Language of document : ECLI:EU:T:2024:45

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

31 gennaio 2024 (*)

«Responsabilità extracontrattuale – Ambiente – Direttiva (UE) 2019/904 – Divieto di immissione sul mercato di prodotti di plastica oxo-degradabile – Violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli – Assenza di distinzione tra i prodotti a base di plastica oxo-degradabile e i prodotti a base di plastica oxo-biodegradabile – Valutazione d’impatto – Parità di trattamento – Proporzionalità»

Nella causa T‑745/20,

Symphony Environmental Technologies plc, con sede in Borehamwood (Regno Unito),

Symphony Environmental Ltd, con sede in Borehamwood,

rappresentate da P. Selley, solicitor, J. Holmes, KC, e J. Williams, barrister-at-law,

ricorrenti,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da L. Visaggio, C. Ionescu Dima e W. Kuzmienko, in qualità di agenti,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da A. Maceroni e M. Moore, in qualità di agenti,

e

Commissione europea, rappresentata da R. Lindenthal e L. Haasbeek, in qualità di agenti,

convenuti,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata),

composto da M. Van der Woude, presidente, D. Spielmann, V. Valančius, I. Gâlea (relatore) e T. Tóth, giudici,

cancelliere: I. Kurme, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 20 marzo 2023,

visto, in seguito alla cessazione dalle funzioni del giudice Valančius il 26 settembre 2023, l’articolo 22 e l’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il loro ricorso fondato sull’articolo 268 TFUE, la Symphony Environmental Technologies plc e la Symphony Environmental Ltd, ricorrenti, chiedono il risarcimento del danno asseritamente subito a causa dell’adozione dell’articolo 5 e del considerando 15 della direttiva (UE) 2019/904 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente (GU 2019, L 155, pag. 1), nella parte in cui il divieto di immissione sul mercato di prodotti a base di plastica oxo-degradabile, previsto da detto articolo 5 e dal citato considerando 15, si applica alla plastica oxo-biodegradabile.

I.      Fatti

2        Le ricorrenti sono società con sede nel Regno Unito, che hanno come attività lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di taluni prodotti plastici speciali, nonché additivi e mescole madri utilizzati nella fabbricazione di tali prodotti.

3        Una mescola madre è un composto di più sostanze chimiche incorporato in un supporto polimerico, che viene fornito, sotto forma di granulati, ai fabbricanti di prodotti plastici, i quali lo incorporano nei polimeri che essi utilizzano per fabbricare i loro prodotti.

4        Una delle mescole madri prodotte dalle ricorrenti, che esse commercializzano con il marchio d2w (in prosieguo: la «mescola madre d2w»), contiene un additivo che favorirebbe, secondo le loro affermazioni, la degradazione abiotica della plastica in cui è stato incorporato, e successivamente la sua biodegradazione, una volta terminata la sua durata di vita utile.

5        Una plastica oxo-degradabile è, secondo la definizione di cui all’articolo 3, punto 3, della direttiva 2019/904, una plastica cui sono aggiunti uno o più additivi che, attraverso l’ossidazione, ne comportano lo sbriciolamento in microframmenti o la decomposizione chimica.

6        Una plastica biodegradabile è, ai sensi dell’articolo 3, punto 16, di detta direttiva, una plastica in grado di subire una decomposizione fisica o biologica grazie alla quale finisce per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua.

7        Secondo le ricorrenti, l’additivo contenuto nella mescola madre d2w consentirebbe alla plastica in cui è stato incorporato di frammentarsi, sotto l’effetto dell’ossidazione, in detriti (oxo-degradazione) la cui massa molecolare sarebbe sufficientemente ridotta da poter essere assimilati dai microorganismi (biodegradazione). Secondo le ricorrenti, tale additivo consentirebbe quindi alla plastica in cui è stato incorporato di trasformarsi in materiali biodegradabili.

8        Il 5 giugno 2019 è stata adottata la direttiva 2019/904.

9        Secondo il considerando 15 di tale direttiva:

«(...)      Le restrizioni dell’immissione sul mercato introdotte nella presente direttiva dovrebbero riguardare anche i prodotti realizzati con plastica oxo-degradabile, poiché tale tipo di plastica non si biodegrada correttamente e contribuisce dunque all’inquinamento ambientale da microplastica, non è compostabile, incide negativamente sul riciclaggio della plastica convenzionale e non presenta dimostrati vantaggi sotto il profilo ambientale (...)».

10      L’articolo 5 della direttiva 2019/904, intitolato «Restrizione all’immissione sul mercato», così dispone:

«Gli Stati membri vietano l’immissione sul mercato dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato e dei prodotti di plastica oxo-degradabile».

II.    Conclusioni delle parti

11      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        dichiarare che il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea sono incorsi in responsabilità extracontrattuale, in applicazione dell’articolo 340, secondo comma, TFUE e/o dell’articolo 41, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), adottando l’articolo 5 e il considerando 15 della direttiva 2019/904, nella misura in cui tali disposizioni si applicano alla plastica oxo-biodegradabile;

–        condannare il Parlamento, il Consiglio e la Commissione a risarcirle nella misura del danno subito, ivi compreso ogni ulteriore danno che si verificasse nel corso del presente procedimento, e/o del danno prevedibile probabile, nonché a versare loro gli interessi il cui ammontare e il cui tasso saranno determinati nel corso del procedimento;

–        in subordine, ingiungere al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione di presentare al Tribunale, entro un termine ragionevole a decorrere dalla pronuncia della sentenza nella presente causa, il calcolo in cifre del risarcimento convenuto tra le parti o, in mancanza di accordo tra dette parti, ingiungere loro di presentare, entro lo stesso termine, le loro proposte quantificate;

–        in ogni caso, condannare il Parlamento, il Consiglio e la Commissione alle spese.

12      Il Parlamento e il Consiglio chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

13      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile per quanto la riguarda e, in ogni caso, in quanto infondato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

III. In diritto

14      Con il presente ricorso, le ricorrenti chiedono il risarcimento del danno che esse ritengono di aver subito a causa del divieto di immissione sul mercato dei prodotti a base di plastica oxo-degradabile, previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904, nella parte in cui detto divieto si applica ai prodotti di plastica da esse qualificata come oxo-biodegradabile. La plastica oxo-biodegradabile sarebbe un tipo di plastica al quale l’aggiunta di un additivo pro-ossidante, come quello contenuto nella loro mescola madre d2w, consentirebbe di biodegradarsi molto più rapidamente della plastica oxo-degradabile. Non distinguendo la plastica oxo-degradabile dalla plastica oxo-biodegradabile ed estendendo, inoltre, ai prodotti fabbricati a base della seconda il divieto riguardante i prodotti fabbricati a base della prima, le tre istituzioni interessate avrebbero violato in maniera sufficientemente qualificata varie norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli. Così facendo, esse avrebbero causato un danno alle ricorrenti. A loro avviso, esisterebbe un nesso di causalità sufficientemente diretto tra tale danno e il comportamento illegittimo delle dette istituzioni.

15      Le tre istituzioni interessate fanno valere che nessuna delle tre condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea è soddisfatta e concludono per il rigetto del ricorso. In particolare, esse sostengono che non è necessario distinguere tra plastica oxo-degradabile e plastica oxo-biodegradabile. A loro avviso, questi due termini designano un solo e medesimo tipo di plastica, vale a dire una plastica convenzionale in cui è stato incorporato un additivo che accelera, per effetto dell’ossidazione, la sua frammentazione o la sua decomposizione chimica in detriti molto piccoli. Questo tipo di plastica non si biodegraderebbe correttamente entro un lasso di tempo ragionevole.

A.      Sulla richiesta di omissione di taluni dati nei confronti del pubblico

16      Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 dicembre 2020, le ricorrenti hanno chiesto l’omissione di taluni dati nei confronti del pubblico, conformemente all’articolo 66 del regolamento di procedura del Tribunale, al fine di garantire la tutela del segreto commerciale per quanto riguarda i propri dati nonché i dati appartenenti a terzi.

17      Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 giugno 2021, le ricorrenti hanno presentato una seconda domanda di omissione di taluni dati nei confronti del pubblico, conformemente all’articolo 66 del regolamento di procedura. Tale domanda riguarda i dati menzionati nelle loro repliche ed è volta, anch’essa, a garantire la tutela del segreto commerciale per quanto riguarda i propri dati e i dati appartenenti a terzi.

18      Con tale domanda le ricorrenti chiedono, in sostanza, l’omissione delle seguenti tipologie di dati:

–        le conseguenze per i loro clienti del divieto di immissione sul mercato dei prodotti a base di plastica oxo-degradabile, quali risultano, in particolare, dalle dichiarazioni dei loro agenti;

–        la valutazione dell’importo del danno asseritamente subito a causa di detto divieto, nonché i dati alla base di tale valutazione, vale a dire, in particolare, l’evoluzione delle loro perdite e dei loro profitti, delle loro quote di mercato e del valore delle loro azioni;

–        il testo delle norme europee, statunitensi, britanniche e internazionali relative alla biodegradazione, all’oxo-degradazione e al compostaggio della plastica, nonché un lessico relativo alla degradazione e alla biodegradazione della plastica.

19      A differenza della richiesta di omissione delle prime due categorie di dati di cui al precedente punto 18, che, secondo le ricorrenti, è volta a proteggere i propri dati, la richiesta di omissione della terza categoria di dati sarebbe volta a proteggere i dati su cui terzi deterrebbero diritti di proprietà.

20      A tal riguardo, occorre ricordare che, nel conciliare la pubblicità delle decisioni giudiziarie e il diritto alla tutela dei dati personali e del segreto commerciale, il giudice deve ricercare, in base alle circostanze di ogni fattispecie, il giusto equilibrio, tenendo in considerazione anche il diritto del pubblico ad avere accesso, conformemente ai principi stabiliti all’articolo 15 TFUE, alle decisioni giudiziarie (sentenza del 27 aprile 2022, Sieć Badawcza Łukasiewicz – Port Polski Ośrodek Rozwoju Technologii/Commissione, T‑4/20, EU:T:2022:242, punto 29).

21      Nel caso di specie, i dati che rientrano nelle prime due categorie menzionate al punto 18 supra non compaiono nella presente sentenza.

22      Per quanto riguarda i dati che rientrano nella terza categoria, la presente sentenza include solo quelli a cui si fa riferimento anche in uno studio pubblicato sul sito Internet della Commissione, vale a dire lo studio realizzato dalla Eunomia Research & Consulting Ltd per la Direzione generale Ambiente della Commissione, intitolato «The Impact of the Use of “Oxo-degradable” Plastic on the Environment» («Impatto dell’uso della plastica “oxo-degradabile” sull’ambiente», dell’aprile 2017; in prosieguo: lo «studio Eunomia»). Poiché i dati menzionati in tale studio erano già pubblici, la loro omissione non è necessaria alla tutela del segreto commerciale, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti.

23      Pertanto, non vi è motivo legittimo di accogliere le domande delle ricorrenti.

B.      Osservazione preliminare

24      Prima di analizzare la ricevibilità e il merito del ricorso, occorre fare un’osservazione terminologica.

25      La plastica cui è stato aggiunto un additivo pro-ossidante, come quello contenuto nella mescola madre d2w, è definita in modo diverso dalle parti della controversia. Le ricorrenti la qualificano come «plastica oxo-biodegradabile», da distinguere, a loro avviso, dalla plastica oxo-degradabile, che si degrada molto più lentamente. Il Parlamento utilizza, anch’esso, nelle sue memorie, l’espressione «plastica oxo-biodegradabile», ma si preoccupa di precisare che tale espressione designa la plastica che le ricorrenti asseriscono biodegradabile, pretesa che non sostiene. Il Consiglio utilizza l’espressione «plastica CAP» per designare la plastica «contenente additivi pro-ossidanti». La Commissione fa riferimento alla plastica «oxo(bio)degradabile», suggerendo, mediante l’uso di parentesi, i suoi dubbi circa il carattere biodegradabile di questo tipo di plastica.

26      La scelta dell’espressione utilizzata per designare il tipo di plastica di cui trattasi non è neutra, poiché può implicare una presa di posizione quanto al carattere biodegradabile di questo tipo di plastica. Occorre quindi utilizzare, nella presente sentenza, il termine il più neutro possibile. Di conseguenza, fatta eccezione per i passaggi che riprendono gli argomenti delle parti, in cui sarà conservata la terminologia da queste scelta, e per i riferimenti all’articolo 5 della direttiva 2019/904, in cui sarà utilizzata l’espressione «plastica oxo-degradabile» utilizzata in detto articolo, l’espressione utilizzata sarà quella di «plastica contenente un additivo pro-ossidante».

C.      Sulla ricevibilità

27      Senza sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’articolo 130, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la Commissione fa valere che il ricorso è irricevibile nella parte in cui è diretto contro di essa.

28      La Commissione, sostenuta dal Consiglio, fa valere che l’illegittimità del divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904, non è ad essa imputabile. Essa fa valere che, da un lato, conformemente all’articolo 192, paragrafo 1, TFUE, la direttiva 2019/904 è stata adottata non dalla stessa, bensì dal Parlamento e dal Consiglio, secondo la procedura legislativa ordinaria, e, dall’altro, detto divieto non figurava nella proposta da essa presentata al Parlamento e al Consiglio il 28 maggio 2018 [COM (2018) 340 final – 2018/0172 (COD); in prosieguo: la «proposta di direttiva»], ma è stato introdotto da un emendamento del Parlamento, al quale il Consiglio ha dato il proprio consenso. La Commissione sottolinea altresì che essa non poteva ritirare la sua proposta, non essendo soddisfatte, nel caso di specie, le condizioni per un siffatto ritiro.

29      Infine, a parere della Commissione, né il fatto che essa abbia avviato e poi posto fine alla procedura di restrizione ai sensi degli articoli da 68 a 73 del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (GU 2006, L 396, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento REACH»), né il fatto, ammesso che sia dimostrato, che la valutazione d’impatto sia carente e che essa sia venuta meno ai suoi obblighi in materia di ricerca e di valutazione delle prove, hanno l’effetto di imputarle il divieto di immissione in commercio di cui all’articolo 5 della direttiva 2019/904.

30      Le ricorrenti contestano tale irricevibilità.

31      Secondo la giurisprudenza, mentre i ricorsi di annullamento o per carenza mirano a sanzionare l’illegittimità di un atto giuridicamente vincolante o la sua assenza, il ricorso per risarcimento ha per oggetto la domanda di risarcimento di un danno derivante da un atto o da un comportamento illecito imputabile ad un’istituzione o a un organo dell’Unione (sentenze del 20 settembre 2016, Ledra Advertising e a./Commissione e BCE, da C‑8/15 P a C‑10/15 P, EU:C:2016:701, punto 55, e del 23 maggio 2019, Steinhoff e a./BCE, T‑107/17, EU:T:2019:353, punto 51).

32      Pertanto, poiché l’adozione della direttiva 2019/904 era imputabile, conformemente all’articolo 294 TFUE, al Parlamento e al Consiglio, è irrilevante che la Commissione non abbia adottato un atto giuridicamente vincolante. Infatti, affinché si possa ritenere che la Commissione abbia implicato o abbia contribuito a far sorgere la responsabilità dell’Unione, è sufficiente che le sia imputabile un atto illecito, anche non giuridicamente vincolante, o un comportamento illecito.

33      È vero che un atto o comportamento simile non può essere individuato nella proposta di direttiva. Infatti, detta proposta prevedeva unicamente, al suo articolo 5, che «[g]li Stati membri vietano l’immissione sul mercato dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato», mentre la parte B di detto allegato non faceva alcun riferimento alla plastica oxo-degradabile.

34      Tuttavia, le ricorrenti contestano alla Commissione il comportamento con il quale, nell’ambito del compromesso interistituzionale del 19 dicembre 2018, essa ha indicato che essa «accetta[va] tutti gli emendamenti» apportati alla sua proposta di direttiva. A tale proposito, occorre precisare che è stato l’emendamento n. 83, presentato dal Parlamento alla proposta di direttiva, il 24 ottobre 2018 [COM(2018)0340 – C8-0218/2018 – 2018/0172(COD); in prosieguo: l’«emendamento del Parlamento»], che ha introdotto in detta proposta il divieto dei prodotti di plastica oxo-degradabile. Le tre istituzioni interessate si sono quindi accordate, nel quadro di tale compromesso, per integrare questo emendamento nel testo della futura direttiva. È allora che la Commissione ha dichiarato di accettare tutti gli emendamenti.

35      Le ricorrenti contestano altresì alla Commissione di aver chiesto all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), con lettera del 30 aprile 2019 (in prosieguo: la «lettera del 30 aprile 2019»), di porre fine alla procedura di restrizione in corso dinanzi ad essa riguardante le plastiche contenenti un additivo pro-ossidante. Secondo le ricorrenti, se l’ECHA avesse portato a termine tale procedura e se avesse costituito, in particolare, un fascicolo, come previsto dall’articolo 69, paragrafo 1, del regolamento REACH, gli elementi supplementari così portati a conoscenza delle tre istituzioni interessate le avrebbero indotte ad adottare nei confronti della plastica contenente un additivo pro-ossidante misure diverse da un divieto di immissione sul mercato, o addirittura a non adottare alcuna misura.

36      Infine, le ricorrenti contestano alla Commissione di essersi astenuta dall’effettuare una valutazione d’impatto riguardante specificamente la plastica contenente un additivo pro-ossidante e i prodotti fabbricati a base di tale tipo di plastica, nonché di non aver cercato, o di non aver tenuto conto, di elementi di prova pertinenti riguardanti tale plastica e il rischio che essa presentava per l’ambiente e la salute umana. Secondo le ricorrenti, in possesso di elementi supplementari, le tre istituzioni interessate avrebbero modificato la loro valutazione.

37      La questione dell’illegittimità del comportamento di cui trattasi ai punti da 34 a 36 supra e la questione se, in assenza di tale comportamento, il Parlamento e il Consiglio avrebbero comunque vietato l’immissione sul mercato di prodotti fabbricati a base di plastica contenente un additivo pro-ossidante riguardano la determinazione del fatto generatore di responsabilità e del nesso di causalità tra tale fatto e il danno lamentato. Orbene, le questioni che si riferiscono all’esame delle condizioni necessarie all’implicazione della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, come la determinazione del fatto generatore e del nesso di causalità, si collegano all’esame del merito del presente ricorso e non incidono pertanto sull’esame della sua ricevibilità (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 23 maggio 2019, Steinhoff e a./BCE, T‑107/17, EU:T:2019:353, punti da 42 a 47).

38      Pertanto, occorre respingere l’argomento della Commissione diretto a far dichiarare il ricorso irricevibile nella parte in cui è diretto contro di essa.

D.      Nel merito

39      In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, in materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni.

40      Secondo costante giurisprudenza, la sussistenza di una responsabilità extracontrattuale dell’Unione richiede la compresenza di vari presupposti, ossia l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica intesa a conferire diritti alle persone, la realtà effettiva del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo incombente all’autore dell’atto e il danno subito dai soggetti lesi (v. sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio, C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

41      Se non sussiste uno di tali presupposti, il ricorso dev’essere respinto interamente, senza che sia necessario esaminare gli altri presupposti da cui dipende la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Inoltre, il giudice dell’Unione non è tenuto ad esaminare tali condizioni in un determinato ordine (v., in tal senso, sentenze del 9 settembre 1999, Lucaccioni/Commissione, C‑257/98 P, EU:C:1999:402, punti 13, 63 e 64, e del 5 settembre 2019, Unione europea/Guardian Europe e Guardian Europe/Unione europea, C‑447/17 P e C‑479/17 P, EU:C:2019:672, punto 148).

42      Per quanto riguarda la prima di tali condizioni, la Corte ha precisato che una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli si concretizza allorquando essa implica un travalicamento manifesto e grave, da parte dell’istituzione interessata, dei limiti imposti al suo potere discrezionale, tenendo presente che gli elementi da prendere in considerazione al riguardo sono, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, nonché l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva all’autorità dell’Unione (sentenze del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 30, e del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio, C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 33).

43      A tal proposito, occorre precisare, nel contesto del caso di specie, che un’eventuale violazione sufficientemente grave delle norme di diritto in questione deve basarsi su una manifesta e grave inosservanza dei limiti dell’ampio potere discrezionale di cui dispone il legislatore dell’Unione nell’esercizio delle sue competenze in materia ambientale ai sensi degli articoli 191 e 192 TFUE. Infatti, l’esercizio di tale potere discrezionale implica, da un lato, la necessità per il legislatore dell’Unione di anticipare e valutare sviluppi ecologici, scientifici, tecnici ed economici di carattere complesso e incerto e, dall’altro, il bilanciamento e l’arbitraggio da parte di tale legislatore tra i diversi obiettivi, principi e interessi di cui all’articolo 191 TFUE (sentenza del 2 marzo 2010, Arcelor/Parlamento e Consiglio, T‑16/04, EU:T:2010:54, punto 143).

