SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
28 aprile 1998 (1)
«Responsabilità extracontrattuale derivante da un atto lecito Regolamento
n. 2340/90 Embargo commerciale contro l'Iraq Lesione equivalente ad
un'espropriazione Responsabilità per atto illecito Danno»
Nella causa T-184/95,
Dorsch Consult Ingenieurgesellschaft mbH, società di diritto tedesco, con sede in
Monaco di Baviera (Germania), rappresentata dal prof. Karl M. Meessen, con
domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Patrick Kinsch, 100,
boulevard de la Pétrusse,
contro
Consiglio dell'Unione europea, rappresentato inizialmente dal signor Yves Crétien,
consigliere giuridico, successivamente dai signori Stephan Marquardt e Antonio
Tanca, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo presso il signor Alessandro Morbilli, direttore generale della direzione
affari giuridici della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad
Adenauer,
e
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai signori Peter Gilsdorf e
Allan Rosas, consiglieri giuridici principali, e Jörn Sack, consigliere giuridico, in
qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos
Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,
avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno che l'impresa ricorrente
asserisce di aver subito a causa dell'adozione del regolamento (CEE) del Consiglio
8 agosto 1990, n. 2340, che impedisce gli scambi della Comunità per quanto
riguarda l'Iraq e il Kuwait (GU L 213, pag. 1),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),
composto dai signori C.W. Bellamy, presidente, A. Kalogeropoulos e signora
V. Tiili, giudici,
cancelliere: H. Jung
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 19
giugno 1997,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti all'origine del ricorso
- 1.
- La ricorrente, la Dorsch Consult Ingenieurgesellschaft mbH (in prosieguo: la
«Dorsch Consult»), è una società a responsabilità limitata di diritto tedesco con
sede in Monaco di Baviera (Germania) la quale svolge come attività principale la
prestazione di consulenze in ingegneria in diversi paesi.
- 2.
- Il 30 gennaio 1975 la ricorrente stipulava con il Ministry of Works and Housing
della Repubblica irachena (in prosieguo: il «ministero iracheno») un contratto col
quale si impegnava a prestare servizi relativi all'organizzazione e allo svolgimento
dei lavori collegati alla costruzione dell'Iraq Express Way n. 1. Questo contratto,
concluso per una durata minima di sei anni, veniva successivamente rinnovato più
volte, in base alle esigenze connesse all'esecuzione e allo svolgimento dei lavori
soprammenzionati. L'articolo X di questo contratto prevedeva tra l'altro che, in
caso di divergenze relative all'interpretazione delle sue disposizioni o di mancata
esecuzione degli obblighi che ne derivavano, le parti contraenti dovevano cercare
di trovare una soluzione accettabile mediante strumenti di concertazione
(articolo X, n. 1). Nel caso in cui queste divergenze persistessero, la controversia
doveva essere portata dinanzi al Planning Board, la cui decisione sarebbe stata
definitiva e vincolante. Tuttavia, nessuna decisione adottata nell'ambito del
contratto di cui trattasi poteva impedire alle parti contraenti di portare la loro
controversia anche dinanzi ai tribunali iracheni competenti (articolo X, n. 2).
- 3.
- Come risulta dal fascicolo, i crediti non ancora pagati che la ricorrente aveva
all'inizio del 1990 nei confronti delle autorità irachene per le prestazioni fornite
nell'ambito del contratto soprammenzionato sono stati riconosciuti con due lettere,
in data 5 e 6 febbraio 1990, indirizzate dal ministro iracheno alla banca irachena
Rafidian Bank (in prosieguo: la «banca Rafidian»), con cui si dava disposizione di
trasferire sul conto della ricorrente le somme dovutele.
- 4.
- Il 2 agosto 1990 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottava la risoluzione
n. 660 (1990) con la quale constatava una rottura della pace e della sicurezza
internazionali in seguito all'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, e chiedeva il
ritiro immediato e incondizionato delle forze irachene dal territorio del Kuwait.
- 5.
- Il 6 agosto 1990 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottava la risoluzione
n. 661 (1990), con la quale, dichiarandosi «consapevole delle responsabilità che ad
esso incombevano in forza della carta delle Nazioni Unite per quanto riguarda il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionali», e constatando che la
Repubblica irachena (in prosieguo: l'«Iraq») non aveva rispettato la risoluzione
n. 660 (1990) decideva l'istituzione di un embargo commerciale contro l'Iraq e il
Kuwait.
- 6.
- L'8 agosto 1990 il Consiglio, facendo riferimento «alla grave situazione [risultante]
dall'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq» e alla risoluzione n. 661 (1990) del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottava, su proposta della Commissione
il regolamento (CEE) n. 2340/90, che impedisce gli scambi della Comunità per
quanto riguarda l'Iraq ed il Kuwait (GU L 213, pag. 1; in prosieguo: il
«regolamento n. 2340/90»).
- 7.
- L'art. 1 del regolamento n. 2340/90 vietava, a decorrere dal 7 agosto 1990,
l'introduzione nel territorio della Comunità di qualsiasi prodotto originario dell'Iraq
o del Kuwait o proveniente dall'Iraq o dal Kuwait nonché l'esportazione verso tali
paesi di qualsiasi prodotto originario della Comunità o proveniente dalla Comunità.
L'art. 2 dello stesso regolamento vietava, a decorrere dal 7 agosto 1990, a) qualsiasi
attività o transazione commerciale, compresa qualsiasi operazione relativa a
transazioni già concluse o parzialmente eseguite, le quali avessero per scopo o per
effetto di favorire l'esportazione di qualsiasi prodotto originario dell'Iraq o del
Kuwait o proveniente dall'Iraq o dal Kuwait, b) la vendita o la fornitura di qualsiasi
prodotto, indipendentemente dall'origine o dalla provenienza dello stesso, a
qualsiasi persona fisica o giuridica che si trovasse in Iraq o in Kuwait o a qualsiasi
altra persona fisica o giuridica per qualsiasi attività commerciale condotta nel o a
partire dal territorio dell'Iraq o del Kuwait e c) qualsiasi attività che avesse per
scopo o per effetto di favorire tali vendite o forniture.
- 8.
- Come risulta dal fascicolo, il 16 settembre 1990 il «consiglio superiore della
rivoluzione della Repubblica irachena», facendo riferimento a «decisioni arbitrarie
di taluni governi», adottava, con effetto retroattivo al 6 agosto 1990, la legge n. 57,
relativa alla tutela del patrimonio, degli interessi e dei diritti iracheni all'interno e
all'esterno dell'Iraq (in prosieguo: la «legge n. 57»). L'art. 7 di questa legge
congelava tutti i beni e gli averi nonché i redditi che essi producevano, di cui
disponevano all'epoca dei fatti i governi, imprese, società e banche degli Stati che
hanno adottato le dette «decisioni arbitrarie» contro l'Iraq.
- 9.
- Non avendo ricevuto dalle autorità irachene il pagamento dei suoi crediti,
riconosciuti nelle lettere soprammenzionate del ministero iracheno del 5 e 6
febbraio 1990 (v. supra, punto 3), la ricorrente si rivolgeva, con lettere in data 4
agosto 1995, al Consiglio e alla Commissione, chiedendo loro di risarcirla del danno
che essa avrebbe subito per il fatto che tali crediti erano divenuti irrecuperabili a
causa dell'applicazione della legge n. 57, in quanto questa legge sarebbe stata
adottata come contromisura all'adozione da parte della Comunità del regolamento
n. 2340/90. In queste lettere, la ricorrente sosteneva che il legislatore comunitario
era tenuto ad indennizzare gli operatori colpiti dall'istituzione dell'embargo contro
l'Iraq e che il fatto di aver omesso di farlo faceva sorgere la responsabilità della
Comunità ai sensi dell'art. 215, secondo comma, del Trattato CE. Essa aggiungeva
che a titolo di misura precauzionale aveva registrato i suoi crediti nei confronti
dell'Iraq presso l'United Nations Iraq Claims Compensation Commission.
- 10.
- Con lettera 20 settembre 1995 il Consiglio rifiutava di accogliere la domanda di
risarcimento della ricorrente.
- 11.
- Conseguentemente, con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 6 ottobre
1995, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.
- 12.
- Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di
passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria. Nell'ambito delle misure di
organizzazione del procedimento, le parti sono state tuttavia invitate a rispondere
a taluni quesiti scritti.
- 13.
- Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti orali del Tribunale sono state
sentite nel corso dell'udienza che si è tenuta il 19 giugno 1997.
Conclusioni delle parti
- 14.
- La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
condannare la Comunità a versarle 2 279 859,69 DM oltre agli interessi al
tasso annuo dell'8% a decorrere dal 9 agosto 1990, a titolo di corrispettivo
della cessione del saldo del credito dello stesso importo che essa detiene nei
confronti dell'Iraq;
condannare i convenuti alle spese;
dichiarare la sentenza esecutiva;
in subordine, dichiarare la sentenza provvisoriamente esecutiva su
presentazione di una garanzia bancaria.
- 15.
- Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:
dichiarare il ricorso irricevibile;
altrimenti, respingerlo in quanto infondato;
condannare la ricorrente alle spese.
- 16.
- La Commissione conclude che il Tribunale voglia:
respingere il ricorso in quanto infondato;
condannare la ricorrente alle spese.
Sulla ricevibilità
Motivi e argomenti delle parti
- 17.
