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Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
29 aprile 2004 (1)

«Concorrenza – Intesa – Mercato degli elettrodi di grafite – Fissazione dei prezzi e ripartizione dei mercati – Calcolo dell'importo delle ammende – Cumulo delle sanzioni – Orientamenti per il calcolo dell'importo delle ammende – Applicabilità – Gravità e durata dell'infrazione – Circostanze aggravanti – Circostanze attenuanti – Capacità contributiva – Cooperazione nel corso del procedimento amministrativo – Modalità di pagamento»

Nelle cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01,

Tokai Carbon Co. Ltd., con sede in Tokyo (Giappone), rappresentata inizialmente dagli avv.ti G. Van Gerven, T. Franchoo e M. De Grave, quindi dagli avv.ti Van Gerven e T. Franchoo, con domicilio eletto in Lussemburgo,

SGL Carbon AG, con sede in Wiesbaden (Germania), rappresentata dagli avv.ti M. Klusmann, F. Wiemer, C. Canenbley,

Nippon Carbon Co. Ltd, con sede in Tokyo (Giappone), rappresentata dall'avv. H. Gilliams,

Showa Denko KK, con sede in Tokyo (Giappone), rappresentata dagli avv.ti M. Dolmans, P. Werdmuller, e dal sig. J. Temple-Lang, solicitor,

GrafTech International Ltd., già UCAR International Inc., con sede in Wilmington, Delaware (Stati Uniti), rappresentata dai sigg. K. Lasok, QC, e B. Hartnett, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

SEC Corp., con sede in Amagasaki, Hyogo (Giappone), rappresentata dall'avv. K. Platteau,

The Carbide/Graphite Group, Inc., con sede in Pittsburgh (Stati Uniti), rappresentata inizialmente dagli avv.ti M. Seimetz e J. Brücher, quindi dall'avv. P. Grund, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. W. Mölls e P. Hellström, e, nella causa T‑246/01, dal sig. W. Wils, in qualità di agenti, assistiti, nella causa T‑239/01, dall'avv. H.-J. Freund, e, nelle cause T‑244/01, T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, dal sig. J. Flynn e dalla sig.ra C. Kilroy, barristers, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

aventi ad oggetto domande di annullamento totale o parziale della decisione della Commissione, 18 luglio 2001, 2002/271/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell'art. 81 del trattato CE e dell'art. 53 dell'accordo SEE – Caso COMP/E‑1/36.490 – Elettrodi di grafite (GU 2002, L 100, pag. 1),



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),



composto dal sig. N.J. Forwood, presidente, dai sigg. J. Pirrung e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

vista la fase scritta e in seguito all'udienza del 3 luglio 2003,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti all’origine delle controversie e procedimento

1
Con decisione 18 luglio 2001, 2002/271/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’art. 81 del trattato CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE ‑ Caso COMP/E-1/36.490 ‑ Elettrodi di grafite (GU 2002, L 100, pag. 1; in prosieguo: la «Decisione»), la Commissione ha accertato la partecipazione di varie imprese ad una serie di accordi e di pratiche concordate, ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo sullo Spazio economico europeo (in prosieguo: l’«accordo SEE»), nel settore degli elettrodi di grafite.

2
Gli elettrodi di grafite sono utilizzati prevalentemente nella produzione d’acciaio in forni elettrici ad arco. La produzione d’acciaio mediante tali forni è sostanzialmente un processo di riciclaggio, nel quale rottami d’acciaio sono trasformati in acciaio nuovo, contrariamente al procedimento classico di produzione a partire dal minerale di ferro negli altiforni ad ossigeno. Per fondere i rottami d’acciaio si utilizzano nove elettrodi, raggruppati in colonne di tre. Per l’intensità del processo di fusione, si consuma all’incirca un elettrodo ogni otto ore. La produzione di un elettrodo richiede circa due mesi. Non esistono prodotti che possano sostituire gli elettrodi di grafite nell’ambito di questo processo produttivo.

3
La domanda di elettrodi di grafite è direttamente legata alla produzione d’acciaio nei forni elettrici ad arco; i clienti sono prevalentemente produttori d’acciaio, che rappresentano l’85 % della domanda. Nel 1998, la produzione mondiale d’acciaio grezzo è stata pari a 800 milioni di tonnellate, 280 milioni delle quali sono state prodotte in forni elettrici ad arco. Negli ultimi vent’anni, l’importanza della produzione nei forni elettrici ad arco si è progressivamente accresciuta (il 35% della produzione mondiale nel 1998, rispetto al 18% di vent’anni fa).

4
Il prezzo degli elettrodi di grafite è espresso nella relativa moneta nazionale per tonnellata. Il prezzo nel 1998 era di 5600 marchi tedeschi (DEM) (circa 2863 euro) per tonnellata. Per gli elettrodi di dimensioni maggiori il prezzo è soggetto ad una maggiorazione del 15-30 %.

5
Durante gli anni Ottanta, i progressi tecnologici hanno determinato una sostanziale riduzione del consumo di elettrodi per ogni tonnellata d’acciaio prodotto. Nello stesso periodo, anche l’industria siderurgica ha attraversato una fase di profonda ristrutturazione. La riduzione della domanda di elettrodi ha cagionato un processo di ristrutturazione dell’industria mondiale degli elettrodi. Molte fabbriche sono state chiuse.

6
Nel 2001, nove produttori occidentali hanno rifornito il mercato europeo di elettrodi di grafite: la SGL Carbon AG (in prosieguo: la «SGL»), avente sede in Germania, e la UCAR International Inc. (in prosieguo: la «UCAR»), con sede negli Stati Uniti, che insieme hanno soddisfatto più del (...) (2) della domanda, i due produttori europei minori, la VAW Aluminium AG (in prosieguo: la «VAW») e la Conradty, con sede in Germania, che insieme hanno detenuto circa il (...)% del mercato. La Carbide/Graphite Group, Inc. (in prosieguo: la «C/G»), con una quota di mercato pari a circa il 7%, ha rifornito il mercato europeo a partire dagli Stati Uniti. I produttori giapponesi Showa Denko K.K. (in prosieguo: la «SDK»), Tokai Carbon Co. Ltd. (in prosieguo: la «Tokai»), Nippon Carbon Co. Ltd. (in prosieguo: la «Nippon») e SEC Corporation (in prosieguo: la «SEC») hanno detenuto complessivamente circa il 3-4 % del mercato europeo.

7
Il 5 giugno 1997, in applicazione dell’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli 85 e 86 del trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), taluni funzionari della Commissione hanno condotto, contemporaneamente e senza preavviso, accertamenti presso i locali della SGL, della Conradty e della VAW in Germania, nonché della UCAR in Francia.

8
Lo stesso giorno, agenti del Federal Bureau of Investigation (FBI) hanno effettuato negli Stati Uniti perquisizioni presso le sedi di numerosi produttori. A seguito di tali accertamenti è stata avviata un’azione penale nei confronti della SGL, della SDK, della Tokai e della UCAR per intesa illecita. Tutti gli imputati si sono riconosciuti colpevoli e hanno accettato di pagare le ammende, stabilite in una somma pari a USD 135 milioni per la SGL, a USD 110 milioni per la UCAR, a USD 32, 5 milioni per la SDK e a USD 6 milioni per la Tokai, mentre la C/G ha beneficiato di un’amnistia. In seguito, anche la SEC e la Nippon si sono riconosciute colpevoli e hanno accettato di pagare le ammende fissate rispettivamente in una somma pari a USD 4,8 e a USD 2,5 milioni.

9
Nel gennaio 2000 negli Stati Uniti è stato avviato un procedimento penale nei confronti della società giapponese Mitsubishi Corporation, che aveva detenuto il 50% del capitale azionario della UCAR dal 1991 al 1995. Nel febbraio 2001 la Mitsubishi è stata condannata per concorso in favoreggiamento dell’intesa illecita tra produttori di elettrodi di grafite e le è stata inflitta un’ammenda di USD 134 milioni.

10
Negli Stati Uniti sono state intentate azioni civili di risarcimento danni (triple damages) nei confronti della SGL, della UCAR, della C/G e della SDK per conto di un gruppo di acquirenti.

11
In Canada la UCAR è stata condannata, nel marzo 1999, al pagamento di un’ammenda di 11 milioni di dollari canadesi (CAD) per infrazione penale alla legge canadese sulla concorrenza. Nel luglio 2000 la SGL ha ammesso la sua colpevolezza e ha accettato di pagare un’ammenda di CAD 12,5 milioni per la stessa infrazione. Azioni civili sono state intentate nel giugno 1998 in Canada da alcuni produttori d’acciaio nei confronti della SGL, della UCAR, della C/G e della SDK per intesa illecita.

12
Il 24 gennaio 2000 la Commissione ha inviato alle imprese censurate una comunicazione degli addebiti. Il procedimento amministrativo ha portato all’adozione, il 18 luglio 2001, della Decisione, con la quale si contesta alle imprese ricorrenti e alla VAW di aver fissato i prezzi su scala mondiale e di aver ripartito i mercati nazionali e regionali del prodotto di cui trattasi secondo il principio del «produttore nazionale»: la UCAR era responsabile per gli Stati Uniti e per talune aree dell’Europa, la SGL per il resto dell’Europa; la SDK, la Tokai, la Nippon e la SEC erano responsabili per il Giappone e per certe aree dell’Estremo Oriente, mentre la C/G, operante sui mercati americano ed europeo, si è essenzialmente limitata a seguire i prezzi fissati dalla UCAR e dalla SGL.

13
Sempre secondo la Decisione, i principi direttivi dell’intesa erano i seguenti:

i prezzi degli elettrodi di grafite dovevano essere fissati a livello mondiale;

le decisioni relative ai prezzi di ciascuna società dovevano essere prese esclusivamente dai presidenti o dai direttori generali;

il «produttore nazionale» doveva fissare il prezzo di mercato all’interno del suo «territorio», e gli altri produttori si sarebbero adeguati;

per i mercati «non nazionali», cioè i mercati sui quali non era presente un produttore «nazionale», i prezzi sarebbero stati decisi di comune accordo;

i produttori «non nazionali» non dovevano farsi una concorrenza aggressiva e si ritiravano dai mercati «nazionali» degli altri;

non doveva esserci alcuna espansione della capacità (i produttori giapponesi avrebbero dovuto ridurre la propria);

non si doveva procedere a trasferimenti di tecnologia al di fuori della cerchia di produttori partecipanti al cartello.

14
La Decisione prosegue esponendo che tali principi direttivi sono stati applicati mediante riunioni dell’intesa che si svolgevano a vari livelli: riunioni degli «alti dirigenti» e riunioni «di lavoro», riunioni del gruppo dei produttori europei (senza le imprese giapponesi), riunioni nazionali o regionali dedicate a mercati specifici e a contatti bilaterali tra le imprese.

15
Per quanto concerne la durata dell’intesa, l’art. 1 del dispositivo della Decisione individua l’inizio dell’infrazione nel maggio 1992 per tutte le imprese censurate, salva la C/G, per la quale si fa riferimento al mese di gennaio 1993. Per quanto riguarda la fine dell’infrazione, sono state indicate le seguenti date: marzo 1998 per la SGL e per la UCAR, febbraio 1998 per la Tokai, la Nippon e la SEC, aprile 1997 per la SDK, fine 1996 per la VAW e novembre 1996 per la C/G.

16
In base agli accertamenti fattuali e alle valutazioni giuridiche di cui alla Decisione, la Commissione ha condannato le imprese censurate al pagamento di ammende il cui importo è stato calcolato in conformità al metodo esposto negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), nonché nella comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

17
L’art. 3 del dispositivo della Decisione infligge le seguenti ammende:

SGL: EUR 80,2 milioni;

UCAR: EUR 50,4 milioni;

VAW: EUR 11,6 milioni;

SDK: EUR 17,4 milioni;

Tokai: EUR 24,5 milioni;

Nippon: EUR 12,2 milioni;

SEC: EUR 12,2 milioni;

C/G:   EUR 10,3 milioni.

18
L’art. 4 del dispositivo ingiunge alle imprese interessate di pagare le ammende entro tre mesi dalla data di notifica della Decisione, sotto pena di pagamento degli interessi pari all’8,04%.

19
La Decisione è stata notificata alle varie parti ricorrenti tra il 24 e il 30 luglio 2001.

20
Essa è stata inviata con una lettera d’accompagnamento, datata 23 luglio 2001, che precisava l’importo dell’ammenda inflitta nonché le modalità di pagamento (in prosieguo: la «lettera di luglio»). La lettera precisava che, allo spirare del termine di pagamento indicato nella Decisione, la Commissione avrebbe proceduto al recupero della somma di cui trattasi; tuttavia, in caso di ricorso dinanzi al Tribunale, non sarebbe stata avviata alcuna misura esecutiva, a condizione che fossero pagati interessi al tasso del 6,04% e che fosse costituita una garanzia bancaria.

21
La lettera di luglio è stata notificata alla SGL il 24 luglio e alla UCAR il 26 luglio 2001. In replica a talune osservazioni formulate dalla UCAR in merito alle modalità di pagamento, la Commissione ha risposto con lettera 9 agosto 2001 (in prosieguo: la «lettera di agosto»), rifiutando, da un lato, una proposta di pagamento che non avesse ad oggetto l’intero importo dell’ammenda e che non tenesse conto degli interessi dovuti e, d’altro lato, un pegno su taluni beni sociali della UCAR, con il quale si intendeva garantire il pagamento dell’ammenda. La lettera di agosto è stata notificata alla UCAR il 10 agosto 2001.

22
In tali circostanze, con atti separati depositati presso la cancelleria del Tribunale tra il 1° e il 9 ottobre 2001, le imprese destinatarie della Decisione, tranne la VAW, hanno introdotto i presenti ricorsi.

23
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento e di sottoporre alcuni quesiti alle parti. Le parti hanno risposto nel termine impartito. In seguito, dopo aver sentito le parti sul punto, il presidente della seconda Sezione, con ordinanza 5 giugno 2003 ha riunito le sette cause ai fini della fase orale e della sentenza, ai sensi dell’art. 50 del regolamento di procedura del Tribunale, ed ha inoltre disposto un trattamento confidenziale per taluni documenti contenuti nei fascicoli. All’udienza del 3 luglio 2003, le parti, salva la C/G, che non ha partecipato all’udienza, hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale.

24
Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 settembre 2003, la GrafTech International Ltd (già UCAR) ha formulato un’istanza di sospensione dell’esecuzione della Decisione e di concessione di provvedimenti interinali relativi alle modalità di pagamento della sua ammenda di cui alle lettere di luglio e agosto (causa T‑246/01 R). A seguito della rinuncia della GrafTech alla sua domanda di provvedimenti urgenti, il presidente del Tribunale, con ordinanza 24 maggio 2004, ha disposto la cancellazione della causa T‑246/01 dal ruolo e ha condannato la GrafTech al pagamento delle spese ad essa inerenti.


Conclusioni delle parti

25
La Tokai (causa T‑236/01) chiede che il Tribunale voglia:

annullare l’art. 3 (e se necessario l’art. 4) della Decisione, nella parte in cui le impone un’ammenda di 24,5 milioni di euro o, in subordine, ridurre sostanzialmente l’importo dell’ammenda;

condannare la Commissione alle spese.

26
La SGL (causa T‑239/01) chiede che il Tribunale voglia:

annullare la Decisione per la parte che la riguarda;

in subordine, ridurre congruamente l’importo dell’ammenda inflitta;

condannare la Commissione alle spese.

27
La Nippon (causa T‑244/01) chiede che il Tribunale voglia:

annullare l’art. 1 della Decisione, nella parte in cui rileva la sua partecipazione a un’infrazione agli artt. 81 CE e 53, n. 1, dell’accordo SEE, nel periodo compreso tra il maggio 1992 e il marzo 1993;

annullare l’art. 3 della Decisione, nella parte in cui le impone un’ammenda di 12, 2 milioni di euro;

in subordine, ridurre sostanzialmente l’importo dell’ammenda;

condannare la Commissione alle spese.

28
La SDK (causa T‑245/01) chiede che il Tribunale voglia:

annullare l’ art. 3, lett. d), della Decisione;

in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda a 2,95 milioni di euro ovvero a ogni altro importo che il Tribunale ritenga ragionevole;

invitare la Commissione, ai sensi dell’art. 65, lett. b), del regolamento di procedura, a produrre tutti i documenti relativi al calcolo dell’ammenda inflitta;

condannare la Commissione alle spese.

29
La UCAR (causa T‑246/01) chiede che il Tribunale voglia:

disporre i necessari provvedimenti istruttori;

annullare l’art. 3 della Decisione, nella parte in cui le impone un’ammenda, o, in subordine, ridurne l’importo;

annullare l’art. 4 della Decisione per la parte ad essa relativa, ovvero, in subordine, modificare le modalità di pagamento applicabili all’ammenda dovuta, in conformità delle condizioni indicate nell’allegato 50 del ricorso;

annullare la lettera di luglio, ovvero, in subordine, modificare le modalità ivi stabilite in conformità delle condizioni indicate nell’allegato 50 del ricorso;

annullare la lettera di agosto, o, in subordine, modificare le modalità ivi stabilite in conformità delle condizioni contenute nell’allegato 50 del ricorso;

disporre ogni altro provvedimento ritenuto equo;

condannare la Commissione alle spese.

30
La SEC (causa T‑251/01) chiede che il Tribunale voglia:

annullare l’art. 3 della Decisione, nella parte in cui le impone un’ammenda di 12,2 milioni di euro;

in subordine, ridurre sostanzialmente l’importo dell’ammenda;

condannare la Commissione alle spese.

31
La C/G (causa T‑252/01) chiede che il Tribunale voglia:

annullare la Decisione, nella parte in cui le infligge un’ammenda;

in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda inflittale;

condannare la Commissione alle spese.

32
Nelle cause T‑236/01, T‑239/01, T‑245/01, T‑251/01 e T‑252/01, la Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.

33
 Nelle cause T‑244/01 e T‑246/01, essa chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

aumentare l’ammenda;

condannare la ricorrente alle spese.


Diritto

34
Nella maggior parte delle cause le ricorrenti mirano, in sostanza, solo ad ottenere la revoca ovvero la riduzione dell’importo delle ammende inflitte, sostenendo che la Commissione non ha preso in considerazione le ammende già applicate in altri Paesi e che essa ha erroneamente applicato i suoi orientamenti e la sua comunicazione sulla cooperazione, senza tuttavia contestare la sostanza dei fatti accertati nella Decisione. Tuttavia, taluni ricorsi mirano altresì all’annullamento integrale della Decisione e si basano su motivi relativi ad errori commessi dalla Commissione nell’accertare i fatti costitutivi dell’infrazione. Infine, in due cause, si contestano le modalità di pagamento delle ammende inflitte.

35
Vanno quindi esaminate, innanzi tutto, le conclusioni volte all’annullamento integrale della Decisione, ovvero di taluni accertamenti di fatto contenuti nella stessa. Saranno in seguito esaminate le conclusioni volte all’annullamento dell’art. 3 della Decisione, ovvero alla riduzione delle ammende inflitte in applicazione degli orientamenti e della comunicazione sulla cooperazione. Infine, saranno esaminate le censure riguardanti le modalità di pagamento delle ammende.

A – Sulle conclusioni volte all’annullamento integrale della Decisione ovvero di taluni accertamenti fattuali

1. Sulle conclusioni volte all’annullamento integrale della Decisione

a)     Causa T‑239/01

36
La SGL è l’unica ricorrente che chiede formalmente, in via principale, l’annullamento integrale della Decisione per la parte ad essa relativa. I motivi sollevati a sostegno di tali conclusioni si basano su vari vizi procedurali.

Sull’asserito diniego di un accesso completo al fascicolo

37
La SGL rimprovera alla Commissione di averle negato l’accesso ai suoi documenti interni e di non averle fornito alcun elenco e alcuna sintesi non riservata dei citati documenti, né dei suoi documenti contenenti segreti aziendali ovvero informazioni riservate. A causa di tale violazione dei propri diritti di difesa, essa non avrebbe potuto ottenere una visione complessiva dei contatti intercorsi tra la Commissione e le altre imprese interessate nell’ambito della loro cooperazione. Di conseguenza, la Decisione dovrebbe essere annullata.

38
A tal proposito, il Tribunale ricorda che, secondo una giurisprudenza consolidata, la Commissione, per consentire alle imprese interessate di difendersi utilmente dagli addebiti formulati a loro carico nella comunicazione degli addebiti, ha l’obbligo di rendere accessibile il fascicolo dell’istruttoria nella sua integralità, eccettuati i documenti contenenti segreti aziendali di altre imprese o altre informazioni riservate e i documenti interni della Commissione (v. sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 170, e la giurisprudenza ivi richiamata).

39
Poiché la SGL afferma, dinanzi al Tribunale, che la Commissione avrebbe dovuto almeno comunicarle un elenco ovvero una sintesi non riservata dei suoi documenti contenenti elementi segreti o riservati, deve rilevarsi che nel corso del procedimento amministrativo la ricorrente non ha formulato alcuna richiesta in tal senso. Infatti, la sua lettera datata 9 marzo 2000 e la sua risposta alla comunicazione degli addebiti 4 aprile 2000 fanno riferimento solo ai documenti interni della Commissione; nella sua lettera datata 9 marzo la SGL ha anche ammesso che la Commissione le aveva fornito un elenco dei documenti che potevano essere consultati. Di conseguenza, la Commissione non era tenuta a rendere accessibili, di sua iniziativa, gli elenchi e le sintesi di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491; in prosieguo: la «sentenza Cemento», punto 383).

40
Per quanto riguarda la domanda di accesso ai documenti interni, che la Commissione non è tenuta a rendere accessibili (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit., punto 170), si deve ricordare che tale restrizione di accesso è giustificata dalla necessità di garantire il buon funzionamento della Commissione nel settore della repressione delle infrazioni alle norme del Trattato in materia di concorrenza; i documenti interni possono essere resi accessibili solamente qualora circostanze eccezionali della fattispecie lo esigano, sulla base di indizi seri che la parte interessata è tenuta a fornire, e ciò sia dinanzi al giudice comunitario, sia nel corso del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione (v. sentenza Cemento, cit., punto 420, nonché la giurisprudenza ivi citata). Orbene, affermando genericamente che dai documenti interni della Commissione potrebbe emergere che essa è stata sfavorita rispetto ad altre imprese nella valutazione della sua cooperazione, la SGL non ha fornito indizi seri relativi a circostanze tali da richiedere il suo accesso ai documenti di cui trattasi.

41
La Commissione ha peraltro rilevato, senza essere contraddetta sul punto dalla SGL, che i documenti concernenti la cooperazione delle imprese non facevano parte del suo fascicolo interno, bensì erano contenuti nel fascicolo istruttorio, cui le imprese avevano accesso. Infine, come emerge da numerose censure relative al calcolo della sua ammenda (v. i successivi punti 384 e segg.), la SGL ha effettivamente svolto un confronto tra la propria cooperazione e quella degli altri membri dell’intesa, il che conferma la tesi della Commissione.

42
Di conseguenza, non può censurarsi la Commissione per non aver comunicato i suoi documenti interni alla SGL e per non averle fornito un elenco ovvero una sintesi non confidenziale dei citati documenti.

43
Di conseguenza, il motivo dev’essere respinto.

Sulla pretesa non definitività della comunicazione degli addebiti

44
La SGL afferma che la comunicazione degli addebiti 24 gennaio 2000 non era definitiva. Infatti, benché la Commissione avesse rilevato, con lettera 4 maggio 2000, che le risposte di talune imprese a tale comunicazione contenevano imprecisioni e contraddizioni, essa avrebbe omesso di sostituirla prima dell’adozione della Decisione. La SGL non sarebbe quindi stata in grado di esercitare il suo diritto ad essere sentita riguardo al risultato definitivo dell’indagine.

45
A tal proposito, il Tribunale ricorda che nessuna norma impedisce alla Commissione di comunicare alle parti interessate, dopo aver inviato la comunicazione degli addebiti, nuovi documenti che essa ritiene possano sostenere la sua tesi, a condizione di concedere alle imprese il tempo necessario per presentare il proprio punto di vista al riguardo (v. sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 38, punto 190, e la giurisprudenza ivi citata).

46
Nella fattispecie, la Commissione ammette che talune risposte alla comunicazione degli addebiti contenevano contraddizioni e incriminazioni riguardanti altre imprese. Essa avrebbe perciò consentito l’accesso ad una versione non riservata di tali risposte e avrebbe permesso alle imprese di formulare le loro osservazioni in proposito nel corso dell’audizione del 25 maggio 2000. Essa non ne avrebbe tuttavia dedotto alcun argomento a loro carico.

47
Secondo costante giurisprudenza, la comunicazione degli addebiti deve consentire agli interessati di prendere realmente atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico. Tale esigenza è rispettata quando la decisione finale non pone a carico degli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nella comunicazione degli addebiti e prende in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati hanno avuto modo di manifestare il proprio punto di vista (sentenza del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 109; in prosieguo: la «sentenza FETTCSA»). Orbene, nella fattispecie, nulla impediva alla SGL di confrontare la comunicazione degli addebiti con il testo della Decisione per verificare se la Commissione si fosse basata su nuovi addebiti, che non fossero contenuti nella comunicazione degli addebiti e sui quali la SGL non avesse potuto manifestare il proprio punto di vista prima dell’adozione della Decisione. Tuttavia, la SGL non afferma che vi sia una tale divergenza tra la comunicazione degli addebiti e la Decisione.

48
In ogni caso, è sufficiente che la Commissione consenta alle imprese di pronunciarsi specificamente sulle osservazioni svolte con riferimento alla comunicazione degli addebiti. Nella fattispecie, la SGL non contesta alla Commissione di aver violato il suo diritto ad essere sentita su tale specifico punto. Essa si lamenta solo del fatto che la Commissione abbia ammesso osservazioni esclusivamente orali, ma non dimostra che essa avrebbe potuto difendere validamente la propria posizione solo mediante osservazioni scritte.

49
Di conseguenza, questo motivo dev’essere respinto.

Sull’asserita illegittimità della relazione del consigliere‑uditore

50
Il Tribunale rileva che il 28 maggio 2001 il consigliere‑uditore ha presentato, in applicazione dell’art. 15 della decisione della Commissione 23 maggio 2001, 2001/462/CE,CECA, relativa al mandato dei consiglieri-auditori per taluni procedimenti in materia di concorrenza (GU L 162, pag. 21), una relazione finale così formulata: «Il progetto di decisione non dà luogo a osservazioni particolari in ordine al diritto al contraddittorio. Le imprese interessate non hanno sollevato alcun problema procedurale. Il progetto di decisione non contiene alcuna censura rispetto alla quale le imprese interessate non abbiano avuto modo di prendere posizione anticipatamente».

