Language of document : ECLI:EU:C:2018:363

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 31 maggio 2018 (1)

Causa C68/17

IR

Contro

JQ

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Attività professionali delle Chiese – Requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa – Obbligo di buona fede e di lealtà nei confronti dell’etica della Chiesa – Disparità di trattamento basata sulla confessione religiosa – Licenziamento di un lavoratore cattolico, munito di poteri direttivi, a causa di un secondo matrimonio contratto successivamente a divorzio»






I.      Introduzione

1.        Nell’ambito della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania) interroga la Corte in merito alla legittimità del licenziamento del primario del reparto di medicina interna di un ospedale cattolico, soggetto alla vigilanza dell’arcivescovo cattolico di Colonia, per il solo motivo che questi aveva ottenuto lo scioglimento del matrimonio contraendo nuovo matrimonio con effetti civili, laddove il licenziamento non avrebbe avuto luogo, se non fosse stato cattolico.

2.        Si tratterebbe di un licenziamento palesemente illegittimo, in quanto discriminazione diretta in base alla religione, se le Chiese e le organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione non beneficiassero di un regime giuridico privilegiato sia ai sensi del diritto costituzionale tedesco sia a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (2).

3.        La questione che si pone nella specie è se il rispetto della concezione del matrimonio secondo il diritto canonico e la dottrina della Chiesa cattolica costituisca un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, che possa implicare una disparità di trattamento, in termini di licenziamento, tra i dipendenti cattolici e i dipendenti di un’altra confessione o aconfessionali.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

4.        L’articolo 17, paragrafo 1, TFUE dispone quanto segue:

«L’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale».

5.        I considerando 4, 23, 24 e 29 della direttiva 2000/78, così recitano:

«(4)      Il diritto di tutti all’uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro le discriminazioni costituisce un diritto universale […].

[…]

(23)      In casi strettamente limitati una disparità di trattamento può essere giustificata quando una caratteristica collegata alla religione [...] costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, a condizione che la finalità sia legittima e il requisito sia proporzionato […]

(24)      L’Unione europea, nella dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali allegata all’atto finale del trattato di Amsterdam, ha riconosciuto espressamente che rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri e inoltre, che rispetta lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali. In tale prospettiva, gli Stati membri possono mantenere o prevedere disposizioni specifiche sui requisiti professionali essenziali, legittimi e giustificati che possono essere imposti per svolgervi un’attività lavorativa.

[…]

(29)      Le vittime di discriminazione a causa della religione o delle convinzioni personali, di un handicap, dell’età o delle tendenze sessuali dovrebbero disporre di mezzi adeguati di protezione legale. Al fine di assicurare un livello più efficace di protezione, anche alle associazioni o alle persone giuridiche dovrebbe essere conferito il potere di avviare una procedura, secondo le modalità stabilite dagli Stati membri, per conto o a sostegno delle vittime, fatte salve norme procedurali nazionali relative a rappresentanza e difesa in giustizia».

6.        L’articolo 1 della direttiva medesima, intitolato «Obbiettivo», prevede che:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

7.        Il successivo articolo 2, intitolato «Nozione di discriminazione», ai paragrafi 1 e 2 così dispone:

«1.      Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.

[…]»

8.        Ai sensi del successivo articolo 4, intitolato «Requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa»:

«1.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a un[o] qualunque dei motivi di cui all’articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato.

2.      Gli Stati membri possono mantenere nella legislazione nazionale in vigore alla data d’adozione della presente direttiva o prevedere in una futura legislazione che riprenda prassi nazionali vigenti alla data d’adozione della presente direttiva, disposizioni in virtù delle quali, nel caso di attività professionali di chiese o di altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, una differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali non costituisca discriminazione laddove, per la natura di tali attività, o per il contesto in cui vengono espletate, la religione o le convinzioni personali rappresentino un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’organizzazione. Tale differenza di trattamento si applica tenuto conto delle disposizioni e dei principi costituzionali degli Stati membri, nonché dei principi generali del diritto [dell’Unione], e non può giustificare una discriminazione basata su altri motivi.

A condizione che le sue disposizioni siano d’altra parte rispettate, la presente direttiva non pregiudica pertanto il diritto delle chiese o delle altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, e che agiscono in conformità delle disposizioni costituzionali e legislative nazionali, di esigere dalle persone che sono alle loro dipendenze un atteggiamento di buona fede e di lealtà nei confronti dell’etica dell’organizzazione».

B.      Diritto tedesco

1.      Il diritto costituzionale

9.        L’articolo 140 del Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania) del 23 maggio 1949 (BGBl. 1949 I, pag. 1, in prosieguo: la «Legge fondamentale») stabilisce che «[l]e disposizioni degli articoli 136, 137, 138, 139 e 141 della Costituzione tedesca dell’11 agosto 1919 sono parte integrante della presente Legge fondamentale».

10.      L’articolo 137 della Verfassung des Deutschen Reichs (Costituzione dell’Impero tedesco), adottata l’11 agosto 1919 a Weimar (Reichsgesetzblatt 1919, pag. 1383, in prosieguo: la «Costituzione di Weimar»), entrata in vigore il 14 agosto 1919, così recita:

«Non esiste alcuna religione di Stato.

La libertà di riunirsi in associazioni religiose è garantita. Esse possono federarsi senza alcuna restrizione all’interno del territorio del Reich.

Ogni associazione religiosa ordina e gestisce in modo autonomo i propri interessi, nei limiti delle leggi generali.

[…]

Le associazioni religiose che sono enti di diritto pubblico hanno il diritto di imposizione fiscale sulla base dei ruoli civili delle imposte, alle condizioni stabilite dal diritto del Land.

Alle associazioni religiose vengono equiparate le associazioni che perseguono il fine di coltivare in comune un credo filosofico.

[…]»

2.      La legge relativa alla tutela contro il licenziamento

11.      L’articolo 1 del Kündigungsschutzgesetz (legge sulla tutela contro il licenziamento) del 25 agosto 1969 ((BGBl. 1969 I, pag. 1317, in prosieguo: il «KSchG») prevede che il licenziamento di un lavoratore dipendente è inoperante laddove sia «socialmente ingiustificato», vale a dire «quando non è dovuto a motivi legati alla persona o al comportamento del lavoratore dipendente o a urgenti necessità dell’impresa che ostano alla conservazione del posto del lavoratore dipendente nell’impresa stessa».