- Il Consiglio, senza sollevare formalmente un'eccezione d'irricevibilità ai sensi
dell'art. 114, n. 1, del regolamento di procedura, sostiene che il ricorso è
irricevibile, poiché la responsabilità della Comunità non può sorgere per il danno
che la ricorrente asserisce di aver subito (sentenza della Corte 26 novembre 1975,
causa 99/74, Grands moulins des Antilles/Commissione, Racc. pag. 1531).
- 18.
- In primo luogo, il Consiglio sostiene che all'origine del danno allegato non vi è il
regolamento n. 2340/90, bensì la legge n. 57. Contrariamente a quanto sostiene la
ricorrente, l'adozione di questa legge non sarebbe una «reazione diretta»
all'adozione del regolamento n. 2340/90, ma, come risulterebbe dal suo preambolo,
una reazione contro le «decisioni arbitrarie» adottate da «taluni governi». Secondo
il Consiglio le risoluzioni nn. 660 (1990) e 661 (1990) del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite avrebbero, in realtà, portato all'adozione della legge n. 57. Alla
luce di queste considerazioni, il fatto che l'embargo decretato dal Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite nei confronti dell'Iraq sia stato giustificato dal
comportamento illecito di quest'ultimo (invasione del Kuwait) impedirebbe di
stabilire un nesso obiettivo tra l'adozione del regolamento n. 2340/90 e l'adozione
da parte dell'Iraq, come contromisura, della legge n. 57 e, pertanto, di ammettere
l'esistenza di un nesso di causalità tra il regolamento comunitario e il danno fatto
valere dalla ricorrente.
- 19.
- In secondo luogo, il Consiglio solleva la questione se i crediti della ricorrente verso
le autorità irachene costituissero «averi» che sarebbero stati congelati in forza
dell'art. 7 della legge n. 57 (v. supra, punto 8). In particolare, la ricorrente non
avrebbe dimostrato che, in applicazione della legge n. 57, la banca Rafidian aveva
rifiutato di dare esecuzione agli ordini di pagamento dati dal ministero iracheno.
Il Consiglio sottolinea che gli ordini di pagamento di cui trattasi erano stati dati con
lettere del ministero iracheno in data 5 e 6 febbraio 1990, cioè molto prima
dell'adozione della legge n. 57, intervenuta nel settembre 1990.
- 20.
- In terzo luogo, il Consiglio sostiene che, anche nell'ipotesi in cui in applicazione
della legge n. 57 le autorità irachene avessero rifiutato di onorare i loro debiti nei
confronti della ricorrente, in mancanza di qualsiasi misura comunitaria o nazionale
che vietasse il trasferimento dei fondi verso la Germania a partire dall'Iraq, solo
questa legge è all'origine del danno allegato dalla ricorrente. La situazione della
ricorrente sarebbe pertanto diversa da quella di altri operatori tedeschi che hanno
subito un danno a causa delle misure nazionali tedesche che vietano, in conformità
al regolamento n. 2340/90, qualsiasi transazione commerciale con l'Iraq.
- 21.
- La Commissione, dal canto suo, ritiene che la giurisprudenza della Corte in materia
di responsabilità extracontrattuale non consenta, in via di principio, la proposizione,
sulla base degli artt. 178 e 215, secondo comma, del Trattato, di un ricorso per
responsabilità extracontrattuale della Comunità derivante da atto lecito. Tuttavia,
essa ritiene che dovrebbe esservi un fondamento giuridico nel Trattato checonsenta a un privato di far valere la responsabilità della Comunità derivante da
atto lecito.
- 22.
- La ricorrente sostiene che il suo ricorso è ricevibile e che le considerazioni di
diritto e di fatto svolte dal Consiglio, ed in particolare quelle relative all'assenza di
nesso di causalità tra l'adozione del regolamento n. 2340/90 e l'impossibilità di
recuperare i suoi crediti verso le autorità irachene, attengono al merito e non alla
ricevibilità del ricorso.
Giudizio del Tribunale
- 23.
- Il Tribunale rileva che la ricorrente descrive nel suo ricorso, in maniera chiara, il
carattere e l'entità del danno fatto valere, nonché i motivi per cui essa ritiene che
esista un nesso di causalità tra questo danno e l'adozione del regolamento
n. 2340/90. Pertanto, il ricorso contiene elementi sufficienti per soddisfare i requisiti
di ricevibilità posti dall'art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura e dalla
giurisprudenza, in quanto gli argomenti del Consiglio relativi all'esistenza e alla
natura del danno fatto valere e al nesso di causalità rientrano nella valutazione del
merito del ricorso e devono di conseguenza essere esaminati nell'ambito di
quest'ultimo. Ne deriva che il ricorso dev'essere dichiarato ricevibile (sentenze del
Tribunale 16 aprile 1997, causa T-554/93, Saint e Murray/Consiglio e Commissione,
Racc. pag. II-563, punto 59, e 10 luglio 1997, causa T-38/96, Guérin
automobiles/Commissione, Racc. pag. II-1223, punto 42).
Nel merito
- 24.
- La ricorrente sostiene che, in quanto la legge n. 57 trova la sua origine
nell'adozione del regolamento n. 2340/90, che ha istituito un embargo contro l'Iraq,
la Comunità è tenuta a risarcirla del danno subito a causa del rifiuto delle autorità
irachene di onorare i loro debiti nei suoi confronti. Essa sostiene che la
responsabilità della Comunità per il danno così subito va ravvisato, in via
principale, in base al principio della responsabilità della Comunità derivante da atto
lecito, a causa di una lesione dei suoi diritti patrimoniali equivalente a
un'espropriazione, e, in subordine, in base al principio della responsabilità della
Comunità derivante da atto illecito, in quanto l'illegittimità di cui trattasi
consisterebbe nella fattispecie nell'omissione del legislatore comunitario di
prevedere, all'atto dell'adozione del regolamento n. 2340/90, un indennizzo per i
danni causati da questo regolamento alle imprese interessate.
Sulla responsabilità della Comunità derivante da atto lecito
Argomenti delle parti
Sul fondamento della responsabilità della Comunità derivante da atto lecito
- 25.
- La ricorrente sostiene, in via preliminare, che, ai sensi dell'art. 1 del protocollo
aggiuntivo n. 1, allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), nonché in base
ai principi generali di diritto internazionale relativi all'obbligo di indennizzare le
lesioni del diritto di proprietà, l'art. 14, n. 3, del Grundgesetz (Costituzione tedesca)
prevede che un'espropriazione decisa nell'interesse generale può essere disposta
solo dietro pagamento di un indennizzo. Secondo la ricorrente, questa stessa norma
si applica anche nel caso di «una lesione equivalente ad un'espropriazione» o,
secondo la giurisprudenza tedesca, vi è obbligo di versamento di un indennizzo
quando atti statali leciti, pur non costituendo un provvedimento formale di
espropriazione, abbiano tuttavia come conseguenza accessoria la lesione di diritti
patrimoniali.
- 26.
- Del resto, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo
risulterebbe che i crediti rientrano anch'essi nella nozione di proprietà tutelata
contro lesioni equivalenti ad un'espropriazione ai sensi dell'art. 1, del protocollo
n. 1 della CEDU (sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 9 dicembre
1994, Raffinerie greche Stan e Stratis Andreadis/Grecia). La stessa soluzione
sarebbe inoltre sancita dalla giurisprudenza in materia di diritto internazionale
pubblico nonché dal diritto degli Stati membri.
- 27.
- Sulla scorta di queste considerazioni, la ricorrente sostiene che il fatto che i suoi
crediti preesistenti e non contestati siano divenuti irrecuperabili in applicazione
della legge n. 57, adottata a titolo di provvedimento di ritorsione contro l'istituzione
di un embargo contro l'Iraq avvenuta con il regolamento n. 2340/90, le ha causato
un danno reale che deve essere risarcito dalla Comunità.
- 28.
- Essa sostiene che la sua domanda di risarcimento per lesione lecita dei suoi diritti
patrimoniali è giustificata dalla considerazione che il suo contributo ai costi della
politica di embargo applicata dalla Comunità non deve essere più oneroso di quello
degli altri contribuenti comunitari, che dovrebbero anch'essi sopportare questi costi,
in conformità al principio della parità di trattamento (sentenza della Corte 5 marzo
1980, causa 265/78, Ferwerda, Racc. pag. 617, in particolare pag. 628).
- 29.
- All'argomento dei convenuti secondo cui si tratterebbe, nella fattispecie, di un
provvedimento comunitario che rientra nelle scelte di politica economica, di modo
che il danno che essa fa valere non supererebbe i limiti inerenti ai rischi dell'attività
economica nel campo di cui trattasi e non riguarderebbe nemmeno la sua esistenza
in quanto impresa, la ricorrente replica che la questione se l'embargo istituito
contro l'Iraq costituisca una misura di politica economica o di politica di sicurezza,
che minaccia la sua esistenza, sia senza rilevanza poiché nella fattispecie non si
tratta di perdite economiche future, ma di una lesione di diritti di proprietà
preesistenti. Per quanto riguarda la questione se, nel prestare servizi in Iraq, si
fosse coscientemente assunta il rischio di non poter recuperare, successivamente,
i suoi crediti, essa fa presente che il contratto che ha concluso nel 1975 con le
autorità irachene è precedente di quattro anni l'avvento del regime attuale dell'Iraq
e di cinque anni la guerra tra l'Iraq e l'Iran.
- 30.