44      Occorre valutare, anzitutto, se sia soddisfatta la prima condizione per il sorgere della responsabilità dell’Unione.

45      A tal proposito, le ricorrenti sollevano cinque motivi di illegittimità, relativi a violazioni sufficientemente qualificate, in primo luogo, degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH, in secondo luogo, dei punti 12 e da 14 a 16 dell’accordo interistituzionale tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione «Legiferare meglio» del 13 aprile 2016 (GU 2016, L 123, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo interistituzionale»), in terzo luogo, del principio generale di proporzionalità, sancito dall’articolo 5, paragrafo 4, TUE, e dell’articolo 191 TFUE, nonché degli errori manifesti di valutazione, in quarto luogo, del principio generale di parità di trattamento e, in quinto luogo, degli articoli 16 e 17 e dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta e dell’articolo 49 TFUE.

1.      Sul primo motivo di illegittimità, relativo alla violazione degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH

46      Con il loro primo motivo di illegittimità, le ricorrenti sostengono che il divieto di immissione sul mercato dei prodotti a base di plastica oxo-degradabile, previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904, è stato adottato eludendo la procedura di restrizione prevista agli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH. Esse sottolineano, al riguardo, che una procedura di restrizione era in corso dinanzi all’ECHA quando, senza tenere alcun conto di quest’ultima, il Parlamento ha adottato l’emendamento che ha aggiunto i prodotti di plastica oxo-degradabile a quelli la cui proposta di direttiva vietava l’immissione sul mercato. Detta procedura sarebbe sempre stata in corso quando il Parlamento e il Consiglio si sono accordati su tale emendamento e quando il Parlamento ha adottato una risoluzione legislativa che riprende l’emendamento di cui trattasi.

47      Di conseguenza, secondo le ricorrenti, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 è stato adottato senza che le tre istituzioni interessate abbiano correttamente valutato se la plastica oxo-degradabile presenti per la salute umana o per l’ambiente un «rischio inaccettabile (...) che richiede un’azione a livello [dell’Unione]», senza che esse «[tengano] conto dell’impatto socioeconomico (...), compresa l’esistenza di alternative», come richiesto dall’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, e senza che esse stesse siano invitate a trasmettere all’ECHA le loro osservazioni, in applicazione dell’articolo 69, paragrafo 6, di detto regolamento. Pertanto, l’adozione di detto divieto sarebbe prematura e illegittima.

48      Secondo le ricorrenti, eludendo la procedura di restrizione prevista agli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH, mentre solo l’ECHA è tecnicamente competente a indagare e determinare se la plastica oxo-degradabile e la plastica oxo-biodegradabile siano o meno giustificate dal punto di vista ambientale, le tre istituzioni interessate hanno commesso una violazione sufficientemente qualificata degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH. Infine, le ricorrenti sottolineano che detto regolamento conferisce diritti ai singoli, dal momento che il suo articolo 69, paragrafo 1, prevede che l’ECHA inviti tutte le parti interessate a presentare osservazioni sui fascicoli e sulle restrizioni proposte, nonché a comunicarle un’analisi socioeconomica.

49      Il Parlamento, il Consiglio e la Commissione contestano l’argomentazione delle ricorrenti.

50      A questo proposito, va notato che, ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, quando la fabbricazione, l’uso o l’immissione sul mercato di sostanze comportano un rischio inaccettabile per la salute umana o per l’ambiente, che richiede un’azione a livello dell’Unione, tale fabbricazione, uso e immissione sul mercato possono essere soggetti a restrizioni. Tali restrizioni sono inserite nell’allegato XVII di detto regolamento.

51      A tal fine, l’articolo 69 del regolamento REACH consente alla Commissione di invitare l’ECHA a predisporre un fascicolo. Se da tale fascicolo risulta che è necessaria un’azione a livello dell’Unione, l’ECHA propone restrizioni entro dodici mesi dal ricevimento della richiesta della Commissione. Il fascicolo è quindi pubblicato sul sito Internet dell’ECHA, accompagnato dalle proposte di restrizione formulate da quest’ultima, e le parti interessate sono invitate a comunicare all’ECHA le loro osservazioni.

52      Il fascicolo è poi oggetto, entro nove mesi dalla sua pubblicazione, di un parere del comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA e, entro dodici mesi dalla sua pubblicazione, di un parere del comitato per l’analisi socioeconomica dell’ECHA, ai sensi degli articoli 70 e 71 del regolamento REACH. Questi due avvisi sono sottoposti alla Commissione e pubblicati sul sito Internet dell’ECHA, conformemente all’articolo 72 di detto regolamento.

53      Se sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, la Commissione elabora un progetto di modifica dell’allegato XVII di tale regolamento, in applicazione dell’articolo 73, paragrafo 1, di quest’ultimo. La decisione finale è assunta secondo la procedura di regolamentazione con controllo, ai sensi dell’articolo 73, paragrafo 2, e dell’articolo 133, paragrafo 4, del medesimo regolamento.

54      Nel caso di specie, un siffatto procedimento è stato avviato, ma non è stato portato a termine.

55      Infatti, con lettera del 22 dicembre 2017, la Commissione ha invitato l’ECHA a elaborare un fascicolo relativo alle plastiche oxo-degradabili, conformemente all’articolo 69, paragrafo 1, del regolamento REACH. La Commissione e l’ECHA si sono poi accordate per rinviare la presentazione di detto fascicolo alla fine del mese di luglio 2019, al fine di consentire alle parti interessate di comunicare informazioni supplementari all’ECHA, come dimostra un messaggio di posta elettronica inviato alle ricorrenti da un agente dell’ECHA il 30 ottobre 2018. Tuttavia, come indicato supra al punto 35, con lettera del 30 aprile 2019, la Commissione ha successivamente chiesto all’ECHA di porre fine alla preparazione del dossier in questione, in quanto l’intervento ai sensi del regolamento REACH non era più necessario in quanto, il 19 dicembre 2018, era stato raggiunto un compromesso interistituzionale, nell’ambito della stesura della direttiva sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, per vietare l’immissione sul mercato di prodotti a base di plastica oxo-degradabile.

56      Come indicato nel preambolo della direttiva 2019/904, è quindi seguendo la procedura legislativa ordinaria, prevista all’articolo 294 TFUE, che è stato adottato il divieto di immissione sul mercato dei prodotti di plastica oxo-degradabile.

57      Le ricorrenti sostengono che, adottando il divieto di cui all’articolo 5 della direttiva 2019/904 senza attendere l’esito della procedura di restrizione in corso, le tre istituzioni interessate hanno eluso gli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH. Detto divieto sarebbe stato adottato prematuramente e illegittimamente, senza che l’ECHA, la quale, contrariamente a dette istituzioni, dispone di una competenza scientifica in materia, potesse portare a conoscenza di queste ultime gli elementi che essa avrebbe raccolto e senza sentire le ricorrenti. Un siffatto comportamento costituirebbe una violazione sufficientemente qualificata degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH, articoli che sarebbero preordinati a conferire diritti ai singoli.

58      Un siffatto argomento non può essere accolto in quanto, da un lato, non è stata commessa alcuna violazione degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH e, dall’altro, detti articoli non costituiscono norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli.

59      In primo luogo, non si può ritenere che il divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati in plastica oxo-degradabile dovesse essere adottato conformemente alla procedura di restrizione prevista agli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH.

60      Infatti, la direttiva 2019/904 è stata adottata conformemente alla procedura legislativa ordinaria prevista all’articolo 294 TFUE. Inoltre, il preambolo di tale direttiva indica che essa ha come base giuridica l’articolo 192, paragrafo 1, TFUE. Orbene, tale articolo prevede che il Parlamento e il Consiglio deliberino secondo detta procedura.

61      Inoltre, l’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento REACH prevede che il regolamento «si applica fatte salve: (...) la normativa [dell’Unione] in materia (...) ambientale, compres[e]» diverse direttive che esso elenca. Detto regolamento riserva quindi espressamente l’applicazione degli atti di diritto dell’Unione relativi alla tutela dell’ambiente. È vero che la direttiva 2019/904 non figura tra le disposizioni elencate all’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento REACH. Tuttavia, l’adozione di tale direttiva è successiva a quella di tale regolamento. Inoltre, l’impiego dell’espressione «compres[e]» indica che l’elenco contenuto in tale articolo non è esaustivo.

62      In secondo luogo, non si può neppure ritenere che le tre istituzioni interessate fossero tenute, se non a seguire la procedura di restrizione ai sensi degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH, quantomeno ad attendere l’esito della procedura di restrizione in corso per adottare il divieto di cui all’articolo 5 della direttiva 2019/904.

63      Infatti, il potere di iniziativa legislativa riconosciuto alla Commissione dall’articolo 17, paragrafo 2, TUE e dall’articolo 289 TFUE implica che spetta a quest’ultima decidere se presentare o meno una proposta di atto legislativo e determinare l’oggetto, la finalità e il contenuto di tale proposta (sentenza del 6 settembre 2017, Slovacchia e Ungheria/Consiglio, C‑643/15 e C‑647/15, EU:C:2017:631, punto 146).

64      Inoltre, il potere legislativo riservato al Parlamento e al Consiglio all’articolo 14, paragrafo 1, e all’articolo 16, paragrafo 1, TUE implica che spetta esclusivamente a tali istituzioni determinare il contenuto di un atto legislativo (sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 84).

65      Pertanto, costringere la Commissione, il Parlamento e il Consiglio ad attendere l’esito della procedura di restrizione prevista agli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH per adottare, rispettivamente, la proposta di direttiva e l’emendamento che introduce in tale proposta il divieto di immissione sul mercato dei prodotti di plastica oxo-degradabile, equivarrebbe a limitare il potere di iniziativa legislativa della prima e del potere legislativo dei secondi.

66      In terzo luogo, la legittimità della direttiva 2019/904 non può essere esaminata alla luce del regolamento REACH.

67      Infatti, secondo la giurisprudenza, la legittimità interna di un atto dell’Unione non può essere esaminata alla luce di un altro atto dell’Unione dello stesso rango normativo, a meno che esso sia stato adottato in applicazione di quest’ultimo atto o sia espressamente previsto, in uno di questi due atti, che l’uno prevalga sull’altro (sentenza del 22 febbraio 2022, Stichting Rookpreventie Jeugd e a., C‑160/20, EU:C:2022:101, punto 38).

68      Orbene, dall’articolo 289, paragrafi 1 e 3, TFUE risulta che costituiscono atti legislativi gli atti giuridici adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. È questo il caso, come indicato al precedente punto 56, della direttiva 2019/904. Per quanto riguarda il regolamento REACH, esso ha come base giuridica l’articolo 95 CE, il quale prevedeva l’applicazione della procedura di codecisione descritta all’articolo 251 CE. Orbene, la procedura legislativa ordinaria definita all’articolo 294 TFUE riprende, sostanzialmente, la procedura di codecisione (ordinanza del 6 settembre 2011, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, T‑18/10, EU:T:2011:419, punto 61), così che il regolamento REACH deve, anch’esso, essere considerato un atto legislativo. La direttiva 2019/904 e il regolamento REACH devono quindi essere considerati come aventi lo stesso rango normativo (v., per analogia, sentenza del 22 febbraio 2022, Stichting Rookpreventie Jeugd e a., C‑160/20, EU:C:2022:101, punto 38).

69      In aggiunta, la direttiva 2019/904 non è stata adottata in applicazione del regolamento REACH.

70      Poiché, inoltre, come indicato al precedente punto 61, l’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento REACH indica che esso si applica fatte salve le disposizioni del diritto dell’Unione relative all’ambiente, è evidente che detto regolamento non prevede che esso prevalga su tali disposizioni, come la direttiva 2019/904. Peraltro, detta direttiva non prevede neppure che il regolamento REACH prevalga sulle sue disposizioni.

71      Dai punti da 59 a 70 supra risulta che le tre istituzioni interessate non hanno violato gli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH.

72      In assenza di una violazione di tali disposizioni, non è necessario esaminare se tale violazione sia sufficientemente qualificata, come richiesto dalla giurisprudenza relativa alla prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione, citata al punto 42 supra.

73      In ogni caso, gli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH non possono essere considerati come norme di diritto volte a conferire diritti ai singoli.

74      A tal riguardo, le ricorrenti si basano sull’articolo 69, paragrafo 6, del regolamento REACH, il quale prevede che l’ECHA inviti tutte le parti interessate a comunicarle, entro sei mesi dalla pubblicazione del fascicolo, le loro osservazioni su quest’ultimo e sulle restrizioni proposte, nonché un’analisi socioeconomica, o qualsiasi informazione che possa contribuire a una siffatta analisi. Secondo le ricorrenti, tale disposizione conferisce ai singoli un diritto, quello di far prendere in considerazione i loro punti di vista prima che venga adottata una restrizione.

75      Inoltre, ai sensi dell’articolo 71, paragrafo 1, del regolamento REACH, l’ECHA invita le parti interessate a presentare le loro osservazioni sul progetto di parere del comitato per l’analisi socioeconomica.

76      Orbene, è vero che il diritto di essere ascoltato costituisce una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (sentenza del 28 ottobre 2021, Vialto Consulting/Commissione, C‑650/19 P, EU:C:2021:879, punto 140).

77      Tuttavia, nessuna disposizione contenuta negli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH garantisce stricto sensu il diritto di essere sentiti alle parti interessate. In particolare, il fatto che gli articoli 69, paragrafo 6, lettera a), e 71, paragrafo 1, di tale regolamento prevedano una consultazione pubblica non rimette in discussione il fatto che né l’ECHA né la Commissione siano tenute, oltre a svolgere tale consultazione pubblica, ad ascoltare un soggetto che potrebbe essere interessato dalla modifica dell’allegato XVII del regolamento REACH (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 settembre 2015, VECCO e a./Commissione, T‑360/13, EU:T:2015:695, punti 81 e 82).

78      Il primo motivo di illegittimità deve quindi essere respinto.

2.      Sul secondo motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata dei punti 12 e da 14 a 16 dellaccordo interistituzionale

79      Con il secondo motivo di illegittimità, le ricorrenti sostengono che, non avendo effettuato una valutazione d’impatto relativa al divieto di immissione sul mercato di prodotti di plastica oxo-degradabile, previsto dall’articolo 5 della direttiva 2019/904, le tre istituzioni interessate hanno violato i punti 12 e da 14 a 16 dell’Accordo interistituzionale. Infatti, la valutazione d’impatto che accompagna la proposta di direttiva riguarderebbe soltanto gli attrezzi da pesca e i prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato di detta proposta, tra i quali non figurano le plastiche oxo-degradabili. Il Parlamento e il Consiglio avrebbero violato il punto 15 dell’accordo interistituzionale e la Commissione, il suo punto 16, astenendosi, rispettivamente, dall’effettuare una valutazione dell’impatto dell’emendamento apportato dal Parlamento alla proposta di direttiva e dall’integrare la valutazione dell’impatto iniziale.

80      Le ricorrenti riconoscono che il Parlamento e il Consiglio non sono vincolati dalla valutazione dell’impatto effettuata dalla Commissione e che le tre istituzioni interessate dispongono di un certo margine di discrezionalità al fine di stabilire se, in caso di emendamento alla proposta di direttiva presentata dalla Commissione, sia necessaria una valutazione d’impatto complementare. Esse sottolineano, tuttavia, che la mancata realizzazione di una valutazione d’impatto è l’eccezione e la sua realizzazione, il principio. Nel caso di specie, le tre istituzioni interessate avrebbero dovuto effettuare una valutazione dell’impatto sulle plastiche oxo-degradabili, dal momento che non disponevano di elementi di prova scientifici sufficienti. Pertanto, dette istituzioni avrebbero commesso una violazione sufficientemente qualificata dell’accordo interistituzionale, il quale conferirebbe diritti ai singoli.

81      Il Parlamento, il Consiglio e la Commissione contestano l’argomentazione delle ricorrenti.

82      L’argomentazione delle ricorrenti non può essere accolta. Da un lato, non è stata commessa alcuna violazione dell’accordo interistituzionale e, dall’altro, non si può ritenere che le disposizioni di quest’ultimo siano preordinate a conferire diritti ai singoli.

83      A questo proposito, il Tribunale osserva anzitutto che la Commissione ha effettuato una valutazione dell’impatto della sua proposta di direttiva. Tuttavia, detta valutazione d’impatto non riguarda la plastica oxo-degradabile.

84      Orbene, è pacifico che l’adozione dell’emendamento del Parlamento non è stata accompagnata da una valutazione d’impatto riguardante tale tipo di plastica.

85      Occorre pertanto esaminare se i punti 12 e da 14 a 16 dell’accordo interistituzionale imponessero alle tre istituzioni interessate, o ad una di esse, di effettuare una valutazione dell’impatto riguardante specificatamente l’emendamento del Parlamento.

86      Dalla formulazione di tali punti risulta chiaramente che così non era.

87      Infatti, il punto 12 dell’accordo interistituzionale indica, in particolare, che le valutazioni d’impatto costituiscono uno strumento volto ad aiutare il Parlamento, il Consiglio e la Commissione a deliberare con cognizione di causa e che esse non sostituiscono le decisioni politiche adottate nell’ambito del processo decisionale democratico.

88      Secondo il punto 13 di detto accordo, la Commissione effettua valutazioni d’impatto, in particolare, delle iniziative legislative che possono avere un impatto economico, ambientale o sociale significativo.

89      Il punto 14 del medesimo accordo indica che il Parlamento e il Consiglio tengono pienamente conto delle valutazioni d’impatto della Commissione.

90      Tuttavia, secondo la giurisprudenza, una valutazione d’impatto non vincola il Parlamento né il Consiglio, cosicché il legislatore dell’Unione resta libero di adottare misure diverse da quelle che sono state oggetto di tale valutazione d’impatto (sentenza del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 65).

91      Inoltre, ai sensi del punto 15 dell’accordo interistituzionale, se lo ritengono opportuno e necessario per l’iter legislativo, il Parlamento e il Consiglio effettuano valutazioni d’impatto in relazione alle modifiche sostanziali che hanno apportato alla proposta della Commissione. Secondo il medesimo punto 15, spetta a ciascuna istituzione determinare la definizione di modifica «sostanziale».

92      Orbene, secondo la giurisprudenza, il punto 15 dell’accordo interistituzionale non contiene alcun obbligo fermo a carico del Parlamento e del Consiglio. Tale punto prevede la facoltà di effettuare un siffatto aggiornamento solo se il Parlamento e il Consiglio «lo ritengono opportuno e necessario per l’iter legislativo» (sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 43).

93      Nel caso di specie, tanto il Parlamento quanto il Consiglio fanno valere che essi disponevano di informazioni scientifiche sufficienti e che un siffatto aggiornamento non era quindi necessario. Pertanto, non si può contestare loro di non aver effettuato una valutazione d’impatto dell’emendamento del Parlamento.

94      Per quanto riguarda la presunta omissione della Commissione, va notato che il punto 16 dell’Accordo interistituzionale stabilisce che la Commissione «può», di sua iniziativa o su invito del Parlamento europeo o del Consiglio, integrare la propria valutazione d’impatto o dare avvio ad altri lavori d’analisi che ritenga necessari. Risulta chiaramente dalla formulazione di detto punto 16 che quest’ultimo non contiene alcun obbligo per la Commissione di procedere ad un aggiornamento della valutazione d’impatto. Di conseguenza, non gli si può addebitare di non avervi proceduto per tener conto dell’emendamento del Parlamento.

95      Da quanto precede risulta che le tre istituzioni interessate non hanno violato i punti 12 e da 14 a 16 dell’accordo interistituzionale.

96      In assenza di una siffatta violazione, non è necessario esaminare se essa sia sufficientemente qualificata, come richiesto dalla giurisprudenza relativa alla prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione, citata al punto 42 supra.

97      In secondo luogo e in ogni caso, non si può ritenere che i punti 12 e da 14 a 16 dell’accordo interistituzionale siano preordinati a conferire diritti ai singoli, dal momento che, come precisato da detto punto 12, le valutazioni d’impatto costituiscono uno strumento volto ad aiutare le tre istituzioni interessate a decidere con cognizione di causa.

98      Di conseguenza, occorre respingere il secondo motivo di illegittimità.

3.      Sul terzo motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata del principio generale di proporzionalità, sancito allarticolo 5, paragrafo 4, TUE, e dellarticolo 191 TFUE, nonché su errori manifesti di valutazione

99      Con il loro terzo motivo di illegittimità, le ricorrenti fanno valere che, nella misura in cui si applica alla plastica oxo-biodegradabile, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 è contrario al principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE, e all’articolo 191 TFUE e si basa su errori manifesti di valutazione. Pertanto, adottando detto divieto, le tre istituzioni interessate avrebbero commesso una violazione sufficientemente qualificata di norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli.