3.      La legge generale sulla parità di trattamento

12.      La direttiva 2000/78 è stata recepita nel diritto tedesco con l’Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz (legge generale sulla parità di trattamento), del 14 agosto 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1897, in prosieguo: l’ «AGG»).

13.      L’articolo 1 dell’AGG, intitolato «Finalità della legge», prevede quanto segue:

«La presente legge è volta ad impedire o ad eliminare qualsiasi discriminazione basata sulla razza o sull’origine etnica, sul sesso, sulla religione o sulle convinzioni personali, sull’handicap, sull’età o sull’orientamento sessuale».

14.      Il successivo articolo 7, intitolato «Divieto di discriminazione», al paragrafo 1 così dispone:

«I lavoratori non possono essere oggetto di discriminazione sulla base di uno dei motivi di cui all’articolo 1; ciò vale anche quando l’autore della discriminazione si limiti a supporre la presenza di uno dei motivi di cui all’articolo 1 nell’ambito del fatto discriminatorio».

15.      A termini del successivo articolo 9, intitolato «Autorizzazione delle differenze di trattamento basate sulla religione o sulle convinzioni personali», dispone quanto segue:

«(1)      [...] una differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni religiose nel rapporto di impiego con comunità religiose, istituzioni loro affiliate di qualsiasi forma giuridica o associazioni aventi ad oggetto che perseguano la cura collettiva di una religione o di convinzioni personali è ammessa anche quando una determinata religione o determinate convinzioni personali rappresentino un requisito giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’identità della rispettiva comunità religiosa o dell’associazione con riguardo al suo diritto all’autodeterminazione ovvero alla natura dell’attività.

(2)      Il divieto di differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali lascia impregiudicato il diritto delle comunità religiose di cui al paragrafo 1, delle istituzioni loro affiliate di qualsiasi forma giuridica o delle associazioni che si occupino della cura collettiva di una religione o di convinzioni personali di esigere dai propri dipendenti un atteggiamento di lealtà e di correttezza aderente alla loro rispettiva identità».

C.      Diritto della Chiesa cattolica

16.      Ai sensi del canone 11 del Codex Iuris Canonici (codice di diritto canonico; in prosieguo: il «CIC»), promulgato dalla Costituzione Apostolica «Sacrae disciplinae leges» di Papa Giovanni Paolo II, del 25 gennaio 1983 (DC 1983, n. 1847, pag. 244), «[a]lle leggi puramente ecclesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti, e che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto, hanno compiuto il settimo anno di età».

17.      Il canone 1085 del CIC così dispone:

«(1)      [Contrae un matrimonio invalido] chi è legato dal vincolo di un matrimonio precedente, anche se non consumato.

(2)      Quantunque il matrimonio precedente sia, per qualunque causa, nullo o sciolto, non per questo è lecito contrarne un altro prima che si sia constatata legittimamente e con certezza la nullità o lo scioglimento del precedente».

18.      Ai sensi del canone 1108, paragrafo 1, del CIC, «[s]ono validi soltanto i matrimoni che si contraggono alla presenza dell’[o]rdinario del luogo o del parroco o del sacerdote oppure diacono delegato da uno di essi che sono assistenti, nonché alla presenza di due testimoni, conformemente [...] alle norme stabilite nei canoni seguenti, e salve le eccezioni di cui ai canoni 144, 1112, paragrafo 1, 1116 e 1127, paragrafi 1 e 2».

19.      L’articolo 1 della Grundordnung des kirchlichen Dienstes im Rahmen kirchlicher Arbeitsverhältnisse (regolamento di base del servizio ecclesiastico nell’ambito dei rapporti di lavoro nella Chiesa), del 22 settembre 1993 (Amtsblatt des Erzbistums Köln, pag. 222, in prosieguo: il «GrO 1993») (3) dispone quanto segue:

«Principi fondamentali del servizio ecclesiastico

Tutti coloro che operano all’interno di un’istituzione della Chiesa cattolica contribuiscono congiuntamente attraverso il loro lavoro, indipendentemente dal loro status lavorativo, a consentire che l’istituzione realizzi il proprio contributo alla missione della Chiesa (comunità di servizio). […]»

20.      Il successivo articolo 3, paragrafo 2, intitolato «Costituzione del rapporto di lavoro», così dispone:

«Il datore di lavoro ecclesiastico può affidare compiti pastorali, catechistici nonché, in genere, educativi e direttivi solo a persone appartenenti alla Chiesa cattolica».

21.      Il successivo articolo 4, rubricato «Obblighi di lealtà», così recita:

«(1)      Dalle lavoratrici e dai lavoratori di confessione cattolica si attende il riconoscimento e il rispetto dei principi del credo e dell’etica cattolica. In particolare nel servizio pastorale, catechistico ed educativo, nonché per le lavoratrici e i lavoratori operanti sulla base di una missione canonica, è necessario l’attestato personale di vita ispirata ai principi del credo e dell’etica cattolica. Ciò si estende anche ai dirigenti.

(2)      Dalle lavoratrici e dai lavoratori cristiani di religione non cattolica si attende il rispetto delle verità e dei valori del Vangelo, nonché il loro contributo nel praticarli all’interno dell’istituzione.

[…]

(4)      Tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori devono astenersi da comportamenti contrari alla Chiesa. Con il loro stile di vita personale e nello svolgimento del servizio, essi non devono esporre a pregiudizio la credibilità della Chiesa e dell’istituzione della quale sono dipendenti».

22.      Il successivo articolo 5, intitolato «Violazioni degli obblighi di lealtà», così dispone:

«(1)      Ove una lavoratrice o un lavoratore non soddisfi più i requisiti relativi al proprio rapporto di lavoro, il datore di lavoro si impegna, tramite servizi di consulenza, affinché la lavoratrice o il lavoratore ponga stabilmente rimedio a tale mancanza. [...] Come misura estrema è previsto il licenziamento.

