Language of document : ECLI:EU:T:2004:209

Ordonnance du Tribunal

ORDINANZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)
6 luglio 2004 (1)

«Regolamento (CE) n. 1829/2002 – Registrazione di una denominazione di origine – “Feta” – Ricorso di annullamento – Legittimazione ad agire – Irricevibilità»

Nel procedimento T-370/02,

Alpenhain-Camembert-Werk, con sede in Lehen/Pfaffing (Germania),

Bergpracht Milchwerk GmbH & Co. KG, con sede in Tettnang (Germania),

Käserei Champignon Hofmeister GmbH & Co. KG, con sede in Lauben (Germania),

Bayerland eG, con sede in Norimberga (Germania),

Hochland AG, con sede in Heimenkirch (Germania),

Milchwerk Crailsheim-Dinkelsbühl eG, con sede in Crailsheim (Germania),

Rücker GmbH, con sede in Aurich (Germania),

ricorrenti,

rappresentate dagli avv.ti J. Salzwedel e M.J. Werner, con domicilio eletto in Lussemburgo,

sostenute da

Regno Unito di Gran Bretagna e l'Irlanda del Nord, rappresentato dalla sig.ra P. Ormond, in qualità di agente,

interveniente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. J.L. Iglesias Buhigues, S. Grünheid e dalla sig.ra A.-M. Rouchaud-Joët, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Repubblica ellenica, rappresentata dai sigg. V. Kontolaimos, I. Chalkias e dalla sig.ra M. Tassopoulou, in qualità di agenti,

e da

Associazione delle industrie greche di prodotti lattiero-caseari (Sevgap), rappresentata dall'avv. N. Korogiannakis,

avente ad oggetto la domanda di annullamento del regolamento (CE) della Commissione 14 ottobre 2002, n. 1829, che modifica l'allegato del regolamento (CE) n. 1107/96 della Commissione per quanto riguarda la denominazione «Feta» (GU L 277, pag. 10), quale denominazione di origine protetta,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),



composto dai sigg. J. Azizi, presidente, M. Jaeger e F. Dehousse, giudici,

cancelliere: sig. H. Jung

ha emesso la seguente



Ordinanza




Contesto giuridico

1
Il regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»), stabilisce all’art. 1 le norme relative alla protezione delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche di cui possono godere taluni prodotti agricoli e taluni prodotti alimentari.

2
A termini dell’art. 2, n. 2, lett. a), del regolamento di base, per «denominazione d’origine»: si intende «il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare:

originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata».

3
L’art. 2, n. 3, del regolamento di base così recita:

«Sono altresì considerate come denominazioni d’origine alcune denominazioni tradizionali, geografiche o meno, che designano un prodotto agricolo o alimentare originario di una regione o di un luogo determinato, che soddisfi i requisiti di cui al paragrafo 2, lettera a), secondo trattino».

4
A termini dell’art. 3 del regolamento di base, le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate. Ai fini del detto regolamento, si intende per «denominazione divenuta generica» il nome di un prodotto agricolo o alimentare, che, pur collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare stesso è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare.

5
Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene conto di tutti i fattori, in particolare:

della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo,

della situazione esistente in altri Stati membri,

delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie.

6
La registrazione della denominazione di un prodotto agricolo o alimentare come denominazione di origine protetta deve rispondere, a tal fine, ai requisiti fissati dal regolamento di base e, in particolare, deve risultare conforme alle specificazioni contenute nell’art. 4, n. 1, del regolamento medesimo. Tale registrazione attribuisce a tale denominazione la protezione comunitaria.

7
Gli artt. 5-7 del regolamento di base stabiliscono la procedura di registrazione di una denominazione, detta «procedura normale», che consente a qualsiasi associazione, definita quale organizzazione di produttori e/o di trasformatori interessati al medesimo prodotto agricolo o al medesimo prodotto alimentare, ovvero, in presenza di taluni requisiti, a qualsiasi persona fisica o giuridica di presentare domanda di registrazione nello Stato membro sul cui territorio è situata l’area geografica interessata. Lo Stato membro verifica che la domanda sia giustificata e la trasmette alla Commissione. Quest’ultima, ove ritenga che la denominazione risponda ai requisiti per godere di protezione, pubblica nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee le informazioni specifiche indicate all’art. 6, n. 2, del regolamento di base.

8
L’art. 7 del regolamento di base, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 marzo 1997, n. 535 (GU L 83, pag. 3), così dispone:

«1.    Entro sei mesi a decorrere dalla data della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee prevista all’articolo 6, paragrafo 2, qualsiasi Stato membro può opporsi alla registrazione.

2.      Le autorità competenti degli Stati membri provvedono affinché chiunque possa dimostrare un legittimo interesse economico sia autorizzato a consultare la domanda. Inoltre, conformemente alla situazione esistente negli Stati membri, questi possono prevedere che altre parti aventi un legittimo interesse possano accedervi.