51
In questo contesto, la SGL afferma che erroneamente il consigliere‑uditore ha rilevato che essa non aveva sollevato alcun problema procedurale. La stessa Decisione riconoscerebbe che la SGL aveva lamentato un accesso incompleto al fascicolo. In violazione dell’art. 8 della decisione 2001/462, il consigliere‑uditore non si sarebbe pronunciato sulla richiesta di accesso al fascicolo formulata dalla SGL nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti. La sua relazione finale avrebbe quindi contenuto errori tali da influenzare, a danno della SGL, l’esito delle deliberazioni del collegio dei membri della Commissione. Il consigliere‑uditore non si sarebbe neppure occupato del problema delle risposte di talune imprese alla comunicazione degli addebiti, che contenevano contraddizioni e incriminazioni rispetto alle quali la SGL avrebbe potuto pronunciarsi solo oralmente in occasione dell’audizione. Ancorché la SGL abbia contestato tale modalità procedurale, la relazione del consigliere‑uditore non farebbe riferimento a tale vizio procedurale.

52
Il Tribunale ricorda che, ai sensi del secondo, del terzo e dell’ottavo ‘considerando’ della decisione 2001/462, la Commissione è chiamata a garantire il rispetto del diritto al contraddittorio dei soggetti interessati da procedimenti in materia di concorrenza nel corso dell’intero procedimento; essa deve affidare lo svolgimento dei procedimenti amministrativi nella materia a persone indipendenti, che abbiano l’integrità necessaria per promuovere l’obiettività, la trasparenza e l’efficacia dei procedimenti stessi. Ai sensi degli artt. 15 e 16, n. 1, della decisione citata, il consigliere‑uditore prepara una relazione finale sul rispetto del diritto al contraddittorio, che valuta altresì se il progetto di decisione riguardi esclusivamente gli addebiti su cui gli interessati hanno avuto la possibilità di pronunciarsi, e che è allegata al progetto di decisione trasmesso alla Commissione, in modo da garantire che, nel decidere, quest’ultima disponga di «tutte le informazioni rilevanti» sullo svolgimento del procedimento e sul rispetto del diritto al contraddittorio.

53
Come emerge dalle disposizioni citate, il consigliere‑uditore non ha il compito di riprendere tutte le censure di carattere procedurale sollevate dagli interessati nel corso del procedimento amministrativo. Egli è tenuto a comunicare al collegio dei membri della Commissione solamente le censure rilevanti ai fini della valutazione della legittimità dello svolgimento del procedimento amministrativo. Orbene, come rilevato sopra, i due motivi sollevati dalla SGL con riferimento al suo accesso ai documenti interni della Commissione ed al problema delle risposte alla comunicazione degli addebiti sono infondati. Pertanto, nella sua veste di consulente obiettivo e indipendente, il consigliere‑uditore non era tenuto a comunicare al collegio dei membri della Commissione tali due motivi, che risultano irrilevanti.

54
Di conseguenza, neppure questo motivo può essere accolto.

55
Ne discende che nessuno dei motivi in base ai quali la SGL sostiene che la Decisione è affetta da vizi formali può essere accolto.

b)     Causa T‑246/01

56
Senza presentare conclusioni formali volte all’integrale annullamento della Decisione, la UCAR ha affermato, nel suo ricorso, che la Decisione doveva essere «totalmente o parzialmente annullata». Infatti, avendo omesso di esaminare il ruolo avuto dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide, le sue società controllanti tra il 1992 e il 1995, nella creazione dell’intesa e nel periodo iniziale del suo funzionamento, la Commissione avrebbe violato il proprio obbligo di svolgere un’indagine imparziale e avrebbe compromesso i suoi diritti di difesa. Nella sua replica, la UCAR ha tuttavia precisato che essa intendeva ottenere non l’annullamento integrale della Decisione per violazione di una forma sostanziale, bensì la soppressione ovvero la riduzione dell’importo dell’ammenda inflittale dall’art. 3 della Decisione. Secondo la UCAR, il punto sopra citato del suo ricorso è stato formulato esclusivamente in tal senso.

57
Il Tribunale ne deduce che il ricorso presentato dalla UCAR non mira all’annullamento integrale della Decisione. La censura riguardante l’omessa valutazione, da parte della Commissione, del ruolo svolto dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide nella partecipazione della UCAR all’intesa in oggetto sarà pertanto esaminata nell’ambito dei motivi sollevati dalla UCAR con riferimento al calcolo della sua ammenda.

2. Sulle conclusioni volte all’annullamento parziale dell’art. 1 della Decisione e di taluni accertamenti di fatto in essa contenuti

a)     Nella causa T‑239/01, sul motivo relativo ad un erroneo accertamento dell’attuazione di un sistema centrale di sorveglianza

58
Nell’ambito del gruppo di motivi riguardanti l’erroneo calcolo della sua ammenda, la SGL rimprovera alla Commissione di averla discriminata rispetto alla SDK, riducendo l’ammenda inflitta a tale impresa in quanto quest’ultima aveva rivelato l’esistenza e il funzionamento di un sistema centrale di sorveglianza (Central Monitoring System, in prosieguo: il «CMS») attuato nell’ambito dell’intesa. La SGL afferma che tale sistema non è mai stato realizzato. Essa ne avrebbe informato la Commissione nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti.

59
A tal proposito, il Tribunale rileva che la SGL dichiara, nel suo ricorso, di essersi espressamente astenuta, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, dal contestare i fatti esposti dalla Commissione. In tale risposta, la SGL aveva tuttavia corretto taluni accertamenti di fatto; a proposito del CMS, essa aveva affermato che «il sistema centrale di sorveglianza non è (...) mai stato realizzato».

60
Il Tribunale ricorda che nella Decisione la Commissione ha ritenuto, nonostante la risposta della SGL, che l’infrazione considerata consistesse, segnatamente, nell’istituzione di un meccanismo per il controllo e l’applicazione degli accordi di cartello (secondo ‘considerando’). Essa ha descritto i dettagli del CMS (‘considerando’ 72, 73, 91 e 92), rilevando che la tesi sostenuta dalla SGL era contraddetta dalle prove documentali, nonché dalle dichiarazioni di altri produttori, quali la Tokai e la UCAR. Il controricorso della Commissione fa riferimento a tali passaggi della Decisione, mentre la replica della SGL si limita a sostenere che il CMS non era stato attuato.

61
Nella fattispecie, il fatto che la SGL si sia limitata a ripetere, in termini generali, una semplice affermazione non dimostrata relativa alla mancata realizzazione del CMS non è sufficiente a mettere seriamente in discussione gli accertamenti fattuali di segno opposto contenuti nella Decisione.

62
Il motivo proposto avverso gli accertamenti di fatto relativi all’applicazione del CMS deve pertanto essere respinto.

b)      Nella causa T‑236/01, sul motivo relativo ad un erroneo accertamento del carattere mondiale dell’intesa

63
Nell’ambito del motivo relativo al fatto che la Commissione si è erroneamente riferita al suo fatturato mondiale, la Tokai sostiene che il mercato geografico degli elettrodi di grafite non ha carattere mondiale. In ogni caso, la Commissione non avrebbe adeguatamente analizzato il mercato geografico interessato. Infatti, nella sua decisione 4 gennaio 1991 (Mitsubishi/UCAR, IVM024), adottata in base al regolamento relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese, la Commissione avrebbe concluso che il mercato degli elettrodi di grafite era un mercato di dimensione comunitaria.

64
In proposito il Tribunale ricorda l’esplicita dichiarazione resa dalla Tokai stessa nel suo ricorso, secondo cui con quest’ultimo non intende contestare la sostanza dei fatti indicati nella Decisione. Orbene, gli accertamenti di fatto secondo cui l’intesa ha avuto ad oggetto il controllo del mercato mondiale degli elettrodi di grafite sono contenuti sia nella Decisione (v., ad esempio, i ‘considerando’ 14-18, 46, 47, 49, 51, 71, 72 e 73), sia nella comunicazione degli addebiti (punti 33, 34, 35, 37, 39, 59, 60 e 61). Ne deriva che l’essenza stessa dell’intesa, secondo gli accertamenti della Commissione, consisteva nel suddividere il settore degli elettrodi di grafite nel mondo secondo un sistema fondato su tre «pilastri»: la SGL per l’Europa, la UCAR per gli Stati Uniti e la SDK, la Tokai, la Nippon e la SEC per il Giappone (‘considerando’ 47 della Decisione). Inoltre, tra i principi fondamentali dell’intesa individuati dalla Commissione vi era quello del «produttore nazionale», che doveva fissare il prezzo all’interno del suo «territorio», mentre gli altri produttori si sarebbero adeguati (v. precedenti punti 12 e 13), essendo previsto che i produttori non nazionali dovevano ritirarsi dai mercati nazionali degli altri (‘considerando’ 50 della Decisione). Infine, la Commissione ha portato l’esempio della società americana C/G, la quale, pur non disponendo di alcuna unità produttiva al di fuori degli Stati Uniti, è riuscita a ottenere una parte di mercato pari a circa il 7% in Europa e a smerciare quasi un terzo della sua produzione nel SEE (‘considerando’ 16, 30 e 85 della Decisione), il che è stato considerato dalla Commissione quale indice dell’esistenza di un mercato su scala mondiale e quale dimostrazione che anche un produttore «non nazionale» poteva perturbare il funzionamento dell’intesa.

65
Orbene, il presente motivo è evidentemente incompatibile con il fatto che la Tokai ha ammesso gli elementi fattuali ora esposti e che essa non li ha validamente contestati né durante il procedimento amministrativo, né dinanzi al Tribunale. Se ricondotto nell’ambito degli ulteriori motivi basati sul calcolo erroneo delle ammende, il motivo ha piuttosto ad oggetto la valutazione, da parte della Commissione, della reale incidenza del comportamento della Tokai sulla concorrenza nel SEE. Infatti, nell’ambito di tali motivi la Tokai sottolinea in particolare il suo comportamento passivo e la sua assenza di interesse economico alla vendita del prodotto di cui trattasi sul mercato europeo. Il motivo è quindi, in realtà, inteso a contestare alla Commissione di non aver tenuto in considerazione il ruolo esclusivamente passivo della Tokai nel fissare l’importo dell’ammenda inflittale.

66
Tale conclusione non è contraddetta dal riferimento della Tokai alla decisione 4 gennaio 1991 (Mitsubishi/UCAR, IV M024), nella quale la Commissione ha ritenuto, in materia di concentrazione tra imprese, che il mercato degli elettrodi di grafite avesse una dimensione comunitaria. A tal proposito è sufficiente rilevare che la detta decisione è stata adottata in un ambito diverso da quello in esame, e che essa porta una data anteriore sia all’indagine della Commissione nella presente causa, sia al periodo di durata dell’infrazione indicato nella Decisione. Orbene, è proprio la scoperta, dal 1997, del cartello cui faceva parte la Tokai che ha permesso alla Commissione di rilevare che i membri del cartello avevano ripartito il mercato degli elettrodi di grafite su scala mondiale. Pertanto, il riferimento alla decisione del 1991 è irrilevante.

67
Di conseguenza, il motivo dev’essere respinto per la parte in cui contesta gli accertamenti di fatto relativi al carattere mondiale del mercato degli elettrodi di grafite.

c)      Nella causa T‑239/01, sul motivo relativo ad un’erronea valutazione della durata dell’infrazione

68
Nell’ambito del gruppo dei motivi relativi al calcolo erroneo della sua ammenda, la SGL contesta alla Commissione, in primo luogo, di aver attribuito, senza alcuna prova, un’eccessiva durata alla sua partecipazione all’infrazione: la Commissione avrebbe erroneamente rilevato che la SGL aveva proseguito l’infrazione dopo le verifiche effettuate nel giugno 1997, fino al febbraio/marzo 1998. Di conseguenza, la determinazione della sua ammenda sarebbe erronea in quanto contenente una maggiorazione per tale periodo. Inoltre, a torto la Commissione avrebbe considerato come circostanza aggravante a carico della SGL l’asserita continuazione dell’infrazione dopo le verifiche. In questo senso, la SGL sostiene che le riunioni intervenute nell’ambito dell’intesa durante il periodo controverso avevano ad oggetto non il mercato europeo, bensì solamente i mercati asiatici, e di ciò essa aveva già informato la Commissione durante il procedimento amministrativo. Le prove indicate dalla Commissione a sostegno della propria tesi non sarebbero affidabili.

69
La SGL contesta, in secondo luogo, l’erroneo accertamento di cui al ‘considerando’ 57 della Decisione, secondo cui il gruppo europeo dell’intesa si è nuovamente riunito a partire dal «1999». A suo parere, non può escludersi che detto errore abbia avuto ripercussioni negative sulla determinazione dell’importo della sua ammenda. Peraltro, al ‘considerando’ 124 della Decisione, la Commissione sosterrebbe che vi sono indizi da cui può dedursi che l’infrazione non si era ancora conclusa nel 2001. La SGL chiede al Tribunale di verificare, mediante una misura di organizzazione del procedimento, se la cifra erronea del 1999 sia stata trasmessa al collegio dei membri della Commissione ai fini dell’adozione della Decisione.

70
Riguardo alla prima parte del motivo sollevato dalla SGL, vanno ricordati la cronologia e il preciso contenuto delle osservazioni formulate dalla SGL in risposta ai rilievi della Commissione.

71
In primo luogo, in risposta ad una richiesta di informazioni della Commissione la SGL ha dichiarato, con memorandum 8 giugno 1999, che i più importanti produttori di elettrodi di grafite, tra i quali la SGL e la UCAR, hanno coordinato le loro azioni in materia di concorrenza negli anni che vanno dal 1992 «al 1998». In seguito, essa ha elencato le riunioni tenutesi nell’ambito dell’intesa. Per quanto concerne le riunioni successive al mese di giugno 1997, essa ha citato, ogni volta in una sola frase, una riunione del luglio 1997 in Malesia, una riunione del novembre 1997 a Hong Kong e una riunione del febbraio 1998 a Bangkok, specificando che tali riunioni hanno avuto ad oggetto temi specificamente asiatici.

72
In secondo luogo, la comunicazione degli addebiti 24 gennaio 2000 ha rilevato che l’infrazione attribuita alla SGL era durata sino al mese di marzo 1998, precisando, da un lato, che le riunioni di Hong Kong e di Bangkok avevano avuto ad oggetto l’aggiornamento delle tabelle del CMS sui quantitativi di vendita per tutte le regioni e tutti i mercati e, d’altro lato, che la SGL e la UCAR avevano informato i membri giapponesi dell’intesa in ordine ai prezzi ultimamente applicati in Europa (punti 78 e 79). Secondo la comunicazione degli addebiti, vi sono inoltre stati contatti bilaterali tra la SGL e la UCAR almeno fino al marzo 1998 (punto 80). La maggior parte di tali rilievi è basata su una dichiarazione dell’ex direttore delle vendite per l’Europa della UCAR, sig. (...). Infine, la comunicazione degli addebiti contiene un corposo elenco di documenti allegati, utilizzati come prove, tra cui vi è la dichiarazione del sig. (...).

73
In terzo luogo, la risposta della SGL 4 aprile 2000 alla comunicazione degli addebiti, dopo aver confermato che i fatti alla base della comunicazione degli addebiti non venivano contestati in linea di principio («grundsätzlich»), si è limitata a rinviare al memorandum 8 giugno 1999, senza pronunciarsi sui nuovi accertamenti e sulle prove documentali relative al periodo controverso dell’infrazione, come risultanti dalla comunicazione degli addebiti. In particolare, essa non ha contestato la dichiarazione del sig. (...), pur avendo avuto accesso a tale dichiarazione.

74
Dinanzi al Tribunale, la SGL non ha aggiunto niente di sostanziale agli argomenti svolti in sede precontenziosa. Essa si è limitata ad affermare che il valore della dichiarazione del sig. (...) doveva essere fortemente relativizzato alla luce delle circostanze in cui essa era stata resa. Tale osservazione si riferisce al fatto, riportato dalla Commissione, che la UCAR, dopo aver licenziato il sig. (...), ha subordinato qualsiasi soluzione amichevole della controversia, intentata da quest’ultimo in relazione al licenziamento, alla condizione che questi accettasse di cooperare con la Commissione nell’ambito della sua indagine.

75
Tuttavia, il testo della dichiarazione complementare (supplemental statement) del sig. (...), su cui la Commissione si è in particolare basata, non contiene alcun elemento che possa giustificare i sospetti della SGL: i fatti ivi citati sono concreti e non contraddittori; il sig. (...) cita i nomi di numerosi rappresentanti di altri membri dell’intesa, tra cui il sig. (...) della SGL e il sig. (...) della UCAR, di modo che la sostanza di quanto dichiarato avrebbe potuto essere verificata mediante l’audizione di tali persone in veste di testimoni. Tuttavia, la SGL non ha chiesto la citazione dei medesimi; essa non si è neppure rivolta alla Commissione, nel corso del procedimento amministrativo, per trasmetterle controdichiarazioni, provenienti, ad esempio, dal suo ex direttore delle vendite, sig. (...). Infine, dalla dichiarazione del sig. (...), anch’essa trasmessa alla Commissione su domanda della UCAR, emerge che le sue dichiarazioni non erano assolutamente intese a difendere la UCAR a scapito di altri membri dell’intesa, con lo scopo di ottenere una soluzione favorevole della sua controversia con la UCAR. Il sig. (...) precisa infatti che quanto da lui compiuto nell’ambito dell’infrazione era noto ai suoi superiori all’interno dell’impresa ed è stato approvato da questi ultimi.

76
Ne deriva che la SGL non è riuscita a dimostrare in maniera convincente che gli accertamenti fattuali della Commissione relativi alla sua partecipazione all’infrazione nel periodo dal giugno 1997 al marzo 1998 (‘considerando’ 91-’93 della Decisione) sono erronei. Pertanto, la prima parte del motivo dev’essere respinta.

77
Quanto alla seconda parte, relativa al ‘considerando’ 57 della Decisione, la Commissione ha ammesso che la frase contenuta nella versione tedesca notificata della Decisione, secondo cui nell’ambito dell’intesa vi sono state riunioni del gruppo europeo «a partire dal 1999», rappresenta un errore tipografico. Orbene, l’evidenza di detto errore emerge, da un lato, dal confronto con la versione inglese della Decisione, altro testo facente fede (oltre al testo tedesco), in cui si cita correttamente il «1992». D’altro lato, la versione tedesca del ‘considerando’ 57 (con la data erronea del 1999) è, in quanto tale, incomprensibile: infatti, secondo la UCAR, le riunioni di cui trattasi sono cessate «dopo circa un anno» (cioè nel 2000, se si adotta la logica del testo erroneo), in quanto i produttori europei avevano ritenuto, sempre secondo la UCAR, che non era più necessario riunirsi nel corso dell’anno «1993». Chiaramente, la frase citata ha senso solo se l’anno di riferimento è il 1992.

78
Infine, e soprattutto, l’art. 1, nonché i ‘considerando’ 3, 114 e 155 della Decisione indicano chiaramente il mese di marzo 1998 come la fine dell’infrazione commessa dalla SGL. Tale rilievo non è contraddetto dal ‘considerando’ 124 della Decisione, secondo cui non è certo neppure che l’infrazione sia cessata nel 2001. Infatti, tale passaggio, lungi dal modificare gli accertamenti di fatto riguardanti la durata dell’infrazione, serve solamente a giustificare l’art. 2 del dispositivo della Decisione, il quale ingiunge in via precauzionale alle imprese interessate di porre immediatamente fine, se non lo avessero ancora fatto, alle infrazioni menzionate.

79
Data la sua evidenza, l’errore di battitura non poteva pregiudicare gli interessi della SGL nella determinazione della sua ammenda: il capitolo «Durata dell’infrazione», contenuto nella parte della Decisione relativa alla fissazione delle ammende indica il mese di «febbraio/marzo 1998» come fine dell’infrazione commessa dalla SGL, dalla UCAR, dalla Tokai, dalla Nippon e dalla SEC (‘considerando’ 155).

80
Un simile errore non può quindi giustificare l’annullamento dei rilievi riguardanti la durata dell’infrazione commessa dalla SGL. Di conseguenza, non deve essere disposta la misura di organizzazione del procedimento proposta dalla SGL.

81
Entrambe le parti del motivo sollevato dalla SGL devono quindi essere respinte.

d)     Nella causa T‑244/01, sui motivi relativi ad una violazione delle forme sostanziali, per mancanza di prove sufficienti della partecipazione della Nippon all’infrazione nel periodo tra il maggio 1992 e il marzo 1993, nonché ad una carenza di motivazione sul punto

Argomenti delle parti

82
A sostegno delle sue conclusioni di annullamento parziale dell’art. 1 della Decisione, la Nippon afferma che quando la Commissione accusa un’impresa della violazione di disposizioni del diritto comunitario, l’onere della prova grava sulla Commissione stessa. Nella fattispecie, il rilievo contenuto nella Decisione, secondo cui la Nippon ha partecipato all’infrazione tra il maggio 1992 e il marzo 1993 non sarebbe sorretto da prove sufficienti e univoche. Non sarebbe, infatti, dimostrata l’affermazione della Commissione secondo cui la Nippon avrebbe partecipato alle riunioni tenutesi in quel periodo. L’accusa della Commissione sarebbe interamente basata su dichiarazioni rese da taluni dei concorrenti della Nippon (la SDK, la UCAR e la SGL) al solo scopo di beneficiare dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Di conseguenza, la Commissione non sarebbe legittimata a riconoscere alcun valore probatorio a tali dichiarazioni, la cui affidabilità sarebbe limitata.

83
Quanto alla prima riunione degli «alti dirigenti» tenutasi a Londra il 21 maggio 1992, la Nippon sostiene che non è provata l’affermazione contenuta nella Decisione secondo cui la Tokai rappresentava gli interessi della ricorrente. Orbene, nella sentenza Cemento (citata al precedente punto 39, punti 2773-2782), il Tribunale avrebbe stabilito che, in mancanza di prova che una parte avesse dato istruzioni al fine di essere rappresentata a una riunione, la Commissione non poteva legittimamente desumere che tale parte fosse effettivamente presente, ovvero rappresentata, e che avesse sottoscritto l’accordo concluso in occasione di tale riunione. Secondo la ricorrente, anche nella fattispecie deve svolgersi un ragionamento analogo. In particolare, la Commissione non avrebbe fornito prove idonee a dimostrare che la ricorrente avesse effettivamente dato istruzioni alla Tokai di rappresentarla in occasione di tale riunione.

84
Poiché la Commissione si riferisce ad una dichiarazione resa dalla SDK su una riunione apparentemente intervenuta, nell’ambito dei contatti preliminari, prima della riunione del 21 maggio 1992, la Nippon non può capire come il riferimento ad una riunione tenutasi prima della creazione dell’intesa possa eventualmente provare la sua affermazione. Quanto alla dichiarazione resa dalla SGL, essa sarebbe generica e rappresenterebbe una generale ammissione, da parte della SGL, della sua partecipazione all’infrazione contestata dal 1992 al 1998. Tale dichiarazione non potrebbe essere interpretata come relativa alla partecipazione della Nippon alle varie riunioni tenutesi nel corso del periodo controverso. Da essa non emergerebbe neppure che gli interessi della ricorrente erano rappresentati dalla Tokai.

85
La Nippon aggiunge che le dichiarazioni imprecise rese dalla UCAR, secondo cui a tale riunione hanno assistito «taluni concorrenti giapponesi» e «numerosi concorrenti giapponesi» non possono valere quale fondamento dell’affermazione della Commissione, secondo cui proprio la Nippon era stata rappresentata da un’impresa determinata, che aveva assistito a tale riunione.

86
A proposito delle riunioni «di lavoro» del 25 maggio e del 19 settembre 1992, la Nippon afferma che i rilievi della Commissione attinenti alla sua presenza a tali riunioni sono basati interamente su dichiarazioni imprecise e incoerenti, rese da concorrenti della ricorrente. Nella Decisione, la Commissione non avrebbe fornito alcuna prova fattuale o documentale a tal proposito.

87
In particolare, riguardo alla riunione tenutasi a Zurigo il 25 maggio 1992, l’asserita presenza della Nippon sarebbe basata su un’unica dichiarazione della SDK, la quale afferma che hanno assistito alla riunione «rappresentanti della Nippon», senza tuttavia precisare da chi sia stata rappresentata, nei fatti, in tale occasione. Invece, nelle sue dichiarazioni relative ad altre società, la SDK fornirebbe tale informazione in maniera dettagliata. Quanto alla dichiarazione della UCAR, essa non citerebbe mai la riunione di Zurigo. La dichiarazione della SGL non menzionerebbe la presenza della Nippon a tale riunione.

88
Quanto alla riunione tenutasi a Lugano il 19 settembre 1992, l’asserita presenza della Nippon sarebbe, di nuovo, interamente fondata su una sola dichiarazione resa dalla SGL. Tale dichiarazione sarebbe in contraddizione con quelle della SDK e della UCAR, che non fanno riferimento alla riunione di Lugano.

89
Poiché la Decisione afferma che la presenza della Nippon alle riunioni di cui trattasi sarebbe dimostrata dai resoconti delle spese di viaggio, forniti dalla Nippon stessa (‘considerando’ 48), quest’ultima ricorda di aver consegnato alla Commissione tali resoconti in seguito ad una domanda formale di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17. Tuttavia, la Commissione non avrebbe il potere di raccogliere informazioni al di fuori del territorio comunitario. Pertanto, tali informazioni sarebbero state raccolte illegittimamente e non potrebbero essere assunte quali prove della partecipazione della Nippon all’infrazione contestata. In ogni caso, la domanda indirizzata alla Nippon nella fattispecie non presenterebbe i requisiti indicati dal regolamento n. 17, in quanto la Commissione non ha citato le sanzioni previste dall’art. 15, n. 1, lett. b), come richiesto dall’art. 11, n. 3, del regolamento n. 17. Infine, i resoconti delle spese di viaggio di cui trattasi non dimostrerebbero la partecipazione della Nippon alle riunioni tenutesi tra il maggio 1992 e il marzo 1993.