(2)      Per quanto attiene ad un licenziamento per motivi specificamente ecclesiastici, la Chiesa considera gravi, in particolare, le seguenti violazioni degli obblighi di lealtà:

–        Violazione da parte di un dipendente dei propri obblighi derivanti dagli articoli 3 e 4, in particolare l’uscita dalla Chiesa e la difesa in pubblico di posizioni contrarie ai principi guida della Chiesa cattolica (ad esempio l’aborto) e gravi mancanze morali personali,

–        Conclusione di un matrimonio invalido secondo l’interpretazione del credo e l’ordinamento della Chiesa [(4)],

–        Atti che implichino, sotto il profilo del diritto canonico, una chiara dissociazione dalla Chiesa cattolica, in particolare l’apostasia o l’eresia secondo il canone 1364, paragrafo 1, in combinato disposto con il canone 751 del CIC), il sacrilegio nei confronti della Santa Eucaristia (canone 1367 del CIC), la bestemmia pubblica e l’incitazione all’odio e al disprezzo contro la religione e la Chiesa (canone 1369 del CIC), reati contro le autorità ecclesiastiche e la libertà della Chiesa (in particolare secondo i canoni 1373 e 1374 del CIC).

(3)      Un comportamento considerato a termini del paragrafo 2, in generale, come motivo di licenziamento esclude la possibilità del mantenimento del posto di lavoro, qualora detto comportamento sia assunto da [...] lavoratrici e lavoratori operanti a livello direttivo […]. Si può evitare di ricorrere al licenziamento, in via eccezionale, ove ciò risulti inadeguato nel caso di specie per gravi motivi».

23.      Il Grundordnung für Katholische Krankenhäuser in Nordrhein-Westfalen (Regolamento di base per gli ospedali cattolici nella Renania settentrionale-Vestfalia, Germania), del 5 novembre 1996 (Amtsblatt des Erzbistums Köln, pag. 321) (5), così dispone:

«A.      Affiliazione alla Chiesa

[…]

(6)      Per l’Istituzione è vincolante il [GrO 1993] e successive modifiche e integrazioni, adottato sulla base della dichiarazione dei vescovi tedeschi sul servizio ecclesiastico. Per lavoratori operanti a livello direttivo si intendono, ai sensi di detto regolamento di base, i membri della direzione amministrativa dell’ospedale e i medici di reparto».

III. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

24.      L’IR è una società a responsabilità limitata di diritto tedesco. Il suo oggetto sociale consiste nella realizzazione, in particolare tramite la gestione di ospedali, dei compiti della Caritas (la confederazione internazionale delle organizzazioni cattoliche a scopo caritativo) quale espressione dell’esistenza e della natura della Chiesa cattolica. L’IR non persegue preminenti scopi di lucro ed è soggetta alla vigilanza dell’Arcivescovo cattolico di Colonia.

25.      JQ è di confessione cattolica. È medico e lavora dal 2000, in qualità di primario del reparto di medicina interna di un ospedale dell’IR con sede a Düsseldorf (Germania). Il suo contratto di lavoro con l’IR è stato concluso sulla base del GrO 1993 adottato dall’assemblea plenaria della Conferenza episcopale tedesca e applicabile al servizio ecclesiastico nell’ambito dei rapporti di lavoro.

26.      JQ era coniugato secondo il rito cattolico. Alla fine del 2005, la moglie si separava da lui e, dal 2006 in poi, egli conviveva con la sua nuova compagna. Dopo aver ottenuto lo scioglimento del matrimonio con la prima moglie ai sensi del diritto civile tedesco, nel 2008 (6), JQ si risposava civilmente con la sua nuova compagna. Alla data del secondo matrimonio, il primo matrimonio non era stato annullato.

27.      Dopo aver avuto notizia del secondo matrimonio, l’IR, con lettera del 30 marzo 2009, risolveva con preavviso il rapporto di lavoro con JQ con effetti a decorrere dal 30 settembre 2009.

28.      Contro tale licenziamento JQ proponeva ricorso, ritenendo che il suo secondo matrimonio non potesse giustificarlo. Il licenziamento sarebbe contrario al principio di parità di trattamento giacché, ai sensi del GrO 1993, per i primari di confessione protestante o aconfessionali un secondo matrimonio non avrebbe prodotto alcuna conseguenza giuridica sul loro rapporto di lavoro con l’IR.

29.      Per contro, l’IR ritiene il licenziamento in questione socialmente giustificato. Infatti, considerato che JQ svolgeva funzioni direttive ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3, del GrO 1993,, contraendo un matrimonio nullo per il diritto canonico, sarebbe in tal modo gravemente venuto meno agli obblighi derivanti dal proprio rapporto di lavoro con l’IR.

30.      L’Arbeitsgericht (Tribunale del lavoro, Germania) accoglieva il ricorso di JQ, dichiarando che la violazione del divieto, sancito dal canone 1085 del CIC, di contrarre un matrimonio civile quando il preesistente matrimonio cattolico non sia stato ancora annullato dalla Chiesa cattolica, non costituiva una grave violazione dell’obbligo di lealtà.

31.      Avverso tale sentenza l’IR interponeva appello dinanzi al Landesarbeitsgericht (Tribunale superiore del lavoro del Land, Germania) il quale respingeva l’impugnazione in base al rilievo che, sebbene la violazione del canone 1085 del CIC costituisca una grave violazione dell’obbligo di lealtà, il licenziamento di JQ operato dall’IR in questo contesto sarebbe contrario al principio della parità di trattamento. Secondo lo stesso Landesarbeitsgericht (Tribunale superiore del lavoro del Land), in caso di nuovo matrimonio, l’IR non avrebbe proceduto al licenziamento di dipendenti non cattolici dello stesso grado del ricorrente. Inoltre, l’IR era al corrente del fatto che JQ conviveva, già dal 2006, con la sua compagna, senza tuttavia adottare alcuna misura nei suoi confronti, mentre tale relazione era anch’essa contraria alla dottrina della Chiesa cattolica.

32.      Il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro) respingeva il ricorso per Revision (cassazione) proposto dall’IR contro la sentenza del Landesarbeitsgericht (Tribunale superiore del lavoro del Land) dichiarando, in sostanza, che il licenziamento non poteva essere giustificato in quanto, in caso di nuovo matrimonio, l’IR non avrebbe licenziato dipendenti non cattolici dello stesso grado di JQ.

33.      In tale contesto, l’IR adiva il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania) che annullava la sentenza del Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro) per difetto di motivazione (7).