3.      Qualsiasi persona fisica o giuridica legittimamente interessata può opporsi alla registrazione prevista inviando una dichiarazione debitamente motivata all’autorità competente dello Stato membro in cui risiede o è stabilita. L’autorità competente adotta le misure necessarie per prendere in considerazione tali osservazioni o tale opposizione entro i termini prescritti.

(…)».

9
Qualora nessuno Stato membro notifichi alla Commissione una dichiarazione d’opposizione alla registrazione prevista, la denominazione viene iscritta in un registro tenuto dalla Commissione, denominato «Registro delle denominazioni d’origine protette e delle indicazioni geografiche protette».

10
In caso di opposizione ricevibile, se gli Stati membri interessati non raggiungono un accordo tra di loro, ai sensi dell’art. 7, n. 5, del regolamento di base, la Commissione emana una decisione conformemente alla procedura prevista dall’art. 15 del regolamento medesimo (procedura del comitato di conciliazione). L’art. 7, n. 5, lett. b), del regolamento medesimo prevede che la Commissione tenga conto, ai fini della propria decisione, «delle prassi corrette tradizionalmente seguite e degli effettivi rischi di confusione».

11
L’art. 17 del regolamento di base istituisce una procedura di registrazione, detta «procedura semplificata», che differisce da quella normale. Secondo tale procedura, gli Stati membri comunicano alla Commissione quali denominazioni, tra quelle protette giuridicamente o dagli usi, essi intendano far registrare a norma del regolamento medesimo. La procedura prevista dall’art. 15 del regolamento di base si applica mutatis mutandis. L’art. 17, n. 2, secondo periodo, del regolamento stesso precisa che la procedura di opposizione di cui all’art. 7 non trova applicazione nell’ambito della procedura semplificata.


Fatti all’origine della controversia

12
Con lettera 21 gennaio 1994 il governo greco chiedeva alla Commissione la registrazione della denominazione «Feta» quale denominazione di origine protetta, ai sensi dell’art. 17 del regolamento di base.

13
Il 19 gennaio 1996 la Commissione presentava al comitato di regolamentazione istituito dall’art. 15 del regolamento di base una proposta di regolamento contenente un elenco delle denominazioni suscettibili di registrazione quali indicazioni geografiche o denominazioni di origine protette, ai sensi dell’art. 17 del regolamento di base. In tale elenco figurava il termine «Feta». Non essendosi il comitato di regolamentazione pronunciato su tale proposta entro il termine ad esso impartito, la Commissione sottoponeva al Consiglio la proposta stessa, a termini dell’art. 15, quarto comma, del regolamento di base, in data 6 marzo 1996. Il Consiglio non decideva entro il termine di tre mesi di cui all’art. 15, quinto comma, del regolamento di base.

14
Conseguentemente, in conformità dell’art. 15, quinto comma, del regolamento di base, il 12 giugno 1996 la Commissione emanava il regolamento (CE) n. 1107/96, relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all’articolo 17 del regolamento [di base] (GU L 299, pag. 31). Ai termini dell’art. 1 di quest’ultimo regolamento, la denominazione «Feta», contenuta nell’allegato del regolamento stesso, nella parte A, sotto la voce «formaggi» e sotto il nome del paese «Grecia», veniva registrata come denominazione di origine protetta.

15
Con sentenza 16 marzo 1999, cause riunite C-289/96, C-293/96 e C‑299/96, Danimarca, Germania e Francia/Commissione (Racc. pag. I‑1541), la Corte annullava il regolamento n. 1107/96 nella parte in cui la denominazione «Feta» era stata registrata quale denominazione di origine protetta. In tale sentenza la Corte affermava che la Commissione, nell’esaminare se «Feta» costituisse una denominazione generica, non aveva debitamente tenuto conto di tutti i fattori che l’art. 3, n. 1, terzo comma, del regolamento di base imponeva di prendere in considerazione.

16
A seguito di tale sentenza, il 25 maggio 1999 la Commissione emanava il regolamento (CE) n. 1070/1999, recante modifica dell’allegato del regolamento n. 1107/96, eliminando la denominazione «Feta» dall’elenco delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette nonché dall’allegato del regolamento n. 1107/96 (GU L 130, pag. 18).

17
Dopo aver successivamente riesaminato la domanda di registrazione del governo greco, la Commissione presentava un progetto di regolamento al comitato di regolamentazione ai termini dell’art. 15, secondo comma, del regolamento di base, proponendo di registrare, sulla base dell’art. 17 del regolamento di base, la denominazione «Feta» – quale denominazione di origine protetta – nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette. Poiché il comitato non si pronunciava su tale progetto entro il termine impartitogli, la Commissione sottoponeva il progetto stesso al Consiglio ai sensi dell’art. 15, quarto comma, del regolamento di base.