90
La Nippon afferma di non aver mai ammesso, nella sua corrispondenza con la Commissione, di essere stata presente ad alcuna delle riunioni organizzate nel periodo dal maggio 1992 al marzo 1993. A tal proposito, essa rileva che le sue lettere datate 30 marzo e 17 maggio 2000, redatte in risposta alla comunicazione degli addebiti, devono essere lette nel contesto di cui alla sua lettera 18 dicembre 1998.

91
Con quest’ultima lettera, la Nippon avrebbe risposto ad una domanda formulata dalla Commissione per sapere se essa aveva partecipato alle riunioni organizzate dall’intesa. La risposta sarebbe stata chiara e dettagliata per quanto riguarda ciascuno dei periodi indicati dalla Commissione. Orbene, la Nippon non avrebbe citato alcuna riunione nel periodo dal maggio 1992 al marzo 1993, benché la Commissione avesse espressamente indagato su tale periodo.

92
La Nippon ammette di aver riconosciuto, nella sua lettera 30 marzo 2000, che i suoi amministratori o quadri avevano partecipato «a più riprese» a riunioni internazionali tra concorrenti, e di aver dichiarato che essa non aveva intenzione di contestare la sua partecipazione alle riunioni. Tuttavia, tale generica dichiarazione non potrebbe essere interpretata come una confessione che implichi la partecipazione della Nippon a tutte le riunioni, segnatamente a quelle tenutesi proprio nel corso del periodo tra il maggio 1992 e il marzo 1993.

93
Nella sua successiva lettera 17 maggio 2000, la Nippon avrebbe chiarito che essa non contestava «nella sostanza» i fatti riportati nella comunicazione degli addebiti. Tale lettera non significherebbe che la Nippon avesse partecipato a tutte le riunioni. Al contrario, essa richiamerebbe espressamente la sua lettera 18 dicembre 1998, ribadendo dunque che la Nippon era coinvolta solo in un certo numero di riunioni.

94
La Nippon aggiunge che la Decisione non è adeguatamente motivata su questo punto. Infatti, anche a supporre che la sua partecipazione in tale periodo fosse dimostrata, la Commissione avrebbe omesso di chiarire la ragione per la quale vi è stata una maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda, posto che l’ammenda inflitta alla ricorrente era già stata maggiorata per l’asserita prosecuzione dell’infrazione dopo l’indagine della Commissione. La Decisione non conterrebbe alcuna spiegazione per tale doppia maggiorazione.

95
Per quanto concerne le conclusioni con le quali la Commissione chiede al Tribunale di aumentare l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, quest’ultima ritiene che si tratti di una domanda incongrua e infondata.

96
La Commissione rileva che prima del deposito del suo ricorso dinanzi al Tribunale la Nippon non ha mai contestato la sua partecipazione alle riunioni organizzate tra il maggio 1992 e il marzo 1993. Al contrario, essa avrebbe invocato la sua mancata contestazione dei fatti sui quali la Commissione si è basata per i suoi accertamenti per ottenere una riduzione dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione. In ogni caso, la partecipazione della Nippon alle riunioni di cui trattasi sarebbe provata dalle dichiarazioni della SDK e della SGL.

97
La Commissione ammette di non disporre di resoconti di spese di viaggio della Nippon relativi al periodo controverso. Tuttavia, alla luce delle prove citate, il ricorso a tali resoconti non sarebbe necessario.

98
Infine, la Commissione chiede al Tribunale di aumentare l’ammenda inflitta alla Nippon, facendo ricorso alla sua competenza giurisdizionale anche nel merito. Infatti, contrariamente alla sua risposta alla comunicazione degli addebiti, ora la Nippon contesterebbe gli accertamenti sulla durata della sua partecipazione. Secondo la Commissione, la maggiorazione dell’ammenda dovrebbe essere almeno pari alla riduzione del 10% concessa alla Nippon ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

Giudizio del Tribunale

99
Si deve preliminarmente ricordare che, nella Decisione (‘considerando’ 113), la Commissione si è limitata a prendere in considerazione, per il calcolo delle ammende, il periodo che va dal maggio 1992, data della prima riunione degli «alti dirigenti» di Londra, durante la quale furono concordati i principi di base per la costituzione del cartello su quel mercato. Secondo la Commissione, il fatto che la Nippon non abbia partecipato a tale riunione è irrilevante giacché era rappresentata dalla Tokai ed era essa stessa presente alla prima riunione «di lavoro» tenutasi soltanto quattro giorni dopo.

100
Per valutare la portata del presente motivo, alla luce di tale rilievo, deve nuovamente ricordarsi lo sviluppo cronologico del procedimento amministrativo e deve analizzarsi il contenuto, da un lato, dei documenti presentati dalla Commissione e, d’altro lato, delle dichiarazioni rese dalla Nippon.

101
A tal proposito si deve innanzitutto rilevare che la Nippon, rispondendo ad una domanda di informazioni della Commissione, con lettera 18 dicembre 1998 (allegato n. 2 al ricorso) ha fornito informazioni sui viaggi del suo direttore generale, sig. (...) e di taluni altri suoi quadri. È vero che la lettera citata non menziona alcuno spostamento nel corso del periodo controverso.

102
In secondo luogo, la comunicazione degli addebiti 24 gennaio 2000 chiarisce, ai punti 36, 37, e 39, 40 e 101, rinviando alle dichiarazioni della SGL, della SDK e della UCAR:

che i partecipanti alla prima riunione degli «alti dirigenti» del 21 maggio 1992 a Londra erano la SGL, la UCAR, la Mitsubishi, la SDK e la Tokai, «quest’ultima altresì in rappresentanza degli interessi della Nippon e della SEC», e che le regole basilari dell’intesa sono state stabilite in occasione di questa riunione;

che la citata riunione è stata seguita quasi immediatamente da una riunione «di lavoro», tenutasi a Zurigo il 25 maggio 1992, alla quale hanno partecipato rappresentanti di tutte le imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti, ivi compresa la Nippon, e in occasione della quale il mercato mondiale degli elettrodi di grafite è stato esaminato regione per regione (Estremo Oriente, Medio Oriente e Africa, Europa occidentale, Europa orientale, America latina e America del Nord) e sono state attribuite quote di mercato;

che la Nippon e la SEC non possono affermare di essere state assenti alla riunione del 21 maggio 1992, posto che esse si sono fatte entrambe rappresentare dalla Tokai, e che hanno esse stesse partecipato alla prima riunione «di lavoro» tenutasi appena quattro giorni più tardi;

che una seconda riunione «di lavoro» si è tenuta a Lugano, il 19 settembre 1992, «in presenza dei produttori giapponesi», in occasione della quale, da un lato, sono stati comunicati a tali produttori i prezzi minimi per il mercato europeo e, d’altro lato, sono stati fissati quantitativi e quote per ciascuna regione.

103
In terzo luogo, la risposta della Nippon alla comunicazione degli addebiti è stata redatta il 30 marzo 2000, senza che la Nippon avesse consultato il fascicolo istruttorio della Commissione, ancorché quest’ultima avesse consentito l’accesso a tale fascicolo tra il 14 e il 23 febbraio 2000 (‘considerando’ 40 della Decisione). In tale risposta, la Nippon riconosce che i suoi rappresentanti hanno partecipato «a più riprese» a riunioni internazionali tra concorrenti e dichiara che, «per quanto riguarda la fase iniziale [dell’intesa]», essa non ha sempre partecipato, ancorché fosse invitata a farlo. In seguito, essa sottolinea, «con riferimento alla comunicazione degli addebiti», che essa «non contesta, sul piano fattuale, la sua partecipazione alle riunioni» e che offre alla Commissione la sua più ampia collaborazione.

104
In quarto luogo, con la successiva lettera 17 maggio 2000, con la quale richiede l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, la Nippon, rinviando al punto 6 della risposta 30 marzo 2000, ricorda che «non contesta nella sostanza la veridicità dei fatti rilevati nella comunicazione degli addebiti». Quale esempio della sua piena collaborazione con la Commissione, essa cita, segnatamente, la sua lettera 18 dicembre 1998, rilevando che nella stessa erano indicate tutte le riunioni alle quali avevano partecipato i suoi rappresentanti. Infine, essa dichiara espressamente di aver posto fine all’infrazione dopo il mese di febbraio 1998.

105
I documenti ora citati non valgono a sostenere la tesi della Nippon. Infatti, se è vero che la Nippon non ha affermato, per sua stessa iniziativa (lettera 18 dicembre 1998), di aver partecipato alle riunioni organizzate nel corso del periodo qui rilevante, la successiva comunicazione degli addebiti conteneva indicazioni assai dettagliate in ordine, rispettivamente, alla sua partecipazione e al fatto di essere stata rappresentata dalla Tokai in occasione di tali riunioni, precisando, per di più, che in tali occasioni erano state discusse questioni cruciali per il funzionamento dell’intesa. Tali indicazioni erano fondate su dichiarazioni di imprese diverse dalla Nippon. Quest’ultima doveva quindi ragionevolmente concludere, dalla lettura della comunicazione degli addebiti, che la Commissione attribuiva maggiore importanza e credibilità a tali dichiarazioni rispetto alla lettera della Nippon 18 dicembre 1998.

106
Di conseguenza, se la Nippon non accettava le affermazioni relative alla sua partecipazione ovvero alla sua rappresentanza passiva alle riunioni organizzate nel corso del periodo qui rilevante, come risultanti dalla comunicazione degli addebiti, né il significato e il valore probatorio delle dichiarazioni della SGL, della SDK e della UCAR, sulle quali la Commissione basava le proprie affermazioni, essa avrebbe dovuto contestarle nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti. Solamente una contestazione puntuale, compiuta già in tale fase del procedimento amministrativo, avrebbe permesso alla Commissione di approfondire la sua indagine e di tentare di individuare prove ulteriori.

107
Orbene, le lettere della Nippon 30 marzo e 17 maggio 2000 non contengono alcuna contestazione specificamente rivolta alle affermazioni e alle dichiarazioni di cui sopra. Al contrario, nella speranza di ottenere una riduzione dell’ammenda, la Nippon pone l’accento sulla sua volontà di cooperazione e dichiara di non contestare la sostanza dei fatti rilevati nella comunicazione degli addebiti. Il solo rilievo concreto relativo alla durata dell’infrazione riguarda la fase finale, ossia la cessazione di qualsiasi attività collegata all’infrazione dopo il febbraio 1998. Se collocata in tale contesto, la mancata contestazione relativa ai primi dieci mesi dell’infrazione – unitamente all’omessa consultazione, da parte della Nippon, del fascicolo istruttorio della Commissione, nonché alla sua assenza all’audizione organizzata dalla Commissione – poteva ragionevolmente essere interpretata da quest’ultima nel senso che la Nippon, nell’ambito della sua cooperazione con la Commissione, intendeva facilitare il compito di quest’ultima nell’accertamento della durata dell’infrazione, accettando gli accertamenti relativi al suo inizio e formulando precisazioni solamente in ordine alla sua fine.

108
Quanto al chiarire se la Nippon possa disconoscere tale cooperazione e affermare, dinanzi al Tribunale, di non aver partecipato all’infrazione tra il maggio 1992 e il marzo 1993, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, in mancanza di un espresso riconoscimento da parte dell’impresa di cui trattasi, la Commissione deve dimostrare i fatti, mentre l’impresa resterebbe libera, nell’ambito del procedimento contenzioso, di produrre tutti i mezzi di difesa che ritenga utili (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑297/98 P, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. I‑10101, punto 37). Da ciò si può dedurre, a contrario, che ciò non è valido in presenza di un riconoscimento dei fatti espresso, chiaro e preciso da parte dell’impresa in questione: quando essa abbia espressamente ammesso, nell’ambito del procedimento amministrativo, la sostanza dei fatti che le erano contestati dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti, occorre allora considerare tali fatti dimostrati, dato che l’impresa non può più, in linea di principio, contestarli nell’ambito del procedimento contenzioso dinanzi al Tribunale.

109
Tuttavia, nella fattispecie, la partecipazione della Nippon all’intesa di cui trattasi tra il maggio 1992 e il marzo 1993 è stata dedotta dalla Commissione non da una dichiarazione chiara e precisa della Nippon, esplicitamente riferita a tale periodo, bensì da un insieme di elementi, quali il suo comportamento oggettivo nei confronti della Commissione in occasione del procedimento amministrativo e le sue dichiarazioni, piuttosto generiche, di non contestazione. Di conseguenza, non può impedirsi alla Nippon di affermare, dinanzi al Tribunale, che tale insieme di elementi è stato interpretato erroneamente quale prova della sua partecipazione nel corso del periodo in esame.

110
Tuttavia, tale contestazione tardiva non può essere accolta nel merito. Infatti, come sopra rilevato, la Commissione poteva legittimamente ritenere che la Nippon, di fronte agli elementi di prova contenuti nella comunicazione degli addebiti, non avesse contestato la propria partecipazione all’intesa nel corso del periodo di cui trattasi. Di conseguenza, dinanzi al Tribunale la Commissione poteva limitarsi a ricordare, per un verso, il comportamento della Nippon durante il procedimento amministrativo e, per altro verso, i citati elementi di prova consistenti, segnatamente, in dichiarazioni della SGL, della SDK e della UCAR. Orbene, tali dichiarazioni – che, in risposta a una domanda scritta del Tribunale, sono state prodotte dalla Commissione in una versione sintetizzata – permettono di dimostrare adeguatamente la partecipazione della Nippon all’intesa nel corso del periodo rilevante.

111
Ne discende che la Commissione non era tenuta ad apportare nuove prove dinanzi al Tribunale e a pronunciarsi sugli argomenti proposti per la prima volta dalla Nippon dinanzi al Tribunale per contestare i citati elementi di prova. In particolare, l’argomento della Nippon relativo ai suoi resoconti delle spese di viaggio poteva essere considerato irrilevante. Quindi, poiché la Commissione ha il compito di accertare i fatti costitutivi dell’infrazione, tale compito è stato semplificato, nel corso del procedimento amministrativo, dal comportamento e dalle dichiarazioni della Nippon, e non è stato poi obiettivamente complicato dalla successiva contestazione sollevata dalla Nippon dinanzi al Tribunale.

112
Non può tuttavia negarsi che la Commissione, contro ogni aspettativa che poteva ragionevolmente sorgere dall’oggettiva cooperazione resa dalla Nippon nel corso del procedimento amministrativo, ha dovuto elaborare e presentare al Tribunale una difesa quanto alla contestazione dei fatti costitutivi dell’infrazione, pur avendo ritenuto, a buon diritto, che la Nippon non avrebbe più messo in discussione i fatti stessi. Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ritiene di dover esercitare la propria competenza giurisdizionale anche nel merito, di cui dispone ai sensi dell’art. 17 del regolamento n. 17, aumentando l’ammenda inflitta alla Nippon di due punti percentuali (v., in prosieguo, punto 457).

113
Tale conclusione non contrasta con la sentenza del Tribunale 28 febbraio 2002, causa T‑354/94, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. II‑843, punto 85). In tale sentenza, pronunciata su rinvio della Corte a seguito di impugnazione, il Tribunale ha stabilito che il rischio che un’impresa che si è avvalsa di una riduzione dell’ammenda come corrispettivo della propria cooperazione presenti successivamente ricorso d’annullamento contro la decisione che l’ha sanzionata per la sua infrazione alle regole della concorrenza e risulti vittoriosa dinanzi al Tribunale o dinanzi alla Corte è una conseguenza normale dell’esperimento dei mezzi di ricorso previsti dal Trattato; pertanto, il mero fatto che tale impresa sia risultata vittoriosa non può giustificare una nuova valutazione della portata della riduzione concessale. A tal proposito va rilevato che la sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑354/94, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. II‑2111), che era stata oggetto di impugnazione, non si era pronunciata in merito all’adeguatezza della riduzione dell’ammenda concessa in base alla cooperazione dell’impresa e, inoltre, che neppure la sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. I‑9925), che ha parzialmente annullato tale sentenza, aveva affrontato la problematica relativa alla citata riduzione dell’ammenda. Tenuto conto di tale peculiare situazione procedurale, il fatto che il Tribunale, nella citata sentenza 28 febbraio 2002, abbia rifiutato di compiere «una nuova valutazione della portata della riduzione concessa (…)» non dev’essere interpretato nel senso che il Tribunale non può in alcun caso, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, aumentare l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa la quale, dopo aver beneficiato di una riduzione dell’ammenda per non aver contestato la sostanza dei fatti esaminati dalla Commissione nel corso del procedimento amministrativo, rimette in discussione per la prima volta dinanzi al Tribunale la rispondenza al vero dei medesimi fatti.

114
Laddove la Nippon sostiene che il ‘considerando’ 48 della Decisione erroneamente afferma che i suoi resoconti delle spese di viaggio dimostrano la sua presenza alle riunioni «degli alti dirigenti» e «di lavoro», è sufficiente ricordare il testo del ‘considerando’ citato, secondo cui la partecipazione a tali riunioni dei rappresentanti della Tokai, della Nippon e della SEC «è ammessa dagli interessati o dimostrata dai resoconti delle loro spese di viaggio». Tenuto conto del fatto che la Nippon ha oggettivamente ammesso di aver partecipato all’intesa per tutta la sua durata, questo passaggio non può essere interpretato nel senso che la Commissione ha voluto dimostrare la partecipazione all’infrazione della sola società Nippon, segnatamente tra il maggio 1992 e il marzo 1993, esclusivamente mediante i resoconti delle spese di viaggio di quest’ultima.

115
Infine, la censura relativa a una carenza di motivazione non è rivolta né contro la Decisione nel suo complesso, né contro l’accertamento fattuale relativo al periodo di partecipazione di cui sopra. Essa ha ad oggetto solamente l’aumento del 55% dell’importo di base dell’ammenda inflitta alla Nippon. Di conseguenza, anche se tale censura fosse fondata, essa comporterebbe non l’annullamento della Decisione nel suo complesso o dell’accertamento fattuale di cui trattasi, bensì solamente la riforma della Decisione stessa nella parte in cui prevede un aumento del 55%.

116
Da quanto precede risulta che i motivi relativi ad una violazione delle forme sostanziali, per l’assenza di prove sufficienti in ordine alla partecipazione della Nippon all’infrazione nel periodo che va dal maggio 1992 al marzo 1993, nonché ad una carenza di motivazione devono essere respinti.

117
L’esame del primo gruppo di motivi dimostra che nessuno tra gli elementi sollevati dalle ricorrenti è tale da giustificare l’annullamento integrale della Decisione, né l’annullamento degli accertamenti di fatto ivi contenuti. Pertanto, tutte le conclusioni volte all’annullamento integrale della Decisione ovvero all’annullamento parziale del suo art. 1 devono essere respinte nel loro insieme.

118
Il successivo esame delle conclusioni e dei motivi sollevati con riferimento alla fissazione delle ammende terrà quindi conto di tutti i citati accertamenti fattuali.

B – Sulle conclusioni volte all’annullamento dell’art. 3 della Decisione ovvero alla riduzione delle ammende inflitte

1. Sui motivi relativi ad una violazione del principio di non cumulabilità delle sanzioni e all’obbligo per la Commissione di prendere in considerazione le sanzioni anteriormente inflitte, nonché ad una carenza di motivazione sul punto

a)     Argomenti delle parti

119
Tutte le ricorrenti, salvo la C/G, affermano che la Commissione, rifiutandosi di detrarre dalle ammende stabilite nella Decisione l’importo delle ammende già inflitte negli Stati Uniti e in Canada, nonché l’importo delle somme versate a titolo di risarcimento dei danni in tali Paesi, ha violato la norma che vieta il cumulo delle sanzioni per una medesima infrazione. Tale norma si baserebbe sui principi di equità e di proporzionalità, derivanti dal diritto costituzionale comunitario; tale norma sarebbe stata confermata dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU 2000, C 364, pag. 1) e dagli artt. 54-58 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese, relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19), firmato il 19 giugno 1990 a Schengen (Lussemburgo). Il principio del ne bis in idem sarebbe del pari sancito dall’art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950, come interpretato, in particolare, dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 29 maggio 2001, Fischer c. Austria.

120
Come emergerebbe dalla sentenza della Corte 14 dicembre 1972, causa 7/72, Boehringer/Commissione (Racc. pag. 1281), la Commissione sarebbe obbligata a tener conto di una sanzione inflitta dalle autorità di un paese terzo se i fatti contestati all’impresa ricorrente dalla Commissione, da un lato, e da tali autorità, d’altro lato, fossero identici. Ciò avverrebbe proprio nel caso in esame, poiché, al contrario di quanto avviene nella causa che ha dato origine alla citata sentenza 14 dicembre 1972, l’intesa sanzionata dalle autorità americane e canadesi era la stessa, per quanto riguarda l’oggetto, la localizzazione e la durata, di quella sanzionata dalla Commissione.

121
Inoltre, ignorando il principio di imputazione si violerebbe la sentenza della Corte 13 febbraio 1969, causa 14/68, Walt Wilhelm e a. (Racc. pag. 1, punto 11), nonché le sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑149/89, Sotralentz/Commissione (Racc. pag. II‑1127, punto 29), 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. II‑931, punto 96), secondo cui la generale esigenza di equità comporta che, nel fissare l’importo di un’ammenda, la Commissione è tenuta a prendere in considerazione le sanzioni già sopportate dalla stessa impresa per il medesimo fatto.

122
In tale contesto, la SGL contesta il giudizio contenuto nella Decisione, secondo cui le ammende inflitte negli Stati Uniti e in Canada avrebbero preso in considerazione solamente gli effetti anticoncorrenziali dell’intesa intervenuti nella sfera di competenza di tali giurisdizioni (‘considerando’ 179 e 180 della Decisione). Per dimostrare che negli Stati Uniti e in Europa sono stati sanzionati fatti identici, la SGL rinvia agli accertamenti svolti nella Decisione. Così, i ‘considerando’ 14, 17, 18, 71-73, 106 e 149 di quest’ultima dimostrerebbero che la Commissione ha generalmente ammesso che le infrazioni erano costituite da accordi a livello mondiale, basati su un progetto globale, cui partecipavano le imprese interessate. La Commissione non avrebbe affermato che i fatti da essa sanzionati costituivano eventi distinti dai fatti già sanzionati negli Stati Uniti. Quanto all’addebito cui è collegata la sanzione inflitta alla ricorrente negli Stati Uniti, nella transazione (plea agreement), confermata in sede giurisdizionale, si potrebbe leggere che gli accordi sui prezzi e le quote di cui trattasi sono intervenuti «negli Stati Uniti e altrove», e ciò tra il 1992 e il giugno 1997.

123
La SGL aggiunge che la sanzione penale inflittale negli Stati Uniti per l’importo di USD 135 milioni supera già il limite massimo delle sanzioni (10% del fatturato mondiale) previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Pertanto, la Commissione non sarebbe stata legittimata ad applicare una sanzione supplementare per la somma di EUR 80,2 milioni.

124
La SGL rileva inoltre che la Commissione, non tenendo conto delle sanzioni già inflitte in altri paesi, ha contraddetto la dichiarazione dell’ex direttore generale della Direzione generale della concorrenza, sig. Alexander Schaub, il quale, nel corso di un colloquio in data 1°dicembre 1998, avrebbe assicurato che, nel calcolo dell’ammenda, la Commissione avrebbe tenuto conto delle sanzioni inflitte negli Stati Uniti.

125
Inoltre, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha violato anche il principio di divieto del cumulo delle sanzioni per aver tenuto conto del loro fatturato mondiale, che comprende il fatturato realizzato negli Stati Uniti e in Canada. Infatti, tale fatturato era già stato preso in considerazione dalle autorità americane e canadesi per fissare le relative ammende. Per evitare una duplice sanzione, la Commissione avrebbe quindi dovuto tener conto soltanto della parte del fatturato proveniente dalle vendite di elettrodi di grafite in Europa.

126
Esse aggiungono che la Commissione non ha considerato l’effetto dissuasivo delle ammende già inflitte. Infatti, nel determinare l’importo delle ammende, essa avrebbe omesso di prendere in considerazione il fatto che le ricorrenti erano già state condannate, in alcuni paesi terzi, ad ammende e a risarcimenti dei danni per un importo sufficiente a dissuaderle dal commettere un’ulteriore infrazione al diritto della concorrenza. Le ricorrenti sarebbero state quindi sufficientemente sanzionate.

127
Infine, la Tokai e la Nippon contestano alla Commissione di non avere fornito, nella Decisione, una motivazione sufficiente sul punto. Da un lato, essa avrebbe omesso di replicare all’argomento della Tokai relativo al principio del ne bis in idem, fatto valere nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, col quale essa aveva sottolineato la necessità di una «localizzazione territoriale» adeguata per il calcolo dell’ammenda. D’altro lato, secondo la Nippon, l’obbligo di motivazione sarebbe stato particolarmente rilevante nella fattispecie, in quanto la Commissione ha inflitto ammende calcolate in base al fatturato mondiale, il che rappresenta una nuova fase nella prassi decisionale della Commissione.

128
La Commissione osserva sostanzialmente che le ammende inflitte da autorità di Stati terzi sanzionano soltanto le violazioni del loro diritto nazionale della concorrenza e che esse non possono sanzionare le violazioni della normativa comunitaria sulla concorrenza. Il fatto che varie autorità abbiano dovuto esaminare gli stessi fatti sarebbe irrilevante, poiché lo stesso fatto può costituire un’infrazione rispetto a più ordinamenti giuridici.

129
Quanto al carattere dissuasivo delle ammende, la Commissione ricorda che il criterio principale per il calcolo di un’ammenda è la gravità dell’infrazione. Nulla permetterebbe di ritenere che le ammende debbano essere ridotte in quanto le ricorrenti sarebbero già state sufficientemente dissuase in forza di sanzioni inflitte in altri ambiti territoriali. Le ricorrenti sarebbero state sanzionate per non aver rispettato le norme comunitarie in materia di concorrenza, commettendo un’infrazione in ambito europeo. Tali norme concorrenziali dovrebbero essere prese in considerazione in maniera altrettanto seria di quanto avviene per le norme vigenti in altri ambiti territoriali, al fine di ottenere l’effetto dissuasivo auspicato.

b)     Giudizio del Tribunale

130
Risulta dalla giurisprudenza che il principio del ne bis in idem, sancito anche dall’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU, costituisce un principio generale del diritto comunitario di cui il giudice garantisce il rispetto (sentenze della Corte 5 maggio 1966, cause riunite 18/65 e 35/65, Gutmann/Commissione, Racc. pag. 149, 172, e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, in prosieguo: la «sentenza LVM», punto 59, nonché la sentenza Boeringher/Commissione, citata al precedente punto 120, punto 3).

