misure che impongono dazi antidumping sui tubi, senza saldature, in acciaio inossidabile ad alta precisione (“HP-SSST”) originari dell’Unione europea», adottata dall’organo di conciliazione dell’OMC il 28 ottobre 2015 (WT/DS 460/AB/R, punto 5.27), nonché nella relazione del gruppo speciale dell’OMC relativa alla controversia «Stati uniti – Misure antidumping concernenti determinati prodotti tubulari per campi petroliferi provenienti dalla Corea», adottata dall’organo di conciliazione dell’OMC il 18 gennaio 2018 (WT/DS 488/R, punto 7.45).

101    Nella fattispecie, tuttavia, si deve constatare che la presa in considerazione, da parte della Commissione, delle spese GAV contestate non contrasta con il principio risultante dalle decisioni dell’organo di conciliazione dell’OMC, in base al quale sono escluse dal calcolo delle spese GAV le vendite non eseguite nel corso di normali operazioni commerciali. Infatti, come rilevato al precedente punto 88, occorre considerare che una vendita indiretta, nel suo complesso, costituisce in linea di principio una operazione commerciale normale. Le citate decisioni dell’organo di conciliazione dell’OMC non riguardano situazioni come le vendite indirette, che sono in esame nel caso di specie.

102    Poiché l’organo di conciliazione dell’OMC non si è pronunciato specificamente su una situazione come quella risultante dalle vendite indirette, non si può considerare che la Commissione, prendendo in considerazione le spese GAV contestate, sia incorsa in una violazione dell’articolo 2, paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base, letto alla luce dell’articolo 2.2.2 dell’accordo antidumping OMC.

 Sul carattere teorico delle spese GAV contestate

103    Le ricorrenti sostengono di non aver in realtà sostenuto l’onere delle spese GAV contestate. Esse precisano di non mettere in discussione il principio in base al quale le vendite tra parti collegate comportino determinate spese, ma sostengono che le spese GAV che hanno menzionato nelle loro risposte al questionario della Commissione non sono rappresentative delle spese effettive sostenute per tali operazioni e che dette spese GAV avrebbero di conseguenza dovuto essere escluse. Gli importi indicati dalle ricorrenti nella colonna del questionario relativa alle spese attinenti agli «acquirenti collegati» sarebbero teorici e sarebbero stati inseriti solo per rispettare il formato del questionario elaborato dalla Commissione.

104    Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, primo comma, del regolamento di base, «[i] costi sono di norma calcolati in base ai documenti contabili tenuti dalla parte sottoposta all’inchiesta, a condizione che tali documenti siano conformi ai principi contabili generalmente riconosciuti nel paese interessato e che sia dimostrato che essi esprimono adeguatamente i costi di produzione e le spese di vendita del prodotto in esame».

105    Inoltre, dall’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento di base risulta che i servizi della Commissione elaborano e trasmettono alle parti interessate un questionario al fine di ottenere le informazioni necessarie per l’inchiesta antidumping e che dette parti hanno l’obbligo di fornire a detti servizi e le informazioni che consentiranno loro di condurre a buon fine l’inchiesta antidumping [sentenza del 14 dicembre 2017, EBMA/Giant (Cina), C‑61/16 P, EU:C:2017:968, punti 50 e 51].

106    Le risposte delle parti al questionario di cui all’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento di base nonché la successiva verifica cui la Commissione può procedere in loco, prevista all’articolo 16 del medesimo regolamento, sono essenziali per lo svolgimento della procedura antidumping (v. sentenza del 30 aprile 2015, VTZ e a./Consiglio, T‑432/12, non pubblicata, EU:T:2015:248, punto 29 e giurisprudenza citata).

107    Risulta altresì dall’articolo 18, paragrafi 3 e 6, del regolamento di base che le informazioni che le parti interessate hanno l’obbligo di fornire alla Commissione devono essere utilizzate dalle istituzioni dell’Unione ai fini dell’elaborazione delle conclusioni dell’inchiesta antidumping e che tali stesse parti non devono omettere di comunicare informazioni pertinenti. Il carattere necessario di un elemento d’informazione specifico va valutato caso per caso [sentenza del 14 dicembre 2017, EBMA/Giant (Cina), C‑61/16 P, EU:C:2017:968, punto 52].

108    Inoltre, spetta alla Commissione, in quanto autorità investigatrice, determinare l’esistenza di un dumping (v., in tal senso, sentenze del 12 ottobre 1999, Acme/Consiglio, T‑48/96, EU:T:1999:251, punto 40, e del 30 aprile 2015, VTZ e a./Consiglio, T‑432/12, non pubblicata, EU:T:2015:248, punto 29).

109    La verifica degli elementi raccolti è intesa a consentire alla Commissione di adempiere ai propri compiti e di assicurarsi dell’esattezza delle informazioni fornite dall’impresa sottoposta a verifica, la quale deve rispondere al meglio delle sue possibilità e in modo esaustivo alle questioni poste dalla Commissione e non deve omettere di fornire tutti i dati e le spiegazioni utili affinché quest’ultima possa procedere ai controlli incrociati, necessari per verificare l’esattezza dei dati forniti e giungere a conclusioni sufficientemente precise (sentenza del 3 dicembre 2019, Yieh United Steel/Commissione, T‑607/15, EU:T:2019:831, punto 78).

110    Nel caso di specie, le ricorrenti, rispondendo al questionario trasmesso loro dalla Commissione, hanno fornito i dati relativi alle spese GAV contestate. Pur mettendo in dubbio il principio in base al quale tali spese dovevano essere prese in considerazione, facendo valere un cambiamento di metodo, da parte della Commissione, rispetto ai precedenti riesami da essa effettuati, esse non hanno espresso dubbi sull’affidabilità dei dati da esse forniti a tale istituzione.

111    Dinanzi al Tribunale, le ricorrenti fanno valere che, quando hanno compilato il questionario della Commissione ai fini della valutazione delle spese GAV contestate, hanno applicato all’importo totale delle loro spese GAV un coefficiente corrispondente alla proporzione del fatturato generato dalle loro vendite alla IPU rispetto all’importo del fatturato generato dall’insieme delle loro vendite. A loro avviso, poiché, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base, i prezzi di vendita dei loro prodotti alla IPU non hanno potuto essere utilizzati per determinare il valore normale, anche il fatturato generato da tali vendite è irrilevante ai fini della determinazione delle spese GAV. Le spese GAV calcolate in base a un tale metodo sarebbero teoriche e avrebbero dovuto essere escluse dal calcolo del valore normale.

112    Le ricorrenti riconoscono, tuttavia, che le vendite tra società collegate comportano talune spese GAV. Occorre rilevare che il fatto che esse lo riconoscano non è accompagnato dalla proposta di utilizzare un metodo diverso da quello risultante dal questionario utilizzato dalla Commissione per calcolare le spese GAV contestate, che quest’ultima era tenuta a prendere in considerazione, come risulta dal precedente punto 90.

113    Per quanto riguarda la censura in base alla quale, applicando il metodo derivante dal questionario della Commissione, le spese GAV contestate sono state calcolate secondo un coefficiente calcolato in base a un fatturato stabilito sulla base di prezzi praticati tra società collegate, come le ricorrenti e la IPU, si deve rilevare che l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di base, fatto valere dalle ricorrenti (v. precedente punto 111) non fa alcun riferimento alle spese GAV. È vero che tale disposizione esclude, al suo terzo comma, che i prezzi praticati tra società collegate possano essere considerati come prezzi da prendere in considerazione ai fini del calcolo del valore normale, il quale, ai sensi del primo comma del medesimo paragrafo, «è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore». Tuttavia, le ricorrenti non hanno dimostrato che l’esclusione dei prezzi praticati tra società collegate determinasse quella delle spese GAV sostenute in occasione di vendite tra tali società.

114    Pertanto, le censure in esame sollevate dalle ricorrenti non possono inficiare il principio, che risulta dai precedenti punti da 83 a 91, in base al quale la Commissione era tenuta a calcolare il valore normale tenendo conto dell’insieme delle spese sostenute in occasione delle vendite dei tipi di prodotti venduti in Ucraina, incluse tutte le spese relative alle vendite indirette. Di conseguenza, tali censure devono essere respinte.

 Sulla violazione della prassi della Commissione

115    Le ricorrenti fanno valere che la Commissione, prendendo in considerazione le spese GAV contestate ai fini della determinazione del valore normale, ha violato la sua stessa prassi.