18
Poiché il Consiglio non decideva in merito al progetto entro il termine previsto all’art. 15, quinto comma, del regolamento di base, la Commissione emanava, in data 14 ottobre 2002, il regolamento (CE) n. 1829/2002, che modifica l’allegato del regolamento (CE) n. 1107/96 della Commissione per quanto riguarda la denominazione «Feta» (GU L 177, pag. 10; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Con tale regolamento la denominazione «Feta» veniva nuovamente registrata quale denominazione protetta e veniva inserita nell’allegato del regolamento n. 1107/96, nella parte A, sotto le voci «formaggi» e «Grecia».

19
Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 dicembre 2002 le ricorrenti proponevano il presente ricorso.

20
Con lettera 14 febbraio 2003 la Commissione chiedeva la sospensione della causa sino alla pronuncia della sentenza nelle cause riunite C‑465/02 e C-466/02.

21
Con lettera 17 marzo 2003 le ricorrenti comunicavano che intendevano opporsi alla domanda di sospensione, chiedendo al Tribunale di rinviare la causa dinanzi alla Corte affinché venisse riunita alle cause C-465/02 e C-466/02.

22
Con decisione 19 marzo 2003 il Tribunale respingeva la domanda di sospensione nonché la domanda di rinvio della causa dinanzi alla Corte, disponendo la prosecuzione del procedimento.

23
Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 giugno 2003, la Commissione sollevava eccezione di irricevibilità ai sensi dell’art. 114 del regolamento di procedura del Tribunale. Il 1° agosto 2003 le ricorrenti depositavano le loro osservazioni scritte in merito a tale eccezione.

24
Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale in data, rispettivamente, 16 aprile e 2 maggio 2003, la Repubblica ellenica e l’Associazione delle industrie greche di prodotti lattiero-caseari (Sevgap) chiedevano di intervenire a sostegno della Commissione.

25
Con atto depositato presso la cancelleria il 28 aprile 2003, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord chiedeva di intervenire a sostegno delle ricorrenti.

26
Con ordinanze 4 marzo 2004 veniva ammesso l’intervento della Repubblica ellenica del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e della Sevgap.

27
Il 30 marzo 2004 la Repubblica ellenica depositava la propria memoria d’intervento a sostegno della Commissione.

28
Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non ha depositato memoria di intervento entro il termine all’uopo previsto.

29
L’intervento della Sevgap, essendo stato ammesso ai sensi dell’art. 116, n. 6, del regolamento di procedura, è limitato alla formulazione di osservazioni nell’ambito della fase orale del procedimento.


Conclusioni delle parti

30
Nel ricorso le ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:

annullare il regolamento impugnato nella parte in cui la denominazione «Feta» è stata registrata quale denominazione di origine protetta;

condannare la Commissione alle spese.

31
Nell’eccezione di irricevibilità, la Commissione conclude che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso irricevibile;

condannare le ricorrenti alle spese.

32
Nelle proprie osservazioni in merito all’eccezione di irricevibilità, le ricorrenti concludono che il Tribunale voglia respingere l’eccezione di irricevibilità.

33
Nella propria memoria di intervento, la Repubblica ellenica conclude che il Tribunale voglia dichiarare il ricorso irricevibile.


Sulla ricevibilità del ricorso

34
Con il ricorso in oggetto le ricorrenti, sette società tedesche produttrici di formaggio «Feta» a base di latte di vacca, chiedono l’annullamento del regolamento impugnato. Esse deducono, in particolare, la violazione degli artt. 3 e 17 del regolamento di base e, in subordine, degli artt. 2 e 4 del regolamento medesimo nonché dell’art. 30 CE e dei diritti fondamentali sanciti dall’ordinamento giuridico comunitario in tema di tutela della proprietà e del libero esercizio di attività lavorativa.

35
La Commissione ritiene il ricorso irricevibile sulla base del rilievo che le ricorrenti non sarebbero legittimate ad agire ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE.

36
Ai termini dell’art. 114, n. 1, del regolamento di procedura, il Tribunale, su richiesta di una parte, può pronunciarsi sull’irricevibilità senza impegnare la discussione nel merito. Ai termini del successivo n. 3, il procedimento sulla domanda incidentale prosegue oralmente, salvo contraria decisione del Tribunale. Nella specie, il Tribunale ritiene di essere sufficientemente istruito sulla base degli atti di causa per potersi pronunciare sull’eccezione sollevata dalla Commissione, senza avviare la fase orale del procedimento.

Argomenti delle parti

37
La Commissione sostiene che il ricorso riguarda un regolamento di portata generale, ai sensi dell’art. 249, secondo comma, CE, e che le ricorrenti non sono individualmente interessate dal regolamento impugnato.

38
Le ricorrenti affermano la ricevibilità del ricorso.

39
Le ricorrenti fanno valere, in primo luogo, che, a prescindere dai produttori greci, esse costituiscono, con un solo produttore danese, i più importanti produttori di «Feta» nella Comunità, fabbricando oltre il 90% del formaggio «Feta» prodotto in Germania.

