Language of document : ECLI:EU:C:2018:308

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

8 maggio 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Controllo alle frontiere, asilo, immigrazione – Articolo 20 TFUE – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 7 e 24 – Direttiva 2008/115/CE – Articoli 5 e 11 – Cittadino di un paese terzo oggetto di un divieto di ingresso nel territorio – Domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione europea che non ha mai esercitato la propria libertà di circolazione – Rifiuto di esaminare la domanda»

Nella causa C‑82/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio), con decisione dell’8 febbraio 2016, pervenuta in cancelleria il 12 febbraio 2016, nel procedimento

K.A.,

M.Z.,

M.J.,

N.N.N.,

O.I.O.,

R.I.,

B.A.

contro

Belgische Staat,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič e C. Vajda, presidenti di sezione, J.–C. Bonichot, A. Arabadjiev, C. Toader, M. Safjan, E. Jarašiūnas, S. Rodin, F. Biltgen e C. Lycourgos (relatore), giudici,

avvocato generale: E. Sharpston

cancelliere: C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 febbraio 2017,

considerate le osservazioni presentate:

–        per K.A., M.Z. e B.A., da J. De Lien, advocaat;

–        per M.J., da W. Goossens, advocaat;

–        per N.N.N., da B. Brijs, advocaat;

–        per il governo belga, da C. Pochet e M. Jacobs, in qualità di agenti, assistite da C. Decordier, D. Matray e T. Bricout, advocaten;

–        per il governo ellenico, da T. Papadopoulou, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da E. Montaguti, C. Cattabriga e P.J.O. Van Nuffel, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 ottobre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 20 TFUE, degli articoli 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e degli articoli 5 e 11 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di sette controversie tra K.A., M.Z., M.J., N.N.N., O.I.O., R.I. e B.A, e il gemachtigde van de staatssecretaris voor Asiel en Migratie, Maatschappelijke Integratie en Armoedebestrijding (delegato del segretario di Stato all’asilo e alla migrazione, all’integrazione sociale e alla lotta contro la povertà; in prosieguo: «l’autorità nazionale competente») in merito alle decisioni con cui quest’ultimo stabiliva di non prendere in considerazione le loro rispettive domande di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare e, a seconda dei casi, di ordinare loro di lasciare il territorio o di ottemperare ad un ordine di lasciare il territorio.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        I considerando 2 e 6 della direttiva 2008/115 così recitano:

«(2)      Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

(…)

(6)      È opportuno che gli Stati membri provvedano a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e trasparente. In conformità dei principi generali del diritto dell’Unione europea, le decisioni ai sensi della presente direttiva dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare. Quando utilizzano modelli uniformi per le decisioni connesse al rimpatrio, vale a dire le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento, gli Stati membri dovrebbero rispettare tale principio e osservare pienamente tutte le disposizioni applicabili della presente direttiva».

4        L’articolo 1 della direttiva così recita:

«La presente direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto [dell’Unione] e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo».

5        L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva così dispone:

«La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare».

6        L’articolo 3 della direttiva prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

2)      “soggiorno irregolare”: la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del [regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1)], o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

3)      “rimpatrio” il processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente:

–        nel proprio paese di origine, o

–        in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese; o

–        in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato;

4)      “decisione di rimpatrio” decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

5)      “allontanamento” l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro;

6)      “divieto d’ingresso” decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l’ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio;

(…)».

7        L’articolo 5 della direttiva 2008/115 dispone quanto segue:

«Nell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

a) l’interesse superiore del bambino;

b) la vita familiare;

c) le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

e rispettano il principio di non-refoulement».

8        L’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva così recita:

«Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

(…)».

9        L’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva in questione così dispone:

«Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni».

10      L’articolo 11 della stessa direttiva così recita:

«1.      Le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d’ingresso:

a)      qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure

b)      qualora non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio.

In altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d’ingresso.

2.      La durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni. Può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

3.      Gli Stati membri valutano la possibilità di revocare o sospendere un divieto d’ingresso qualora un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto d’ingresso disposto in conformità’ del paragrafo 1, secondo comma, possa dimostrare di aver lasciato il territorio di uno Stato membro in piena ottemperanza di una decisione di rimpatrio.

Le vittime della tratta di esseri umani cui è stato concesso un permesso di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti [GU 2004, L 261, pag. 19] non sono soggette a divieto d’ingresso fatte salve le disposizioni del paragrafo 1, primo comma, lettera b), e purché il cittadino di un paese terzo in questione non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

In casi individuali gli Stati membri possono astenersi per motivi umanitari dall’emettere, revocare o sospendere un divieto d’ingresso.

In casi individuali o in talune categorie di casi gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto d’ingresso per altri motivi.

(…)».

 Diritto belga

11      L’articolo 7, primo comma, della loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (legge 15 dicembre 1980 che disciplina l’ingresso nel territorio, il soggiorno, l’insediamento e l’allontanamento degli stranieri) (Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), enuncia quanto segue:

«Fatte salve le disposizioni più favorevoli contenute in un trattato internazionale, il ministro o un suo delegato possono emettere nei confronti dello straniero, che non è autorizzato né ammesso a soggiornare per più di tre mesi o a stabilirsi nel Regno, un ordine di lasciare il territorio entro un termine prestabilito oppure devono rilasciare, nei casi di cui al punto 1°, 2°, 5°, 11° o 12°, un ordine di lasciare il territorio entro un termine prestabilito:

(…)

12°      se lo straniero è oggetto di un divieto d’ingresso né sospeso né revocato.

(…)».

12      L’articolo 40 bis, paragrafo 2, di detta legge prevede quanto segue:

«Viene considerato familiare del cittadino dell’Unione:

1°      il coniuge o lo straniero con il quale egli ha contratto un’unione civile registrata considerata equivalente al matrimonio in Belgio, che lo accompagna o lo raggiunge;

2°      il partner, che lo accompagna o lo raggiunge, con il quale il cittadino dell’Unione ha contratto un’unione civile registrata ai sensi di una legge.

I partner debbono soddisfare le seguenti condizioni:

a)      dimostrare di intrattenere una relazione di coppia durevole e stabile debitamente costituita.

Il carattere durevole e stabile di tale relazione è dimostrato:

–        se i partner dimostrano di aver convissuto in Belgio o in un altro paese per un periodo ininterrotto pari almeno all’anno precedente alla domanda;

–        oppure se i partner dimostrano di conoscersi da almeno due anni prima della domanda (…);

–        oppure se i partner hanno avuto un figlio assieme;

b)      andare a convivere;

c)      avere entrambi più di ventun anni;

d)      non essere coniugati e non avere una relazione di coppia durevole e stabile con un’altra persona;

(…)

3°      i familiari in linea discendente nonché quelli del coniuge o del partner, ai sensi dei commi primo e secondo, di età inferiore ai ventuno anni o che sono a loro carico, che li accompagnano o li raggiungono (…);

(…)

5°      il padre o la madre di un cittadino minorenne dell’Unione europea, di cui all’articolo 40, paragrafo 4, primo comma, punto 2°, nei limiti in cui quest’ultimo è a suo carico e egli ne è effettivamente affidatario».

13      L’articolo 40ter della stessa legge così recita:

«Le disposizioni del presente capo sono applicabili ai familiari di un cittadino belga, nei limiti in cui si tratta:

–        dei familiari di cui all’articolo 40bis, paragrafo 2, primo comma, punti da 1° a 3°, che accompagnano il cittadino belga o lo raggiungono;

–        dei familiari di cui all’articolo 40bis, paragrafo 2, primo comma, punto 4°, che sono genitori di un cittadino belga minorenne, che dimostrano la loro identità con un documento d’identità, e che accompagnano tale cittadino belga o lo raggiungono.

Per quanto riguarda i familiari di cui all’articolo 40bis, paragrafo 2, primo comma 1, da 1° a 3°, il cittadino belga deve dimostrare:

–        di disporre di mezzi di sostentamento stabili, sufficienti e regolari. (…)

–        di disporre di un alloggio dignitoso che gli permette di ricevere il familiare o i familiari che desiderano ricongiungersi con lui (…)».

14      L’articolo 43 della legge in parola, che si applica anche ai familiari di un cittadino belga ai sensi dell’articolo 40 ter della stessa legge, così recita:

«L’ingresso e il soggiorno possono essere negati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari solo per motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale o di sanità pubblica, nel rispetto dei seguenti limiti:

1°      tali motivi non possono essere invocati per fini economici;

2°      i provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale devono essere conformi al principio di proporzionalità ed essere fondati esclusivamente sul comportamento personale dell’interessato. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione;

(…)

Se il ministro o il suo delegato, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale, o di salute pubblica, intende porre fine al soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un familiare, esso tiene conto della durata del soggiorno dell’interessato nel Regno, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale e dell’intensità dei suoi legami con il suo paese di origine».

15      L’articolo 74/11 della legge del 15 dicembre 1980 dispone quanto segue:

«§ 1°.      La durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo conto delle circostanze specifiche del singolo caso.

La decisione di allontanamento è corredata da un divieto d’ingresso con una durata massima di tre anni nei seguenti casi:

1°      se non è concesso alcun termine per la partenza volontaria, o

2°      se non è stata eseguita una decisione precedente di allontanamento.

