Language of document : ECLI:EU:C:2018:148

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 1o marzo 2018 (1)

Causa C299/16

Z Denmark

contro

Skatteministeriet

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest, Danimarca)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Direttiva 2003/49/CE concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (cosiddetta direttiva interessi e canoni) – Nozione di beneficiario effettivo – Attività in nome proprio per conto altrui – Rilevanza dei commentari al modello di convenzione OCSE sull’interpretazione di una direttiva UE – Abuso delle costruzioni ammesse dal diritto tributario – Criteri per la sussistenza di un abuso in caso di elusione della tassazione alla fonte – Abuso attraverso lo sfruttamento di carenze nei di sistemi di scambio di informazioni fra gli Stati – Applicazione diretta di una disposizione non trasposta di una direttiva – Interpretazione conforme al diritto dell’Unione di principi nazionali in materia di prevenzione degli abusi»






I.      Introduzione

1.        Nel caso in esame, la Corte – al pari di altri tre procedimenti paralleli (2) – è chiamata a determinare le circostanze in presenza delle quali il beneficiario effettivo di interessi secondo il diritto civile debba essere parimenti considerato quale beneficiario effettivo ai sensi della direttiva interessi e canoni (3). Al riguardo, occorre chiarire se, ai fini dell’interpretazione del diritto dell’Unione, debba ricorrersi anche ai commentari dell’OCSE ai propri modelli di convenzione, in particolare qualora essi siano stati riformulati successivamente all’adozione della direttiva. Si pone inoltre la questione della definizione e dell’applicabilità diretta del divieto di abuso sancito dal diritto dell’Unione.

2.        Nel caso in esame, taluni investitori, tramite un fondo di investimento stabilito in un paese terzo, erogavano un finanziamento ad una società dal medesimo controllata. Apparentemente in quanto la Danimarca, introducendo una tassazione alla fonte, aveva riformato in pejus le condizioni fiscali per gli investitori stranieri, la corrispondente passività e le quote della società danese venivano trasferiti ad una società fondata in Lussemburgo. Nel contesto del trasferimento, veniva concesso a quest’ultima un finanziamento di pari importo tramite il fondo di investimento. L’intervento di una società residente in un altro Stato dell’Unione europea è inteso ad eludere, inter alia, la tassazione alla fonte danese sui versamenti di interessi.

3.        Le questioni menzionate supra riguardano tutte, in definitiva, il fondamentale conflitto esistente nel diritto tributario fra la libertà civilistica negoziale dei contribuenti prevista dal diritto civile e la difesa a fronte di costruzioni valide sotto il profilo civilistico ma ciononostante, in determinate circostanze, abusive. Anche se tale problematica esiste sin dalla costituzione del diritto tributario moderno, la delimitazione fra la minimizzazione delle imposte ammissibile e la minimizzazione delle imposte inammissibile resta ardua. Un conducente che, a seguito dell’aumento della tassa di circolazione, venda la propria automobile a causa dei costi, elude certamente in maniera intenzionale la tassa di circolazione. Tuttavia, non può essere ivi ravvisato un abuso del diritto, neanche se la sua unica motivazione fosse il risparmio fiscale.

4.        Alla luce del clima di tensione, a livello politico, che circonda le pratiche fiscali di certi gruppi operanti a livello mondiale, tale delimitazione non rappresenta un compito facile per la Corte, considerato che non ogni comportamento del singolo che implichi una riduzione delle imposte dev’essere esposto al verdetto di abuso.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        Il contesto di diritto dell’Unione in cui si colloca il caso di specie è rappresentato dalla direttiva 2003/49 e dagli articoli 43, 48 e 56 CE (ora articoli 49, 54 e 63 TFUE):

6.        Ai considerando da 1 a 6, la direttiva 2003/49 così recita:

«(1)      In un mercato unico avente le caratteristiche di un mercato interno le operazioni tra società di Stati membri diversi non dovrebbero essere assoggettate ad un trattamento fiscale meno favorevole di quello applicabile alle medesime operazioni effettuate tra società dello stesso Stato membro.

(2)      Attualmente tale condizione non è soddisfatta riguardo ai pagamenti di interessi e di canoni. Le legislazioni fiscali nazionali, unitamente, ove esistano, alle convenzioni bilaterali o multilaterali, non possono sempre assicurare l’eliminazione della doppia imposizione e la loro applicazione comporta spesso formalità amministrative onerose e problemi di flussi di liquidità per le imprese interessate.

(3)      È necessario vigilare affinché i pagamenti di interessi e di canoni siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta in uno Stato membro.

(4)      L’abolizione delle imposte, siano esse riscosse tramite ritenuta alla fonte o previo accertamento, sui pagamenti di interessi e di canoni nello Stato membro da cui essi provengono costituisce la soluzione più idonea per eliminare le formalità e i problemi sopraindicati e per garantire la parità di trattamento fiscale tra operazioni nazionali e operazioni transfrontaliere. È particolarmente necessario abolire tali imposte per quanto riguarda i pagamenti del predetto tipo effettuati tra società consociate di Stati membri diversi nonché tra stabili organizzazioni di tali società.

(5)      Le norme dovrebbero applicarsi soltanto all’importo dei pagamenti di interessi o di canoni che sarebbe stato concordato dal pagatore e dal beneficiario effettivo in assenza di particolari rapporti tra di loro.

(6)      Occorre inoltre evitare di precludere agli Stati membri la possibilità di adottare le misure appropriate per combattere le frodi o gli abusi».

7.        L’articolo 1, paragrafo, 1 della direttiva medesima, così dispone:

«I pagamenti di interessi o di canoni provenienti da uno Stato membro sono esentati da ogni imposta applicata in tale Stato su detti pagamenti, sia tramite ritenuta alla fonte sia previo accertamento fiscale, a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni sia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, di una società di uno Stato membro».

8.        Il successivo paragrafo 4 del medesimo articolo 1, dispone inoltre quanto segue:

«Una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona».

9.        Ai sensi del successivo paragrafo 7 dello stesso articolo:

«Il presente articolo si applica soltanto se la società che è il pagatore, o la società la cui stabile organizzazione è considerata pagatore, di interessi o canoni è una società consociata della società che è il beneficiario effettivo, o la cui stabile organizzazione è considerata beneficiario effettivo di tali interessi o canoni».

10.      L’articolo 5 della direttiva medesima, rubricato «Frodi e abusi», così dispone:

«1.      La presente direttiva non osta all’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per impedire frodi o abusi.

2.      Gli Stati membri, nel caso di transazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’evasione o l’elusione fiscali, o gli abusi, possono revocare i benefici della presente direttiva o rifiutarne l’applicazione».

B.      Diritto internazionale

11.      La convenzione sulla doppia imposizione conclusa fra la Danimarca e il Lussemburgo (in prosieguo: la «CDI») del 17 novembre 1980 contiene, all’articolo 11, paragrafo 1, la seguente disposizione sulla ripartizione della potestà impositiva con riguardo alla percezione degli interessi:

«1.      Gli interessi maturati in uno Stato contraente e corrisposti a un soggetto residente in un altro Stato contraente possono essere tassati in quest’altro Stato solo se tale soggetto ne è il “beneficiario effettivo”».

12.      Per effetto di detta disposizione, lo Stato della ritenuta alla fonte, nella fattispecie la Danimarca, non può tassare interessi corrisposti a un soggetto residente in Lussemburgo se quest’ultimo è «il beneficiario effettivo» degli interessi. La nozione di «beneficiario effettivo» non è definita ulteriormente nella CDI.

C.      La normativa danese

13.      In base alle informazioni fornite dal giudice del rinvio, il contesto normativo danese negli esercizi controversi risulta essere il seguente:

14.      La legge sulla tassazione delle società per azioni (in prosieguo: la «legge relativa all’imposta sulle società») (4) disciplina, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), l’imponibilità parziale delle società straniere relativamente agli interessi accreditati o pagati dalle società danesi:

«§ 2. Sono inoltre debitori d’imposta ai sensi della presente legge le società, i gruppi ecc. ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, che abbiano la propria sede all’estero, a condizione che (…)

d)      percepiscano interessi da fonti straniere derivanti da obbligazioni di una [società di diritto danese] o di una (…) [stabile organizzazione di una società straniera] (…) nei confronti di persone giuridiche straniere, di cui all’articolo 3 B dello Skattekontrollov [legge sul controllo fiscale] (passività controllate). (…) L’imponibilità non comprende gli interessi qualora essi, in forza della direttiva 2003/49/CE concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi oppure in forza di una convenzione intesa a prevenire le doppie imposizioni conclusa con le Isole Færøer, con la Groenlandia o con lo Stato in cui la società beneficiaria ecc. ha la propria sede, siano esenti da imposta o siano soggetti ad imponibilità limitata. Tuttavia, ciò vale soltanto nel caso in cui la società pagatrice e la società beneficiaria siano consociate ai sensi di tale direttiva per un periodo di tempo di almeno un anno senza soluzione di continuità, nel quale deve collocarsi il momento del pagamento (…)».

15.      In sintesi, l’imponibilità parziale non riguardava, negli anni controversi, gli interessi versati ad una società madre, ai quali, ai sensi della direttiva 2003/49 o di una CDI, risultano esenti da imposta o soggetti soltanto ad imposta ridotta.

16.      Per contro, nel caso in cui sussista un imponibilità parziale relativamente agli interessi in uscita dalla Danimarca ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), della legge relativa all’imposta sulle società, a norma dell’articolo 65 D della legge danese in materia di ritenuta alla fonte (5), il soggetto pagatore degli interessi è tenuto ad applicare la ritenuta alla fonte («imposta sugli interessi»).

17.      L’aliquota era pari al 30% per gli esercizi fiscali 2006 e 2007. In caso di versamento tardivo della ritenuta alla fonte (in presenza di un’imponibilità parziale) al relativo debito fiscale si applicano interessi di mora (articolo 66 B della legge sulla ritenuta alla fonte), che gravano sul soggetto tenuto ad applicare la ritenuta alla fonte.