40
Producendo formaggio Feta da molti anni in grandi quantità, esse potrebbero avvalersi di relazioni e sbocchi commerciali tradizionali, consolidati e stabili, con contratti di fornitura a lungo termine. In tal senso, esse sarebbero particolarmente interessate dal regolamento impugnato ai sensi della giurisprudenza della Corte (v. sentenze della Corte 1° luglio 1965, cause riunite 106/63 e 107/63, Toepfer e Getreide-Import Gesellschaft/Commissione CEE, Racc. pag. 497, e 17 gennaio 1985, causa 11/82, Piraiki-Patraiki e a./Commissione, Racc. pag. 207).

41
Le ricorrenti fanno valere, in secondo luogo, che il ricorso da parte della Commissione alla procedura semplificata prevista dall’art. 17 del regolamento di base le ha private delle garanzie procedurali previste dalla procedura normale, che, ai termini dell’art. 7 del regolamento medesimo, concede ad ogni soggetto che possa vantare un legittimo interesse la possibilità di opporsi alla registrazione prevista. In tale contesto, le ricorrenti sottolineano che, nella propria proposta di modifica del regolamento di base diretta ad eliminare la procedura semplificata di cui all’art. 17 del detto regolamento, la Commissione motiva espressamente la proposta rilevando che il diritto di opposizione previsto nella procedura normale costituisce una «condizione essenziale per garantire diritti acquisiti o per evitare pregiudizi all’atto della registrazione».

42
In terzo luogo, le ricorrenti sostengono di essere legittimate ad agire sulla base della giurisprudenza risultante dalla sentenza del Tribunale 3 maggio 2002, causa T-177/01, Jégo-Quéré/Commissione (Racc. pag. I‑2365), nonché dalle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza della Corte 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (Racc. pagg. I-6677, I-6681), secondo cui una persona fisica o giuridica deve essere considerata individualmente interessata da una disposizione comunitaria di portata generale che la riguardi direttamente, ove la disposizione di cui trattasi incida, in maniera certa e attuale, sulla sua sfera giuridica, limitando i suoi diritti ovvero imponendole obblighi. Orbene, il regolamento impugnato, producendo l’effetto di impedire alle ricorrenti di utilizzare la denominazione «Feta» al termine del periodo di transizione, lederebbe i loro interessi.

43
Nelle loro osservazioni in ordine all’eccezione di irricevibilità, le ricorrenti, pur riconoscendo che il regolamento impugnato costituisce una misura di portata generale, rilevano che, se è pur vero che detto regolamento produce effetti favorevoli nei confronti di tutti i produttori greci di Feta a base di latte di pecora e di capra, presenti e futuri, i quali d’ora in poi saranno gli unici a poter ancora utilizzare legittimamente tale denominazione, esso produce, per contro, effetti sfavorevoli unicamente nei confronti di tutti i produttori non greci di Feta a base di latte di vacca esistenti al giorno d’oggi e ai quali l’utilizzazione di tale denominazione sarà vietata al termine del periodo transitorio. Le ricorrenti sottolineano che l’atto impugnato produce effetti sul mercato unicamente a detrimento di questi ultimi operatori.

44
Le ricorrenti rilevano che la denominazione «Feta» costituisce da molto tempo, a livello mondiale, una denominazione generica e che essa non poteva essere pertanto iscritta, ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento di base, nel registro delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette nell’ambito del regolamento impugnato. Illegittimamente la Commissione avrebbe emanato il regolamento impugnato ritenendo che i mercati non greci di Feta prodotto a base di latte di vacca si fossero sviluppati solamente grazie ad uno sfruttamento illegittimo del prestigio del Feta greco prodotto a base di latte di pecora.

45
In considerazione dell’intervento retroattivo e rettificativo della Commissione sul mercato, non si potrebbe ritenere che il regolamento impugnato possieda effetti «generali e astratti», in quanto riguarderebbe una cerchia ridotta di operatori economici aventi una situazione particolare sul mercato e inciderebbe individualmente sui loro diritti specifici. Il regolamento impugnato implicherebbe, in realtà, la distruzione del mercato della Feta prodotto a base di latte di vacca sviluppatosi in Germania e, più ampiamente, in Europa, considerato che il consumatore abituale di formaggio Feta prodotto a base di latte di vacca non individuerebbe rapidamente tale prodotto sotto qualsivoglia altra denominazione.

46
Secondo le ricorrenti, sarebbe incompatibile con le aspettative che nell’Unione europea scaturiscono dalla tutela giuridica offerta dalla Corte che gli operatori interessati non possano assoggettare al controllo giurisdizionale la legittimità del regolamento impugnato, che implica il totale abbattimento dei loro sbocchi commerciali.

47
Il Tribunale non avrebbe individuato né nel ricorso dinanzi al giudice nazionale con rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, né nel ricorso per responsabilità extracontrattuale della Comunità, previsto dagli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE, un rimedio giuridico efficace che consenta agli interessati di contestare la legittimità di disposizioni comunitarie di applicazione generale che incidano direttamente sulla loro sfera giuridica. Le azioni risarcitorie, di cui agli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE, non potrebbero d’altronde rimpiazzare una tutela efficace dei diritti fondamentali a livello europeo, atteso che esse non consentono di eliminare un atto dall’ordinamento giuridico comunitario quando esso si riveli illegittimo.