116    Si deve ricordare, tuttavia, che la legittimità di un regolamento che istituisce dazi antidumping deve essere valutata alla luce delle norme di diritto e, in particolare, delle disposizioni del regolamento di base, e non sulla base dell’asserita prassi decisionale anteriore della Commissione e del Consiglio [sentenza del 18 ottobre 2016, Crown Equipment (Suzhou) e Crown Gabelstapler/Consiglio, T‑351/13, non pubblicata, EU:T:2016:616, punto 107; v. anche, in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2006, Moser Baer India/Consiglio, T‑300/03, EU:T:2006:289, punto 45].

117    Nel caso di specie, essendo stato accertato che l’inclusione delle spese GAV contestate nel calcolo del valore normale era conforme al regolamento di base, la censura in esame deve essere respinta in quanto inconferente, senza che sia necessario esaminare se le istituzioni, nell’adottare i regolamenti fatti valere dalle ricorrenti, abbiano applicato un metodo diverso da quello seguito nel caso di specie.

118    Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, si deve dichiarare che la Commissione, nel prendere in considerazione le spese GAV contestate ai fini della determinazione del valore normale, non ha violato l’articolo 2, paragrafo 3, primo comma, paragrafo 4, primo comma, e paragrafo 6, prima frase, del regolamento di base, e non ha violato l’articolo 2.2.2, prima frase, dell’accordo antidumping OMC.

119    Di conseguenza, il primo motivo di ricorso, di cui al precedente paragrafo 33, deve essere respinto.

 Sul secondo motivo di ricorso, vertente su un errore manifesto di valutazione nellapplicazione, al prezzo di esportazione, di un importo corrispondente alle spese GAV e ai profitti di un agente che opera sulla base di commissioni

120    Le ricorrenti fanno valere un errore manifesto di valutazione in cui la Commissione sarebbe incorsa nell’interpretare l’articolo 2, paragrafo 10, frasi dalla prima alla quarta, e lettera i), del regolamento di base.

121    Le ricorrenti sostengono che la Commissione, nel calcolare il prezzo all’esportazione ai fini della procedura che si è conclusa con l’adozione del regolamento impugnato, ha erroneamente applicato un adeguamento al ribasso, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base, ai prezzi praticati dalla IPE per le vendite del prodotto in esame ai primi acquirenti indipendenti nell’Unione (in prosieguo: l’«adeguamento controverso»). L’adeguamento controverso avrebbe introdotto un’asimmetria funzionale tra il valore normale e il prezzo all’esportazione praticato dalle ricorrenti, che avrebbe inciso sulla comparabilità dei prezzi, in violazione dell’articolo 2, paragrafo 10, frasi dalla prima e alla quarta, dello stesso regolamento. La Commissione, anziché introdurre tale adeguamento, avrebbe dovuto basarsi sui suddetti prezzi, come avrebbe fatto in occasione di precedenti riesami, seguendo gli insegnamenti della prima sentenza Interpipe, confermata dalla Corte. Gli elementi posti in risalto dalla Commissione nel DDG 2019, nel regolamento impugnato e nella lettera del 2 agosto 2019, non giustificherebbero l’adeguamento controverso.

122    In primo luogo, ad avviso delle ricorrenti, la Commissione sostiene erroneamente che, con la creazione della IPCT (v. precedente punto 14), che si sarebbe affiancata alla IPE, le ricorrenti disporrebbero oramai di canali paralleli per esportare gli stessi prodotti nell’Unione. La Commissione ne trarrebbe l’erronea conclusione che la IPE dovrebbe d’ora in avanti essere qualificata come agente e non, come in precedenza, come dipartimento di vendita interno all’entità economica unica costituita dalle ricorrenti e dalla IPU. La Commissione non fornirebbe alcun chiarimento che dimostri l’automaticità dell’asserito collegamento tra la presenza della IPCT, come importatore collegato avente sede nell’Unione, e il cambiamento della qualificazione della IPE. Quest’ultima continuerebbe ad operare come in precedenza, nonostante la creazione della IPCT, e rimarrebbe il principale canale di esportazione delle ricorrenti per le loro vendite nell’Unione del prodotto interessato dalle misure antidumping in esame. La IPCT sarebbe stata creata per agevolare, principalmente in Germania, le vendite di ruote per ferrovie, che non rientrerebbero nella definizione del medesimo prodotto. Inoltre, né il regolamento di base né la giurisprudenza consentirebbero di affermare che l’esistenza di un canale di vendita «parallelo» possa compromettere lo status di un distributore collegato in quanto dipartimento di vendita interno. Il criterio determinante per escludere un tale status concernerebbe la questione se detto distributore realizzi il proprio fatturato principalmente vendendo prodotti provenienti da imprese non collegate. Orbene, le ricorrenti fornirebbero alla IPE la totalità del prodotto interessato, che quest’ultima vende nell’Unione. La realtà di tale constatazione non sarebbe rimessa in discussione dal fatto, sottolineato dalla Commissione, che lo statuto della IPE non contiene una clausola di esclusiva a favore delle ricorrenti che impedisca formalmente alla IPE di rifornirsi presso altri produttori.

123    Inoltre, le ricorrenti sostengono che la IPCT è stata costituita nel 2014 e che la Commissione, nel riesame definitivo chiuso nel 2018, era a conoscenza dell’esistenza di detta società, ma non ha ritenuto che tale cambiamento di circostanze di fatto costituisse una ragione sufficiente per pronunciarsi nuovamente sullo status della IPE come dipartimento di vendita interno.

124    In secondo luogo, le ricorrenti, pur riconoscendo che la IPU svolge le funzioni di coordinamento descritte dalla Commissione (v. precedente punto 20), contestano l’affermazione di quest’ultima in base alla quale tali funzioni sarebbero incompatibili con l’appartenenza della IPE alla stessa entità economica unica delle ricorrenti e comporterebbero che la IPE debba essere considerata come un agente che opera sulla base di commissioni. Esse fanno riferimento, in proposito, alla prima sentenza Interpipe.

125    In terzo luogo, le ricorrenti sostengono che, anche se i contratti stipulati tra, da un lato, la IPU e, dall’altro, la IPE o la IPCT (in prosieguo: i «contratti in questione»), contengono clausole relative ai reclami concernenti la non conformità delle merci ai requisiti e alle specifiche contrattuali e alla responsabilità delle parti per quanto riguarda la valutazione della qualità, i danni nel trasporto e gli adeguamenti tecnici alle esigenze degli acquirenti finali, nonché la clausola di arbitrato, tale circostanza non consente di affermare che la IPE non sia un dipartimento di vendita interno. Dette clausole, inserite per conformarsi ai requisiti del diritto ucraino, che disciplina tali contratti, non modificherebbero la realtà economica della situazione della IPE, che è un dipartimento di vendita interno, e non un agente che opera sulla base di commissioni.

126    La Commissione contesta gli argomenti delle ricorrenti.

127    Prima di esaminare tali argomenti, occorre ricordare le disposizioni rilevanti e i principi stabiliti dalla giurisprudenza, nonché i precedenti storici dell’applicazione, al gruppo Interpipe, di un adeguamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base e dei regolamenti che l’hanno preceduto.

128    Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, prima frase, del regolamento di base, «[t]ra il valore normale e il prezzo all’esportazione deve essere effettuato un confronto equo». L’articolo 2, paragrafo 10, terza frase, del medesimo regolamento dispone che, «[s]e il valore normale e il prezzo all’esportazione determinati non si trovano in tale situazione comparabile, si tiene debitamente conto, in forma di adeguamenti, valutando tutti gli aspetti dei singoli casi, delle differenze tra i fattori che, secondo quanto è parzialmente affermato e dimostrato, influiscono sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità».

129    L’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base prevede tra i fattori per cui «possono essere applicati adeguamenti» le «[c]ommissioni». Tale disposizione indica, in particolare, che «[s]i applica un adeguamento per le differenze relative alle commissioni pagate per le vendite in esame». Essa precisa che «[n]el termine “commissione” si intende incluso il rialzo ricevuto da un commerciante del prodotto o del prodotto simile, se le funzioni di tale commerciante sono analoghe a quelle di un agente che opera sulla base di commissioni».

130    Tuttavia, dalla giurisprudenza risulta che un adeguamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base non può essere effettuato se il produttore stabilito in uno Stato terzo e il suo distributore collegato incaricato delle esportazioni nell’Unione formano un’entità economica unica (sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 39).