18.      Negli anni in questione, non vi era in Danimarca nessuna norma legislativa generale in materia di prevenzione degli abusi. Nella giurisprudenza è stato, per contro, elaborato il cosiddetto «criterio sostanziale», in base al quale l’imposizione dev’essere effettuata sulla base di una valutazione specifica dei fatti concreti. Ciò significa, inter alia, che, in presenza di determinate circostanze, possono essere considerate nulle le operazioni fiscalmente rilevanti che risultino fittizie e artificiali procedendo ad una tassazione fondata sulla realtà sostanziale («substanceoverform»). Le parti concordano sul fatto che il criterio sostanziale non costituisce un fondamento per considerare nulle le operazioni realizzate nella specie.

19.      Inoltre, nella giurisprudenza danese è stato sviluppato il cosiddetto principio del «beneficiario legittimo dei redditi». Tale principio è basato sulla disposizione fondamentale relativa alla tassazione dei redditi di cui all’articolo 4 della legge generale danese sulle imposte (statsskatteloven), e stabilisce che l’amministrazione finanziaria non è tenuta a riconoscere una separazione artificiale tra l’operazione/attività economica generatrice del reddito e la localizzazione del reddito che ne deriva. Occorre pertanto accertare – indipendentemente dalla struttura esterna – l’identità dell’effettivo beneficiario di determinati redditi e, quindi, il debitore dell’imposta. Si tratta, pertanto, di individuare il soggetto al quale devono essere imputati i redditi a fini fiscali. Il «beneficiario legittimo dei redditi» è quindi il soggetto debitore dell’imposta relativamente ai redditi di cui trattasi.

III. Controversia principale

20.      La Z Denmark è una società industriale danese, il 66% delle cui azioni veniva acquisito, nell’agosto del 2005, dal fondo d’investimento A Fund. Nell’ambito dell’acquisizione – il 27 settembre 2005 – l’A Fund erogava alla Z Denmark un finanziamento ad un interesse pari al 9%.

21.      Nel 2006, la Danimarca decideva di istituire la tassazione degli interessi versati in uscita verso l’estero. Il 28 aprile 2006, la A Fund costituiva in Lussemburgo la Z Luxembourg e trasferiva alla medesima il credito esistente nei confronti della Z Denmark. Nel contesto del trasferimento, l’A Fund erogava parimenti alla Z Luxembourg un finanziamento al tasso di interesse pari al 9,875%. Con contratto del 21 giugno 2006, la A Fund cedeva le proprie azioni della Z Denmark alla Z Luxembourg.

22.      Secondo quanto esposto dal giudice del rinvio, dai bilanci di fine esercizio della Z Luxembourg per il 2007 e il 2006, risulta che l’unica attività consisteva nella detenzione delle azioni della Z Denmark. Dai bilanci di fine esercizio emerge che la società aveva conseguito un risultato d’esercizio negativo pari a EUR 23 588 nel 2006, e un risultato positivo pari a EUR 15 587 nel 2007. La voce «imposte sugli utili» indicava per un anno (probabilmente il 2007), un importo pari a EUR 3 733.

23.      La Z Denmark procedeva all’estinzione del finanziamento menzionato al paragrafo precedente il 1o novembre 2007. In pari data, anche la Z Luxembourg estingueva il proprio debito nei confronti dell’A Fund, compresi gli interessi maturati.

24.      L’A Fund è composto da cinque fondi di investimento, quattro dei quali sono organizzati a Jersey come società in accomandita (Limited Partnerships) fiscalmente trasparenti (secondo la normativa fiscale danese) (6).

25.      I quattro fondi di investimento trasparenti hanno circa 70 investitori diretti, compresi fondi pensione, istituzioni finanziarie, «fund-of-funds», fondi di investimento e aziende, società ordinarie e privati.

26.      Detti investitori sono residenti in numerosi paesi, sia all’interno sia all’esterno dell’Unione europea, nonché all’interno e all’esterno di Stati con cui la Danimarca ha stipulato una CDI. Il fondo A Fund (No. 5) Limited, Jersey, è organizzato come società non trasparente ai fini fiscali e detiene circa lo 0,6% dell’A Fund.

27.      Con avviso di accertamento del 10 dicembre 2010, lo SKAT (amministrazione finanziaria danese), negava che la Z Luxembourg fosse il «beneficiario effettivo» degli interessi ai sensi della direttiva 2003/49 e della convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra la Danimarca e il Lussemburgo.

28.      A parere dello SKAT, la Z Denmark avrebbe dovuto operare la ritenuta alla fonte in relazione agli interessi accreditati nel 2006 e nel 2007 a favore dell’azionista principale della società, la Z Luxembourg, considerando la stessa responsabile dell’omesso versamento della ritenuta alla fonte.

29.      Dinanzi al Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest, Danimarca), lo Skatteministeriet sosteneva che la Z Luxembourg era il «beneficiario legittimo dei redditi» ai sensi del diritto danese. La Z Luxembourg sarebbe pertanto parzialmente imponibile con riguardo agli interessi in questione.

30.      Il provvedimento dello SKAT veniva impugnato dinanzi allo Landsskatteret (commissione tributaria nazionale), il quale l’ha confermata con decisione del 31 gennaio 2012. La Z Denmark impugnava quindi la decisione del Landsskatteret dinanti al Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest).

31.      Il Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest) ha deciso di procedere ad un rinvio pregiudiziale alla Corte.

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte

32.      Il Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest) ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni:

1.      Se l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, in combinato disposto con il paragrafo 4 del medesimo articolo 1, debba essere interpretato nel senso che una società residente in uno Stato membro cui si applichi l’articolo 3 della direttiva e che, in circostanze come quelle del caso di specie, percepisca interessi da una controllata stabilita in un altro Stato membro, sia il «beneficiario effettivo» di detti interessi ai sensi della direttiva.

1.1.      Se la nozione di «beneficiario effettivo» di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, in combinato disposto con il paragrafo 4 del medesimo articolo 1, debba essere interpretata conformemente alla corrispondente nozione di cui all’articolo 11 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977.

1.2.      In caso di risposta affermativa alla questione sub 1.1, se detta nozione debba essere interpretata esclusivamente alla luce dei commentari all’articolo 11 del modello di convenzione fiscale del 1977 (paragrafo 8), ovvero se nell’interpretazione possa tenersi conto dei commentari successivi, comprese le aggiunte effettuate nel 2003 relativamente alle «società interposte» (paragrafo 8.1, ora paragrafo 10.1), nonché le aggiunte effettuate nel 2014 relativamente alle «obbligazioni contrattuali o legali» (paragrafo 10.2).

1.3.      Nel caso in cui i commentari del 2003 possano essere presi in considerazione ai fini dell’interpretazione, quale rilevanza abbia, a tale riguardo, per poter ritenere che una società non sia il «beneficiario effettivo» ai sensi della direttiva 2003/49, il fatto che gli interessi in questione siano aggiunti al capitale («capitalizzati»), che al percettore degli interessi incomba un obbligo contrattuale o legale di trasferirli ad un altro soggetto, e che la maggior parte dei soggetti considerati «beneficiari effettivi» degli interessi dallo Stato nel quale risiede il soggetto pagatore degli interessi siano residenti in altri Stati membri o in altri Stati con cui la Danimarca ha stipulato convenzioni sulle doppie imposizioni, cosicché, in base alla normativa tributaria danese, non si sarebbe dovuta applicare la ritenuta alla fonte qualora detti soggetti fossero stati i prestatori e avessero quindi ricevuto gli interessi direttamente.

1.4.      Quale rilevanza presenti, ai fini della valutazione della questione se il soggetto percettore degli interessi debba essere considerato quale «beneficiario effettivo» ai sensi della direttiva, il fatto che il giudice del rinvio, dopo avere accertato i fatti di causa, concluda che detto soggetto – senza essere contrattualmente o legalmente tenuto a trasferire gli interessi percepiti ad altro soggetto – non avesse il «pieno» diritto di «utilizzo e fruizione» degli interessi stessi, ai sensi dei commentari del 2014 al modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977.

2.      Se, affinché uno Stato membro possa invocare l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva, concernente l’applicazione di disposizioni nazionali per evitare le frodi e gli abusi, ovvero il successivo paragrafo 2, occorra che lo Stato membro in questione abbia adottato una disposizione nazionale specifica di attuazione dell’articolo 5 della direttiva, o che la normativa nazionale contenga disposizioni o principi generali sulle frodi, gli abusi e l’evasione fiscale che possano essere interpretati conformemente all’articolo 5.

2.1.      In caso di risposta affermativa alla seconda questione, se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della legge danese sull’imposta sulle società, che stabilisce che l’imponibilità parziale sul reddito da interessi non comprende «gli interessi esenti da imposta (…) ai sensi della direttiva 2003/49/CE concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi», possa essere considerato quale disposizione nazionale specifica ai sensi dell’articolo 5 della direttiva.

3.      Se una disposizione di una convenzione sulle doppie imposizioni stipulata fra due Stati membri e formulata secondo il modello di convenzione fiscale dell’OCSE, in base alla quale la tassazione degli interessi sia subordinata al fatto che il soggetto percettore sia considerato il beneficiario effettivo degli stessi, costituisca una disposizione convenzionale contro gli abusi ai sensi dell’articolo 5 della direttiva.

4.      Se uno Stato membro che non intenda riconoscere che una società di un altro Stato membro sia il beneficiario effettivo degli interessi e secondo cui la società stessa costituisca una cosiddetta società interposta fittizia, sia in tal caso tenuto, in forza della direttiva 2003/49/CE o dell’articolo 10 CE, a indicare lo Stato membro nel quale ritiene si trovi il beneficiario effettivo.

5.      Nel caso in cui un soggetto pagatore di interessi sia residente in uno Stato membro e il percettore degli interessi sia residente in un altro Stato membro e il primo Stato membro ritenga che il percettore degli interessi non ne sia il «beneficiario effettivo» ai sensi della direttiva 2003/49 ritenendo, pertanto, tale percettore parzialmente imponibile relativamente a detti interessi nello Stato membro medesimo, se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE, osti a una normativa in base alla quale il primo Stato membro, assoggettando a imposta il percettore degli interessi non residente, neghi la deducibilità dei costi sostenuti a titolo di oneri finanziari al percettore di interessi in circostanze come quelle del caso di specie, laddove, in base alla normativa dello Stato membro medesimo, gli oneri finanziari sono solitamente deducibili e, pertanto, un percettore di interessi residente può dedurle dal reddito imponibile.