100    Tale motivo è composto di tre parti.

101    Con la prima parte, le ricorrenti fanno valere che le tre istituzioni interessate non disponevano di una valutazione scientifica esaustiva dei rischi posti dalla plastica oxo-degradabile e che, pertanto, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 è di per sé contrario al principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE, e all’articolo 191 TFUE ed è fondato su errori manifesti di valutazione.

102    Secondo le ricorrenti, dette istituzioni non potevano adottare una misura così intrusiva senza beneficiare degli elementi di prova che sarebbero stati raccolti nel corso della procedura di restrizione prevista agli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH. Le tre istituzioni interessate avrebbero dovuto altresì disporre di una valutazione d’impatto riguardante specificamente la plastica oxo-degradabile nonché di qualsiasi altra valutazione scientifica dei vantaggi e degli svantaggi di questo tipo di plastica. Vietando l’immissione sul mercato di quest’ultimo senza disporre di siffatti elementi, dette istituzioni avrebbero seguito un approccio puramente ipotetico dei rischi che esso poneva.

103    Le ricorrenti sottolineano che la circostanza che le tre istituzioni interessate dispongano, in materia ambientale, di un ampio potere discrezionale non le esenta dall’obbligo di prendere in considerazione tutti gli elementi pertinenti. Orbene, gli studi scientifici sui quali dette istituzioni sostengono, nei loro controricorsi, di essersi basate per adottare il divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile non distinguerebbero tra plastica oxo-degradabile e plastica oxo-biodegradabile e non raccomanderebbero un divieto totale del secondo tipo di plastica. Inoltre, tali istituzioni non avrebbero, in particolare, tenuto conto delle ripercussioni economiche e sociali di detto divieto. Infine, esisterebbero sufficienti elementi di prova per rimettere in discussione la proporzionalità di tale divieto.

104    Con la seconda parte di tale motivo, le ricorrenti sostengono che le tre istituzioni interessate non hanno dimostrato, o non hanno sufficientemente dimostrato, l’esistenza di un nesso razionale tra il divieto di immissione sul mercato dei prodotti a base di plastica oxo-degradabile e l’obiettivo della direttiva 2019/904, vale a dire la protezione dell’ambiente e della salute umana. Pertanto, detto divieto sarebbe contrario al principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

105    Ad avviso delle ricorrenti, nessuna delle quattro affermazioni contenute nel considerando 15 di tale direttiva è suffragata.

106    In primo luogo, l’affermazione secondo cui la plastica oxo-degradabile non si non si biodegrada correttamente non si fonderebbe su alcun elemento di prova, poiché tali elementi avrebbero dovuto essere forniti nell’ambito della procedura di restrizione ai sensi degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH. Gli studi scientifici sui quali le tre istituzioni interessate sostengono di essersi basate non avrebbero concluso che la plastica oxo-degradabile non si biodegrada correttamente, ma semplicemente che non esistono prove concludenti della sua biodegradabilità. Inoltre, detta affermazione sarebbe contraddetta da altri studi scientifici, nonché da prove realizzate in laboratorio, che dimostrerebbero che la plastica oxo-biodegradabile si biodegradabile correttamente.

107    In secondo luogo, secondo le ricorrenti, l’affermazione secondo cui la plastica oxo-degradabile non è compostabile è inesatta. Inoltre, le tre istituzioni interessate non avrebbero indicato in che modo la circostanza che la plastica oxo-biodegradabile non sia compostabile costituisca un rischio per l’ambiente o per la salute umana, né perché tale circostanza giustifichi il divieto di plastica oxo-biodegradabile, mentre la plastica convenzionale, anch’essa non compostabile, non è vietata.

108    In terzo luogo, per quanto riguarda l’affermazione secondo cui la plastica oxo-degradabile ha un impatto negativo sul riciclaggio delle plastiche convenzionali, gli studi scientifici sui quali le tre istituzioni interessate affermano di essersi basate non negherebbero la possibilità di riciclare la plastica oxo-degradabile e indicherebbero che l’utilizzo di componenti stabilizzanti potrebbe consentire di evitare che tale tipo di plastica abbia un impatto negativo sul riciclaggio delle plastiche convenzionali. Altri studi dimostrano, secondo le ricorrenti, che la plastica oxo-biodegradabile può essere riciclata allo stesso modo della plastica convenzionale.

109    In quarto luogo, l’affermazione secondo cui la plastica oxo-degradabile non presenta un vantaggio ambientale accertato non si fonderebbe su alcuno studio scientifico.

110    Con la terza parte di tale motivo, le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che un divieto totale di immissione sul mercato supera i limiti di quanto necessario alla realizzazione dell’obiettivo di tale direttiva e che esistono altre misure meno restrittive. Pertanto, detto divieto violerebbe il principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

111    A sostegno di questa terza parte, le ricorrenti fanno valere che sarebbe stato possibile escludere questo tipo di plastica dal divieto di cui trattasi, imporre la realizzazione di test conformemente ad una norma riconosciuta al fine di valutare la biodegradabilità di quest’ultimo, esigere che esso contenga un marcatore che consenta una cernita automatica prima del riciclaggio, prevedere, per lo stesso, una delle misure non proibitive di cui agli articoli 4, 7, 8 e/o 10 della direttiva 2019/904, o imporre un’etichettatura che prevenga qualsiasi rischio di confusione da parte dei consumatori. Le ricorrenti fanno altresì valere che, anziché meramente vietare l’immissione sul mercato, le tre istituzioni interessate avrebbero dovuto prevedere un periodo transitorio.

112    Il Parlamento, il Consiglio e la Commissione contestano l’argomentazione delle ricorrenti.

113    Il Tribunale constata che, sebbene la violazione dell’articolo 191 TFUE sia dedotta nell’ambito della sola prima parte del terzo motivo di illegittimità, per contro, la violazione del principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE, è dedotta nell’ambito delle tre parti di tale motivo. Di conseguenza, è opportuno raggruppare queste tre parti ed esaminare, in primo luogo, la violazione dell’articolo 191 TFUE e, in secondo luogo, la violazione dell’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

a)      Sulla prima parte, in quanto verte su una violazione sufficientemente qualificata dellarticolo 191 TFUE

114    In via preliminare, occorre ricordare che, come indicato nel precedente punto 43, il legislatore dell’Unione dispone di un’ampia discrezionalità nell’esercizio dei suoi poteri in materia ambientale ai sensi degli articoli 191 e 192 del TFUE.

115    Pertanto, il sindacato del giudice dell’Unione deve limitarsi ad esaminare se l’esercizio di tale potere non sia viziato da errore manifesto o da sviamento di potere o, ancora, se il legislatore dell’Unione non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale (sentenza dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 28).

116    Inoltre, ai sensi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, la politica dell’Unione in materia ambientale è fondata, in particolare, sul principio di precauzione. Ai sensi dell’articolo 191, paragrafo 3, TFUE, nell’elaborazione di detta politica, l’Unione tiene conto, tra l’altro, dei dati scientifici e tecnici disponibili.

117    Orbene, il principio di precauzione implica che, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi, in particolare per l’ambiente, o per la salute umana, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di detti rischi. Qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura non concludente dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per l’ambiente o la salute umana nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive (sentenza del 16 maggio 2021, Bayer CropScience e Bayer/Commissione, C‑499/18 P, EU:C:2021:367, punto 80). A tal proposito, si vieta alle istituzioni di adottare un approccio puramente ipotetico del rischio e di orientare le loro decisioni verso un livello di «rischio zero» (v., per analogia, sentenze del 9 settembre 2003, Monsanto Agricoltura Italia e a., C‑236/01, EU:C:2003:431, punto 106; del 12 dicembre 2014, Xeda International/Commissione, T‑269/11, non pubblicata, EU:T:2014:1069, punti 55 e 56, e del 17 marzo 2021, FMC/Commissione, T‑719/17, EU:T:2021:143, punto 69).

118    Di conseguenza, salvo adottare misure arbitrarie che non possono in alcun caso essere legittimate dal principio di precauzione, l’autorità pubblica competente deve curarsi che le misure da essa adottate siano fondate, anche laddove si tratti di misure preventive, su una valutazione scientifica dei rischi la più esaustiva possibile, tenuto conto delle circostanze peculiari del caso di specie (v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 60; v. anche, per analogia, sentenza del 12 dicembre 2014, Xeda International/Commissione, T‑269/11, non pubblicata, EU:T:2014:1069, punto 57).

119    Tale valutazione scientifica deve fondarsi sui migliori dati scientifici disponibili e deve essere effettuata in modo indipendente, oggettivo e trasparente (v., per analogia, sentenza del 17 marzo 2021, FMC/Commissione, T‑719/17, EU:T:2021:143, punto 70). Essa deve fornire all’autorità pubblica competente un’informazione sufficientemente affidabile e solida che le permetta di cogliere l’intera portata della questione scientifica posta e di determinare la propria politica con cognizione di causa (v., per analogia, sentenze del 14 novembre 2013, ICDA e a./Commissione, T‑456/11, EU:T:2013:594, punto 52, e del 17 marzo 2021, FMC/Commissione, T‑719/17, EU:T:2021:143, punto 71).

120    Di conseguenza, l’adozione del divieto di immissione sul mercato, previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 presupponeva che, sulla base di una valutazione scientifica il più esaustiva possibile dei rischi posti dai prodotti fabbricati a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante, le tre istituzioni interessate potessero, senza commettere un errore manifesto di valutazione, ritenere che esistesse un rischio per l’ambiente o per la salute umana. Va inoltre ricordato che, secondo la giurisprudenza citata al punto 42 supra, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione sorge solo quando la violazione della norma di legge in questione è sufficientemente qualificata.

121    A tale riguardo, il Tribunale ritiene che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, né il fatto che non sia stata effettuata alcuna valutazione d’impatto sui prodotti fabbricati con materie plastiche contenenti un additivo pro-ossidante, né il fatto che la Commissione abbia posto fine alla procedura di restrizione prevista dagli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH e che, di conseguenza, le tre istituzioni interessate non disponevano né di un fascicolo preparato dall’ECHA, né di una proposta di restrizione o dei pareri del comitato per la valutazione dei rischi e del comitato per l’analisi socioeconomica previsti dal regolamento REACH, dimostrano che il divieto di tali prodotti, previsto dall’articolo 5 della direttiva 2019/904, sia stato adottato senza lo svolgimento di una valutazione scientifica il più possibile completa dei rischi che essi comportano. Dai punti 78 e 98 supra risulta infatti che tali istituzioni non erano tenute né a effettuare una siffatta valutazione d’impatto né a seguire la procedura di cui agli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH per adottare tale divieto. Per soddisfare i requisiti della giurisprudenza citata ai punti 118 e 119, è sufficiente che le tre istituzioni interessate abbiano avuto, nel corso della procedura legislativa, informazioni sufficientemente affidabili e solide da consentire loro di cogliere l’intera portata della questione scientifica sollevata e di determinare la loro politica con piena cognizione di causa, indipendentemente dall’origine e dalla forma di tali informazioni.

122    Orbene, il considerando 15 della direttiva 2019/904 giustifica l’estensione del divieto di cui al suo articolo 5 ai prodotti a base di plastica oxo-degradabile con il fatto che, in primo luogo, tale tipo di plastica non si biodegrada correttamente e contribuisce quindi all’inquinamento ambientale causato dalle microplastiche, in secondo luogo, non è compostabile, in terzo luogo, ha un impatto negativo sul riciclaggio delle plastiche convenzionali e, in quarto luogo, non presenta un vantaggio ambientale comprovato.

123    Pertanto, occorre esaminare se, sebbene non sia stata realizzata alcuna valutazione d’impatto e la procedura di restrizione prevista agli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH non sia stata portata a termine, ciascuna di queste quattro affermazioni si basi tuttavia su una valutazione scientifica il più esaustiva possibile dei rischi presentati dai prodotti fabbricati a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante e se, sulla base di tale valutazione, le tre istituzioni interessate potessero, senza commettere errori manifesti di valutazione, concludere nel senso dell’esistenza di rischi per l’ambiente e la salute umana.

1)      Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegrada correttamente

124    Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegrada correttamente, occorre precisare, in via preliminare, che, secondo una definizione, non contestata dalle parti, contenuta in una relazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio sull’impatto ambientale dell’uso delle plastiche oxo-degradabili, in particolare delle buste di plastica oxo-degradabile [COM(2018) 35 final], del 16 gennaio 2018 (in prosieguo: la «relazione del 16 gennaio 2018»), la biodegradazione è il processo mediante il quale un materiale è decomposto da microorganismi e disaggregato in elementi naturali, vale a dire in biossido di carbonio, biomassa e acqua. Essa può aver luogo in un ambiente ricco di ossigeno (biodegradazione aerobica) o in un ambiente povero di ossigeno (biodegradazione anaerobica).

125    Nei loro controricorsi, le tre istituzioni interessate affermano di essersi basate, per concludere che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegradasse correttamente, sugli elementi probatori seguenti: lo studio Eunomia, di cui al punto 22 supra; la relazione del 16 gennaio 2018, di cui al punto 124 supra; una relazione della Fondazione Ellen MacArthur, intitolata «Oxo Statement» («Dichiarazione Oxo»), del 6 novembre 2017 (in prosieguo: la «dichiarazione oxo»); uno studio condotto da S. Deconinck e B. De Wilde per la PlasticsEurope AISBL, un’associazione europea di produttori di plastica, intitolato «Benefits and challenges of bio- and oxo-degradable plastics» («Vantaggi e difficoltà presentati dalle plastiche biodegradabili e dalle plastiche oxo-degradabili»), del 9 agosto 2013 (in prosieguo: lo «studio De Wilde»), e uno studio condotto dall’Università di Loughborough (Regno Unito) per il Dipartimento dell’Ambiente, dell’alimentazione e degli affari rurali del governo del Regno Unito, intitolto «Assessing the Environmental Impacts of Oxo-degradable Plastics Across Their Life Cycle» («Valutazione dell’impatto ambientale delle plastiche oxo-degradabili per tutto il loro ciclo di vita»), del gennaio 2010 (in prosieguo: lo «studio dell’Università di Loughborough»).

126    In primo luogo, lo studio Eunomia precisa che essa non utilizzerà il termine plastica «oxo-biodegradabile», poiché quest’ultimo è utilizzato dagli industriali della plastica per commercializzare i loro prodotti come biodegradabili, bensì l’espressione di plastica «contenente un additivo pro-ossidante», limitandosi a descrivere una particolarità fisica della plastica di cui trattasi senza indicare se essa sia biodegradabile.

127    Dallo studio Eunomia risulta che la biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante non è possibile in assenza di una fase preliminare nel corso della quale esso sia esposto alla radiazione ultravioletta e al calore. Questa fase preliminare ha lo scopo di ridurre, per ossidazione, la massa molecolare della plastica affinché essa si frammenti in detriti. Detto studio indica che, senza tale fase preliminare, la biodegradazione non si produce, o si produce entro un termine molto più lungo, in quanto la plastica non ha raggiunto un grado di frammentazione sufficiente per essere assimilabile dai microorganismi. Poiché la luce e il calore variano in funzione delle condizioni locali, è molto difficile stimare il tempo e il grado di frammentazione necessari affinché la biodegradazione possa prodursi. Tuttavia, l’additivo pro-ossidante accelera la frammentazione della plastica in questa fase preliminare, di modo che la plastica contenente un siffatto additivo si frammenti più rapidamente della plastica convenzionale quando è esposta alla radiazione ultravioletta e al calore.

128    Per quanto riguarda la fase successiva, vale a dire la biodegradazione propriamente detta (assimilazione da parte di microorganismi), dallo studio Eunomia risulta che la biodegradazione, all’aria aperta, della plastica contenente un additivo pro-ossidante è dimostrata solo parzialmente. Anche se sembra che, all’aperto, tale plastica possa degradarsi, non è certo che essa si degradi integralmente ed entro un termine ragionevole. Infatti, è solo nell’ambito di esperimenti condotti in laboratorio che è stata ottenuta una biodegradazione soddisfacente (quasi integrale, in un termine di due anni, il più breve osservato). Tale biodegradazione non è mai stata osservata in una situazione reale. Inoltre, anche se è possibile considerare la biodegradazione, all’aperto, della plastica contenente un additivo pro-ossidante molto più rapida di quella della plastica convenzionale, l’impatto negativo sull’ambiente potrebbe tuttavia essere ancora maggiore durante questa fase di biodegradazione.

129    Per quanto riguarda la biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante quando quest’ultimo è collocato in discarica, lo studio Eunomia conclude che l’ipotesi che la biodegradazione non abbia luogo è dimostrata. Secondo tale studio, se può esservi biodegradazione negli strati esterni della discarica, in cui detta plastica è esposta all’ossigeno (biodegradazione aerobica), la biodegradazione è invece bassa, o addirittura inesistente, negli strati profondi della discarica, dove vi è poco ossigeno. Tuttavia, in questi strati profondi è possibile la biodegradazione anaerobica. Orbene, la biodegradazione anaerobica produce metano, un gas a effetto serra 25 volte più nocivo del biossido di carbonio prodotto dalla biodegradazione aerobica. Pertanto, la plastica contenente un additivo pro-ossidante è leggermente più problematica della plastica convenzionale, in quanto, contrariamente a quest’ultima, può generare emissioni di gas a effetto serra.

130    Infine, secondo lo studio Eunomia, i dati scientifici disponibili sono insufficienti per determinare se vi sia o meno biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante in ambiente marino. Il detto studio indica, tuttavia, che i risultati di talune sperimentazioni suggeriscono che, in un ambiente del genere, questo tipo di plastica si sbriciola più rapidamente della plastica convenzionale, ma che la sua biodegradazione segue un ritmo molto più lento che su terra, all’aperto, il che significa che i detriti potrebbero restare nell’ambiente indefinitamente o per un periodo sufficientemente lungo da arrecare un grave pregiudizio all’ambiente.

131    In secondo luogo, secondo la relazione del 16 gennaio 2018, che riprende le conclusioni dello studio Eunomia, un’esposizione preventiva della plastica contenente un additivo pro-ossidante al calore e/o alla radiazione ultravioletta è una condizione necessaria affinché, nella fase successiva, vi sia biodegradazione. Da tale relazione risulta altresì, in primo luogo, che nulla consente di concludere con certezza che la biodegradazione all’aria aperta di tale tipo di plastica si produca effettivamente in una situazione reale. In secondo luogo, sempre secondo tale relazione, la biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante in discarica è possibile negli strati esterni della discarica, ma è debole, se non inesistente, negli strati profondi, in cui questo tipo di plastica sarebbe più problematico della plastica convenzionale dal punto di vista dei gas a effetto serra. In terzo luogo, la stessa relazione indica che i dati disponibili non consentono di affermare con certezza che vi sia biodegradazione nell’ambiente marino in un lasso di tempo ragionevole e che, in ogni caso, essa sarebbe probabilmente molto più lenta che sulla terra, all’aperto, e causerebbe danni ambientali considerevoli.

132    Orbene, tanto lo studio Eunomia quanto la relazione del 16 gennaio 2018 erano a disposizione delle tre istituzioni interessate al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904. Infatti, è il 16 gennaio 2018, ossia prima dell’adozione, il 5 giugno 2019, di tale direttiva, che detta relazione è stata presentata dalla Commissione al Parlamento e al Consiglio, in applicazione dell’articolo 20 bis, paragrafo 2, della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (GU 1994, L 365, pag. 10), come modificata dalla direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015 (GU 2015, L 115, pag. 11). Quanto allo studio Eunomia, esso è alla base della relazione del 16 gennaio 2018, che vi rinvia a più riprese. Ne consegue che detto studio era, anch’esso, a disposizione delle tre istituzioni interessate prima del 5 giugno 2019.

133    In terzo luogo, la dichiarazione oxo conferma che non è dimostrato che la plastica contenente un additivo pro-ossidante si biodegradi entro un termine ragionevole. Tale dichiarazione, firmata da numerose imprese e organizzazioni professionali, organizzazioni non governative, istituzioni, organismi di ricerca, scienziati e membri del Parlamento europeo, è disponibile sul sito Internet della Fondazione Ellen MacArthur, il cui obiettivo è promuovere l’economia circolare. Ne consegue che erroneamente la plastica contenente un additivo pro-ossidante viene commercializzata come la soluzione all’inquinamento da plastica ed è presentata come biodegradabile entro un lasso di tempo ragionevole. Infatti, dopo lo sgretolamento di detta plastica in piccoli frammenti, la biodegradazione dipende dalle condizioni ambientali, che sono variabili, e spesso dura più a lungo, o addirittura molto più a lungo, di alcuni mesi o addirittura più anni. Durante questo lasso di tempo persistono frammenti nell’ambiente, il che può avere un impatto negativo su quest’ultimo e sulla salute umana.