34.      Secondo il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale), in caso di controversie nei rapporti di lavoro al servizio delle Chiese, le leggi sulla tutela dei lavoratori, come nella specie il KSchG, devono essere interpretate alla luce del principio di autodeterminazione ecclesiastica, sancito all’articolo 140 della Legge fondamentale, in combinato disposto con l’articolo 137 della Costituzione di Weimar. Ciò significa che i margini di discrezionalità di cui dispongono le associazioni religiose in base a norme di legge non imperative possono essere pienamente utilizzati, ma che nel caso dell’applicazione di norme imperative, i margini di interpretazione devono essere utilizzati, se necessario, a vantaggio delle associazioni religiose, fermo restando che occorre riconoscere particolare rilievo a ciò che il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) chiama «l’identità propria della Chiesa» («Selbstverständnis der Kirche»).

35.      Il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) ha istituito un sistema di controllo giurisdizionale dei licenziamenti motivati da una violazione dell’obbligo di lealtà articolato su due fasi. In primo luogo (criterio di plausibilità), i giudici nazionali devono verificare, sulla base dell’«identità propria di ciascuna Chiesa», se l’organizzazione o l’istituzione religiosa partecipi alla realizzazione della missione fondamentale della chiesa, se un determinato obbligo di lealtà costituisca l’espressione di un dogma religioso e quale rilevanza debba riconoscersi, sempre sulla base dell’«identità propria della Chiesa», all’obbligo di lealtà e ad un inadempimento del medesimo. Secondo il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale), i giudici nazionali del lavoro possono esaminare gli obblighi di lealtà stabiliti dal datore di lavoro ecclesiastico come, nella fattispecie, quelli contenuti all’articolo 5, paragrafo 2, del GrO 1993, soltanto con riferimento a tale criterio di plausibilità.

36.      A tal proposito, il giudice medesimo ha affermato che le associazioni religiose possono prevedere una graduazione degli obblighi di lealtà gravanti sui loro dipendenti in funzione della loro posizione e dalla loro confessione religiosa. Tali obblighi possono essere più o meno vincolanti a seconda della religione del dipendente e, di conseguenza, essere diversi per dipendenti svolgenti mansioni identiche o simili.

37.      In secondo luogo (criterio di ponderazione), occorre procedere ad una ponderazione complessiva in cui entrano in considerazione, oltre agli interessi ecclesiastici i diritti fondamentali del lavoratore interessato, fermo restando che occorre riconoscere un particolare rilievo all’identità propria della Chiesa.

38.      A seguito del rinvio della causa al Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro), detto giudice ha ritenuto che la soluzione della controversia dipenda dall’interpretazione da dare all’articolo 9, paragrafo 2, dell’AGG. Se la nozione tedesca del diritto all’autodeterminazione ecclesiastica, che consente alla Chiesa cattolica di esigere dai propri dipendenti una lealtà diversa in funzione del loro credo laddove esercitino funzioni simili, è conforme all’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78, il ricorso per Revision dell’IR sarebbe fondato. In caso contrario, essa dovrebbe pronunciarsi nuovamente alla luce dei principi generali del diritto dell’Unione sul carattere socialmente ingiustificato o meno del licenziamento del 30 marzo 2009.

39.      È in tale contesto che il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78, debba essere interpretato nel senso che la Chiesa [cattolica] possa imporre ad un’organizzazione quale [l’IR], ove quest’ultima chieda a lavoratori con funzioni direttive di assumere un atteggiamento di lealtà e di correttezza, di trattare in maniera differente quelli appartenenti alla Chiesa stessa e quelli aderenti invece ad altra Chiesa ovvero aconfessionali.

2)       In caso di risposta negativa alla prima questione:

a)      Se debba essere disapplicata una disposizione di diritto nazionale, come nel caso di specie l’articolo 9, paragrafo 2, [dell’AGG] in base alla quale una siffatta differenza di trattamento basata sull’appartenenza confessionale dei lavoratori è giustificata a seconda della rispettiva identità della Chiesa.

b)      Quali requisiti si applichino, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78, alla [condizione] che i lavoratori di una Chiesa o di una delle altre organizzazioni ivi menzionate mantengano un atteggiamento di lealtà e di correttezza aderente all’etica dell’organizzazione».

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte

40.      La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è stata depositata dinanzi alla Corte il 9 febbraio 2017. Hanno presentato osservazioni scritte la IR, i governi tedesco e polacco, nonché la Commissione. Un’udienza si è tenuta il 27 febbraio 2018, in cui l’IR, i governi tedesco e polacco, nonché la Commissione hanno presentato le loro osservazioni orali.

V.      Analisi

A.      Sulla prima questione pregiudiziale e sul secondo capo della seconda questione pregiudiziale

41.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che consenta ad un’organizzazione religiosa di esigere dai propri dipendenti, della sua stessa confessione e svolgenti funzioni direttive, un atteggiamento di buona fede e di lealtà più elevato rispetto a quello richiesto ai dipendenti di altra confessione o aconfessionali.

42.      Tale questione è intrinsecamente connessa al secondo capo della seconda questione pregiudiziale, con la quale il giudice del rinvio chiede a quali requisiti debba rispondere l’obbligo di un comportamento di buona fede e di lealtà ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78. In tale contesto, sarà necessario interpretare il periodo introduttivo di tale disposizione, secondo cui le disposizioni di tale direttiva devono essere peraltro rispettate.

43.      Suggerisco pertanto di procedere ad un loro esame congiunto.

1.      La nozione di «organizzazione privata» la cui etica è fondata sulla religione

44.      Il primo dubbio espresso dal giudice del rinvio in merito all’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78, riguarda la sua sfera d’applicazione soggettiva. Più precisamente, si chiede se l’IR, in quanto società di capitali di diritto privato operante nel settore della sanità secondo le pratiche del mercato,, possa legittimamente esigere dai propri dipendenti un atteggiamento di buona fede e di lealtà, diritto che la disposizione in questione riconosce «chiese e [alle] altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali».

45.      Se l’IR costituisca un’organizzazione privata la cui etica è fondata sulla religione è una questione di fatto che spetta al giudice del rinvio acclarare.

46.      Nel contesto di tale verifica, le sole circostanze che l’IR sia soggetta alla vigilanza dell’arcivescovo cattolico di Colonia e che il suo oggetto sociale consista nella realizzazione dei compiti della Caritas non sono sufficienti per dimostrare che la sua etica sia fondata sulla religione.