- Il Consiglio sostiene, in via preliminare, che le condizioni perché sussista
responsabilità della Comunità derivante da atto lecito devono essere più restrittive
di quelle che si applicano nell'ambito della responsabilità derivante da atto illecito.
- 31.
- Essa osserva che, secondo la giurisprudenza in materia, perché sussista la
responsabilità derivante da atto lecito occorre o che un singolo sopporti,
nell'interesse generale, un onere che normalmente non gli incombe (sentenza della
Corte 24 giugno 1986, causa 267/82, Développement SA e Clemessy/Commissione,
Racc. pag. 1907) o che un gruppo specifico di imprese specializzate in taluni
prodotti si assuma una parte sproporzionata degli oneri derivanti dall'adozione, da
parte della Comunità, di talune misure economiche (sentenza della Corte 29
settembre 1987, causa 81/86, De Boer Buizen/Consiglio e Commissione, Racc. pag.
3677).
- 32.
- Ora, secondo il Consiglio, nessuna di queste condizioni sarebbe soddisfatta nella
fattispecie. Per quanto riguarda l'affermazione della ricorrente, secondo cui non
sarebbe ammissibile che essa contribuisca più degli altri operatori economici ai
costi della politica di embargo contro l'Iraq, per il semplice fatto che i suoi crediti
non erano stati ancora saldati al momento dell'attuazione di questa politica, il
Consiglio replica che non spetta alla Comunità porre riparo alla «cattiva sorte»
degli operatori impegnati in operazioni commerciali che comportano rischi
economici.
- 33.
- La Commissione sostiene che il concetto di diritto tedesco di «sacrificio
particolare» («Sonderopfer»), sul quale la ricorrente basa la sua domanda di
risarcimento, presuppone che un privato abbia subito un danno specifico e non è
trasponibile, in quanto tale, al diritto comunitario. Inoltre, sarebbe dubbio che la
ricorrente possa essere considerata far parte di un gruppo di imprese
sufficientemente definito che abbiano sopportato un «sacrificio particolare», ai
sensi di questa teoria.
- 34.
- La Commissione sottolinea che i riferimenti fatti dalla ricorrente alla
giurisprudenza tedesca riguardano lesioni arrecate alla proprietà fondiaria o
commerciale a causa dell'adozione di provvedimenti statali in materia di
costruzione o di riaccorpamento di terreni e non sono quindi comparabili al caso
di specie. Inoltre, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in
materia di protezione del diritto di proprietà, citata dalla ricorrente (v. supra,
punto 29), riguarderebbe in effetti la privazione diretta della proprietà mediante
atti dei pubblici poteri e non le conseguenze indirette di atti giuridici leciti adottati
dalla Comunità, come è il caso nella fattispecie.
- 35.
- Inoltre, come risulterebbe dalla giurisprudenza in materia, la responsabilità della
Comunità derivante da atto lecito potrebbe sussistere solo se il danno fatto valere
non fosse prevedibile o non potesse essere evitato da un operatore economico
avveduto. Ora, la prevedibilità dell'insolvibilità e/o del rifiuto di pagamento dell'Iraq
sarebbe, nella fattispecie, manifesta, tenuto conto, da un lato, del contesto generale
e, dall'altro, della situazione particolare di questo paese. Secondo la Commissione,
imprese come la ricorrente, che non avevano potuto ottenere garanzie offerte da
organismi pubblici o da compagnie di assicurazione intese a coprire i rischi
derivanti da operazioni commerciali con paesi considerati «ad alto rischio» non
avrebbero fatto che accettare consapevolmente i rischi accresciuti che ne
derivavano.
- 36.
- Infine, la ricorrente non avrebbe fatto valere alcuna circostanza tale da
pregiudicare seriamente il suo funzionamento e da mettere in causa la sua
sopravvivenza in quanto impresa (v. conclusioni dell'avvocato generale Lenz per la
sentenza della Corte 11 marzo 1987, cause riunite 279/84, 280/84, 285/84 e 286/84,
Racc. pag. 1069, in particolare pagg. 1084, 1114).
Sul nesso di causalità
- 37.
- La ricorrente sostiene che il danno allegato è causato dall'adozione del
regolamento n. 2340/90 che ha istituito un embargo contro l'Iraq, poiché il rifiuto
delle autorità irachene di pagarle i suoi crediti sarebbe stato opposto in conformità
alla legge n. 57, adottata come contromisura all'adozione del detto regolamento.
Contrariamente a quanto sostiene il Consiglio, l'adozione da parte dell'Iraq della
legge n. 57 non costituirebbe una conseguenza «remota» ai sensi della
giurisprudenza (sentenza della Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76, 113/76,
167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier Frères/Consiglio, Racc. pag. 3091),
ma una conseguenza tipica e prevedibile di un atto recante applicazione di un
embargo.
- 38.
- A tal riguardo, la ricorrente sostiene che, all'atto dell'adozione del regolamento
n. 2340/90, sia la Commissione sia il Consiglio avrebbero effettivamente preso in
considerazione i costi e le altre conseguenze derivanti dall'eventuale sospensione
da parte dell'Iraq del pagamento dei suoi debiti scaduti nei confronti di imprese
comunitarie. A sostegno di quest'affermazione, essa cita come testimoni l'ex
presidente della Commissione, il signor J. Delors, e l'ex presidente del Consiglio,
il signor De Michelis, e chiede al Tribunale di ordinare al Consiglio e alla
Commissione di presentare tutti gli atti preparatori del regolamento n. 2340/90
(sentenza del Tribunale 19 ottobre 1995, causa T-194/94, Carvel e Guardian
Newspapers/Consiglio, Racc. pag. II-2765).
- 39.
- La ricorrente ritiene che l'argomento dei convenuti secondo cui il danno fatto
valere non sarebbe dovuto all'adozione del regolamento n. 2340/90, ma al semplice
fatto che, fin da prima dell'adozione di tale regolamento, e anche prima
dell'invasione del Kuwait il 2 agosto 1990, l'Iraq non era in grado di pagare i suoi
debiti, sia contraddetto dal fatto che, nell'aprile e nel maggio 1990, le autorità
irachene le avrebbero già versato un importo di circa 200 000 DM a titolo di
pagamento dei servizi prestati. Inoltre, il ritardo con cui le autorità irachene
avrebbero proceduto al pagamento in valuta delle diverse fatture si spiegherebbe
unicamente con le difficoltà burocratiche incontrate dall'amministrazione irachena
e non con l'asserita insolvibilità dell'Iraq.
- 40.
- La ricorrente respinge l'argomento del Consiglio secondo cui l'impossibilità di
recuperare i suoi crediti non sarebbe dovuta al regolamento n. 2340/90, ma ad una
causa più remota, cioè l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, in violazione del
diritto internazionale pubblico. Il fatto che l'embargo comunitario contro l'Iraq sia
stato giustificato da un precedente comportamento illecito di questo Stato non
esclude l'obbligo della Comunità di indennizzare i terzi per una lesione equivalente
ad un'espropriazione. L'esistenza del nesso diretto fatto valere nella fattispecie non
sarebbe messa in discussione nemmeno dal fatto che il danno subito è dovuto ad
una causa illegittima, cioè la legge n. 57, adottata come contromisura ad un
precedente atto lecito, cioè l'adozione del regolamento n. 2340/90 (sentenza della
Corte 7 novembre 1985, causa 145/83, Adams/Commissione, Racc. pag. 3539).
- 41.
- Per quanto riguarda l'argomento del Consiglio secondo cui, in ultima analisi, le
risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sarebbero
all'origine del danno, la ricorrente replica che le risoluzioni del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite sono prive di efficacia diretta negli ordinamenti
giuridici degli Stati membri.
- 42.
- Per quanto riguarda la questione sollevata dai convenuti intesa ad accertare, da un
lato, se i crediti della ricorrente costituissero effettivamente un «avere» ai sensi
della legge n. 57 e, dall'altro, se questa legge sia sempre in vigore, la ricorrente
sostiene che quel che importa è unicamente il fatto che le autorità irachenecontinuino a rifiutare di onorare i loro debiti.
- 43.
- Infine, la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto fa valere il Consiglio, il
fatto che il regolamento n. 2340/90 riguardava unicamente le esportazioni ed
importazioni di merci, e non la prestazione di servizi, è irrilevante ai fini della
valutazione dell'esistenza del nesso di causalità, in quanto a causa dell'adozione di
questo regolamento le autorità irachene hanno rifiutato di pagare i loro crediti.
- 44.
- Il Consiglio sostiene che, anche se i crediti che la ricorrente detiene nei confronti
dell'Iraq dovessero essere considerati irrecuperabili e, pertanto, essa avesse subito
un danno, non vi sarebbe alcun nesso o, quanto meno, non vi sarebbe un nesso
«sufficientemente diretto» tra questo danno e l'adozione del regolamento
n. 2340/90.
- 45.
- Secondo il Consiglio, il rifiuto dell'Iraq di procedere al pagamento dei crediti della
ricorrente non sarebbe dovuto all'applicazione della legge n. 57, in quanto
contromisura al regolamento n. 2340/90, bensì alle difficoltà finanziarie in cui l'Iraq
si trovava a causa della sua politica di aggressione nei confronti degli Stati vicini.
Inoltre, poiché all'atto dell'adozione della legge n. 57 le autorità irachene non
avevano ancora effettuato il trasferimento dei fondi su un conto bancario della
ricorrente, nessun «bene» o «avere» appartenente alla ricorrente sarebbe stato
congelato nel senso stretto delle disposizioni di questa legge.