134    È irrilevante che la versione iniziale della dichiarazione oxo, pubblicata il 6 novembre 2017 e riassunta al punto precedente, sia stata ritirata nel giugno 2018 dal sito Internet della Fondazione Ellen MacArthur al fine di consentire a tale fondazione di esaminare la denuncia di un terzo, né che detta dichiarazione sia stata modificata prima di essere messa in rete nel maggio 2019. Infatti, le modifiche apportate nel 2019 chiariscono il contenuto di tale dichiarazione, ma non ne cambiano il senso.

135    Orbene, da un lato, la dichiarazione oxo è stata pubblicata sul sito Internet della Fondazione Ellen MacArthur, vale a dire è di pubblico dominio. Dall’altro lato, una siffatta pubblicazione, che si tratti della versione iniziale o della versione modificata di detta dichiarazione, è anteriore all’adozione, il 5 giugno 2019, della direttiva 2019/904.

136    Inoltre, la relazione del 16 gennaio 2018, per la quale si è stabilito al punto 132 che era accessibile alle tre istituzioni interessate, fa riferimento alla dichiarazione oxo.

137    Di conseguenza, si deve ritenere che la dichiarazione oxo fosse di dominio pubblico e quindi accessibile alle tre istituzioni interessate al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904 (v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 39).

138    In quarto luogo, anche lo studio De Wilde conferma le conclusioni dello studio Eunomia e della relazione del 16 gennaio 2018 sulla biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante.

139    Infatti, come rilevato dalla Commissione, dallo studio De Wilde risulta che, sebbene due articoli, uno di Jakubowicz, I., Yarahmadi, N., e Arthurson, V., intitolato «Kinetics of abiotic and biotic degradability of low-density polyethylene containing progradent additive and its effect on the growth of microbial communities» («Cinetica della degradabilità abiotica e biotica del polietilene a bassa densità contenente additivi prodegradanti e il suo effetto sulla crescita delle comunità microbiche»), pubblicato nel maggio 2011 (in prosieguo: lo «studio di Jakubowicz del 2011»), e l’altro di Chiellini, E., Corti, A., e Swift, G., intitolato «Biogradation of Thermally-oxidised, Fragmented Low-density Polyethylenes» («Biodegradazione dei polietilenni a bassa densità, frammentati e ossidati termicamente»), nel 2003 (in prosieguo: lo «studio di Chiellini e Corti»), hanno menzionato un’importante percentuale di biodegradazione di questo tipo di plastica, mentre tutti gli altri articoli disponibili indicano un livello di biodegradazione inesistente o (molto) basso. Il detto studio conclude che viene dibattuta la questione di quale livello di biodegradazione possa raggiungere la plastica contenente un additivo pro-ossidante.

140    Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il semplice fatto che lo studio De Wilde risalga all’agosto 2013 non è sufficiente a dimostrare che tale studio è obsoleto. Infatti, le ricorrenti si limitano, a tal riguardo, ad un’affermazione generica, non suffragata e senza riferimento a passaggi precisi di detto studio.

141    Inoltre, la conclusione dello studio De Wilde quanto al livello basso, se non addirittura inesistente, di biodegradazione raggiunto dalla plastica contenente un additivo pro-ossidante non può essere invalidata dalla circostanza che le prove su cui essa si basa sono state realizzate in laboratorio e non in ambiente reale. Infatti, tale circostanza è stata presa in considerazione dal suddetto studio. Inoltre, risulta in particolare dai punti 127 e 133 supra che le condizioni ambientali sono variabili e quindi difficilmente riproducibili in laboratorio.

142    Infine, da un lato, lo studio De Wilde è stato pubblicato su Internet, come dimostra il collegamento ipertestuale contenuto nella nota a piè di pagina del controricorso della Commissione, vale a dire che esso è di pubblico dominio. D’altra parte, lo studio Eunomia, di cui si è stabilito al punto 132 supra che era accessibile alle tre istituzioni interessate prima dell’adozione della direttiva 2019/904, fa riferimento allo studio De Wilde. Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 137 supra, lo studio De Wilde era a disposizione anche di tali istituzioni al momento dell’elaborazione e dell’adozione della citata direttiva.

143    In quinto luogo, lo studio dell’Università di Loughborough fornisce anch’esso sostegno delle conclusioni dello studio Eunomia e della relazione del 16 gennaio 2018 sulla biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante.

144    Infatti, come rilevato dal Parlamento, da detto studio risulta che la frammentazione in detriti di questo tipo di plastica dipende dalle condizioni ambientali e che è quindi impossibile valutare il tempo necessario a quest’ultima, ma che essa sembra tuttavia durare, all’aperto e nelle condizioni del Regno Unito, da due a cinque anni. Secondo lo stesso studio, la biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante, che può avvenire solo dopo detta frammentazione, si effettua molto lentamente, di modo che il termine «biodegradabile» è quasi privo di senso, a meno che non sia accompagnato dalla menzione del tasso di biodegradazione e delle condizioni in cui essa viene effettuata, e ciò di preferenza rispetto ad una norma ampiamente riconosciuta. Lo studio dell’Università di Loughborough raccomanda la realizzazione di studi supplementari per stabilire se vi sia biodegradazione integrale e, in caso affermativo, entro quale termine.

145    Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, dal semplice fatto che lo studio dell’Università di Loughborough risale al gennaio 2010 non si può dedurre che esso sia obsoleto. Infatti, le ricorrenti si limitano, a tal riguardo, ad un’affermazione generale, senza precisare quali aspetti di tale studio sarebbero obsoleti né fornire elementi a sostegno della loro affermazione. Del resto, la circostanza che lo studio dell’Università di Loughborough sia menzionato più volte nello studio Eunomia, che risale all’aprile 2017, tende al contrario a suggerire che esso è ancora di attualità.

146    Inoltre, la conclusione dello studio dell’Università di Loughborough quanto all’incertezza circa la biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante non può essere rimessa in discussione dal documento intitolato «OPA Response to Loughborough Report» («Risposta dell’OPA allo studio dell’università di Loughborough»), prodotto dalle ricorrenti in allegato alle loro memorie di replica al Parlamento e al Consiglio. Secondo tale documento, detto studio avrebbe confuso l’oxo-biodegradazione con l’idro-biodegradazione.

147    Infatti, occorre ricordare che il principio vigente nel diritto dell’Unione è quello della libera valutazione delle prove, il quale disciplina le procedure di ricorso, e che l’unico criterio per valutare il valore delle prove prodotte risiede nella loro attendibilità. Inoltre, per valutare l’efficacia probatoria di un documento si deve verificare la verosimiglianza dell’informazione in esso contenuta e considerare, in particolare, la provenienza del documento, le circostanze in cui esso è stato elaborato, il suo destinatario e chiedersi se, in base al suo contenuto, esso appaia ragionevole e affidabile (sentenza del 16 maggio 2019, GMPO/Commissione, T‑733/17, EU:T:2019:334, punto 60).

148    Orbene, come sostiene il Parlamento, senza essere contraddetto, il documento di cui al punto 146 supra è stato redatto dall’Associazione delle plastiche oxo-biodegradabili (OPA), i cui unici dirigenti attivi sono il direttore finanziario e il direttore della Symphony Environmental. Inoltre, detto documento non è accompagnato da alcun elemento di prova a sostegno delle affermazioni che vi figurano.

149    Peraltro, il documento in questione ha solo uno scarso valore probatorio (v., per analogia, sentenza del 14 marzo 2017, Bank Tejarat/Consiglio, T‑346/15, non pubblicata, EU:T:2017:164, punti 85 e 86).

150    Infine, da un lato, lo studio dell’Università di Loughborough è disponibile sul sito Internet del dipartimento dell’ambiente, dell’alimentazione e degli affari rurali del governo del Regno Unito. D’altro canto, il suddetto studio è citato in numerose occasioni dallo studio Eunomia, per il quale è stato stabilito al punto 132 supra che esso era a disposizione delle tre istituzioni interessate prima dell’adozione della direttiva 2019/904. Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 137 supra, lo studio dell’Università di Loughborough era anch’esso accessibile a tali istituzioni.

151    Dai precedenti punti da 124 a 150 si evince che, al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904, le tre istituzioni interessate disponevano di una valutazione scientifica completa del rischio che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegradasse correttamente e che potevano, senza commettere un errore manifesto di valutazione, considerare accertato tale rischio.

152    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento delle ricorrenti secondo cui lo studio Eunomia, la relazione del 16 gennaio 2018 e la dichiarazione oxo non tengono conto della distinzione tra plastica oxo-degradabile e plastica oxo-biodegradabile. Come indicato nel punto 14 supra, la biodegradazione molto più rapida della seconda plastica e, di conseguenza, l’esistenza di una distinzione tra plastica oxo-degradabile e oxo-biodegradabile è, secondo le ricorrenti, stabilita da diversi elementi di prova, che esse rimproverano alle tre istituzioni interessate di non aver preso in considerazione. Gli elementi di prova in questione sono i seguenti: in primo luogo, i punti 23 e 24 della testimonianza fornita dal presidente-direttore generale delle ricorrenti, del 16 dicembre 2020 (in prosieguo: la «testimonianza del presidente-direttore generale delle ricorrenti»); in secondo luogo, un parere sulla tecnologia relativa alle plastiche oxo-biodegradabili, datato 2 novembre 2018 (in prosieguo: il «parere del 2 novembre 2018»); in terzo luogo, lo studio dell’Università Queen Mary di Londra, intitolato «Microbial Degradation of Plastic in Aqueous Solutions Demonstrated by CO2 Evolution and Quantification» («Degradazione microbica della plastica in soluzioni acquose dimostrata dall’evoluzione e dalla quantificazione del CO2»), pubblicato nel 2020 (in prosieguo: lo «studio dell’Università Queen Mary»); in quarto luogo, la relazione del Laboratoire d’Océanographie Microbienne de Banyuls-sur-Mer (Francia), datata 4 settembre 2020; in quinto luogo, la risposta del sig. Ignacy Jakubowicz, datata 21 agosto 2017, ad un documento della Ellen MacArthur Foundation sugli additivi oxo-degradabili e foto-degradabili nelle materie plastiche (in prosieguo: la «risposta del sig. Jakubowicz alla Foundazione Ellen MacArthur»); sesto, la testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental, datata 23 giugno 2021 (in prosieguo: la «testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental») e, settimo, lo studio condotto dal Laboratoire d’Océanographie Microbienne de Banyuls-sur-Mer, intitolato «Degradation, Biodegradation and toxicity of Oxo-biodegradable Plastics in the oceans» («Degradazione, biodegradazione e tossicità delle plastiche oxo-biodegradabili negli oceani»), datato 10 marzo 2021 (in prosieguo: lo «studio Oxomar»).

153    In primo luogo, per quanto riguarda i punti 23 e 24 della testimonianza del presidente-direttore generale delle ricorrenti, quest’ultimo vi afferma, per quanto riguarda la biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante, che le tre istituzioni interessate non avrebbero dimostrato che tale tipo di plastica non si degraderebbe correttamente; che un divieto totale di immissione sul mercato non sarebbe pertanto giustificato; che le dette istituzioni non avrebbero sufficientemente valutato le conseguenze economiche, sociali e ambientali del loro intervento e che esse non avrebbero dimostrato che i prodotti a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante figurino tra i rifiuti ritrovati più frequentemente sulle spiagge. Il presidente-direttore generale delle ricorrenti sottolinea altresì che le tre istituzioni interessate non hanno tenuto in alcun conto il parere dell’ECHA, che non era convinta che detta plastica si frammentasse in microplastiche.

154    Tuttavia, la legittimità di un atto dell’Unione deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato. In particolare, le complesse valutazioni effettuate dal suo autore devono essere esaminate esclusivamente sulla base delle informazioni di cui esso disponeva al momento in cui le ha effettuate (v., per analogia, sentenza dell’11 settembre 2018, Apimab Laboratoires e a./Commissione, T‑14/16, non pubblicata, EU:T:2018:524, punti 124 e 137).

155    Pertanto, non si può contestare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto della testimonianza del presidente-direttore generale delle ricorrenti, la quale è stata redatta specificamente per il presente ricorso ed è quindi successiva all’adozione della direttiva 2019/904.

156    Peraltro, la testimonianza in questione proviene dal presidente-direttore generale delle ricorrenti. Pertanto, in conformità con la giurisprudenza citata ai punti 147 e 149 supra, non si può dire che il suo autore ne sia indipendente e questa prova ha quindi scarso valore probatorio.

157    Certamente, a sostegno delle sue affermazioni, il presidente-direttore generale delle ricorrenti si basa su tre documenti allegati alla sua testimonianza, vale a dire, in primo luogo, uno studio condotto dalla Eunomia Research & Consulting, intitolato «Analysis of Branded Items found on UK Beaches» («Analisi degli articoli di marca trovati sulle spiagge del Regno Unito»), datato 9 maggio 2019, in secondo luogo, un’e-mail inviata da un funzionario dell’ECHA alle ricorrenti, datata 30 ottobre 2018, e, in terzo luogo, la lettera del 30 aprile 2019, menzionata nei punti 35 e 55 supra.

158    Per quanto riguarda lo studio citato al punto 157 supra, il presidente-direttore generale delle ricorrenti afferma che tale studio non ha individuato alcun prodotto a base di plastica contenente un additivo pro-ossidante tra i rifiuti trovati sulle spiagge del Regno Unito. Tuttavia, occorre rilevare che tale studio ha il solo scopo di identificare i marchi dei diversi oggetti ritrovati su tali spiagge, al fine di determinare quali imprese abbiano immesso tali oggetti sul mercato. Pertanto, tale studio non precisa i tipi di plastica di cui sono composti, se del caso, gli oggetti ritrovati.

159    Per quanto riguarda l’e-mail di cui al punto 157 supra, è sufficiente notare che questa agenzia afferma che «in questa fase non è convinta che si formino microplastiche» da plastica contenente un additivo pro-ossidante - precisando che il termine «microplastiche» si riferisce generalmente a frammenti più piccoli di 5 mm, che tendono ad accumularsi nell’ambiente piuttosto che biodegradarsi in un periodo di tempo ragionevole. Pertanto, tale messaggio di posta elettronica non può essere considerato una presa di posizione ferma dell’ECHA. Al contrario, nei limiti in cui l’ECHA vi indica di aver bisogno di un termine supplementare al fine di determinare se le informazioni ricevute dimostrino la formazione di microplastiche e di avere l’intenzione di chiedere alle ricorrenti informazioni supplementari, detto messaggio di posta elettronica mette in evidenza i dubbi dell’ECHA su tale punto.

160    Per quanto riguarda la lettera del 30 aprile 2019, occorre ricordare che la Commissione vi chiede all’ECHA di porre fine alla procedura di restrizione avviata ai sensi degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH. Tuttavia, la lettera non può essere considerata come un’espressione di mancanza di interesse da parte della Commissione nell’ottenere dati scientifici, poiché, come risulta dal punto 121 supra, essa può raccogliere dati scientifici da altre fonti.

161    Pertanto, non si può contestare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto dei punti 23 e 24 della testimonianza del presidente-direttore generale delle ricorrenti.

162    In secondo luogo, per quanto riguarda il parere del 2 novembre 2018, le ricorrenti affermano di basarsi sugli elementi di prova citati in detto parere. Si tratta, da un lato, di uno studio realizzato dal sig. Eyheraguibel e altri, intitolato «Characterisation of oxidised oligomers from polyethylene films by mass spectometry and NMR spectroscopy before and after biogradation by a Rhodococcus rhodochrous strain» («Caratterizzazione degli oligomeri ossidati di pellicole di polietilene per spettometria di massa e spettroscopia RMN prima e dopo la biodegradazione con un ceppo di Rhodococcus rhodochrous»), del 23 maggio 2017, che constata un tasso di biodegradazione del 95% per un campione di polietilene ad alta densità contenente un additivo pro-ossidante, previa esposizione, per 240 giorni, ad un batterio specifico del suolo. Dall’altro lato, secondo il parere del 2 novembre 2018, uno studio realizzato dal sig. Dussud e altri, intitolato «Colonisation of Non-biodegradables and Biodegraable Plastics by Marine Organisms» («Colonizzazione delle plastiche non biodegradabili e biodegradabili da parte di organismi marini»), del 18 luglio 2018, conclude che la colonizzazione dei campioni di plastica contenenti un additivo pro-ossidante è, dopo 6 settimane di esposizione a taluni batteri marini, 30 volte più elevata della colonizzazione dei campioni di plastica convenzionale.

163    Orbene, sebbene il contenuto del ricorso possa essere suffragato e completato, su punti specifici, con rinvii a determinati passi di atti che vi sono allegati, un rinvio globale ad altri scritti, anche allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto che, ai sensi dell’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, devono figurare nel ricorso. Pertanto, non spetta al Tribunale ricercare e individuare negli allegati i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato, atteso che gli allegati assolvono ad una funzione meramente probatoria e strumentale (sentenze dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punti 40 e 41, e del 15 ottobre 2020, Zhejiang Jiuli Hi-Tech Metals/Commissione, T‑307/18, non pubblicata, EU:T:2020:487, punto 239).

164    Nel caso di specie, la sola menzione, nel ricorso, del parere del 2 novembre 2018 è un rinvio, in una nota a piè di pagina, all’allegato di 14 pagine contenente tale parere. In tale nota, le ricorrenti si limitano ad indicare quanto segue: «[v]edasi, ad esempio, gli elementi di prova citati nel [parere del 2 novembre 2018]». Tutt’al più, le ricorrenti rilevano, nella stessa nota a piè di pagina, che tale parere rafforza la loro conclusione secondo la quale «il divieto di cui all’articolo 5 si basa su elementi errati e/o insufficientemente fondati, nella misura in cui si applica alle plastiche oxo-bidoegradadabili», e sottolinea «le questioni che avrebbero dovuto essere prese in considerazione». Nelle loro repliche al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione, le ricorrenti si limitano o ad un generico rinvio all’allegato contenente il parere del 2 novembre 2018, o a un rinvio a 6 pagine di detto avviso, senza precisare quale sia l’argomento pertinente in tale insieme di 6 pagine.

165    Inoltre, poiché il parere è stato redatto da un avvocato senza alcuna formazione scientifica, non può essere annoverato tra i migliori dati scientifici disponibili ai sensi della giurisprudenza citata al punto 119 supra. Inoltre, sebbene detto avvocato affermi di essere stato incoraggiato a comportarsi quale giudice indipendente e a esprimere le sue riserve in sede di redazione del suo parere, ciò non toglie che egli è incaricato e retribuito dalla Symphony Environmental Technologies per redigere tale parere. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza citata nei punti 147 e 149 supra, al parere in questione può essere attribuito solo un valore probatorio limitato.

166    Ciò vale a maggior ragione in quanto gli elementi di prova citati nel parere del 2 novembre 2018 non sono prodotti in allegato a tale parere. Il secondo studio, cioè quello del sig. Dussud e altri, non figura nel fascicolo, mentre il primo, vale a dire quello del sig. Eyheraguibel e altri, vi figura solo perché è stato prodotto dalle ricorrenti in fase di replica. Pertanto, non è possibile verificare con esattezza l’affidabilità di tale parere.

167    Pertanto, non si può contestare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto del parere del 2 novembre 2018.

168    In terzo luogo, per quanto riguarda lo studio dell’Università Queen Mary, le ricorrenti si basano su un passaggio di quest’ultimo, da cui risulterebbe che, in una soluzione acquosa, tale tipo di plastica si degrada 90 volte più rapidamente della plastica convenzionale.

169    A tal riguardo, occorre rilevare che lo studio dell’Università Queen Mary indica di aver applicato un nuovo metodo per testare la biodegradabilità di un campione di plastica contenente un additivo pro-ossidante. Questo nuovo metodo consiste non nel collocare detto campione nel suolo, vale a dire in un mezzo di cui non si conosce né la concentrazione di batteri né il tipo di batteri che esso contiene, bensì nel depositare un batterio specifico sul campione. Applicando tale metodo, l’Università Queen Mary afferma di aver constatato che un siffatto campione, che è stato esposto ad una radiazione ultravioletta per 450 ore, e poi ad un batterio specifico del suolo, presenta dopo 35 giorni una biodegradazione 90 volte superiore a quella di un campione di plastica convenzionale sottoposto allo stesso trattamento.

170    Tuttavia, le tre istituzioni interessate hanno tenuto conto non dello studio dell’Università Queen Mary, che non era ancora disponibile, ma almeno del suo contenuto. Lo studio di Eunomia fa infatti riferimento alle informazioni fornite dalla dott.ssa R. Rose, uno degli autori dello studio dell’Università Queen Mary. A tale riguardo, lo studio Eunomia sottolinea che il metodo utilizzato dall’Università Queen Mary è lungi dall’essere unanime e che non è certo che i risultati osservati in laboratorio da tale università possano essere ottenuti in condizioni reali.