47.      Al contrario, il giudice del rinvio deve valutare l’etica dell’IR rispetto alle sue attività, tra cui, in particolare, la fornitura di servizi sanitari mediante la gestione di ospedali. Occorre pertanto accertare se le pratiche negli ospedali gestiti dall’IR siano riconducibili alla dottrina della Chiesa cattolica per quanto riguarda la prestazione di tali servizi secondo modalità che li differenzino in modo rilevante rispetto a quelle degli ospedali pubblici. A tal riguardo, il giudice dovrà tener conto delle questioni etiche nel settore della sanità che rivestono particolare importanza nella dottrina della Chiesa cattolica, in particolare, l’aborto (8), l’eutanasia (9), la contraccezione o gli altri metodi di controllo della riproduzione (10).

48.      In tal senso, qualora risulti, in particolare, che, conformemente al catechismo della Chiesa cattolica, gli ospedali gestiti dall’IR, al contrario degli ospedali pubblici, non pratichino l’aborto o non somministrino la cosiddetta pillola «del giorno dopo», l’IR potrà essere qualificata come organizzazione privata la cui etica sia fondata sulla religione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78. Qualora, al contrario, da tale verifica dovesse risultare che gli ospedali gestiti dall’IR trattino tali questioni al pari degli ospedali pubblici, l’IR non potrà essere considerata quale organizzazione privata la cui etica sia fondata sulla religione.

2.      Un’organizzazione privata la cui etica sia fondata sulla religione può, per gli stessi posti direttivi, prevedere, in funzione della confessione dei propri dipendenti, una gradazione nella condotta di buona fede e di lealtà ad essi imposta?

49.      L’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78, prevede che «[a] condizione che le sue disposizioni siano d’altra parte rispettate, la presente direttiva non pregiudica pertanto il diritto delle chiese o delle altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, e che agiscono in conformità delle disposizioni costituzionali e legislative nazionali, di esigere dalle persone che sono alle loro dipendenze un atteggiamento di buona fede e di lealtà nei confronti dell’etica dell’organizzazione».

50.      L’IR e il governo tedesco ritengono che con il periodo «in conformità delle disposizioni costituzionali e legislative nazionali», la direttiva 2000/78 operi un rinvio al diritto nazionale come unico criterio di legittimità del requisito relativo all’atteggiamento di buona fede e di lealtà, escludendo dunque il diritto dell’Unione. A sostegno di questa tesi, essi si richiamano sul considerando 24 della direttiva stessa, sull’articolo 17 TFUE nonché sulla dichiarazione n. 11 sullo status delle Chiese e delle organizzazioni non confessionali, allegata all’atto finale del trattato di Amsterdam (11).

51.      Come osservato dalla Commissione, il testo dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78 osta a tale interpretazione, assoggettando esplicitamente al rispetto di tutte le disposizioni della direttiva 2000/78 («[a] condizione che le sue disposizioni siano d’altra parte rispettate») il diritto delle Chiese e delle organizzazioni religiose di esigere dai propri dipendenti una condotta di buona fede e di lealtà.

52.      In tal senso, una disparità di trattamento nell’applicazione dell’obbligo di lealtà è ammissibile solo qualora sia conforme, inter alia, alle disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78, secondo cui «una differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali non costituisc[e] discriminazione laddove, per la natura di tali attività, o per il contesto in cui vengono espletate, la religione o le convinzioni personali rappresentino un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’organizzazione. Tale differenza di trattamento si applica tenuto conto delle disposizioni e dei principi costituzionali degli Stati membri, nonché dei principi generali del diritto [dell’Unione], e non può giustificare una discriminazione basata su altri motivi».

53.      L’argomento dell’IR e del governo tedesco contrasta parimenti con l’interpretazione data dalla Corte a tale disposizione e secondo la quale «qualora una Chiesa o un’altra organizzazione la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali faccia valere [...] che [...] la religione costituisce un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica di tale Chiesa od organizzazione, una siffatta affermazione deve, se del caso, poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo al fine di assicurarsi che, nel caso di specie, siano soddisfatti i criteri di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78» (12) e non i criteri imposti esclusivamente dal diritto nazionale.

54.      Pronunciandosi in tal senso, la Corte ha esplicitamente respinto l’idea che «la circostanza che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 si riferisca alle legislazioni nazionali in vigore alla data di adozione di detta direttiva, nonché alle prassi nazionali vigenti a tale data, [possa] essere interpretata nel senso che autorizza gli Stati membri a sottrarre ad un controllo giurisdizionale effettivo il rispetto dei criteri sanciti da tale disposizione» (13).

55.      Inoltre, come ha dichiarato la Corte, tutto ciò che fa l’articolo 17 TFUE è «esprime[re] la neutralità dell’Unione nei confronti dell’organizzazione, da parte degli Stati membri, dei loro rapporti con le Chiese e le associazioni o comunità religiose. Per contro, detto articolo non è tale da sottrarre a un controllo giurisdizionale effettivo il rispetto dei criteri enunciati all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78» (14).

3.      Una graduazione dell’obbligo di lealtà in funzione della confessione del lavoratore costituisce una discriminazione in base alla religione vietata dall’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78?

56.      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78, «una differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali non costituisc[e] discriminazione laddove, per la natura di tali attività o del contesto in cui vengono svolte, la religione o le convinzioni personali rappresent[a]no un requisito essenziale, legittimo e giustificato tenuto conto dell’etica dell’organizzazione».

57.      L’IR nonché i governi tedesco e polacco sostengono, in sostanza, che imponendo una graduazione nell’obbligo di lealtà in base alla confessione del dipendente, l’IR si limiterebbe a trattare in maniera diversa persone che si trovano in situazioni diverse, considerato che solo i cattolici sono destinatari della dottrina e del diritto canonico della Chiesa cattolica (15) e, di conseguenza, essi solo possono, con il loro comportamento, salvaguardare l’immagine della Chiesa cattolica o arrecarle pregiudizio (16). In altri termini, essi ritengono che il personale di confessione cattolica dell’IR non si trovi in una situazione paragonabile a quella del personale di confessione non cattolica o aconfessionale. Ciò premesso, essi concludono nel senso dell’assenza di una discriminazione vietata dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78.

58.      L’esistenza di una disparità di trattamento fondata sulla religione tra, da un lato, JQ, in qualità di primario del reparto di medicina interna e, dall’altro, un altro dipendente con funzioni direttive, non è contestata da nessuna delle parti o intervenienti (17). Infatti, molti dei motivi di licenziamento di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del GrO 1993, tra cui, in particolare, la conclusione di un matrimonio invalido per il diritto canonico e la dottrina della Chiesa cattolica, l’uscita dalla Chiesa, l’apostasia e l’eresia, ecc., riguardano soltanto i dipendenti cattolici. Ciascuno di essi determina, pertanto, automaticamente una differenza di trattamento.