131    Infatti, è stato dichiarato che la nozione di entità economica unica, che è stata forgiata ai fini della determinazione del valore normale come risulta dai precedenti punti 83 e 84, si applica anche alla determinazione del prezzo all’esportazione (v., in tal senso, sentenze del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punti 55 e 56, e del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punti 108 e 109).

132    Conformemente ai principi stabiliti dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 84, si deve rilevare che il riconoscimento dell’esistenza di un’entità economica unica consente di evitare che costi chiaramente inclusi nel prezzo di un prodotto allorché la vendita viene effettuata da un settore vendite inserito nell’organizzazione del produttore ne esulino quando la stessa attività di vendita viene svolta da un’impresa giuridicamente distinta, pure se economicamente controllata dal produttore (sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 41).

133    Ne consegue che un distributore che formi un’entità economica unica con un produttore stabilito in uno Stato terzo non può essere considerato come soggetto che svolge funzioni analoghe a quelle di un agente che opera sulla base di commissioni, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base (sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 42).

134    Nel contesto dell’analisi dell’esistenza di un’entità economica unica tra un produttore e il suo distributore collegato, è determinante considerare la realtà economica delle relazioni esistenti tra detto produttore e tale distributore. Tenuto conto della necessità di una constatazione che rifletta la realtà economica delle relazioni esistenti tra detto produttore e tale distributore, le istituzioni dell’Unione devono prendere in considerazione l’insieme dei fattori pertinenti che consentono di determinare se tale distributore svolga o meno le funzioni di un settore vendite integrato di detto produttore (sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 43)

135    Per quanto riguarda l’onere della prova in merito agli adeguamenti specifici elencati all’articolo 2, paragrafo 10, lettere da a) a k), del regolamento di base, secondo la giurisprudenza esso incombe a colui che intende avvalersene (sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 83 e giurisprudenza citata).

136    In tal senso, se le istituzioni dell’Unione ritengono che si debba applicare un adeguamento verso il basso del prezzo all’esportazione, in quanto una società di vendita collegata ad un produttore esercita funzioni assimilabili a quelle di un agente che opera sulla base di commissioni, incombe loro fornire quanto meno indizi convergenti atti a dimostrare che sussiste tale presupposto (sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 84 e giurisprudenza citata).

137    Ne consegue che, nell’ipotesi in cui le istituzioni dell’Unione abbiano fornito indizi convergenti atti a provare che un distributore collegato a un produttore esercita funzioni analoghe a quelle di un agente che opera sulla base di commissioni, spetta a tale distributore o a detto produttore dimostrare che un adeguamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base non è giustificato (sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 85).

 Sui precedenti storici dell’applicazione al gruppo Interpipe di un adeguamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base e dei regolamenti che l’hanno preceduto

–       Sull’adeguamento applicato al gruppo Interpipe nel regolamento n. 954/2006 e sul seguito dato alla dichiarazione di illegittimità di quest’ultimodi cui alla prima sentenza Interpipe

138    Come ricordato ai precedenti punti 4 e 6, nel regolamento n. 954/2006, il calcolo del dazio antidumping applicabile alle ex società Interpipe, alle quali sono succedute le ricorrenti, includeva l’applicazione, ai prezzi praticati dalla società svizzera Sepco, successivamente divenuta la IPE, di un adeguamento analogo all’adeguamento controverso. Nella prima sentenza Interpipe il Tribunale ha parzialmente annullato detto regolamento proprio a motivo dell’illegittimità di tale adeguamento.

139    Per statuire in tal senso, il Tribunale ha, anzitutto, rilevato che la Commissione si era basata su tre elementi per concludere che la Sepco esercitava funzioni assimilabili a quelle di un agente che opera sulla base di commissioni. In primo luogo, le ex società Interpipe avrebbero eseguito vendite dirette del prodotto di cui trattasi nell’Unione. In secondo luogo, la SPIG Interpipe, la società di vendita collegata in Ucraina, successivamente divenuta la IPU, sarebbe intervenuta in qualità di agente di vendita per le vendite delle ex società Interpipe alla Sepco. In terzo luogo, i legami di quest’ultima con dette società sarebbero stati insufficienti e non avrebbero consentito di concludere che fosse sotto il loro controllo o che esistesse un controllo comune alla Sepco e alle ex società Interpipe (prima sentenza Interpipe, punto 182).

140    Per quanto riguarda il primo elemento, il Tribunale ha constatato che le vendite dirette nell’Unione da parte delle ex società Interpipe erano proseguite a destinazione dei nuovi Stati membri in una fase di transizione. Inoltre, il volume delle vendite dirette rappresentava circa l’8% del volume totale delle vendite delle suddette società nell’Unione ed era pertanto marginale. Di conseguenza, tali società avevano assunto solo compiti di vendita complementari a quelli della Sepco e solo per un periodo transitorio (prima sentenza Interpipe, punto 185).

141    Per quanto concerne il secondo elemento, il Tribunale ha rilevato che il Consiglio non aveva precisato sotto quale aspetto il fatto che la SPIG Interpipe ricevesse una commissione sulle vendite delle ex società Interpipe alla Sepco potesse dimostrare che quest’ultima abbia esercitato funzioni analoghe a quelle di un agente che lavora sulla base di commissioni o sarebbe di ostacolo al riconoscimento del suo status di dipartimento di vendita interno di dette società (prima sentenza Interpipe, punto 186).

142    Per quanto riguarda il terzo elemento, il Tribunale ha rilevato che gli atti del fascicolo non consentivano di constatare l’insufficienza dei collegamenti tra la Sepco e una delle ex società Interpipe (prima sentenza Interpipe, punto 187).

143    Il Tribunale è giunto alla conclusione che il Consiglio era incorso in un errore manifesto di valutazione nell’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento n. 384/96, come modificato, nella misura in cui ha operato un adeguamento sul prezzo all’esportazione praticato dalla Sepco nell’ambito di transazioni aventi ad oggetto prodotti fabbricati da una delle ex società Interpipe (prima sentenza Interpipe, punto 190). A causa di una violazione dei diritti della difesa, tale adeguamento è stato ritenuto illegittimo anche nella misura in cui era stato applicato a transazioni riguardanti prodotti fabbricati dall’altra delle ex società Interpipe (prima sentenza Interpipe, punti da 209 a 211).

144    Nei considerando 12 e 13 del regolamento di esecuzione n. 540/2012, adottato dal Consiglio, ai sensi dell’articolo 266 TFUE, in esecuzione della prima sentenza Interpipe, confermata dalla Corte, esso, da un lato, ha considerato che il Tribunale aveva dichiarato che le istituzioni europee, confrontando il valore normale e il prezzo all’esportazione, nel caso specifico del gruppo Interpipe, non avrebbero dovuto operare adeguamenti per tenere conto delle commissioni e, dall’altro lato, ha dichiarato che, per tale motivo il margine di dumping era stato ricalcolato senza adeguare il prezzo all’esportazione per tenere conto di differenze di commissioni.

145    Come confermato dalla Commissione in udienza, nel regolamento di esecuzione n. 540/2012 il Consiglio non ha analizzato la questione se altri elementi, oltre a quelli esaminati dal Tribunale nella prima sentenza Interpipe, potessero giustificare l’adeguamento dichiarato illegittimo in detta sentenza.

146    Un tale esame non risulta neanche dal regolamento di esecuzione n. 585/2012, con il quale il Consiglio ha mantenuto le misure antidumping in questione (v. precedente punto 9). In effetti, dai considerando 7, 38 e 57 di quest’ultimo emerge che, a seguito delle decisioni del giudice dell’Unione, non doveva essere applicato alcun adeguamento al prezzo all’esportazione del gruppo Interpipe. Lo stesso vale per il regolamento di esecuzione n. 795/2012, adottato a seguito del riesame intermedio chiuso nel 2012, come risulta dai suoi considerando 2, 27 e 28.