171    Inoltre, lo studio dell’Università Queen Mary è successivo all’adozione della direttiva 2019/904, in quanto risale all’agosto 2019 ed è stato pubblicato nel 2020. Pertanto, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 154 supra, non si può rimproverare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto di tale studio.

172    In quarto luogo, per quanto riguarda la relazione del laboratorio di Banyuls-sur-Mer, le ricorrenti sottolineano che essa indica che la plastica contenente un additivo pro-ossidante, in particolare quello prodotto dalle ricorrenti, si biodegrada in ambiente marino e ciò in modo molto più efficace della plastica convenzionale.

173    Tuttavia, la relazione del laboratorio di Banyuls-sur-Mer, datata 4 settembre 2020, è successiva all’adozione della direttiva 2019/904. Pertanto, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 154 supra, non poteva essere presa in considerazione dalle tre istituzioni interessate. In ogni caso, detta relazione non è uno studio scientifico che presenta i risultati di prove realizzate, ma un documento di una pagina e mezza che presenta un progetto denominato Oxomar.

174    In quinto luogo, le ricorrenti si basano sulla risposta del sig. Jakubowicz, professore associato del Research Institutes of Sweden (RISE), alla Fondazione Ellen MacArthur. Quest’ultimo vi indica che, a suo avviso, «[i]l processo di degradazione [della plastica contenente un additivo pro-ossidante] non si risolve in una frammentazione, ma consiste in un cambiamento integrale del materiale [:] il polimero con una massa molecolare elevata si scompone in frammenti monomeri e oligomeri, le molecole idrocarburi diventano molecole contenenti ossigeno, che possono essere bio-assimilate».

175    A tal riguardo, è sufficiente rilevare che la risposta del sig. Jakubowicz alla Fondazione Ellen MacArthur è una semplice dichiarazione di una pagina e mezza, che non rinvia ad alcuno studio scientifico. Anche supponendo che, come sottolinea la Commissione, tale risposta si basi su due articoli precedenti, vale a dire lo studio del 2011 di Jakubowicz e lo studio di Chiellini e Corti, si è osservato al punto 139 supra che, secondo lo studio De Wilde, l’opinione espressa da questi due articoli è singolare. Inoltre, detti articoli sono debitamente menzionati nello studio Eunomia.

176    Pertanto, non si può contestare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto della risposta del sig. Jakubowicz alla Fondazione Ellen MacArthur.

177    In sesto luogo, per quanto riguarda la testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental, anzitutto, le ricorrenti si basano su quest’ultima al fine di rispondere agli elementi di prova forniti dalle tre istituzioni interessate nei loro controricorsi, vale a dire, al fine di dimostrare l’esistenza di una distinzione tra plastica oxo-degradabile e plastica oxo-biodegradabile. Il senior scientist della Symphony Environmental rileva, in primo luogo, che la norma TR 15351, elaborata dal Comitato europeo di normalizzazione (CEN) e citata nello studio Eunomia, distingue l’oxo-degradazione, definita come una «degradazione risultante dal clivaggio ossidativo delle macromolecole» dall’oxo-biodegradazione, definita come una «degradazione risultante da fenomeni ossidativi e a mediazione cellulare, simultaneamente o successivamente». In secondo luogo, la composizione chimica della plastica oxo-degradabile sarebbe diversa da quella della plastica oxo-biodegradabile, in quanto l’additivo pro-ossidante contenuto nel secondo gli consente di soddisfare la definizione di oxo-biodegradazione ai sensi della norma TR 15351. In terzo luogo, sebbene non esista alcuna norma europea relativa all’oxo-biodegradazione, diverse norme e metodi nazionali distinguerebbero la plastica oxo-degradabile e la plastica oxo-biodegradabile. In quarto luogo, diversi scienziati sosterrebbero l’esistenza di una siffatta distinzione.

178    Poi, le ricorrenti si basano su detta testimonianza al fine di dimostrare che la plastica contenente un additivo pro-ossidante è biodegradabile. Il senior scientist della Symphony Environmental fa valere, in primo luogo, che lo studio Eunomia riconosce che la questione cruciale non è se tale tipo di plastica subisca una biodegradazione integrale, bensì stabilire se il tempo necessario a quest’ultima possa essere considerato accettabile. In secondo luogo, la biodegradabilità della plastica contenente un additivo pro-ossidante sarebbe dimostrata da numerosi elementi di prova. In terzo luogo, sarebbe impossibile testare la biodegradazione in ambiente reale e le condizioni di laboratorio sarebbero generalmente meno favorevoli alla biodegradazione rispetto alle condizioni reali. In quarto luogo, diversi studi dimostrerebbero la biodegradabilità in ambiente marino di detta plastica.

179     Si noti che la testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental proviene da un dipendente di una delle ricorrenti, responsabile del prodotto d2w, che è stata preparata su richiesta delle ricorrenti e specificamente per il presente ricorso, e che è volto a difendere i loro interessi. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 147 e 149 supra, essa ha uno scarso valore probatorio. Inoltre, poiché tali prove sono state fornite dopo l’adozione della direttiva 2019/904, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 154 supra, non si può rimproverare alle tre istituzioni interessate di non averne tenuto conto.

180    È indubbio che le affermazioni del senior scientist della Symphony Environmental sono suffragate da documenti allegati alla sua testimonianza e che, nelle loro repliche, le ricorrenti si basano su tre di tali allegati, cioè: in primo luogo, la relazione preparata dal laboratorio Intertek per l’ECHA, intitolata «Oxo-biodegradable plastics and the microplastics: towards a logical approach» («Le plastiche oxo-biodegradabili e le microplastiche: verso un approccio logico»), del 24 maggio 2018 (in prosieguo: la «relazione del laboratorio Intertek»); in secondo luogo, un contributo redatto da uno scienziato, intitolato «Evidence in Response to the UK Government’s July 2019 Call for Evidence on Standards for Bio-Based, Biodegradable, and Compostable Plastics» («Elementi di prova in risposta al bando per contributi lanciato nel luglio 2019 dal governo britannico riguardo le norme per le plastiche da fonti biologiche, biodegradabili e compostabili»), del 7 ottobre 2019 (in prosieguo: il «contributo del 7 ottobre 2019»), e, in terzo luogo, il risultato di un test effettuato dal laboratorio Eurofins il 25 luglio 2017 (in prosieguo: il «test del laboratorio Eurofins del 25 luglio 2017»).

181    Tuttavia, e in ogni caso, nessuno di questi tre allegati alla testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental suffraga utilmente l’argomento delle ricorrenti.

182    Infatti, per quanto riguarda la relazione del laboratorio Intertek, la quale rileva, in particolare, che «indipendentemente dalla velocità di degradazione [della plastica oxo-biodegradabile], essa è superiore a quella della plastica convenzionale» e che «le differenze tra i risultati dei pochi studi finora condotti sono una questione di grado», occorre sottolineare che tale relazione è stata preparata su richiesta della Symphony Environmental. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza citata nei punti 147 e 149 supra, la relazione non può che essere considerata di scarso valore probatorio.

183    Per quanto riguarda il contributo del 7 ottobre 2019, che conclude che «[è] altamente improbabile che si verifichi la formazione di microplastiche nel caso di plastiche oxo-biodegradabili», va sottolineato che è successivo all’adozione della direttiva 2019/904. Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 154 supra, non si può rimproverare alle istituzioni di non averne tenuto conto. In ogni caso, il contributo del 7 ottobre 2019 non è uno studio scientifico che presenta i risultati di test, ma una semplice dichiarazione di sei pagine, redatta in risposta ad un invito a presentare contributi del governo del Regno Unito vertente sulle norme relative alle plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili.

184    Per quanto riguarda il test del laboratorio Eurofins del 25 luglio 2017, effettuato su un campione di plastica contenente la mescola madre d2w delle ricorrenti, esso mette in evidenza un tasso di biodegradazione dell’88,86%, ottenuto in 121 giorni. Occorre tuttavia sottolineare che la frammentazione e l’assimilazione della plastica da parte di microrganismi dipendono dalle condizioni ambientali. Orbene, come risulta in particolare dai punti 127 e 133 supra, tali condizioni sono variabili e non corrispondono alle condizioni di un test effettuato in laboratorio. Pertanto, la circostanza che un tasso di biodegradazione dell’88,86% sia stato ottenuto in laboratorio non dimostra che la stessa percentuale sarà ottenuta, entro lo stesso termine, in situazione reale.

185    Pertanto, non si può contestare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto della testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental, della relazione del laboratorio Intertek, del contributo del 7 ottobre 2019 e del test del laboratorio Eurofins del 25 luglio 2017.

186    In settimo luogo, per quanto riguarda lo studio Oxomar, presentato in allegato alla testimonianza del senior scientist di Symphony Environmental, i suoi autori concludono che esistono prove che la plastica contenente un additivo pro-ossidante si biodegrada nell’ambiente marino. Essi ignorano tuttavia se tale biodegradazione sia integrale.

187    Tuttavia, lo studio Oxomar, datato 10 marzo 2021, è successivo all’adozione della direttiva 2019/904. Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 154 supra, non si può rimproverare alle tre istituzioni interessate di non averne tenuto conto.

188    Inoltre, detto studio non stabilisce che la plastica contenente un additivo pro-ossidante subisca una biodegradazione integrale in ambiente marino entro un termine di due anni. Non si può quindi ritenere che essa comprometta, in particolare, le conclusioni dello studio Eunomia su tale punto.

189    Infine, va notato che, a sostegno della loro argomentazione di cui al precedente punto 152, le ricorrenti sostengono inoltre che la norma più comunemente utilizzata in Europa per testare la biodegradabilità della plastica, vale a dire la EN 13432, non è rilevante nel caso della plastica contenente un additivo pro-ossidante.

190    A tal riguardo, le ricorrenti non sostengono che la plastica contenente la loro mescola madre d2w soddisfi la norma EN 13432, che lo studio Eunomia precisa di richiedere, per quanto riguarda la degradazione aerobica, un tasso di conversione in biossido di carbonio e in biomassa di almeno il 90% in un periodo massimo di 6 mesi.

191    Esse sostengono che la norma EN 13432 valuta la biodegradazione di un campione di plastica in condizioni particolari, vale a dire quelle del compostaggio industriale. Esse ne deducono che, nei limiti in cui la plastica contenente la mescola madre d2w non è concepita per essere compostata e non è commercializzata come compostabile, la norma EN 13432 non è pertinente ai fini della valutazione della sua biodegradazione. Sarebbe la norma americana ASTM D 6954 che dovrebbe essere utilizzata per misurare la biodegradazione di questo tipo di plastica, il quale è concepito per biodegradare all’aria aperta, e non nelle condizioni particolari del compostaggio industriale.

192    È vero che lo studio Eunomia indica che, a livello dell’Unione, non esiste una, ma diverse norme che consentono di valutare la biodegradabilità della plastica, che alcune di esse sono semplici metodi, che alcune sono nazionali e che non cessano di evolvere.

193    È altresì vero che, poiché ogni ambiente (compostaggio industriale, acqua dolce, ambiente marino, suolo e discarica) ha le proprie condizioni, le norme che consentono di misurare la biodegradazione in un ambiente determinato non consentono di misurarla negli altri ambienti. Infatti, lo studio Eunomia indica che le norme applicabili alla biodegradazione mediante compostaggio, tra le quali figura la norma EN 13432, si distinguono dalle norme che consentono di misurare la biodegradazione in acqua dolce, in ambiente marino o nel suolo, nonché dalle norme concepite per misurare la degradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante. Queste ultime si sono sviluppate di recente. Tra queste figurano la norma americana ASTM D 6954, la norma britannica BS 8472: 2011 e la norma francese AC T 51-808. Lo stesso studio precisa che lo sviluppo di norme che misurano specificamente la degradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante si spiega con il fatto che nessuna delle altre norme richiede una previa esposizione del campione ad una radiazione ultravioletta e/o al calore, mentre, in mancanza di tale esposizione preliminare, è quasi certo che il campione non si biodegraderà.

194    Lo studio Eunomia precisa inoltre che i produttori di plastica contenenti un additivo pro-ossidante non lo commercializzano come compostabile, conformemente alla norma EN 13432, ma sostengono, al contrario, che esso non si presta al compostaggio.

195    Infine, interrogate mediante una misura di organizzazione del procedimento, le tre istituzioni interessate si sono accordate nel senso che la norma EN 13432 era pertinente per valutare la biodegradazione della plastica mediante compostaggio industriale, ma che altre norme potevano, in funzione dell’uso previsto, essere pertinenti per valutare la sua biodegradazione.

196    Tuttavia, come rileva lo studio Eunomia, l’unico ambiente le cui condizioni possano essere riprodotte in modo soddisfacente in laboratorio è il compostaggio, in quanto si tratta di un processo industriale che, in quanto tale, è controllato. Pertanto, per quanto riguarda gli altri ambienti, i risultati dei test effettuati in laboratorio non sono necessariamente riproducibili in situazione reale. Pertanto, supponendo che un campione di plastica contenente un additivo pro-ossidante sia oggetto di un test destinato a valutare la sua biodegradazione in condizioni che non siano quelle del compostaggio industriale, in applicazione di una norma diversa dalla norma EN 13432, ad esempio la norma ASTM D 6954, il risultato di tale test, effettuato in laboratorio, non sarebbe necessariamente riproducibile in situazione reale. Come indicato al precedente punto 184, sebbene la relazione sul test effettuato il 25 luglio 2017 dal laboratorio Eurofins indichi che il campione di plastica contenente la mescola madre d2w è conforme alla norma ASTM D 6954, poiché ha raggiunto un tasso di biodegradazione dell’88,86%, ciò non dimostra che lo stesso tasso sarà ottenuto in una situazione reale.

197    Inoltre, occorre rilevare che, come affermato dal Parlamento nella sua risposta alla misura sull’organizzazione della procedura di cui al precedente punto 195, non esiste uno standard unificato a livello dell’UE per valutare la biodegradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante, ma solo standard nazionali, i cui criteri e soglie differiscono. Ad esempio, secondo lo studio Eunomia, mentre la norma americana ASTM D 6954 prevede una soglia di degradazione del 60%, la norma britannica BS 8472 definisce un limite del 50% di trasformazione della massa carbonica.

198    Infine, dallo studio Eunomia risulta che il compostaggio industriale è, in tutti gli ambienti, il più aggressivo, ossia il più favorevole alla biodegradazione. Pertanto, è poco probabile che un campione di plastica contenente un additivo pro-ossidante che non si biodegrada adeguatamente nelle condizioni del compostaggio industriale e che non soddisfa la norma EN 13432 si degradi adeguatamente in altri ambienti, ad esempio nel suolo o in ambiente marino. Non si può pertanto ritenere che la norma EN 13432 sia priva di qualsiasi rilevanza ai fini della valutazione della biodegradazione di questo tipo di plastica in condizioni diverse da quelle del compostaggio industriale.

199    Di conseguenza, si deve ritenere che le tre istituzioni interessate, nel ritenere, sulla base di studi effettuati secondo la norma EN 13432, che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegrada correttamente, non abbiano oltrepassato i limiti dell’ampio potere discrezionale di cui godono, secondo la giurisprudenza citata al punto 115 supra, in materia ambientale.

200    Di conseguenza, l’argomento delle ricorrenti riassunto nel precedente punto 152 non può essere seguito.

201    Di conseguenza, dai punti da 124 a 200 supra risulta che le tre istituzioni interessate avevano a disposizione una valutazione scientifica il più possibile esaustiva del rischio che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegradi correttamente e che hanno ritenuto che tale rischio esistesse senza commettere un errore manifesto di valutazione.

2)      Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante non è compostabile

202    Per quanto riguarda l’affermazione contenuta nel considerando 15 della direttiva 2019/904, secondo cui la plastica oxo-degradabile non è compostabile, occorre precisare che la relazione del 16 gennaio 2018 indica che il compostaggio è una biodegradazione migliorata, realizzata in condizioni controllate e caratterizzate essenzialmente da un’aerazione forzata e dalla produzione naturale di calore derivante dall’attività biologica all’interno del materiale.

203    Nei loro controricorsi, la Commissione e il Parlamento affermano di essersi basati sullo studio Eunomia, sulla relazione del 16 gennaio 2018, sulla dichiarazione oxo e sullo studio De Wilde per concludere che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non era compostabile.

204    Come indicato ai punti 132, 135 e 142 supra, questi documenti erano a disposizione delle tre istituzioni interessate al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904.

205    Dallo studio Eunomia emerge infatti che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non è adatta a nessuna forma di compostaggio e non è conforme alla norma EN 13432 la quale, come indicato nel punto 190 supra, richiede una biodegradazione del 90% entro 6 mesi. Lo studio Eunomia rileva, a tal riguardo, che la percentuale di biodegradazione più elevata ottenuta nell’ambito di uno studio scientifico è molto inferiore al 90% e che è stata ottenuta entro un termine di gran lunga superiore a quelli in vigore nell’industria del compostaggio, comportando così un rischio di spargimento nel terreno di frammenti di plastica. Come indicato al punto 194 supra, lo studio afferma anche che la maggior parte dei produttori di questo tipo di plastica non dichiara che sia compostabile.

206    La relazione del 16 gennaio 2018 conferma che, secondo i dati disponibili, le plastiche oxo-degradabili non sembrano prestarsi ad alcuna forma di compostaggio o di digestione anaerobica e non sembrano soddisfare le norme applicabili agli imballaggi recuperabili mediante compostaggio attualmente in vigore nell’Unione. Tale relazione rileva altresì che i frammenti di plastica generati dal processo potrebbero danneggiare la qualità del compost.

207    La dichiarazione oxo indica, anch’essa, che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non soddisfa alcuna norma applicabile agli imballaggi in plastica o al recupero della plastica, in quanto la sua biodegradazione dura troppo a lungo e che frammenti di plastica possono rimanere nel compost e, pertanto, avere un impatto sulla qualità di quest’ultimo, o addirittura diffondersi nell’ambiente.

208    Analogamente, lo studio De Wilde conclude che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non soddisfa le diverse norme relative al compostaggio industriale o domestico.

209    Dai punti da 202 a 208 supra risulta che, al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904, le tre istituzioni interessate disponevano di una valutazione scientifica esaustiva del rischio che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non fosse compostabile e che potevano, senza commettere un errore manifesto di valutazione, ritenere accertata l’esistenza di tale rischio.

210    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento delle ricorrenti secondo cui le tre istituzioni interessate non avrebbero tenuto conto di elementi di prova che, a loro avviso, dimostrano che la plastica contenente un additivo pro-ossidante è compostabile e che non costituisce un rischio, ossia, in primo luogo, i punti 23 e 24 della testimonianza del presidente-direttore generale delle ricorrenti, in secondo luogo, i punti 56 e 58 della testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental, in terzo luogo, il test del laboratorio Eurofins del 25 luglio 2017 e, in quarto luogo, una proposta del Comitato europeo delle regioni di emendare l’articolo 3 della direttiva 2019/904.

211    Occorre rilevare che, ai punti 23 e 24 della sua testimonianza, il presidente-direttore generale delle ricorrenti si limita ad affermare che, da un lato, le tre istituzioni interessate non hanno spiegato perché il compostaggio della plastica oxo-degradabile sia auspicabile e, dall’altro, dette istituzioni non hanno indicato le ragioni per le quali il fatto che tale tipo di plastica non sia compostabile costituisce un rischio per l’ambiente o la salute umana tale da giustificare il suo divieto.

212    Parimenti, ai punti 56 e 58 della sua testimonianza, il senior scientist della Symphony Environmental afferma che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non è stata concepita per soddisfare la norma EN 13432, che, per numerose ragioni, non è necessario che tale tipo di plastica sia compostabile e che il fatto che non lo sia non giustifica il suo divieto.

213    Tuttavia, non si può rimproverare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto dei punti 23 e 24 della testimonianza fornita dal presidente-direttore generale delle ricorrenti e dei punti 56 e 58 della testimonianza fornita dal senior scientist della Symphony Environmental, per le ragioni esposte rispettivamente ai punti 155 e 156 e al punto 179 supra.

214    Inoltre, le ricorrenti non possono far valere, al fine di dimostrare che la plastica contenente la loro mescola madre d2w è compostabile, che quest’ultima è stata sottoposto con esito positivo a test effettuati conformemente alla norma ISO 14855, vale a dire, in particolare, il test del laboratorio Eurofins del 25 luglio 2017. Dal precedente punto 184 si evince che il fatto che un certo tasso di biodegradazione sia stato ottenuto in laboratorio non stabilisce che lo stesso tasso sarà ottenuto, nello stesso periodo, in una situazione reale.

215    Peraltro, non si può contestare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto della proposta del Comitato europeo delle regioni, in occasione dei lavori preparatori della direttiva 2019/904, di emendare l’articolo 3 di quest’ultima in modo che non siano considerati come «plastica» taluni polimeri sintetici, vale a dire quelli considerati biodegradabili secondo la norma ASTM D 6002. Si tratta di polimeri sintetici che «possono subire una decomposizione biologica in un sito di compostaggio (…) in misura paragonabile a quella dei materiali considerati compostabili». Infatti, da detta proposta di emendamento non risulta che la plastica contenente un additivo pro-ossidante figuri tra i polimeri sintetici che possono subire una siffatta decomposizione.