59.      Di conseguenza, è necessario esaminare la comparabilità delle situazioni in cui si trovano, da un lato, i dipendenti di confessione cattolica e, dall’altro, i dipendenti di un’altra confessione religiosa o aconfessionali, alla luce di tali motivi di licenziamento.

60.      Su questo punto, l’IR, nonché i governi tedesco e polacco, affrontano la comparabilità delle situazioni dal punto di vista soggettivo della confessione del lavoratore, mentre il giudice del rinvio, JQ e la Commissione la affrontano dal punto di vista oggettivo dell’attività professionale del datore di lavoro ecclesiastico, nel caso di specie la prestazione di servizi sanitari.

61.      A mio avviso, la formulazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78, va chiaramente a favore del secondo approccio, in quanto impone l’obbligo di esaminare se «per la natura d[elle] [...] attività [professionali della Chiesa o dell’organizzazione religiosa] o per il contesto in cui vengono espletate, la religione [...] rappresent[i] un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica [della Chiesa o] dell’organizzazione [religiosa]» (18).

62.      La recente giurisprudenza della Corte conferma tale lettura dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78. Infatti, la Corte ha dichiarato che «la legittimità, alla luce di quest’ultima disposizione, di una differenza di trattamento basata sulla religione [...] è subordinata all’esistenza oggettivamente verificabile di un nesso diretto tra il requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa imposto dal datore di lavoro e l’attività in questione. Un tale nesso può derivare vuoi dalla natura di tale attività, ad esempio qualora essa comporti di partecipare alla determinazione dell’etica della Chiesa o dell’organizzazione in questione, o di collaborare alla sua missione di proclamazione, vuoi dalle condizioni in cui tale attività deve essere espletata, come la necessità di garantire una rappresentanza credibile della Chiesa o dell’organizzazione all’esterno della stessa» (19).

63.      Per quanto riguarda l’interpretazione dei termini «requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa», la Corte ha dichiarato che l’appartenenza alla religione o l’adesione alle convinzioni personali su cui si fonda l’etica della Chiesa è un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa «essenziale» qualora appaia «necessari[o], a causa dell’importanza dell’attività professionale di cui trattasi, per l’affermazione di tale etica o l’esercizio da parte di tale Chiesa [...] del proprio diritto all’autonomia» (20).

64.      La nozione di requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa «legittimo» prevede che «il requisito relativo all’appartenenza alla religione o all’adesione alle convinzioni personali su cui si fonda l’etica della Chiesa [...] in questione non venga utilizzato per un fine estraneo a tale etica o all’esercizio da parte di tale Chiesa [...] del proprio diritto all’autonomia» (21).

65.      Infine, il termine «giustificato» «implica non solo che il controllo del rispetto dei criteri di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 possa essere effettuato da un giudice nazionale, ma anche che la Chiesa [...] che ha stabilito tale requisito ha l’obbligo di dimostrare, alla luce delle circostanze di fatto del caso di specie, che il presunto rischio di lesione per la sua etica o il suo diritto all’autonomia è probabile e serio, di modo che l’introduzione di un siffatto requisito risulta essere effettivamente necessaria» (22).

66.      Nel caso di specie, il requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa non è l’appartenenza a una particolare religione, come nella causa sfociata nella sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257), bensì l’adesione a un particolare credo della Chiesa cattolica, ossia la concezione del matrimonio definita dalla dottrina e dal diritto canonico della Chiesa cattolica, compreso il rispetto della forma religiosa del matrimonio e del carattere sacro e indissolubile dei legami matrimoniali (23). È evidente che questa convinzione non costituisce, nel caso di specie, un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa e ancor meno un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa professionale essenziale e giustificato (24).

67.      In primo luogo, tale requisito non è in alcun modo connesso all’attività professionale dell’IR e JQ, vale a dire la prestazione di servizi sanitari e di assistenza ai malati. Prova ne sia che l’appartenenza alla Chiesa cattolica non è una condizione per rivestire la carica di primario del reparto di medicina interna e che l’IR assume dei non cattolici per occupare posti di responsabilità medica affidando loro funzioni direttive. Inoltre, nell’avere a oggetto la vita privata e familiare di JQ, il requisito de quo è privo di qualsiasi nesso con i compiti amministrativi sul medesimo gravanti in qualità di responsabile del servizio di cui trattasi. Non si tratta pertanto di un vero e proprio requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

68.      Inoltre, il rispetto della concezione del matrimonio secondo la dottrina e il diritto canonico della Chiesa cattolica non rappresenta un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa essenziale non sembrando appare necessario in considerazione dell’importanza dell’attività professionale dell’IR, vale a dire la prestazione di servizi sanitari, affinché quest’ultima possa affermare la sua etica o esercitare il suo diritto all’autonomia. Al riguardo, va rilevato che non vi è alcuna aspettativa da parte dei pazienti o dei colleghi sul fatto che il primario del reparto di medicina interna sia cattolico e ancor meno che abbia contratto un matrimonio invalido per il diritto canonico e la dottrina della Chiesa cattolica. Al contrario, ciò che conta per loro sono le sue qualifiche e le sue competenze mediche nonché le sue qualità di buon amministratore.

69.      Per gli stessi motivi, il requisito de quo è lungi dall’essere giustificato. Il divorzio di JQ (25) e il nuovo matrimonio civile non comportano alcun rischio grave o probabile, di pregiudizio all’etica dell’IR o al suo diritto all’autonomia (26). Inoltre, occorre notare che IR non ha neppure previsto di sollevare JQ dalle sue funzioni di primario del servizio di medicina interna, bensì l’ha direttamente licenziato, mentre in qualità di medico non munito di funzioni direttive non sarebbe stato vincolato dall’obbligo in questione.

70.      L’IR e il governo polacco replicano che tale interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78 obbligherebbe le organizzazioni quali l’IR ad assumere soltanto personale cattolico.

71.      A mio avviso, una simile politica di assunzione sarebbe manifestamente incompatibile con l’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78, poiché la religione non potrebbe essere considerata quale requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa essenziale e giustificato per i posti di lavoro connessi alla prestazione di servizi sanitari per le ragioni che ho appena descritto.