6.      Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 2003/49/CE relativamente agli interessi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (controllata), e quest’ultimo Stato membro consideri che la società madre sia ivi parzialmente imponibile relativamente agli interessi stessi, se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE, osti a una normativa per effetto della quale l’ultimo Stato membro assoggetti la società tenuta ad applicare la ritenuta alla fonte (controllata), in caso di suo pagamento tardivo, ad interessi moratori ad tasso più elevato rispetto a quello applicato dallo Stato membro stesso ai crediti relativi all’imposta sulle società (compreso il reddito da interessi) nei confronti di una società residente nel medesimo Stato membro.

7.      Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 2003/49/CE relativamente agli interessi ricevuti da una società residente in un altro Stato membro (controllata), e quest’ultimo Stato membro consideri che la società madre un contribuente ivi parzialmente imponibile per quanto attiene al reddito derivante da detti interessi, se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE (o, in subordine, l’articolo 56 CE), separatamente o congiuntamente, osti a una normativa per effetto della quale:

a)      l’ultimo Stato membro imponga al soggetto pagatore degli interessi l’applicazione della ritenuta alla fonte sugli interessi stessi attribuendogli la responsabilità nei confronti dell’amministrazione per omessa applicazione della ritenuta alla fonte, laddove l’obbligo di applicazione della ritenuta alla fonte non sussista nell’ipotesi in cui il soggetto che percettore degli interessi sia residente in tale ultimo Stato membro;

b)      una società madre residente nell’ultimo Stato membro non sarebbe stata tenuta a versare acconti a titolo di imposta sulle società nei primi due esercizi fiscali, ma abbia iniziato a versare l’imposta sulle società solo molto più tardi rispetto al termine per il pagamento della ritenuta alla fonte.

Si chiede alla Corte di giustizia di tener conto, nella risposta alla presente questione, della risposta data alla questione sub 6.

33.      Hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte in relazione alle questioni pregiudiziali la Z Denmark, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica austriaca, il Regno di Svezia, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Commissione europea. Hanno partecipato all’udienza del 10 ottobre 2017 – parimenti attinente ai procedimenti da C‑115/16 a C‑119/16 – la Z Denmark, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Granducato del Lussemburgo e la Commissione europea.

V.      Analisi

A.      Sulla determinazione del beneficiario effettivo (questione da 1 a 1.4)

34.      Con le questioni pregiudiziali da sub 1 a sub 1.4, le quali devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, come debba essere interpretata la nozione di beneficiario effettivo di cui all’articolo 1, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2003/49. Al riguardo, occorre analizzare la nozione di beneficiario effettivo ai sensi della direttiva 2003/49 (1.) ed esaminare successivamente la rilevanza del modello di convenzione dell’OCSE (in prosieguo: il «modello di convenzione OCSE») e dei suoi commentari (il cosiddetto modello di commentario OCSE) ai fini della sua interpretazione (2.).

1.      La nozione di beneficiario effettivo ai sensi della direttiva 2003/49 (questioni 1 e 1.4)

35.      La direttiva 2003/49 è intesa a realizzare la parità di trattamento sotto il profilo fiscale delle operazioni interne e transfrontaliere fra società consociate.

a)      Principio: il creditore degli interessi quale beneficiario effettivo

36.      L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, letto alla luce dei considerando da 2 a 4 di tale direttiva, è diretto ad evitare una doppia imposizione sotto il profilo giuridico dei versamenti di interessi transfrontalieri, vietando l’assoggettamento ad imposta degli interessi nello Stato di origine a detrimento del loro beneficiario effettivo. La menzionata disposizione concerne pertanto unicamente la posizione tributaria del creditore degli interessi (7).

37.      Il creditore degli interessi è colui al quale, in conformità al diritto civile, spetta il diritto agli interessi in nome proprio. Al riguardo, si evince dalla giurisprudenza della Corte che il beneficiario effettivo ai sensi della direttiva 2003/49 è, in linea di principio, colui che è legittimato in forza del diritto civile ad esigere il pagamento di interessi (8).

38.      Ciò è confermato dall’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2003/49. Esso esclude che venga considerato quale beneficiario effettivo un agente, un fiduciario o un delegato. Nel caso delle persone ivi menzionate, il diritto o non viene fatto valere in nome proprio (così nel caso dell’agente o del delegato) oppure viene fatto valere in nome proprio, ma non per proprio conto (così nel caso del fiduciario). Da ciò può desumersi, a contrario, che, nei casi in cui il beneficiario degli interessi riscuota gli interessi in nome proprio e per proprio conto (vale a dire in qualità di beneficiario finale), questi sia anche il beneficiario effettivo.

39.      Il giudice del rinvio fa presente che il credito dell’A Fund nei confronti della Z Denmark è stato trasferito alla Z Luxembourg. In tal modo, essa riscuote gli interessi che le vengono versati dalla Z Denmark anche in nome proprio. La questione determinante è dunque se essa percepisca tali interessi per proprio conto o per conto altrui (ad esempio, per l’A Fund ovvero per gli investitori di quest’ultimo). Agisce per proprio conto colui che può decidere da solo in merito all’utilizzazione degli interessi e sopporta altresì da solo il rischio di perdita. Per contro, agisce per conto altrui colui che è vincolato nei confronti di terzi in misura tale che sono i terzi stessi a sopportare, in ultima analisi, il rischio di perdita (nella specie, degli interessi).

b)      Eccezione: il fiduciario

40.      Come risulta dall’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2003/49, il beneficiario effettivo secondo il diritto civile non sarebbe il beneficiario effettivo ai sensi della direttiva qualora lo stesso agisca unicamente in qualità di fiduciario.

41.      Dev’essere esclusa la sussistenza di un mandato fiduciario di carattere palese della Z Luxembourg a favore dell’A Fund oppure degli investitori. È pur vero che al fiduciario vengono trasferiti diritti patrimoniali; questi può tuttavia avvalersene solo nei limiti all’accordo fiduciario. Tale accordo implica che il potere giuridico del fiduciario nei rapporti esterni prevale sul suo vincolo giuridico fiduciario nei rapporti interni con il fiduciante. È solo in forza di questo particolare vincolo che il fiduciario agisce effettivamente in nome proprio, ma non più per proprio conto. La sussistenza di un vincolo di tal genere non è ravvisabile nella specie.

42.      La questione se, nel caso in esame, in considerazione della genesi e della prossimità delle società coinvolte, sussista eventualmente, sotto il profilo economico, un rapporto fiduciario occulto in base al quale la Z Luxembourg agisca a favore dell’A Fund oppure degli investitori, può essere risolta unicamente dal giudice del rinvio nell’ambito di una valutazione globale. La Corte può peraltro fornire a tal fine elementi utili.

43.      Un rifinanziamento contrattualmente concluso con terzi (nella specie, l’A Fund) a condizioni analoghe e in un determinato contesto temporale, come nella specie, non è, già di per sé, sufficiente per poter presumere la sussistenza di un rapporto fiduciario. Inoltre, la direttiva 2003/49, all’articolo 1, paragrafo 7, e anche al considerando 4, muove dal presupposto di un determinato intreccio di rapporti societari, il quale, in quanto tale – ossia considerato isolatamente – non può incidere sulla valutazione del beneficiario effettivo. Ciò viene sottolineato anche dal considerando 5 e dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/49, il quale, anche nel caso di «particolari rapporti» tra il soggetto pagatore ed il beneficiario effettivo, si limita a prevedere una rettifica in relazione al quantum, senza peraltro mettere in discussione lo status di pagatore o di beneficiario effettivo. In tal senso, un rapporto fiduciario ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2003/49 va al di là, sotto il profilo del diritto societario, di un contratto di mutuo fra imprese consociate.

44.      Dovrebbe piuttosto sussistere un ulteriore vincolo nei rapporti interni (ossia nei rapporti fra l’A Fund e la Z Luxembourg), il quale limiti i poteri esterni della Z Luxembourg. Un vincolo giuridico di tal genere non è finora emerso nella specie. In ogni caso, esso non deriva unicamente dal fatto che per il finanziamento venga utilizzato capitale proprio ovvero che gli interessi siano aggiunti al capitale o vengano convertiti in capitale proprio presso il beneficiario.

45.      Diversamente starebbero le cose, a mio avviso, nel caso in cui, ad esempio, i costi della Z Luxembourg non avessero potuto essere finanziati dagli interessi percepiti, ma gli interessi avessero dovuto essere trasferiti esclusivamente e integralmente. Una situazione diversa potrebbe inoltre eventualmente sussistere qualora il tasso di interesse del rifinanziamento e il tasso di interesse ottenuto fossero identici oppure qualora la società interposta non generasse costi autonomi da coprire con i redditi da interessi. Una situazione diversa si verificherebbe parimenti qualora il rischio di solvibilità della società residente in Danimarca (Z Denmark) dovesse essere sopportato unicamente dall’A Fund, in quanto, in un caso del genere, anche l’identica esposizione della Z Luxembourg nei confronti dell’A Fund si estinguerebbe. La questione se sussistano indizi in tal senso può, tuttavia, essere risolta unicamente dal giudice del rinvio.

46.      Qualora il giudice del rinvio, sulla scorta del complesso delle circostanze del singolo caso concreto, dovesse ritenere sussistente un siffatto rapporto fiduciario, il fiduciante, alla luce del testo dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2003/49, costituirebbe tuttavia il beneficiario effettivo ai sensi della direttiva 2003/49. Qualora la corresponsione degli interessi al fiduciante tramite il fiduciario rispondesse anche ai requisiti della direttiva 2003/49, l’esenzione dalla ritenuta alla fonte continuerebbe ad operare.

c)      Conclusione sulle questioni sub 1 e 1.4

47.      Di conseguenza, i quesiti pregiudiziali sub 1 e 1.4 devono essere risolti nel senso che una società residente in un altro Stato membro, la quale sia titolare del credito su cui maturano interessi, dev’essere considerata quale beneficiario effettivo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49. Diverso è il caso in cui essa non agisca in nome proprio e per proprio conto, bensì per conto di terzi in forza di un vincolo fiduciario (eventualmente occulto). In tal caso, sarebbe il terzo a dover essere considerato il beneficiario effettivo. Il ricorrere di quest’ultima ipotesi dev’essere valutata dal giudice del rinvio nell’ambito di un apprezzamento complessivo di tutte le circostanze.