Il termine massimo di tre anni di cui al comma 2 è prorogato ad un massimo di cinque anni se:

1°      il cittadino di uno Stato terzo ha commesso frode o ha utilizzato altri mezzi illegittimi al fine di essere ammesso al soggiorno o di conservare il suo diritto di soggiorno;

2°      il cittadino di un paese terzo ha contratto matrimonio, un’unione civile registrata o ha effettuato un’adozione all’unico fine di essere ammesso al soggiorno o di conservare il diritto al soggiorno.

La decisione di allontanamento può essere corredata da un divieto d’ingresso di più di cinque anni se il cittadino di uno Stato terzo rappresenta una grave minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.

§ 2. (…)

Il ministro o il suo delegato possono astenersi dall’imposizione di un divieto d’ingresso in singoli casi, per motivi umanitari.

§ 3.      Il divieto d’ingresso entra in vigore il giorno in cui viene notificata la relativa decisione.

Il divieto d’ingresso non può violare le disposizioni sul diritto alla protezione internazionale, come definita agli articoli 9ter, 48/3 e 48/4».

16      L’articolo 74/12 della legge in esame così dispone:

«§ 1°.      Il ministro o il suo delegato possono revocare o sospendere il divieto d’ingresso per motivi umanitari.

(…)

Salvo deroghe previste mediante trattato internazionale, legge o regio decreto, la domanda motivata dev’essere presentata dal cittadino di uno Stato terzo presso la sede diplomatica o consolare belga competente del luogo di residenza o soggiorno dello straniero all’estero.

§ 2.      Il cittadino di uno Stato terzo può presentare al ministro o al suo delegato una domanda di revoca o di sospensione del divieto d’ingresso motivata dal rispetto dell’obbligo di allontanamento imposto in precedenza, se egli fornisce la prova scritta di aver lasciato il territorio belga in piena conformità con la decisione di allontanamento.

§ 3.      Una decisione sulla richiesta di revoca o sospensione del divieto d’ingresso è adottata entro quattro mesi dalla sua presentazione. Se non è assunta una decisione entro quattro mesi, la decisione è considerata negativa.

§ 4.      Durante l’esame della domanda di revoca o di sospensione il cittadino di uno Stato terzo interessato non ha alcun diritto ad entrare o a soggiornare nel Regno.

(…)».

17      L’articolo 74/13 della legge in parola così prevede:

«Nell’adozione di una decisione di allontanamento, il ministro o il suo delegato tengono conto dell’interesse superiore del bambino, della vita familiare, e dello stato di salute del cittadino di uno Stato terzo di cui trattasi».

 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

18      Dalla decisione di rinvio si evince che i ricorrenti del procedimento principale sono tutti cittadini di paesi terzi, familiari di cittadini belgi che non hanno esercitato la loro libertà di circolazione o di stabilimento. Detti ricorrenti sono stati colpiti da una decisione di rimpatrio, accompagnata da una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato. Per ciascuno di essi, quest’ultima decisione è divenuta definitiva e, secondo il giudice del rinvio, in linea di principio, ai sensi del diritto nazionale, non può venir meno o cessare temporaneamente di produrre effetti se non in virtù dell’introduzione, all’estero, di una domanda di revoca o di sospensione di tale decisione.

19      I ricorrenti nel procedimento principale hanno successivamente proposto, in Belgio, una domanda di permesso di soggiorno, nella loro qualità, rispettivamente, di discendente a carico di un cittadino belga (K.A. e M.Z.), di genitore di un minorenne belga (M.J., N.N.N., O.I.O., e RI) o di convivente legale in una relazione stabile con un cittadino belga (B.A.). Tali domande non sono state prese in considerazione dall’autorità nazionale competente per il motivo che i ricorrenti nel procedimento principale erano stati colpiti da una decisione, ancora in vigore, di divieto d’ingresso nel territorio. I ricorrenti hanno presentato ricorso contro le decisioni impugnate dinanzi al giudice del rinvio.

20      Risulta in particolare dalla decisione di rinvio, per quanto riguarda, in primo luogo, K.A., che a quest’ultima, di cittadinanza armena, il 27 febbraio 2013 è stato notificato un ordine di lasciare il territorio, accompagnato da un divieto d’ingresso per un periodo di tre anni, per il motivo che essa non aveva adempiuto all’obbligo di rimpatrio e che non le era stato concesso alcun termine per il rimpatrio volontario, poiché era stata considerata come un pericolo per l’ordine pubblico dopo essere stata colta in flagranza di reato di taccheggio. Il 10 febbraio 2014, K.A. e i suoi due figli hanno proposto, mentre si trovavano sul territorio belga, una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare in qualità di discendenti a carico del padre della stessa, cittadino belga. Il 28 marzo 2014 l’autorità nazionale competente ha emesso la propria decisione sotto forma di ordine di lasciare il territorio, in cui si rifiutava di prendere in considerazione detta domanda a causa del divieto d’ingresso notificato il 27 febbraio 2013.

21      In secondo luogo, per quanto riguarda M.Z., a quest’ultimo, cittadino russo, è stato notificato, il 2 luglio 2014, un ordine di lasciare il territorio e un divieto di ingresso per un periodo di tre anni, per il motivo che egli non aveva rispettato l’obbligo di rimpatrio e che non gli era stato concesso alcun termine per il rimpatrio volontario, in quanto era considerato un pericolo per l’ordine pubblico dopo l’emissione di un verbale per furto con effrazione in una rimessa. L’8 settembre 2014 M.Z. è stato rimpatriato forzosamente in Russia. Il 5 novembre 2014 l’interessato, allorché si trovava nuovamente nel territorio belga, ha chiesto una carta di soggiorno in qualità di discendente a carico del proprio padre belga. Il 29 aprile 2015 l’autorità nazionale competente ha rifiutato di prendere in considerazione tale richiesta, in virtù della decisione di divieto d’ingresso imposta all’interessato, e gli ha inoltre ingiunto di ottemperare ad un ordine di lasciare il territorio.

22      In terzo luogo, per quanto concerne M.J., cittadina ugandese, alla medesima è stato ingiunto di lasciare il territorio in due occasioni, vale a dire il 13 gennaio 2012 e il 12 novembre dello stesso anno. L’11 gennaio 2013 le è stato notificato un divieto d’ingresso di tre anni, poiché non aveva dato alcun seguito a detti obblighi di rimpatrio, e non le era stato concesso alcun termine per il rimpatrio volontario tenuto conto del rischio di fuga legato all’assenza di un indirizzo ufficiale in Belgio e del fatto che, a fronte del verbale per lesioni personali redatto dalla polizia, la ricorrente in questione era considerata un pericolo per l’ordine pubblico. Il 20 febbraio 2014 M.J. ha chiesto, allorché si trovava nel territorio belga, una carta di soggiorno in qualità di genitore di un minore di nazionalità belga, nato il 26 ottobre 2013. L’autorità nazionale competente, con decisione del 30 aprile 2014, ha rifiutato di prendere in considerazione la sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare a causa del divieto d’ingresso dell’11 gennaio 2013, al tempo stesso ingiungendole di lasciare il territorio.

23      Per quanto riguarda, in quarto luogo, N.N.N., quest’ultima, cittadina kenyota, è stata colpita da due ordini di lasciare il territorio, datati rispettivamente 11 settembre 2012 e 22 febbraio 2013. Successivamente, N.N.N. ha partorito una figlia che ha ottenuto la cittadinanza belga, da parte del padre, il 3 aprile 2014. Il 24 aprile 2014 N.N.N. è stata raggiunta da un nuovo ordine di lasciare il territorio e le è stato notificato un divieto d’ingresso nel territorio per un periodo di tre anni per non aver adempiuto all’obbligo di rimpatrio. Il 9 settembre 2014 N.N.N. ha chiesto, allorché si trovava nel territorio belga, una carta di soggiorno in qualità di genitore di un minore di nazionalità belga. A sostegno di tale domanda, ha fornito prove di pagamento di un contributo per gli alimenti da parte del padre di sua figlia nonché una lettera in cui quest’ultimo dichiarava di non potersi occupare della loro figlia a tempo pieno e che era preferibile che ella restasse con la madre. Il 4 marzo 2015 l’autorità nazionale competente ha rifiutato di prendere in considerazione la domanda di soggiorno ai fini di ricongiungimento familiare, in virtù della decisione di divieto d’ingresso che aveva raggiunto N.N.N., e le ha inoltre ingiunto di ottemperare ad un ordine di lasciare il territorio.

24      In quinto luogo, per quanto concerne O.I.O., cittadino nigeriano, questi ha sposato R.C., cittadina belga, con cui ha avuto una figlia, di nazionalità belga. L’11 maggio 2010 O.I.O. è stato condannato per lesioni personali dolose. Dopo aver divorziato da O.I.O., il 6 aprile 2011 R.C. ha ottenuto l’affidamento esclusivo della figlia. Quest’ultima è domiciliata presso la madre, che percepisce gli assegni familiari e altre prestazioni sociali. Peraltro, il diritto di O.I.O. alle relazioni personali con la figlia è temporaneamente sospeso. In seguito al divorzio da R.C., è stata adottata una decisione di revoca del diritto di soggiorno di O.I.O, accompagnata da un ordine di lasciare il territorio. Il 28 maggio 2013 gli è stato notificato un divieto d’ingresso nel territorio per un periodo di otto anni in quanto non aveva adempiuto all’obbligo di rimpatrio e non gli era stato concesso alcun termine per il rimpatrio volontario per il motivo che presentava un rischio serio, reale e attuale per l’ordine pubblico. Il 6 novembre 2013 O.I.O. ha chiesto, allorché si trovava di nuovo nel territorio belga, una carta di soggiorno, in qualità di genitore di un minore di nazionalità belga. L’autorità nazionale competente, con decisione del 30 aprile 2014, ha rifiutato di prendere in considerazione tale domanda a causa del divieto d’ingresso del 28 maggio 2013, ingiungendo al tempo stesso a O.I.O. di lasciare il territorio.