131
Nell’ambito del diritto comunitario della concorrenza, detto principio vieta che un’impresa sia condannata o perseguita di nuovo dalla Commissione per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia già stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione della Commissione non più suscettibile di impugnazione.

132
La giurisprudenza ha tuttavia ammesso la possibilità di un cumulo delle sanzioni, una comunitaria e l’altra nazionale, qualora vi siano due procedimenti paralleli, che perseguono fini diversi, e la cui ammissibilità deriva dal particolare sistema di ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri in materia d’intese. Tuttavia, un’esigenza generale d’equità implica che, nello stabilire l’importo dell’ammenda, la Commissione deve tener conto delle sanzioni che sono state già irrogate all’impresa per lo stesso fatto, qualora si tratti di sanzioni inflitte per violazione del diritto delle intese di uno Stato membro e, di conseguenza, per fatti avvenuti nel territorio comunitario (sentenza Wilhelm e a., cit. al precedente punto 121, punto 11, e sentenza Boehringer/Commissione, cit. al precedente punto 120, punto 3; sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punto 191, e sentenza Sotralentz/Commissione, citata al precedente punto 121, punto 29).

133
Per la parte in cui le ricorrenti lamentano che, infliggendo loro un’ammenda per la partecipazione ad un’intesa già sanzionata dalle autorità americane e canadesi, la Commissione ha violato il principio del ne bis in idem, ai sensi del quale non può essere inflitta una seconda sanzione alla stessa persona per la medesima infrazione, occorre ricordare che il giudice comunitario ha riconosciuto che un’impresa può essere validamente sottoposta a due procedimenti paralleli per la stessa infrazione e quindi ad una duplice sanzione, una inflitta dall’autorità competente dello Stato membro in questione, l’altra comunitaria. Tale possibilità di cumulo delle sanzioni è giustificata dal fatto che i detti procedimenti perseguono fini diversi (v. sentenze Wilhelm e a., cit., punto 11; Tréfileurope/Commissione, cit., punto 191, e Sotralentz/Commissione, cit., punto 29).

134
Alla luce di ciò, il principio del ne bis in idem non può, a maggior ragione, trovare applicazione nel caso di specie, dato che i procedimenti svolti e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità americane e canadesi, dall’altro, evidentemente non perseguono gli stessi obiettivi. Se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell’Unione europea o nel SEE, lo scopo di tutela riguarda, nel secondo caso, il mercato americano o canadese (v., in tal senso, sentenza della Corte 15 luglio 1970, causa 44/69, Buchler/ Commissione, Racc. pag. 733, punti 52 e 53). Infatti, l’applicazione del principio del ne bis in idem è subordinata non solo all’identità dei fatti costitutivi dell’infrazione e dei soggetti sanzionati, ma anche all’unità del bene giuridico protetto (conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer 11 febbraio 2003, causa C‑213/00 P, Italcementi/commissione, Racc. pag. I‑0000, punto 89).

135
Tale conclusione è confermata dalla portata del principio che vieta il cumulo delle sanzioni, come sancito dall’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU. Dalla formulazione del detto articolo risulta che tale principio ha il solo effetto di vietare ad un giudice nazionale di giudicare o di reprimere un reato per il quale la persona in questione è già stata assolta o condannata nello stesso Stato. Per contro, il principio del ne bis in idem non vieta che una persona sia perseguita o condannata più di una volta per lo stesso fatto in due o più Stati. Di conseguenza, la sentenza Fischer c. Austria, richiamata dalla SGL, non risulta pertinente ai fini della presente controversia, in quanto è stata pronunciata in applicazione dell’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU e riguarda due condanne pronunciate all’interno dello stesso paese.

136
Va altresì sottolineato che le ricorrenti non hanno invocato alcuna convenzione o norma di diritto pubblico internazionale che vieti ad autorità o a giudici di Stati diversi di perseguire e di condannare una persona per gli stessi fatti. Un tale divieto potrebbe pertanto risultare, a tutt’oggi, soltanto da una cooperazione internazionale molto stretta che sfociasse nell’adozione di disposizioni comuni come quelle che figurano nella Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, sopra citato. A tale proposito, le ricorrenti non hanno eccepito l’esistenza di un testo convenzionale che vincoli la Comunità e Stati terzi quali gli Stati Uniti o il Canada e che preveda un tale divieto.

137
È vero che l’art. 50 della citata Carta dei diritti fondamentali prevede che nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge. Tuttavia si deve necessariamente rilevare che questo testo si applica solo nel territorio dell’Unione e limita espressamente la portata del diritto previsto nel suo art. 50 ai casi in cui la decisione di assoluzione o di condanna in questione sia stata pronunciata all’interno del detto territorio.

138
Ne consegue che, avendo le ricorrenti invocato una violazione del principio del ne bis in idem per il fatto che l’intesa in questione è stata altresì oggetto di condanne fuori del territorio comunitario o che la Commissione ha preso in considerazione nella Decisione i loro fatturati complessivi, comprensivi dei fatturati realizzati negli Stati Uniti e in Canada, già presi in considerazione dalle autorità americane e canadesi per determinare alcune ammende, tale motivo dev’essere respinto.

139
Nella parte in cui le ricorrenti fanno valere che la Commissione non ha tenuto conto della sentenza Boehringer/Commissione, citata al precedente punto 120, secondo la quale la Commissione avrebbe l’obbligo di tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di un paese terzo qualora gli addebiti contestati all’impresa ricorrente da parte della Commissione, da un lato, e dalle dette autorità, dall’altro, siano identici, occorre rilevare che in tale sentenza la Corte ha precisato quanto segue (punto 3):

«(...) la questione, poi, del se la Commissione debba tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo [alla ricorrente da parte della Commissione, da un lato, e da parte delle autorità americane, dall’altro] va risolta solo qualora gli addebiti siano identici».

140
Risulta evidente da tale passaggio che la Corte, lungi dall’aver risolto la questione se la Commissione debba tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo nell’ipotesi in cui gli addebiti contestati ad un’impresa da parte di tale istituzione e delle dette autorità siano identici, ha considerato l’identità dei fatti censurati dalla Commissione e dalle autorità di uno Stato terzo come una condizione preliminare per la questione di cui sopra.

141
Inoltre, occorre sottolineare che è in considerazione della situazione particolare derivante, da un lato, dalla stretta interdipendenza dei mercati nazionali degli Stati membri e del mercato comune e, dall’altro, dal sistema specifico di ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri in materia di intese in uno stesso territorio, quello del mercato comune, che la Corte, avendo ammesso la possibilità di un duplice procedimento, ha ritenuto necessario, considerata l’eventuale duplice sanzione che ne deriva, prendere in considerazione la prima decisione repressiva conformemente ad un’esigenza di equità (v. sentenza Wilhelm e a., citata al precedente punto 121, punto 11, e le conclusioni dell’avvocato generale Mayras per la sentenza 14 dicembre 1972, Boehringer/Commissione, cit. al precedente punto 120, Racc. pag. 1293, in particolare pagg. 1301-1303).

142
Orbene, è evidente che una situazione di questo tipo non sussiste nella presente fattispecie. Non essendo dedotta una disposizione convenzionale espressa che preveda l’obbligo per la Commissione, nella fissazione dell’importo di un’ammenda, di tener conto delle ammende già inflitte alla stessa impresa per il medesimo fatto da autorità o giudici di uno Stato terzo, come gli Stati Uniti o il Canada, le ricorrenti non possono validamente contestare alla Commissione di essere venuta meno, nel caso di specie, a tale preteso obbligo.

143
Ad ogni modo, anche supponendo che dalla sentenza Boehringer/Commissione, citata, si possa dedurre a contrario che la Commissione deve tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo nell’ipotesi in cui gli addebiti contestati all’impresa in questione da parte di tale istituzione e delle dette autorità siano identici, occorre sottolineare che, sebbene la sentenza pronunciata nei confronti della SGL negli Stati Uniti evochi il fatto che l’intesa sugli elettrodi di grafite aveva lo scopo di diminuire la produzione e di aumentare i prezzi del prodotto «negli Stati Uniti e altrove», non è assolutamente dimostrato che la condanna pronunciata negli Stati Uniti si sia riferita ad atti compiuti in conseguenza o ad effetti dell’intesa diversi da quelli che hanno avuto luogo nel detto paese (v., in tal senso, sentenza Boehringer/Commissione, citata al precedente punto 120, punto 6) e in particolare nel SEE, il che, del resto, avrebbe manifestamente sconfinato nella competenza territoriale della Commissione. Quest’ultima osservazione è ugualmente valida per la condanna pronunciata in Canada.

144
Quanto all’effetto dissuasivo delle ammende già inflitte, va sottolineato che, secondo la giurisprudenza, il potere della Commissione d’infliggere ammende alle imprese le quali, intenzionalmente o per negligenza, trasgrediscono l’art. 81, n. 1, CE o l’art. 82 CE costituisce uno dei mezzi di cui dispone la Commissione per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario. Questo compito comprende il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 105).

145
Ne consegue che la Commissione può inasprire l’entità dell’importo delle ammende onde rafforzarne l’effetto dissuasivo qualora pratiche di una determinata categoria siano ancora relativamente frequenti, sebbene la loro illegittimità sia stata dimostrata sin dagli inizi della politica comunitaria in materia di concorrenza, dati i vantaggi che determinate imprese possono trarne (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 108).

146
Le ricorrenti non possono sostenere validamente che nessuna dissuasione si imponeva nei loro confronti per il fatto di essere già state condannate per gli stessi fatti da giudici di Stati terzi. Infatti, tale argomento delle ricorrenti coincide in realtà con quello relativo alla violazione del principio che vieta il cumulo delle sanzioni, già respinto sopra.

147
Inoltre, come risulta dalla giurisprudenza di cui sopra, lo scopo dissuasivo che la Commissione ha il diritto di perseguire fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza da parte delle imprese delle norme in materia di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità o del SEE. Ne consegue che il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta a causa di una violazione della normativa comunitaria sulla concorrenza non può essere determinato né in funzione soltanto della situazione particolare dell’impresa condannata, né in funzione dell’osservanza da parte di quest’ultima delle norme in materia di concorrenza stabilite negli Stati terzi fuori del SEE.

148
La Commissione poteva quindi benissimo infliggere alla SGL un’ammenda di un importo sufficientemente dissuasivo, entro i limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, senza dover tenere in considerazione le sanzioni americane e canadesi ai fini della determinazione dei detti limiti.

149
Quanto al motivo basato su una carenza di motivazione, va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, la motivazione deve far risultare in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento dell’istituzione, autrice dell’atto, in modo da permettere agli interessati, ai fini della tutela dei loro diritti, di conoscere le giustificazioni della misura presa e al giudice comunitario di esercitare il suo controllo (v. sentenze del Tribunale 20 ottobre 1999, causa T‑171/97, Swedish Match Philippines/Consiglio, Racc. pag. II‑3241, punto 82, e la giurisprudenza ivi citata, e 12 luglio 2001, cause riunite T‑12/99 e T‑63/99, UK Coal/Commissione, Racc. pag. II‑2153, punto 196).

150
Orbene, nella fattispecie, i ‘considerando’ 179-183 della Decisione hanno esplicitamente respinto l’argomento sollevato dalla SGL nel corso del procedimento amministrativo al fine di beneficiare dell’applicazione del principio del ne bis in idem. Così, la Commissione ha precisato che a suo parere tale principio non poteva applicarsi con riferimento a sanzioni imposte dalle autorità americane e canadesi. Anche a supporre che tali ‘considerando’ non abbiano preso posizione su un argomento specifico formulato dalla Tokai (v., supra, punto 127) e che l’approccio della Commissione rappresenti effettivamente una nuova fase nella sua prassi decisionale, nulla ha impedito alle ricorrenti di difendere efficacemente i propri interessi dinanzi al Tribunale, sollevando tutti i motivi e tutti gli argomenti che ritenevano rilevanti al fine di contestare la tesi della Commissione. Inoltre, il Tribunale ha potuto esercitare il suo sindacato giurisdizionale, pronunciandosi sui vari aspetti del principio del ne bis in idem.

151
Risulta da quanto precede che i motivi relativi ad una violazione del principio di non cumulabilità delle sanzioni e dell’obbligo, per la Commissione, di prendere in considerazione le sanzioni anteriormente inflitte, nonché ad una carenza di motivazione sul punto, devono essere respinti.

152
La SGL, con la specifica censura secondo cui il direttore generale competente della Commissione le avrebbe promesso che le sanzioni americane sarebbero state conteggiate nel calcolo dell’ammenda inflitta dalla Commissione, invoca la tutela del suo legittimo affidamento. Tale principio si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione comunitaria ha suscitato aspettative fondate (sentenze della Corte 11 marzo 1987, causa 265/85, Van den Bergh en Jurgens e Van Dijk Food Products/Commissione, Racc. pag. 1155, punto 44, e 26 giugno 1990, causa C‑152/88, Sofrimport/Commissione, Racc. pag. I‑2477, punto 26), dovendosi precisare che nessuno può invocare una violazione del legittimo affidamento in mancanza di assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate ed affidabili, che gli siano state fornite dall’amministrazione (sentenze del Tribunale 6 luglio 1999, causa T‑203/97, Forvass/ Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-129, II‑705, punto 70, e la giurisprudenza ivi citata, e 18 gennaio 2000, causa T‑290/97, Dordtselaan/ Commissione, Racc. pag. II‑15, punto 59).

153
È sufficiente ricordare, in proposito, che la Decisione è stata adottata dal collegio dei membri della Commissione, in conformità al principio di collegialità sancito dall’art. 1 del regolamento interno della Commissione 29 novembre 2000 (GU L 308, pag. 26), e non da un direttore generale (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑31/99, ABB Asea Brown Boveri/ Commissione, Racc. pag. II‑1881, punto 104). Peraltro, la SGL non poteva ragionevolmente ritenere che la decisione di applicazione di un’ammenda volta a sanzionare la sua partecipazione all’intesa, attiva a livello mondiale sul mercato degli elettrodi di grafite, potesse essere delegata, in quanto «provvediment[o] di gestione o di amministrazione» ai sensi dell’art. 14 del regolamento interno, al direttore generale competente in materia di concorrenza. Di conseguenza, il direttore generale non poteva in alcun modo fornire alla SGL «assicurazioni precise provenienti da fonti autorizzate ed affidabili» in ordine all’imputazione delle sanzioni che le erano state inflitte negli Stati Uniti e in Canada, in quanto la sua competenza era limitata a sottoporre al collegio proposte che quest’ultimo era libero di accettare o di respingere.

154
Peraltro, la SGL sembra aver essa stessa dubitato del carattere preciso delle assicurazioni che afferma essere state fornite dal sig. Schaub in data 1° dicembre 1998. Infatti, nella sua risposta 4 aprile 2000 alla comunicazione degli addebiti, la SGL non fa riferimento a tali assicurazioni, ma al contrario contesta alla Commissione di non rivelare se e in quale misura essa avrebbe tenuto conto, sotto l’aspetto del principio del ne bis in idem, delle sanzioni già inflitte negli Stati Uniti. In ogni caso, la SGL non ha affermato di essere stata spinta, in ragione della controversa promessa del sig. Schaub, a collaborare con la Commissione e a riconoscere la sostanza dei fatti contestati.

155
Ne consegue che neppure la censura relativa ad una violazione del principio di tutela del legittimo affidamento per quanto concerne l’imputazione della sanzione inflitta alla SGL negli Stati Uniti può essere accolta.

2. Sui motivi relativi al mancato rispetto degli Orientamenti, all’illegittimità degli stessi e ad una carenza di motivazione sul punto

a)     Osservazioni preliminari sul quadro normativo in cui si inseriscono le ammende inflitte alle ricorrenti

156
Ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, «[l]a Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese […] ammende che variano da un minimo di mille [euro] ad un massimo di un milione [di euro], con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza […] commettano una infrazione alle disposizioni dell’art. [81], paragrafo 1 […] del Trattato». La stessa norma prevede che «[p]er determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata». 

157
La citata disposizione attribuisce alla Commissione un margine di discrezionalità nel fissare le ammende (sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/ Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127), che è segnatamente funzionale alla sua politica generale in materia di concorrenza (sentenza Musique diffusion France e a./Commissione, citata al precedente punto 144, punti 105 e 109). È in quest’ambito che, al fine di garantire la trasparenza e l’obiettività delle sue decisioni in materia di ammende, la Commissione ha adottato, nel 1998, i suoi orientamenti. Si tratta di uno strumento destinato a precisare, nel rispetto delle norme di rango superiore, i criteri che essa intende applicare nell’esercizio del suo potere discrezionale; ne deriva una autolimitazione di tale potere (sentenza del Tribunale 30 aprile 1998, causa T‑214/95, Vlaams Gewest/ Commissione, Racc. pag. II‑717, punto 89), in quanto la Commissione è tenuta a conformarsi alle regole indicative che essa stessa si è imposta (sentenza del Tribunale 12 dicembre 1996, causa T‑380/94, AIUFFASS e AKT/ Commissione, Racc. pag. II‑2169, punto 57).

158
Nella fattispecie, ai sensi dei ‘considerando’ 126-144 della Decisione, la Commissione ha inflitto ammende a tutte le ricorrenti per l’infrazione di cui all’art. 81, n. 1, CE e all’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE. Dai ‘considerando’ citati emerge che le ammende sono state applicate ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e che la Commissione – ancorché la Decisione non faccia esplicitamente riferimento agli orientamenti – ha determinato l’importo delle ammende in applicazione del metodo definito dagli orientamenti.

159
Secondo tale metodo, la Commissione assume come punto di partenza per il calcolo dell’importo delle ammende da infliggersi alle imprese interessate un importo di base determinato in relazione alla gravità dell’infrazione. Per valutare la gravità dell’infrazione occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante (punto 1 A, primo comma). In tale contesto, le infrazioni si distinguono in tre categorie, cioè le «infrazioni poco gravi», per le quali l’importo delle ammende applicabili va da EUR 1 000 a EUR 1 milione, le «infrazioni gravi», per le quali l’importo delle ammende applicabili va da EUR 1 milione a EUR 20 milioni, e le «infrazioni molto gravi», per le quali l’importo delle ammende applicabili supera i 20 milioni di euro (punto 1 A, secondo comma, trattini da 1 a 3). Nell’ambito di ciascuna di tali categorie, la forcella di sanzioni previste consente di differenziare il trattamento da riservare alle imprese in funzione della natura delle infrazioni commesse (punto 1 A, terzo comma). È inoltre necessario valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e occorre fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo (punto 1 A, quarto comma).

160
Nell’ambito di ciascuna delle tre categorie di infrazione così definite, secondo la Commissione può essere opportuno in certi casi ponderare l’importo determinato in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione, adattando di conseguenza il punto di partenza dell’importo di base alla specificità di ciascuna impresa (in prosieguo: l’«importo di partenza») (punto 1 A, sesto comma).

161
Per quanto concerne il fattore relativo alla durata, gli orientamenti distinguono tra le infrazioni di breve durata (in generale per periodi inferiori a 1 anno), per le quali non dovrebbe applicarsi alcuna maggiorazione all’importo applicabile in funzione della gravità, le infrazioni di media durata (in generale per periodi da 1 a 5 anni), per le quali la maggiorazione può arrivare fino al 50 %, e le infrazioni di lunga durata (in generale per periodi superiori a 5 anni), per le quali la maggiorazione applicabile per ciascun anno può essere pari al 10 % (punto 1 B, primo comma, trattini da 1 a 3).

162
In seguito gli orientamenti citano, a titolo esemplificativo, un elenco di circostanze aggravanti ed attenuanti che possono essere prese in considerazione per aumentare ovvero per diminuire l’importo di base.

163
Infine, gli orientamenti precisano che l’importo dell’ammenda calcolata secondo lo schema di cui sopra (importo di base aggiunte o detratte le percentuali di maggiorazione e riduzione) non può in alcun caso superare il 10% del volume d’affari mondiale delle imprese, come previsto dall’art. 15, n. 2 del regolamento n. 17 [n. 5, lett. a)]. Gli orientamenti dispongono inoltre che, dopo aver effettuato i calcoli di cui sopra, occorre prendere in considerazione, secondo le circostanze, taluni elementi obiettivi quali il contesto economico specifico, il vantaggio economico o finanziario realizzato dagli autori dell’infrazione, le caratteristiche delle imprese in questione, nonché la loro capacità contributiva reale in un contesto sociale particolare, adeguando di conseguenza gli importi delle ammende [n. 5, lett. b)].

164
È in questo contesto che deve valutarsi se, come sostenuto dalle ricorrenti, le ammende inflitte ai sensi dell’art. 3 della Decisione siano eccessive e siano state stabilite in base a un metodo erroneo.

165
A tal proposito, va ricordato che se è vero che la Commissione dispone di un potere discrezionale nel fissare l’importo di ciascuna ammenda, senza essere tenuta ad applicare una formula matematica precisa (sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/ Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59), è altresì vero che il Tribunale, in forza dell’art. 17 del regolamento n. 17, si pronuncia con competenza giurisdizionale anche nel merito ai sensi dell’art. 229 CE sui ricorsi presentati contro le decisioni con cui la Commissione stabilisce un’ammenda e può, di conseguenza, sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta. In tale contesto, il suo giudizio sulla proporzionalità dell’ammenda può giustificare la produzione e l’esame di elementi ulteriori di informazione che non sono citati nella decisione della Commissione, a prescindere da eventuali errori manifesti di valutazione in cui sia incorsa quest’ultima (sentenza SCA Holding/ Commissione, citata al precedente punto 108, punto 55).

b)      Sugli importi di partenza indicati nella Decisione in relazione alla gravità dell’infrazione

Sintesi della Decisione

166
Nei ‘considerando’ 129-154 della Decisione, la Commissione ha stabilito l’importo di partenza di ciascuna ammenda in funzione della gravità dell’infrazione. Essa ha tenuto conto a tal fine:

della natura dell’infrazione (pratiche di ripartizione del mercato e di fissazione dei prezzi in un settore rilevante dell’industria), ritenendo che si trattasse di una violazione molto grave degli artt. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE;

dell’impatto effettivo dell’infrazione sul mercato degli elettrodi di grafite del SEE, accertando che i prezzi venivano non soltanto concordati, ma anche annunciati e praticati, precisando che i detti prezzi praticati (segnatamente gli aumenti di prezzo) sul mercato hanno seguito in larga misura quelli concordati dal cartello per sei anni;

dell’estensione del mercato geografico rilevante, accertando che il cartello copriva l’intero territorio del mercato comune e, dopo la sua creazione, l’intero SEE.

167
Riferendosi ai fattori citati, la Commissione ha ritenuto che le imprese interessate avessero commesso una «infrazione molto grave».

168
Inoltre, per tener conto della capacità economica effettiva di ciascuna impresa di cagionare un danno significativo alla concorrenza e data la rilevante disparità di dimensioni tra le imprese interessate, la Commissione ha applicato un trattamento differenziato. Essa ha a tal fine suddiviso le imprese interessate in tre categorie, riferendosi al fatturato mondiale realizzato da ciascuna nella vendita del prodotto di cui trattasi. Il confronto si è basato sui dati concernenti il fatturato relativo al prodotto in questione per l’ultimo anno dell’infrazione, cioè il 1998, come risultanti dalla tabella contenuta nel trentesimo ‘considerando’ della Decisione:

Società

Fatturato mondiale per gli elettrodi di grafite (1998, in milioni di euro) + quota del mercato mondiale degli elettrodi di grafite (1992‑1998)

Fatturato nel SEE per gli elettrodi di grafite (1992‑1998)

Fatturato mondiale complessivo (2000, in milioni di euro)

SGL

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

1 262

UCAR

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

841

VAW

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

3 693

C/G

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

225

SDK

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

7 508

Tokai

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

652

SEC

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

155

Nippon

▓▓

▓▓▓

▓▓

▓▓▓

189

169
Alla luce dei dati contenuti in questa tabella, la SGL e la UCAR, le due principali produttrici di elettrodi di grafite a livello mondiale e a livello del SEE, sono state inserite nella prima categoria (importo di partenza pari a 40 milioni di euro). La C/G, la SDK e la Tokai, con quote di mercato molto più basse a livello mondiale (tra il 5 e il 10%), sono state inserite nella seconda categoria (importo di partenza pari a 16 milioni di euro). La VAW, la SEC e la Nippon, le cui quote di mercato mondiale risultavano inferiori al 5%, sono state inserite nella terza categoria (importo di partenza pari a 8 milioni di euro).

170
Infine, per tener conto della dimensione e delle risorse complessive della VAW e della SDK, la Commissione ha applicato all’importo di partenza della VAW un coefficiente pari a 1,25, così da raggiungere i 10 milioni di euro, e a quello della SDK, ritenuta di gran lunga la più grande tra le imprese interessate dalla Decisione, un coefficiente pari a 2,5, così da raggiungere i 40 milioni di euro.

Argomenti delle parti

171
La SGL contesta l’applicabilità degli orientamenti, affermando che il metodo di calcolo da essi definito si discosta totalmente dal metodo precedente, astraendo dalla proporzionalità al fatturato. Orbene, solamente una sanzione proporzionale al fatturato complessivo sarebbe compatibile con l’art. 15 del regolamento n. 17. Diversamente, imprese quali la SGL, che realizzano il loro fatturato principalmente grazie alla vendita del prodotto di cui trattasi, sarebbero svantaggiate rispetto alle imprese che realizzano la maggior parte del loro fatturato con la vendita di altri prodotti.

172
La UCAR, invece, contesta alla Commissione di aver considerato il fatturato mondiale come criterio di valutazione dell’importanza delle imprese interessate. Detto metodo avrebbe penalizzato la UCAR, società americana, in quanto il livello delle sue attività economiche negli Stati Uniti si è necessariamente riflesso nel suo fatturato mondiale.

173
La SGL denuncia, inoltre, una mancanza di trasparenza e una carenza di motivazione per quanto concerne la creazione delle tre categorie in cui sono state classificate le imprese interessate, segnatamente per quanto concerne la scelta degli importi e dei criteri di classificazione. Gli importi così determinati sarebbero arbitrari, in quanto la Decisione non permetterebbe di sapere se la Commissione si sia basata sul fatturato complessivo delle imprese interessate ovvero sul loro fatturato realizzato con il prodotto di cui trattasi. Inoltre, l’elevato importo di partenza, pari a 40 milioni di euro, stabilito per la SGL in relazione alla gravità dell’infrazione, sarebbe incompatibile con la prassi decisionale anteriore della Commissione.