216    Infine, il Tribunale constata che le ricorrenti si contraddicono quanto al carattere compostabile della plastica contenente un additivo pro-ossidante. Infatti, esse affermano, nel ricorso, che «in realtà, la plastica oxo-biodegradabile è compostabile». Tuttavia, esse riconoscono almeno, nelle loro repliche, al termine di un confronto tra questo tipo di plastica e la plastica convenzionale, che quest’ultima non è «neppure» compostabile e, nella loro risposta alle misure di organizzazione del procedimento, che la plastica contenente un additivo pro-ossidante «non è destinata ad essere trattata in impianti controllati di trattamento di rifiuti».

217    Quanto all’argomento delle ricorrenti secondo cui il carattere non compostabile della plastica contenente un additivo pro-ossidante non rappresenta un rischio per l’ambiente o per la salute umana, occorre sottolineare che il carattere non compostabile di questo tipo di plastica, considerato insieme alla circostanza che esso non si biodegrada adeguatamente, che non si presta al riciclaggio e che non presenta un vantaggio ambientale comprovato, ha come conseguenza che, lasciato all’aria libera, esso si frammenterà in microplastiche che persisteranno nell’ambiente prima di subire eventualmente una biodegradazione. Si deve ritenere che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 115 supra, la questione se, tenuto conto in particolare del fatto che non si biodegrada correttamente, il carattere non compostabile della plastica contenente un additivo pro-ossidante costituisca un rischio per l’ambiente o la salute umana rientra nella discrezionalità delle tre istituzioni interessate.

218    Dai punti da 202 a 217 supra risulta che le tre istituzioni interessate hanno effettuato una valutazione scientifica il più possibile esaustiva del rischio che la plastica contenente un additivo pro-ossidante possa non essere compostabile e che hanno ritenuto che tale rischio esistesse senza commettere un errore manifesto di valutazione.

3)      Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante ha un impatto negativo sul riciclaggio delle plastiche convenzionali

219    Per quanto riguarda l’affermazione contenuta nel considerando 15 della direttiva 2019/904, secondo cui la plastica oxo-degradabile ha un impatto negativo sul riciclaggio delle plastiche convenzionali, occorre rilevare che, nel loro controricorso e nella controreplica, le tre istituzioni interessate affermano di essersi basate sullo studio Eunomia, sulla relazione del 16 gennaio 2018, sulla dichiarazione oxo e sullo studio dell’università di Loughborough a sostegno di tale affermazione.

220    Come indicato ai punti 132, 135 e 150 supra, tali documenti erano a disposizione delle suddette istituzioni al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904.

221    Secondo lo studio Eunomia, gli elementi raccolti suggeriscono che le tecnologie attualmente disponibili non consentono di identificare la plastica contenente un additivo pro-ossidante per separarla dalle altre plastiche. Essa sarebbe quindi riciclata con le plastiche convenzionali. Orbene, ciò inciderebbe sulla qualità della plastica riciclata. Anche se l’uso di composti stabilizzanti consentirebbe, in taluni casi, di evitare un siffatto deterioramento della qualità della plastica riciclata, sarebbe tuttavia difficile determinare la quantità di stabilizzanti necessaria, poiché quest’ultima dipende dalla concentrazione e dal tipo di additivo pro-ossidante utilizzato.

222    Inoltre, lo studio Eunomia indica che la degradazione, prima del riciclaggio, della plastica contenente un additivo pro-ossidante sembra avere un impatto sulle qualità fisiche e sulla durata di vita della plastica riciclata. Tale studio ne deduce che la plastica riciclata non si presta a tutti gli usi finali e che, in particolare, non dovrebbe essere utilizzata per prodotti di lunga durata. Sarebbe tuttavia possibile produrre una plastica riciclata che possa essere utilizzata per prodotti di durata più breve. Lo studio Eunomia conclude che, se la plastica riciclata contiene plastica con incluso un additivo pro-ossidante, ciò ha un impatto negativo sulla possibilità di commercializzare la plastica riciclata, sulla sua qualità e sul suo prezzo.

223    La relazione del 16 gennaio 2018, che riprende le conclusioni dello studio Eunomia, afferma che le tecnologie attualmente disponibili non consentono alle imprese di ritrattamento di identificare e isolare la plastica contenente un additivo pro-ossidante e che questo sarà quindi necessariamente riciclato con la plastica convenzionale, il che può comportare un deterioramento della qualità dei materiali riciclati. Sarebbe difficile dosare i composti stabilizzanti che potrebbero impedire un siffatto deterioramento. Inoltre, secondo tale relazione, è impossibile controllare il grado di invecchiamento subito dalla plastica contenente un additivo pro-ossidante prima che quest’ultimo sia riciclato. La relazione del 16 gennaio 2018 sottolinea l’effetto negativo che questi elementi producono sul prezzo della plastica riciclata e conclude che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si presta al riciclaggio.

224    La dichiarazione oxo indica anch’essa che le attuali tecnologie non consentono di separare la plastica contenente un additivo pro-ossidante dalla plastica convenzionale e che è difficile valutare sia il grado di invecchiamento che quest’ultimo ha già raggiunto, sia la quantità di composti stabilizzanti necessaria per evitare la degradazione della plastica riciclata. Detta dichiarazione ne deduce che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si presta ad un riciclaggio su larga scala.

225    Analogamente, lo studio dell’Università di Loughborough indica che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si presta al riciclaggio, a causa della presenza, nel materiale riciclato, di additivi pro-ossidanti che ne accelereranno la degradazione. L’aggiunta di composti stabilizzanti sarebbe delicata a causa dell’incertezza circa la quantità di stabilizzanti necessaria e il grado di ossidazione già raggiunto.

226    Dai punti da 219 a 225 supra risulta che, al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904, le tre istituzioni interessate disponevano di una valutazione scientifica esaustiva del rischio di un’incidenza negativa della plastica contenente un additivo pro-ossidante sul riciclaggio della plastica convenzionale e che potevano, senza commettere un errore manifesto di valutazione, ritenere accertata l’esistenza di tale rischio.

227    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento delle ricorrenti secondo il quale dette istituzioni avrebbero omesso di prendere in considerazione i documenti seguenti: in primo luogo, la relazione del laboratorio austriaco TCKT, intitolata «Effect of mechanical recycling on the properties of films containing oxo-biodegradable additive» («Effetto del riciclaggio meccanico sulle proprietà dei film contenenti un additivo oxo-biodegradabile»), del 17 marzo 2016 (in prosieguo: la «relazione del laboratorio TCKT del marzo 2016»); in secondo luogo, un’altra relazione dello stesso laboratorio, intitolata «Weathering study on LDPE (with and without d2w/oxobiodegradables additive)» [«Studio dell’alterazione dell’LDPE (con e senza additivo d2w/oxo-biodegradabile)»], del 27 luglio 2016 (in prosieguo: la «relazione del laboratorio TCKT del luglio 2016»); in terzo luogo, una relazione del laboratorio sudafricano Roediger, intitolata «Recycling report on d2w oxo-biodegradable plastics» («Relazione sul riciclaggio delle plastiche oxo-biodegradabili d2w»), del 21 maggio 2012 (in prosieguo: la «relazione del laboratorio Roediger»); in quarto luogo, uno studio di Samper, M.D., e altri, intitolato «Interference of Biodegradable Plastics in the Polypropilene Recycling Process» («Interferenza delle plastiche biodegradabili nel processo di riciclaggio del polipropilene»), del 2018 (in prosieguo: lo «studio Samper»); e, in quinto luogo, i punti da 48 a 52 della testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental.

228    È indubbio che dalla relazione del laboratorio TCKT del marzo 2016 risulta che il materiale riciclato ottenuto a partire dalla plastica contenente la miscela madre d2w può essere utilizzato per prodotti di breve durata, come sacchi per la spazzatura o buste per la spesa. Inoltre, dalla relazione dello stesso laboratorio del luglio 2016 – che ha lo scopo di esaminare se buste per la spesa di plastica contenenti un additivo pro-ossidante possano essere riciclate per farne prodotti in plastica spessa destinati ad un uso a lungo termine – risulta che, se la presenza, nel materiale riciclato, di plastica contenente un additivo pro-ossidante può avere effetti negativi, come l’aumento delle fessure di superficie, tali effetti negativi non si produrrebbero quando è aggiunto un composto stabilizzante. La relazione del laboratorio Roediger indica, anch’essa, che la presenza di plastica contenente la miscela madre d2w non ha un impatto negativo significativo sul materiale riciclato.

229    Tuttavia, sia la relazione del laboratorio TCKT del marzo 2016 sia quella del laboratorio Roediger sono menzionate nello studio Eunomia. Orbene, come indicato al punto 132 supra, quest’ultimo era disponibile per le tre istituzioni interessate al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904. Non si può quindi contestare alle dette istituzioni di non aver tenuto conto di queste due relazioni.

230    Inoltre, dallo studio Eunomia risulta che la relazione del laboratorio TCKT del marzo 2016 e quella del laboratorio Roediger sono state entrambe commissionate dall’industria della plastica contenente un additivo pro-ossidante. Inoltre, dalla relazione del laboratorio TCKT del luglio 2016 risulta che essa è stata redatta su richiesta delle ricorrenti. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 147 e 149 supra, a queste tre relazioni, e in particolare alla relazione del laboratorio TCKT del luglio 2016, può essere attribuito uno scarso valore probatorio.

231    Infine, lo studio Eunomia rileva un’incoerenza nei risultati riportati nella relazione del laboratorio Roediger, senza che tale relazione spieghi tale incoerenza. Tale studio rileva inoltre che è difficile concedere credito alle conclusioni della relazione del laboratorio TCKT del marzo 2016, a causa della mancanza di chiarezza in merito, in particolare, all’evoluzione dei vari campioni, ciascuno dei quali contiene una percentuale diversa di plastica contenente un additivo pro-ossidante.

232    Quanto allo studio Samper, occorre rilevare, al pari della Commissione, che esso non riguarda il riciclaggio della plastica contenente un additivo pro-ossidante, bensì quello dei polimeri biodegradabili. Dal fatto che l’immissione sul mercato del tipo di plastica oggetto dello studio Samper non sia stata vietata non si può dedurre che neppure l’immissione sul mercato della plastica contenente un additivo pro-ossidante debba essere vietata. Secondo la giurisprudenza citata al punto 115 supra, infatti, la determinazione dell’esistenza del rischio rappresentato da ciascun tipo di plastica rientra nella discrezionalità delle tre istituzioni interessate.

233    Infine, per quanto riguarda la testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental, è vero che i punti da 48 a 52 di quest’ultima, ai quali rinviano le memorie di replica, indicano, in particolare, che la plastica contenente un additivo pro-ossidante può essere riciclata allo stesso modo della plastica convenzionale e che non è necessario separarla da quest’ultima per riciclarla. Tuttavia, per le ragioni indicate al punto 179 supra, non si può rimproverare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto dei punti da 48 a 52 della testimonianza fornita dal senior scientist della Symphony Environmental.

234    Dai punti da 219 a 233 supra si evince che le tre istituzioni interessate hanno effettuato una valutazione scientifica il più possibile esaustiva del rischio che la plastica contenente un additivo pro-ossidante abbia un impatto negativo sul riciclaggio della plastica convenzionale e che hanno ritenuto che tale rischio esistesse senza commettere un errore manifesto di valutazione.

4)      Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante non presenta un vantaggio ambientale comprovato

235    Per quanto riguarda l’affermazione contenuta nel considerando 15 della direttiva 2019/904, secondo cui la plastica oxo-degradabile non presenta un vantaggio ambientale comprovato, il Parlamento e la Commissione affermano di essersi basati, rispettivamente, sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 16 gennaio 2018, intitolata «Una strategia europea sulle materie plastiche in un’economia circolare» [COM(2018) 28 final] e sullo studio De Wilde.

236    Orbene, lo studio De Wilde, che ha lo scopo di valutare, in particolare, i vantaggi e gli svantaggi delle plastiche oxo-degradabili rispetto ai vantaggi e agli svantaggi delle plastiche cosiddette biodegradabili, si limita a concludere che i primi non sono biodegradabili, senza evidenziare vantaggi comprovati. Soprattutto, la comunicazione della Commissione menzionata al punto precedente indica, a pagina 17, che «alcuni nuovi materiali asseritamente biodegradabili, come le “plastiche oxo-degradabili”, si sono rivelati non offrire alcun vantaggio comprovato per l’ambiente rispetto alle plastiche tradizionali, mentre la loro rapida frammentazione in microplastiche suscita preoccupazioni». Inoltre, dalle valutazioni scientifiche sulla biodegradazione, il compostaggio e il riciclaggio della plastica contenente un additivo pro-ossidante, di cui ai punti da 124 a 234 supra, non risulta che questo tipo di plastica abbia un vantaggio comprovato sotto questi aspetti.

237    Tuttavia, da un lato, le ricorrenti fanno valere che dette istituzioni avrebbero dovuto tener conto del parere della commissione per la pesca del Parlamento sulla proposta di direttiva, che raccomandava di definire chiaramente la plastica biodegradabile.

238    Dall’altro lato, le ricorrenti considerano particolarmente significativo il fatto che, nei loro pareri sulla proposta di direttiva, rispettivamente, del 3 e dell’11 ottobre 2018, la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento abbiano proposto di vietare l’immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, senza tuttavia addurre alcuna giustificazione al riguardo.

239    Orbene, ai sensi dell’articolo 59, punto 1, del regolamento interno del Parlamento (GU 2019, L 302, pag. 1), la posizione di quest’ultimo ai sensi dell’articolo 294, punto 3, TFUE è adottata mediante votazione in sessione plenaria e non con il parere di una delle sue commissioni. Poco importa, pertanto, che una commissione, come quella per la pesca, abbia un parere diverso da quello adottato in sessione plenaria. A maggior ragione, poco importa che una commissione, come quella per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e quella per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, non giustifichi il suo parere. Pertanto, non si può contestare al Parlamento, tanto meno al Consiglio e alla Commissione, di non aver tenuto conto di tali pareri.

240    Dai punti da 235 a 239 supra risulta che le tre istituzioni interessate avevano a disposizione una valutazione scientifica il più possibile esaustiva dei possibili benefici ambientali della plastica contenente un additivo pro-ossidante e che potevano, senza commettere un errore manifesto di valutazione, concludere che non vi erano benefici provati.

241    Pertanto, dette istituzioni disponevano di una valutazione scientifica quanto più esaustiva possibile dei rischi menzionati al considerando 15 della direttiva 2019/904, vale a dire che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegradasse correttamente, che non fosse compostabile, che avesse un impatto negativo sul riciclaggio delle plastiche convenzionali e che non presenti vantaggi ambientali dimostrati. Dette istituzioni potevano quindi, senza commettere un errore manifesto di valutazione, considerare qualificata l’esistenza di tali rischi.

5)      Sull’elenco allegato alle memorie di replica, che riprende l’insieme dei documenti di cui le tre istituzioni interessate hanno asseritamente omesso di tener conto

242    Infine, occorre precisare che le ricorrenti hanno prodotto, in allegato alle memorie di replica, un elenco che riporta l’insieme dei documenti di cui le tre istituzioni interessate, secondo le ricorrenti, hanno omesso di tener conto (in prosieguo: l’«elenco allegato alle memorie di replica»).

243    La maggior parte dei documenti che figurano in tale elenco sono già stati esaminati in precedenza.

244    Tra quelli che non hanno costituito l’oggetto di un siffatto esame, alcuni sono successivi all’adozione della direttiva 2019/904, e cioè: in primo luogo, la norma britannica PAS 9017:2020, che risale all’ottobre 2020; in secondo luogo, lo studio di Babetto, A.S., Antunes, M.C., Bettini, S.H.P. e Bonse, B.C., dal titolo «A Recycling-Focused Assessment of the Oxidative Thermomechanical Degradation of HDPE Melt Containing Pro-oxidant», («Valutazione improntata sul riciclaggio della degradazione ossidativa termomeccanica del polietilene ad alta densità fuso contenente un pro-ossidante»), pubblicato su Internet il 21 dicembre 2019; in terzo luogo, lo studio di Saikrishnan, S., Jubinville, D., Tzoganakis, C. e Mekonnen, T.H., intitolato «Thermo-mechanical degradation of polypropylene (PP) and low-density polyethylene (LDPE) blends exposed to simulated recycling» [«Degradazione termo-meccanica di miscele di polipropilene (PP) e polietilene a bassa densità (LDPE) esposte a un riciclaggio simulato»], pubblicato a dicembre 2020; e, in quarto luogo, lo studio di Åkesson, D, Kuzhanthaivelu, G. e Bohlén, M., intitolato «Effect of a Small Amount of Thermoplastic Starch Blend on the Mechanical Recycling of Conventional Plastics» («Effetti di una piccola quantità di miscela di amido termoplastico sul riciclaggio meccanico delle plastiche convenzionali»), pubblicato il 24 ottobre 2020. Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 154 supra, non si può rimproverare alle tre istituzioni interessate di non aver preso in considerazione questi quattro documenti.

245    Uno dei documenti contenuti nell’elenco allegato alle memorie di replica è menzionato nello studio Eunomia, il quale era accessibile alle tre istituzioni interessate al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904. Queste ultime ne hanno quindi tenuto conto. Si tratta dello studio di Jakubowicz, I., e Enebro, J., intitolato «Effects of Reprocessing of Oxobiodegraable and Non-degradables Polyethylene on the durability of recycled Materials» («Effetti del riciclaggio del polietilene oxo-biodegradabile e del polietilene non degradabile sulla durata dei materiali riciclati»), del marzo 2012.

246    Un altro documento contenuto nell’elenco allegato alle memorie di replica, ossia l’allegato A.27 al ricorso, che comprende lettere inviate da taluni scienziati all’ECHA per quanto riguarda la plastica oxo-biodegradabile, è oggetto soltanto di un rinvio generale nel ricorso. Quest’ultimo si limita, infatti, ad indicare che dette lettere sono state inviate in risposta alla consultazione pubblica avviata dall’ECHA in merito a tale tipo di plastica e che i loro autori si oppongono al suo divieto. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 163, non spetta al Tribunale individuare quali delle lettere dell’allegato A.27, che comprende 100 pagine e più di 30 lettere, siano pertinenti, affidabili e documentate, né determinare quali argomenti delle ricorrenti esse sostengano. Le memorie di replica si limitano, anch’esse, ad un generico rinvio a tale allegato. Esiste tuttavia un’eccezione, che riguarda una lettera della dott.ssa R. Rose del 3 maggio 2018. Quest’ultima è oggetto di un rinvio specifico nel ricorso e nelle memorie di replica. Essa è, tuttavia, citata a sostegno del quarto motivo di illegittimità e sarà quindi esaminata nell’ambito di quest’ultimo.

247    Infine, uno dei documenti figuranti nell’elenco allegato alle memorie di replica non è oggetto di alcun rinvio nel ricorso o nelle memorie di replica. Si tratta dello studio di Jin, H., Gonzalez-Gutierrez, J., Oblak, P., Zupančič, B., e Emri, I., intitolato «The effect of extensive mechanical recycling on the properties of low-density polyethylene» («Effetto del riciclaggio meccanico estensivo sulle proprietà del polietilene a bassa densità»), del novembre 2012. Solo la testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental, a sua volta allegata alle memorie di replica, rinvia a tale studio. Tuttavia, la giurisprudenza citata al punto 163 supra fa riferimento anche alla replica (sentenza dell’11 luglio 2018, Europa Terra Nostra/Parlamento, T‑13/17, non pubblicata, EU:T:2018:428, punto 86). Pertanto, il Tribunale non può tener conto di tale studio.

248    Pertanto, non si può contestare alle tre istituzioni interessate di non aver tenuto conto dei documenti figuranti nell’elenco allegato alle memorie di replica.

249    Si deve pertanto concludere che, come rilevato al precedente punto 241, le ricorrenti hanno torto nel sostenere che le tre istituzioni interessate avrebbero commesso un errore manifesto di valutazione, da un lato, adottando il divieto di immissione sul mercato di prodotti fabbricati con plastica contenente un additivo pro-ossidante quando non disponevano di una valutazione scientifica il più possibile esaustiva dei rischi presentati da tale tipo di plastica e, dall’altro, considerando accertata l’esistenza di tali rischi.

250    Poiché il potere che il legislatore dell’Unione trae dall’articolo 191 TFUE è, secondo la giurisprudenza citata al punto 115 supra, soggetto a controllo per errore manifesto di valutazione, si deve concludere che le tre istituzioni interessate non hanno violato tale disposizione.