25      In sesto luogo, per quanto riguarda la situazione di R.I., cittadino albanese, dalla decisione di rinvio risulta che quest’ultimo è padre di un minore belga. In seguito alla nascita del figlio, il diritto di soggiorno del ricorrente in questione, ottenuto fraudolentemente, è stato revocato. Il 17 dicembre 2012 gli è stato parimenti notificato un divieto di ingresso nel territorio per un periodo di cinque anni, per aver fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti al fine di essere ammesso a soggiornare o di conservare il diritto di soggiorno. In seguito R.I. si è sposato in Albania con la madre, di nazionalità belga, di suo figlio. Il 21 agosto 2014 R.I. ha chiesto, allorché si trovava nel territorio belga, una carta di soggiorno, in qualità di genitore di un minore di nazionalità belga. Il 13 febbraio 2015 l’autorità nazionale competente ha rifiutato di prendere in considerazione tale richiesta, in virtù della decisione di divieto d’ingresso che aveva raggiunto l’interessato, e gli ha inoltre ingiunto di ottemperare ad un ordine di lasciare il territorio.

26      Per quanto riguarda, in settimo luogo, B.A., cittadino della Guinea, quest’ultimo è stato colpito da due ordini di lasciare il territorio, datati rispettivamente 23 gennaio 2013 e 29 maggio 2013. Il 13 giugno 2014 gli è stato notificato un divieto d’ingresso nel territorio per un periodo di tre anni, per il motivo che non aveva ottemperato all’obbligo di rimpatrio. In seguito, B.A., allorché si trovava nel territorio belga, ha costituito un’unione civile con la sua partner di nazionalità belga e ha chiesto una carta di soggiorno, in qualità di convivente legale in una relazione stabile e durevole con un cittadino belga. Il 21 maggio 2015 l’autorità nazionale competente ha rifiutato di prendere in considerazione la domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, in virtù del divieto d’ingresso nel territorio del 13 giugno 2014, e gli ha inoltre ingiunto di ottemperare ad un ordine di lasciare il territorio.

27      Il giudice del rinvio precisa, innanzitutto, che, in conformità ad una prassi nazionale, applicata in tutti i casi, senza possibilità di adeguamento alla situazione concreta, le domande di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentate dai ricorrenti nel procedimento principale non sono state prese in considerazione, e quindi non sono state esaminate nel merito, sulla base del motivo che i cittadini di paesi terzi in parola erano stati colpiti da un divieto d’ingresso nel territorio. Non è stato quindi tenuto conto, in relazione a tali domande, della vita familiare, né, nei casi pertinenti, dell’interesse del minore, e nemmeno della qualità di cittadini dell’Unione dei familiari di nazionalità belga. Il giudice del rinvio sottolinea inoltre che, secondo l’autorità nazionale competente, i ricorrenti nel procedimento principale devono innanzitutto lasciare il Belgio, e poi chiedere la sospensione o la revoca del divieto di ingresso nel territorio, prima di poter presentare una domanda di soggiorno nell’ambito di un ricongiungimento familiare.

28      Detto giudice rileva a tale proposito che, conformemente al diritto nazionale, una decisione sulla domanda di revoca o sospensione del divieto d’ingresso nel territorio, introdotta nel paese di origine dell’interessato, dev’essere adottata entro quattro mesi dalla presentazione della domanda. In caso contrario, la decisione è considerata negativa. Peraltro, è solamente in seguito all’adozione della decisione sulla revoca o sulla sospensione del divieto d’ingresso nel territorio che si statuirà, entro un termine di sei mesi, in merito alla domanda di visto presentata, nell’ambito di un ricongiungimento familiare, dal cittadino di un paese terzo nel suo Stato di origine.

29      Il giudice del rinvio constata, inoltre, che i procedimenti introdotti dinanzi ad esso non rientrano né nel campo di applicazione della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12), né in quello della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77). Inoltre, esso rileva che i diversi cittadini dell’Unione coinvolti in tali cause in virtù del vincolo familiare che rispettivamente li unisce ai ricorrenti nel procedimento principale non si recano regolarmente in un altro Stato membro in qualità di lavoratori dipendenti o di prestatori di servizi, e che non hanno sviluppato o consolidato una vita familiare con detti ricorrenti in occasione di un soggiorno effettivo in uno Stato membro diverso dal Belgio.

30      Il giudice del rinvio rileva, tuttavia, che la situazione di un cittadino dell’Unione che non abbia fatto uso del proprio diritto alla libera circolazione non può, per ciò solo, essere assimilata ad una situazione puramente interna, conformemente alle sentenze dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), e del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277).

31      Esso rileva poi che, sebbene i principi enunciati nella sentenza dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), siano applicabili soltanto in circostanze eccezionali, non risulta dalla giurisprudenza della Corte che essi siano riservati a situazioni in cui esiste un legame biologico tra il cittadino di uno Stato terzo, per il quale si richiede un diritto di soggiorno, e il cittadino dell’Unione, minore in tenera età. Dalla giurisprudenza della Corte si evincerebbe che occorre tener conto del rapporto di dipendenza tra il cittadino dell’Unione in tenera età e il cittadino di un paese terzo, dal momento che è in ragione di tale dipendenza che il cittadino dell’Unione sarebbe obbligato, di fatto, a lasciare il territorio dell’Unione, se il cittadino del paese terzo da cui dipende non venisse autorizzato al soggiorno.

32      In tali circostanze, il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 20 TFUE, gli articoli 5 e 11 della direttiva [2008/115], in combinato disposto con gli articoli 7 e 24 della Carta, debba essere interpretato nel senso che, in talune circostanze, esso osta ad una prassi nazionale ai sensi della quale una domanda di soggiorno, presentata da un familiare-cittadino di uno Stato terzo nel quadro del ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione nello Stato membro nel quale risiede il cittadino dell’Unione di cui trattasi e del quale egli possiede la cittadinanza, e che non si è avvalso del suo diritto di libera circolazione e stabilimento (in prosieguo: il “cittadino dell’Unione statico”), non viene presa in considerazione – ed è eventualmente corredata di una decisione di allontanamento – per il solo motivo che il familiare cittadino di uno Stato terzo di cui trattasi è oggetto di un divieto d’ingresso a livello europeo.

a)      Se ai fini della valutazione di tali circostanze sia rilevante il fatto che tra il familiare-cittadino di uno Stato terzo e il cittadino dell’Unione statico sussiste una relazione di dipendenza che va oltre un mero legame familiare. In tal caso, quali fattori rilevino per accertare l’esistenza di siffatta relazione di dipendenza. Se a tal riguardo si possa validamente rinviare alla giurisprudenza vertente sull’esistenza di una vita familiare, ai sensi degli articoli 8 [della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”)] e 7 della Carta.

b)      Specificamente con riguardo ai figli minorenni, se l’articolo 20 TFUE esiga qualcosa di più di un legame biologico tra il genitore-cittadino di uno Stato terzo e il figlio-cittadino dell’Unione. Se al riguardo sia rilevante dimostrare una convivenza, oppure se siano sufficienti legami affettivi e finanziari, come un regime di soggiorno e di visita e il pagamento di assegni alimentari. Se al riguardo si possa validamente rinviare alle sentenze della Corte di giustizia Ogieriakhi [(C‑244/13, EU:C:2014:2068, punti 38 e 39)]; Singh e a. [(C‑218/14, EU:C:2015:476, point 54)]; e O. e a. [(C‑356/11 et C‑357/11, EU:C:2012:776, point 56)]. Si veda al riguardo anche [la sentenza del 10 maggio 2017] Chavez Vilchez e a., [(C‑133/15, EU:C:2017:354)].

c)      Se il fatto che la vita familiare è sorta nel momento in cui il cittadino di uno Stato terzo era già oggetto di un divieto di ingresso, ed egli era pertanto consapevole dell’irregolarità del suo soggiorno nello Stato membro, sia rilevante ai fini della valutazione di tali circostanze. Se questo fatto possa essere efficacemente utilizzato per contrastare un eventuale abuso delle procedure di soggiorno nel quadro del ricongiungimento familiare.

d)      Se il fatto che non sia stato presentato alcun ricorso, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva [2008/115], avverso la decisione di imposizione di un divieto di ingresso, o il fatto che il ricorso avverso la decisione in parola sia stato respinto, sia rilevante ai fini della valutazione di tali circostanze.

e)      Se sia un elemento rilevante la circostanza che il divieto d’ingresso è stato imposto per motivi di ordine pubblico o a causa dell’irregolarità del soggiorno. In tal caso, se occorra anche esaminare se il cittadino di uno Stato terzo di cui trattasi configuri una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività. Se a questo riguardo possano essere applicati per analogia ai familiari di cittadini dell’Unione statici gli articoli 27 e 28 della [direttiva 2004/38], recepiti dagli articoli 43 e 45 [delle legge del 15 dicembre 1980], e la relativa giurisprudenza della Corte di giustizia sull’ordine pubblico (v. le [sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675), e del 13 settembre 2016, CS (C‑304/14, EU:C:2016:674)]).