174
La Commissione non avrebbe neppure dimostrato che l’intesa abbia realmente comportato un vero aumento dei prezzi. Essa non avrebbe considerato che vi è una spiegazione alternativa agli aumenti dei prezzi intervenuti tra il 1992 e il 1996: durante la crisi strutturale dell’inizio degli anni ‘90 i prezzi sarebbero stati nettamente inferiori ai prezzi di costo; i successivi aumenti sarebbero stati quindi necessari alla sopravvivenza del settore e al finanziamento dei miglioramenti qualitativi. Peraltro, la stessa Commissione riconosce (‘considerando’ 139 della Decisione) che è difficile stabilire se e in che misura i prezzi sarebbero stati diversi in mancanza dell’intesa.

175
La SGL aggiunge che la Commissione ha giustificato i rilevanti importi di partenza solamente con la necessità di garantire un «effetto dissuasivo» (‘considerando’ 146, 148 e 152 della Decisione). Pertanto, essa non avrebbe considerato che il principio di equità impone di tener conto altresì delle circostanze specifiche di ciascuna impresa, quali gli aspetti di prevenzione specifica e di proporzionalità.

176
Le quattro ricorrenti giapponesi, con la C/G, per le quali il SEE non era il «mercato nazionale», affermano che la Commissione, anziché attribuire un’importanza sproporzionata ai fatturati e alle quote di mercato mondiale per il prodotto di cui trattasi, avrebbe dovuto basarsi sui fatturati e sulle quote di mercato all’interno del SEE. Solamente tale metodo avrebbe, per un verso, rispettato la competenza territoriale limitata della Commissione e avrebbe, per altro verso, consentito di quantificare la reale capacità di ciascuna impresa di compromettere seriamente la concorrenza all’interno del SEE.

177
Orbene, le quote di mercato nel SEE della Tokai [...%], della Nippon [...%], della SDK [...%], della SEC [...%] e della C/G [...%] sarebbero state marginali rispetto a quelle della SGL e della UCAR; la loro partecipazione alle attività europee dell’intesa sarebbe stata meramente passiva. In tale contesto, esse effettuano vari confronti tra gli importi di partenza, di base e finali delle loro ammende con le corrispondenti cifre delle capofila SGL e UCAR, e tra i diversi fatturati delle imprese interessate, così da dimostrare il carattere eccessivo delle loro sanzioni rispetto alla loro presenza economica nel SEE. Inoltre, esse confrontano il metodo di calcolo applicato dalla Commissione con quello, a loro dire più corretto, delle autorità americane.

178
Esse precisano che la loro presenza marginale e passiva sul mercato del SEE non è in alcun modo collegata all’intesa, ma è la conseguenza di decisioni autonome assunte, peraltro molto prima dell’inizio del periodo in cui si è svolta l’infrazione, nel loro stesso interesse economico. La Commissione non sarebbe riuscita a dimostrare che la loro astensione dalla vendita del prodotto di cui trattasi nel SEE sia riconducibile all’intesa. Essa non avrebbe, in particolare, dimostrato che le loro quote di mercato ovvero le loro vendite nel SEE sarebbero state nettamente più elevate nel caso in cui non vi fosse stata l’intesa.

179
La Tokai, la Nippon, la SEC e la C/G aggiungono che, anche ponendosi nella logica della Commissione e accettando di stabilire l’importo di partenza in base al fatturato mondiale realizzato nel 1998 con il prodotto di cui trattasi, la loro classificazione, ad opera della Commissione, nelle tre categorie sopra indicate e la fissazione delle corrispondenti cifre (40, 16 e 8 milioni di euro) violerebbe i principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Infatti, il loro importo di partenza sarebbe proporzionalmente molto più elevato di quello della SGL, della UCAR e della SDK, se si considerano il fatturato e le quote di mercato mondiale.

180
Quanto alla sua partecipazione individuale all’infrazione, la C/G afferma poi che la sua situazione si distingue in molti punti da quella degli altri membri dell’intesa. A tal proposito, essa richiama, oltre al suo ruolo marginale, numerosi elementi da cui essa deduce che il suo comportamento non poteva essere qualificato come «molto grave».

181
La SDK rimprovera alla Commissione di aver artificialmente gonfiato la sua ammenda con l’applicazione supplementare di un fattore dissuasivo di 2,5, che ha aumentato il suo importo di partenza di 24 milioni di euro. Orbene, un tale fattore non sarebbe stato applicato né alle capofila dell’intesa, né ai membri dell’intesa che disponevano di quote di mercato più rilevanti all’interno del SEE, né a quelli che avevano ostacolato l’indagine della Commissione e che avevano continuato l’infrazione anche dopo tale indagine. Si tratterebbe quindi di una doppia penalizzazione discriminatoria e sproporzionata a danno della sola società SDK, mentre il moltiplicatore applicato alla VAW era pari solamente a 1,25 e per tale società l’importo è stato aumentato di soli 2 milioni di euro.

182
Poiché la Commissione fa riferimento alle sue dimensioni e alle sue risorse complessive (‘considerando’ 152-154 della Decisione), la SDK replica richiamandosi ad una perizia finanziaria per affermare che la forza economica non dipende dalle dimensioni in quanto tali. Da un lato, grandi società con quote di mercato ridotte su un mercato rilevante, quale la SDK, non beneficerebbero di alcun potere in base alla loro presenza in altri mercati non connessi con il mercato rilevante. Per altro verso, un conglomerato di grandi dimensioni con una debole posizione finanziaria non potrebbe essere considerato economicamente forte sulla semplice base delle sue dimensioni. Un’impresa che disponga di una quota di mercato limitata relativamente al prodotto di cui trattasi non beneficerebbe in misura più rilevante di un’intesa per il solo fatto che la stessa vende altresì prodotti che non hanno alcun legame con l’intesa e che pertanto non ne sono interessati. In ogni caso, anche a supporre che dovesse applicarsi un fattore dissuasivo, questo dovrebbe dipendere dalla situazione sul mercato del SEE, sul quale la SDK occupa una posizione meramente marginale, e dovrebbe prendere in considerazione unicamente la probabilità di una scoperta dell’intesa, nonché i profitti attesi dai membri di quest’ultima.

183
Secondo la SDK, l’applicazione del moltiplicatore di 2,5 è altresì inconciliabile con molte precedenti decisioni della Commissione. Quest’ultima tratterebbe quindi le varie questioni in maniera incoerente. Infine, i diritti della difesa della SDK sarebbero stati violati in quanto essa non è stata sentita in ordine alle ragioni e ai criteri della scelta di un moltiplicatore pari a 2,5.

184
Tutte le ricorrenti giapponesi lamentano una motivazione insufficiente sui vari punti qui riassunti.

185
A parere della Commissione, dai motivi esposti nella Decisione e dalla giurisprudenza emerge che nessuno dei motivi è fondato.

186
Per quanto concerne, in particolare, la suddivisione delle imprese in tre categorie e la fissazione degli importi di partenza, la Commissione replica di essersi esclusivamente basata sul fatturato mondiale relativo alla vendita del prodotto di cui trattasi. Il punto di partenza del calcolo delle ammende sarebbe stato la gravità dell’infrazione (natura e incidenza, nonché dimensioni del mercato geografico di cui trattasi). I fatturati e le quote di mercato su scala mondiale sarebbero solamente serviti come base per stabilire l’importanza relativa nel SEE delle imprese coinvolte nell’intesa. La valutazione della Commissione avrebbe pertanto tenuto conto di numerosi elementi e non rappresenterebbe assolutamente un semplice calcolo basato sul fatturato.

187
Quanto al moltiplicatore di 2,5 applicato all’importo di partenza fissato per la SDK, la Commissione contesta la tesi secondo cui tale correttore era inteso a produrre un effetto dissuasivo supplementare. Al contrario, con tale fattore correttivo si prenderebbe atto semplicemente del fatto che risorse finanziarie diverse richiedono ammende diverse al fine di ottenere un effetto dissuasivo equivalente. Ciò implicherebbe un trattamento differenziato dei membri dell’intesa. Nel caso di grandi conglomerati, quale quello di cui fa parte la SDK, non sarebbe sufficiente fare riferimento al fatturato sul mercato in cui l’infrazione è stata commessa.

188
Quanto alla cifra precisa di 2,5, la Commissione sostiene che essa non era basata sul fatturato mondiale del gruppo cui appartiene la ricorrente. Si sarebbe trattato piuttosto di un adattamento lordo, volto a tener conto della dimensione della SDK e delle sue risorse complessive, essendo questa di gran lunga la più grande tra le imprese interessate dalla Decisione.

Giudizio del Tribunale

–     Sull’applicabilità degli orientamenti per la determinazione del fatturato rilevante

189
Poiché la SGL fa valere l’incompatibilità degli orientamenti con la prassi decisionale precedente della Commissione, che si sarebbe basata sul fatturato complessivo, si deve precisare che le sanzioni che possono essere irrogate dalla Commissione per un’infrazione alla normativa comunitaria sulla concorrenza sono definite all’art. 15 del regolamento n. 17, adottato precedentemente al momento in cui l’infrazione è stata commessa. Ora, come risulta dai precedenti punti 159-164, il metodo generale per il calcolo delle ammende riportato negli orientamenti è basato sui due criteri previsti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, vale a dire la gravità dell’infrazione e la sua durata, e rispetta il limite massimo in relazione al fatturato di ciascuna impresa, stabilito con la medesima disposizione (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 38, punto 231).

190
Di conseguenza, gli orientamenti non trascendono il contesto giuridico delle sanzioni come definito da tale disposizione (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit., punto 232).

191
Il cambiamento eventualmente provocato dagli orientamenti rispetto alla prassi amministrativa anteriore della Commissione non costituisce un’alterazione del contesto giuridico che determina l’importo delle ammende che possono essere inflitte, contraria al principio generale d’irretroattività delle norme o a quello di certezza del diritto. Da una parte, infatti, la prassi anteriore della Commissione non funge di per sé da contesto giuridico alle ammende in materia di concorrenza, poiché quest’ultimo è definito, esclusivamente, dal regolamento n. 17. Dall’altra, quanto al margine di discrezionalità consentito alla Commissione dal regolamento n. 17, l’applicazione da parte di quest’ultima di un nuovo metodo di calcolo dell’importo delle ammende, che può comportare un aumento dell’entità generale, non può essere considerata un aumento, con effetto retroattivo, delle stesse come stabilite all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit., punti 233-235).

192
Peraltro, il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una determinata entità per taluni tipi di infrazioni non può privarla della possibilità di elevare tale entità, nei limiti indicati dal regolamento n. 17, se ciò è necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza (v. sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 144, punto 109). L’efficace applicazione delle norme comunitarie sulla concorrenza implica al contrario che la Commissione possa sempre adeguare l’entità delle ammende alle esigenze di questa politica (sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 109, e LR AF 1998/Commissione, cit., punti 236 e 237).

193
Ne discende che la censura riguardante l’inapplicabilità degli orientamenti dev’essere disattesa.

194
Di conseguenza, il riferimento effettuato dalle quattro ricorrenti giapponesi e dalla C/G ai metodi di calcolo americani, ritenuti più equi, è irrilevante, poiché la Commissione poteva legittimamente applicare il metodo di calcolo enunciato dagli orientamenti.

–     Sul fatturato considerato dalla Commissione ai fini della determinazione dell’importo di partenza

195
Poiché si contesta alla Commissione di non aver determinato i vari importi di partenza in base al fatturato relativo alle vendite di elettrodi di grafite nel SEE o in base al fatturato complessivo, senza distinzione tra i prodotti, si deve ricordare, da un lato, che il solo riferimento esplicito al fatturato contenuto all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 riguarda il limite massimo che non può essere superato dall’importo di un’ammenda e, d’altro lato, che tale limite si intende riferito al fatturato complessivo (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 144, punto 109). Nel rispetto di tale limite, la Commissione può, in linea di principio, fissare l’ammenda a partire dal fatturato di sua scelta, in termini di base geografica e di prodotti interessati (sentenza Cemento, citata al precedente punto 39, punto 5023), senza essere tenuta a considerare necessariamente il fatturato complessivo ovvero quello realizzato sul mercato geografico o sul mercato dei prodotti di cui trattasi. Infine, se è vero che gli orientamenti non prevedono il calcolo delle ammende in funzione di un determinato fatturato, è altresì vero che non ostano a che sia preso in considerazione un siffatto fatturato, purché la scelta della Commissione non sia viziata da un manifesto errore di valutazione.

196
Nella fattispecie, contrariamente a quanto affermato dalla SGL, risulta evidente dai ‘considerando’ 149-151 della Decisione che la Commissione ha optato per il fatturato mondiale realizzato con la vendita del prodotto di cui trattasi per esprimere, in termini di importi di partenza, la natura dell’infrazione, la sua reale incidenza sul mercato, nonché l’estensione del mercato geografico, tenuto conto della grande disparità di dimensioni tra i membri dell’intesa.

197
Orbene, quanto alla natura intrinseca dell’intesa, la Commissione poteva a buon diritto riferirsi a tale fatturato, senza incorrere in alcun errore di valutazione, in quanto ciò le consentiva di tener conto dell’«effettiva capacità economica [degli autori dell’infrazione] di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori», ai sensi del punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti.

198
Infatti, secondo quanto affermato nella Decisione, l’intesa aveva dimensione mondiale e comportava, oltre alla fissazione dei prezzi, anche la ripartizione dei mercati secondo il principio del «produttore nazionale»: i produttori non originari del SEE, anziché svolgere una concorrenza aggressiva sul mercato del SEE, dovevano ritirarsi da tale mercato, non essendo quest’ultimo il loro «mercato nazionale» (v., sopra, punti 64 e 67). Se la Commissione avesse calcolato l’importo di partenza della Tokai, della SDK, della Nippon, della SEC e della C/G in base al loro basso fatturato nell’ambito del SEE per il prodotto di cui trattasi, le avrebbe ricompensate per essersi conformate a uno dei principi fondamentali dell’intesa e per aver accettato di non agire con metodi concorrenziali sul mercato del SEE, quando il loro comportamento conforme al citato principio dell’intesa ha permesso ai produttori «nazionali» europei, in particolare quindi alla SGL e alla UCAR, di stabilire unilateralmente i prezzi nel SEE. Ciò facendo, le ricorrenti giapponesi e la C/G hanno ostacolato la concorrenza sul mercato del SEE, poco rilevando il loro fatturato reale sul mercato in questione.

199
È opportuno rilevare in proposito che l’intesa mondiale cui fa riferimento la Decisione ha danneggiato i consumatori nel SEE in quanto la SGL e la UCAR avevano potuto aumentare il loro prezzi nel SEE senza subire alcuna minaccia da parte delle ricorrenti giapponesi e da parte della C/G, le quali potevano agire allo stesso modo, in base al principio di reciprocità a livello mondiale, sui loro rispettivi mercati, cioè il Giappone e l’Estremo Oriente, da un lato, e gli Stati Uniti, dall’altro. Poiché uno degli oggetti dell’intesa era stato quello di impedire alle forze concorrenziali dei produttori «non nazionali» di svilupparsi nell’ambito del SEE, la partecipazione di tali produttori era necessaria al buon funzionamento dell’intesa nel suo complesso, vale a dire negli altri mercati regionali del mondo. Di conseguenza, la reale incidenza nell’ambito del SEE dell’infrazione commessa da tutte le imprese partecipanti all’intesa, ivi comprese quelle, tra le ricorrenti, per le quali il SEE non rappresentava il «mercato nazionale», era data dal loro contributo all’efficacia complessiva dell’intesa, in quanto ciascuno dei tre «pilastri» - Stati Uniti, SEE, Estremo Oriente/Giappone - risultava essenziale al funzionamento effettivo dell’intesa su scala mondiale.

200
Si deve aggiungere che il fatto che la Commissione disponga di una competenza sanzionatoria limitata al territorio del SEE non le impedisce di prendere in considerazione il fatturato mondiale derivante dalla vendita del prodotto in questione per valutare la capacità economica dei membri dell’intesa di compromettere la concorrenza in ambito SEE. La Commissione può compiere una simile valutazione così come, in conformità all’art. 15 del regolamento n. 17 e alla giurisprudenza ad esso relativa, essa valuta la capacità finanziaria dell’impresa sanzionata in relazione al suo fatturato mondiale complessivo.

201
È vero che una giurisprudenza consolidata vieta di attribuire ad uno dei vari fatturati un’importanza sproporzionata rispetto agli altri elementi di valutazione, di modo che la determinazione di un’ammenda adeguata non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. al precedente punto 144, punti 120 e 121, e sentenza del Tribunale 14 luglio 1994, causa T‑77/92, Parker Pen/Commissione, Racc. pag. II‑549, punto 94). Il Tribunale ha quindi accolto, nella citata sentenza Parker Pen/Commissione, il motivo basato su una violazione del principio di proporzionalità, in quanto la Commissione non aveva preso in considerazione il fatto che il fatturato realizzato con i prodotti cui si riferisce l’infrazione era relativamente esiguo rispetto a quello risultante dall’insieme delle vendite realizzate dall’impresa in questione.

202
Le quattro ricorrenti giapponesi, unitamente alla C/G, invocano tale giurisprudenza, facendo valere la loro limitata presenza nel SEE. Tuttavia, la soluzione adottata dal Tribunale nella citata sentenza Parker Pen/Commissione concerne la fissazione dell’importo definitivo dell’ammenda e non, come nella fattispecie, dell’importo di base della stessa rispetto alla gravità dell’infrazione. Orbene, nella fattispecie, la Commissione non ha basato l’importo finale delle ammende sul solo fatturato complessivo, bensì ha tenuto conto di tutta una serie di elementi diversi dal fatturato e, per quanto riguarda l’importo di partenza, il fatturato complessivo non è stato preso in considerazione. La giurisprudenza invocata non è quindi pertinente (v., in tal senso, sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 153, punto 156).

203
Quanto all’argomento della C/G, secondo cui la sua partecipazione all’infrazione non potrebbe essere qualificata come «molto grave», data la specificità della sua posizione nel SEE, è sufficiente rilevare che taluni dati specifici di una determinata impresa possono certamente rappresentare circostanze aggravanti o attenuanti (punti 2 e 3 degli orientamenti), ovvero giustificare l’adeguamento finale dell’ammenda [punto 5, lett. b), degli orientamenti]. Tuttavia, quando la Commissione si basa sull’impatto dell’infrazione per valutarne la gravità, in conformità al punto 1 A, primo e secondo comma, degli orientamenti, gli effetti da prendere in considerazione in tal senso sono quelli risultanti dal complesso dell’infrazione alla quale tutte le imprese hanno partecipato (sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punti 150-152), cosicché non è rilevante, in tal senso, un esame del comportamento individuale ovvero dei dati specifici di ciascuna impresa. Gli elementi specifici fatti valere dalla C/G non sono quindi pertinenti in questo contesto.

204
Ne discende che i motivi basati su un’erronea individuazione del fatturato rilevante ai fini della determinazione dell’importo di partenza devono essere disattesi.

–      Sull’impatto effettivo dell’intesa sugli aumenti di prezzo e sulle quote di mercato di taluni membri dell’intesa

205
In merito all’obiezione delle ricorrenti giapponesi e della C/G, secondo cui l’infrazione da loro commessa non ha avuto alcun «effetto reale» all’interno del SEE, ai sensi del punto 1 A, penultimo comma, degli orientamenti, in quanto la loro astensione dal vendere il prodotto di cui trattasi si basava su decisioni autonome anteriori all’intesa, va rilevato, da un lato, che tale argomento non tiene conto della natura intrinseca dell’intesa di ripartizione dei mercati su scala mondiale, e, dall’altro, che le ricorrenti non hanno validamente contestato gli accertamenti fattuali svolti dalla Commissione sul punto.

206
Le ricorrenti hanno infatti ammesso i principi direttivi dell’intesa, secondo cui i prezzi del prodotto di cui trattasi dovevano essere fissati a livello mondiale e i produttori «non nazionali» dovevano ritirarsi dai mercati riservati ai produttori «nazionali» (‘considerando’ 50 della Decisione). Inoltre, la Commissione ha rilevato che tali principi direttivi erano stati attuati con le diverse riunioni dell’intesa (‘considerando’ 51-93 della Decisione), senza che le citate ricorrenti avessero validamente contestato tali rilievi.

207
Quanto all’impatto concreto dell’infrazione commessa da ciascuna impresa sul mercato e sulla concorrenza, tale impatto deve essere considerato, in conformità al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti, «quando sia misurabile». Nella fattispecie, il comportamento non aggressivo di tali cinque ricorrenti nell’ambito del SEE corrispondeva fedelmente ai principi e al buon funzionamento dell’intesa. È dunque difficilmente «misurabile» in che ampiezza l’impatto concreto dell’infrazione commessa dalle citate ricorrenti, vale a dire la loro assenza di aggressività sul mercato del SEE, superi il livello puramente contrattuale, cioè il loro impegno a rimanere passive.

208
Per contestare efficacemente l’impatto concreto dell’infrazione non è neppure sufficiente richiamarsi a «spiegazioni alternative» per il comportamento conforme agli accordi illeciti, vale a dire decisioni autonome ipoteticamente assunte nell’interesse economico delle imprese. Infatti, il concetto di «spiegazioni alternative» può servire solamente ad escludere l’esistenza di una pratica concertata, nel caso in cui un comportamento parallelo e passivo possa essere spiegato con ragioni plausibili diverse da una concertazione tra le imprese interessate (v. sentenza del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775, punto 75, e la giurisprudenza della Corte ivi citata). Nella fattispecie, lungi dal rappresentare un semplice comportamento parallelo, il comportamento delle cinque ricorrenti citate corrisponde in maniera precisa agli accordi collusivi, di cui esse non hanno peraltro contestato l’esistenza né il contenuto.

209
Inoltre, come rilevato giustamente dalla Commissione, scopo dell’intesa era di assicurare la stabilità del mercato mondiale, in modo tale da consentire aumenti concertati dei prezzi. Accettando di rimanere all’esterno del mercato del SEE, le cinque ricorrenti sopra citate hanno fornito un contributo importante alla stabilità del mercato mondiale, che ha avuto l’effetto di compromettere gravemente la concorrenza nel SEE. Il corrispettivo della tutela assicurata dalla SGL e dalla UCAR a tali ricorrenti sui loro mercati «nazionali» era dato dalla loro promessa di rimanere all’esterno del SEE. Se tale promessa non avesse avuto alcun valore, non sarebbe stato necessario, per tali ricorrenti, partecipare all’intesa.

210
Infine, secondo quanto rilevato nella Decisione, l’intesa di cui trattasi non era un’intesa europea cui avrebbero partecipato anche taluni giapponesi e americani, bensì si trattava di un’intesa operante a livello mondiale. Per escludere il rischio di perturbazioni del buon funzionamento dell’intesa, ciascuna parte si era impegnata a rispettare le quote di mercato acquisite a livello mondiale, a dispetto di eventuali tendenze ed evoluzioni future, garantendo così regolari aumenti di prezzi in tutte le regioni del mondo, aumenti che, in mancanza del principio del produttore «nazionale», avrebbero potuto incoraggiare l’accesso di produttori «non nazionali» a regioni caratterizzate dalla presenza di produttori «domestici».

211
Il riferimento delle ricorrenti alla decisione, da esse autonomamente assunta nel loro stesso interesse economico, di concentrarsi sul rispettivo mercato «nazionale», è pertanto irrilevante. Infatti, le circostanze che hanno determinato simili decisioni possono sempre modificarsi, di modo che l’impegno a restare al di fuori di una regione priva, in un dato momento, di interesse economico conserva il suo valore. Inoltre, se è sempre difficile immaginare quale sarebbe stata l’evoluzione su un determinato mercato qualora non vi fosse stata l’intesa attiva sul mercato medesimo, simili pronostici sono ancora più ardui nell’ipotesi di una ripartizione dei mercati secondo il principio del produttore «nazionale», che obbliga i membri dell’intesa ad essere passivi in talune regioni geografiche.

212
In ogni caso, in una simile ipotesi non è sufficiente chiedersi quali quote di mercato avrebbero potuto ragionevolmente acquisire i produttori «non nazionali», in assenza dell’intesa, su un mercato riservato ad un altro membro dell’intesa. Infatti, non può escludersi che, in assenza della sicurezza garantitagli dall’intesa, il produttore «nazionale», di fronte alla semplice minaccia dell’accesso di altri produttori a tale mercato, avrebbe praticato prezzi sufficientemente bassi da convincere tali altri produttori a rimanere al di fuori del mercato di cui trattasi, senza acquisirvi la minima quota. Orbene, in una simile situazione, il libero gioco della concorrenza si sarebbe svolto a vantaggio dei consumatori, in termini di riduzione dei prezzi, pur senza la minima evoluzione delle quote di mercato.

213
La Commissione ha quindi giustamente stabilito che il comportamento passivo nel SEE delle cinque ricorrenti di cui trattasi costituiva il risultato concreto dell’intesa, cosicché anche le citate ricorrenti avevano partecipato ad un’«infrazione molto grave».

214
Lo stesso vale per gli aumenti di prezzi provocati dall’intesa tra il 1992 e il 1996. Laddove la SGL invoca «spiegazioni alternative» a tal proposito, è sufficiente ricordare nuovamente che, nel caso in esame, non ricorre l’ipotesi di un semplice «comportamento parallelo». Inoltre, i ‘considerando’ 136 e 137 della Decisione riassumono i rilievi fattuali della Commissione relativi alla fissazione e agli aumenti effettivi dei prezzi in applicazione del principio cardine dell’intesa, secondo cui i prezzi degli elettrodi di grafite venivano fissati su scala mondiale (‘considerando’ 50 e 61-70 della Decisione). Ne emerge che i prezzi concordati in occasione delle riunioni del cartello sono stati progressivamente imposti agli acquirenti e sono aumentati di quasi il 50% tra il 1992 e il 1996. Tali rilievi concreti e circostanziati non sono stati contestati dalla SGL. La Commissione ha quindi correttamente individuato un collegamento tra l’aumento dei prezzi e l’applicazione degli accordi illeciti da parte degli otto membri dell’intesa, che controllavano quasi il 90% del mercato mondiale degli elettrodi di grafite (‘considerando’ 135 della Decisione) e che erano giunti a concordare prezzi per un periodo da 5 a 6 anni (terzo ‘considerando’ della Decisione), a spartirsi i mercati e ad assumere tutta una serie di misure connesse (secondo ‘considerando’ della Decisione).