2.      Questione dell’interpretazione fondata sui commentari al modello di convenzione OCSE (questioni da sub 1.1 a sub 1.3)

48.      Con le questioni da sub 1.1 a sub 1.3, il giudice del rinvio chiede, in particolare, se, ai fini dell’interpretazione delle nozioni della direttiva 2003/49, occorra parimenti tener conto dei commentari al modello di convenzione OCSE e, in caso di risposta affermativa, anche dei commentari relativi ad un modello di convenzione OCSE elaborato successivamente all’adozione della direttiva.

49.      Nei commentari al modello di convenzione OCSE posteriori (ad es. quello risalente al 2008 ai punti 8 e 9), le cosiddette società interposte non vengono solitamente considerate quali beneficiarie effettive, qualora esse – pur essendo beneficiarie effettive sotto il profilo formale – abbiano in pratica competenze estremamente ristrette, che ne fanno, in relazione ai redditi controversi, unicamente un fiduciario o un amministratore che agisce per conto delle parti interessate.

50.      I modelli di convenzione OCSE non costituiscono trattati di diritto internazionale multilaterali, giuridicamente vincolanti, bensì atti unilaterali di un’organizzazione internazionale sotto forma di raccomandazioni ai propri Stati membri. Anche la stessa OCSE ritiene che tali raccomandazioni non siano vincolanti; piuttosto, gli Stati membri sono tenuti, secondo il regolamento di procedura dell’OCSE, a verificare l’opportunità di aderirvi (9). Ciò vale, a maggior ragione, per i commentari adottati al riguardo dall’OCSE, i quali si limitano a contenere, in definitiva, opinioni giuridiche.

51.      Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, non è irragionevole che gli Stati membri, in sede di ripartizione equilibrata del potere impositivo ad essi spettante, si ispirino alla prassi internazionale, quale si riflette nei modelli di convenzione (10). Ciò vale anche qualora ci s’ispiri all’opinio juris internazionale che può riflettersi nei commentari al modello di convenzione OCSE.

52.      I commentari ai modelli di convenzione OCSE non possono tuttavia incidere direttamente sull’interpretazione di una direttiva UE, neanche qualora le nozioni impiegate dovessero essere identiche. Al riguardo, tali commentari si limitano a riprodurre l’opinione di coloro che hanno lavorato ai modelli di convenzione OCSE, ma non quella del legislatore parlamentare o persino del legislatore dell’Unione. Un’interpretazione in tal senso potrebbe semmai essere opportuna qualora dal tenore e dalla genesi della direttiva dovesse emergere che il legislatore dell’Unione si sia ispirato al testo di un modello di convenzione OCSE e ai commentari (dell’epoca) inerenti a tale modello.

53.      La Corte ha pertanto già avuto modo di dichiarare che una disposizione di una CDI, interpretata alla luce dei commentari dell’OCSE al proprio pertinente modello di convenzione, non può limitare il diritto dell’Unione (11). Ciò vale, in particolare, per le modifiche del modello di convenzione OCSE e dei commentari poste in essere successivamente all’adozione della direttiva. In caso contrario, gli Stati contraenti dell’OCSE avrebbero la possibilità di decidere sull’interpretazione di una direttiva UE.

54.      Tuttavia, se è pur vero che i commentari dell’OCSE non possiedono un’efficacia vincolante diretta e che la direttiva 2003/49 effettua una distinzione, all’articolo 1, paragrafo 4, a seconda che il creditore percepisca i pagamenti in qualità di beneficiario finale e non quale fiduciario, è quest’ultima la questione decisiva (di diritto dell’Unione) che dev’essere risolta per concludere nel senso dell’esistenza di un beneficiario effettivo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della 2003/49. Qualora non si sia in presenza di un negozio fiduciario (eventualmente occulto), il titolare del diritto civilistico è anche il beneficiario effettivo ai sensi della direttiva 2003/49. Si tratta tuttavia, in definitiva, di un approccio simile a quello seguito nei commentari più recenti al modello di convenzione OCSE.

55.      Di conseguenza, le questioni sub 1.1 e 1.2 possono essere risolte nel senso che la nozione di beneficiario effettivo dev’essere interpretata autonomamente sulla scorta del diritto dell’Unione e indipendentemente dall’articolo 11 del modello di convenzione OCSE del 1977 o di versioni successive. Non occorre pertanto rispondere alla questione sub 1.3.

B.      Criteri che consentono di ritenere sussistente un abuso (seconda questione)

56.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede effettivamente, in via principale, se uno Stato membro possa invocare l’articolo 5 della direttiva 2003/49 per evitare le frodi e gli abusi. Tuttavia, ciò presuppone necessariamente che, in presenza di una costruzione come quella in esame, la quale elude, inter alia, la tassazione alla fonte in Danimarca, possa affermarsi la sussistenza di un abuso ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/49; il prossimo passo consiste pertanto nel verificare tale circostanza.

57.      La sussistenza di un abuso dipende da una valutazione globale di tutte le circostanze del caso concreto, che è compito delle autorità nazionali competenti effettuare e che deve poter essere oggetto di controllo giurisdizionale (12). È pur vero che tale valutazione globale dev’essere effettuata dal giudice del rinvio (13). Al fine di valutare se le operazioni vengano realizzate nell’ambito di normali transazioni commerciali oppure al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione(14) la Corte può tuttavia fornire indizi utili al giudice del rinvio (15).

58.      Al riguardo, verrà anzitutto esaminata in dettaglio la nozione di abuso nel diritto dell’Unione (sub 1) e, successivamente, verranno analizzati i criteri che consentono di ritenere sussistente un abuso nel caso concreto (sub 2).

1.      La nozione di abuso nel diritto dell’Unione

59.      Ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/49, agli Stati membri non dev’essere preclusa la possibilità di adottare le misure appropriate per combattere le frodi o gli abusi (v. anche il considerando 6).

60.      L’interpretazione della nozione di beneficiario effettivo proposta supra (paragrafi 36 e segg.) non contraddice tale obiettivo. Piuttosto, proprio quest’ultimo obiettivo non viene principalmente realizzato per mezzo della nozione di beneficiario effettivo (in particolare l’intervento di un fiduciario non integra necessariamente un abuso), bensì tramite l’articolo 5 della direttiva 2003/49.

61.      Tale disposizione esprime, in definitiva, quanto è riconosciuto anche dalla costante giurisprudenza: non è consentito avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto dell’Unione. L’applicazione di una normativa di diritto dell’Unione non può, infatti, estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di normali transazioni commerciali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (16).

62.      Peraltro, la direttiva 2003/49 stessa non contiene una definizione di abuso. Indizi in tal senso si evincono tuttavia da altre direttive UE. Così, nella direttiva in materia di fusioni (17), quale esempio tipico della sussistenza di un obiettivo di tal genere, il secondo periodo dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), menziona l’assenza di valide ragioni economiche che giustifichino la transazione in questione. Inoltre, l’articolo 6 definisce, nella direttiva recante norme contro le pratiche di elusione fiscale (18) (in prosieguo: la «direttiva 2016/1164») – non ancora applicabile agli anni controversi – la nozione di abuso. Ai sensi di tale disposizione, è determinante la sussistenza di una costruzione che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile, non è genuina. Ai sensi del paragrafo 2, una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica.

63.      Non da ultimo la Corte ha dichiarato, in più occasioni, che per essere giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale (19). Come la Corte ha avuto modo, medio tempore, di dichiarare ripetutamente, è sufficiente, a tal fine, che la costruzione sia intesa non esclusivamente (20), bensì essenzialmente ad ottenere un vantaggio fiscale(21)

64.      Siffatta giurisprudenza della Corte contiene due elementi interdipendenti. Da un lato, viene negato a priori il riconoscimento a costruzioni meramente artificiose, esistenti in fin dei conti solo sulla carta. Inoltre, viene accordata un’importanza decisiva all’elusione della normativa fiscale, la quale può essere realizzata anche con l’ausilio di costruzioni esistenti nella realtà economica. Quest’ultima ipotesi è probabilmente la più frequente ed è ora contemplata espressamente anche nel nuovo articolo 6 della direttiva 2016/1164. La Corte stessa, in una recente decisione, ravvisa parimenti nel carattere puramente fittizio soltanto un indizio del fatto che l’ottenimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale perseguito (22).

2.      Criteri nel caso di specie

a)      Sull’esistenza di una costruzione meramente artificiosa

65.      La questione se sia possibile concludere nel senso della sussistenza di una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica, non può essere risolta dalla Corte. A tal fine, da un lato, i fatti esposti dal giudice del rinvio non sono sufficienti. Dall’altro, la valutazione di tali fatti spetta al medesimo. La Corte può fornire unicamente elementi di riferimento.

66.      Come dichiarato recentemente dalla Corte, la circostanza che l’attività consista unicamente nell’amministrazione di beni economici e che i redditi derivino esclusivamente da tale amministrazione non implica l’esistenza di una costruzione puramente artificiosa, priva di qualsiasi effettività economica (23). Alla luce della circostanza che particolarmente le società che svolgono attività di gestione patrimoniale esercitano (possono esercitare) di per sé poche attività, tale criterio dovrebbe essere subordinato a requisiti poco rigorosi. Qualora sussista effettivamente una costituzione valida, la società sia effettivamente raggiungibile presso la propria sede e disponga in loco delle corrispondenti risorse materiali e personali al fine di realizzare i propri obiettivi (nella specie, la gestione di un contratto di finanziamento), non si può parlare di una costruzione priva di qualsiasi effettività economica.

67.      Inoltre, a sfavore di una costruzione meramente artificiosa depone il fatto che nel 2006 è stata registrata una perdita e nel 2007 un utile della società lussemburghese, il quale sembra provenire da talune attività economiche. In particolare, se il tasso di interesse applicato nei confronti dell’A Fund è più elevato rispetto al tasso di interesse ottenuto dalla Z Denmark, devono essere sussistiti, per un risultato positivo e la tassazione ad esso connessa, ulteriori redditi della Z Luxembourg. Non sono ravvisabili, nella domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice nazionale, indizi più precisi nel senso che tali attività esistano esclusivamente sulla carta.