2)      Se il diritto dell’Unione, segnatamente l’articolo 5 della direttiva [2008/115] e gli articoli 7 e 24 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una prassi nazionale con la quale viene eccepito un divieto di ingresso applicabile per non prendere in considerazione una successiva domanda di ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione statico, presentata nel territorio di uno Stato membro, senza che si tenga conto al riguardo della vita familiare e dell’interesse dei figli interessati, menzionati in tale successiva domanda di ricongiungimento familiare.

3)      Se il diritto dell’Unione, segnatamente l’articolo 5 della direttiva [2008/115] e gli articoli 7 e 24 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una prassi nazionale con la quale viene adottata una decisione di allontanamento nei confronti di un cittadino di uno Stato terzo già oggetto di un divieto d’ingresso, senza che si tenga conto al riguardo della vita familiare e dell’interesse dei figli interessati menzionati in una successiva domanda di [soggiorno finalizzato al] ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione statico, presentata dopo l’imposizione del divieto di ingresso.

4)      Se l’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva [2008/115] implichi che un cittadino di uno Stato terzo deve presentare in via di principio fuori dell’Unione europea una domanda di revoca o di sospensione di un divieto di ingresso vigente e definitivo o se esistono circostanze nelle quali egli può presentare tale domanda anche nell’Unione europea.

a)      Se l’articolo 11, paragrafo 3, commi terzo e quarto, della direttiva [2008/115] debba essere inteso nel senso che in ciascun singolo caso, o in tutte le categorie di casi, deve comunque essere soddisfatto il disposto dell’articolo 11, paragrafo 3, primo comma, della medesima direttiva, ai sensi del quale la revoca o la sospensione del divieto di ingresso può essere presa in considerazione soltanto se il cittadino di uno Stato terzo di cui trattasi dimostra di aver lasciato il territorio in piena conformità con la decisione di rimpatrio.

b)      Se gli articoli 5 e 11 della direttiva [2008/115] ostino ad un’interpretazione secondo la quale una domanda di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione statico, che non ha esercitato il suo diritto di libera circolazione e stabilimento, viene considerata come una domanda implicita (temporanea) di revoca o di sospensione del divieto di ingresso vigente e definitivo, divieto che comunque riacquista efficacia allorché emerga che non ricorrono i requisiti di soggiorno.

c)      Se formi un elemento rilevante il fatto che l’obbligo di presentare una domanda di revoca o di sospensione nel paese di origine comporta eventualmente soltanto una separazione temporanea fra il cittadino di uno Stato terzo e il cittadino dell’Unione statico. Se esistano circostanze nelle quali gli articoli 7 e 24 della Carta ostano tuttavia ad una separazione temporanea.

d)      Se formi un elemento rilevante la circostanza che l’obbligo di presentare una domanda di revoca o di sospensione nel paese di origine ha l’unico effetto che il cittadino dell’Unione debba eventualmente lasciare il territorio dell’Unione europea nel suo complesso soltanto per un periodo limitato. Se esistano circostanze nelle quali l’articolo 20 TFUE osta comunque al fatto che il cittadino dell’Unione statico deve lasciare il territorio dell’Unione nel suo complesso per un periodo limitato».

 Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento

33      In seguito alla pronuncia delle conclusioni dell’avvocato generale, il governo belga, con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 12 dicembre 2017, ha chiesto la riapertura della fase orale del procedimento affinché gli fosse data la possibilità, da un lato, di rispondere alle stesse, in quanto tali conclusioni conterrebbero un’interpretazione erronea della direttiva 2008/115 e, dall’altro, per far valere le proprie osservazioni sulle sentenze del 26 luglio 2017, Ouhrami (C‑225/16, EU:C:2017:59), e del 14 settembre 2017, Petrea (C‑184/16, EU:C:2017:684).

34      Quanto alla critica mossa alle conclusioni dell’avvocato generale, occorre rilevare, da un lato, che né lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea né il regolamento di procedura della Corte prevedono la facoltà per le parti di depositare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

35      Dall’altro lato, in forza dell’articolo 252, secondo comma, TFUE, l’avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, richiedono il suo intervento. A tal proposito, la Corte non è vincolata dalle conclusioni dell’avvocato generale né dalla motivazione in base alla quale quest’ultimo giunge alle proprie conclusioni. Di conseguenza, il disaccordo di una parte interessata rispetto alle conclusioni dell’avvocato generale, qualunque siano le questioni da esso ivi esaminate, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la riapertura della fase orale (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

36      Inoltre, si deve ricordare che la Corte, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, può disporre la riapertura della fase orale del procedimento, a norma dell’articolo 83 del suo regolamento di procedura, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta, o anche quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra gli interessati (sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a., C‑126/16, EU:C:2017:489, punto 33).

37      Tuttavia, nella presente causa, la Corte, sentito l’avvocato generale, ritiene di disporre di tutti gli elementi necessari per statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale ad essa sottoposta e che questa non debba essere esaminata in riferimento ad un argomento che non è stato discusso dinanzi ad essa.

38      In considerazione di ciò, la Corte reputa che non occorra riaprire la fase orale del procedimento.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

39      In via preliminare, occorre anzitutto osservare che le situazioni di cui al procedimento principale riguardano tutte il rifiuto dell’autorità nazionale competente di prendere in considerazione una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, presentata in Belgio da un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino belga, in qualità di discendente, genitore o convivente legale di quest’ultimo, sulla base del rilievo che detto cittadino di un paese terzo è oggetto di una decisione di divieto d’ingresso nel territorio. Il giudice del rinvio osserva che, in base al diritto nazionale, i ricorrenti nel procedimento principale, in linea di principio, devono proporre, nei rispettivi paesi di origine, una richiesta di revoca o sospensione del divieto di ingresso nel territorio che li colpisce, prima di poter validamente proporre una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare.

40      Inoltre, il giudice del rinvio precisa che, in ciascuno dei sette procedimenti principali riuniti, il cittadino belga di cui trattasi non ha mai esercitato la propria libertà di circolazione all’interno dell’Unione. Pertanto, i cittadini di paesi terzi, familiari di tale cittadino belga, non possono invocare un diritto di soggiorno derivato né ai sensi della direttiva 2004/38, né ai sensi dell’articolo 21 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punti da 52 a 54).

41      Infine, dalla decisione di rinvio risulta che le «decisioni di allontanamento» adottate dall’autorità nazionale competente contengono l’obbligo, per i ricorrenti nel procedimento principale, di lasciare il territorio belga, e che esse sono accompagnate da un divieto d’ingresso nel territorio. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, simili decisioni debbono quindi, ai fini dell’esame delle questioni proposte alla Corte, essere considerate «decisioni di rimpatrio», ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115 (v. anche, in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, Abdida, C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 39).

 Sulle prime due questioni

42      Con le prime due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza:

–        se gli articoli 5 e 11 della direttiva 2008/115, nonché l’articolo 20 TFUE, letti, se del caso, alla luce degli articoli 7 e 24 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla prassi di uno Stato membro consistente nel non prendere in considerazione una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, presentata dal cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di tale Stato membro e che non abbia mai esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, in base al solo motivo che detto cittadino di un paese terzo è oggetto di un divieto di ingresso in tale territorio, senza che sia stato esaminato se sussista una relazione di dipendenza tra il cittadino dell’Unione e detto cittadino di un paese terzo tale per cui, in caso di rifiuto di concessione a quest’ultimo di un diritto di soggiorno derivato, il cittadino dell’Unione in parola sarebbe, di fatto, obbligato a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme e si troverebbe così privato del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferitigli dal suo status;

–        in caso di risposta affermativa, quali elementi debbano essere presi in considerazione al fine di valutare l’esistenza di un simile rapporto di dipendenza e, quando il cittadino dell’Unione è minorenne, quale rilevanza vada attribuita all’esistenza di un legame familiare, di tipo biologico o giuridico, e alle modalità di alloggio e di presa in carico finanziaria di tale cittadino dell’Unione, cittadino dello Stato membro interessato;

–        quale incidenza possano avere, in questo contesto:

–        il fatto che il rapporto di dipendenza invocato dal cittadino di un paese terzo, a sostegno della sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, sia sorta dopo l’adozione, nei propri confronti, di una decisione di divieto d’ingresso nel territorio;

–        il fatto che tale divieto sia divenuto definitivo nel momento in cui il cittadino di un paese terzo presenta la domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, e

–        il fatto che tale divieto sia giustificato dal mancato rispetto di un obbligo di rimpatrio o da motivi di ordine pubblico.

 Sulla mancata presa in considerazione di una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare a causa di un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato nei confronti dell’autore di tale domanda

43      Occorre determinare, in primo luogo, se gli articoli 5 e 11 della direttiva 2008/115 o l’articolo 20 TFUE, letti, se del caso, alla luce degli articoli 7 e 24 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una prassi di uno Stato membro consistente nel non prendere in considerazione una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentata, nel territorio di tale Stato membro, da parte di un cittadino di un paese terzo, oggetto di un divieto d’ingresso nel territorio.