251    In assenza di una violazione dell’articolo 191 TFUE, non occorre esaminare se tale violazione sia sufficientemente qualificata, come richiesto dalla giurisprudenza relativa alla prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione, citata al punto 42 supra.

252    Occorre quindi respingere la prima parte del terzo motivo di illegittimità, nella misura in cui verte su una violazione sufficientemente qualificata dell’articolo 191 TFUE e su errori manifesti di valutazione.

b)      Sulla violazione sufficientemente qualificata del principio generale di proporzionalità, sancito allarticolo 5, paragrafo 4, TUE

253    Con la seconda e la terza parte nonché, parzialmente, la prima parte del loro terzo motivo di illegittimità, le ricorrenti sostengono che il divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904, è contrario al principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

254    In via preliminare, occorre ricordare che il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non superino i limiti di quanto è necessario per il loro conseguimento, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 94).

255    Per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale sul rispetto di tale principio, in un contesto tecnico complesso ed evolutivo, il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale per determinare la natura e l’ampiezza delle misure che adotta, segnatamente quanto alla valutazione di elementi in fatto altamente complessi di ordine scientifico e tecnico, mentre il sindacato del giudice dell’Unione deve limitarsi ad esaminare se l’esercizio di un siffatto potere non sia viziato da errore manifesto o da sviamento di potere o, ancora, se il legislatore non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale. In un siffatto contesto, il giudice dell’Unione non può infatti sostituire la sua valutazione degli elementi di fatto di ordine scientifico e tecnico a quella del legislatore dell’Unione cui il Trattato ha affidato tale compito (sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 95).

256    Alla luce di tali considerazioni, occorre esaminare se le ricorrenti facciano giustamente valere, con il secondo capo del loro terzo motivo di illegittimità, che, nella misura in cui si applica alla plastica oxo-biodegradabile, il divieto di cui all’articolo 5 della direttiva 2019/904 non è idoneo a realizzare l’obiettivo di detta direttiva e, poi, se, come esse sostengono con il terzo capo del medesimo motivo, detto divieto ecceda i limiti di quanto è necessario alla realizzazione di tale obiettivo.

257    Quanto alla prima parte del terzo motivo, occorre ricordare che essa verte, in parte, sul fatto che il divieto di cui trattasi è sproporzionato per il semplice fatto della mancanza di valutazione scientifica dei rischi per l’ambiente e la salute umana posti dalla plastica oxo-degradabile. Orbene, si deve constatare che le ricorrenti fanno così valere, in sostanza, che, non essendo dimostrata l’esistenza di siffatti rischi, detto divieto non può essere idoneo a proteggere contro di loro. La prima parte, in quanto vertente su tale argomento, si confonde quindi con la seconda e sarà esaminata con quest’ultima.

1)      Sulla seconda parte, vertente sul fatto che, nella misura in cui si applica alla plastica oxo-biodegradabile, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 non è idoneo a realizzare l’obiettivo di detta direttiva, e sulla prima parte, in quanto verte sullo stesso argomento

258    Dai punti da 124 a 249 supra si evince che le tre istituzioni interessate non hanno commesso un errore manifesto di valutazione nel ritenere che la plastica contenente un additivo pro-ossidante presentasse rischi per l’ambiente e la salute umana, in quanto non si biodegradava correttamente, non era compostabile, aveva un’incidenza negativa sul riciclaggio della plastica convenzionale e non presentava alcun vantaggio ambientale dimostrato.

259    Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 255, una misura che vieti l’immissione sul mercato di prodotti realizzati con plastica contenente un additivo pro-ossidante deve essere considerata idonea a conseguire l’obiettivo di tutela dell’ambiente e della salute umana di cui al considerando 36 e all’articolo 1 della direttiva 2019/904.

2)      Sulla terza parte, vertente sul fatto che, nella misura in cui si applica alla plastica oxo-biodegradabile, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 eccede i limiti di quanto necessario alla realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva

260    Con la terza parte del terzo motivo di illegittimità, le ricorrenti sostengono che, nella misura in cui si applica alla plastica oxo-biodegradabile, la misura prevista all’articolo 5 della direttiva 2019/904 eccede i limiti di quanto è necessario alla realizzazione dell’obiettivo di protezione dell’ambiente e della salute umana perseguito da tale direttiva.

261    In primo luogo, le ricorrenti fanno valere che esistono altre misure meno restrittive del mero divieto d’immissione sul mercato, e cioè: in primo luogo, escludere la plastica oxo-biodegradabile dalla definizione di «plastica oxo-degradabile» di cui all’articolo 3, punto 3, di tale direttiva e, di conseguenza, dall’ambito di applicazione dell’articolo 5 della stessa; in secondo luogo, di sottoporre la plastica oxo-biodegradabile a test in conformità alla norma americana ASTM D 6954 o ad altre norme analoghe; in terzo luogo, imporre che le plastica oxo-biodegradabile contenga un marcatore che consenta una cernita automatica prima del riciclaggio; in quarto luogo, includere questo tipo di plastica nell’ambito di applicazione degli articoli 4, 7, 8 e/o 10 della direttiva 2019/904; o, in quinto luogo, imporre un’etichettatura che prevenga qualsiasi rischio di confusione da parte dei consumatori.

262    Tuttavia, nessuna delle cinque misure proposte dalle ricorrenti consente di raggiungere l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2019/904.

263    In primo luogo, per quanto riguarda la proposta delle ricorrenti di escludere la plastica oxo-biodegradabile dalla definizione di «plastica oxo-degradabile» di cui all’articolo 3, punto 3, della direttiva 2019/904, è già stato constatato, nell’ambito dell’esame della prima parte del presente motivo, che le tre istituzioni interessate non sono incorse in un errore manifesto di valutazione nel ritenere che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegrada adeguatamente entro un termine ragionevole e che, di conseguenza, non si debba distinguere tra plastica oxo-degradabile e plastica oxo-biodegradabile. Pertanto, escludere la plastica contenente un additivo pro-ossidante dalla definizione di «plastica oxo-degradabile» di cui al citato articolo 3, punto 3, della direttiva 2019/904 equivarrebbe a limitare l’ambito di applicazione del divieto previsto all’articolo 5 di tale direttiva ai prodotti in plastica monouso elencati nella parte B del suo allegato, il che sarebbe in contrasto con la lettera stessa di tale articolo.

264    In secondo luogo, per quanto riguarda la proposta delle ricorrenti di sottoporre la plastica contenente un additivo pro-ossidante a test in conformità alla norma americana ASTM D 6954 o ad altre norme comparabili, si è già osservato al precedente punto 197 che, poiché non esiste una norma unificata, a livello dell’Unione, che consente di valutare la biodegradazione di tale plastica, bensì solo norme nazionali, le tre istituzioni interessate non hanno superato i limiti del loro potere discrezionale non basandosi sulla norma ASTM D 6954 o su altre norme comparabili.

265    In terzo luogo, per quanto riguarda la proposta delle ricorrenti di richiedere che la plastica che include un additivo pro-ossidante contenga un marcatore che la renda identificabile da una macchina di selezione automatica, in modo che venga separata dalle plastiche convenzionali e non riciclata con esse, dallo studio Eunomia emerge che la tecnologia attuale non consente di selezionare automaticamente le plastiche contenenti additivi pro-ossidanti, e la relazione del 16 gennaio 2018 indica che «[l]e tecnologie attualmente disponibili non consentono (...) alle imprese di ritrasformazione di identificare e separare la plastica oxo-degradabile».

266    La Commissione sottolinea, a tal riguardo, che le tecniche di separazione automatica tradizionalmente utilizzate, come la spettroscopia nel vicino infrarosso, non consentono di rilevare la plastica contenente un additivo pro-ossidante e che, di conseguenza, nuove macchine per la cernita automatica dovrebbero essere sviluppate a tal fine, ma che non si tratta di un’opzione economicamente praticabile per l’industria del riciclaggio. Orbene, le ricorrenti si limitano ad affermare che lo sviluppo di nuove macchine per la cernita automatica è economicamente sostenibile, senza fornire alcun elemento di prova a sostegno di una siffatta affermazione né dimostrare che è effettivamente possibile installare il marcatore che esse propongono.

267    In quarto luogo, le ricorrenti propongono di far rientrare la plastica contenente un additivo pro-ossidante nell’ambito di applicazione degli articoli 4, 7, 8 e/o 10 della direttiva 2019/904, le quali consentono agli Stati membri di adottare le seguenti misure: misure di riduzione del consumo (articolo 4); misure che prevedono l’apposizione di una marcatura che informi i consumatori, da un lato, sulle modalità corrette di gestione del rifiuto per il prodotto in questione o sulle modalità di smaltimento dei rifiuti da evitare per tale prodotto e, dall’altro, sulla presenza di plastica nel prodotto e sugli effetti nocivi dello smaltimento improprio dei rifiuti da esso derivanti (articolo 7); misure che prevedono l’introduzione di regimi di responsabilità estesa del produttore per l’immissione sul mercato di prodotti a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante (articolo 8); misure di sensibilizzazione volte a informare i consumatori e a incoraggiare abitudini di consumo responsabili (articolo 10).

268    Tuttavia, tenuto conto dell’ampio potere discrezionale, rammentato al precedente punto 255, di cui gode il legislatore dell’Unione nel determinare la natura e la portata delle misure che adotta, non si può considerare che le tre istituzioni interessate abbiano oltrepassato i limiti di tale potere discrezionale nel ritenere, alla luce dei rischi presentati dai prodotti a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante, in particolare il rischio che essi non si biodegradino correttamente, che fosse opportuno vietarne l’immissione sul mercato, piuttosto che sottoporli all’una o all’altra delle misure di cui agli articoli 4, 7, 8 e/o 10 della direttiva 2019/904, che peraltro potrebbero variare da uno Stato membro all’altro.

269    In quinto luogo, per quanto riguarda la proposta delle ricorrenti di imporre un’etichettatura dei prodotti a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante che prevenga qualsiasi rischio di confusione dei consumatori, essa si ricollega alla loro proposta di assoggettare detti prodotti alle misure previste dagli articoli 7 o 10 della direttiva 2019/904. Pertanto, per le ragioni esposte al precedente punto 268, essa deve essere respinta.

270    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che, invece di meramente vietare l’immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica contenente un additivo pro-ossidante, le tre istituzioni interessate avrebbero dovuto prevedere un periodo transitorio, come ha fatto l’ECHA nella sua proposta di restrizione relativa alle microplastiche aggiunte intenzionalmente.

271    Tale argomento non può essere accolto.

272    È vero che la comunicazione dell’ECHA intitolata «Proposta di restrizione sulle microplastiche aggiunte intenzionalmente – domande e risposte» del settembre 2020, presentata dalle ricorrenti, indica che tale agenzia ha proposto una restrizione ai sensi del regolamento REACH, nella quale raccomanda di vietare l’immissione sul mercato delle microplastiche utilizzate nei prodotti cosmetici, ma prevede un periodo transitorio che va da quattro a otto anni.

273    Tuttavia, occorre sottolineare che il termine di trasposizione dell’articolo 5 della direttiva 2019/904, adottata il 5 giugno 2019, scade, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, di quest’ultima, il 3 luglio 2021 e che un siffatto termine potrebbe essere considerato equivalente, in pratica, a un periodo transitorio di due anni che accompagnerebbe il divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica contenente un additivo pro-ossidante. Inoltre, i periodi transitori proposti dall’ECHA per le microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti cosmetici non si applicano in tutti i casi. Esse non si applicano quindi ai prodotti cosmetici contenenti microsfere, poiché queste ultime possono essere facilmente sostituite da sostanze naturali come mandorle in polvere, noci di cocco o semi di oliva. Infine, come sostiene la Commissione, tenuto conto degli usi, non complessi, della plastica contenente un additivo pro-ossidante, si deve considerare che le tre istituzioni interessate non hanno ecceduto i limiti del loro potere discrezionale ritenendo che i prodotti fabbricati a base di questo tipo di plastica dovessero essere vietati senza che fosse previsto un periodo transitorio.

274    Pertanto, le ricorrenti non possono basarsi sui periodi transitori proposti dall’ECHA trattandosi di microplastiche aggiunte intenzionalmente per far valere che un mero divieto di prodotti fabbricati a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante, non accompagnato da un periodo transitorio, è sproporzionato.

275    In terzo luogo, le ricorrenti fanno valere che gli inconvenienti causati dal divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica contenente un additivo pro-ossidante sarebbero sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti, in quanto le tre istituzioni interessate avrebbero omesso di valutare l’impatto sociale ed economico di detto divieto.

276    Orbene, la protezione della salute umana ha un’importanza preponderante rispetto alle considerazioni di ordine economico e la protezione dell’ambiente costituisce uno degli obiettivi essenziali dell’Unione. L’importanza di siffatti obiettivi è tale da giustificare conseguenze economiche negative, anche considerevoli, per taluni operatori (sentenza del 12 dicembre 2014, Xeda International/Commissione, T‑269/11, non pubblicata, EU:T:2014:1069, punto 138).

277    Inoltre, le ricorrenti si limitano ad affermare che le tre istituzioni interessate hanno omesso di valutare le conseguenze sociali ed economiche del divieto di cui all’articolo 5 della direttiva 2019/904. Esse non spiegano in cosa consistano i presunti inconvenienti sociali ed economici posti da quest’ultimo, ma fanno semplicemente riferimento, senza suffragare tale argomento, agli ostacoli posti allo sviluppo di una tecnologia oxo-biodegradabile più efficace.

278    Si deve quindi concludere che il divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante non eccede i limiti di quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela dell’ambiente e della salute umana perseguito dalla direttiva 2019/904.

279    Dai punti 259 e 278 supra risulta pertanto che il divieto non viola il principio generale di proporzionalità sancito dall’articolo 5, paragrafo 4, del TUE.

280    In assenza di una violazione di tale principio, non è necessario esaminare se essa sia sufficientemente qualificata, come richiesto dalla giurisprudenza relativa alla prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione, citata al punto 42 supra.

281    Occorre quindi respingere la seconda e la terza parte del terzo motivo di illegittimità, nonché la sua prima parte, in quanto verte su una violazione sufficientemente qualificata del principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

282    Pertanto, il terzo motivo dev’essere integralmente respinto.

4.      Sul quarto motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata del principio generale della parità di trattamento

283    Con il quarto motivo di illegittimità, le ricorrenti fanno valere che le tre istituzioni interessate hanno violato il principio generale della parità di trattamento, da un lato, vietando l’immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-biodegradabile, ma non quella dei prodotti fabbricati a base di plastica convenzionale, ad eccezione di nove prodotti monouso e, dall’altro, vietando l’immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-biodegradabile, ma non quella dei prodotti fabbricati a base di plastica commercializzati come «compostabile».

284    Per quanto riguarda, in particolare, la differenza di trattamento tra prodotti di plastica oxo-biodegradabile e prodotti di plastica convenzionale, ad eccezione di nove prodotti monouso, le ricorrenti fanno valere che non è stato dimostrato che la plastica oxo-biodegradabile arrecherebbe un pregiudizio all’ambiente maggiore della plastica oxo-degradabile o della plastica convenzionale. La plastica oxo-biodegradabile non si frammenterebbe in microplastiche e si biodegraderebbe più rapidamente della plastica convenzionale. Non sarebbe neppure più soggetta a dispersione nell’ambiente della plastica convenzionale. Essa si presterebbe al riciclaggio allo stesso modo della plastica convenzionale. Sempre per quanto riguarda la differenza di trattamento tra prodotti di plastica oxo-biodegradabile e prodotti di plastica convenzionale, ad eccezione di nove prodotti monouso, le ricorrenti fanno altresì valere che nulla giustifica che siano vietati solo nove prodotti monouso fabbricati a base di plastica convenzionale, mentre tutti i prodotti fabbricati a base di plastica oxo-biodegradabile lo sono.

285    In subordine, le ricorrenti sostengono che il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 comporta una distorsione della concorrenza tra diversi tipi di plastiche biodegradabili.

286    Il Parlamento, il Consiglio e la Commissione contestano l’argomentazione delle ricorrenti.

287    Si è già ricordato che, conformemente ad una giurisprudenza costante, il principio di parità di trattamento è violato solo quando situazioni analoghe sono trattate in modo differente o quando situazioni differenti sono trattate in modo identico a meno che un siffatto trattamento non sia oggettivamente giustificato (v. sentenza del 5 dicembre 2013, Solvay/Commissione, C‑455/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:796, punto 77 e la giurisprudenza citata).

288    La comparabilità di situazioni diverse è valutata tenendo conto di tutti gli elementi che le caratterizzano. Tali elementi devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto dell’Unione che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Inoltre, devono essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui si riferisce l’atto in parola (sentenze del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 26, e del 19 dicembre 2019, HK/Commissione, C‑460/18 P, EU:C:2019:1119, punto 67).

289    Occorre esaminare, da un lato, se le tre istituzioni interessate abbiano violato il principio generale della parità di trattamento vietando l’immissione sul mercato dei prodotti di plastica oxo-biodegradabile, ma non quella dei prodotti di plastica convenzionale, ad eccezione di nove prodotti monouso, e, dall’altro, se esse abbiano violato detto principio vietando l’immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-biodegradabile, ma non quella dei prodotti fabbricati a base di plastiche commercializzati come «compostabili».

290    Per quanto riguarda, in primo luogo, la prima delle due infrazioni di cui al precedente punto 289, il Tribunale ritiene che i prodotti realizzati con plastica contenente un additivo pro-ossidante non possano essere considerati in una situazione paragonabile a quella dei prodotti realizzati con plastica convenzionale.

291    Infatti, da un lato, dall’esame del terzo motivo di illegittimità discende che, sulla base della valutazione scientifica dei rischi che era accessibile alle tre istituzioni interessate al momento dell’elaborazione e dell’adozione della direttiva 2019/904, non si può escludere che la plastica contenente un additivo pro-ossidante sia, almeno sotto taluni aspetti relativi, in particolare, al suo riciclaggio e alla sua biodegradazione in discarica, più problematica della plastica convenzionale.

292    A questo proposito, dai punti 129 e 131 supra risulta che, secondo lo studio Eunomia e la relazione del 16 gennaio 2018, in caso di biodegradazione negli strati profondi di una discarica, la plastica contenente un additivo pro-ossidante sarebbe leggermente più problematica della plastica convenzionale dal punto di vista dei gas a effetto serra.

293    Inoltre, come indicato al punto 234 supra, la plastica contenente un additivo pro-ossidante non può essere riciclata con la plastica convenzionale senza compromettere la qualità del materiale riciclato.

294    Infine, dai punti da 127 a 131 supra risulta che, secondo lo studio Eunomia e la relazione del 16 gennaio 2018, la plastica contenente un additivo pro-ossidante si decompone più rapidamente della plastica convenzionale, ma non si può escludere che questa frammentazione più rapida della prima significhi che, sia all’aria aperta che nell’ambiente marino, il suo impatto negativo sull’ambiente è maggiore perché si concentra su un periodo più breve.

295    È quanto sottolinea, per quanto riguarda i rifiuti marini, la sezione 4.3 della relazione del 16 gennaio 2018, secondo la quale «[p]oiché la frammentazione delle plastiche oxo-degradabili è generalmente più rapida di quella delle plastiche tradizionali, gli effetti negativi associati alla presenza di microplastiche nell’ambiente marino sono concentrati su un periodo più breve. Tale concentrazione degli effetti potrebbe in ultima analisi rivelarsi peggiore di una ripartizione degli effetti su un periodo più lungo, perché la percentuale di individui, specie e habitat colpiti aumenterebbe, così come l’entità degli effetti a carico di ogni individuo».

296    È quanto sottolinea anche lo studio Eunomia a proposito della biodegradazione in ambiente aperto. Secondo detto studio, «è possibile che la degradazione della plastica contenente un additivo pro-ossidante sia molto più breve di quella della plastica convenzionale. Tuttavia, occorre chiedersi se l’impatto ambientale non sia tanto maggiore durante la fase di biodegradazione, tenuto conto dello scenario controfattuale».

297    Le ricorrenti, al fine di confutare le conclusioni di cui ai precedenti punti da 291 a 294, non possono basarsi sulla lettera inviata dalla dott.ssa R. Rose – autrice dello studio della Queen Mary University – all’ECHA il 3 maggio 2018. È vero che, in questa lettera, la dott.ssa R. Rose afferma di essere «sorpresa che l’Unione proponga di vietare un prodotto che non è certamente peggiore del [polietilene a bassa densità, cioè una plastica convenzionale] non modificato, che non è soggetto alla stessa misura» e che «[l]egiferare contro un solo tipo di plastica non risolve l’accumulo di molti tipi di poliidrocarburi». Tuttavia, questa lettera si riferisce all’uso del nuovo metodo sviluppato dalla Queen Mary University, che al punto 170 supra è stato indicato come tutt’altro che unanime e al fatto che non era certo che avrebbe permesso di ottenere risultati riproducibili in una situazione reale.