- 46.
- Nell'ipotesi in cui il danno fatto valere dalla ricorrente dovesse essere considerato
come conseguente all'applicazione della legge n. 57, il Consiglio ritiene che,
contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, non sarebbe solo il regolamento
n. 2340/90 all'origine dell'adozione di questa legge, ma le risoluzioni nn. 660 (1990)
e 661 (1990) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che hanno decretato
l'istituzione di un embargo contro l'Iraq che la Comunità era giuridicamente tenuta
ad applicare. Ne deriverebbe che l'adozione della legge n. 57 non potrebbe essere
considerata una conseguenza «sufficientemente diretta» dell'adozione del
regolamento n. 2340/90, ai sensi della giurisprudenza in materia.
- 47.
- Per il resto, il nesso di causalità asserito mancherebbe, dato che, in una prospettiva
storica dei fatti, la legge n. 57 non potrebbe essere considerata come una
«reazione» dell'Iraq ai provvedimenti di embargo decretati dal Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite e attuati dalla Comunità con il regolamento
n. 2340/90, poiché i provvedimenti contro l'Iraq sono stati adottati in seguito a
violazioni precedenti del diritto internazionale pubblico commesse da questo paese.
- 48.
- Infine, il Consiglio sostiene che, dato che l'oggetto del regolamento n. 2340/90 era
di vietare le importazioni e le esportazioni di merci e non di vietare agli operatori
economici comunitari di ricevere il pagamento dei crediti che essi avevano già nei
confronti delle autorità irachene, non vi sarebbe alcun nesso di causalità
sufficientemente diretto tra l'adozione di questo regolamento e il danno fatto
valere.
- 49.
- La Commissione sostiene che il danno fatto valere dalla ricorrente deriva
unicamente dalla legge n. 57, e non dall'adozione del regolamento n. 2340/90, in
quanto quest'ultimo è servito solo come pretesto per la sospensione da parte
dell'Iraq del pagamento dei suoi debiti, a causa delle difficoltà che esso incontrava
e della cattiva situazione finanziaria in cui si trovava a causa delle sue attività di
guerra nella regione e della sua politica di riarmo.
- 50.
- Inoltre, dagli artt. 5 e 7 della legge n. 57 risulterebbe che l'Iraq non ha rifiutato
definitivamente di procedere al pagamento dei crediti della ricorrente, il che
spiegherebbe perché la ricorrente abbia proposto ai convenuti di cedere loro i suoi
crediti in contropartita di un indennizzo, di modo che, anche per tale motivo, non
vi sarebbe alcun nesso diretto tra il danno fatto valere ed il regolamento n. 2340/90.
In ogni caso, anche se l'esistenza di un nesso di causalità indiretto potesse essere
sufficiente per far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità, un
tale nesso sarebbe nondimeno privo di pertinenza nel caso in cui, come nella
fattispecie, esso riguardi un comportamento lecito (l'adozione da parte del
Consiglio del regolamento n. 2340/90) che ha dato luogo successivamente ad un
comportamento illecito da parte di un terzo (l'adozione da parte dell'Iraq della
legge n. 57).
- 51.
- La Commissione aggiunge che, con lettera indirizzata al presidente del Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite il 28 febbraio 1991, l'Iraq ha formalmente
riconosciuto la legittimità della risoluzione n. 660 (1990) del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite, nonché quella delle altre risoluzioni che hanno comportato
l'adozione della legge n. 57, e che questa legge è stata alla fine abrogata il 3 marzo
1991, di modo che la ricorrente, a decorrere da tale data, sarebbe in grado di
chiedere alle autorità irachene il pagamento dei suoi crediti.
- 52.
- Per quanto riguarda la domanda di audizione come testimoni del suo ex presidente
e dell'ex presidente del Consiglio, la Commissione sottolinea che essa sarebbe priva
d'interesse, dato che le prove che la ricorrente deve fornire non potrebbero
consistere in dichiarazioni rese dalle persone in questione.
Sul danno
- 53.
- La ricorrente sostiene di aver subito un danno «effettivo», nel senso della
giurisprudenza in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità, per
il fatto che i suoi crediti nei confronti dell'Iraq sono divenuti irrecuperabili in
seguito all'adozione del regolamento n. 2340/90. Il fatto di proporre ai convenuti
di cedere loro i suoi crediti, in contropartita dell'indennizzo richiesto, non
inciderebbe sull'esistenza del danno, ma mirerebbe unicamente ad evitare per lei
un arricchimento senza causa. Nel caso in cui i convenuti intendessero mettere in
discussione sia l'esistenza dei suoi crediti verso l'Iraq sia l'impossibilità del loro
recupero, la ricorrente propone come prova talune attestazioni che potrebbero
fornire il suo direttore commerciale, il signor Hartwig von Bredow, e il suo
rappresentante in quel periodo a Badgad, il signor Wolfgang Johner. Essa precisa
che, se non ha fornito chiarimenti circa i motivi per cui le autorità irachene hanno
rifiutato di procedere al pagamento dei suoi crediti, è perché non ne ha ricevuto
alcuno, tanto più che l'embargo comunitario sulla prestazione di servizi in Iraq
[regolamento (CEE) del Consiglio 29 ottobre 1990, n. 3155, che amplia e modifica
il regolamento n. 2340/90 (GU L 304, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento
n. 3155/90»] le impediva di conferire qualsiasi mandato a rappresentanti legali in
Iraq.
- 54.
- La ricorrente stima l'ammontare del danno subito a 2 279 859,69 DM, somma che
corrisponderebbe ai crediti che il ministero iracheno aveva riconosciuto con le sue
lettere in data 5 e 6 febbraio 1990, ordinando il loro pagamento, ma che non le
sono mai pervenuti.
- 55.
- Essa sostiene che, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo, la fissazione dell'importo del suo indennizzo dovrebbe portare ad
un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della Comunità, da un
lato, e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali del singolo,
dall'altro. Essa ritiene che ciò non escluda tuttavia il fatto che l'indennizzo possa
coprire l'importo totale dei crediti resi irrecuperabili a causa dell'adozione di una
misura statale, ivi compresi tutti gli interessi dovuti a decorrere dalla data in cui tali
crediti sono sorti (sentenza Raffinerie greche Stan e Stratis Andreadis/Grecia,
citata). Il diritto tedesco consentirebbe, infatti, di ottenere l'indennizzo di tutte le
perdite finanziarie causate da una «lesione equivalente ad un'espropriazione». Lo
stesso varrebbe per la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. La
Comunità dovrebbe pertanto essere condannata a versarle, dietro cessione dei
crediti che essa detiene verso l'Iraq, un indennizzo corrispondente all'importo di
questi crediti, ivi compresi gli interessi dovuti. Tuttavia, essa non esclude che
l'indennizzo chiesto possa essere ridotto in funzione delle circostanze del caso di
specie.
- 56.
- Il Consiglio sostiene che le misure adottate dall'Iraq, e in particolare la legge n. 57,
hanno avuto come effetto di ritardare solo il pagamento dei crediti della ricorrente,
di modo che, dal punto di vista giuridico, la ricorrente non avrebbe subito un danno
«effettivo» ai sensi della giurisprudenza in materia, il che risulterebbe del resto dal
fatto che quest'ultima sarebbe pronta a cedere i suoi crediti alle istituzioni
comunitarie contro un indennizzo del danno che asserisce di aver subito.
- 57.
- Inoltre, dalla lettera che la ricorrente gli ha inviato il 4 agosto 1994 risulterebbe che
quest'ultima avrebbe registrato i suoi crediti presso le autorità amministrative
competenti in Germania, per poterli far valere dinanzi alla Claims Commission,
istituita dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (in prosieguo: l'«ONU») al fine
di risolvere la questione dei danni economici subiti dagli operatori a causa
dell'istituzione dell'embargo contro l'Iraq, il che dimostrerebbe che l'esistenza di
un danno per la ricorrente dipende in definitiva dall'eventuale rimozione da parte
dell'ONU dell'embargo contro l'Iraq.
- 58.
- La Commissione sostiene che l'importo preciso del danno subito non è attualmente
dimostrato poiché, da un punto di vista giuridico, i crediti della ricorrente non
hanno cessato di esistere e respinge la proposta della ricorrente di cedere i suoi
crediti in contropartita di un indennizzo concesso dalla Comunità.
Giudizio del Tribunale
- 59.