–       Sulla direttiva 2008/115

44      Si deve anzitutto ricordare che la direttiva 2008/115 disciplina unicamente il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e che, pertanto, essa non si prefigge l’obiettivo di armonizzare integralmente le norme degli Stati membri sul soggiorno degli stranieri (sentenza del 1o ottobre 2015, Celaj, C‑290/14, EU:C:2015:640, punto 20). Pertanto, le norme e le procedure comuni introdotte dalla direttiva 2008/115 riguardano solo l’adozione di decisioni di rimpatrio e l’esecuzione di tali decisioni (sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, C‑329/11, EU:C:2011:807, punto 29).

45      In particolare, nessuna disposizione di tale direttiva disciplina le modalità con cui deve essere trattata una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentata, come nei procedimenti principali, successivamente all’adozione di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso nel territorio. Inoltre, il rifiuto di prendere in considerazione una simile domanda nelle circostanze descritte al punto 27 della presente sentenza non può ostacolare l’applicazione della procedura di rimpatrio prevista da detta direttiva.

46      Ne consegue che la direttiva 2008/115, e in particolare i suoi articoli 5 e 11, dev’essere interpretata nel senso che non osta alla prassi di uno Stato membro consistente nel non prendere in considerazione una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, presentata da un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di tale Stato membro e che non abbia mai esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, in base al solo motivo che detto cittadino di un paese terzo è oggetto di un divieto di ingresso in tale territorio.

–       Sull’articolo 20 TFUE

47      Preliminarmente occorre ricordare che, per consolidata giurisprudenza della Corte, l’articolo 20 TFUE conferisce a chiunque possegga la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino dell’Unione, il quale è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (v., in particolare, sentenze del 20 settembre 2001, Grzelczyk, C‑184/99, EU:C:2001:458, punto 31; dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano, C‑34/09, EU:C:2011:124, punto 41, e del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

48      La cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato e le disposizioni adottate in applicazione dello stesso (sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

49      In tale contesto, la Corte ha statuito che l’articolo 20 TFUE osta a provvedimenti nazionali, comprese eventuali decisioni di rifiuto del diritto di soggiorno ai familiari di un cittadino dell’Unione, le quali abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferiti dal loro status (sentenze dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano, C‑34/09, EU:C:2011:124, punto 42; del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 45, nonché del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 61).

50      Per contro, le disposizioni del Trattato relative alla cittadinanza dell’Unione non conferiscono alcun diritto autonomo ai cittadini di un paese terzo. Infatti, gli eventuali diritti conferiti a tali cittadini non sono diritti propri di questi ultimi, bensì diritti derivati da quelli di cui gode il cittadino dell’Unione. La finalità e la ratio di tali diritti derivati si basano sulla constatazione che negarne il riconoscimento pregiudica, in particolare, la libertà di circolazione del cittadino dell’Unione (sentenza del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

51      A questo proposito, la Corte ha già constatato che esistono situazioni molto particolari in cui, malgrado il fatto che il diritto derivato relativo al diritto di soggiorno dei cittadini di paesi terzi non sia applicabile e che il cittadino dell’Unione interessato non si sia avvalso della propria libertà di circolazione, un diritto di soggiorno deve nondimeno essere accordato al cittadino di un paese terzo, familiare di detto cittadino dell’Unione, a pena di pregiudicare l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione, qualora, in conseguenza del rifiuto di riconoscimento di un siffatto diritto, il cittadino dell’Unione si vedesse di fatto obbligato a lasciare il territorio dell’Unione globalmente inteso, venendo così privato del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferiti da tale status (v., in tal senso, sentenze dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano, C‑34/09, EU:C:2011:124, punti 43 e 44, nonché del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 63).

52      Tuttavia, il rifiuto di concedere un diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo può rimettere in discussione l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione solo se tra tale cittadino di un paese terzo e il cittadino dell’Unione, suo familiare, esista un rapporto di dipendenza tale da far sì che quest’ultimo sia costretto a seguire il cittadino del paese terzo e a lasciare il territorio dell’Unione, considerato nel suo insieme (v., in tal senso, sentenze del 15 novembre 2011, Dereci e a., C‑256/11, EU:C:2011:734, punti da 65 a 67; del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 56, nonché del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 69).

53      Nel caso di specie, si deve constatare che la prassi di cui al procedimento principale riguarda le modalità procedurali in base alle quali, nell’ambito di una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, il cittadino di un paese terzo può far valere l’esistenza di un diritto derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE.

54      A tal proposito, se è vero che spetta agli Stati membri determinare le modalità di attuazione del diritto di soggiorno derivato che, nelle situazioni assai specifiche di cui al punto 51 della presente sentenza, dev’essere riconosciuto al cittadino di un paese terzo in forza dell’articolo 20 TFUE, resta il fatto che tali modalità procedurali non possono però compromettere l’effetto utile del suddetto articolo 20 (v., in tal senso, sentenza del 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 76).

55      Orbene, la prassi nazionale di cui al procedimento principale subordina l’esame della domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare e l’eventuale concessione di un diritto di soggiorno derivato, ai sensi dell’articolo 20 TFUE, all’obbligo, per il cittadino di un paese terzo interessato, di lasciare preventivamente il territorio dell’Unione al fine di chiedere la revoca o la sospensione del divieto d’ingresso nel territorio di cui è stato oggetto. Risulta altresì dalla decisione di rinvio che nessun esame dell’eventuale sussistenza di un rapporto di dipendenza tra detto cittadino di un paese terzo e il suo familiare, cittadino dell’Unione, come definito al punto 52 della presente sentenza, è effettuato finché detto cittadino di un paese terzo non abbia ottenuto la revoca o la sospensione del divieto d’ingresso nel territorio.

56      Contrariamente a quanto sostiene il governo belga, l’obbligo così imposto, dalla prassi nazionale in questione, al cittadino di un paese terzo, di lasciare il territorio dell’Unione per chiedere la revoca o la sospensione del divieto d’ingresso nel territorio di cui è oggetto, è tale da pregiudicare l’effetto utile dell’articolo 20 TFUE se il rispetto di detto obbligo comporta, in ragione dell’esistenza di un rapporto di dipendenza tra il cittadino di un paese terzo e un cittadino dell’Unione, suo familiare, che quest’ultimo sia, di fatto, costretto ad accompagnarlo e, quindi, a lasciare parimenti il territorio dell’Unione per un periodo che, come rileva il giudice del rinvio, è indeterminato.

57      Pertanto, se è pur vero che il rifiuto di un cittadino di un paese terzo di ottemperare all’obbligo di rimpatrio e di cooperare nell’ambito di una procedura di allontanamento non può permettergli di sottrarsi, in tutto o in parte, agli effetti giuridici di una decisione di divieto d’ingresso (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Ouhrami, C‑225/16, EU:C:2017:590, punto 52), resta tuttavia il fatto che, allorché l’autorità nazionale competente è adita, dal cittadino di un paese terzo, per una domanda di concessione di un diritto di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione, cittadino dello Stato membro in questione, tale autorità non può rifiutarsi di prendere in considerazione detta domanda per il solo motivo che detto cittadino di un paese terzo è oggetto di un divieto d’ingresso nel territorio di tale Stato membro. Spetta all’autorità in parola, al contrario, esaminare tale domanda e valutare se esista, tra il cittadino del paese terzo e il cittadino dell’Unione in questione, un rapporto di dipendenza tale che un diritto di soggiorno derivato debba, in linea di principio, essere accordato a detto cittadino, ai sensi dell’articolo 20 TFUE, per evitare di costringere, di fatto, detto cittadino a lasciare il territorio dell’Unione nel suo complesso e, pertanto, di privarlo del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferitigli dal suo status. In tale ipotesi, lo Stato membro interessato deve allora ritirare o, quanto meno, sospendere la decisione di rimpatrio e il divieto di ingresso di cui è oggetto quel cittadino.

58      Infatti, sarebbe contrario all’obiettivo perseguito dall’articolo 20 TFUE costringere il cittadino di un paese terzo a lasciare, per un periodo di tempo indeterminato, il territorio dell’Unione al fine di ottenere la revoca o la sospensione del divieto di ingresso in detto territorio di cui è oggetto, senza previa verifica dell’esistenza, tra il suddetto cittadino di un paese terzo e il cittadino dell’Unione, suo familiare, di un rapporto di dipendenza di natura tale da costringere quest’ultimo ad accompagnare il cittadino del paese terzo nel suo paese d’origine, anche se, proprio in ragione di tale rapporto di dipendenza, in linea di principio dovrebbe essere riconosciuto al cittadino del paese terzo un diritto di soggiorno derivato in virtù dell’articolo 20 TFUE.

59      Contrariamente a quanto sostiene il governo belga, l’articolo 3, punto 6, e l’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2008/115, non sono tali da rimettere in discussione una simile conclusione.

60      È vero che, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2008/115, gli Stati membri possono esaminare la possibilità di revocare o sospendere un divieto di ingresso che accompagna una decisione di rimpatrio che concede un termine per la partenza volontaria quando il cittadino di un paese terzo si è allontanato dal territorio in conformità con detta decisione. Tuttavia, si deve rilevare che, al terzo e quarto comma dello stesso articolo 11, paragrafo 3, il legislatore dell’Unione ha previsto la possibilità per gli Stati membri di revocare o sospendere un simile divieto, in casi particolari, per ragioni diverse da quelle di cui al primo comma di tale disposizione, senza che sia precisato in tali commi che il cittadino di un paese terzo che è stato oggetto di una decisione di divieto di ingresso deve aver lasciato il territorio dello Stato membro in questione.