147    Nel regolamento 2018/1469, adottato a seguito del riesame definitivo chiuso nel 2018, la Commissione, nei considerando 4 e 5, ha descritto l’insieme di misure antidumping concernenti il gruppo Interpipe. Al considerando 86, essa ha affermato che nei casi in cui il produttore esportatore ha venduto il prodotto in esame ad acquirenti indipendenti dell’Unione tramite la IPE, il prezzo all’esportazione è stato stabilito sulla base dei prezzi realmente pagati o pagabili per il prodotto in questione venduto per l’esportazione nell’Unione, conformemente all’articolo 2, paragrafo 8, del regolamento di base. Al considerando 87, la Commissione ha aggiunto che, nei casi in cui i produttori esportatori hanno venduto il prodotto in esame nell’Unione tramite la IPCT, il prezzo all’esportazione è stato costruito sulla base del prezzo a cui il prodotto importato era rivenduto per la prima volta ad acquirenti indipendenti nell’Unione, conformemente all’articolo 2, paragrafo 9, di detto regolamento.

148    Pertanto, è in base alla motivazione risultante dalla prima sentenza Interpipe che la Commissione, nel regolamento di esecuzione 2018/1469, ha continuato a non applicare al prezzo all’esportazione dei prodotti venduti dalla IPE l’adeguamento previsto all’articolo 2, paragrafo 10, lettera i), del regolamento di base.

–       Sull’applicazione dell’adeguamento controverso

149    Nell’ambito del riesame intermedio chiuso nel 2019, esaminando in maniera più approfondita la questione delle relazioni tra le ricorrenti e la IPE, la Commissione è invece giunta alla conclusione che l’adeguamento controverso doveva essere applicato.

150    Dai considerando da 39 a 42 del regolamento impugnato risulta che, secondo la Commissione, durante il periodo dell’inchiesta relativo al riesame intermedio chiuso nel 2019, il gruppo Interpipe ha esportato il prodotto interessato nell’UE attraverso due diversi canali di vendita diversi: tramite la IPE, lo stesso operatore commerciale collegato, con sede in Svizzera, di quello tramite il quale esportava i suoi prodotti, alla data del riesame intermedio chiuso nel 2012, e la IPCT. Quest’ultimo canale di distribuzione non esisteva nell’ultimo riesame intermedio. Di conseguenza, e sulla base di altri elementi che, in considerazione della loro riservatezza, non sono stati menzionati in detto regolamento, ma che sono stati comunicati alle ricorrenti nella lettera del 2 agosto 2019, la Commissione ha considerato che occorreva applicare l’adeguamento controverso.

151    Dalla lettera del 2 agosto 2019 risulta che, secondo la Commissione, l’adeguamento controverso era giustificato alla luce dei seguenti quattro fattori.

152    In primo luogo, la Commissione ha rilevato che la IPE e la IPCT vendevano gli stessi prodotti e offrivano gli stessi servizi ai loro clienti aventi sede nell’Unione. In tal modo, la IPE, che non era coinvolta nelle vendite eseguite dalla IPCT, non era più l’unica società incaricata della distribuzione nell’Unione dei prodotti fabbricati dalle ricorrenti. La Commissione ha aggiunto che la IPCT non soltanto era incaricata di una parte rilevante delle vendite del gruppo Interpipe nell’Unione, ma vendeva anche il prodotto interessato in più Stati membri e persino a taluni acquirenti con i quali lavorava la IPE.

153    In secondo luogo, secondo la Commissione, la IPU era un’interfaccia tra la IPE e la IPCT, da un lato, e le ricorrenti, dall’altro, in quanto raccoglieva gli ordini della IPE e della IPCT e li assegnava all’una o all’altra delle ricorrenti, a seconda delle loro capacità e dei loro programmi di produzione.

154    In terzo luogo, la Commissione ha rilevato che i contratti di cui trattasi (v. precedente punto 125) stabilivano procedure dettagliate in merito ai reclami per prodotti non conformi alle specifiche contrattuali. Tali contratti disciplinavano altresì le responsabilità esclusive del venditore e dell’acquirente per quanto riguarda la valutazione della qualità, i danni nel trasporto e gli adeguamenti tecnici alle esigenze dei clienti finali e prevedevano una sezione dettagliata sull’arbitrato per risolvere qualsiasi controversia derivante dalle stipulazioni contrattuali tra la IPU, in qualità di venditore, e la IPE o la IPCT, in qualità di acquirenti. La Commissione ha aggiunto che, nella maggior parte dei casi, la IPU ha agito come commissionario per le ricorrenti e che i contratti tra la IPU, da una parte, e la IPE o la IPCT, dall’altra, menzionavano esplicitamente il trasferimento del rischio dalla prima a una di queste ultime.

155    In quarto luogo, la Commissione ha sottolineato che lo statuto della IPE non conteneva una clausola di esclusiva a favore delle ricorrenti, sicché essa era legittimata a rifornirsi presso altri produttori.

 Sulla contestazione, da parte delle ricorrenti, degli elementi sui quali si basa l’adeguamento controverso

156    La maggior parte delle censure sollevate dalle ricorrenti a sostegno del presente motivo di ricorso hanno in comune il fatto di contestare alla Commissione di essersi discostata, nell’applicare nei loro confronti l’adeguamento controverso, dalle conclusioni cui le istituzioni erano giunte, dopo aver dato esecuzione alla prima sentenza Interpipe, in merito al ruolo della Sepco, successivamente divenuta la IPE.

157    Tuttavia, ai fini della valutazione del presente motivo di ricorso, ci si deve limitare a stabilire se la Commissione sia incorsa in un errore manifesto di valutazione nel considerare che i quattro elementi menzionati ai precedenti punti da 152 a 155 consentivano di applicare l’adeguamento controverso. Infatti, le altre censure dedotte dalle ricorrenti si sovrappongono a quelle da esse invocate a sostegno della seconda parte del terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, in quanto la Commissione avrebbe cambiato metodo, senza che fossero soddisfatte le condizioni previste a tal fine da detta disposizione. Tali censure saranno, pertanto, analizzate nel corso dell’esame di detta parte.

158    Si deve rilevare che, come affermato dalla Commissione in udienza in risposta a un quesito del Tribunale, senza essere contraddetta dalle ricorrenti, nessuno dei quattro elementi di cui ai precedenti punti da 152 a 155 presenta un collegamento con i tre elementi esaminati dal Tribunale nella prima sentenza Interpipe e alla luce dei quali esso aveva dichiarato l’esistenza di un errore manifesto di valutazione (v. precedenti punti da 139 a 143). Di conseguenza, il fatto che, in tale sentenza, detti tre elementi non siano stati ritenuti sufficienti per giustificare un adeguamento analogo a quello contestato non incide sulla legittimità di quest’ultimo, giacché la Commissione invoca tali diversi quattro elementi a sostegno della sua decisione.

159    Per quanto concerne l’assenza di una clausola di esclusiva a favore delle ricorrenti nello statuto della IPE (v. precedente punto 155), è opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza, la parte delle vendite, effettuate dal distributore, di prodotti provenienti da produttori non collegati è un fattore importante per determinare se tale distributore formi un’entità economica unica con il produttore collegato. In tal senso, se il distributore realizza una parte rilevante del suo fatturato tramite la vendita di prodotti provenienti da imprese non collegate, tale circostanza potrebbe costituire un indizio del fatto che le funzioni di tale distributore non sono quelle di un dipartimento di vendita interno (sentenza del 25 giugno 2015, PT Musim Mas/Conseil, T‑26/12, non pubblicata, EU:T:2015:437, punto 53).

160    Nel caso di specie, le ricorrenti contestano l’argomento della Commissione vertente sull’assenza di una clausola di esclusiva a loro favore nello statuto della IPE. Esse fanno valere, senza essere contraddette su tale punto dalla Commissione, che, nei fatti, la IPE ha sempre venduto solo il prodotto in esame fabbricato da esse.

161    Poiché le istituzioni dell’Unione devono basarsi sulla realtà economica delle relazioni tra le società interessate (v. precedenti punti 83 e 134), l’assenza di una tale clausola di esclusiva non è, quindi, un elemento che possa utilmente corroborare la legittimità dell’adeguamento controverso.

162    Per quanto concerne il contenuto dei contratti di cui trattasi (v. precedenti punti 125 e 154), occorre innanzitutto ricordare che, secondo la giurisprudenza, l’esistenza di contratti scritti tra le società costituisce un elemento pertinente per determinare se esse formino o meno un’entità economica unica. Infatti, l’esistenza di tali contratti è intesa a dimostrare che la relazione tra le società interessate è organizzata in base a condizioni commerciali normali (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2015, PT Musim Mas/Conseil, T‑26/12, non pubblicata, EU:T:2015:437, punto 60).