215
Ne discende che i motivi basati su un’erronea valutazione dell’impatto concreto dell’intesa sugli aumenti dei prezzi e sulle quote di mercato di taluni membri dell’intesa non possono essere accolti.

–     Sulla ripartizione dei membri dell’intesa in tre categorie e sulla fissazione dei rispettivi importi di base

216
Quanto alla censura relativa all’arbitrarietà e al carattere eccessivo degli importi di partenza e, segnatamente, dell’importo di 40 milioni di euro stabilito per la SGL, in quanto tale importo elevato sarebbe incompatibile con la prassi decisionale anteriore della Commissione, è sufficiente ricordare che la Commissione dispone di un margine di discrezionalità nel fissare gli importi delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (sentenza Deutsche Bahn/Commissione, citata al precedente punto 157, punto 127). Di conseguenza, il fatto che la Commissione abbia inflitto, nel passato, ammende di una determinata entità per taluni tipi di infrazione non può privarla della possibilità di elevare questo livello per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 144, punto 109) e per rinforzare l’effetto dissuasivo (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 179) (v. i precedenti punti 191 e 192). Ne discende che la censura basata sul cambiamento di prassi in ordine agli importi di base dev’essere respinto.

217
Per quanto concerne la ripartizione dei membri dell’intesa in varie categorie, che ha comportato di determinare forfettariamente l’importo di partenza per le imprese appartenenti ad una stessa categoria, va rilevato che un simile approccio della Commissione, ancorché porti ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese di una stessa categoria, non può essere censurato in linea di principio. Infatti, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’ammontare dell’ammenda, ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende rispecchino tutte le differenze tra le imprese interessate in base al loro fatturato complessivo (v. sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punto 385, e la giurisprudenza ivi citata).

218
La Commissione, procedendo in sede di determinazione della gravità dell’infrazione alla suddivisione delle ricorrenti in categorie, non è quindi incorsa in alcun errore di fatto o di diritto.

219
Tuttavia, è vero altresì che una simile ripartizione per categorie deve rispettare il principio della parità di trattamento, secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza FETTCSA, punto 406). In questa stessa ottica, gli orientamenti prevedono, al loro punto 1 A, sesto comma, che una disparità «considerevole» nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione costituisce elemento idoneo a giustificare una differenziazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione. Peraltro, secondo la giurisprudenza, l’importo delle ammende dev’essere quantomeno proporzionato agli elementi presi in considerazione al fine di valutare la gravità dell’infrazione (sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 106).

220
Conseguentemente, qualora la Commissione suddivida le imprese interessate in categorie ai fini della determinazione dell’importo delle ammende, la determinazione dei valori limite per ogni singola categoria così individuata deve essere coerente ed obiettivamente giustificata (sentenza FETTCSA, punto 416, e sentenza LR AF 1998/Commissione citata al precedente punto 38, punto 298).

221
A tal proposito, va osservato che la Commissione, prevedendo nell’introduzione dei suoi orientamenti che il margine discrezionale di cui essa dispone in sede di determinazione dell’importo delle ammende debba esprimersi «in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza», si è impegnata ad orientarsi su tali principi nel determinare l’importo delle ammende conseguenti alla violazione delle norme in materia di concorrenza.

222
Si deve pertanto verificare se, nel caso di specie, la determinazione dei valori limite che separano le tre categorie identificate dalla Commissione sulla base della tabella riportata al trentesimo ‘considerando’ della Decisione (v., supra, punto 168) sia coerente ed obiettivamente giustificata.

223
È giocoforza rilevare in proposito che dai ‘considerando’ 148-151 della Decisione risulta chiaramente che la Commissione, nell’individuare le tre categorie e nel fissare i vari importi di partenza, si è basata su un unico criterio, cioè i fatturati e le quote di mercato concrete che i membri dell’intesa hanno realizzato con la vendita del prodotto in questione sul mercato mondiale. A tal fine, la Commissione si è riferita ai fatturati relativi all’anno 1998 e all’evoluzione delle quote di mercato tra il 1992 e il 1998, come risultanti dalla tabella sopra citata. Risulta, inoltre, che il metodo matematico applicato consisteva nel procedere per parti di circa (...)% di quote di mercato, dove ciascuna parte corrispondeva ad un importo di circa EUR 8 milioni. In tal modo, la SGL e la UCAR, con quote di mercato pari a circa (...), si sono viste attribuire un importo di partenza pari a (...) 40 milioni ciascuna. La VAW, la SEC e la Nippon, le cui quote di mercato non raggiungevano il 5%, si sono viste attribuire 8 milioni ciascuna, mentre l’importo attribuito alla SDK, alla C/G e alla Tokai, con una quota di mercato tra il 5 e il 10%, è di 16 milioni ciascuna.

224
Quanto al punto di partenza di tale metodo, vale a dire la scelta delle quote di EUR 8 milioni, per arrivare alla somma massima esatta di EUR 40 milioni applicata alla SGL e alla UCAR, è vero che la Commissione non precisa mai, nell’ambito della Decisione, per quali ragioni essa abbia scelto la somma esatta di EUR 40 milioni per le imprese della prima categoria. Tuttavia, tale scelta della Commissione non può essere qualificata arbitraria e non supera i limiti del potere discrezionale di cui essa dispone in materia.

225
Gli orientamenti consentono infatti di applicare alle infrazioni «molto gravi» un importo superiore ai 20 milioni di euro. Orbene, è stato sempre ritenuto che le intese orizzontali siano comprese nelle infrazioni più gravi alle disposizioni comunitarie in materia di concorrenza, e possano quindi, da sole, essere qualificate come «molto gravi» (sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punto 262). Ciò è quindi doppiamente vero per l’intesa censurata nel caso in esame, trattandosi di un cartello che si occupava sia di prezzi sia di ripartizione dei mercati, avente ad oggetto l’intero territorio del mercato comune e del SEE.

226
Si deve aggiungere che il fatturato rilevante per la SGL e la UCAR è pari rispettivamente a (...) e a (...) milioni di euro, con quote di mercato oscillanti rispettivamente tra il (...) e il (...)% e tra il (...) e il (...)%. Correttamente quindi la Commissione ha valutato opportuno inserire le due imprese citate in una stessa categoria, coerente con un fatturato medio pari a (...) milioni di euro e una quota di mercato media di circa (...)%.

227
Accertata così la regolarità della prima categoria e dell’importo di partenza ad essa relativo, va verificato se la seconda categoria, composta dalla SDK, dalla C/G e dalla Tokai, sia stata costituita in modo coerente ed obiettivamente giustificato. A tal proposito, va rilevato che il metodo matematico applicato dalla Commissione giunge ad un risultato coerente per quanto concerne la SDK, il cui fatturato e la cui quota di mercato rilevanti sono rispettivamente pari a (...) milioni di euro e a circa (...)%. Il rapporto tra la SDK, da un lato, e la categoria composta dalla SGL e dalla UCAR, dall’altro, può quindi quantificarsi come approssimativamente pari a 1: 2,5, il che giustifica la determinazione di un importo di partenza di EUR 16 milioni con riferimento alla SDK (40: 2, 5).

228
Invece, il fatto di aver classificato in una stessa categoria la SDK e la Tokai, laddove il fatturato e la quota di mercato di quest’ultima ammontano rispettivamente a soli (...) milioni di euro e a circa (...)%, ossia la metà dei dati rilevanti per la SDK, supera i limiti di ciò che è accettabile sotto il profilo dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento, tanto più che la differenza di dimensioni tra la Tokai e la SDK, appartenenti ad una medesima categoria, è più rilevante di quella sussistente tra la Tokai e la Nippon (fatturato: (...) milioni di euro e quota di mercato: circa (...)%), che fanno parte di due categorie diverse. Contrariamente alla tesi della Commissione, un tale sistema di classificazione non può essere considerato coerente (v., in tal senso, sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punti 415, 422 e 426).

229
Nel verificare se l’approccio della Commissione possa essere obiettivamente giustificato, va ricordato che la Decisione, dopo aver fatto riferimento al fatturato mondiale realizzato da ciascuna impresa con la vendita del prodotto di cui trattasi nel 1998 e alle quote di mercato su scala mondiale (‘considerando’ 149 e 150), si limita a precisare che «C/G, SDK e Tokai, che avevano una quota di mercato mondiale notevolmente inferiore (5-10%) sono classificati nella seconda categoria» (‘considerando’ 150). Orbene, tale passaggio non espone alcun motivo specifico che consenta alla Commissione, nonostante i rapporti dimensionali di cui sopra, di mettere in relazione la Tokai proprio con la SDK e non con la Nippon.

230
Dinanzi al Tribunale, la Commissione afferma che, nel definire le tre categorie e nel fissare i vari importi di partenza, essa si era riferita ad ordini di grandezza piuttosto che a formule matematiche, poiché un’ammenda deve essere proporzionale non al fatturato di una determinata impresa, bensì alla gravità e alla durata dell’infrazione. In ogni caso, l’intesa nel suo insieme avrebbe avuto un’incidenza rilevante nel SEE, cosicché anche un partecipante con una modesta quota di mercato poteva contribuire significativamente a tale risultato. La quota di mercato e il fatturato non rifletterebbero necessariamente la reale portata dell’incidenza sulla concorrenza di ciascun membro dell’intesa. Infine, la Commissione non sarebbe tenuta ad effettuare distinzioni tra le imprese sulla base del loro fatturato; di conseguenza, nel caso in cui una tale distinzione venisse effettuata, alla Commissione non potrebbe essere contestato il fatto di non applicare uno stretto rapporto tra i relativi fatturati.

231
Tale argomento non può essere accolto. Infatti, la Commissione, avendo deciso di applicare nel caso di specie il metodo di differenziazione definito negli orientamenti, era tenuta a conformarvisi, salvo illustrare specificamente i motivi giustificanti, caso per caso, un eventuale scostamento su un determinato punto (sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punto 271). Posto che i membri dell’intesa, ai sensi della Decisione, sono stati classificati in categorie sulla sola base del loro fatturato e della loro quota di mercato, la Commissione non può, dinanzi al Tribunale, mettere in discussione il suo stesso metodo di differenziazione, affermando che si trattava solamente di ordini di grandezza piuttosto vaghi e che né la quota di mercato, né il fatturato riflettevano necessariamente l’incidenza di ciascuna impresa sulla concorrenza. Peraltro, la Decisione non contiene alcun elemento concreto tale da spiegare la ragione per cui quest’ultimo argomento consentirebbe di mettere in relazione la Tokai proprio con la SDK e non con la Nippon.

232
Se è vero che la Commissione può prendere in considerazione un gran numero di elementi per determinare l’importo finale di un’ammenda e che essa non è tenuta ad applicare, a tal fine, formule matematiche, è altresì vero che, una volta ritenuto opportuno ed equo ricorrere, in una determinata fase di tale quantificazione, ad elementi di calcolo di tipo matematico, essa è tenuta ad applicare il suo stesso metodo in modo corretto, coerente e, in particolare, non discriminatorio. Una volta effettuata volontariamente la scelta di applicare un simile metodo aritmetico, essa è vincolata al rispetto delle regole ad esso inerenti, salva esplicita giustificazione, con riferimento a tutti i membri di una stessa intesa.

233
Da quanto precede risulta che l’inserimento della Tokai nella stessa categoria della SDK non può essere ammesso. Nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, il Tribunale ritiene certamente necessario permanere nella logica generale seguita dalla Commissione e mantenere l’inserimento in categorie dei membri dell’intesa. Tuttavia, è necessario intervenire sulla seconda categoria e classificare, in un primo tempo, la SDK e la Tokai in due categorie diverse, conservando per la SDK l’importo di partenza di EUR 16 milioni attribuitole dalla Commissione, mentre alla Tokai dev’essere attribuito un importo di partenza pari a EUR 8 milioni.

234
Di conseguenza, non è più necessario pronunciarsi sui due ulteriori motivi sollevati dalla Tokai per ottenere un importo di partenza pari a otto milioni di euro, motivi basati sul fatto che la Commissione non aveva fornito alcuna valida precisazione in ordine alla dimensione del mercato di cui trattasi e che essa aveva ignorato il fatto che la quota di mercato della Tokai era leggermente inferiore alla soglia del 5%.

235
Sempre esercitando la sua competenza giurisdizionale anche nel merito, il Tribunale ritiene poi che la C/G, con un fatturato pari a (...) milioni di euro ed una quota di mercato pari a circa (...)%, è talmente vicina alla Tokai, in termini di dimensione sul mercato mondiale rilevante, da dover essere inserita nella stessa categoria di quest’ultima. Di conseguenza, l’importo di partenza per la C/G è del pari stabilito in EUR 8 milioni.

236
Quanto alla precedente terza categoria, composta dalla Nippon, dalla SEC e dalla VAW, essa risulta sufficientemente coerente quanto alla differenza di dimensioni sia tra le tre imprese interessate, sia rispetto alle imprese della categoria contigua. Si deve quindi mantenere invariata tale categoria costituita dalle imprese di più ridotte dimensioni.

237
Tuttavia, il fatturato medio ((...) milioni di euro) e la quota di mercato media (circa (...)%) di tale categoria sono pari solo alla metà dei dati medi corrispondenti della categoria contigua, costituita dalla Tokai e dalla C/G, e a un decimo dei dati relativi alla prima categoria, costituita dalla SGL e dalla UCAR. Di conseguenza, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, il Tribunale ritiene doversi determinare l’importo di partenza per ciascuna delle ricorrenti Nippon e SEC nella somma di EUR 4 milioni.

–     Sul «fattore dissuasivo» applicato nella Decisione

238
Si deve innanzitutto rilevare che è infondata in fatto la critica della SGL, secondo cui la Commissione, anziché tener conto delle circostanze proprie dell’impresa, avrebbe tentato solamente di produrre su quest’ultima un effetto dissuasivo. Infatti, è solo richiamandosi alle regole generali di calcolo che la Commissione ha citato il livello sufficientemente dissuasivo degli importi di partenza (‘considerando’ 146 e 148 della Decisione). L’adattamento concreto di tali importi, al fine di dotarli di un effetto dissuasivo specifico, è stato operato solamente nei riguardi della VAW e della SDK (‘considerando’ 152-154 della Decisione), mentre per la SGL non vi è stato un tale adattamento.

239
Quanto alla censura sollevata dalla SDK, va ricordato che, secondo costante giurisprudenza, la Commissione, in sede di calcolo dell’ammenda da applicarsi ad un’impresa, può prendere in considerazione, tra l’altro, le dimensioni e la forza economica dell’impresa stessa (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 144, punto 120, e sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, causa T‑48/98, Acerinox/Commissione, Racc. pag. II‑3859, punti 89 e 90). Inoltre, quanto alla quantificazione della capacità finanziaria dei membri di un’intesa, la giurisprudenza ha riconosciuto la rilevanza del fatturato complessivo (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑291/98 P, Sarriò/ Commissione, Racc. pag. I‑9991, punti 85 e 86), e, nella sua sentenza ABB Asea Brown Boveri/ Commissione (citata al precedente punto 153, punti 154, 155 e 162-167), il Tribunale ha altresì riconosciuto la legittimità del principio di un moltiplicatore esattamente pari a 2,5, sottolineando la facoltà, in capo alla Commissione, di prendere in considerazione l’effetto sufficientemente dissuasivo dell’ammenda inflitta.

240
Ciò premesso, la censura basata su una violazione dei diritti della difesa della SDK dev’essere respinta. Infatti, al punto 110 della comunicazione degli addebiti, la Commissione ha precisato che intendeva «fissare le ammende ad un livello sufficientemente elevato da avere un effetto dissuasivo». Orbene, la SDK era evidentemente al corrente del testo dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e del suo elevato fatturato complessivo. Inoltre, dalla decisione della Commissione 21 ottobre 1998, 1999/60/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’art. 85 del trattato CE (Caso n. IV/35.691/E-4: intesa tubi preisolati) (GU L 24, pag. 1, in prosieguo: la «decisione tubi preisolati»), in cui alla società Asea Brown Boveri era stato applicato proprio un moltiplicatore pari a 2,5, la SDK poteva dedurre che non era escluso che la Commissione le avrebbe applicato un moltiplicatore di tale ordine. Nulla avrebbe dunque impedito alla SDK di fare riferimento, in sede di procedimento amministrativo, alla propria dimensione e alle proprie risorse finanziarie e di pronunciarsi in ordine all’effetto dissuasivo della sanzione applicatale dalla Commissione.

241
Con riferimento alla giurisprudenza citata al precedente punto 239, la Commissione poteva pertanto giustamente ritenere che la SDK, dato il suo fatturato enorme rispetto a quello degli altri membri dell’intesa, avrebbe mobilizzato più facilmente i fondi necessari per il pagamento della sua ammenda, il che giustificava l’applicazione di un moltiplicatore al fine di ottenere un effetto dissuasivo sufficiente in capo a quest’ultima. Nessuno degli argomenti in senso contrario fatti valere dalla SDK può essere accolto.

242
Infatti, in primo luogo, se è vero che la semplice dimensione di un’impresa non è automaticamente sinonimo della sua potenza finanziaria, tale rilievo generale è irrilevante nel caso di specie, posto che la SDK, contrariamente ad altre ricorrenti, non ha fatto valere la sua incapacità finanziaria di pagare l’ammenda inflitta. In secondo luogo, nell’affermare che un’ammenda equa deve mirare unicamente alla compensazione del danno al libero gioco della concorrenza e che è necessario valutare, a tal fine, la probabilità di una scoperta dell’intesa come pure i profitti attesi dai membri di quest’ultima, la SDK invoca parametri ipotetici e troppo incerti ai fini di una valutazione delle risorse finanziarie effettive di un’impresa.

243
In ogni caso, tale argomento della SDK non può incidere sulla regola secondo cui un’infrazione commessa da un’impresa che dispone di enormi risorse finanziarie può essere, in linea di principio, sanzionata con un’ammenda proporzionalmente più elevata rispetto alla stessa infrazione commessa da un’impresa che non dispone di pari risorse. Infine, riguardo al riferimento ad altre imprese le quali, pur trovandosi in situazioni analoghe a quella della SDK, sarebbero state sanzionate meno pesantemente, è sufficiente ricordare che la Commissione, fatto salvo il rispetto del limite massimo di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, non è tenuta a perpetuare una determinata pratica in materia di fissazione dell’importo delle ammende.

244
Riconosciuta in tal modo la possibilità dell’applicazione di un moltiplicatore alla SDK, si deve verificare se la cifra di 2,5 sia compatibile con i principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

245
A tal proposito, va rilevato che nell’ambito della Decisione l’unico punto che consente di verificare la correttezza del fattore di 2,5 applicato alla SDK è il confronto di quest’ultimo con il fattore di 1,5 applicato alla VAW, e quello relativo alle cifre e ai motivi di cui ai ‘considerando’ 30 e 152-154 della Decisione (v, supra, punti 168 e 170).

246
Ne deriva che la Commissione ha ritenuto equo, nel caso della VAW, aumentare l’importo di partenza «in modo da tener conto della dimensione e delle risorse complessive» dell’impresa. Orbene – poiché i fatturati e quote di mercato relativi alla vendita del prodotto su scala mondiale tra il 1992 e il 1998 sono stati già utilizzati ai fini della distinzione tra i membri dell’intesa sotto il profilo della gravità dell’infrazione e poiché i fatturati relativi al mercato SEE non risultano pertinenti in questo contesto – il solo elemento idoneo a giustificare tale rilievo nei confronti della VAW è il suo fatturato mondiale globale realizzato nel 2000, il quale, come emerge dalla tabella di cui al ‘considerando’ 30 della Decisione, è tre volte superiore a quello della SGL. Quanto al fattore di 1,25 stabilito per la VAW, è evidente che la moltiplicazione con la cifra 1 produce un effetto totalmente neutro, poiché il solo effetto moltiplicatore reale è dato dalla cifra 0,25, aggiunta alla cifra 1.

247
Quanto alla situazione della SDK, la Decisione prende atto che essa è «di gran lunga l’impresa più grande destinataria della presente decisione», ragion per cui il suo importo di partenza deve essere moltiplicato per un fattore di 2,5 (‘considerando’ 154). Il solo elemento che giustifica tale descrizione della SDK è il suo fatturato mondiale complessivo realizzato nel 2000, che è doppio rispetto a quello della VAW e sei volte superiore a quello della SGL. Secondo la logica accolta dalla Commissione stessa nel caso della VAW, si doveva quindi applicare all’importo di partenza della SDK il doppio della maggiorazione effettiva applicata alla VAW, al fine di tener conto della sua dimensione e delle sue doppie risorse complessive. Orbene, il solo moltiplicatore che soddisfa tali criteri è quello di 0,5 (2 x 0,25) aggiunto alla cifra 1.

248
Nessuno degli argomenti formulati dalla Commissione in senso opposto può inficiare tale conclusione. Da un lato, la Decisione contiene esclusivamente rilievi relativi alla dimensione ed alle risorse globali dell’impresa per giustificare l’applicazione alla SDK di un moltiplicatore superiore a quello di 1,5. In particolare, essa non spiega le ragioni per cui le circostanze della fattispecie richiederebbero l’applicazione alla SDK di un moltiplicatore sei volte superiore a quello applicato alla VAW, benché il suo fatturato rilevante per tale operazione sia solo doppio rispetto a quello della VAW. All’affermazione della Commissione dinanzi al Tribunale, secondo cui essa non si era basata sul fatturato preciso della SDK, ma che aveva effettuato un semplice adeguamento lordo al fine di fornire un determinato orientamento, è sufficiente replicare che tale argomento è contraddetto sia dalle cifre che dai motivi forniti a tal proposito nell’ambito della Decisione. La Commissione non può quindi discostarsene dinanzi al Tribunale (v., sopra, punto 232). In ogni caso, tale argomento non può giustificare l’applicazione del moltiplicatore di 2,5.

249
Tenuto conto di quanto precede, il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, ritiene doversi applicare all’importo di partenza stabilito per la SDK un coefficiente pari a 1,5, per raggiungere EUR 24 milioni.

–     Sulla motivazione della Decisione

250
Per costante giurisprudenza, la motivazione di una decisione individuale deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. L’obbligo di motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se essa soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del tenore dell’atto di cui trattasi, ma anche del contesto in cui tale atto è stato adottato (v., in particolare, sentenza 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytravel e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63).

251
Con riferimento alle informazioni fornite nei ‘considerando’ 129-154 della Decisione in ordine al calcolo delle ammende in base alla gravità dell’infrazione, agli orientamenti, nonché alla giurisprudenza ed alla prassi decisionale in materia, di cui le parti hanno discusso dinanzi al Tribunale, va rilevato che le ricorrenti erano assolutamente in grado di sollevare i numerosi motivi basati sull’illegittimità nel merito degli elementi di calcolo relativi alla gravità dell’infrazione. Nell’affermare che l’uno o l’altro di tali elementi non è sufficientemente motivato, le stesse rilevano, nel contempo, l’erroneità ovvero l’arbitrarietà di tale elemento e presentano i dati che la Commissione avrebbe dovuto, a loro parere, prendere in considerazione. In tali circostanze, le ricorrenti non erano esposte ad una situazione nella quale la mancanza di motivazione esaustiva da parte della Commissione le privava di una tutela giurisdizionale adeguata (v., in tal senso, sentenza UK Coal/Commissione, citata al precedente punto 149, punto 206).

252
In ogni caso, la Corte ha stabilito che la Commissione adempie al suo obbligo di motivazione quando, nella sua decisione, precisa gli elementi di giudizio che le hanno consentito di misurare la gravità dell’infrazione commessa, senza essere tenuta ad inserirvi una spiegazione più dettagliata ovvero i dati relativi al metodo di calcolo dell’ammenda (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I‑9693, punti 38-47, e sentenza Sarriò/Commissione, citata al precedente punto 239, punti 76 e 80).

253
Ne consegue che i motivi relativi ad una carenza di motivazione non possono essere accolti.

254
Risulta da quanto precede che i motivi sollevati dalla SGL e dalla UCAR devono essere respinti, mentre gli importi di partenza delle altre ricorrenti sono così determinati: per la Tokai e la C/G, EUR 8 milioni ciascuna, per la SEC e la Nippon, EUR 4 milioni ciascuna e per la SDK EUR 24 milioni.

c)      Sugli importi di base stabiliti nella Decisione in funzione della durata dell’infrazione

Sintesi della Decisione

255
Ai ‘considerando’ 155-157 della Decisione, la Commissione ha stabilito che la SGL, la UCAR, la Tokai, la Nippon e la SEC avevano violato l’art. 81, n. 1, CE nonché l’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE nel periodo tra il maggio 1992 e il febbraio/marzo 1998. Trattandosi di un’infrazione di lunga durata, pari a 5 anni e 9/10 mesi, i relativi importi di partenza, calcolati sulla base della gravità dell’infrazione, sono stati aumentati del 55%. Secondo la Commissione, la SDK e la VAW avevano commesso un’infrazione di media durata, pari a 4 anni e 7/11 mesi, e i rispettivi importi di partenza sono stati conseguentemente aumentati del 45%. La C/G, avendo commesso un’infrazione di durata media, pari a 3 anni e 10 mesi, ha avuto un aumento dell’importo di partenza del 35%.

Causa T‑239/01

256
La SGL afferma che la maggiorazione del suo importo di partenza del 55% per una durata dell’infrazione pari a 5 anni e 10 mesi è in contraddizione con la decisione tubi preisolati (citata al precedente punto 240), in cui la Commissione si è limitata ad applicare una maggiorazione del 40% per una durata dell’infrazione pari a 5 anni.

257
La SGL aggiunge che i cartelli di quote, qualificati come infrazioni «molto gravi» negli orientamenti, hanno di norma una durata pluriennale. Tale carattere tipico di lunga durata sarebbe intrinseco alle infrazioni di questo tipo. Di conseguenza, un cartello di quote, che è per sua stessa natura di lunga durata, non potrebbe essere sanzionato, sotto il profilo della durata, allo stesso modo di un’infrazione, quale ad esempio un abuso di posizione dominante, che risulta essere in se stessa «molto grave» anche se commessa sporadicamente. La durata di un cartello di quote potrebbe quindi essere legittimamente presa in considerazione solo se nettamente superiore alla durata tipica di questo genere di infrazione. Sotto questo profilo, la SGL contesta la legittimità degli orientamenti, in quanto considerano la durata di un’infrazione in maniera identica, a prescindere dalla natura dell’infrazione stessa.

258
Innanzitutto, il Tribunale ricorda, in proposito, che il motivo sollevato dalla SGL avverso i rilievi fattuali svolti dalla Commissione in ordine alla durata dell’infrazione è stato respinto sopra (punti 71-77).