- In via preliminare, il Tribunale ricorda, in primo luogo, che il sorgere della
responsabilità extracontrattuale della Comunità derivante da atto illecito o
derivante da atto lecito presuppone, in ogni caso, che sia provata l'effettività del
danno assertivamente subito e l'esistenza di un nesso di causalità tra il danno e
l'atto (sentenze della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici
Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16, e del Tribunale 13 dicembre 1995,
cause riunite T-481/93 e T-484/93, Exporteurs in Levende Varkens e
a./Commissione, Racc. pag. II-2941, punto 80; 11 luglio 1996, causa T-175/94,
International Procurement Services/Commissione, Racc. pag. II-729, punto 44; 16
ottobre 1996, causa T-336/94, Efisol/Commissione, Racc. pag. II-1343, punto 30; 11
luglio 1997, causa T-267/94, Oleifici italiani/Commissione, Racc. pag. II-1239, punto
20, e 29 gennaio 1998, causa T-113/96, Dubois e Fils/Consiglio e Commissione,
Racc. pag. II-0000, punto 54). In secondo luogo, trattandosi, come nella fattispecie,
di responsabilità della Comunità derivante da atto lecito, il Tribunale rileva che
dalla giurisprudenza in materia risulta che, nell'ipotesi dell'ammissione in diritto
comunitario di un tale principio, il sorgere di una tale responsabilità presuppone
in ogni caso l'esistenza di un danno «anormale» e «speciale» (sentenze della Corte
13 giugno 1972, cause riunite 9/71 e 11/71, Compagnie d'approvisionnement et
grands moulins de Paris/Commissione, Racc. pag. 391, punti 45 e 46, 6 dicembre
1984, causa 59/83, Biovilac/CEE, Racc. pag. 4057, punto 28, Développement SA e
Clemessy/Commissione, citata, punto 33, e De Boer Buizen/Consiglio e
Commissione, citata, punti 16 e 17). Occorre quindi esaminare se il danno allegato
esista, nel senso che si tratti di un danno «effettivo e certo», se esso sia
conseguenza diretta dell'adozione da parte del Consiglio del regolamento
n. 2340/90 e se tale danno possa far sorgere la responsabilità della Comunità
derivante da atto lecito, ai sensi della giurisprudenza soprammenzionata.
Sull'esistenza del danno allegato
- 60.
- Per quanto riguarda la questione se la ricorrente abbia effettivamente subito un
danno «reale e certo» ai sensi della giurisprudenza in materia (sentenze della
Corte 27 gennaio 1982, cause riunite 256/80, 257/80, 265/80, 267/80, e 5/81, Birra
Wührer e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 85, punto 9, e causa 51/81, De
Franceschi/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 117, punto 9; sentenze del
Tribunale 16 gennaio 1996, causa T-108/94, Candiotte/Consiglio, Racc. pag. II-87,
punto 54, 12 dicembre 1996, causa T-99/95, Stott/Commissione, Racc. pag. II-2227,
punto 72, e 11 luglio 1997, Oleifici Italiani/Commissione, citata, punto 74), cioè se
i crediti che essa detiene nei confronti dell'Iraq siano divenuti definitivamente
irrecuperabili, il Tribunale rileva in via preliminare che, secondo una giurisprudenza
consolidata, spetta alla ricorrente fornire elementi di prova al giudice comunitario
al fine di dimostrare l'esistenza del danno che essa sostiene di aver subito (sentenza
del Tribunale 9 gennaio 1996, causa T-575/93, Koelman/Commissione, Racc. pag.
II-1, punto 97).
- 61.
- Ora, occorre constatare che nella fattispecie, anche se è pacifico tra le parti il fatto
che i crediti della ricorrente non sono stati ancora pagati, gli elementi di prova
forniti da quest'ultima non sono tuttavia idonei a dimostrare, in modo
sufficientemente chiaro, che ad essa sia stato opposto da parte delle autorità
irachene, un rifiuto definitivo di pagare i loro debiti, motivato con l'adozione del
regolamento n. 2340/90. Infatti, la ricorrente non ha fornito elementi di prova da
cui risulti che essa abbia effettivamente contattato, o quanto meno cercato di
contattare, le autorità statali irachene interessate o la banca Rafidian, al fine di
chiarire i motivi per cui gli ordini di pagamento dei suoi crediti, dati alla banca
Rafidian con lettere del 5 e 6 febbraio 1990 del ministero iracheno, non erano stai
ancora eseguiti.
- 62.
- A tal riguardo, il Tribunale, nell'ambito delle misure di organizzazione del
procedimento, ha invitato la ricorrente a produrre in giudizio lo scambio di
corrispondenza che essa ha eventualmente intrattenuto con le autorità irachene
circa il pagamento dei suoi crediti. Nelle sue risposte scritte ai quesiti delTribunale, la ricorrente ha ammesso di non aver scambiato alcuna corrispondenza
con le autorità irachene, sottolineando che non era nel suo interesse «mettere in
discussione con una nuova corrispondenza il carattere vincolante degli ordini dati
il 5 e il 6 febbraio dal Ministry of Housing and reconstruction e la banca Rafidian»
e che «sarebbe stato del resto inammissibile, e quindi controproducente, cercare
di accelerare con prese di posizione scritte l'esecuzione interna degli ordini del
ministero». Ora, il fatto che la ricorrente non abbia ritenuto utile o opportuno
cercare «di accelerare l'esecuzione amministrativa interna degli ordini del ministero
iracheno» non può essere sufficiente di per sé solo a corroborare la sua
affermazione secondo cui le autorità irachene hanno definitivamente rifiutato il
pagamento dei suoi crediti. Di conseguenza, non può essere escluso che il mancato
pagamento dei suoi crediti sia dovuto ad un semplice ritardo di natura
amministrativa, ad un rifiuto temporaneo di pagamento o ad un'insolvibilità
temporanea o permanente dell'Iraq.
- 63.
- Questa conclusione non può essere messa in discussione dalla lettera 10 ottobre
1990, inviata dal ministro iracheno alla ricorrente e che quest'ultima ha presentato
all'udienza del 19 giugno 1997, da cui risulta, secondo la ricorrente, che il ministro
iracheno ha lasciato intendere, «in un linguaggio diplomatico», che i suoi crediti
non sarebbero stati pagati finché l'embargo comunitario contro l'Iraq sarebbe
rimasto in vigore. Infatti, questa lettera, inviata alla ricorrente «in occasione della
dichiarazione di unione della Repubblica federale di Germania e della Repubblica
democratica tedesca», non fa riferimento ai rapporti contrattuali della ricorrente
con le autorità irachene derivanti dal contratto del 1975 né, a fortiori, alla sorte dei
crediti di quest'ultima, ma si limita a dichiarazioni di natura generale concernenti
il contributo che le imprese tedesche potrebbero apportare allo «sviluppo di una
fruttuosa cooperazione bilaterale» tra la Germania e l'Iraq e i danni causati a
questi rapporti dall'embargo e «le minacce gravanti sull'Iraq».
- 64.
- Inoltre, se la ricorrente ha fatto riferimento, nelle sue risposte scritte al predetto
quesito del Tribunale, a taluni rapporti riservati che il direttore aggiunto della sua
succursale in Iraq avrebbe redatto, da cui risulta che le autorità irachene
continuano a rifiutare il pagamento dei suoi debiti a causa del mantenimento
dell'embargo comunitario, occorre rilevare che essa non ha presentato copie di
questi rapporti dinanzi al Tribunale.
- 65.
- In ogni caso, anche supponendo che, come la ricorrente ha sostenuto nel ricorso,
il rifiuto del pagamento da parte dell'Iraq dei suoi crediti derivi dall'adozione della
legge n. 57, che ha congelato tutti i beni delle imprese stabilite negli Stati i cui
governi avevano adottato «decisioni arbitrarie» nei suoi confronti, quali il
regolamento n. 2340/90, questa legge, come hanno sottolineato i convenuti nelle
loro memorie, è stata alla fine abrogata il 3 marzo 1991. Ne deriva che, quanto
meno a decorrere da questa data, non vi dovevano essere, in via di principio,
ostacoli giuridici che impedissero alle autorità irachene di procedere al pagamento
dei crediti della ricorrente. Il Tribunale, nell'ambito delle misure di organizzazione
del procedimento che ha disposto, ha invitato la ricorrente a precisare se avesse
effettuato le azioni necessarie, in seguito all'abrogazione della legge n. 57, al fine
di ottenere il pagamento dei suoi crediti e i motivi per cui questi ultimi rimanessero
insoluti nonostante quest'abrogazione. Nella sua risposta scritta, la ricorrente ha
precisato, così come aveva del resto fatto per la prima volta nella replica, che la
legge n. 57 non può essere considerata la causa del rifiuto di pagamento opposto
dall'Iraq, ma piuttosto come un indizio di questo rifiuto nel senso che, in quanto
debitore, l'Iraq non aveva bisogno di un fondamento giuridico per non conformarsi
ai suoi obblighi contrattuali. Ora, anche supponendo in definitiva che non sia a
causa dell'adozione della legge n. 57 che l'Iraq ha rifiutato il pagamento dei crediti
della ricorrente, il che, in ogni caso è in contraddizione con la tesi che essa ha
svolto nel suo ricorso, ciononostante si tratta nella fattispecie di un'affermazione
che non ha alcun sostegno, in quanto, come è stato appena esposto, questa non
dimostra il carattere definitivo del rifiuto di pagamento e non chiarisce i motivi che
giustificano questo rifiuto nonostante l'abrogazione della legge n. 57
- 66.