163    Nel caso di specie, il contenuto dei contratti di cui trattasi, come descritto dalla Commissione nella lettera del 2 agosto 2019 e come risulta dai documenti prodotti da quest’ultima in risposta a una misura di organizzazione del procedimento (v. precedente punto 28), costituisce un elemento di prova a sostegno della sua decisione di applicare l’adeguamento controverso. Infatti, la presenza di una clausola di arbitrato destinata a risolvere contenziosi contrattuali che possono sorgere tra le due società contraenti e la mancanza di solidarietà tra tali medesime società, che presuppongono non solo l’esistenza di due persone giuridiche distinte, ma altresì di due entità economiche aventi interessi divergenti, non risulta conciliabile con l’esistenza di un’entità economica unica e con la qualificazione di una di tali società come dipartimento di vendita interno (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 giugno 2015, PT Musim Mas/Conseil, T‑26/12, non pubblicata, EU:T:2015:437, punti 62 e 63).

164    Per quanto riguarda l’identità delle attività svolte dalla IPE e dalla IPCT nei confronti dei clienti nell’Unione (v. precedente punto 152), si deve rilevare che le ricorrenti non forniscono alcuna prova tale da rimettere in discussione le constatazioni della Commissione relative al ruolo della IPCT, in relazione alla quale la Commissione ha constatato che vendeva il prodotto di cui trattasi nell’Unione, in parte agli stessi acquirenti che si rifornivano presso la IPE. In effetti, le ricorrenti si sono limitate ad affermare che la IPCT era stata creata per agevolare, principalmente in Germania, le vendite di ruote per ferrovie, che non rientrano nella definizione del prodotto di cui trattasi. Peraltro, nelle loro osservazioni in merito al DDG 2019, le ricorrenti hanno ammesso che la IPCT «vend[eva] quantità limitate del prodotto di cui trattasi in taluni Stati membri».

165    Orbene, la Commissione è legittimata a sostenere che un’entità economica unica dispone, di regola, di un dipartimento di vendita interno unico, sicché l’identità, anche parziale, delle funzioni di vendita svolte nell’Unione dalla IPE e dalla IPCT è un elemento di prova idoneo ad escludere che la IPE costituisca un dipartimento siffatto.

166    Infine, è opportuno rilevare che il ruolo di interfaccia della IPU (v. precedente punto 153) corrobora la constatazione fatta dalla Commissione in base alla quale il ruolo della IPCT osta alla qualificazione della IPE come dipartimento di vendita interno. Infatti, come affermato dalla Commissione in udienza in risposta a un quesito del Tribunale, il fatto che la IPU gestisca gli ordini provenienti tanto dalla IPE quanto dalla IPCT non consente di escludere del tutto una possibile concorrenza tra tali due società per la vendita dei medesimi prodotti sul mercato dell’Unione. Orbene, le ricorrenti non forniscono i motivi in base ai quali il gruppo Interpipe sarebbe organizzato in modo tale che una società, che si suppone agisca come dipartimento di vendita interno, sia in concorrenza con un’altra società del medesimo gruppo.

167    Ne consegue che, salvo l’assenza nello statuto della IPE di una clausola di esclusiva a favore delle ricorrenti, gli elementi presi in considerazione dalla Commissione costituiscono indizi convergenti tali da escludere che la IPE possa essere considerata come un dipartimento di vendita interno (v. precedente punto 137).

168    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve dichiarare che la Commissione, applicando l’adeguamento controverso, non è incorsa in un errore manifesto di valutazione. Il secondo motivo di ricorso, di cui al precedente paragrafo 34, deve quindi essere respinto.

 Sul terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, nella parte in cui la Commissione ha cambiato il metodo di calcolo del valore normale e del prezzo allesportazione

169    Le ricorrenti sostengono che, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, nelle inchieste di riesame svolte conformemente all’articolo 11, paragrafi 2 e 3, di detto regolamento, la Commissione è tenuta, di norma, a utilizzare lo stesso metodo, in particolare per la determinazione del valore normale e del prezzo all’esportazione, impiegato nell’inchiesta conclusa con l’istituzione delle misure oggetto del riesame. Tale metodo potrebbe essere modificato solo nell’ipotesi di cambiamento delle circostanze. Per contro, la Commissione non potrebbe applicare un nuovo metodo per il solo motivo che essa lo considera più adeguato del precedente, purché quest’ultimo sia conforme al regolamento di base. Nel caso di specie, il metodo di riferimento sarebbe quello applicato in occasione del riesame definitivo chiuso nel 2018. Peraltro, le ricorrenti sostengono che la Commissione, nel tentare di fondarsi sulla sua inchiesta iniziale, contraddice il proprio argomento in base al quale le inchieste precedenti non costituiscono un punto di riferimento.

170    Le ricorrenti ricordano che le spese GAV contestate non erano state prese in considerazione dalla Commissione né nel riesame intermedio chiuso nel 2012 né, a seguito delle loro osservazioni (v. precedenti punti 13, 15 e 17), nel riesame definitivo chiuso nel 2018 e che, nonostante la IPCT sia stata creata prima di quest’ultimo riesame, il prezzo all’esportazione era stato calcolato, nell’ambito di quest’ultimo, senza applicare l’adeguamento controverso ai prezzi praticati dalla IPE.

171    Pertanto, con il presente motivo le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha violato sotto un duplice profilo l’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base in quanto, nel riesame intermedio chiuso nel 2019, essa ha calcolato, da un lato, il valore normale (prima parte) e, dall’altro, il prezzo all’esportazione (seconda parte), in base a un metodo diverso da quello che essa aveva applicato in precedenza. Esse precisano che i cambiamenti apportati dalla Commissione al suo calcolo costituiscono un «metodo» ai sensi della disposizione menzionata in precedenza, e non un «approccio», termine utilizzato dalla Commissione dinanzi al Tribunale, che non corrisponderebbe, però, ad alcuna nozione contenuta nel regolamento di base.

172    Prima di esaminare le due parti del presente motivo di ricorso, occorre ricordare i termini dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, nonché i principi stabiliti dalla giurisprudenza.

173    Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, in tutte le inchieste relative a riesami svolte a norma di tale articolo la Commissione, se le circostanze non sono cambiate, applica gli stessi metodi impiegati nell’inchiesta conclusa con l’istituzione del dazio, tenendo debitamente conto in particolare delle disposizioni dell’articolo 2 del medesimo regolamento.

174    In primo luogo, occorre rilevare che l’eccezione che permette alle istituzioni di applicare, nel corso del procedimento di riesame, un metodo diverso da quello utilizzato durante l’inchiesta iniziale se le circostanze sono cambiate deve necessariamente essere oggetto di un’interpretazione restrittiva, poiché una deroga o un’eccezione ad una regola generale deve essere interpretata restrittivamente (sentenza del 3 dicembre 2020, Changmao Biochemical Engineering/Distillerie Bonollo e a., C‑461/18 P, EU:C:2020:979, punto 143). L’onere della prova incombe alle istituzioni che devono provare che è intervenuto un mutamento delle circostanze per avvalersi, nel corso dell’inchiesta di riesame, di un metodo diverso da quello utilizzato nell’inchiesta iniziale (sentenza del 19 settembre 2013, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, C‑15/12 P, EU:C:2013:572, punto 18).

175    La necessità di un’interpretazione restrittiva della possibilità, riconosciuta in via eccezionale, dall’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, di un cambiamento di metodo non può consentire alle istituzioni di continuare ad applicare un metodo che non sia conforme alle disposizioni dell’articolo 2 di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenze del 19 settembre 2013, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, C‑15/12 P, EU:C:2013:572, punto 19; del 18 settembre 2014, Valimar, C‑374/12, EU:C:2014:2231, punto 43, e del 3 dicembre 2020, Changmao Biochemical Engineering/Distillerie Bonollo e a., C‑461/18 P, EU:C:2020:979, punto 144).

176    Per contro, per giustificare un cambiamento di metodo, non è sufficiente che un nuovo metodo sia più adeguato del precedente, nel caso in cui il metodo precedente sia comunque conforme all’articolo 2 del regolamento di base (v. sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punto 91 e giurisprudenza citata).

177    In secondo luogo, il mutamento di circostanze previsto dalle disposizioni dell’articolo 11, paragrafo 9, di detto regolamento di base riguarda i parametri applicati, conformemente alle disposizioni dell’articolo 2 dello stesso regolamento, in relazione al metodo scelto, nell’inchiesta iniziale che ha comportato l’istituzione del dazio, al fine di calcolare il margine di dumping (v., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2015, CHEMK e KF/Consiglio, T‑169/12, EU:T:2015:231, punto 90).