259
In ordine all’eccezione di illegittimità qui sollevata, va rilevato che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 prevede espressamente che, per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto «oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata». Alla luce della norma citata, anche a supporre che i cartelli di quote siano intrinsecamente di lunga durata, non può vietarsi alla Commissione di tener conto della loro durata effettiva in ciascun caso concreto. Basti pensare alle intese che, nonostante una lunga durata progettata, vengono scoperte dalla Commissione ovvero denunciate da un partecipante dopo un breve periodo di funzionamento effettivo. Il loro effetto dannoso è necessariamente inferiore rispetto al caso in cui tali intese abbiano avuto un lungo funzionamento effettivo. Di conseguenza, è sempre necessario distinguere tra la durata di un’infrazione e la sua gravità, quale risulta dalla sua stessa natura (v., in tal senso, sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punto 283).

260
La Commissione poteva quindi a buon diritto dichiarare, al punto 1, B, terzo comma, degli orientamenti, che la maggiorazione delle ammende per le infrazioni di lunga durata sarebbe stata più consistente che in precedenza, nell’intento di sanzionare realmente le restrizioni «che hanno arrecato un pregiudizio durevole» ai consumatori.

261
Nulla impediva quindi alla Commissione di tener conto degli orientamenti per aumentare del 55% l’importo di partenza calcolato con riferimento alla SGL, in ragione di una durata dell’infrazione pari a 5 anni e 9 mesi.

262
Tale conclusione non è messa in discussione dalla decisione tubi preisolati, in cui la Commissione ha applicato una semplice maggiorazione del 40% per una durata dell’infrazione pari a 5 anni. Infatti si trattava in quel caso di una ponderazione particolare, che è stata espressamente giustificata dalle circostanze specifiche del caso di specie: all’inizio dell’infrazione, gli accordi collusivi erano incompleti, ovvero avevano prodotto un effetto limitato; in seguito, essi erano stati sospesi per un determinato periodo e avevano raggiunto la loro forma più sviluppata solamente dopo molti anni (‘considerando’ 170 della decisione tubi preisolati). Orbene, la situazione della SGL non è caratterizzata da tali specifiche circostanze.

263
Ne discende che il motivo basato su un’erronea valutazione della durata dell’infrazione attribuita alla SGL dev’essere respinto.

Causa T‑246/01

–     Argomenti delle parti

264
In ordine alla fase finale di funzionamento dell’intesa, la UCAR afferma di avere essa stessa fornito le prove della sua partecipazione all’infrazione a seguito delle verifiche a sorpresa effettuate dalla Commissione nel giugno 1997, e segnatamente le prove che hanno permesso a quest’ultima di dimostrare l’esistenza delle riunioni dell’intesa del novembre 1997 e del 13 febbraio 1998, nonché il mantenimento dei contatti bilaterali fino al marzo 1998. In applicazione del suo progetto di una nuova comunicazione sulla cooperazione, pubblicato nel 2001, la Commissione non avrebbe potuto utilizzare tali informazioni per aumentare la sua ammenda del 55%. Infatti, in tale progetto la Commissione avrebbe affermato che nel caso di un’impresa che fornisca elementi di prova su fatti precedentemente ignoti alla Commissione e direttamente incidenti sulla gravità ovvero sulla durata della presunta infrazione, la Commissione non ne avrebbe tenuto conto al fine di stabilire l’importo dell’ammenda inflitta all’impresa che ha fornito tali dati. Si tratterebbe di un’impostazione corretta, che la Commissione avrebbe dovuto seguire. In ogni caso, il Tribunale potrebbe accogliere tale impostazione nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito.

265
La UCAR conclude che le prove della sua partecipazione all’intesa dopo la riunione di aprile 1997 non dovrebbero essere prese in considerazione, il che ridurrebbe la durata della sua infrazione a quattro anni e 11 mesi. Il suo importo di partenza dovrebbe pertanto essere aumentato al massimo del 45% in base alla durata.

266
Quanto al periodo iniziale dell’intesa (dal 1992 al 1995), la UCAR precisa che la Commissione avrebbe dovuto applicare un’ammenda alla Mitsubishi e alla Union Carbide, all’epoca sue controllanti, e non alla UCAR. Infatti, tali società avrebbero detenuto il controllo della UCAR e avrebbero avuto un ruolo importante nell’avviare i primi contatti tra concorrenti e nel favorire la partecipazione della UCAR all’intesa. La UCAR precisa, sotto il profilo giuridico, di essere stata controllata dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide fino al 1995. Nell’ambito di una ricapitalizzazione compiuta nel gennaio 1995, la Mitsubishi e la Union Carbide l’avrebbero letteralmente «spogliata», provocando il suo indebitamento. Orbene, la Commissione non avrebbe mai indagato sul ruolo della Mitsubishi e della Union Carbide. Inoltre, la Decisione non conterrebbe alcuna motivazione riguardante la problematica del controllo esercitato dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide sulla UCAR nel corso del periodo controverso.

267
La UCAR aggiunge che la Commissione avrebbe del pari dovuto considerare che, a partire dalla data delle sue verifiche a sorpresa, il consiglio d’amministrazione della UCAR tentava, mediante un’indagine interna sistematica ed intensiva, di individuare attivamente e di far cessare ogni contatto illegittimo con concorrenti.

268
Per quanto riguarda il periodo conclusivo dell’intesa, la Commissione sottolinea che la sua nuova politica in materia di cooperazione non era ancora stata adottata alla data della Decisione. Pertanto, la UCAR non avrebbe potuto maturare un legittimo affidamento sul fatto che la Commissione avrebbe applicato una politica di tal genere. Il fatto che la Commissione si renda conto che la sua politica in materia di cooperazione sia suscettibile di modifiche e miglioramenti non le impedirebbe di applicare, nel frattempo, le disposizioni vigenti. Prima dell’adozione formale del suo progetto di revisione, cui fa riferimento la UCAR, la Commissione non sarebbe stata pertanto tenuta a prendere in considerazione detto progetto.

269
Le questioni sollevate dalla UCAR con riferimento al ruolo svolto dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide non sarebbero state formulate né in sede di risposta alla comunicazione degli addebiti, né in alcuna fase del procedimento dinanzi alla Commissione. Sino al deposito del ricorso, essa avrebbe agito come se riconoscesse pienamente di aver violato le norme in materia di concorrenza e di aver meritato un’ammenda; essa non avrebbe mai sostenuto di non dover essere sanzionata per l’infrazione commessa prima del 1995 perché il suo comportamento doveva essere imputato alla Mitsubishi e alla Union Carbide.

270
Anche nella lettera inviata alla Commissione in data 23 febbraio 2001, cui era allegato un resoconto sul processo tenutosi negli Stati Uniti contro la Mitsubishi, la UCAR non avrebbe formulato alcuno degli argomenti presentati al Tribunale. Neppure allora, quindi, pur essendo in possesso di tutte le prove rilevanti, la UCAR avrebbe sostenuto che il ruolo della Mitsubishi era stato determinante nella sua partecipazione all’infrazione. La lettera si sarebbe piuttosto concentrata sulla questione della capacità contributiva reale della UCAR.

271
Per quanto riguarda la Union Carbide, la UCAR non avrebbe mai affermato che tale società avesse partecipato direttamente all’infrazione. Anche dinanzi al Tribunale, la Union Carbide non sarebbe stata esplicitamente chiamata in causa, salvo sotto il profilo dei vantaggi finanziari che essa avrebbe ricavato dall’intesa.

272
La Commissione ritiene quindi che il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito in materia di ammende, debba aumentare l’ammenda inflitta alla UCAR in ragione di tale cambiamento di posizione, che la Commissione considera inaccettabile da un’impresa che ha beneficiato di una sostanziale riduzione dell’ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione per il fatto di non aver contestato quanto accertato dalla Commissione.

–     Giudizio del Tribunale

273
Quanto alla censura relativa alla fase finale dell’intesa, essa si basa esclusivamente sul progetto di una nuova comunicazione sulla cooperazione che, alla data di adozione della Decisione (18 luglio 2001), non era neppure stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale; infatti, tale progetto è comparso nella Gazzetta Ufficiale solamente il 21 luglio 2001 (GU C 205, pag. 18). Quanto alla nuova «Comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese» che, al suo punto 23, ultimo comma, ha approvato il progetto cui fa riferimento la UCAR, essa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 19 febbraio 2002 (GU C 45, pag. 3), e, ai sensi del suo punto 28, sostituisce la precedente comunicazione sulla cooperazione del 1996 solamente a partire dal 14 febbraio 2002. Di conseguenza, è evidente che la Commissione non è incorsa in alcun errore astenendosi dall’applicare, nell’ambito della Decisione, la nuova politica in materia di cooperazione invocata dalla UCAR.

274
Laddove la UCAR afferma che nulla impedirebbe al Tribunale di tener conto della nuova comunicazione sulla cooperazione del 2002, quale espressione del principio di equità, deve osservarsi che il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, potrebbe effettivamente prenderla in considerazione quale elemento complementare d’informazione non menzionato dalla Decisione (sentenza 16 novembre 2000, SCA Holding/Commissione, citata al precedente punto 108, punto 55). Nelle presenti circostanze, tuttavia, il Tribunale ritiene di non dover esercitare la sua competenza giurisdizionale nel senso di una riduzione del tasso applicato alla UCAR in ragione della durata della sua partecipazione all’infrazione.

275
Infatti, le risposte ad un quesito scritto del Tribunale ed i dibattiti intervenuti in sede di udienza hanno fatto emergere che è pacifico tra le parti che gli elementi probatori forniti alla Commissione dalla UCAR prima di ogni altra impresa riguardano solamente il periodo tra metà novembre 1997 e marzo 1998. Orbene, anche qualora la durata della partecipazione della UCAR all’infrazione si limitasse al periodo tra il maggio 1992 e metà novembre 1997, si tratterebbe comunque di una partecipazione ad un’infrazione di lunga durata, cioè cinque anni e mezzo, per la quale il punto 1 B, primo comma, degli orientamenti consente di fissare un importo addizionale determinato mediante l’applicazione di un tasso pari al 55%. Peraltro, la Commissione ha già tenuto conto di tutti gli elementi probatori forniti dalla UCAR che le avevano permesso di dimostrare «taluni aspetti importanti della questione», accordandole una riduzione dell’ammenda pari al 40%, in base alla comunicazione sulla cooperazione (‘considerando’ 200-202 della Decisione), il che rappresenta – accanto alla riduzione del 70% concessa alla SDK per aver fornito i primi elementi probatori relativi all’intesa nel suo complesso (‘considerando’ 217 della Decisione) – la seconda più rilevante tra tutte le riduzioni concesse su questa base.

276
Il principio di equità non impone quindi alcuna correzione, per quanto concerne il periodo finale dell’intesa, del tasso del 55% applicato alla UCAR in base alla durata della sua partecipazione all’infrazione.

277
Quanto ai provvedimenti assunti dal consiglio d’amministrazione della UCAR a seguito delle verifiche effettuate dalla Commissione per porre fine all’infrazione, è sufficiente rilevare che gli sforzi volti a porre fine ad un’infrazione non possono essere automaticamente parificati alla cessazione definitiva dell’infrazione stessa. È un fatto che la UCAR non ha contestato il rilievo fattuale della Commissione, secondo cui essa aveva partecipato all’intesa nel 1997 e nel 1998. Orbene, il potere della Commissione di sanzionare un’impresa quando questa abbia commesso un’infrazione presuppone solamente l ‘azione di una persona che sia generalmente autorizzata ad agire per conto dell’impresa stessa (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 144, punto 97). L’azione del consiglio d’amministrazione della UCAR è pertanto irrilevante ai fini della valutazione della durata dell’infrazione.

278
Per quanto concerne la censura relativa al periodo iniziale dell’intesa (dal 1992 al 1995), nel corso del quale la UCAR si trovava sotto il controllo della Mitsubishi e della Union Carbide, è pacifico che la UCAR ha partecipato, dal maggio 1992 al marzo 1998, quale «UCAR International Inc.», all’intesa controversa. È alla citata società UCAR International Inc. che la Commissione ha inflitto un’ammenda per la detta infrazione, e non alle persone fisiche o giuridiche che si assume l’abbiano influenzata. Di conseguenza, essa non era tenuta a prendere in considerazione i cambiamenti sia economici che giuridici che potevano intervenire, nel periodo dell’infrazione, nell’assetto proprietario della società.

279
Il fatto che la UCAR formasse eventualmente un’unità economica con la Mitsubishi e/o la Union Carbide, di modo da non poter assumere decisioni autonome, il che peraltro è contestato dalla Commissione, è irrilevante nel presente contesto. Tale circostanza sarebbe stata pertinente solamente nell’ipotesi in cui la Commissione avesse fatto ricorso alla sua facoltà di sanzionare la società controllante della UCAR per il comportamento di quest’ultima, come essa ha peraltro fatto nel caso della VAW (‘considerando’ 117-123 della Decisione), con riferimento alla sentenza 16 novembre 2000, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (citata al precedente punto 113, punti 26-29). Nella presente fattispecie, al contrario, non si tratta di sapere se il comportamento della UCAR era imputabile ad altri (sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, in prosieguo: la «sentenza Krupp», punto 189), posto che la Commissione ha deciso di rivolgersi alla sola società UCAR.

280
Il caso in esame non riguarda neppure le questioni connesse ad una successione economica nel controllo di un’impresa, quando si deve determinare il soggetto che risponde delle azioni dell’impresa, ossia il cedente ovvero il cessionario (sentenza del Tribunale pronunciata, a seguito di impugnazione e rinvio, nella causa Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, citata al precedente punto 113, punti 60 e 70; sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punti 101-108). Infatti, se è vero che in determinate circostanze può rivelarsi difficile l’applicazione della regola giurisprudenziale secondo cui «spetta, in via di principio, alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa interessata al momento in cui l’infrazione è stata commessa di rispondere di quest’ultima, anche se, nel giorno dell’adozione della decisione che constatava l’infrazione, l’operatività dell’impresa è stata posta sotto la responsabilità di un’altra persona» (sentenza HFB e a./Commissione, punto 103), nel caso di specie la Commissione si è limitata a sanzionare solamente l’impresa UCAR e pertanto non era tenuta ad esaminare le questioni relative alla gestione ed al controllo della UCAR.

281
In ogni caso, la regola giurisprudenziale ora citata dev’essere interpretata nel senso che un’impresa – ossia un’unità economica che comprende elementi personali, materiali e immateriali (sentenza della Corte 13 luglio 1962, causa 19/61, Mannesmann/Alta Autorità, Racc. pagg. 653, 683 e 684) – è diretta dagli organi contemplati dal suo statuto giuridico e che qualsiasi decisione avente ad oggetto l’applicazione di un’ammenda può essere indirizzata alla direzione statutaria dell’impresa (consiglio d’amministrazione, comitato direttivo, presidente, gestore, ecc.), ancorché siano i proprietari a subirne, in definitiva, le conseguenze finanziarie. Tale norma sarebbe violata qualora si pretendesse dalla Commissione, di fronte all’infrazione di un’impresa, di verificare sempre chi sia il proprietario che esercita un’influenza determinante sull’impresa, per consentirle di sanzionare solamente detto proprietario.

282
Se la UCAR afferma di essere stata «spogliata» dai suoi precedenti proprietari Mitsubishi e Union Carbide, che l’avrebbero incitata a costituire l’intesa per la quale essa viene ora sanzionata, la Commissione ha giustamente rilevato che la soluzione di tale conflitto deve essere ricercata nei rapporti tra la Mitsubishi e la Union Carbide, da un lato, e la UCAR, nonché i suoi attuali proprietari, dall’altro, e non a livello dell’applicazione del diritto della concorrenza ad opera della Commissione. Così, anche se la Mitsubishi e la Union Carbide avessero realmente utilizzato la UCAR quale strumento destinato a realizzare profitti derivanti dalle azioni dell’intesa in questione, la Commissione sarebbe legittimata ad imporre un’ammenda solamente a quest’ultima, mentre la UCAR e/o i suoi proprietari rimarrebbero liberi di introdurre azioni risarcitorie nei confronti della Mitsubishi e della Union Carbide. Peraltro, la UCAR ha effettivamente agito nei confronti della Mitsubishi e della Union Carbide negli Stati Uniti, al fine di ottenere la restituzione dei fondi che le sarebbero stati sottratti (‘considerando’ 42 della Decisione).

283
Laddove la UCAR afferma ancora che la Commissione avrebbe dovuto esaminare il ruolo avuto dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide nell’ambito della creazione dell’intesa, è sufficiente rilevare che, secondo costante giurisprudenza, anche supponendo che la posizione di qualche impresa non destinataria della Decisione sia stata analoga a quella della UCAR, siffatta constatazione non consentirebbe di cancellare l’infrazione contestata in capo a quest’ultima, dal momento che tale infrazione è stata correttamente accertata in base a prove documentali. La UCAR, che ha violato l’art. 81 CE, non può sfuggire a qualsiasi sanzione per il fatto che ad altri operatori economici, quali la Mitsubishi e la Union Carbide, non sono state inflitte ammende quando, come nella fattispecie, il Tribunale non viene nemmeno investito della questione concernente la posizione di questi ultimi (sentenza della Corte 31 marzo 1993, cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, Racc. pag. I‑1307, punti 146 e 197; sentenza Acerinox/Commissione, citata al precedente punto 239, punti 156 e 157, e sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑17/99, KE KELIT/Commissione, Racc. pag. II‑1647, punto 101).

284
Di conseguenza, il fatto che nel febbraio 2001 la Mitsubishi sia stata condannata negli Stati Uniti per concorso in favoreggiamento in relazione ad un’intesa tra i produttori di elettrodi di grafite e che le sia stata inflitta un’ammenda di USD 134 milioni (‘considerando’ 42 della Decisione) è irrilevante ai fini della verifica del calcolo dell’ammenda inflitta alla UCAR. Non è neppure necessario verificare se la Commissione sia stata informata in tempo utile del coinvolgimento della Mitsubishi e della Union Carbide nell’intesa e se la UCAR fosse effettivamente controllata dalla Mitsubishi o dalla Union Carbide.

285
Infine, poiché la Commissione è legittimata a sanzionare l’impresa che ha direttamente partecipato all’infrazione di cui trattasi, cioè la UCAR, essa non era tenuta a giustificare tale scelta esponendo le ragioni per le quali essa non ha sanzionato la Mitsubishi e la Union Carbide. Di conseguenza, la Commissione non ha violato l’obbligo di motivazione che le incombe ai sensi dell’art. 253 CE.

286
Invece, non possono essere accolte le conclusioni della Commissione volte all’aumento dell’ammenda inflitta alla UCAR.

287
Infatti, risulta da quanto precede che la Commissione non era tenuta a fornire nuovi elementi probatori dinanzi al Tribunale per quanto concerne la durata della partecipazione della UCAR all’infrazione oggetto della Decisione. A fronte del motivo basato su un’erronea valutazione del ruolo avuto dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide nel 1992 e nel 1995, essa poteva limitarsi a formulare gli argomenti giuridici ora esposti.

288
Inoltre, già nel febbraio e nell’aprile 2001, quindi prima dell’adozione della Decisione, la UCAR aveva inviato alla Commissione elementi relativi alla partecipazione della Mitsubishi all’intesa che è stata oggetto dell’indagine della Commissione. La Decisione cita altresì l’affermazione della UCAR, secondo cui le sue ex società madri, Union Carbide e Mitsubishi, hanno beneficiato del cartello (‘considerando’ 204). Di conseguenza, non può sostenersi che la UCAR abbia contestato per la prima volta dinanzi al Tribunale la sostanza dei fatti relativi alla durata della sua partecipazione all’infrazione, ai sensi del punto E, n. 4, secondo comma, della comunicazione sulla cooperazione. La UCAR ha piuttosto effettuato una nuova qualificazione giuridica di elementi documentali che essa aveva già messo a disposizione della Commissione nel corso del procedimento amministrativo.

289
Risulta da quanto precede che i motivi sollevati dalla SGL e dalla UCAR devono essere respinti.

290
Per quanto concerne le altre ricorrenti, che hanno avuto una riduzione degli importi di partenza con riferimento alla gravità dell’infrazione, il Tribunale non vede alcuna ragione per discostarsi dai tassi applicati dalla Commissione con riferimento alla durata della loro partecipazione all’infrazione. Di conseguenza, gli importi di base in milioni di euro, stabiliti al ‘considerando’ 158 della Decisione saranno corretti nel modo seguente: Tokai = 12,4; Nippon = 6,2; SEC = 6,2; SDK = 34,8 e C/G = 10,8.

d)      Sulle circostanze aggravanti

Sintesi della Decisione

291
Nel caso della SGL, della UCAR, della Tokai, della SEC e della Nippon, la Commissione ha ritenuto che l’infrazione fosse aggravata dal fatto che esse avevano continuato tale infrazione flagrante e indiscutibile a seguito delle verifiche effettuate dalla Commissione. Un’altra circostanza aggravante è stata imputata alla SGL e alla UCAR in quanto esse erano le capofila e le istigatrici del cartello. Infine, la Commissione ha qualificato come circostanza aggravante il tentativo della SGL di ostacolare il procedimento della Commissione, avvertendo altre imprese dell’imminenza delle verifiche. La Commissione ha quindi applicato una maggiorazione dell’importo di base dell’85% per la SGL, del 60% per la UCAR e del 10% per la Tokai, per la SEC e per la Nippon (‘considerando’ 160, 164, 187, 192, 209 e 210 della Decisione).

Cause T‑244/01 e 251/01

292
La Nippon e la SEC contestano alla Commissione di aver aumentato del 10% la loro ammenda a causa della presunta continuazione dell’infrazione a seguito delle verifiche effettuate nel giugno 1997. Tuttavia, con lettera 15 dicembre 1997, indirizzata ai produttori giapponesi, la Commissione avrebbe affermato che questi ultimi non erano direttamente interessati dall’intesa in questione. Solamente due anni più tardi, mediante la comunicazione degli addebiti, la Commissione avrebbe informato gli stessi in ordine ai suoi sospetti sulla loro eventuale implicazione nell’intesa. La Nippon e la SEC avrebbero pertanto maturato un legittimo affidamento quanto al fatto di non essere passibili di sanzione per il periodo successivo alle verifiche del giugno 1997, in quanto la Commissione non può sostenere che esse avrebbero dovuto porre fine all’infrazione a seguito di verifiche che non le riguardavano. Inoltre, la Nippon e la SEC denunciano una carenza di motivazione laddove la Decisione non si pronuncia in ordine al problema del loro legittimo affidamento.

293
La SEC aggiunge che la maggiorazione del suo importo di partenza del 55% in considerazione della durata dell’infrazione copriva già il periodo successivo alle citate verifiche. Con l’ulteriore maggiorazione del 10%, essa sarebbe stata quindi sanzionata due volte per la sua partecipazione all’infrazione nel corso del periodo indicato.

294
Il Tribunale ricorda in proposito che è pacifico che la Nippon e la SEC hanno partecipato all’infrazione fino al febbraio 1998. Con la citata lettera 15 dicembre 1997, esse sono state informate del fatto che la Commissione indagava sull’intesa, senza essere al corrente, alla data indicata, del fatto che esse stesse vi partecipavano direttamente. Non può dunque ritenersi in alcun caso che la lettera di cui trattasi abbia fatto sorgere speranze fondate in capo alla Nippon e alla SEC, e ancor meno può ritenersi che essa abbia fornito precise garanzie sul fatto che queste ultime non sarebbero state sanzionate (v., supra, punto 152). Al contrario, la Nippon e la SEC dovevano aspettarsi che la Commissione, una volta accertata la loro implicazione nel cartello, le avrebbe sanzionate per la loro partecipazione all’infrazione tenendo conto, segnatamente, del fatto che esse non avevano posto fine all’infrazione quando erano state avvertite del fatto che la Commissione stava indagando sull’intesa.

295
Neppure può parlarsi di una doppia sanzione in capo alla SEC per il periodo in questione. La maggiorazione del 55% riguarda solamente la durata dell’infrazione di cui trattasi, mentre quella del 10% mira a sanzionare l’ulteriore condotta illecita della SEC, manifestatasi nella continuazione dell’infrazione benché fosse già al corrente dell’indagine della Commissione avente ad oggetto proprio tale infrazione.

296
Alla luce di quanto sopra, non può contestarsi alla Commissione di non aver sviluppato, nell’ambito della Decisione, una motivazione specifica in merito ad un eventuale legittimo affidamento in capo alla Nippon e alla SEC, tantomeno se si considera che il silenzio della Decisione non ha impedito alle due ricorrenti di formulare i loro argomenti sul punto.

297
Di conseguenza, i motivi sollevati dalla Nippon e dalla SEC non possono essere accolti.

Cause T‑239/01 e T‑246/01

298
La UCAR afferma che la Commissione ha sbagliato nel considerare come circostanza aggravante la continuazione dell’infrazione a seguito delle sue verifiche del giugno 1997, posto che il consiglio d’amministrazione della UCAR ha compiuto sforzi significativi per far cessare qualsiasi attività collusiva. Inoltre, la Commissione non avrebbe dovuto addossarle la responsabilità di aver creato e attuato l’intesa, in quanto le vere istigatrici dell’intesa sarebbero state la Mitsubishi e la Union Carbide. Infine, l’unica vera capofila dell’intesa sarebbe stata la SGL. Nel tentativo di attribuire tale ruolo anche alla UCAR, la Commissione non sarebbe legittimata a fondarsi su eventi anteriori all’inizio del periodo incriminato, ossia anteriori al mese di maggio 1992.

299
La SGL afferma che la maggiorazione dell’85% del suo importo di base, in ragione delle circostanze aggravanti, è totalmente sproporzionata e incompatibile con la precedente prassi decisionale della Commissione, che non ha mai applicato un aumento talmente esorbitante. Essa rileva, in primo luogo, che non era possibile applicare alcuna maggiorazione in base a un’asserita continuazione dell’infrazione dopo le verifiche del giugno 1997, in quanto la Commissione non avrebbe prodotto alcuna prova sufficiente in tal senso. In secondo luogo, il fatto che la SGL abbia avvertito taluni altri membri dell’intesa dell’imminenza di tali verifiche non potrebbe assolutamente essere sanzionato mediante un aumento dell’ammenda. Infatti, l’art. 15 del regolamento n. 17 consentirebbe l’applicazione di ammende solamente in caso di violazione degli artt. 81 e 82 CE, ovvero in caso di violazione di una delle condizioni e degli oneri imposti in conformità dell’art. 8 del regolamento n. 17. Orbene, gli avvertimenti di cui trattasi non rappresenterebbero violazioni di tal genere.