72.      L’IR e il governo polacco sostengono altresì che, qualora le fosse vietato graduare l’obbligo di lealtà in base alla fede dei propri dipendenti, l’IR sarebbe tenuta ad esigere che tutto il personale rispettasse il livello più elevato di lealtà richiesto ai dipendenti cattolici.

73.      Non sono convinto che ciò costituisca necessariamente un problema, poiché alcuni dei motivi di licenziamento previsti all’articolo 5, paragrafo 2, del GrO 1993 si applicano a tutti i dipendenti dell’IR indipendentemente dalla loro fede. In particolare, tale disposizione vieta a tutti i dipendenti di difendere in pubblico posizioni contrarie ai principi della Chiesa cattolica sull’aborto. Lo stesso vale per le mancanze morali personali come, ad esempio, i reati contro la vita umana o l’integrità personale.

74.      Alla luce dei suesposti rilievi, ritengo che l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che consenta a un’organizzazione religiosa quale l’IR di esigere, dai propri dipendenti della propria stessa confessione, una condotta di buona fede e di lealtà più elevata di quella pretesa dai dipendenti di altra confessione o aconfessionali, solo nella misura in cui tale obbligo risponda ai criteri di cui all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78.

B.      Sul primo capo della seconda questione pregiudiziale

75.      Con il primo capo della seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, in caso di risposta negativa alla prima questione pregiudiziale, una disposizione nazionale, quale l’articolo 9, paragrafo 2, dell’AGG, che giustifica una differenza di trattamento basata sulla religione conformemente all’identità propria della Chiesa, debba essere disapplicata.

76.      Il giudice a quo giustifica la rilevanza di tale questione richiamandosi al punto 31 della sentenza del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278), che gli impone di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla direttiva 2000/78, di modo che sia assicurata la piena efficacia del diritto dell’Unione senza tuttavia dar luogo a un’interpretazione contra legem del diritto nazionale. Se l’articolo 9, paragrafo 2, dell’AGG non si prestasse ad un’interpretazione conforme, si porrebbe la questione se tale disposizione debba essere disapplicata.

77.      Non condivido la premessa di tale questione, che presuppone non solo che l’articolo 9, paragrafo 2, dell’AGG non abbia correttamente trasposto l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78, bensì parimenti di affrontare la questione delle disparità di trattamento in base alla religione.

78.      Da un lato, il tenore letterale dell’articolo 9, paragrafo 2, dell’AGG è sostanzialmente identico a quello dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78 (27). Non vedo, pertanto, come esso non potrebbe essere interpretato in modo conforme a quest’ultimo.

79.      Dall’altro, la questione delle differenze di trattamento sulla base della religione, anche nel contesto dell’obbligo di lealtà, è trattata dall’articolo 9, paragrafo 1, dell’AGG e non dall’articolo 9, paragrafo 2, dell’AGG.

80.      Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, suggerisco quindi di completarla esaminando la questione se l’articolo 9, paragrafo 1, dell’AGG debba essere disapplicato, nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse dichiarare che l’obbligo incombente sul personale direttivo cattolico dell’IR di non contrarre un matrimonio invalido per il diritto canonico e la dottrina della Chiesa cattolica non sia conforme all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78.

81.      Tale questione si pone solo nel caso in cui, come suggerisco, il divieto di contrarre un matrimonio invalido per il diritto canonico e la dottrina della Chiesa cattolica, previsto all’articolo 5, paragrafo 2, secondo trattino, del GrO 1993, non costituisce un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa essenziale e giustificato ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78.

82.      Nella sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257), la Corte ha dichiarato che il giudice del rinvio, laddove, in una controversia tra privati, dovesse rilevare che l’articolo 9, paragrafo 1, dell’AGG non si presti ad un’interpretazione conforme alla direttiva 2000/78, sarebbe tenuto ad assicurare la tutela giuridica spettante ai singoli in forza degli articoli 21 (28) e 47 (29) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e a garantire la piena efficacia di tali articoli disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contraria (30).

83.      Tale soluzione è perfettamente applicabile alla controversia di cui al procedimento principale che è anch’essa tra privati, pur non ricadendo nell’ambito di applicazione della Carta ratione temporis.

84.      Infatti, la Corte ha fatto ricorso, in situazioni analoghe verificatesi prima dell’entrata in vigore della Carta, al principio generale di non discriminazione in base all’età e ha dichiarato, in proposito, che esso conferisce ai singoli un diritto soggettivo autonomamente azionabile nelle controversie tra privati, obbligando i giudici nazionali a disapplicare le disposizioni nazionali ad esso non conformi (31).

85.      Lo stesso vale per il principio di non discriminazione sulla base della religione o delle convinzioni personali che, dato il contesto storico in cui l’Unione è stata fondata, costituisce un valore costituzionale fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’Unione e che la Corte ha riconosciuto come principio generale del diritto dell’Unione (32).

86.      Infatti, non vedo alcuna ragione per cui alcuni criteri di discriminazione sarebbero trattati in modo diverso pur portando al medesimo risultato.

87.      Per tutte queste ragioni, ritengo che occorra rispondere al primo capo del seconda questione pregiudiziale nel senso che un giudice nazionale investito di una controversia tra due privati, è tenuto, laddove non risulti possibile interpretare il diritto nazionale vigente in senso conforme all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giuridica spettante ai singoli in forza del principio generale di non discriminazione in base alla religione e a garantire la piena efficacia di tale principio disapplicando, all’occorrenza, qualsiasi disposizione nazionale contraria.

VI.    Conclusione

88.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania) nei termini seguenti:

1)      L’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dev’essere interpretato nel senso che consente a un’organizzazione religiosa quale l’IR di esigere, da parte dei propri dipendenti della propria stessa confessione, una condotta di buona fede e di lealtà più elevata rispetto a quella richiesta ai dipendenti di altra confessione o aconfessionali, solo nella misura in cui tale obbligo risponda ai criteri di cui all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2000/78.

2)      Un giudice nazionale chiamato a pronunciarsi su una controversia tra privati è tenuto, laddove non gli risulti possibile interpretare il diritto nazionale vigente in senso conforme all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, ad assicurare, nell’ambito delle proprie competenze, la tutela giuridica spettante ai singoli in forza del principio generale di non discriminazione in base alla religione e a garantire la piena efficacia di tale principio, disapplicando, all’occorrenza, qualsiasi disposizione nazionale contraria.