178    In terzo luogo, utilizzare lo stesso metodo non significa che sia necessario impiegare gli stessi dati raccolti nel corso di una precedente inchiesta, né le stesse conclusioni fattuali o gli stessi calcoli ottenuti da tali dati (sentenza del 7 febbraio 2013, Acron/Consiglio, T‑118/10, non pubblicata, EU:T:2013:67, punto 115).

179    È alla luce di tali principi che si devono esaminare di seguito le due parti del presente motivo di ricorso.

 Sulla prima parte, relativa a un cambiamento, da parte della Commissione, di metodo di calcolo del valore normale

180    A sostegno della prima parte del terzo motivo di ricorso, le ricorrenti fanno valere che né nel regolamento impugnato, né nella lettera del 2 agosto 2019, la Commissione ha fatto riferimento ad un benché minimo cambiamento di circostanze, a partire dall’inchiesta relativa al riesame definitivo chiuso nel 2018, che giustificherebbe l’applicazione di un metodo diverso per stabilire se le loro vendite fossero state effettuate nel corso di normali operazioni commerciali e per determinare il valore normale costruito. Inoltre, le ricorrenti sottolineano che in detta lettera la Commissione ha ammesso di aver cambiato il proprio metodo, con la motivazione che nel riesame intermedio chiuso nel 2012 e nel riesame definitivo chiuso nel 2018 le spese GAV contestate erano state erroneamente omesse, e ha dichiarato che il metodo da essa oramai applicato era conforme all’articolo 2, paragrafi 4 e 6, del regolamento di base e che il suddetto errore non dava luogo a un legittimo affidamento che potesse essere invocato dalle ricorrenti. Orbene, ad avviso di queste ultime, tali brevi chiarimenti forniti dalla Commissione non consentono di ritenere che essa abbia dimostrato l’esistenza di un cambiamento di circostanze ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, che dovrebbe essere oggetto di un’interpretazione restrittiva.

181    La Commissione non sarebbe riuscita a dimostrare neanche che l’esclusione delle spese VAG contestate non era conforme all’articolo 2 del regolamento di base. Infatti, l’affermazione della Commissione relativa alla conformità del nuovo metodo a detto articolo non equivarrebbe a spiegare che il metodo seguito in occasione del riesame intermedio chiuso nel 2012 e del riesame definitivo chiuso nel 2018 non era corretto. Le ricorrenti insistono sul fatto che il presunto errore in cui sarebbe incorsa la Commissione a partire dal riesame intermedio chiuso nel 2012, se costituiva effettivamente un errore, avrebbe dovuto essere corretto in occasione del riesame definitivo chiuso nel 2018. Tuttavia, nell’ambito di quest’ultimo, la Commissione avrebbe specificamente esaminato, in modo dettagliato, le spese GAV contestate e avrebbe infine accolto la posizione difesa dalle ricorrenti in merito a tali spese.

182    La Commissione contesta gli argomenti delle ricorrenti.

183    Occorre rilevare che la decisione di prendere in considerazione o meno le spese GAV contestate ai fini della determinazione del valore normale non è un elemento di natura fattuale, che la Commissione poteva aggiornare in base a nuovi dati forniti dalle ricorrenti, ma risulta dall’interpretazione che quest’ultima ha scelto di dare alle disposizioni rilevanti dell’articolo 2 del regolamento di base, segnatamente dei suoi paragrafi 3, 4 e 6. In tal senso, l’inclusione di dette spese in occasione del riesame intermedio chiuso nel 2019, dopo che esse erano state escluse dal riesame intermedio chiuso nel 2012 e dal riesame definitivo chiuso nel 2018, costituisce un cambiamento di metodo ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base.

184    Tuttavia, come risulta dall’esame del primo motivo di ricorso, il regolamento di base, interpretato alla luce della giurisprudenza rilevante, impone di applicare il test NOC e di costruire il valore normale ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, di detto regolamento in base all’insieme delle spese GAV sostenute in occasione delle vendite delle ricorrenti, dirette e indirette, sul mercato ucraino. Come riconosciuto dalla Commissione in udienza, il metodo da essa applicato in occasione del riesame intermedio chiuso nel 2012 e del riesame definitivo chiuso nel 2018 non era conforme all’articolo 2 del regolamento di base, nella misura in cui escludeva le spese GAV contestate.

185    Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza ricordata al precedente paragrafo 175, il cambiamento di metodo operato dalla Commissione non è contrario all’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base.

186    Nell’ambito della presente parte, le ricorrenti fanno valere anche una censura relativa alla violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, in quanto, allorché hanno chiesto alla Commissione di procedere (v. precedente punto 12) al riesame intermedio chiuso nel 2019, che si è concluso con l’adozione del regolamento impugnato, esse si aspettavano che il margine di dumping fosse calcolato in base allo stesso metodo utilizzato dalla Commissione a partire dal riesame intermedio chiuso nel 2012.

187    Occorre ricordare che, secondo giurisprudenza consolidata, il diritto di avvalersi del principio di tutela del legittimo affidamento si estende a tutti i soggetti nei confronti dei quali l’amministrazione dell’Unione abbia fatto sorgere fondate aspettative fornendo loro assicurazioni precise. Le assicurazioni date devono essere inoltre conformi alle norme applicabili (sentenza del 24 marzo 2011, ISD Polska e a./Commissione, C‑369/09 P, EU:C:2011:175, punto 123; v., del pari, sentenza del 17 dicembre 2010, EWRIA e a./Commissione, T‑369/08, EU:T:2010:549, punto 139 e giurisprudenza citata).

188    Nel caso di specie, anche supponendo che le ricorrenti avessero ricevuto dalla Commissione assicurazioni sufficientemente precise in merito all’esclusione delle spese GAV contestate, tali assicurazioni sarebbero state contrarie all’articolo 2 regolamento di base, come risulta dall’esame del primo motivo di ricorso.

189    In ogni caso, dal fascicolo non risulta che siano state date alle ricorrenti assicurazioni di tal genere nel contesto del riesame intermedio chiuso nel 2012. Per quanto concerne le assicurazioni che avrebbero avuto origine negli scambi intervenuti tra la Commissione e le ricorrenti in merito alle spese GAV contestate, nel corso del riesame definitivo chiuso nel 2018, si deve rilevare che detti scambi hanno avuto inizio il 13 luglio 2018 (v. precedente punto 13). Orbene, prima di tale data, le ricorrenti avevano già chiesto il riesame intermedio chiuso nel 2019, che è scaturito nell’adozione del regolamento impugnato, come risulta dalla pubblicazione, il 7 maggio 2018, dell’avviso relativo a quest’ultimo riesame (v. precedente punto 12). Di conseguenza, le ricorrenti non possono invocare un legittimo affidamento che deriverebbe da scambi intervenuti in precedenza, nell’ambito del riesame definitivo chiuso nel 2018.

190    Pertanto, la censura delle ricorrenti vertente sulla violazione del principio della tutela del legittimo affidamento è infondata.

191    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve respingere la prima parte del terzo motivo di ricorso.

 Sulla seconda parte, relativa al cambiamento di metodo di calcolo del prezzo all’esportazione da parte della Commissione

192    Con la seconda parte del motivo di ricorso in esame, le ricorrenti fanno valere che la costituzione della IPCT, nel 2014, non rappresenta un mutamento di circostanze rispetto alla situazione sussistente al momento del riesame definitivo chiuso nel 2018, che sarebbe tale da giustificare l’adozione dell’adeguamento controverso. La Commissione avrebbe quindi dovuto continuare ad applicare il metodo seguito in occasione di detto riesame, non essendo possibile dimostrare che detto metodo non era conforme all’articolo 2 del regolamento di base. Le ricorrenti contestano l’argomento, fatto valere dalla Commissione nella lettera del 2 agosto 2019, in base al quale, essendo l’obiettivo di un riesame in previsione della scadenza diverso da quello di un riesame intermedio, essa avrebbe svolto un’analisi dettagliata della struttura del gruppo Interpipe in occasione dell’esame intermedio chiuso nel 2019, ma non in occasione del riesame definitivo chiuso nel 2018. Esse contestano anche l’argomento della Commissione in base al quale la questione rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di è se le circostanze siano cambiate dal precedente riesame intermedio. Le regole di procedura, eccetto quelle relative ai termini, e la portata delle inchieste di riesame in previsione della scadenza e delle inchieste di riesame intermedio sarebbero simili, o addirittura identiche, per quanto concerne la determinazione del margine di dumping, come risulterebbe dall’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento di base.