- Inoltre, il Tribunale rileva che, come risulta dal fascicolo, la ricorrente non ha
neanche cercato di ricorrere ai rimedi contrattuali previsti a tal fine dal contratto
che essa aveva sottoscritto con il ministero iracheno il 30 gennaio 1975 per ottenere
una presa di posizione definitiva da parte delle autorità irachene circa il mancato
pagamento dei suoi crediti. Infatti, secondo l'articolo X di tale contratto (v. supra,
punto 2), in caso di divergenze concernenti l'interpretazione delle sue disposizioni
o di mancata esecuzione degli obblighi che ne derivano, i contraenti dovevano
cercare di trovare una soluzione accettabile mediante mezzi di concertazione e, in
mancanza di una tale soluzione, portare la loro controversia dinanzi al Planning
Board, senza che ciò li privasse, tuttavia, del loro diritto di portare anche questa
stessa controversia dinanzi ai tribunali iracheni competenti (nn. 1 e 2 dell'articolo X
di tale contratto). Come la ricorrente ha chiarito all'udienza del 19 giugno 1997,
l'embargo comunitario concernente la prestazione di servizi in Iraq e in Kuwait,
istituito dal regolamento n. 3155/90, le impediva di far ricorso ad avvocati o a
rappresentanti legali iracheni. Ora, anche se non può essere escluso che, tenuto
conto della situazione interna in Iraq dopo la fine della guerra del Golfo, il ricorso
delle imprese straniere agli avvocati iracheni al fine di risolvere le controversie che
le opponevano alle autorità irachene fosse difficile, ciononostante, contrariamente
a quanto sostiene la ricorrente, una tale difficoltà non risulta dal regolamento
n. 3155/90, poiché quest'ultimo ha unicamente vietato, nella Comunità o a partire
dal suo territorio, la prestazione di servizi forniti a persone fisiche in Iraq o a
imprese registrate in questo paese avente ad oggetto o per effetto di favorire
l'economia dell'Iraq e non la prestazione di servizi forniti in Iraq a terzi da persone
fisiche o giuridiche stabilite in questo paese (art. 1 del regolamento).
- 67.
- Infine, il fatto che la ricorrente proponga ai convenuti di cedere loro i crediti che
essa detiene nei confronti dell'Iraq in cambio del pagamento dell'importo
corrispondente impedisce, in mancanza di prove del contrario, di considerare che
questi crediti siano effettivamente divenuti definitivamente irrecuperabili.
- 68.
- Da quanto precede risulta che la ricorrente non ha potuto dimostrare
sufficientemente in diritto di aver subito un danno reale e certo ai sensi della
giurisprudenza soprammenzionata (v. supra, punto 60).
- 69.
- Tuttavia, anche supponendo che il danno fatto valere dalla ricorrente possa essere
considerato «reale e certo», la responsabilità della Comunità derivante da atto
lecito sorgerebbe solo se esiste un nesso di causalità tra il regolamento n. 2340/90
e tale danno. Tenuto conto degli aspetti specifici del presente ricorso, il Tribunale
ritiene che occorra esaminare quest'ipotesi e di verificare l'esistenza, nella
fattispecie, di un tale nesso di causalità.
Sul nesso di causalità
- 70.
- Dagli argomenti della ricorrente emerge che, in quanto i suoi crediti sono divenuti
irrecuperabili a causa dell'adozione da parte dell'Iraq della legge n. 57, a titolo di
contromisura, prevedibile e diretta, all'adozione del regolamento n. 2340/90 che
applicava nei suoi confronti un embargo commerciale, il danno che essa asserisce
di aver subito deve, in definitiva, essere imputato alla Comunità. Occorre quindi
esaminare, innanzi tutto, se i crediti che la ricorrente ha nei confronti dell'Iraq
siano divenuti irrecuperabili a causa dell'adozione della legge n. 57 e, in caso di
soluzione affermativa, se l'adozione di questa legge nonché il conseguente rifiuto
delle autorità irachene di pagare i detti crediti derivino direttamente dall'adozione
del regolamento n. 2340/90 (v. sentenza International Procurement
Services/Commissione, citata, punto 55).
- 71.
- A tal riguardo, il Tribunale rileva, innanzi tutto, che dal preambolo della legge
n. 57 risulta che la sua adozione era giustificata dall'adozione da parte di «taluni
governi» di «decisioni arbitrarie» contro l'Iraq. Ora, bisogna constatare che la legge
n. 57 non contiene alcun riferimento né alla Comunità europea né al regolamento
n. 2340/90. Anche supponendo che la legge n. 57 riguardi implicitamente i governi
di tutti gli Stati membri, non si può contestare il fatto che il regolamento n. 2340/90
che impedisce gli scambi commerciali tra la Comunità e l'Iraq è stato adottato non
da questi governi, ma dalla Comunità.
- 72.
- Anche nel caso in cui l'adozione da parte del Consiglio del regolamento n. 2340/90
dovesse essere interpretata come una «decisione arbitraria» adottata da «taluni
governi» ai sensi della legge n. 57, il Tribunale ritiene che la ricorrente, alla quale
incombe l'onere della prova (sentenze della Corte 21 gennaio 1976, causa 40/75,
Produits Bertrand, Racc. pag. 1, e del Tribunale 24 settembre 1996, causa T-485/93,
Dreyfus/Commissione, Racc. pag. II-1101, punto 69), non dimostri sufficientemente
in diritto che l'adozione di questa legge costituiva, in quanto misura di ritorsione,
una conseguenza obiettivamente prevedibile, secondo il normale andamento delle
cose, dell'adozione di tale regolamento. Inoltre, anche se un tale nesso di causalità
diretta esistesse tra il danno assertivamente subito e l'adozione della legge n. 57,
dal fascicolo risulta che questa legge, entrata in vigore il 6 agosto 1990, è stata alla
fine abrogata il 3 marzo 1991. Ne deriva che almeno a decorrere da tale data la
legge n. 57 non può essere considerata l'origine del rifiuto del pagamento dei
crediti della ricorrente.
- 73.
- In ogni caso, anche supponendo che la legge n. 57 possa essere considerata una
conseguenza prevedibile dell'adozione del regolamento n. 2340/90 e/o che,
malgrado l'abrogazione di questa legge, è sempre a titolo di ritorsione nei confronti
del mantenimento dell'embargo comunitario che le autorità irachene rifiutano di
pagare i crediti della ricorrente, il Tribunale ritiene che il danno fatto valere non
possa, in ultima analisi, essere attribuito al regolamento n. 2340/90, ma piuttosto,
come il Consiglio ha del resto sostenuto, alla risoluzione n. 661 (1990) del Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha decretato l'embargo contro l'Iraq.
- 74.
- A tal riguardo, il Tribunale rileva che, in base all'art. 25 della Carta delle Nazioni
Unite, solo gli «[Stati] membri dell'Organizzazione» sono tenuti ad accettare e ad
applicare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ora, se è
vero che gli Stati membri dell'ONU dovevano, in tale qualità, adottare ogni
provvedimento necessario per dare attuazione all'embargo commerciale contro
l'Iraq decretato dalla risoluzione n. 661 (1990), tuttavia quelli tra di loro che
avevano anche la qualità di Stati membri della Comunità potevano agire, a tal fine,
solo nell'ambito del Trattato, in quanto ogni misura di politica commerciale
comune, quale l'istituzione di un embargo commerciale, rientra, ai sensi dell'art.
113 del Trattato, nella competenza esclusiva della Comunità. Sulla base di queste
considerazioni, è stato adottato il regolamento n. 2340/90, dal cui preambolo risulta
che «la Comunità e i suoi Stati membri hanno concordato di ricorrere ad uno
strumento comunitario per assicurare un'applicazione uniforme nella Comunità
delle misure sugli scambi con l'Iraq e il Kuwait decise dal Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite». Il Tribunale ritiene quindi che, nell'ipotesi ad esso sottoposta,
il danno fatto valere non possa essere fatto dipendere dall'adozione del
regolamento n. 2340/90, ma dipende dalla risoluzione n. 661 (1990) del Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite che ha decreto l'embargo contro l'Iraq. Da quanto
precede, risulta che la ricorrente non ha dimostrato l'esistenza di un nesso di
causalità diretto tra il danno fatto valere e l'adozione del regolamento n. 2340/90.
- 75.
- Tenuto conto delle circostanze particolari della fattispecie, il Tribunale ritiene che
occorra esaminare anche la questione se, nell'ipotesi in cui le condizioni relative
all'esistenza di un danno e ad un nesso di causalità diretto fossero state soddisfatte,
il danno potesse essere considerato «speciale» e «anormale» ai sensi della
giurisprudenza sopra richiamata (punto 59), concernente la responsabilità della
Comunità derivante da atto lecito.
Sulla natura del danno subito
- 76.
- Il Tribunale ricorda che la Corte, nella sentenza Compagnie d'approvisionnement
et grands moulins de Paris/Commissione, soprammenzionata, ha respinto una
domanda di risarcimento di un danno «anormale e speciale» presentata dalle
ricorrenti sulla base della responsabilità della Comunità derivante da atto lecito per
«lesione dell'uguaglianza di fronte agli oneri pubblici», in quanto «l'eventuale
responsabilità per un atto normativo legittimo non può sussistere in una situazione
come quella in esame, tenuto conto del fatto che i provvedimenti adottati dalla
Commissione miravano unicamente ad attenuare, nell'interesse economico generale,
le conseguenze, in particolare per gli importatori francesi nel loro complesso, della
decisione nazionale di svalutare il franco» (punti 45 e 46).
- 77.
- Inoltre, nella sentenza Biovilac/CEE, soprammenzionata, la Corte ha dichiarato che
la condizione secondo cui la responsabilità della Comunità derivante da atto
normativo illegittimo può sorgere solo se il danno asserito supera i limiti dei rischi
economici inerenti alle attività nel settore di cui trattasi dovrebbe essere applicata
«a maggior ragione se nel diritto comunitario si accogliesse il principio della
responsabilità senza colpa» (punto 28). Nella causa che ha dato luogo a questa
sentenza, la ricorrente basava la sua domanda di risarcimento per danno derivanteda atto lecito sulle nozioni di diritto tedesco di «sacrificio speciale» (Sonderopfer)
e di diritto francese di «lesione dell'uguaglianza di fronte agli oneri pubblici»,
principi fatti valere dalla ricorrente anche nel presente ricorso.