1      Lingua originale: francese.


2      GU 2000, L 303, pag. 16.


3      GU dell’Arcivescovado di Colonia, pag. 222.


4      Secondo il testo attuale dell’articolo 5, paragrafo 2, del GrO 1993 (entrato in vigore il 1o agosto 2015), la conclusione di un matrimonio civile, invalido per la normativa ecclesiastica della Chiesa cattolica, può costituire motivo di licenziamento quando sia oggettivamente idonea, secondo le circostanze del caso, a suscitare un grave scandalo nella comunità di servizio o nell’ambito di attività professionale, nonché a pregiudicare la credibilità della Chiesa cattolica. Questo testo non è applicabile al licenziamento oggetto del procedimento principale, risalente al 30 marzo 2009.


5      GU dell’Arcivescovado di Colonia, pag. 321.


6      Non è chiaro se lo scioglimento del matrimonio sia stato chiesto da JQ o dal coniuge.


7      V. ordinanza della Seconda Sezione del 22 ottobre 2014, 2 BvR 661/12 (DE:BVerfG:2014:rs20141022.2bvr066112).


8      V. Catechismus Catholicae Ecclesiae (Catechismo della Chiesa cattolica), approvato e pubblicato dalla lettera apostolica «Laetamur Magnopere» di Papa Giovanni Paolo II, del 15 agosto 1997, punti da 2270 a 2275, disponibile sul sito Internet della Santa Sede al seguente indirizzo: http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm.


9      V. Catechismus Catholicae Ecclesiae (Catechismo della Chiesa cattolica), approvato e pubblicato dalla lettera apostolica «Laetamur Magnopere» di Papa Giovanni Paolo II, del 15 agosto 1997, punti da 2276 a 2279, disponibile sul sito Internet della Santa Sede al seguente indirizzo: http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm.


10      V. Catechismus Catholicae Ecclesiae (Catechismo della Chiesa cattolica), approvato e pubblicato dalla lettera apostolica «Laetamur Magnopere» di Papa Giovanni Paolo II, del 15 agosto 1997, punti da 2366 a 2372, disponibile sul sito Internet della Santa Sede al seguente indirizzo: http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm.


11      GU 1997, C 340, pag. 133.


12      Sentenza del 17 aprile 2018 Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 55).


13      Sentenza del 17 aprile 2018 Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 54).


14      Sentenza del 17 aprile 2018 Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 58).


15      V. il canone 11 del CIC. Inoltre, le sanzioni imposte dal CIC sono spirituali e, in quanto tali, possono essere inflitte unicamente ai cattolici. V., in particolare, il canone 1367 del CIC, al quale rinvia l’articolo 5, paragrafo 2, terzo trattino, del GrO 1993, che impone la pena della scomunica latae sententiae (per un laico) e la dimissione dallo stato clericale (per un membro del clero) a colui che profana le specie consacrate.


16      Tale intento di proteggere l’immagine della Chiesa cattolica emerge chiaramente dalla lettera dell’articolo 4, paragrafo 4, del GrO 1993 che impone a tutti i dipendenti che il loro stile di vita personale e il loro comportamento durante il servizio non siano tali da pregiudicare la credibilità della Chiesa cattolica.


17      Secondo JQ, la differenza di trattamento deriva dal fatto che un primario di un’altra confessione (ad esempio un protestante) o aconfessionale non sarebbe stato licenziato per aver contratto un matrimonio civile dopo aver ottenuto il divorzio dal primo coniuge.


18      Il corsivo è mio.


19      Sentenza del 17 aprile 2018 Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 63).


20      Sentenza del 17 aprile 2018 Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 65).


21      Sentenza del 17 aprile 2018 Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 66).


22      Sentenza del 17 aprile 2018 Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 67).


23      V. il canone 1085 e il canone 1108, paragrafo 1, del CIC.


24      Nessun elemento risultante dagli atti di causa sottoposti alla Corte consente di ritenere che il requisito in questione non sia legittimo in quanto persegua uno scopo estraneo all’etica dell’IR.


25      La mia tesi resta invariata indipendentemente dalla questione se il divorzio sia stato chiesto dal JQ o dal coniuge o da qualsivoglia questione relativa alla “colpa”.


26      Non posso che rilevare la dissonanza tra il rigore con cui l’IR ha deciso di difendere la purezza della dottrina cattolica e lo spirito di apertura e di conciliazione nei confronti dei cattolici divorziati e risposati civilmente dimostrata dall’esortazione Apostolica post-sinodale «Amoris Laetitia» del Santo Padre Francesco ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici sull’amore nella famiglia (Tipografia Vaticana, 19 marzo 2016, in particolare punto 299).


27      È ben vero che il periodo introduttivo dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78 («[a] condizione che [le] disposizioni [della direttiva 2000/78] siano d’altra parte rispettate») è stato omesso dal testo dell’articolo 9, paragrafo 2, dell’AGG. Come già illustrato supra ai paragrafi 51 e 52 tale periodo introduttivo è volto a precisare e a chiarire che la facoltà riconosciuta alle organizzazioni religiose di imporre ai loro dipendenti un obbligo di lealtà non è esente dal divieto generale di discriminazione di cui all’articolo 2 della direttiva 2000/78 restando subordinata alle condizioni che una disparità di trattamento basata sulla religione deve rispettare per non costituire una discriminazione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva medesima. Poiché tale periodo costituisce una precisazione e un chiarimento, anche in sua assenza dall’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva non potrebbe discendere l’effetto di autorizzare le organizzazioni religiose a istituire discriminazioni basate sulla religione in contrasto con il primo comma di tale disposizione (vale a dire, disparità di trattamento fondate sulla religione che non costituiscono un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa essenziale, legittimo e giustificato) e tantomeno discriminazioni fondate sugli altri motivi contemplati dall’articolo 1 della direttiva medesima (ossia l’esistenza di handicap, l’età o gli orientamenti sessuali).


28      Intitolato «Non discriminazione», tale articolo prevede, al paragrafo 1, che «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, su[lla] religione o sulle convinzioni personali [...]».


29      L’articolo garantisce ai singoli il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.


30      Punti da 75 a 79 di detta sentenza.


31      V. sentenze del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punti 76 e 77); del 19 gennaio 2010, Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21, punti 50 e 51); del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 47), nonchgé del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 36).


32      V. sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger (C-414/16, EU:C:2018:257, punto 76).