193    La Commissione contesta gli argomenti delle ricorrenti.

194    Come risulta dai punti da 143 a 148 summenzionati, dopo la pronuncia della prima sentenza Interpipe e fino al riesame intermedio chiuso nel 2019, le istituzioni, quando hanno deciso di non applicare più al gruppo Interpipe l’adeguamento dichiarato illegittimo dal Tribunale in tale sentenza, non hanno esaminato i quattro elementi richiamati ai punti da 152 a 155 summenzionati, in base ai quali la Commissione, dopo il riesame intermedio chiuso nel 2019, ha effettuato l’adeguamento controverso.

195    È vero che durante il riesame definitivo chiuso nel 2018 l’esistenza della IPCT è stata menzionata dalla Commissione. Tuttavia, quest’ultima non ne ha tratto alcuna conseguenza per quanto riguarda i prezzi all’esportazione della IPE.

196    Ne consegue che, ai fini dell’adozione del regolamento impugnato, la Commissione ha applicato l’adeguamento controverso basandosi su elementi di fatto che non aveva esaminato in precedenza o dai quali non aveva tratto alcuna conseguenza giuridica.

197    Va aggiunto che l’applicazione di un adeguamento sulla base di elementi che non sono stati esaminati in passato non può essere considerata un cambiamento di metodo ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, ma una conseguenza della constatazione che le condizioni richieste per tale adeguamento sono oramai soddisfatte (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2011, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, T‑423/09, EU:T:2011:764, punto 57).

198    In ogni caso, anche supponendo che la Commissione abbia cambiato metodo ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, occorre rilevare, in primo luogo, che, secondo la giurisprudenza, i cambiamenti relativi alla struttura di un gruppo e all’organizzazione delle sue vendite all’esportazione nell’Unione costituiscono un cambiamento di circostanze ai sensi di detta disposizione. Detto cambiamento di circostanze è tale da giustificare il cambiamento di metodo operato, in quanto detto cambiamento è la conseguenza della comparsa di un secondo canale di vendita del gruppo interessato e, quindi, del mutamento avvenuto nell’organizzazione delle vendite di tale gruppo (v., in tal senso, sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punti 100 e 101).

199    Il diritto di cui dispone quindi la Commissione di applicare l’adeguamento controverso senza incorrere in una violazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base non è inciso dalla circostanza che i quattro elementi su cui essa si è fondata a tal fine non siano tutti nuovi, sicché la Commissione avrebbe potuto prendere in considerazione in precedenza alcuni di tali elementi preesistenti. Anche supponendo che la Commissione abbia omesso per errore, in occasione dei riesami precedenti, di esaminare detti elementi o di trarne conseguenze giuridiche, essa non può essere tenuta a ripetere il medesimo errore nell’adozione del regolamento impugnato, al solo fine di non violare l’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base. Infatti, quest’ultimo non può essere interpretato nel senso che la Commissione deve continuare ad applicare un metodo che non sia conforme alle disposizioni dell’articolo 2 di detto regolamento (v. precedente punto 175).

200    In secondo luogo, occorre rilevare che il ruolo della IPCT costituisce uno degli elementi principali che giustificano l’adeguamento controverso. È vero che tale società era già attiva in occasione del riesame definitivo chiuso nel 2018 e che la Commissione l’ha menzionata nel regolamento di esecuzione 2018/1469. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, nell’ambito del riesame delle misure antidumping destinate a cessare, effettuato ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base, le istituzioni devono solo accertare se la scadenza di tali misure implichi il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio, nel qual caso dette misure sarebbero lasciate in vigore. In caso contrario, le misure antidumping sono abrogate. Di conseguenza, un riesame delle misure destinate a cessare non può comportare la modifica delle misure in vigore. Per contro, riguardo al riesame intermedio a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, di tale regolamento, la Commissione può, tra l’altro, esaminare se le circostanze riguardanti il dumping e il pregiudizio siano mutate sensibilmente e può non solo abrogare o modificare le misure antidumping, ma anche modificarle [sentenze dell’11 febbraio 2010, Hoesch Metals and Alloys, C‑373/08, EU:C:2010:68, punto 76; del 18 settembre 2014, Valimar, C‑374/12, EU:C:2014:2231, punto 52, e del 18 ottobre 2016, Crown Equipment (Suzhou) e Crown Gabelstapler/Consiglio, T‑351/13, non pubblicata, EU:T:2016:616, punto 57].

201    Pertanto, non si può contestare alla Commissione di non aver esaminato più nel dettaglio, in occasione del riesame definitivo chiuso nel 2018, il ruolo della IPCT e di non averne tratto le medesime conseguenze giuridiche che essa ha tratto al momento del riesame intermedio chiuso nel 2019.

202    Alla luce delle suesposte considerazioni, la seconda parte del motivo di ricorso in esame e, di conseguenza, l’insieme delle censure sollevate nell’ambito dei motivi secondo e terzo (v. precedenti punti 157 e 168) devono essere respinti.

203    Il rigetto dei primi tre motivi di ricorso determina altresì il rigetto delle censure sollevate dalle ricorrenti menzionate al precedente punto 36, dato che le violazioni dell’articolo 9, paragrafo 4, secondo comma, del regolamento di base e dell’articolo 9.3 dell’accordo antidumping OMC da esse invocate sono fondate esclusivamente sulle censure che sono state respinte esaminando detti motivi.

 Sul quarto motivo di ricorso, vertente sulla violazione dei diritti della difesa

204    Le ricorrenti sostengono che i loro diritti di difesa sono stati violati in quanto solo con la lettera del 2 agosto 2019, trasmessa il medesimo giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del regolamento impugnato, la Commissione avrebbe comunicato loro nuovi argomenti vertenti sul fatto che le spese GAV sarebbero generate anche nell’ipotesi di vendite a un acquirente collegato come la IPU e sul riconoscimento, da parte sua, dell’esistenza di un errore a tal riguardo nel riesame intermedio chiuso nel 2012 e nel riesame definitivo chiuso nel 2018, nonché sullo statuto della IPE e sui contratti di cui trattasi. Tali argomenti costituirebbero il fondamento della decisione della Commissione, da un lato, di includere le spese GAV contestate ai fini della determinazione del valore normale e, dall’altro, di non considerare più la IPE come un dipartimento di vendita interno.

205    Le ricorrenti sottolineano che, affinché il motivo di ricorso in esame sia accolto, esse non sono tenute a dimostrare che, se avessero potuto presentare le loro osservazioni in merito ai suddetti argomenti prima dell’adozione del regolamento impugnato, il contenuto di quest’ultimo sarebbe stato diverso. Sarebbe sufficiente che una ipotesi di tal genere non vada totalmente esclusa in quanto esse avrebbero potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale. Dai primi due motivi di ricorso risulterebbe che le ricorrenti erano in grado di presentare osservazioni aggiuntive tali da rimettere in discussione la fondatezza dei cambiamenti di metodo introdotti dalla Commissione nel regolamento impugnato, mediante la presa in considerazione delle spese GAV contestate e l’applicazione dell’adeguamento controverso. In tal modo, non si potrebbe totalmente escludere che la Commissione avrebbe potuto adottare una decisione diversa sulle questioni sollevate in tali motivi di ricorso se, durante il procedimento amministrativo, le ricorrenti avessero ricevuto le informazioni contenute nella lettera del 2 agosto 2019.

206    La Commissione contesta gli argomenti delle ricorrenti.

207    Prima di esaminare gli argomenti delle ricorrenti in merito all’asserita violazione dei diritti della difesa per quanto concerne tanto le spese GAV contestate quanto l’adeguamento controverso, si devono richiamare i principi di base relativi a detti diritti.

208    Il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione di cui il diritto al contraddittorio costituisce parte integrante [v. sentenze del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C‑129/13 e C‑130/13, EU:C:2014:2041, punto 28 e giurisprudenza citata, e del 12 dicembre 2014, Crown Equipment (Suzhou) e Crown Gabelstapler/Consiglio, T‑643/11, EU:T:2014:1076, punto 38 e giurisprudenza citata].