68.      Ciò non esclude tuttavia, a mio avviso, che non possa ciononostante sussistere una costruzione fiscale abusiva, come emerge anche dal testo del nuovo articolo 6 della direttiva 2016/1164.

b)      Motivi rilevanti estranei al diritto tributario

69.      Un’importanza decisiva rivestono pertanto, nel caso di specie, altri criteri, in particolare motivi rilevanti estranei al diritto tributario.

70.      Secondo la giurisprudenza della Corte, il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società, conformemente alla legislazione di uno Stato membro, al fine di beneficiare di una disciplina più vantaggiosa, non costituisce di per sé un abuso(24). La mera circostanza che, nell’operazione imprenditoriale con investitori stranieri qui in esame sia stata coinvolta anche una società stabilita in Lussemburgo, non è pertanto sufficiente a concludere nel senso della sussistenza di un abuso.

71.      Inoltre, il contribuente, laddove possa scegliere tra due alternative, non è obbligato ad optare per quella fiscalmente più onerosa, ma, piuttosto, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di contenere i propri oneri fiscali (25). In tal modo – sempre secondo la Corte – i contribuenti sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali (26). Pertanto, neanche la mera circostanza che, nel caso in esame, si sia optato per un’operazione strutturata in modo tale da evitare l’onere fiscale massimo (nella specie, una tassazione alla fonte supplementare e definitiva) può essere definita un abuso.

72.      Inoltre – al di là di una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica – un cittadino dell’Unione, persona fisica o giuridica, non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché abbia inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede (27). Pertanto, un’operazione – come quella in esame nella specie – strutturata in modo tale da includere uno Stato membro che abbia rinunciato alla tassazione alla fonte, non può, per questo sol fatto, essere considerata abusiva.

73.      In tal senso, la libertà di stabilimento comprende anche la scelta dello Stato membro che offre all’impresa in questione le condizioni a suo avviso più favorevoli sotto il profilo fiscale. Se tale principio vale già nel diritto in materia di IVA, manifestamente più armonizzato (28), esso deve valere, a maggior ragione, nel diritto in materia di imposte sui redditi, scarsamente armonizzato, nel quale una divergenza fra le normative tributarie(29) dei rispettivi Stati membri è voluta a livello di diritto dell’Unione ovvero viene consapevolmente accettata a livello politico.

74.      Inoltre, la Corte, richiamandosi alle libertà fondamentali, parimenti rilevanti nella specie, ha precisato che la mera circostanza che una società residente ottenga un finanziamento da una società collegata avente sede in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di pratiche abusive, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (30). Di conseguenza, neanche i diversi rapporti di credito fra società madre e società controllate direttamente e indirettamente sono di per sé abusivi nel caso di specie.

75.      La Corte ha inoltre precisato che l’esenzione fiscale dei dividendi prevista nel diritto dell’Unione non dipende dall’origine o dalla residenza degli azionisti, in quanto ciò non rileva nella direttiva sulle società madri e figlie (31). Neanche nella direttiva 2003/49 è ravvisabile una differenziazione al riguardo. Di conseguenza, neppure la circostanza che l’azionista della Z Luxembourg sia una società stabilita in uno paese terzo è, considerata isolatamente, abusiva.

76.      Nel caso di specie, a mio avviso, riveste un’importanza determinante, nell’ambito di una valutazione globale, anche la genesi della costruzione sospetta di essere abusiva. Stando a quanto indicato dalle parti all’udienza, in passato, grazie alla legislazione tributaria vigente in Danimarca, era vantaggioso acquisire, quale investitore straniero, società operative in Danimarca tramite una società commerciale (finanziata attraverso l’indebitamento). Tale legislazione è stata successivamente (per il 2006) modificata in senso sfavorevole dalla Danimarca, attraverso l’introduzione di un corrispondente prelievo alla fonte che ha comportato un onere fiscale supplementare e definitivo.

77.      La modifica della legislazione tributaria vigente è una prerogativa di ciascuno Stato. Essa comporta tuttavia anche una modifica delle basi di calcolo economiche per gli operatori interessati. Il tentativo di conservare le basi di calcolo originarie di un’operazione imprenditoriale (nella specie, dell’acquisizione di una società operativa danese con l’ausilio di investitori stranieri) non mi sembra, al riguardo, abusivo. Da ciascuna impresa ci si attende, infatti, che essa effettui i propri calcoli in modo economicamente efficiente.

c)      Sull’elusione della finalità normativa

78.      Assume tuttavia particolare rilievo, nel caso in esame, il fatto che gli investitori effettivi – nella specie, l’A Fund con i suoi cinque fondi di investimento, a prescindere dalla questione se essi debbano essere considerati trasparenti o non trasparenti – abbiano spesso la propria sede in determinati paesi terzi (di regola, su talune piccole isole, come le Isole Cayman (32), Bermuda (33), oppure, come nella specie, Jersey). Ciò può essere eventualmente indice di un modus operandi inusuale nel suo complesso, la cui motivazione economica non è, prima facie, comprensibile. I fondi di investimento potrebbero essere stabiliti anche in altri Stati, in particolare se, come sottolineato dal rappresentante dei ricorrenti all’udienza, essi debbano comunque essere considerati fiscalmente trasparenti.

79.      In tal senso, nella costruzione complessiva la natura abusiva potrebbe essere ravvisata in considerazione non tanto dell’«intervento» di una società lussemburghese, quanto piuttosto dello «stabilimento» dei fondi di investimento in determinati paesi terzi. A questo punto, importanza particolare riveste l’obiettivo della costruzione ovvero la finalità della normativa tributaria elusa (nella specie, della tassazione in Danimarca).

1)      Elusione dell’imposta danese sul reddito?

80.      Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che la Danimarca non è stata privata della tassazione degli utili della società operativa acquisita (Z Danmark). Tali utili sono stati regolarmente assoggettati ad imposta nello Stato di stabilimento (ossia in Danimarca).

81.      Il fatto che gli utili si siano ridotti a seguito del versamento degli interessi ai creditori stabiliti in Lussemburgo è la conseguenza della tassazione della capacità finanziaria e della circostanza che la Danimarca riconosce integralmente gli oneri finanziari quali costi di gestione.

82.      Tali interessi sono stati tassati in Lussemburgo quali redditi d’impresa della società lussemburghese. La circostanza che, in Lussemburgo, gli interessi corrisposti agli investitori siano a loro volta considerati quali costi di gestione è conforme, anche in tale paese, al principio della tassazione basata sulla capacità finanziaria. Pertanto, il Lussemburgo ha tassato la differenza fra gli interessi (9%), in uscita dalla Danimarca e gli interessi (9,875%), corrisposti all’A Fund nel paese terzo, inclusi eventuali redditi ulteriori evidentemente presenti allorché, nel 2007, è stato realizzato un risultato d’esercizio positivo.

83.      La società lussemburghese è integralmente imponibile in Lussemburgo e i suoi redditi sono ivi soggetti all’imposta sulle società. Sono pertanto soddisfatti i requisiti di cui all’articolo 3 lettera a), iii) della direttiva 2003/49. Occorre inoltre rilevare che da nessuna disposizione della direttiva 2003/49 emerge che un’effettiva tassazione del beneficiario effettivo (nella specie, delle società lussemburghesi) per un determinato importo costituisca il presupposto dell’esenzione. Se è pur vero che il fatto che nello Stato di stabilimento gravino sul beneficiario costi di gestione effettivi corrispondentemente elevati (oltre a perdite riportate da esercizi precedenti) non implichi una tassazione concreta, tale contribuente resta tuttavia assoggettato all’imposta sulle società e ricade pertanto nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/49, essendo i suoi redditi da interessi conseguentemente tassati «in uno Stato membro». Ciò avviene anche qualora, nello Stato di stabilimento del beneficiario effettivo, l’imposta sulle società sia esigua e la tassazione alla fonte non esista.

84.      L’eventuale esistenza di una tassazione effettiva esigua o l’assenza di tassazione è la conseguenza dell’autonomia fiscale di ciascun singolo Stato. Se già nell’Unione, a causa dell’assenza di armonizzazione delle imposte sul reddito, il diritto dell’Unione consente una concorrenza fiscale fra gli Stati membri, ad un contribuente non può essere contestato di essersi effettivamente avvalso anche in concreto (vale a dire non solo sulla carta), dei vantaggi connessi all’ubicazione offerti da singoli Stati membri.

2)      Prevenzione dello sfruttamento di lacune informative transfrontaliere

85.      In ultima analisi, per mezzo dell’intervento della società lussemburghese viene elusa, in definitiva, «soltanto» la tassazione alla fonte degli interessi corrisposti in Danimarca. Tuttavia, come già dichiarato dalla Corte, nel caso di un prelievo alla fonte viene però tassato, in realtà, il beneficiario dei redditi (nella specie, degli interessi) (34). Ciò avviene nella misura in cui il soggetto pagatore, al momento della distribuzione, deve operare una ritenuta alla fonte su una parte dei redditi.

86.      La tassazione alla fonte nello Stato di stabilimento del debitore di interessi non costituisce pertanto un tipo di imposta autonoma, bensì unicamente una particolare tecnica impositiva, finalizzata ad assicurare, in sostanza, una tassazione (minima) del beneficiario degli interessi. Infatti, in particolare nel caso di fattispecie estere, non sempre vi è la garanzia che il beneficiario assoggetti debitamente ad imposta i propri redditi. In genere, lo Stato di stabilimento del beneficiario degli interessi raramente viene a conoscenza dei redditi del medesimo provenienti dall’estero, qualora fra le amministrazioni finanziarie non esistano sistemi funzionanti di scambio dei dati, come ormai avviene nell’Unione.

87.      Di conseguenza, per concludere nel senso di un’elusione abusiva della ratio della normativa (garanzia della tassazione del beneficiario degli interessi), dovrebbero ricorrere due requisiti. Da un lato, nel caso di versamento diretto, deve anzitutto sussistere una pretesa impositiva della Danimarca (cfr. al riguardo paragrafi 92 e segg.). Dall’altro, deve esistere un rischio di non assoggettamento ad imposta per effetto dell’omessa considerazione di tali redditi nello Stato effettivamente destinatario.