- 78.
- Nella sentenza Développement SA e Clemessy/Commissione, soprammenzionata,
la Corte ha anche respinto una domanda basata sul principio della responsabilità
oggettiva, dichiarando che questo principio, quale definito dalle ricorrenti,
presuppone «che un privato abbia sostenuto, a beneficio dell'interesse generale, un
onere che di norma non gli incombe» il che, tuttavia, non era il caso nella presente
fattispecie (punto 33).
- 79.
- Infine, nella sentenza De Boer Buizen/Consiglio e Commissione,
soprammenzionata, la Corte, avendo dichiarato che il regime istituito dalle
istituzioni comunitarie per dare attuazione all'accordo tra la Comunità e gli Stati
Uniti d'America relativo agli scambi di tubi d'acciaio non introduceva alcuna
discriminazione nei confronti dei produttori comunitari di questi prodotti rispetto
ai distributori e che pertanto le condizioni perché sussistesse la responsabilità della
Comunità derivante da atto illecito non erano soddisfatte, ha aggiunto tuttavia che
l'assenza di una tale discriminazione fra distributori e produttori comunitari dei
prodotti in causa non può escludere «una certa responsabilità» se risultava che
talune imprese «in quanto categoria, dovessero sopportare una parte
sproporzionata degli oneri» derivanti dall'attuazione di tale accordo commerciale.
Secondo la Corte, in una tale ipotesi, «spetterebbe alle istituzioni comunitarie porvi
rimedio» (punti 16 e 17).
- 80.
- Dalla giurisprudenza sopra richiamata della Corte risulta che, nel caso in cui il
principio della responsabilità della Comunità derivante da atto lecito dovesse essere
ammesso in diritto comunitario, una tale responsabilità può sorgere solo se il danno
fatto valere, anche supponendolo «effettivo», riguardi una categoria particolare di
operatori economici in maniera sproporzionata rispetto agli altri operatori (danno
anormale) e superi i limiti dei rischi economici inerenti alle attività nel settore di
cui trattasi (danno speciale), senza che l'atto normativo che si trovi all'origine del
danno fatto valere sia giustificato da un interesse economico generale (sentenze De
Boer Buizen/Consiglio e Commissione, Compagnie d'approvisionnement et grands
moulins de Paris/Commissione, e Biovilac/CEE, citate).
- 81.
- Per quanto riguarda il carattere anormale del danno allegato, nel senso che esso
riguarda una categoria particolare di operatori economici in maniera
sproporzionata rispetto agli altri operatori, il Tribunale rileva, innanzi tutto, che
l'adozione della legge n. 57, alla quale, secondo gli argomenti della ricorrente,
dovrebbe essere equiparata qualsiasi altra misura di ritorsione delle autorità
irachene avente gli stessi effetti, aveva per oggetto di congelare gli «averi» che le
imprese stabilite nella Comunità possedevano in Iraq, nonché i «redditi» che questi
«averi» producevano. Ne deriva che non sono stati colpiti unicamente i crediti della
ricorrente, ma anche i crediti di qualsiasi altra impresa comunitaria la quale,
quando l'embargo contro l'Iraq è stato applicato dal regolamento n. 2340/90, non
erano ancora pagati. Come la ricorrente ha rilevato all'udienza, i crediti che le
imprese comunitarie detenevano verso l'Iraq e che, in seguito all'istituzione
dell'embargo comunitario contro questo paese sono divenuti irrecuperabili e hanno
dovuto essere coperti da garanzie statali ammontavano, infatti, a 18 miliardi di
USD.
- 82.
- Alla luce di queste considerazioni, la ricorrente non può essere considerata far
parte di una categoria di operatori economici colpiti nei loro interessi patrimoniali
in una maniera che li distingua da qualsiasi altro operatore economico i cui crediti
siano divenuti irrecuperabili a causa dell'istituzione dell'embargo comunitario. Essa
non può quindi asserire di aver subito un danno speciale o di aver fatto un
sacrificio particolare. Occorre aggiungere che il fatto che i suoi crediti non abbiano
potuto essere coperti da garanzie statali, poiché derivavano dall'esecuzione di un
contratto concluso prima dell'attuazione in Germania di un sistema di garanzie
contro i rischi commerciali incorsi in paesi come l'Iraq, così come essa ha chiarito
nelle sue risposte scritte ai quesiti del Tribunale e all'udienza, non è tale da
distinguerla da imprese che hanno effettivamente beneficiato di queste garanzie.
Infatti, la ricorrente non ha potuto dimostrare di essere la sola impresa o di
appartenere ad una categoria ristretta di operatori economici che non hanno
potuto beneficiare della copertura offerta da tale tipo di assicurazione.
- 83.
- In secondo luogo, in ordine al carattere speciale del danno allegato, nel senso che
superi i rischi economici inerenti alle attività economiche nel settore interessato,
il Tribunale ritiene che, nella fattispecie, questi limiti non siano stati superati.
Infatti, è pacifico che l'Iraq, a causa del suo impegno in operazioni di guerra con
l'Iran, molto prima dell'invasione del Kuwait del 2 agosto 1990, era già
consideratoun «paese ad alto rischio», come i convenuti hanno sostenuto senza
essere contraddette dalla ricorrente. In tale situazione, i rischi economici e
commerciali derivanti da un eventuale coinvolgimento dell'Iraq in nuove operazioni
di guerra con paesi vicini e dall'interruzione del pagamento dei suoi debiti per
motivi relativi alla sua politica estera costituivano rischi prevedibili, inerenti a
qualsiasi attività di prestazione di servizi in Iraq. Il fatto che l'Iraq pervenisse, come
sostiene la ricorrente, a pagare i suoi crediti, benché con un ritardo considerevole,
non poteva significare che i rischi soprammenzionati fossero scomparsi.
- 84.
- Questa conclusione è del resto corroborata da una lettera 28 novembre 1995,
indirizzata dal ministro federale delle Finanze alla Commissione, da cui risulta che
il sistema di garanzie istituito in Germania tra il 1980 e il 1990 per coprire i crediti
derivanti dalle esportazioni tedesche verso l'Iraq è stato ripetutamente sospeso
proprio a causa del deterioramento della situazione politica in Iraq.
- 85.
- Ne deriva che i rischi che comportava la prestazione di servizi da parte della
ricorrente in Iraq facevano parte dei rischi inerenti alle attività del settore
interessato.
- 86.
- Infine, in ogni caso, occorre rilevare, da un lato, che il regolamento n. 2340/90,
anche supponendo, come sostiene la ricorrente, che sia all'origine del danno
allegato, costituisce, come è stato appena rilevato (v. supra, punto 74), l'attuazione
nella Comunità dell'obbligo che grava sugli Stati membri in quanto membri
dell'ONU di dare efficacia, mediante un atto comunitario, alla risoluzione
n. 661 (1990) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha decretato un
embargo commerciale contro l'Iraq. D'altra parte, occorre rilevare che, come risulta
in particolare dalla risoluzione n. 661 (1990), l'embargo commerciale contro l'Iraq
è stato deciso nell'ambito del «mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale» e sulla base del «diritto naturale di legittima difesa, individuale o
collettiva, di fronte all'attacco armato rivolto dall'Iraq contro il Kuwait, sancito
dall'art. 51 della carta [delle Nazioni Unite]».
- 87.
- Ora, come la Corte ha dichiarato nella sentenza 30 luglio 1996, causa C-84/95,
Bosphorus (Racc. pag. I-3953), se è vero che una normativa mirante, mediante
l'istituzione di un embargo commerciale contro un paese terzo, al mantenimento
della pace e della sicurezza internazionali comporta, per definizione, effetti che
colpiscono il libero esercizio di attività economiche, causando così danni a parti che
non hanno alcuna responsabilità nella situazione che ha portato all'adozione di
misure di sanzione, tuttavia l'importanza degli obiettivi perseguiti da una tale
normativa è tale da giustificare conseguenze negative, anche considerevoli, per
taluni operatori.
- 88.
- Di conseguenza, in considerazione di un obiettivo d'interesse generale
fondamentale per la comunità internazionale quale quello consistente nel porre
termine all'invasione e all'occupazione del Kuwait da parte dell'Iraq e a mantenere
la pace e la sicurezza internazionali nella regione, il danno lamentato dalla
ricorrente, anche se dovesse essere ritenuto considerevole, ai sensi della sentenza
Bosphorus, soprammenzionata, non può implicare, nella fattispecie, la
responsabilità della Comunità (v. anche sentenza Compagnie d'approvisionnement
et grands moulins de Paris/Commissione, citata, punto 46, e conclusioni
dell'avvocato generale Mayras, per tale sentenza, Racc. pag. 417, in particolare
pagg. 425 e 426).
- 89.
- Da tutto quanto precede deriva che la domanda di risarcimento della ricorrente,
basata sul principio della responsabilità della Comunità derivante da atto lecito,
non è fondata e deve quindi essere respinta.
Sulla domanda in subordine di risarcimento del danno che si assume subito a
causa di un atto illecito
Argomenti delle parti
Sull'illegittimità del regolamento n. 2340/90
- 90.