298    Le ricorrenti, per confutare le conclusioni di cui ai precedenti punti da 291 a 294, non possono nemmeno basarsi sui punti 19(c) e 47(b) della testimonianza del senior scientist della Symphony Environmental. È vero che quest’ultimo vi afferma che, da un lato, la plastica convenzionale si frammenta in microplastiche che persistono nell’ambiente per decine o centinaia di anni e, dall’altro, i consumatori che abbandonano rifiuti di plastica spesso non si preoccupano della questione se questi ultimi siano o meno biodegradabili. Tuttavia, occorre tenere presente che, come affermato nel precedente punto 179, a tali prove può essere attribuito solo un valore probatorio limitato. Ciò è tanto più vero se si considera che l’unico elemento di prova che il senior scientist della Symphony Environmental cita a sostegno delle sue affermazioni è il rapporto del laboratorio Intertek che, come osservato nel punto 182 supra, è stato preparato su richiesta della Symphony Environmental.

299    Infine, nella misura in cui le ricorrenti cercano di invocare i punti 25 e 26 della testimonianza del presidente-direttore generale delle ricorrenti, in cui egli sottolinea, senza tuttavia fare riferimento ad uno studio scientifico, l’incoerenza della direttiva 2019/904, che vieta la plastica oxo-biodegradabile, ma non la plastica convenzionale o la plastica compostabile, anche se quest’ultima, in particolare, non si biodegrada correttamente in ambiente aperto e non presenta alcun vantaggio ambientale dimostrato, è sufficiente rilevare che, come indicato al precedente punto 156, a tale prova non può essere attribuito più di uno scarso valore probatorio.

300    Dall’altro lato, dal considerando 36 della direttiva 2019/904 risulta che quest’ultima ha l’obiettivo, in particolare, di prevenire e ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica monouso, prodotti di plastica oxo-degradabile e attrezzi da pesca contenenti plastica sull’ambiente e sulla salute umana. Detta direttiva non intende quindi coprire tutti i prodotti di plastica che possono presentare un rischio per l’ambiente e la salute umana, ma concentrare gli sforzi dove sono più necessari, come indicato nel considerando 7 relativo ai prodotti di plastica monouso. L’articolo 1 della direttiva 2019/904 conferma che il suo scopo è, in particolare, quello di prevenire e ridurre l’incidenza di «determinati» prodotti di plastica sull’ambiente, in particolare l’ambiente acquatico, e sulla salute umana.

301    Orbene, è stato dimostrato nell’ambito dell’analisi del terzo motivo di illegittimità che le tre istituzioni interessate non hanno commesso alcun errore manifesto di valutazione nel ritenere che i prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile avessero un’incidenza sull’ambiente e sulla salute umana.

302    Poiché, secondo la giurisprudenza citata al punto 288 supra, il carattere comparabile di situazioni diverse deve essere valutato alla luce dell’oggetto e della finalità dell’atto dell’Unione che opera la distinzione in questione, non si può ritenere che i prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, il cui oggetto e la cui finalità della direttiva 2019/904 sono la prevenzione e la riduzione dell’incidenza sull’ambiente e sulla salute umana, si trovino in una situazione comparabile a quella dei prodotti fabbricati a base di plastica convenzionale.

303    Di conseguenza, le tre istituzioni interessate non hanno violato il principio generale della parità di trattamento vietando l’immissione sul mercato dei prodotti di plastica contenente un additivo pro-ossidante, ma non quella dei prodotti di plastica convenzionale, ad eccezione di nove prodotti monouso.

304    L’argomento delle ricorrenti secondo cui le istituzioni avrebbero violato il principio generale della parità di trattamento vietando l’immissione sul mercato di «tutti» i prodotti realizzati con plastica contenente un additivo pro-ossidante, ma solo di «determinati» prodotti monouso realizzati con plastica convenzionale, non può essere accolto. Infatti, dal considerando 36 della direttiva 2019/904 risulta che quest’ultima ha l’obiettivo, in particolare, di prevenire e ridurre l’incidenza sull’ambiente e sulla salute umana di «determinati» prodotti in plastica monouso, e dal considerando 7 di detta direttiva che, al fine di concentrare gli sforzi laddove sono più necessari, quest’ultima dovrebbe riguardare solo i prodotti di plastica monouso più frequentemente rinvenuti sulle spiagge dell’Unione, vale a dire quelli elencati nella parte B dell’allegato a detta direttiva. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 288 supra, non si può ritenere che i prodotti monouso in plastica convenzionale non inclusi nell’elenco allegato alla direttiva 2019/904 si trovino in una situazione paragonabile a quella dei prodotti in plastica contenenti un additivo pro-ossidante. Pertanto, vietando l’immissione in commercio dei secondi, ma non delle prime, le tre istituzioni interessate non hanno violato il principio generale della parità di trattamento.

305    Infine, nei limiti in cui l’argomento delle ricorrenti secondo cui il divieto di immissione sul mercato di cui all’articolo 5 della direttiva 2019/904 comporta una distorsione della concorrenza tra diversi tipi di plastica oxo-degradabile deve essere inteso nel senso che, vietando non solo i prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, ma anche quelli fabbricati a base di plastica che le ricorrenti qualificano come «oxo-biodegradabile», le tre istituzioni interessate avrebbero violato il principio generale di parità di trattamento, esso non può essere accolto. Infatti, è già stato constatato, nell’ambito dell’esame del terzo motivo di illegittimità, che dette istituzioni non sono incorse in un errore manifesto di valutazione nel ritenere che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si degradasse correttamente e che non occorresse distinguere la plastica oxo-degradabile dalla plastica oxo-biodegradabile. Pertanto, non si può sostenere che trattando i prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile diversamente da quelli fabbricati a base di plastica che le ricorrenti qualificano come «oxo-biodegradabile», tali istituzioni abbiano violato il principio generale della parità di trattamento.

306    In secondo luogo, per quanto riguarda la violazione del principio generale della parità di trattamento che risulterebbe dal divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-biodegradabile, ma non dei prodotti fabbricati a base di plastica commercializzata come «compostabile», il Tribunale ritiene che queste due categorie di prodotti non si trovino in una situazione analoga.

307    Dall’esame del terzo motivo di illegittimità risulta che le tre istituzioni interessate non hanno commesso un errore manifesto di valutazione nel ritenere che vi fosse un rischio che la plastica contenente un additivo pro-ossidante non fosse compostabile, cosa che, come indicato nel precedente punto 216, le ricorrenti hanno riconosciuto. Infine, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 288, occorre ricordare che, mentre l’oggetto e la finalità della direttiva 2019/904 sono la prevenzione e la riduzione dell’incidenza dei prodotti fabbricati a partire da plastiche oxo-degradabili, i prodotti fabbricati a partire da plastiche commercializzate come «compostabili» non rientrano nel suo oggetto e nella sua finalità.

308    Dai punti 303, 306 e 307 supra si evince che le tre istituzioni interessate non hanno violato il principio generale della parità di trattamento vietando l’immissione sul mercato di prodotti in plastica contenenti un additivo pro-ossidante, ma non di prodotti in plastica convenzionale, ad eccezione di nove prodotti monouso, né di prodotti in plastica commercializzati come «compostabili».

309    In assenza di una violazione di tale principio, non occorre esaminare se tale violazione sia sufficientemente qualificata, come richiesto dalla giurisprudenza relativa alla prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione, citata al punto 42 supra.

310    Occorre quindi respingere il quarto motivo di illegittimità.

5.      Sul quinto motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata degli articoli 16 e 17, dellarticolo 41, paragrafo 1, della Carta, e dellarticolo 49 TFUE

311    Il quinto motivo di illegittimità si suddivide in due parti. Con la prima parte, le ricorrenti sostengono che, adottando il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904, le tre istituzioni interessate hanno violato la loro libertà d’impresa, enunciata all’articolo 16 della Carta, il loro diritto di proprietà, previsto all’articolo 17 di quest’ultima, e la loro libertà di stabilimento, di cui all’articolo 49 TFUE. Infatti, il divieto di cui trattasi impedirebbe loro di immettere sul mercato dell’Unione prodotti contenenti la loro mescola madre d2w. Con la seconda parte, le ricorrenti fanno valere che tale divieto è stato adottato in violazione del loro diritto a una buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta, in quanto le tre istituzioni interessate non avrebbero tenuto conto degli elementi di prova pertinenti e non avrebbero seguito le procedure appropriate.

312    Il Parlamento, il Consiglio e la Commissione contestano l’argomentazione delle ricorrenti.

a)      Sulla prima parte del quinto motivo, vertente su una violazione sufficientemente qualificata degli articoli 16 e 17 della Carta e dellarticolo 49 TFUE

313    Occorre esaminare se le tre istituzioni interessate abbiano violato in maniera sufficientemente qualificata, in primo luogo, l’articolo 16 della Carta, in secondo luogo, il suo articolo 17 e, in terzo luogo, l’articolo 49 TFUE.

314    Il Tribunale considera che così non è.

315    Infatti, per quanto riguarda, in primo luogo, la violazione dell’articolo 16 della Carta, relativo alla libertà d’impresa, occorre rilevare che la tutela conferita da tale disposizione implica la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale, la libertà contrattuale e la libera concorrenza (sentenza del 21 dicembre 2021, Bank Melli Iran, C‑124/20, EU:C:2021:1035, punto 79). Inoltre, la libertà contrattuale comprende, in particolare, la libera scelta della controparte economica, nonché la libertà di determinare il prezzo di una prestazione (sentenza del 22 gennaio 2013, Sky Österreich, C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 43).

316    Tuttavia, la libertà d’impresa sancita dall’articolo 16 della Carta non costituisce una prerogativa assoluta, ma deve, da un lato, essere presa in considerazione rispetto alla sua funzione nella società e, dall’altro, essere bilanciata con gli altri interessi tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione nonché con i diritti e le libertà altrui (sentenza del 21 dicembre 2021, Bank Melli Iran, C‑124/20, EU:C:2021:1035, punto 80).

317    In considerazione del tenore dell’articolo 16 della Carta, il quale stabilisce che è riconosciuta la libertà d’impresa conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, distinguendosi così da quello relativo alle altre libertà fondamentali sancite nel titolo II della stessa, pur essendo simile a quello di talune disposizioni del successivo titolo IV della Carta, tale libertà può quindi essere soggetta ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica (sentenza del 21 dicembre 2021, Bank Melli Iran, C‑124/20, EU:C:2021:1035, punto 81).

318    Orbene, tale circostanza trova segnatamente riscontro nel modo in cui occorre valutare la normativa dell’Unione e la legislazione nonché le prassi nazionali alla luce del principio di proporzionalità ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta. Ai sensi di quest’ultima disposizione, qualsiasi limitazione all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta deve essere prevista per legge, deve rispettarne il contenuto essenziale e deve, nel rispetto del principio di proporzionalità, essere necessaria e rispondere effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (sentenze del 22 gennaio 2013, Sky Österreich, C‑283/11, EU:C:2013:28, punti 47 e 48, e del 21 dicembre 2021, Bank Melli Iran, C‑124/20, EU:C:2021:1035, punti 82 e 83).

319    Nel caso di specie, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 comporta una limitazione all’esercizio, da parte delle ricorrenti, della loro libertà d’impresa. Infatti, da un lato, le ricorrenti commercializzano prodotti fabbricati a base di plastica contenenti la mescola madre d2w, quali sacchi per rifiuti e buste per il congelamento, cosa che il divieto di cui trattasi vieta ormai loro di fare. Dall’altro, detto divieto può incidere sull’attività principale delle ricorrenti, vale a dire la fabbricazione e la commercializzazione della mescola madre d2w. Orbene, questa attività principale è connessa all’attività di immissione in commercio di prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, di modo che il divieto della seconda potrebbe comportare conseguenze economiche sulla prima e incidere sulla decisione delle ricorrenti di continuare ad esercitarla (v., per analogia, sentenza del 10 marzo 2020, IFSUA/Consiglio, T‑251/18, EU:T:2020:89, punti 150 e 151).

320    Tuttavia, tale restrizione è prevista dalla legge, vale a dire dalla direttiva 2019/904. Inoltre, essa non incide sul contenuto essenziale della libertà d’impresa delle ricorrenti, in quanto è vietata la sola immissione sul mercato dell’Unione di prodotti a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante, ma non la loro produzione. Pertanto, le ricorrenti possono continuare a fabbricare tali prodotti per immetterli sul mercato di Stati terzi. Esse possono anche continuare a fabbricare la loro mescola madre d2w e venderla a clienti che la utilizzeranno nella fabbricazione di prodotti che essi destinano ad un’immissione sul mercato di Stati terzi. Infine, come constatato nell’ambito dell’esame del terzo motivo di illegittimità, tale restrizione è necessaria, proporzionata e risponde a un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione, vale a dire la protezione dell’ambiente e della salute umana.

321    Per quanto riguarda, sotto un primo profilo, l’articolo 17, paragrafo 1, della Carta, esso prevede che ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità e che nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e a fronte del pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. Inoltre, l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale.

322    Tuttavia, secondo la giurisprudenza, nessun operatore economico può rivendicare un diritto di proprietà su una quota di mercato, anche se da esso detenuta in un momento precedente l’introduzione di una misura relativa al mercato in parola, dato che tale quota di mercato costituisce soltanto una posizione economica temporanea, esposta all’alea di un mutamento di circostanze Né un operatore economico può vantare un diritto quesito o anche solo un legittimo affidamento sulla conservazione di una situazione in atto che può essere modificata da decisioni adottate dalle istituzioni dell’Unione nell’ambito del loro potere discrezionale (sentenza del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a., C‑154/04 e C‑155/04, EU:C:2005:449, punto 128).

323    Nella specie, discende dalla giurisprudenza citata al punto 322 supra che le ricorrenti non possono avvalersi della tutela di cui all’articolo 17, paragrafo 1, della Carta in relazione al loro diritto di introdurre la loro mescola madre d2w nel mercato dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2015, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione, C‑398/13 P, EU:C:2015:535, punto 60).

324    Quanto all’argomento delle ricorrenti secondo cui il divieto di immissione sul mercato dei prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904, sarebbe contrario all’articolo 17, paragrafo 2, della Carta, ai sensi del quale «[l]a proprietà intellettuale è protetta», poiché ridurrebbe considerevolmente il valore del diritto di proprietà intellettuale che esse detengono sulla formula della mescola madre d2w, esso non può essere accolto. Infatti, se è vero che le ricorrenti hanno precisato che detta mescola madre era protetta in forza di un diritto di marchio e del know-how necessario alla sua produzione, esse non hanno tuttavia indicato le ragioni per le quali tali diritti sarebbero stati violati.

325    Va comunque rilevato che non emerge dall’articolo 17 della Carta né dalla giurisprudenza che la protezione dei diritti di proprietà intellettuale debba essere garantita in modo assoluto (v., per analogia, sentenza del 29 luglio 2019, Spiegel Online, C‑516/17, EU:C:2019:625, punto 56). Ogni limitazione apportata all’articolo 17, paragrafo 2, della Carta deve essere apportata conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, di quest’ultima. Orbene, nel caso di specie, una limitazione dell’esercizio del diritto di proprietà intellettuale che le ricorrenti deterrebbero sulla mescola madre d2w, ammesso che sia dimostrata, sarebbe prevista dalla legge. Essa non pregiudicherebbe il contenuto essenziale di detto diritto, dal momento che non è vietata la fabbricazione di prodotti a base di plastica contenenti un additivo pro-ossidante e la loro vendita sul mercato di Stati terzi né la fabbricazione e l’immissione sul mercato dell’Unione di un siffatto additivo. Come rilevato nell’ambito dell’esame del terzo motivo di illegittimità, tale limitazione risponde a un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione, vale a dire la tutela dell’ambiente e della salute umana, e non va oltre quanto necessario.

326    Per quanto riguarda, in terzo luogo, la violazione dell’articolo 49 TFUE, è sufficiente rilevare che le ricorrenti non indicano le ragioni per le quali il divieto di immissione sul mercato della plastica contenente un additivo pro-ossidante ostacolerebbe la loro libertà di stabilimento.

327    Dai punti da 313 a 326 supra risulta che le tre istituzioni interessate non hanno violato né l’articolo 16 della Carta, né l’articolo 17, né l’articolo 49 del TFUE.

328    In assenza di una violazione di tali articoli, non è necessario esaminare se la violazione sia sufficientemente qualificata, come richiesto dalla giurisprudenza relativa alla prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione, citata al punto 42 supra.

329    Occorre quindi respingere la prima parte del quinto motivo di illegittimità.

b)      Sulla seconda parte del quinto motivo, vertente su una violazione sufficientemente qualificata del diritto a una buona amministrazione, sancito dallarticolo 41 della Carta

330    Con la seconda parte del loro quinto motivo di illegittimità, le ricorrenti sostengono che il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 è stato adottato in violazione del loro diritto a una buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta. Esse fanno valere che le tre istituzioni interessate non hanno tenuto conto degli elementi di prova pertinenti e non hanno seguito le procedure appropriate.

331    Tale argomento non può essere accolto.

332    A tal riguardo, è sufficiente rilevare che, secondo la giurisprudenza, il diritto ad una buona amministrazione, quale risulta dall’articolo 41 della Carta, non riguarda il processo di elaborazione di un atto legislativo, quale la direttiva 2019/904 (v., in tal senso, sentenze del 14 ottobre 1999, Atlanta/Comunità europea, C‑104/97 P, EU:C:1999:498, punto 37, e del 12 giugno 2015, Health Food Manufacturers’ Association e a./Commissione, T‑296/12, EU:T:2015:375, punto 98).

333    Pertanto, le tre istituzioni interessate non hanno violato l’articolo 41 della Carta.

334    In assenza di una violazione di tale articolo, non è necessario esaminare se tale violazione sia sufficientemente qualificata, come richiesto dalla giurisprudenza relativa alla prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione, citata al punto 42 supra.

335    Occorre quindi respingere la seconda parte del quinto motivo di illegittimità e, pertanto, tale motivo nella sua interezza.

336    Da tutto quanto precede risulta che ciascuno dei cinque motivi di illegittimità deve essere respinto e che le ricorrenti non sono riuscite a dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli.

337    Poiché, come indicato al punto 41 supra, le condizioni per l’insorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione sono cumulative, il presente ricorso deve essere respinto su tale base, senza che sia necessario esaminare le condizioni per l’esistenza di un danno effettivo e certo e di un nesso di causalità.

IV.    Sulle spese

338    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione ne hanno fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Symphony Environmental Technologies plc e la Symphony Environmental Ltd sono condannate alle spese.

Van der Woude

Spielmann

Gâlea

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 31 gennaio 2024.

Firme

Indice


I. Fatti

II. Conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sulla richiesta di omissione di taluni dati nei confronti del pubblico

B. Osservazione preliminare

C. Sulla ricevibilità

D. Nel merito

1. Il primo motivo di illegittimità, relativo alla violazione degli articoli da 68 a 73 del regolamento REACH

2. Sul secondo motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata dei punti 12 e da 14 a 16 dell’accordo interistituzionale

3. Sul terzo motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata del principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE, e dell’articolo 191 TFUE, nonché su errori manifesti di valutazione

a) Sulla prima parte, in quanto verte su una violazione sufficientemente qualificata dell’articolo 191 TFUE

1) Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante non si biodegrada correttamente

2) Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante non è compostabile

3) Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante ha un impatto negativo sul riciclaggio delle plastiche convenzionali

4) Sull’affermazione secondo cui la plastica contenente un additivo pro-ossidante non presenta un vantaggio ambientale comprovato

5) Sull’elenco allegato alle memorie di replica, che riprende l’insieme dei documenti di cui le tre istituzioni interessate hanno asseritamente omesso di tener conto

b) Sulla violazione sufficientemente qualificata del principio generale di proporzionalità, sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE

1) Sulla seconda parte, vertente sul fatto che, nella misura in cui si applica alla plastica oxo-biodegradabile, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 non è idoneo a realizzare l’obiettivo di detta direttiva, e sulla prima parte, in quanto verte sullo stesso argomento

2) Sulla terza parte, vertente sul fatto che, nella misura in cui si applica alla plastica oxo-biodegradabile, il divieto previsto all’articolo 5 della direttiva 2019/904 eccede i limiti di quanto necessario alla realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva

4. Sul quarto motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata del principio generale della parità di trattamento

5. Sul quinto motivo di illegittimità, vertente su una violazione sufficientemente qualificata degli articoli 16 e 17, dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, e dell’articolo 49 TFUE

a) Sulla prima parte del quinto motivo, vertente su una violazione sufficientemente qualificata degli articoli 16 e 17 della Carta e dell’articolo 49 TFUE

b) Sulla seconda parte del quinto motivo, vertente su una violazione sufficientemente qualificata del diritto a una buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta

IV. Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.