48
Inoltre, considerato che il divieto di continuare a utilizzare la denominazione generica «Feta» per formaggio Feta prodotto a base di latte di vacca successivamente alla data prevista nel regolamento impugnato presenta effetti diretti e che non necessita di misure di esecuzione negli Stati membri che possano essere impugnate dinanzi ai giudici nazionali, le ricorrenti potrebbero far valere la violazione dei loro diritti fondamentali da parte del provvedimento comunitario di cui trattasi solamente violando le disposizioni previste dal provvedimento stesso e facendo valere l’illegittimità delle medesime nell’ambito dei procedimenti giudiziari avviati nei loro confronti.

49
Conformemente alla recente giurisprudenza del Tribunale, occorrerebbe muovere dal principio secondo cui una tutela giurisdizionale efficace dei singoli risulta garantita solamente quando anche imprese direttamente e individualmente interessate da una disposizione comunitaria di applicazione generale abbiano accesso ai giudici comunitari. Un’impresa sarebbe individualmente interessata qualora il provvedimento di cui trattasi, limitandone i diritti o imponendole obblighi, incida indubbiamente e attualmente sulla sua sfera giuridica. Ciò non potrebbe essere seriamente contestato nel caso delle ricorrenti, i cui sbocchi commerciali risultano compromessi e le quote di mercato annientate, quanto meno entro un lasso di tempo prevedibile.

50
Le ricorrenti rammentano che il Tribunale ha sottolineato che l’accesso al giudice comunitario costituisce uno degli elementi costitutivi di una Comunità di diritto e si fonda sulle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri nonché sugli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Esse sottolineano che l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha riaffermato il diritto a rimedi giuridici efficaci per ogni persona i cui diritti o libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati lesi.

Giudizio del Tribunale

51
L’art. 230, quarto comma, CE dispone che qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre ricorso contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento, la riguardino direttamente e individualmente.

52
Secondo costante giurisprudenza, il criterio di distinzione tra un atto normativo e una decisione va ricercato nella portata generale ovvero individuale dell’atto controverso (ordinanze della Corte 23 novembre 1995, causa C-10/95 P, Asocarne/Consiglio, Racc. pag. I-4149, punto 28, e 24 aprile 1996, causa C‑87/95 P, Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e dei procuratori/Consiglio, Racc. pag. I-2003, punto 33). Un atto riveste portata generale qualora si applichi a situazioni determinate oggettivamente e dispieghi effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo astratto (v. sentenza del Tribunale 10 luglio 1996, causa T-482/93, Weber/Commissione, Racc. pag. II-609, punto 55, ed i riferimenti di giurisprudenza ivi citata).

53
Nella specie, il regolamento impugnato garantisce alla denominazione «Feta» la tutela delle denominazioni di origine previste dal regolamento di base. La denominazione di origine è definita dall’art. 2, n. 2, lett. a), del regolamento medesimo quale il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali e umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata.

54
Tale tutela consiste nel fatto di riservare l’utilizzazione della denominazione «Feta» ai produttori originari dell’area geografica descritta i cui prodotti rispettino i requisiti geografici e qualitativi imposti alla produzione di Feta nel disciplinare. Come correttamente sottolineato dalla Commissione, il regolamento impugnato, lungi dal rivolgersi ad operatori determinati, quali le ricorrenti, riconosce a tutte le imprese i cui prodotti rispondano ai requisiti geografici e qualitativi prescritti il diritto di commercializzare i prodotti medesimi con la menzionata denominazione e nega tale diritto a tutte le imprese i cui prodotti non rispondano a tali requisiti, i quali sono identici per tutte le imprese. Il regolamento impugnato si applica parimenti a tutti i produttori – presenti e futuri – di Feta legalmente autorizzati ad utilizzare tale denominazione nonché a tutti quelli nei cui confronti vigerà il divieto di utilizzare la denominazione stessa al termine del periodo transitorio. Il detto regolamento non riguarda unicamente i produttori degli Stati membri, bensì svolge i propri effetti giuridici nei confronti di un numero indeterminato di produttori di paesi terzi che intendano importare, oggi o in futuro, formaggio Feta nella Comunità.

55
Il regolamento impugnato costituisce quindi una misura di portata generale ai sensi dell’art. 249, secondo comma, CE. Esso si applica a situazioni determinate oggettivamente e produce effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo astratto (v., in tal senso, le ordinanze del Tribunale 15 settembre 1998, causa T-109/97, Molkerei Großbraunschain e Bene Nahrungsmittel/Commissione, Racc. pag. II-3533; 26 marzo 1999, causa T‑114/96, Biscuiterie-confiserie LOR e Confiserie du Tech/Commissione, Racc. pag. II-913, punti 27‑29, e 9 novembre 1999, causa T-114/99, CSR Pampryl/Commissione, Racc. pag. II-3331, punti 42 e 43). Tale portata generale emerge d’altronde dall’oggetto della disciplina di cui trattasi, vale a dire tutelare, erga omnes e in tutta la Comunità europea, indicazioni geografiche e denominazioni di origine validamente registrate.