209    Il rispetto dei diritti della difesa, che riveste un’importanza capitale nei procedimenti di inchiesta antidumping, presuppone che le imprese interessate debbano essere state messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sugli elementi di prova accolti dalla Commissione a sostegno delle proprie affermazioni relative all’esistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio ad essa conseguente [sentenze del 27 giugno 1991, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, C‑49/88, EU:C:1991:276, punto 17; del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punti 76 e 77, e del 12 dicembre 2014, Crown Equipment (Suzhou) e Crown Gabelstapler/ Consiglio, T‑643/11, EU:T:2014:1076, punto 41].

210    L’esistenza di un’irregolarità per quanto riguarda il rispetto di tali diritti può portare all’annullamento di un regolamento che istituisce un dazio antidumping solo nei limiti in cui esista una possibilità che, a motivo di tale irregolarità, il procedimento amministrativo avrebbe potuto portare ad un risultato differente, ledendo così in concreto i diritti della difesa della parte interessata. Tuttavia, non si può obbligare tale parte a dimostrare che la decisione della Commissione sarebbe stata differente, bensì soltanto che una siffatta ipotesi non è totalmente esclusa, in quanto detta parte avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale denunciata (sentenza del 10 aprile 2019, Jindal Saw e Jindal Saw Italia/Commissione, T‑301/16, EU:T:2019:234, punti 66 e 67; v. altresì, in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punti 78 e 79).

211    Infine, occorre ricordare che il diritto al contraddittorio si estende a tutti gli elementi di fatto o di diritto che costituiscono il fondamento dell’atto decisionale, ma non alla posizione finale che l’amministrazione intende adottare. In tal senso, tale diritto non impone che, prima di adottare la sua posizione definitiva sulla valutazione degli elementi presentati da una parte, l’amministrazione sia tenuta ad offrire a quest’ultima una nuova possibilità di esprimersi su tali elementi (v., in tal senso, sentenze del 4 marzo 2020, Tulliallan Burlington/EUIPO, da C‑155/18 P a C‑158/18 P, EU:C:2020:151, punto 94 e giurisprudenza citata; del 19 maggio 2010, IMI e a./Commissione, T‑18/05, EU:T:2010:202, punto 109, e del 9 marzo 2015, Deutsche Börse/Commissione, T‑175/12, non pubblicata, EU:T:2015:148, punto 344).

212    È alla luce di questi principi che devono essere esaminate le censure delle ricorrenti relative all’asserita violazione dei diritti della difesa per quanto concerne, da un lato, le spese GAV e, dall’altro, l’adeguamento controverso.

 Sulle censure relative alle spese GAV contestate

213    Ad avviso delle ricorrenti, nel DDG 2019 la Commissione aveva affermato che intendeva prendere in considerazione le spese GAV contestate ai fini della determinazione del valore normale. Esse sostengono di aver contestato tale approccio della Commissione nelle loro osservazioni in merito al DDG 2019, sostenendo che la Commissione, in tal modo, riprendeva la tesi da essa già fatta valere nell’ambito del riesame definitivo chiuso nel 2018, alla quale aveva rinunciato in occasione dell’adozione del regolamento di esecuzione 2018/1469, a seguito delle eccezioni sollevate dalle ricorrenti.

214    È vero che ai punti da 3 a 6 della lettera del 2 agosto 2019 la Commissione ha dichiarato, in primo luogo, che le ricorrenti avevano menzionato, nelle loro risposte al questionario che aveva trasmesso loro, l’esistenza di spese relative alle vendite tra società collegate all’interno del gruppo Interpipe; in secondo luogo, che le vendite tra tali società generavano spese GAV; in terzo luogo, che il metodo utilizzato per l’applicazione dell’articolo 2 del regolamento di base doveva riflettere tutte le spese sostenute dall’impresa interessata e, in quarto luogo, che le spese GAV contestate erano state escluse, per errore, al momento del riesame definitivo chiuso nel 2018 e del riesame intermedio chiuso nel 2012, mentre essa le avrebbe prese in considerazione nell’inchiesta iniziale.

215    Tuttavia, tali osservazioni della Commissione, che sono state trasmesse alle ricorrenti a seguito dell’adozione del regolamento impugnato, non contengono elementi di fatto o di diritto dei quali esse non erano a conoscenza in precedenza e sui quali esse non avrebbero potuto esprimersi. Dette osservazioni costituiscono il fondamento della posizione definitiva della Commissione in merito alla questione delle spese GAV contestate, sicché, in virtù della giurisprudenza richiamata al precedente punto 211, non può essere constatata alcuna violazione dei diritti della difesa a tal riguardo.

216    Inoltre, poiché le ricorrenti sostengono che gli argomenti aggiuntivi che esse avrebbero potuto far valere dinanzi alla Commissione, qualora avessero ricevuto più tempestivamente gli elementi contenuti nella lettera del 2 agosto 2019, sono quelli che esse hanno dedotto dinanzi al Tribunale (v. precedente punto 205), si deve rilevare che tutti tali argomenti sono stati respinti in occasione dell’esame degli altri motivi di ricorso sollevati nel ricorso in esame. Pertanto, non è dimostrato che, se le ricorrenti avessero addotto tali argomenti durante il procedimento amministrativo, quest’ultimo avrebbe potuto portare a un risultato differente (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 30 aprile 2014, Tisza Erőmű/Commissione, T‑468/08, non pubblicata, EU:T:2014:235, punto 217).

217    La presente censura deve essere, quindi, respinta.

 Sulle censure relative all’adeguamento controverso

218    Si deve ricordare che, nella lettera del 2 agosto 2019, data che coincide con quella della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del regolamento impugnato, la Commissione ha integrato la motivazione di quest’ultimo con elementi che, per il loro carattere riservato, non potevano essere inclusi in tale regolamento. In detta lettera, la Commissione ha risposto alle eccezioni che le ricorrenti avevano sollevato nelle loro osservazioni sul DDG 2019, alle quali non aveva risposto nel documento di divulgazione supplementare del 27 giugno 2019 (v. precedente punto 22).

219    I quattro elementi, descritti nella lettera del 2 agosto 2019, sui quali la Commissione si è fondata per applicare l’adeguamento controverso (v. precedenti punti da 151 a 155), erano stati esposti a beneficio delle ricorrenti nel DDG 2019, ai punti da 34 a 42. Nelle osservazioni in merito al DDG 2019, le ricorrenti hanno elencato tali quattro elementi e preso posizione su ciascuno di essi.

220    Le ricorrenti sostengono, tuttavia, che la lettera del 2 agosto 2019 contiene giustificazioni aggiuntive che non sarebbero incluse nel DDG 2019. In tal senso in essa la Commissione avrebbe menzionato, per la prima volta, che i contratti di cui trattasi stabilivano che il rischio era trasferito dalla IPU alla IPE o alla IPCT e che lo statuto della IPE non disponeva che quest’ultima agiva su istruzione della IPU, ma prevedeva che la IPE potesse eseguire qualsiasi operazione finanziaria, fiduciaria o commerciale relativa al suo oggetto.

221    Orbene, occorre rilevare che tali asserite giustificazioni aggiuntive sono mere precisazioni circa gli elementi contenuti nel DDG 2019, che la Commissione ha aggiunto a seguito delle osservazioni formulate dalle ricorrenti in merito a quest’ultimo. Dette precisazioni, che vertono sul contenuto dello statuto della IPE e dei contratti di cui trattasi, che è evidente fossero noti alle ricorrenti, non contengono elementi di fatto o di diritto nuovi, ma concernono questioni in merito alle quali le ricorrenti avevano manifestato la loro opinione in dette osservazioni.

222    Si deve quindi concludere che, nella lettera del 2 agosto 2019, la Commissione si è limitata a esporre la sua posizione definitiva sull’adeguamento controverso, adottata sulla base di elementi sui quali le ricorrenti avevano avuto la possibilità di esprimere la loro opinione. In tali circostanze, in virtù della giurisprudenza richiamata al precedente punto 211, non si può riscontrare alcuna violazione dei diritti della difesa.

223    Inoltre, le considerazioni esposte al precedente punto 216 sono applicabili anche alle presenti censure delle ricorrenti.

224    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve respingere il quarto motivo di ricorso e, di conseguenza, il ricorso nella sua integralità.

 Sulle spese

225    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Interpipe Niko Tube LLC e la Interpipe Nizhnedneprovsky Tube Rolling Plant OJSC sono condannate alle spese.

da Silva Passos

Truchot

Sampol Pucurull

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 luglio 2021.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.