- La ricorrente sostiene che debba sorgere, in subordine, la responsabilità della
Comunità derivante da atto illecito nel caso in cui il Tribunale ritenesse che essa
ha diritto non a un indennizzo corrispondente al valore venale dei suoi crediti, ma
alla fissazione da parte del legislatore comunitario di un indennizzo forfettario per
il danno subito. Essa sostiene al riguardo che, in quanto, adottando il regolamento
n. 2340/90, il legislatore comunitario non ha previsto un meccanismo d'indennizzo
degli operatori economici i cui crediti nei confronti dell'Iraq stavano per diventare
irrecuperabili a causa dell'istituzione dell'embargo contro questo paese, la
condizione richiesta affinché sorgesse la responsabilità della Comunità, cioè
l'esistenza di un atto illecito, sarebbe nella fattispecie soddisfatta in quanto questa
illiceità consisterebbe proprio nella violazione dell'obbligo di indennizzare o di
prevedere l'indennizzo delle vittime di lesioni di diritti patrimoniali mediante atti
leciti che costituisce un principio giuridico generale. Secondo la ricorrente, il
Consiglio e la Commissione hanno, nella fattispecie, violato il loro obbligo di
esercitare il loro potere discrezionale in materia per determinare un indennizzo del
100%, del 50% o di un'altra percentuale, commettendo così un errore di
valutazione, come del resto avrebbe constatato il Tribunale nella citata sentenza
Carvel e Guardian Newpapers/Consiglio.
- 91.
- Il Consiglio ritiene che l'asserita omissione illegittima del legislatore comunitario
di prevedere, all'atto dell'adozione del regolamento n. 2340/90, un meccanismo di
indennizzo degli operatori economici colpiti dalle misure di embargo contro l'Iraq
sollevi, in sostanza, la stessa questione di base della domanda di indennizzo della
ricorrente relativa a una lesione mediante atto lecito dei suoi diritti patrimoniali,
equivalente ad un'espropriazione. In entrambi i casi si tratterebbe di accertare se
la violazione del diritto di proprietà, fatta valere dalla ricorrente, costituisca una
violazione di una norma superiore di diritto che comporta la responsabilità della
Comunità ai sensi dell'art. 215, secondo comma, del Trattato. Il Consiglio ritiene
che la soluzione di tale questione sia negativa.
- 92.
- Secondo il Consiglio, dato che il regolamento n. 2340/90 è un atto normativo di
carattere economico, la responsabilità della Comunità dovrebbe sorgere solo in
presenza di una violazione sufficientemente grave e palese di una norma superiore
di diritto posta a tutela dei singoli, cosa che non avverrebbe tuttavia nella
fattispecie. Esso fa presente che, secondo la giurisprudenza, l'esercizio del diritto
di proprietà può essere sottoposto a limitazioni, a condizione che queste ultime
s'inseriscano negli obiettivi della Comunità e non costituiscano un intervento
sproporzionato e intollerabile che pregiudica la sostanza stessa dei diritti garantiti
(sentenza della Corte 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder HS Kraftfutter, Racc.
pag. 2237). Ora, anche se i crediti della ricorrente nei confronti delle autorità
irachene fossero divenuti definitivamente irrecuperabili, il danno che la ricorrente
avrebbe subito non costituirebbe una lesione sproporzionata e grave della sostanza
del suo diritto di proprietà.
- 93.
- Inoltre, secondo il Consiglio, in caso di danno di natura economica, la
responsabilità extracontrattuale della Comunità può altrettanto sorgere solo se, da
un lato, l'istituzione interessata, senza far valere un interesse economico pubblico
superiore, abbia completamente omesso di prendere in considerazione la situazione
particolare di una categoria distinta di operatori economici (sentenza della Corte
19 maggio 1992, cause riunite C-104/89 e C-37/90, Mulder e a./Consiglio, Racc. pag.
I-3061) e, dall'altro, il danno fatto valere superi i limiti dei rischi economici inerenti
alle attività del settore economico considerato. Ora, nella fattispecie, la ricorrente
sarebbe stata colpita nei suoi interessi commerciali allo stesso modo di qualsiasi
altro operatore economico detentore di crediti nei confronti dell'Iraq o di una
società stabilita in questo paese. Inoltre, sarebbe pacifico che l'Iraq a quel tempo
si trovava in una situazione finanziaria tale che il mancato recupero dei crediti sorti
da transazioni con questo paese faceva parte dei rischi inerenti alle attività
commerciali di cui trattavasi. Infine, per quanto riguarda il settore della politica
economica della Comunità, i singoli, entro limiti ragionevoli, dovrebbero sopportare
le conseguenze dannose che un atto normativo può avere sui loro interessi
economici senza che sia loro riconosciuto un diritto ad indennizzo (sentenze della
Corte 25 maggio 1978, cause riunite 83/76 e 94/76, 4/77, 15/77 e 40/77, Bayerische
HNL e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 1209, punto 6, e del Tribunale 14
settembre 1995, cause riunite T-480/93 e T-483/93, Antillean Rice Mills e
a./Commissione, Racc. pag. II-2305).
- 94.
- La Commissione sostiene che la fondatezza degli argomenti della ricorrente relativial carattere che si asserisce illegittimo del regolamento n. 2340/90 dipende
dall'esistenza del diritto ad indennizzo che essa fa valere nell'ambito della sua
domanda principale, di modo che l'inesistenza di un tale diritto comporta
necessariamente il rigetto della sua domanda in subordine di risarcimento.
Sul nesso di causalità e sul danno subito
- 95.
- La ricorrente, il Consiglio e la Commissione deducono, relativamente al danno
allegato e all'esistenza di un nesso di causalità tra tale danno ed il regolamento
n. 2340/90, gli stessi motivi e argomenti che hanno svolto nell'ambito della domanda
in via principale di indennizzo per danno derivante da atto lecito (v. supra, punti
42-57 e 58-63).
Giudizio del Tribunale
- 96.
- Il Tribunale rileva, in via preliminare, che, come la ricorrente ha sottolineato nella
replica e all'udienza del 19 giugno 1997, la sua domanda in subordine di
risarcimento viene fatta valere solo nel caso in cui il Tribunale riconosca ad
operatori economici, come lei, i cui crediti sarebbero divenuti irrecuperabili a causa
dell'istituzione dell'embargo commerciale contro l'Iraq, solo un diritto ad un
indennizzo forfettario e non un diritto a un risarcimento corrispondente all'importo
del valore venale dei suoi crediti (v. supra, punto 90), la quale costituisce oggetto
della sua domanda in via principale di indennizzo per danno derivante da atto
lecito.
- 97.
- Nell'ambito di questa domanda in subordine, la ricorrente sostiene, in particolare,
che le condizioni richieste perché sussista la responsabilità della Comunità a causa
del carattere illegittimo del regolamento n. 2340/90 sono, nella fattispecie,
soddisfatte poiché il legislatore comunitario avrebbe omesso, all'atto dell'adozione
di questo regolamento, di esercitare il potere discrezionale di cui disponeva per
prevedere il risarcimento del danno che gli operatori economici avrebbero subito
a causa dell'istituzione di un embargo commerciale contro l'Iraq.
- 98.
- Il Tribunale ritiene che questa domanda in subordine di risarcimento della
ricorrente, formulata nei termini soprammenzionati, presupponga, come hanno del
resto sottolineato i convenuti, l'esistenza per essa di un diritto al risarcimento, così
come lo rivendica in via principale nell'ambito della sua domanda di risarcimento
per danno derivante da atto lecito.
- 99.
- Ora, dall'esame della domanda in via principale della ricorrente risulta che non può
esserle riconosciuto un qualsiasi diritto a indennizzo, in quanto essa non è
pervenuta a dimostrare, in particolare, che aveva subito un danno reale e certo.
Alla luce di queste considerazioni, indipendentemente dalla pertinenza della
distinzione operata dalla ricorrente tra un diritto eventuale ad un risarcimento
corrispondente al valore venale dei suoi crediti e un diritto eventuale a un
indennizzo forfettario, da un lato, ed in quanto le due domande perseguono la
riparazione di un solo e stesso danno, dall'altro, la sua domanda in subordine deve
anch'essa essere respinta. In tale situazione, in mancanza di un diritto al
risarcimento, la ricorrente non può nemmeno far valere che il legislatore
comunitario ha omesso di esercitare un potere discrezionale per adottare misure
di indennizzo a favore delle imprese che si trovano nella stessa situazione della
ricorrente. Per quanto riguarda la sentenza Carvel e Guardian
Newpapers/Consiglio, citata (punto 78), menzionata al riguardo dalla ricorrente, il
Tribunale ritiene che essa sia priva di pertinenza poiché in tale causa,
contrariamente alla presente fattispecie, una disposizione di diritto derivato
comunitario invitava effettivamente il Consiglio ad esercitare il suo potere
discrezionale relativamente alla questione se dovesse o meno accogliere le
domande nell'ambito delle sue competenze in materia di accesso ai suoi documenti.
- 100.
- Ne deriva che la domanda in subordine di indennizzo della ricorrente per il danno
subito a causa di un atto illecito deve anch'essa essere respinta.
- 101.
- Da tutto quanto precede risulta che il ricorso deve essere respinto nel suo insieme.
Sulle spese
- 102.
- Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è
condannato alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché i convenuti hanno
concluso in tal senso e la ricorrente è risultata soccombente nelle sue conclusioni,
occorre condannarla alle spese.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è respinto.
2) La ricorrente è condannata alle spese.
Bellamy Kalogeropoulos Tiili
|
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 28 aprile 1998.
Il cancelliere
Il presidente
H. Jung
A. Kalogeropoulos