88.      Pertanto, qualora un motivo alla base della scelta della struttura dell’operazione dovesse essere individuato nella corresponsione di interessi agli investitori facendoli fluire attraverso uno paese terzo, affinché gli Stati in cui essi risiedono non ricevano alcuna informazione sui loro redditi, in tale costruzione globale dovrà essere allora ravvisato, a mio avviso, un abuso del diritto.

89.      Tale contestazione di abuso potrebbe, a sua volta, essere confutata nel caso in cui i fondi di investimento mettano a disposizione degli Stati di stabilimento degli investitori le corrispondenti informazioni fiscali al momento della distribuzione di dividendi ai medesimi. Una simile struttura imprenditoriale non eluderebbe, in tal caso, l’obiettivo della ritenuta alla fonte evasa (al riguardo supra, paragrafo 86). Anche tale considerazione dev’essere inclusa dal giudice nella propria valutazione complessiva.

d)      Risposta alla seconda questione

90.      Nel caso dell’elusione della tassazione alla fonte con riguardo agli interessi corrisposti a fondi di investimento residenti in paesi terzi rileva, in via principale, l’elusione della tassazione dei redditi da interessi presso i loro beneficiari effettivi (ossia gli investitori). In tal caso, è possibile concludere nel senso della sussistenza di un abuso in particolare qualora la struttura imprenditoriale scelta miri a sfruttare talune lacune informative fra gli Stati coinvolti al fine di impedire una tassazione effettiva dei beneficiari degli interessi medesimi.

C.      Sull’indicazione del beneficiario effettivo (quarta questione)

91.      Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede se lo Stato membro che non intenda riconoscere la coincidenza del beneficiario degli interessi con il beneficiario effettivo ai sensi della direttiva 2003/49, essendo questi soltanto una cosiddetta società interposta fittizia, sia tenuto a dichiarare chi sia il beneficiario effettivo. In tal modo, il giudice del rinvio solleva, in sostanza, la questione dell’onere della prova della sussistenza di un abuso.

92.      Un abuso delle costruzioni giuridiche possibili presuppone che si sia optato per una costruzione legale che deroga alla costruzione normalmente scelta, la quale comporti un risultato più favorevole rispetto alla costruzione «normale». Quale «costruzione normale» dovrebbe essere considerato, nel caso di specie, un rapporto di finanziamento diretto fra gli investitori e la ricorrente nel procedimento principale ai fini dell’acquisizione della società cui l’operazione era finalizzata.

93.      Spetta, in linea di principio, all’amministrazione finanziaria dimostrare che l’approccio scelto è più vantaggioso, sotto il profilo fiscale, rispetto alla costruzione normale, fermo restando che al contribuente può incombere un certo obbligo di cooperazione. In tal caso, il contribuente può tuttavia produrre «eventualmente (…) elementi relativi alle ragioni commerciali soggiacenti alla transazione in questione» (35). Qualora emerga che lo scopo essenziale (36) non consista nell’elusione di imposte normalmente applicabili, l’approccio scelto non potrà essere considerato abusivo, tanto più che è lo Stato stesso che offre al contribuente la possibilità di ricorrere a costruzioni di tal genere.

94.      Dalla giurisprudenza della Corte (37) risulta, inoltre, che la presunzione di una pratica abusiva implica la determinazione della situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che hanno realizzato tale pratica e, successivamente, la valutazione di tale situazione ridefinita alla luce delle pertinenti disposizioni del diritto nazionale e del diritto dell’Unione. A tal fine deve tuttavia essere certa l’identità del beneficiario effettivo.

95.      Pertanto, dal punto di vista danese, un abuso ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/49 potrà sussistere soltanto se, nel caso di un versamento diretto degli interessi, dovesse avere luogo un corrispondente assoggettamento ad imposta in Danimarca. Ciò è tuttavia escluso dal diritto danese qualora, non prendendo in considerazione la cosiddetta società interposta, anche il beneficiario effettivo degli interessi sia un’impresa con sede in un altro Stato membro oppure il beneficiario degli interessi sia residente in uno Stato con il quale la Danimarca abbia concluso una CDI. Qualora i fondi di investimento dovessero essere effettivamente considerati società fiscalmente trasparenti, occorrerebbe fare riferimento al rispettivo investitore al fine di poter anzitutto risolvere tale questione.

96.      Di conseguenza, la quarta questione può essere risolta nel senso che lo Stato membro che non intenda riconoscere che una società residente in un altro Stato membro – alla quale siano stati versati gli interessi – sia la beneficiaria effettiva degli interessi, deve indicare, ai fini della presunzione di un abuso, lo Stato membro nel quale ritiene si trovi il beneficiario effettivo. Ciò è necessario per poter accertare se, tramite la costruzione classificata come abusiva, venga anzitutto conseguito un risultato più favorevole sotto il profilo fiscale. In particolare nel caso di fattispecie collocate all’estero, può tuttavia gravare sul contribuente un obbligo di collaborazione rafforzato.

D.      Sul ricorso all’articolo 5 della direttiva 2003/49 (seconda e terza questione)

97.      Con le questioni sub 2, 2.1 e 3, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se (1) la Danimarca possa far valere direttamente l’articolo 5 della direttiva 2003/49 al fine di negare l’esenzione fiscale al contribuente. Se così non fosse, occorre chiarire se (2) la Danimarca abbia sufficientemente attuato, con la normativa nazionale in esame, l’articolo 5 della direttiva 2003/49.

1.      Esclusione dell’applicazione diretta di una direttiva al fine di fondare obblighi a carico del singolo

98.      Nell’ipotesi in cui, sulla scorta dei criteri indicati supra, dovesse sussistere un abuso ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/49, la fattispecie in esame si contraddistinguerebbe per la peculiarità che nel diritto danese non figura nessuna disposizione specifica intesa ad attuare l’articolo 5 della direttiva 2003/49. Non sussisterebbe neanche – in tal senso il giudice del rinvio – una disposizione legislativa generale sulla prevenzione dell’abuso. In particolare la ricorrente nel procedimento principale ritiene pertanto che non possa esserle negata l’esenzione fiscale risultante dal diritto nazionale persino nel caso in cui dovesse essere presunta la sussistenza di un abuso.

99.      Tuttavia, non sempre è necessaria una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva (nella specie, dell’articolo 5 della direttiva 2003/49) in specifiche norme del diritto nazionale. Invero, per la trasposizione di una direttiva può essere già sufficiente, a seconda del suo contenuto, un contesto normativo generale – compresi i principi generali del diritto costituzionale o amministrativo nazionale –, purché in tal modo sia garantita la piena applicazione della direttiva in termini sufficientemente chiari e precisi (38).

100. Nell’ambito del procedimento pregiudiziale, il giudice del rinvio richiama l’esistenza di due principi (il cosiddetto criterio sostanziale e il principio del «beneficiario legittimo dei redditi»). Le parti concordano peraltro sul fatto che tali principi non sono pertinenti nella specie se, in realtà, gli interessi, dal punto di vista formale, sono stati effettivamente corrisposti, in un primo momento, alla società lussemburghese.

101. L’articolo 5 della direttiva 2003/49 consente tuttavia agli Stati membri di procedere corrispondentemente alla repressione degli abusi, repressione che è parimenti conforme ad una prassi a livello dell’Unione. Così, la stragrande maggioranza degli Stati membri ha elaborato una serie di strumenti per fronteggiare l’abuso del diritto finalizzato all’evasione fiscale (39). Esiste pertanto anche nei sistemi tributari nazionali un consenso sul fatto che l’applicazione della legge non possa estendersi fino a dover tollerare comportamenti abusivi degli operatori economici. Tale principio, riconosciuto a livello dell’Unione (40), è ora parimenti sancito nell’articolo 6 della direttiva 2016/1164.

102. In tal senso, tutte le disposizioni nazionali, siano esse state emanate o meno ai fini della trasposizione della direttiva 2003/49, devono essere interpretate ed applicate ogni volta in conformità con tale principio generale e, in particolare, con la lettera e con gli scopi della direttiva 2003/49, nonché del suo articolo 5 (41). Non osta ad un’interpretazione del diritto nazionale in senso conforme al diritto dell’Unione il fatto che questa possa eventualmente risolversi a danno del singolo. Infatti, è consentita un’applicazione del diritto dell’Unione a danno del singolo effettuata per il tramite di disposizioni del diritto interno, ossia in forma indiretta (42).

103. Alle autorità danesi sarebbe preclusa soltanto un’applicazione diretta dell’articolo 5 della direttiva 2003/49 a danno della ricorrente, anche per motivi di certezza del diritto (43). Uno Stato membro, infatti, non può far valere contro un singolo una disposizione di una direttiva che esso stesso non ha trasposto(44) Secondo costante giurisprudenza, infatti, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (45). Un Stato membro si comporterebbe, in tal caso, esso stesso «abusivamente». Da un lato, esso non trasporrebbe (pur potendo) una direttiva ad esso rivolta; dall’altro, lo stesso farebbe valere una possibilità di combattere un abuso contenuta nella direttiva non trasposta.

104. Le autorità competenti nel procedimento a quo non potrebbero tantomeno invocare direttamente nei confronti del singolo il principio generale di diritto dell’Unione che vieta di abusare del diritto. Infatti, perlomeno in relazione ai casi che rientrano nell’ambito d’applicazione della direttiva 2003/49, tale principio ha già trovato specifica espressione e realizzazione nell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva (46). Se infatti, accanto a tale norma, si consentisse anche il ricorso diretto ad un principio generale del diritto dal contenuto decisamente meno chiaro e preciso, vi sarebbe il rischio di frustrare l’obiettivo di armonizzazione della direttiva 2003/49, e di tutte le altre direttive contenenti disposizioni concrete in materia di prevenzione degli abusi (quale, ad esempio, l’articolo 6 della direttiva 2016/1164). Inoltre, risulterebbe compromesso in tal modo anche il già menzionato divieto di applicare direttamente a danno del singolo disposizioni di direttive non trasposte (47).