56
Tuttavia, non è escluso che una disposizione che possiede, per sua natura e portata, carattere normativo possa riguardare individualmente una persona fisica o giuridica. Ciò avviene quando l’atto di cui trattasi la riguarda a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerla dalla generalità e, quindi, la identifica alla stregua della destinataria di una decisione (sentenze della Corte 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione, Racc. pag. 197, in particolare pag. 220; 18 maggio 1994, causa C-309/89, Codorniu/Consiglio, Racc. pag. I-1853, punti 19 e 20, e sentenza Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. supra al punto 42, punto 36, e sentenza Weber/Commissione, cit. supra al punto 52, punto 53).

57
Nella specie, le affermazioni dedotte dalle ricorrenti in punto di fatto, ammesse che siano esatte, non consentono di individuare la benché minima qualità loro propria ovvero circostanze particolari atte a distinguerle dalla generalità e, conseguentemente, a distinguerle rispetto agli altri operatori economici interessati. Al contrario, le imprese ricorrenti sono interessate dal regolamento impugnato solamente nella loro qualità di operatori economici che producono o commerciano il formaggio privo dei requisiti necessari per poter utilizzare la denominazione di origine protetta «Feta». Le ricorrenti sono quindi interessate alla stessa stregua di tutte le altre imprese i cui prodotti non siano parimenti conformi ai requisiti imposti dalle disposizioni comunitarie di cui trattasi.

58
Per quanto attiene all’affermazione delle ricorrenti secondo cui, a prescindere dai produttori greci e da un produttore danese, esse sarebbero i principali produttori di Feta nella Comunità europea producendo più del 90% della Feta prodotta in Germania, è sufficiente ricordare che il fatto che un’impresa detenga gran parte del mercato di cui trattasi non è sufficiente, di per sé, a distinguerla rispetto a qualsiasi altro operatore economico interessato dal regolamento impugnato (ordinanza CSR Pampryl/Commissione, cit. supra al punto 55, punto 46).

59
Parimenti, l’affermazione delle ricorrenti secondo cui il regolamento impugnato inciderebbe, essenzialmente, solamente nei confronti di otto produttori, oltre ad essere contraddetta dal ricorso in cui si sostiene che il formaggio Feta viene prodotto in quantità significativa in sei Stati membri della Comunità europea e in un elevato numero di paesi terzi, è, in ogni caso, priva di pertinenza, considerato che, secondo costante giurisprudenza, la portata generale e, di conseguenza, la natura normativa di un atto non sono poste in discussione dalla possibilità di determinare con maggiore o minor precisione il numero o persino l’identità dei soggetti di diritto cui si applica in un dato momento, fintantoché è pacifico che tale applicazione si compie in forza di una situazione oggettiva di diritto o di fatto, definita dall’atto in relazione con la finalità di quest’ultimo (sentenza della Corte 11 luglio 1968, causa 6/68, Zuckerfabrik Watenstedt/Consiglio, Racc. pag. 595, in particolare 605 e 606, e ordinanza del Tribunale 29 giugno 1995, causa T-183/94, Cantina cooperativa fra produttori vitivinicoli di Torre di Mosto e a./Commissione, Racc. pag. II-1941, punto 48). Ciò è quanto avviene nella specie, atteso che il regolamento impugnato incide indistintamente su tutti i produttori presenti e futuri che intendano commercializzare nella Comunità formaggio con la denominazione «Feta».

60
Secondo le ricorrenti, inoltre, esse si distinguerebbero dalla generalità per il fatto di essere economicamente interessate. Richiamandosi alle sentenze della Corte nelle cause Toepfer e Getreide-Import Gesellschaft/Commissione CEE e Piraiki‑Patraiki e a./Commisione, citate supra al punto 40, esse sostengono che il divieto, imposto dal regolamento impugnato alle imprese produttrici di Feta a base di latte di vacca, di far uso della denominazione «Feta» renderebbe loro praticamente impossibile qualsiasi ulteriore commercializzazione di tale formaggio e che esse non potrebbero più rispettare e mantenere in vigore i loro contratti di fornitura a lungo termine.

61
Si deve anzitutto rilevare, a tale riguardo, che il regolamento impugnato non incide su eventuali contratti di fornitura conclusi a lungo termine, bensì vieta semplicemente, in combinato disposto con l’art. 13 del regolamento di base e alla scadenza di un periodo transitorio, qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione della denominazione protetta «Feta». Tale divieto vale tanto per le ricorrenti quanto per qualsiasi altro produttore che si trovi, in atto o in potenza, nella stessa situazione.