61      Pertanto, l’articolo 3, punto 6, e l’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2008/115 non vietano agli Stati membri, contrariamente a quanto sostenuto dal governo belga, di revocare o sospendere un divieto d’ingresso nel territorio, quando la decisione di rimpatrio non sia stata eseguita e il cittadino di un paese terzo si trovi nel territorio dello Stato membro.

62      Ne consegue che l’articolo 20 TFUE dev’essere interpretato nel senso che osta alla prassi di uno Stato membro consistente nel non prendere in considerazione una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, presentata dal cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di tale Stato membro e che non abbia mai esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, in base al solo motivo che detto cittadino di un paese terzo è oggetto di un divieto d’ingresso in tale territorio, senza che sia stato esaminato se sussista un rapporto di dipendenza tra il citato cittadino dell’Unione e il cittadino di un paese terzo tale che, in caso di rifiuto di concessione a quest’ultimo di un diritto di soggiorno derivato, il cittadino dell’Unione in parola sarebbe, di fatto, obbligato a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme trovandosi così privato del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferitigli dal suo status.

 Sull’esistenza nei procedimenti principali di un rapporto di dipendenza idoneo a fondare un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE

63      In secondo luogo, occorre esaminare le circostanze in cui, nei procedimenti riuniti di cui al procedimento principale, possa concretizzarsi un rapporto di dipendenza che possa originare un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE.

64      A tale riguardo, si deve rilevare che i ricorsi nei procedimenti principali proposti rispettivamente da K.A., da M.Z. e da B.A. riguardano domande di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentate da cittadini di paesi terzi il cui padre o partner principale, parimenti maggiorenne, è cittadino belga. Per contro, i ricorsi nel procedimento principale di M.J., di N.N.N., di O.I.O. e di R.I. riguardano domande di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare da parte di cittadini di paesi terzi, maggiorenni, il cui figlio, minorenne, è cittadino belga.

65      Per quanto riguarda, da un lato, i procedimenti principali che hanno come ricorrenti, rispettivamente, K.A., M.Z. e B.A., occorre in primo luogo sottolineare che, a differenza dei minori, e a maggior ragione se si tratta di bambini come i cittadini dell’Unione di cui alla causa che ha dato origine alla sentenza dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), un adulto è, in linea di principio, in grado di condurre una vita indipendente dai propri familiari. Ne consegue che il riconoscimento, tra due familiari in età adulta, di un rapporto di dipendenza, di natura tale da creare un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE, è possibile solo in casi eccezionali, in cui, alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti, il soggetto interessato non può in alcun modo essere separato dal proprio familiare da cui dipende.

66      Nel caso di specie, in nessuno dei tre procedimenti principali aventi ad oggetto una relazione familiare tra maggiorenni il fascicolo sottoposto alla Corte sembra far emergere un rapporto di dipendenza tale da giustificare la concessione al cittadino di un paese terzo di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE.

67      Infatti, sotto un primo profilo, quanto a K.A., il giudice del rinvio si limita a constatare che la stessa è a carico di suo padre, cittadino belga, senza che risulti, dalla decisione di rinvio o dalle osservazioni presentate da K.A., che un siffatto nesso di dipendenza possa essere tale da costringere il padre di quest’ultima a lasciare il territorio dell’Unione nel caso in cui venga rifiutata a K.A. la concessione di un diritto di soggiorno in Belgio.

68      Sotto un secondo profilo, per quanto concerne M.Z., il medesimo dipende dal padre belga solo sul piano finanziario. Orbene, come osservato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, un siffatto nesso di dipendenza puramente finanziario non è manifestamente tale da costringere il padre di M.Z., cittadino belga, a lasciare il territorio dell’Unione, considerato nel suo insieme, nel caso in cui a M.Z. venisse negata la concessione di un diritto di soggiorno in Belgio.

69      Sotto un terzo profilo, nulla indica, nella decisione di rinvio, che sussista una qualsivoglia situazione di dipendenza tra B.A. e il suo convivente legale.

70      Per quanto concerne, dall’altro lato, i ricorsi di cui ai procedimenti principali depositati da M.J., N.N.N., O.I.O. e R.I., va ricordato che la Corte ha già considerato come elementi pertinenti – al fine di stabilire se il rifiuto di riconoscere un diritto di soggiorno al genitore, cittadino di un paese terzo, di un minore cittadino dell’Unione, comporti per quest’ultimo la privazione del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti ad esso conferiti dal suo status e lo costringa, di fatto, ad accompagnare il genitore e quindi a lasciare il territorio dell’Unione complessivamente inteso – la questione dell’affidamento del figlio, nonché quella incentrata sul punto se l’onere giuridico, finanziario o affettivo correlato a tale figlio sia sopportato dal genitore cittadino di un paese terzo (v., in tal senso, sentenza del 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

71      Più nello specifico, per valutare il rischio che il minore in questione, cittadino dell’Unione, sia costretto a lasciare il territorio dell’Unione nel caso in cui il genitore, cittadino di un paese terzo, si veda negare il riconoscimento di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui trattasi, spetta al giudice del rinvio stabilire, in ciascuna delle controversie di cui al procedimento principale, quale sia il genitore che ha la custodia effettiva del minore, e se esista una relazione di dipendenza effettiva tra quest’ultimo e il genitore cittadino di un paese terzo. Nell’ambito di tale valutazione, le autorità competenti devono tener conto del diritto al rispetto della vita familiare, quale enunciato all’articolo 7 della Carta, tenendo presente che tale articolo deve essere letto in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, riconosciuto all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta (sentenza del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 70).

72      Il fatto che l’altro genitore, cittadino dell’Unione, sia realmente capace di – e disposto a – assumersi da solo l’onere quotidiano ed effettivo del figlio minorenne costituisce un elemento pertinente, ma che non è di per sé solo sufficiente a constatare l’inesistenza, tra il genitore cittadino di un paese terzo e il minore, di un rapporto di dipendenza tale per cui quest’ultimo sarebbe costretto a lasciare il territorio dell’Unione qualora al suddetto cittadino di un paese terzo venisse rifiutato un diritto di soggiorno. Infatti, una constatazione in tal senso deve essere fondata sulla presa in considerazione, nell’interesse superiore del minore di cui trattasi, dell’insieme delle circostanze del caso di specie e, segnatamente, dell’età del minore, del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della sua relazione affettiva sia con il genitore cittadino dell’Unione sia con il genitore cittadino di un paese terzo, nonché del rischio che la separazione da quest’ultimo comporterebbe per l’equilibrio del minore (sentenza del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 71).

73      Pertanto, il fatto che il genitore, cittadino di un paese terzo, viva con il figlio minore, cittadino dell’Unione, è uno degli elementi rilevanti da prendere in considerazione nel determinare la sussistenza di un rapporto di dipendenza tra loro, pur senza costituirne una condizione necessaria (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 54).

74      Per contro, la mera circostanza che possa apparire auspicabile al cittadino di uno Stato membro, per ragioni economiche o per mantenere l’unità familiare nel territorio dell’Unione, che taluni dei suoi familiari, che non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro, possano soggiornare con lui nel territorio dell’Unione, non basta di per sé a far ritenere che il cittadino dell’Unione sarebbe costretto ad abbandonare il territorio dell’Unione qualora un tale diritto non gli fosse concesso (v., in tal senso, sentenze del 15 novembre 2011, Dereci e a., C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 68, e del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 52).

75      Pertanto, l’esistenza di un vincolo familiare, di tipo biologico o giuridico, tra il cittadino dell’Unione minorenne e il genitore, cittadino di un paese terzo, non può essere sufficiente a giustificare che a tale genitore sia riconosciuto, a norma dell’articolo 20 TFUE, un diritto di soggiorno derivato nel territorio dello Stato membro di cui il minore è cittadino.

76      Risulta dai punti da 64 a 75 della presente sentenza che l’articolo 20 TFUE deve essere interpretato nel senso che:

–        se il cittadino dell’Unione è maggiorenne, un rapporto di dipendenza – di natura tale da giustificare la concessione, al cittadino del paese terzo, di un diritto di soggiorno derivato ai sensi di detto articolo – è ravvisabile solo in casi eccezionali, nei quali, tenuto conto dell’insieme delle circostanze pertinenti, il soggetto interessato non può in alcun modo essere separato dal familiare da cui dipende;

–        se il cittadino dell’Unione è minorenne, la valutazione dell’esistenza di un simile rapporto di dipendenza dev’essere fondata sulla presa in considerazione, nell’interesse superiore del bambino, dell’insieme delle circostanze del caso di specie, e, segnatamente, della sua età, del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della sua relazione affettiva con ciascuno dei genitori nonché del rischio che la separazione dal genitore cittadino di un paese terzo comporterebbe per l’equilibrio del minore stesso. L’esistenza di un vincolo familiare con tale cittadino, di tipo biologico o giuridico, non è sufficiente, e una convivenza con quest’ultimo non è necessaria, per fondare un tale rapporto di dipendenza.

 Sull’importanza del momento in cui è sorto il rapporto di dipendenza

77      In terzo luogo, si deve determinare se l’articolo 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che non rileva che il rapporto di dipendenza invocato dal cittadino di un paese terzo a sostegno della sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare sia sorto prima dell’adozione, nei propri confronti, di un divieto d’ingresso nel territorio.