2.      Non trasponibilità della giurisprudenza in materia di IVA

105. A tali considerazioni non ostano le decisioni pronunciate dalla Corte (48) nelle cause Italmoda e Cussens. In tali cause, la Corte ha dichiarato che il principio del divieto di pratiche abusive dev’essere interpretato nel senso che, indipendentemente da una misura nazionale che gli dia attuazione nell’ordinamento giuridico interno, può essere direttamente applicato al fine di escludere l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, senza che vi ostino i principi della certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento.

106. Queste due decisioni vertono peraltro esclusivamente sul diritto in materia di IVA. Quest’ultimo differisce dalla materia in esame. Da un lato, il diritto in materia di IVA è molto più armonizzato dal diritto dell’Unione e tocca in misura maggiore interessi di diritto dell’Unione attraverso la dotazione finanziaria dell’Unione ad esso abbinata, rispetto alle normative degli Stati membri in materia di imposte sui redditi.

107. Dall’altro, il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2 TFUE, obbliga gli Stati membri alla riscossione (effettiva) di un’imposta sul valore aggiunto (49), diversamente da quanto avviene nel caso del diritto in materia di imposte sui redditi. A ciò si aggiunge la particolare vulnerabilità alla frode del diritto in materia di IVA, che esige un’attuazione particolarmente efficace dei diritti impositivi. Al riguardo, anche la stessa Corte, nella propria più recente giurisprudenza, distingue fra il diritto in materia di IVA e il diritto derivato dell’Unione, il quale contiene espressamente un’autorizzazione a combattere gli abusi (50). Un’applicazione diretta dell’articolo 5 della direttiva 2003/49 a scapito del contribuente non viene pertanto in considerazione (51).

3.      Sull’esistenza di una specifica disposizione nazionale di repressione degli abusi

108. Il giudice del rinvio dovrà tuttavia verificare se non siano già applicabili al caso di specie disposizioni o principi generali del diritto interno (tra i quali si annoverano anche i principi elaborati dalla giurisprudenza), interpretati in maniera conforme al diritto dell’Unione, dai quali potrebbe ad esempio risultare l’irrilevanza, ai fini fiscali, dei negozi simulati o il divieto di un ricorso abusivo a determinate agevolazioni fiscali.

109. È pur vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, perché sia giustificata da motivi di repressione delle pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale (52).

110. Per questo motivo, le questioni sub 2.1 e 3 possono essere risolte nel senso che né l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d) della legge danese relativa all’imposta sulle società né una disposizione di una CDI, la quale faccia riferimento, ai fini della tassazione degli interessi, al beneficiario effettivo, sono sufficienti per poter essere considerati quale trasposizione dell’articolo 5 della direttiva 2003/49.

111. Una diversa valutazione dovrebbe tuttavia imporsi nel contesto dell’applicazione conforme al diritto dell’Unione del cosiddetto criterio sostanziale e del principio del «beneficiario legittimo dei redditi» in Danimarca. Essi sono stati elaborati esattamente al fine di fronteggiare la problematica consistente nel fatto che il diritto civile consente numerose costruzioni, ma il diritto tributario assoggetta ad imposta situazioni economiche. Tali principi di diritto sono pertanto specificamente diretti avverso costruzioni artificiose oppure avverso l’abuso del diritto da parte dei singoli, e costituiscono dunque, in linea di principio, anche un fondamento sufficientemente specifico per una restrizione della libertà di stabilimento. Il fatto – sottolineato a più riprese dai ricorrenti nel procedimento principale all’udienza – che la Danimarca non abbia proceduto ad una trasposizione esplicita dell’articolo 5 della direttiva 2003/49, sarebbe pertanto privo di conseguenze. Una valutazione dettagliata al riguardo spetta tuttavia al giudice nazionale.

112. Il «criterio sostanziale» elaborato in Danimarca, interpretato in modo conforme al diritto dell’Unione, potrebbe dunque essere sufficiente quale fondamento per ignorare al momento della tassazione, laddove esistenti, costruzioni puramente artificiose o anche abusive (v. al riguardo, in dettaglio, paragrafi 57 e segg.). Anche il «criterio sostanziale» altro non mi sembra se non una forma particolare dell’approccio economico sotteso alla maggior parte delle disposizioni in materia di tutela contro gli abusi dei singoli Stati membri (53). Ciò risulta in maniera evidente anche a livello di diritto dell’Unione, ad esempio all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2016/1164, ai sensi del quale una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica. Quest’ultima valutazione spetta tuttavia al giudice nazionale.

113. Qualora l’obiettivo della costruzione consista nell’impedire una tassazione degli investitori, il versamento degli interessi, pur se formalmente effettuato a favore della società lussemburghese, viene dunque in realtà eseguito, dal punto di vista economico, a favore dell’A Fund ovvero dei suoi investitori. Il versamento alla Z Luxembourg rispecchia quindi non la realtà economica, bensì unicamente la realtà (formale) sotto il profilo civilistico.

E.      Violazione delle libertà fondamentali (quinta, sesta e settima questione)

114. Poiché la Z Luxembourg – come esposto supra, paragrafi 34 e segg. – dev’essere considerata, in linea di principio, il beneficiario effettivo, può soprassedersi all’esame delle questioni quinta, sesta e settima sollevate dal giudice del rinvio.

115. Laddove il giudice del rinvio, procedendo ad un’applicazione conforme al diritto dell’Unione dei principi vigenti nell’ordinamento giuridico nazionale, dovesse pervenire alla conclusione che ricorre una costruzione abusiva, troverà effettivamente, peraltro subordinatamente a determinate circostanze, la tassazione alla fonte. Tuttavia, la questione, nel caso di specie, non si pone più, in quanto tale imposizione è una conseguenza dell’abuso e, secondo una giurisprudenza costante della Corte, i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (54).

116. A prescindere da tale considerazione, tuttavia, la Corte ha già dichiarato che la differenza di trattamento tra i beneficiari di interessi nazionali ed esteri a causa di una diversa tecnica impositiva riguarda situazioni che non sono analoghe (55). Persino qualora dovesse ritenersi che si sia presenza di una situazione analoga, secondo la giurisprudenza della Corte, una restrizione della libertà fondamentale sarebbe giustificata fintantoché la ritenuta alla fonte danese gravante sul beneficiario degli interessi residente all’estero non sia superiore all’imposta sulle società danese di un beneficiario degli interessi nazionale (56).

117. L’indeducibilità dei costi del beneficiario degli interessi residente all’estero nell’ambito della tassazione alla fonte, menzionata dal giudice del rinvio nella quinta questione, consegue necessariamente dal regime dell’imposizione alla fonte. Qualora, in ultima analisi, l’imposta sul reddito del beneficiario dei pagamenti venga assolta forfettariamente da un terzo (il pagatore degli interessi), quest’ultimo non può detrarre i costi(costi di gestione) – generalmente non noti – del beneficiario medesimo. Di norma, tali costi vengono già presi in considerazione in modo approssimativo con l’applicazione di un’aliquota della ritenuta alla fonte inferiore.

118. In definitiva, il giudice del rinvio, con la quinta questione, chiede pertanto, piuttosto, se il beneficiario degli interessi straniero, al pari del beneficiario degli interessi nazionale, debba poter far valere i propri costi presentando una dichiarazione fiscale in Danimarca. La soluzione di tale questione è tuttavia irrilevante per il presente procedimento – la Z Denmark contesta la propria responsabilità con riguardo all’obbligo di applicare la ritenuta alla fonte.

119. Lo stesso ragionamento (riferito al paragrafo 115) vale per quanto attiene, con riguardo all’imposta sulle società danese, all’applicazione di una differente aliquota ovvero al sorgere debito fiscale nei confronti del beneficiario degli interessi e nei confronti della ritenuta alla fonte danese gravante sul soggetto pagatore degli interessi. Non si tratta di fattispecie analoghe, in quanto in un caso viene dovuta una propria imposta (imposta sulle società), mentre nell’altro viene riscossa e versata per il beneficiario degli interessi un’imposta in realtà altrui (la sua imposta sul reddito o sulle società). Una disparità sotto il profilo del sorgere e dell’aliquota di imposta discende dalla diversa tecnica e funzione della tassazione alla fonte (cfr. al riguardo paragrafo 86).

VI.    Conclusione

120. Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest, Danimarca) nei seguenti termini:

1)      Le questioni da sub 1 a sub 1.4 devono essere risolte nel senso che una società residente in un altro Stato membro, la quale sia titolare del credito su cui maturano interessi, dev’essere considerata, in linea di principio, quale beneficiario effettivo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49/CE, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi. A diversa conclusione deve invece giungersi nel caso in cui essa agisca non per conto proprio, bensì per conto di un terzo.

La nozione di beneficiario effettivo dev’essere interpretata autonomamente sulla scorta del diritto dell’Unione e indipendentemente dai commentari all’articolo 11 del modello di convenzione OCSE del 1977 o di versioni successive.

2)      La seconda questione dev’essere risolta nel senso che l’accertamento di un abuso dipende da una valutazione globale di tutte le circostanze del singolo caso concreto, incombente al giudice nazionale.

a)      Un abuso nel diritto tributario può ricorrere nel caso di costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica oppure finalizzate sostanzialmente ad eludere un’imposta, altrimenti applicabile alla luce dell’obiettivo della legge. Al riguardo, l’amministrazione finanziaria deve dimostrare che, in presenza di una costruzione adeguata, sarebbe stata esigibile una corrispondente imposta, mentre il contribuente deve dimostrare che la costruzione scelta si fonda su motivi rilevanti estranei al diritto tributario.

b)      Nel caso dell’elusione di un prelievo alla fonte in relazione ai pagamenti degli interessi a favore di fondi di investimento residenti in paesi terzi viene in considerazione, in via principale, un’elusione della tassazione dei redditi da interessi in capo ai beneficiari effettivi degli interessi (ossia gli investitori). Nella specie, è possibile concludere nel senso di un abuso in particolare qualora la struttura imprenditoriale scelta miri a sfruttare talune lacune informative fra gli Stati coinvolti al fine di impedire una tassazione effettiva dei beneficiari degli interessi.

c)      Uno Stato membro non può tuttavia invocare l’articolo 5 della direttiva 2003/49 qualora non abbia provveduto alla sua trasposizione.