62
Va inoltre ricordato che, in ogni caso, la circostanza che un atto di portata generale possa avere effetti concreti diversi per i vari soggetti di diritto ai quali si applica non è tale da caratterizzarli rispetto a tutti gli altri operatori interessati, dato che l’applicazione di tale atto si svolge, come nella specie, in forza di una situazione determinata oggettivamente (sentenza del Tribunale 22 febbraio 2000, causa T‑138/98, ACAV e a./Consiglio, Racc. pag. II-341, punto 66, e ordinanza del Tribunale 30 gennaio 2001, causa T-215/00, La Conqueste/Commissione, Racc. pag. II-181, punto 37). La Corte ha espressamente confermato che il fatto che una ricorrente si trovi, al momento dell’adozione di un regolamento recante registrazione di una denominazione di origine, in una situazione tale da dover procedere ad adattamenti della propria struttura di produzione per soddisfare le condizioni previste dal regolamento medesimo non è sufficiente affinché essa sia interessata individualmente alla stregua del destinatario di un atto (ordinanza della Corte 30 gennaio 2002, causa C-151/01 P, La Conqueste/Commissione, Racc. pag. I-1179, punto 35).

63
Erroneamente le ricorrenti sostengono di trovarsi nella stessa situazione delle ricorrenti nelle cause Toepfer e Getreide-Import Gesellschaft/Commissione CEE e Piraiki-Patraiki e a./Commissione, citate supra al punto 40.

64
Infatti, nella causa Toepfer e Getreide-Import Gesellschaft/Commissione CEE, cit. supra al punto 40, la misura impugnata riguardava esclusivamente determinati importatori, di cui erano noti il numero e l’identità, e che avevano richiesto, prima dell’emanazione della decisione impugnata, titoli di importazione la cui emanazione era stata resa impossibile dalla decisione di cui trattasi. Parimenti, nella causa Piraiki-Patraiki e a./Commissione, cit. supra al punto 40, vertente sulla legittimità di una decisione della Commissione che autorizzava la Francia ad assoggettare l’importazione di filati di cotone provenienti dalla Grecia ad un regime di quote, le ricorrenti erano individualmente interessate dalla decisione impugnata in quanto appartenenti ad una cerchia ristretta di operatori economici particolarmente colpiti dalla decisione impugnata, essendo essi titolari di contratti di vendita conclusi precedentemente in buona fede, la cui esecuzione si collocava nel corso del periodo di applicazione della misura di salvaguardia oggetto della decisione, esecuzione che era stata quindi resa interamente o parzialmente impossibile per effetto del superamento della quota autorizzata.

65
Peraltro, non si può tanto meno ritenere che le ricorrenti siano individualmente interessate sulla base della sentenza pronunciata nella causa Codorniu/Consiglio, cit. supra al punto 56, in cui l’impresa ricorrente era impedita, per effetto di una disposizione di portata generale, ad utilizzare il marchio denominativo da essa registrato e utilizzato tradizionalmente per un lungo periodo di tempo anteriormente all’emanazione del regolamento oggetto di tale causa, ragion per cui essa si trovava in una situazione che la distingueva da tutti gli altri operatori economici. Nella specie, in effetti, le ricorrenti non dimostrano, né d’altronde sostengono, che l’utilizzazione della denominazione «Feta» che esse fanno valere risulta da un diritto specifico analogo, che esse avrebbero acquisito su scala nazionale o comunitaria prima dell’emanazione del regolamento impugnato e che risulterebbe ora compromesso per effetto del regolamento stesso.

66
In particolare, il fatto che le ricorrenti abbiano commercializzato i loro prodotti con la denominazione «Feta» non attribuisce loro un diritto specifico ai sensi della menzionata giurisprudenza. La situazione delle ricorrenti non si distingue, pertanto, da quella degli altri produttori che hanno parimenti commercializzato i loro prodotti come «Feta» e che non sono più autorizzati ad utilizzare tale denominazione ormai protetta per effetto della sua registrazione quale denominazione di origine. L’assenza di diritti specifici conferiti all’uno o all’altro operatore economico è d’altronde confermata dal fatto che tale situazione è espressamente disciplinata in termini generali astratti dall’art. 13, n. 2, del regolamento di base, il quale prevede un periodo transitorio che garantisce a tutti i produttori, senza distinzioni, nel rispetto di talune condizioni, un periodo di adattamento sufficientemente lungo per evitare qualsiasi pregiudizio.

67
Per quanto attiene, infine, all’argomento delle ricorrenti relativo ai diritti procedurali dei quali esse sarebbero state private per effetto del ricorso alla procedura semplificata ai fini della registrazione della denominazione «Feta», si deve ricordare che il Tribunale ha già più volte avuto modo di affermare che la giurisprudenza alla quale le ricorrenti si richiamano – elaborata principalmente in materia di dazi antidumping, di diritto della concorrenza e di aiuti di Stato – non è trasponibile alla procedura di registrazione delle denominazioni protette in virtù del regolamento di base (ordinanza Molkerei Großbraunshain e Bene Nahrungsmittel/Commissione, cit. supra al punto 55), atteso che tale regolamento non stabilisce garanzie procedurali specifiche, a livello comunitario, a favore dei singoli (ordinanza CSR Pampryl/Commissione, cit. supra al punto 55).