78      A tal proposito, va ricordato, da un lato, che il diritto di soggiorno riconosciuto ai cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, ai sensi dell’articolo 20 TFUE, è un diritto di soggiorno derivato, volto a tutelare le libertà di circolazione e di soggiorno del cittadino dell’Unione, e, dall’altro, che è proprio in ragione del rapporto di dipendenza tra il cittadino dell’Unione e il suo familiare, cittadino di un paese terzo, nel senso indicato al punto 52 della presente sentenza, che deve essere riconosciuto a quest’ultimo un diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro di cui il cittadino dell’Unione ha la cittadinanza.

79      Alla luce di ciò, l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione sarebbe disatteso se una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare dovesse essere respinta automaticamente quando un simile rapporto di dipendenza tra il cittadino dell’Unione e il suo familiare, cittadino di un paese terzo, sia sorto in un momento in cui quest’ultimo era già stato oggetto di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso sul territorio e si sapeva quindi in posizione di soggiorno irregolare. Infatti, in un simile caso, l’esistenza di un tale rapporto di dipendenza tra il cittadino dell’Unione e il cittadino di un paese terzo non ha potuto, per ipotesi, essere presa in considerazione al momento della decisione di rimpatrio, accompagnata da un divieto d’ingresso, di cui il cittadino di un paese terzo è stato oggetto.

80      Del resto, la Corte ha già ammesso, nelle sentenze dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), e del 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez e a. (C‑133/15, EU:C:2017:354), che sia riconosciuto un diritto di soggiorno derivato, ai sensi dell’articolo 20 TFUE, ai cittadini di paesi terzi, familiari di cittadini dell’Unione, minorenni, e che non hanno mai esercitato la loro libertà di circolazione, benché, al momento della nascita di questi ultimi, i genitori si trovassero in posizione di soggiorno irregolare nel territorio dello Stato membro interessato.

81      Da quanto precede risulta che l’articolo 20 TFUE dev’essere interpretato nel senso che è irrilevante che il rapporto di dipendenza invocato dal cittadino di un paese terzo a sostegno della sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare sia sorto prima dell’adozione, nei suoi confronti, di un divieto d’ingresso nel territorio.

 Sul carattere definitivo del divieto di ingresso nel territorio

82      In quarto luogo, si deve determinare se l’articolo 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che non rileva che la decisione di divieto d’ingresso nel territorio di cui è oggetto il cittadino di un paese terzo sia divenuta definitiva nel momento in cui quest’ultimo deposita la sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare.

83      A tal proposito, come discende dai punti da 57 a 61 della presente sentenza, l’effetto utile dell’articolo 20 TFUE impone di revocare o sospendere un simile divieto d’ingresso, anche se divenuto definitivo, ove esista, tra il suddetto cittadino di un paese terzo e il cittadino dell’Unione, suo familiare, un rapporto di dipendenza tale da giustificare la concessione all’interessato di un diritto di soggiorno derivato, ai sensi del citato articolo 20, nel territorio dello Stato membro interessato.

84      Ne consegue che l’articolo 20 TFUE dev’essere interpretato nel senso che è irrilevante che la decisione di divieto d’ingresso nel territorio di cui è oggetto il cittadino di un paese terzo sia divenuta definitiva al momento in cui quest’ultimo deposita la sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare.

 Sui motivi del divieto d’ingresso nel territorio

85      In quinto luogo, si deve determinare se l’articolo 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che è irrilevante che la decisione di divieto d’ingresso nel territorio di cui è oggetto il cittadino di un paese terzo che ha depositato una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare sia giustificata dal mancato rispetto del suo obbligo di rimpatrio o da motivi di ordine pubblico.

86      Preliminarmente occorre sottolineare che, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, gli Stati membri sono tenuti ad adottare una decisione di divieto d’ingresso nel territorio se il cittadino di un paese terzo, che è stato oggetto di una decisione di rimpatrio, non ha rispettato l’obbligo di rimpatrio, o quando nessun termine per la partenza volontaria gli è stato concesso, il che può verificarsi, conformemente all’articolo 7, paragrafo 4, di detta direttiva, se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

87      Per quanto concerne, sotto un primo profilo, il mancato rispetto dell’obbligo di rimpatrio, si deve osservare che non rileva la circostanza che il divieto d’ingresso nel territorio sia stato adottato per un tale motivo.

88      Infatti, per le ragioni esposte ai punti da 53 a 62 nonché ai punti 79 e 80 della presente sentenza, uno Stato membro non può rifiutarsi di prendere in considerazione una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, presentata dal cittadino di un paese terzo, per il solo motivo che egli, non avendo rispettato l’obbligo di rimpatrio, soggiorna in modo irregolare in detto territorio, senza aver preliminarmente esaminato se esista, tra il cittadino del paese terzo e il cittadino dell’Unione, suo familiare, un rapporto di dipendenza tale da imporre di riconoscere a detto cittadino un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE.

89      Inoltre, si deve ricordare, da un lato, che il diritto di soggiorno nello Stato membro di accoglienza, riconosciuto dall’articolo 20 TFUE al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, discende direttamente da tale articolo e non richiede che il cittadino di un paese terzo disponga già di un altro titolo di soggiorno nel territorio dello Stato membro interessato e, dall’altro lato, che, poiché il beneficio di tale diritto di soggiorno deve essere riconosciuto al cittadino di un paese terzo a partire dal sorgere del rapporto di dipendenza tra quest’ultimo e il cittadino dell’Unione, detto cittadino di un paese terzo non può più essere considerato, a partire da tale momento e per tutta la durata del rapporto di dipendenza, in soggiorno irregolare nel territorio dello Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115.

90      Per quanto concerne, sotto un secondo profilo, la circostanza che il divieto di ingresso nel territorio si basa su considerazioni di ordine pubblico, la Corte ha già dichiarato che l’articolo 20 TFUE non incide sulla possibilità, per gli Stati membri, di far valere un’eccezione connessa, segnatamente, al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza pubblica. Ciò detto, nei limiti in cui la situazione dei ricorrenti ricade nel campo di applicazione del diritto dell’Unione, la valutazione della stessa deve tener conto del diritto al rispetto della vita privata e familiare, come enunciato all’articolo 7 della Carta, articolo che deve essere letto in combinato disposto, se del caso, con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 81, e del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 36).

91      Inoltre, in quanto giustificazione di una deroga al diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari, le nozioni di «ordine pubblico» e di «pubblica sicurezza» devono essere intese in senso restrittivo. Così, la nozione di «ordine pubblico» presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. Quanto alla nozione di «pubblica sicurezza», dalla giurisprudenza della Corte risulta che tale nozione comprende la sicurezza interna di uno Stato membro e la sua sicurezza esterna e, pertanto, il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché alla sopravvivenza della popolazione; allo stesso modo, il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, possono ledere la pubblica sicurezza. La Corte ha altresì dichiarato che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale e la lotta contro il terrorismo sono comprese nella nozione di «pubblica sicurezza» (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punti 82 e 83, nonché del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punti da 37 a 39).

92      In tale contesto, si deve considerare che, quando il diniego del diritto di soggiorno è basato sull’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, tenuto conto, in particolare, dei reati commessi dal cittadino di uno Stato terzo, siffatto diniego sarebbe conforme al diritto dell’Unione, anche ove comportasse l’obbligo per il cittadino dell’Unione, suo familiare, di lasciare il territorio dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 84, e del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 40).

93      Per contro, non si potrebbe giungere automaticamente a tale conclusione sulla sola base dei precedenti penali dell’interessato. Detta conclusione potrebbe discendere, se del caso, solamente da una valutazione in concreto di tutte le circostanze attuali e pertinenti del caso di specie, alla luce del principio di proporzionalità, dell’interesse superiore del bambino e dei diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto (sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 85, e del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 41).

94      Pertanto, tale valutazione deve segnatamente prendere in considerazione il comportamento personale dell’interessato, la durata e la legittimità del suo soggiorno nel territorio dello Stato membro di cui trattasi, la natura e la gravità del reato commesso, il livello di pericolosità attuale dell’interessato per la società, l’età dei figli eventualmente coinvolti, il loro stato di salute e la loro situazione familiare ed economica (sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 86, e del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 42).

95      Orbene, dalla decisione di rinvio risulta che la prassi nazionale di cui al procedimento principale non impone all’autorità nazionale competente di effettuare una siffatta valutazione in concreto di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie prima di respingere una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare in circostanze come quelle di cui al procedimento principale.

96      Peraltro, il giudice del rinvio rileva che non risulta dalle decisioni impugnate dinanzi ad esso che siffatta valutazione in concreto sia stata realizzata in occasione dell’adozione della decisione di rimpatrio, accompagnata da un divieto d’ingresso, di cui è stato oggetto ciascuno dei ricorrenti nel procedimento principale. In ogni caso, anche a voler ritenere che si versi in tale ipotesi, l’autorità nazionale competente sarebbe nondimeno tenuta ad esaminare, nel momento in cui prevede di dover respingere la domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentata dal cittadino di un paese terzo, se, successivamente all’adozione della decisione di rimpatrio, le circostanze di fatto si siano evolute in modo tale che un diritto di soggiorno non può, ormai, più essergli rifiutato (v., per analogia, sentenze del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri, C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punti 79 e 82, nonché dell’11 novembre 2004, Cetinkaya, C‑467/02, EU:C:2004:708, punti 45 e 47).