3)      La terza questione dev’essere risolta nel senso che né l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della legge danese relativa all’imposta sulle società né una disposizione di una convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione analoga all’articolo 11 del modello di convenzione OCSE, possono essere considerati quale sufficiente attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2003/49. Ciò non preclude tuttavia un’interpretazione e un’applicazione conformi al diritto dell’Unione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale, la cui finalità consista nella specifica repressione delle costruzioni artificiose ovvero dell’abuso del diritto da parte dei singoli.

4)      La quarta questione dev’essere risolta nel senso che lo Stato membro che non intenda riconoscere che una società residente in un altro Stato membro sia la beneficiaria effettiva degli interessi, deve dichiarare, ai fini dell’assunzione di un abuso, chi sia il beneficiario effettivo. Nel caso di fatti avvenuti all’estero, sul contribuente può tuttavia gravare un obbligo di collaborazione rafforzato.

5)      Alla luce delle risposte alla prima e alla seconda questione, non occorre rispondere alle questioni quinta, sesta e settima.


1      Lingua originale: il tedesco.


2      Si tratta, specificamente, delle cause riunite C‑115/16, C‑118/16 e C‑119/16.


3      Direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU 2003, L 157, pag. 49).


4      Bekendtgørelse af lov om indkomstbeskatning af aktieselskaber m.v., selskabsskatteloven – Lovbekendtgørelse nr. 1037 af 24. august 2007 (decreto del 24 agosto 2007, n. 1037).


5      Kildeskatteloven – Lovbekendtgørelse nr. 1086 af 14. november 2005 (decreto del 14 novembre 2005, n. 1086).


6      Con tale espressione viene definita la situazione in cui la società può effettivamente agire nei rapporti giuridici, ma, sotto il profilo fiscale, non è quest’ultima, bensì direttamente i suoi soci che si vedono imputare proporzionalmente l’utile della società e che sono tenuti ad assoggettarlo ad imposta. La conseguenza è che, in linea di principio, non lo Stato di stabilimento della società, bensì lo Stato di stabilimento dei soci assoggetta proporzionalmente ad imposta i «redditi della società» (nella specie, gli interessi percepiti dai fondi di investimento).


7      Sentenza del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology (C‑397/09, EU:C:2011:499, punto 28).


8      Sentenza del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology (C‑397/09, EU:C:2011:499, punto 27) – «Al riguardo, l’art[icolo] 2, lett[era] a), della direttiva 2003/49 definisce siffatti interessi come “i redditi da crediti di qualsiasi natura”. Orbene, soltanto il beneficiario effettivo può percepire interessi che costituiscono redditi da tali crediti».


9      Rule 18 lit. b del regolamento di procedura dell’OCSE: «Recommendations of the Organisation, made by the Council in accordance with Articles 5, 6 and 7 of the Convention, shall be submitted to the Members for consideration in order that they may, if they consider it opportune, provide for their implementation». Disponibile all’indirizzo https://www.oecd.org/legal/rules%20of%20Procedure%20OECD%20Oct%202013.pdf.


10      Sentenze del 15 maggio 2008, Lidl Belgium (C‑414/06, EU:C:2008:278, punto 22); del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 49); del 7 settembre 2006, N (C‑470/04, EU:C:2006:525, punto 45); del 12 maggio 1998, Gilly (C‑336/96, EU:C:1998:221, punto 31); del 23 febbraio 2006, van Hilten-van der Heijden (C‑513/03, EU:C:2006:131, punto 48); v. tuttavia, al riguardo, anche la sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 67).


11      Sentenza del 19 gennaio 2006, Bouanich (C‑265/04, EU:C:2006:51, punti 50 e 56).


12      Sentenza del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 41), e le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 60).


13      Parimenti sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 59), e del 20 giugno 2013, Newey (C‑653/11, EU:C:2013:409, punto 49).


14      Sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35); del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C‑456/04, EU:C:2006:241, punto 20); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 68 e 69); del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24, e la giurisprudenza ivi citata); v. anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 57).


15      Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 34); del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 56), nonché del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 77).


16      Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38); del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C‑456/04, EU:C:2006:241, punto 20); del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 68 e 69), nonché del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24, e la giurisprudenza ivi citata); v., al riguardo, anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 57).


17      Direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 1).


18      Direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016 recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (GU 2016, L 193, pag. 1).


19      Sentenze del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 60); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 35); del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 64); del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 74); in senso analogo, sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55).


20      In tal senso anche sentenze del 20 giugno 2013, Newey (C‑653/11, EU:C:2013:409, punto 46); del 12 luglio 2012, J.J. Komen en Zonen Beheer Heerhugowaard (C‑326/11, EU:C:2012:461, punto 35); del 27 ottobre 2011, Tanoarch (C‑504/10, EU:C:2011:707, punto 51), nonché del 22 maggio 2008, Ampliscientifica e Amplifin (C‑162/07, EU:C:2008:301, punto 28).


21      In relazione al diritto in materia di imposte indirette: sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 53); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 36), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 45); nell’ambito di applicazione della cosiddetta direttiva in materia di fusioni, analogamente: sentenza del 10 novembre 2011, FOGGIA-Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punti 35 e 36).


22      In tal senso, esplicitamente, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 60).


23      Sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 73).


24      V. sentenze del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo (C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 40); del 30 settembre 2003, Inspire Art (C‑167/01, EU:C:2003:512, punto 96), nonché del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 27).


25      Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42); del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C‑103/09, EU:C:2010:804, punto 27); del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 47), nonché del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 73).


26      Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42), e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 53).


27      Sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 36); v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2003, Barbier (C‑364/01, EU:C:2003:665, punto 71).


28      Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42), e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 53).


29      V. sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 36); sulla divergenza, ammessa dal diritto dell’Unione, delle aliquote d’imposta persino nel diritto tributario armonizzato, v., parimenti, sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punti 39 e 40).


30      Sentenze del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 73); del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 50); v., in tal senso, sentenze del 4 marzo 2004, Commissione/Francia (C‑334/02, EU:C:2004:129, punto 27), nonché del 26 settembre 2000, Commissione/Belgio (C‑478/98, EU:C:2000:497, punto 45).


31      Sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 66).


32      Così nella causa C‑119/16.


33      Così nella causa C‑117/16.


34      Sentenze del 24 giugno 2010, P. Ferrero e General Beverage Europe (C‑338/08 e C‑339/08, EU:C:2010:364, punti 26 e 34), e del 26 giugno 2008, Burda (C‑284/06, EU:C:2008:365, punto 52).


35      Sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 92).


36      Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 53); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 36), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 45).


37      Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 47); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 52), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 58).


38      In tal senso la giurisprudenza costante, v., ad es., le sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 44); del 6 aprile 2006, Commissione/Austria (C‑428/04, EU:C:2006:238, punto 99); del 16 giugno 2005, Commissione/Italia (C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 51), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 62).


39      Gli Stati membri dispongono in parte di clausole generali per fronteggiare pratiche abusive, come nella Repubblica federale di Germania con l’articolo 42 dell’Abgabenordnung (codice tributario), nel Lussemburgo con l’articolo 6 dello Steueranpassungsgesetz (legge di adeguamento fiscale), in Belgio con l’articolo 344, §1, del Code des impôts sur les revenus (legge in materia di imposte sui redditi), in Svezia con l’articolo 2 della legge 1995:575 oppure in Finlandia con l’articolo 28 della legge in materia di imposte sui redditi; talvolta vi sono disposizioni speciali [come in Danimarca in relazione ai prezzi di trasferimento ai sensi dell’articolo 2 del Ligningslovens (legge sugli investimenti)], oppure principi generali del diritto (come nella Repubblica federale di Germania il principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», desumibile, inter alia, dall’articolo 39 e seguenti dell’Abgabenordnung).


40      V., ex multis, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68); del 3 marzo 2005, Fini H (C‑32/03, EU:C:2005:128, punto 32); del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 51), nonché del 23 marzo 2000, Diamantis (C‑373/97, EU:C:2000:150, punto 33).


41      Sull’obbligo dei giudici nazionali di interpretare il diritto interno in conformità con le direttive, v. la costante giurisprudenza e, in particolare, le sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 108 e segg.); del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 113 e segg.), nonché del 10 aprile 1984, von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 26).


42      Sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 45); del 7 gennaio 2004, Wells (C‑201/02, EU:C:2004:12, punto 57); del 14 luglio 1994, Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:292, punti 20, 25 e 26), e del 13 novembre 1990, Marleasing (C‑106/89, EU:C:1990:395, punti 6 e 8), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 65).


43      In tal senso, espressamente, sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).


44      Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 49); del 21 settembre 2017, DNB Banka (C‑326/15, EU:C:2017:719, punto 41); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42); del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 21); v. anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 66).


45      Sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42), e le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 65); v., ex multis, anche la sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 108, e la giurisprudenza ivi citata).


46      V. le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 67) e la sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38 e segg.). Analogamente anche le mie conclusioni nella causa Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia (C‑73/07, EU:C:2008:266, paragrafo 103).


47      Non chiara, al riguardo, la sentenza del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punti da 74 a 77); v. al riguardo già le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 67), nonché in maniera specifica anche la sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).


48      Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881), e del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti (C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455).


49      Sentenze dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555, punto 36 e segg.), e del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 26).


50      In tal senso, espressamente, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punti 28, 31 e 38).


51      In tal senso già la Corte nella sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).


52      Sentenze del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 64); del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55), nonché del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 74).


53      Viene fatto spesso riferimento, negli Stati membri, al contenuto effettivo di un atto o di una transazione – così, ad es., in Finlandia, in Ungheria, in Irlanda, in Italia, in Lituania, nei Paesi Bassi, nel Portogallo e in Slovenia.


54      V., ex multis, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68), nonché del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 51, e la giurisprudenza ivi citata).


55      Sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, EU:C:2008:762, punto 41); confermata dalla sentenza del 18 ottobre 2012, X (C‑498/10, EU:C:2012:635, punto 26).


56      V. sentenze del 17 settembre 2015, Miljoen e a. (C‑10/14, C‑14/14 e C‑17/14, EU:C:2015:608, punto 90), e del 18 ottobre 2012, X (C‑498/10, EU:C:2012:635, punto 42 e segg.).