68
La Corte ha confermato tale giurisprudenza nella propria ordinanza 26 ottobre 2000, causa C-447/98 P, Molkerei Großbraunshain e Bene Nahrungsmittel/Commissione (Racc. pag. I-9097, punti 71-73; v., parimenti, in tal senso, ordinanza 30 gennaio 2002, La Conqueste/Commisione, cit. supra al punto 62, punti 43 e 44), rilevando quanto segue:

«71.  Infatti, anche ammettendo che il ricorso alla procedura di cui all’art. 17 del regolamento [di base] sia stato illegittimo e che un soggetto possa essere individuato ai sensi dell’art. [230], quarto comma, [CE] del Trattato per il fatto che la pertinente normativa gli garantisce esplicitamente diritti procedurali o per il semplice fatto di aver partecipato al processo di elaborazione di un atto normativo da parte di un’istituzione comunitaria, comunque l’esercizio della facoltà di opporsi, quale prevista nell’ambito della procedura normale di registrazione, non sarebbe stato tale da far riconoscere alle ricorrenti il diritto di presentare ricorso contro l’atto adottato in esito a tale procedura.

72.    In proposito occorre sottolineare, da una parte, che, a norma dell’art. 7, nn. 1 e 3, del regolamento [di base], la dichiarazione di opposizione ad una progettata registrazione può essere presentata [alla Commissione] solo da uno Stato membro, al quale si sia precedentemente rivolta una persona fisica o giuridica che possa dimostrare di avere un interesse economico legittimo.

73.    D’altra parte, dall’art. 7, n. 5, del regolamento [di base] risulta che, se alla Commissione viene presentata un’opposizione ricevibile, la procedura d’opposizione instaura un confronto tra lo [Stato] o gli Stati membri che si sono opposti alla registrazione e lo Stato membro che l’ha richiesta. Ai sensi di tale disposizione spetta infatti agli “Stati membri interessati” cercare un accordo tra di loro e, eventualmente, notificarlo alla Commissione».

69
Ne consegue che l’argomento relativo alla sussistenza di diritti procedurali non è atto a distinguere le ricorrenti dalla generalità.

70
Dalle suesposte considerazioni emerge che, poiché il regolamento impugnato costituisce una misura di portata generale e le ricorrenti non sono colpite per talune qualità loro proprie o per una situazione di fatto che le distingue rispetto alla generalità, il ricorso è irricevibile.

71
Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento delle ricorrenti relativo all’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva.

72
Oltre al fatto che spetta agli Stati membri istituire un sistema completo di rimedi giuridici e di azioni che consentano di garantire il rispetto del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, un ricorso diretto di annullamento dinanzi al giudice comunitario non potrebbe infatti essere proposto nemmeno se si potesse dimostrare, dopo un esame concreto da parte di quest’ultimo delle norme processuali nazionali, che queste norme non autorizzano il singolo ad intentare un’azione che gli consenta di mettere in discussione la validità dell’atto comunitario contestato (ordinanza della Corte 12 dicembre 2003, causa C‑258/02 P, Bactria/Commissione, Racc. pag. I-15105, punto 58). La Corte ha chiaramente affermato, per quanto attiene al requisito dell’interesse individuale postulato dall’art. 230, quarto comma, CE, che, se è pur vero che tale requisito deve essere interpretato alla luce del principio della tutela giurisdizionale effettiva tenendo conto delle varie circostanze atte a distinguere un ricorrente, tale interpretazione non può portare ad eliminare il requisito di cui trattasi, espressamente previsto dal Trattato, senza eccedere le competenze da quest’ultimo attribuite ai giudici comunitari. Ne consegue che, qualora tale condizione non ricorra, nessuna persona fisica o giuridica è, in ogni caso, legittimata a proporre un ricorso di annullamento contro un regolamento (v. sentenza Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit. supra al punto 42, punti 36 e 37).

73
Da tutti i suesposti rilievi emerge che le ricorrenti non possono essere considerate individualmente interessate dal regolamento impugnato ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE e che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato irricevibile.


Sulle spese

74
A termini dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura la soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, essendo rimaste soccombenti ed avendone la Commissione chiesto la condanna, devono essere condannate a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione.

75
A termini dell’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Nella specie, la Repubblica ellenica e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord devono essere condannati a sopportare le proprie spese.

76
A termini dell’art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, le parti intervenute diverse dagli Stati membri e dalle istituzioni possono essere condannate a sopportare le proprie spese. Nella specie, la Sevgap deve essere condannata a sopportare le proprie spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)



così provvede:

1)
Il ricorso è irricevibile.

2)
Le ricorrenti sopporteranno le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione.

3)
La Repubblica ellenica, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e l’Associazione dell’industrie greche di prodotti lattiero-caseari (Sevgap) sopporteranno le proprie spese.

Lussemburgo, 6 luglio 2004

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Azizi


1
Lingua processuale: il tedesco.