97      Ne consegue che l’articolo 20 TFUE dev’essere interpretato nel senso che è irrilevante che la decisione di divieto d’ingresso nel territorio di cui è oggetto il cittadino di un paese terzo che ha depositato una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare sia giustificata dal mancato rispetto del suo obbligo di rimpatrio. Qualora ragioni di ordine pubblico abbiano giustificato una simile decisione, esse possono portare al diniego della concessione a detto cittadino di un paese terzo di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo citato solo se emerga da una valutazione in concreto di tutte le circostanze del caso di specie, alla luce del principio di proporzionalità, dell’interesse superiore del o degli eventuali figli interessati e dei diritti fondamentali, che l’interessato rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per l’ordine pubblico.

 Sulla terza questione

98      Con la terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5 della direttiva 2008/115 nonché gli articoli 7 e 24 della Carta debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una prassi nazionale in forza della quale è adottata una decisione di rimpatrio nei confronti del cittadino di un paese terzo, già oggetto di una decisione di rimpatrio, accompagnata da una decisione di divieto d’ingresso nel territorio, ancora in vigore, senza che siano presi in considerazione gli elementi della sua vita familiare, e in particolare l’interesse del figlio minore, menzionati nella domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentata dopo l’adozione di tale divieto d’ingresso nel territorio.

99      Alla luce della risposta fornita alle prime due questioni, si deve intendere la terza questione come riferita esclusivamente ai casi in cui il cittadino di un paese terzo non può beneficiare di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE.

100    In tale prospettiva, si deve innanzitutto ricordare che, come enuncia il suo considerando 2, la direttiva 2008/115 persegue l’attuazione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità. Come risulta tanto dal titolo quanto dal tenore testuale dell’articolo 1 della stessa direttiva, quest’ultima stabilisce «norme e procedure comuni» che ciascuno Stato membro è tenuto ad applicare per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

101    Peraltro, discende dal considerando 6 di tale direttiva che gli Stati membri, nei confronti di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel loro territorio, devono prendere una decisione di rimpatrio, prescritta dall’articolo 6, paragrafo 1, della citata direttiva, in esito ad una procedura equa e trasparente.

102    Più nello specifico, in applicazione dell’articolo 5 della direttiva 2008/115, rubricato «Non-refoulement, interesse superiore del bambino, vita familiare e condizioni di salute», quando gli Stati membri attuano la suddetta direttiva, essi devono, da una parte, tenere nella debita considerazione l’interesse superiore del bambino, la vita familiare e le condizioni di salute del cittadino del paese terzo interessato e, dall’altra, rispettare il non-refoulement (non respingimento) (sentenza dell’11 dicembre 2014, Boudjlida, C‑249/13, EU:C:2014:2431, punto 48).

103    Ne consegue che, qualora l’autorità nazionale competente intenda adottare una decisione di rimpatrio, essa deve necessariamente rispettare gli obblighi imposti dall’articolo 5 della direttiva 2008/115 e sentire l’interessato in proposito. Al riguardo, spetta all’interessato cooperare con l’autorità nazionale competente nel corso della propria audizione al fine di fornire alla stessa tutte le informazioni pertinenti relative alla propria situazione personale e familiare e, in particolare, quelle che possono giustificare la non adozione di una decisione di rimpatrio (sentenza dell’11 dicembre 2014, Boudjlida, C‑249/13, EU:C:2014:2431, punti 49 e 50).

104    L’articolo 5 della direttiva 2008/115 osta pertanto a che uno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio senza prendere in considerazione gli elementi pertinenti relativi alla vita familiare del cittadino di un paese terzo interessato, che detto cittadino ha fatto valere, sia pure a sostegno di una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, al fine di opporsi all’adozione di tale decisione, anche se il cittadino in questione è già stato oggetto di una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto d’ingresso nel territorio.

105    Tuttavia, come sottolineato al punto 103 della presente sentenza, l’interessato ha un obbligo di cooperazione leale con l’autorità nazionale competente. Questo dovere di leale cooperazione gli impone di comunicare senza indugio all’autorità qualsiasi circostanza pertinente relativa alla propria vita familiare. Infatti, il diritto del cittadino di un paese terzo a che l’evoluzione della propria situazione familiare sia presa in considerazione prima dell’adozione di una decisione di rimpatrio non può essere strumentalizzato per riaprire o prorogare indefinitamente il procedimento amministrativo (v., per analogia, sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 71).

106    Quindi, qualora, come nei procedimenti principali, il cittadino di un paese terzo sia già stato oggetto di una decisione di rimpatrio, e a condizione che, nel corso di questo primo procedimento, egli abbia potuto far valere gli elementi della propria vita familiare, all’epoca già esistenti e che fondano la sua domanda di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, non si può contestare all’autorità nazionale competente di non aver tenuto conto, nel corso del procedimento di rimpatrio avviato successivamente, di tali elementi, che avrebbero dovuto essere invocati dall’interessato in una fase precedente del procedimento.

107    Si deve pertanto rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 5 della direttiva 2008/115 dev’essere interpretato nel senso che osta ad una prassi nazionale in forza della quale è adottata una decisione di rimpatrio nei confronti del cittadino di un paese terzo, già oggetto di una decisione di rimpatrio, accompagnata da una decisione di divieto d’ingresso nel territorio, ancora in vigore, senza che siano presi in considerazione gli elementi della sua vita familiare, e in particolare l’interesse del figlio minore, menzionati nella domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentata dopo l’adozione di tale divieto d’ingresso nel territori, salvo quando tali elementi avrebbero potuto essere fatti valere in precedenza dall’interessato.

 Sulla quarta questione

108    Considerate le risposte fornite alle prime tre questioni pregiudiziali, non occorre rispondere alla quarta questione.

 Sulle spese

109    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e in particolare i suoi articoli 5 e 11, dev’essere interpretata nel senso che non osta alla prassi di uno Stato membro che consiste nel non prendere in considerazione una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, presentata nel suo territorio da un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che possiede la cittadinanza di tale Stato membro e che non ha mai esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, in base al solo motivo che detto cittadino di un paese terzo è oggetto di un divieto di ingresso in tale territorio.

2)      L’articolo 20 TFUE dev’essere interpretato nel senso:

–        che esso osta alla prassi di uno Stato membro che consiste nel non prendere in considerazione una tale domanda unicamente in base a detto motivo, senza che sia stato esaminato se sussista un rapporto di dipendenza tra detto cittadino dell’Unione e detto cittadino di un paese terzo di natura tale che, in caso di rifiuto di concessione a quest’ultimo di un diritto di soggiorno derivato, il cittadino dell’Unione in parola sarebbe, di fatto, obbligato a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme e verrebbe così privato del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferitigli dal suo status;

–        che se il cittadino dell’Unione è maggiorenne, un rapporto di dipendenza – di natura tale da giustificare la concessione, al cittadino di un paese terzo interessato, di un diritto di soggiorno derivato ai sensi di detto articolo – è ravvisabile solo in casi eccezionali, nei quali, tenuto conto dell’insieme delle circostanze pertinenti, il soggetto interessato non può in alcun modo essere separato dal familiare da cui dipende;

–        che se il cittadino dell’Unione è minorenne, la valutazione dell’esistenza di un siffatto rapporto di dipendenza dev’essere fondata sulla presa in considerazione, nell’interesse superiore del bambino, dell’insieme delle circostanze del caso di specie, e, segnatamente, della sua età, del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della sua relazione affettiva con ciascuno dei genitori, nonché del rischio che la separazione dal genitore cittadino di un paese terzo comporterebbe per l’equilibrio del minore stesso; l’esistenza di un vincolo familiare con tale cittadino, di tipo biologico o giuridico, non è sufficiente, e una convivenza con quest’ultimo non è necessaria, per fondare un tale rapporto di dipendenza;

–        che è irrilevante che il rapporto di dipendenza invocato dal cittadino di un paese terzo a sostegno della sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare sia sorto dopo l’adozione, nei suoi confronti, di un divieto d’ingresso nel territorio;

–        che è irrilevante che la decisione di divieto d’ingresso nel territorio di cui è oggetto il cittadino di un paese terzo sia divenuta definitiva nel momento in cui quest’ultimo deposita la sua domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare, e

–        che è irrilevante che la decisione di divieto d’ingresso di cui è oggetto il cittadino di un paese terzo che ha depositato una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare sia giustificata dal mancato rispetto di un obbligo di rimpatrio; qualora ragioni di ordine pubblico abbiano giustificato una tale decisione, esse possono portare al diniego della concessione a detto cittadino di un paese terzo di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo citato solo ove emerga da una valutazione in concreto di tutte le circostanze del caso di specie, alla luce del principio di proporzionalità, dell’interesse superiore del o degli eventuali bambini interessati e dei diritti fondamentali, che l’interessato rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per l’ordine pubblico.

3)      L’articolo 5 della direttiva 2008/115 dev’essere interpretato nel senso che osta ad una prassi nazionale in forza della quale è adottata una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo, già oggetto di una decisione di rimpatrio, accompagnata da un divieto d’ingresso, ancora in vigore, senza che siano presi in considerazione gli elementi della sua vita familiare, e in particolare l’interesse del figlio minore, menzionati in una domanda di soggiorno ai fini di un ricongiungimento familiare presentata dopo l’adozione di tale divieto d’ingresso, salvo quando tali elementi avrebbero potuto essere fatti valere in precedenza dall’interessato.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.