300
Tali avvertimenti non sarebbero neppure disciplinati dalle linee direttrici, il cui punto 2, secondo trattino, prevede un aumento solamente per tentativi ostruzionistici «durante lo svolgimento dell’indagine». Orbene, gli avvertimenti sarebbero stati trasmessi prima dell’inizio dell’indagine. In ogni caso, la SGL sarebbe stata discriminata rispetto alla UCAR. Infatti, quest’ultima avrebbe addirittura distrutto dei documenti a lei sfavorevoli, senza che la Commissione l’abbia per questo motivo sanzionata applicando una circostanza aggravante. Secondo la GSL, una tale distruzione di documenti è più grave rispetto ad avvertimenti orali riguardanti eventuali verifiche.

301
A tal proposito, il Tribunale ricorda che, secondo una giurisprudenza consolidata, quando un’infrazione è stata commessa da più imprese, per determinare l’importo delle ammende è necessario dar prova dei loro rispettivi ruoli nell’ambito dell’infrazione nel periodo in cui hanno partecipato all’infrazione stessa (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, citata al precedente punto 203, punto 150, e sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑6/89, Enichem Anic/Commissione, Racc. pag. II‑1623, punto 264). Ne deriva, in particolare, che il ruolo di «capofila» assunto da una o più imprese nell’ambito di un’intesa dev’essere valutato ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, in quanto sulle imprese che hanno assunto tale ruolo grava per ciò stesso una responsabilità particolare rispetto alle altre imprese (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑298/98 P, Finnboard/Commissione, Racc. pag. I‑10157, punto 45).

302
In base a tali principi, il punto 2 degli orientamenti contiene, sotto il titolo di circostanze aggravanti, un elenco non esaustivo delle circostanze che possono condurre ad un aumento dell’importo di base dell’ammenda, tra cui compare l’«organizzazione dell’infrazione o istigazione a commetterla».

303
Nella fattispecie, già in sede di procedimento amministrativo la SGL e la UCAR si sono accusate reciprocamente di aver assunto il ruolo di «capofila» e di istigatrici dell’intesa (‘considerando’ 161 e 188 della Decisione). Tuttavia, risulta che la Commissione abbia debitamente dimostrato, nell’ambito della Decisione, che la SGL e la UCAR erano, in parti più o meno uguali, i due motori congiunti del cartello, che, sin dai primi contatti nel 1991 ne avevano individuato i principi fondamentali e che hanno organizzato le prime riunioni degli «alti dirigenti» nel maggio 1992 (‘considerando’ 44-51 della Decisione).

304
In tale contesto, nulla impediva alla Commissione di tenere in considerazione le fasi preparatorie alla creazione dell’intesa propriamente detta, in modo da verificare la situazione economica che ne ha preceduto e spiegato la creazione, ovvero al fine di dimostrare e di valutare i rispettivi ruoli assunti dai membri nel concepire, creare ed attuare la stessa. Peraltro, sulla stessa base la Commissione può tener conto della fase successiva al periodo in cui è stata compiuta l’infrazione, in modo da valutare, ai sensi della comunicazione sulla cooperazione ovvero con riferimento ad eventuali circostanze attenuanti, l’effettiva collaborazione delle imprese nella denuncia dell’intesa da esse realizzata.

305
Secondo gli accertamenti della Commissione, la direzione congiunta dell’intesa da parte della SGL e della UCAR si è riflettuta altresì sulla fissazione dei prezzi nell’ambito del SEE, il loro mercato «nazionale», poiché la SGL assumeva l’iniziativa degli aumenti di prezzi in Scandinavia e in Germania, mentre la UCAR faceva lo stesso in Francia e nel Regno Unito, ed entrambe decidevano di volta in volta chi dovesse assumere l’iniziativa in Italia e in Spagna (‘considerando’ 62 e 66 della Decisione).

306
Tali rilievi non sono stati validamente contestati né dalla UCAR, né dalla SGL.

307
La UCAR riprende la sua argomentazione basata sul ruolo della Mitsubishi e della Union Carbide, affermando che tali due società erano, in realtà, le istigatrici – e, fino al 1995, le capofila – del cartello. Sul punto, è sufficiente ricordare che la Mitsubishi e la Union Carbide non rientrano tra le imprese la cui partecipazione all’intesa è stata rilevata e sanzionata dalla Commissione, e che esse non partecipano alle relative controversie pendenti dinanzi al Tribunale. Il riferimento alla Mitsubishi e alla Union Carbide non può quindi incidere sul rilievo secondo cui la SGL e la UCAR erano le istigatrici e le capofila tra i membri dell’intesa identificati dalla Commissione.

308
Quanto al riferimento della UCAR agli sforzi compiuti dal suo consiglio d’amministrazione per far cessare l’infrazione, è sufficiente del pari rinviare a quanto sopra esposto in merito alla durata dell’infrazione: tali sforzi non hanno impedito che la UCAR, rappresentata da persone autorizzate ad agire per conto dell’impresa, abbia effettivamente continuato l’infrazione dopo le verifiche del giugno 1997.

309
Quanto all’argomento della SGL, secondo cui la maggiorazione dell’85% sarebbe eccessiva e superiore a quella generalmente applicata in precedenti decisioni della Commissione, esso non è tale da rivelare una violazione del principio di proporzionalità ovvero del principio di parità di trattamento. A tal proposito, è sufficiente ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la Commissione dispone di un potere discrezionale nel fissare l’importo di ciascuna ammenda, senza essere tenuta ad applicare a tal fine una formula matematica precisa (sentenza Martinelli/ Commissione, citata al precedente punto 165, punto 59). Il fatto che il ruolo di istigatore assunto in altre cause da una società sia stato sanzionato mediante un determinato tasso di maggiorazione non significa, pertanto, che questo tasso non possa più essere superato in futuro, a prescindere dalle circostanze del caso di specie (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, citata al precedente punto 144, punti 106 e 109).

310
Anche sotto l’aspetto della competenza giurisdizionale nel merito del Tribunale, non sembra sproporzionato o discriminatorio applicare alla SGL una maggiorazione del 50% per il suo ruolo di capofila (come il 50 per cento applicato alla UCAR), una maggiorazione del 10% per la continuazione dell’infrazione dopo il giugno 1997 (come il 10 % applicato alla UCAR, alla SEC, alla Nippon e alla Tokai) e una maggiorazione del 25% per il fatto di aver avvertito altri membri del cartello dell’imminenza delle verifiche della Commissione.

311
In ordine a questi due ultimi punti, va ricordato che il motivo sollevato dalla SGL contro i rilievi fattuali della Commissione relativi alla durata della sua partecipazione all’intesa, segnatamente la continuazione dell’infrazione dopo le verifiche, è stato respinto (v., supra, punti 70-76). A buon diritto, quindi, la Commissione ha applicato la maggiorazione del 10% in ragione della continuazione dell’infrazione.

312
Il fatto che la SGL abbia avvertito altre imprese dell’imminenza delle citate verifiche poteva del pari essere correttamente qualificato come circostanza aggravante (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑334/94, Sarriò/Commissione, Racc. pag. II‑1439, punto 320). Contrariamente a quanto affermato dalla SGL, non si tratta qui di un’infrazione specifica ed autonoma, non prevista dal Trattato né dal regolamento n. 17, bensì di un comportamento aggravante rispetto all’infrazione iniziale. Mediante tali avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa, la SGL intendeva infatti dissimulare l’esistenza dell’intesa e mantenerla operante, il che peraltro è stato realizzato con successo fino al marzo 1998.

313
In tale contesto, il riferimento della SGL all’art. 15, n. 1, lettera c), del regolamento n. 17 – da cui essa deduce che il legislatore comunitario ha voluto sanzionare solamente gli atti di ostruzionismo contro verifiche già avviate dalla Commissione, e non le azioni anteriori alla sua indagine – non è pertinente. Infatti, la citata norma considera tali atti di ostruzionismo quali infrazioni autonome e indipendenti dall’eventuale esistenza di un cartello, il che spiega, peraltro, la sanzione relativamente leggera prevista a tal fine, che va da EUR 100 a EUR 5000. Nella fattispecie, invece, gli avvertimenti forniti dalla SGL miravano a garantire la continuazione di un cartello che evidentemente rappresentava una flagrante e indiscutibile violazione del diritto comunitario della concorrenza.

314
Il fatto di aver considerato tali avvertimenti come circostanza aggravante non è neppure contrario al punto 2 degli orientamenti. Infatti la semplice lettura del testo («ad esempio» e «altre») rivela che l’elenco delle circostanze aggravanti indicate non ha carattere esaustivo.

315
Infine, il riferimento della SGL al principio di parità di trattamento rispetto alla UCAR – per la quale la distruzione di documenti a suo carico non è stata presa in considerazione quale circostanza aggravante - non è tale da incidere sulla qualificazione come circostanza aggravante degli avvertimenti citati. Infatti, essendo rivolti ad altre imprese, tali avvertimenti andavano al di là della sfera puramente interna della SGL, e miravano al fallimento dell’indagine della Commissione nel suo complesso, così da garantire la continuazione dell’intesa, mentre la UCAR aveva distrutto i propri documenti in modo da evitare che fosse scoperto il suo stesso coinvolgimento nell’intesa. Si tratta di due comportamenti diversi, e pertanto non può essere contestato alla Commissione di aver trattato situazioni analoghe in maniera diversa.

316
Peraltro, anche se la Commissione avesse favorito in maniera non corretta la UCAR, non aumentando l’ammenda di quest’ultima, ciò non inciderebbe sul carattere di aggravante del comportamento della SGL. Orbene, la SGL non può legittimamente pretendere l’aumento dell’ammenda inflitta alla UCAR, né può invocare a suo favore l’eventuale illegittimità commessa in favore della UCAR (v., in tal senso, sentenza 14 maggio 1998, SCA Holding/Commissione, citata al precedente punto 216, punto 160).

317
All’udienza, la SGL ha nuovamente affermato che il fatto di aver avvertito altre imprese dell’imminenza delle verifiche di cui trattasi non può essere qualificato come circostanza aggravante, in quanto il punto di partenza di tali avvertimenti sarebbe stata la Commissione stessa. La SGL si riferisce in tal modo al fatto che la UCAR avrebbe rivelato l’esistenza di una fuga di notizie nell’ambito dei servizi della Commissione, per cui un funzionario, indicato per nome, avrebbe informato la SGL delle imminenti verifiche a sorpresa nei locali dei membri del cartello. In proposito, è chiaro che tali informazioni, supponendo che siano state effettivamente fornite, non possono in alcun modo essere imputate alla Commissione come espressione della sua politica ufficiale in materia di concorrenza. Si trattava di atti fraudolenti di un agente, intesi a sostenere il funzionamento del cartello. Di conseguenza, la SGL non può validamente riferirsi a tali atti nell’intento di minimizzare la gravità del suo stesso comportamento.

318
Poiché tutti i motivi sollevati dalla Nippon, dalla SEC, dalla UCAR e dalla SGL devono essere disattesi, saranno mantenuti i tassi applicati dalla Commissione agli importi di base stabiliti per le ricorrenti citate.

319
Quanto alle ricorrenti i cui rispettivi importi, in milioni di euro, sono stati modificati in base alla durata dell’infrazione, al fine di tener conto delle circostanze aggravanti considerate dalla Commissione, vanno stabilite le seguenti cifre: Tokai = 13,64; Nippon = 6,82 e SEC = 6,82.

e)     Sulle circostanze attenuanti

Sintesi della Decisione

320
La Commissione ha ritenuto che nei casi della SGL, della UCAR, della Tokai, della SEC, della Nippon e della SDK non ricorresse alcuna circostanza attenuante tale da giustificare una riduzione dell’importo di base. Al contrario, nel caso della C/G, essa ha applicato una riduzione del 40% in ragione del ruolo essenzialmente passivo dell’impresa e della sua parziale disapplicazione degli accordi illeciti (‘considerando’ 165, 166, 193-198, 211-215 e 234-238 della Decisione).

Cause T‑236/01, T‑239/01, T‑244/01, T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01

–     Argomenti delle parti

321
La C/G ritiene che avrebbe dovuto beneficiare di una riduzione ben più significativa del 40% concesso dalla Commissione. Essa sottolinea il suo ruolo marginale e passivo nell’intesa. Essa avrebbe avuto solamente contatti bilaterali con la SGL e non sarebbe stata invitata alle riunioni degli «alti dirigenti» o di «lavoro», né alle riunioni locali; nessuno l’avrebbe neppure informata dello svolgimento delle riunioni citate. Nessuno degli altri membri dell’intesa l’avrebbe indicata come partecipante all’infrazione. Inoltre, essa non avrebbe partecipato né al sistema centrale di sorveglianza istituito ai fini dell’attuazione dell’intesa, né al sistema di nomi in codice creato al fine di nascondere l’identità dei membri dell’intesa. La determinazione dei prezzi da essa applicati non sarebbe stata riservata -contrariamente ad uno dei principi dell’intesa - ai più alti livelli della gerarchia nell’ambito dell’impresa . In seguito, essa avrebbe agito in maniera direttamente contraria ad un altro principio fondamentale dell’intesa, aumentando la sua capacità produttiva e le sue vendite sul mercato del SEE.

322
La C/G afferma, inoltre, di aver venduto nel 1994 la sua tecnologia di fabbricazione ad un produttore cinese per quattro milioni di USD. Tale trasferimento di tecnologia, contrario agli interessi del cartello, avrebbe talmente inquietato la SGL che essa se ne sarebbe lamentata con la C/G. Infine, essa avrebbe interrotto di sua stessa iniziativa i rapporti con l’intesa, prima che la Commissione avviasse la sua indagine. La C/G aggiunge di aver agito sotto la pressione economica cagionata dalla situazione specifica di produttore indipendente dagli altri membri del cartello ed invoca, peraltro, la sovracapacità strutturale dell’industria degli elettrodi di grafite negli anni ‘70 e ‘80, che ha comportato un significativo crollo dei prezzi.

323
Su quest’ultimo punto, la SGL precisa che la crisi strutturale del settore degli elettrodi di grafite è comparabile a quella del settore dell’acciaio all’inizio degli anni ‘90, che ha interessato in ugual misura i produttori di acciaio e quelli di elettrodi di grafite. Orbene, nelle sue decisioni «Tubi d’acciaio senza saldatura» dell’8 dicembre 1999 ed «Extra di lega» del 21 gennaio 1998, la Commissione avrebbe qualificato tale crisi come circostanza attenuante. Tale qualificazione non potrebbe essere negata nel caso in esame con riferimento alla stessa crisi economica.

324
La UCAR fa altresì riferimento alla disastrosa situazione economica del settore e ricorda che sia la Commissione, nella sua prassi decisionale precedente, sia il Tribunale, hanno ritenuto che una situazione simile possa rappresentare una circostanza attenuante. La UCAR ritiene, inoltre, che la sua esemplare indagine interna, volta a scoprire l’infrazione e a porre fine alla stessa quanto più rapidamente possibile, avrebbe meritato di essere qualificata come circostanza attenuante. In tale contesto, la C/G fa riferimento, per quanto la riguarda, all’attuazione di un programma inteso a conformare la sua politica commerciale al diritto della concorrenza.

325
La UCAR aggiunge che dall’intesa in esame non ha ricavato alcun vantaggio finanziario, in quanto la Mitsubishi e la Union Carbide hanno «raccolto» tutti i profitti realizzati mediante l’intesa. Peraltro, la Commissione avrebbe dovuto tener conto delle rilevanti somme pagate dalla UCAR ai suoi clienti negli Stati Uniti, a titolo risarcitorio, per i prezzi artificialmente elevati nel periodo in cui è stata attuata l’infrazione.

326
La Nippon, la SEC e la Tokai sottolineano il loro ruolo passivo nell’ambito dell’intesa. La Nippon ricorda di non aver partecipato alle prime riunioni del cartello, quando sono stati stabiliti i principi fondamentali della ripartizione dei mercati; anche nel corso delle ulteriori riunioni, cui ha effettivamente partecipato, essa sarebbe rimasta meramente passiva. La SEC sottolinea, dal canto suo, di non aver mai partecipato direttamente ad alcuna delle riunioni «degli alti dirigenti»; a tale livello, essa sarebbe stata semplicemente rappresentata, in due occasioni, dalla Tokai. La Commissione, inoltre, avrebbe riconosciuto un ruolo attivo solamente in capo alla Tokai e alla SDK, e non in capo alla SEC (‘considerando’ 212 della Decisione). Inoltre, nel caso specifico della SEC, la più piccola tra le imprese giapponesi, non sussisterebbe alcun nesso di causalità tra l’intesa mondiale e l’astensione dal mercato del SEE. La Tokai afferma di non essere stata implicata attivamente negli accordi collusivi relativi al mercato europeo e di non aver partecipato ad alcuna delle riunioni del gruppo europeo. In occasione delle riunioni degli «alti dirigenti» e di «lavoro», cui ha partecipato, non sarebbe stato concluso alcun accordo sui prezzi europei.

327
La Nippon e la Tokai ritengono, in particolare, che avrebbero dovuto ricevere lo stesso trattamento della C/G, in quanto, proprio come la C/G, esse non hanno ridotto il volume delle loro vendite nel SEE e si sono quindi astenute dall’applicare integralmente gli accordi di cartello.

328
Infine, la Nippon, la SEC e la Tokai contestano alla Commissione di non aver spiegato, nella Decisione, per quali ragioni non è stata concessa loro alcuna circostanza attenuante. In tal modo, essa avrebbe violato l’art. 253 CE.

329
La Commissione si oppone a tutti i motivi ed agli argomenti sollevati dalle ricorrenti.

–      Giudizio del Tribunale

330
Si deve ricordare innanzitutto che, ai sensi del punto 3, primo trattino, degli orientamenti, il «ruolo esclusivamente passivo o emulativo» di un’impresa nella realizzazione dell’infrazione può rappresentare, se dimostrato, una circostanza attenuante.

331
A tal proposito, emerge dalla giurisprudenza che, tra gli elementi atti a dimostrare il ruolo passivo di un’impresa nell’ambito di un’intesa, possono essere presi in considerazione il carattere ben più sporadico della partecipazione alle riunioni rispetto ai membri ordinari dell’intesa (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 343), come pure l’esistenza di dichiarazioni esplicite in tal senso derivanti da rappresentanti di imprese terze che hanno partecipato all’infrazione (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑317/94, Weig/Commissione, Racc. pag. II‑1235, punto 264). In ogni caso, si deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti nel caso di specie.

332
Per quanto riguarda il comportamento della C/G, la Decisione risponde a tali criteri. Come emerge dai suoi ‘considerando’ 81-86 e 234-238, la Commissione ha valutato e compensato adeguatamente, mediante una riduzione dell’ammenda pari al 40%, il ruolo passivo assunto dalla C/G nell’ambito dell’intesa, senza però essere tenuta a concederle un tasso di riduzione maggiore. Infatti, secondo i rilievi svolti dalla Commissione, la C/G – pur non avendo partecipato alle riunioni «degli alti dirigenti» e «di lavoro» del cartello – aveva nondimeno instaurato contatti bilaterali con gli altri membri del cartello e beneficiava delle informazioni ottenute da questi in ordine alle decisioni assunte dai «produttori nazionali» in materia di determinazione dei prezzi nell’ambito dell’intesa. Inoltre, nel suo ricorso, la C/G ha dichiarato esplicitamente che essa non contestava né l’esistenza dell’intesa, né la sua partecipazione alla stessa. Tale conclusione non viene meno per il fatto che i prezzi della C/G non sono stati stabiliti ai più alti livelli della sua gerarchia; dato il ruolo passivo ed «emulativo» della C/G, è irrilevante quale fosse il livello gerarchico in cui venivano calcolati i suoi prezzi, i quali non facevano altro che seguire i prezzi stabiliti dagli altri membri del cartello.

333
Quanto al ruolo svolto dalla Tokai, dalla SEC e dalla Nippon, la Commissione ben poteva distinguerlo da quello svolto dalla C/G, posto che tali produttori giapponesi hanno effettivamente partecipato a numerose riunioni «degli alti dirigenti» e «di lavoro» (‘considerando’ 49-56 della Decisione). I rilievi fattuali della Commissione relativi a tale partecipazione non sono stati contestati né dalla SEC, né dalla Tokai, mentre la contestazione della Nippon in ordine ai rilievi relativi al periodo che va dal maggio 1992 al marzo 1993 è stata respinta (v., supra, punti 100-116). Orbene, qualora un’impresa abbia partecipato, pur senza svolgervi un ruolo attivo, ad una o più riunioni aventi un oggetto anticoncorrenziale, si considera che essa abbia partecipato all’intesa, a meno che non provi di essersi apertamente dissociata dalla concertazione illecita (sentenza Cemento, citata al precedente punto 39, punto 3199, e giurisprudenza ivi citata). La Tokai, la SEC e la Nippon non affermano di essersi apertamente opposte alla creazione ed all’attuazione del cartello in questione.

334
Ad esempio, in occasione della riunione «di lavoro» a Zurigo, il mercato mondiale della grafite è stato esaminato regione per regione, ivi compreso l’Estremo Oriente, e talune quote di mercato sono state altresì attribuite ai produttori giapponesi. Durante la riunione a Vienna, i partecipanti hanno di nuovo effettuato uno scambio di informazioni in ordine al mercato degli elettrodi di grafite regione per regione (‘considerando’ 51, 53 e 71 della Decisione).

335
La non passività del comportamento della SEC e della Nippon non viene meno per il fatto che esse sono state rappresentate dalla Tokai in una o due riunioni: lungi dall’essersi opposte ad una simile «ingerenza inopportuna» nella loro politica commerciale, esse hanno, al contrario, accettato tale rappresentanza e hanno testimoniato la loro adesione all’intesa partecipando, rappresentate dai loro stessi dipendenti, alle altre riunioni che riguardavano i loro interessi, il che evidentemente non avveniva nel caso delle riunioni del gruppo europeo composto dai produttori «nazionali» responsabili del SEE, ragion per cui era sufficiente informare i membri giapponesi del cartello in ordine ai prezzi europei stabiliti in occasione di dette riunioni. Dato il rilievo mondiale del cartello, nel cui ambito i produttori giapponesi avevano il ruolo di concentrarsi sul loro mercato «nazionale» in Asia, la Commissione ha potuto correttamente ritenere che essi non avessero svolto un ruolo passivo nell’infrazione. Di conseguenza, essa non era tenuta a indicare, nell’ambito della Decisione, le ragioni per cui essa non ha riconosciuto loro alcuna circostanza attenuante in tal senso.

336
Contrariamente alla censura relativa all’insufficiente riduzione dell’ammenda della C/G in ragione della sua parziale disapplicazione degli accordi illeciti, la Commissione ha valutato adeguatamente il fatto che la C/G aveva effettivamente aumentato le sue vendite sul mercato del SEE, non rispettando quindi il principio di base del cartello di restrizione delle vendite sui mercati «non nazionali» (‘considerando’ 235 della Decisione). Nell’ambito di tale valutazione, essa non era tenuta a prendere in considerazione anche l’aumento della capacità produttiva della C/G. Da un lato, infatti, la Commissione ha dichiarato nel suo controricorso, senza essere contraddetta sul punto dalla replica della C/G, che la capacità produttiva di quest’ultima era rimasta essenzialmente invariata per tutta la durata dell’infrazione ad essa contestata (dal 1993 al 1996). D’altro lato, può ritenersi che l’aumento delle vendite europee rifletta in maniera sufficiente, per quanto riguarda il mercato del SEE, ogni eventuale aumento della capacità produttiva.

337
In tale contesto, la Nippon e la Tokai invocano il principio di parità di trattamento, affermando di trovarsi nella medesima situazione della C/G, che era stata «ricompensata» per aver aumentato il volume delle sue vendite nel SEE.

338
L’argomento della Nippon dev’essere disatteso, posto che la ricorrente si limita a sostenere che essa «non aveva ridotto il volume delle sue vendite nell’ambito del SEE», senza tuttavia fornire il benché minimo dato numerico. Orbene, la Commissione poteva giustamente distinguere tra l’affermazione, non dimostrata, della Nippon di aver mantenuto il volume delle vendite, e il fatto, incontestato, che la C/G aveva più che raddoppiato le sue vendite tra il 1993 e il 1996.

339
Nel caso della Tokai, che sostiene di essersi introdotta, nel 1996, nel mercato tedesco, uno dei mercati «nazionali» della SGL e della UCAR, e di aver quadruplicato le sue vendite nel SEE tra il 1992 e il 1997 (da 200 tonnellate nel 1992 a 900 tonnellate nel 1997), va rilevato che la Tokai, contrariamente alla C/G, ha ottenuto solamente una minima quota di mercato del SEE, cioè meno del 2%, mentre quella della C/G raggiungeva quasi l’8%. Di conseguenza, la Commissione poteva giustamente ritenere, senza con ciò incorrere in alcun errore di valutazione e senza violare il principio di parità di trattamento, che, se la Tokai ha dato luogo ad una non applicazione degli accordi illeciti, tale non applicazione non raggiungeva una ragionevole soglia di efficacia ai sensi del punto 3, secondo trattino, degli orientamenti. Il Tribunale, pur nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, non ritiene di dover modificare tale valutazione.

340
Lo stesso vale per l’argomento della C/G, secondo cui essa aveva ceduto, nel 1994, la sua tecnologia di fabbricazione ad un produttore cinese per quattro milioni di USD, e ciò contrariamente ad uno dei principi fondamentali del cartello (‘considerando’ 50, ultimo trattino, della Decisione). Infatti, i dettagli di tale trasferimento di tecnologia non sono stati resi noti dalla C/G nel corso del procedimento amministrativo – la sua dichiarazione dell’11 ottobre 1999 e la sua risposta del 6 aprile 2000 alla comunicazione degli addebiti contengono ciascuna una sola frase in tal senso – cosicché la Commissione non è incorsa in alcun errore rifiutando di prendere in considerazione tale trasferimento nella Decisione. Il Tribunale non vede alcuna ragione per riformare il giudizio della Commissione, pur nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, tanto più che l’azienda progettata per la Cina non è mai stata realizzata.

341
Infine, il fatto che la C/G abbia volontariamente posto fine all’infrazione prima dell’avvio dell’indagine della Commissione è stato adeguatamente considerato ai fini del calcolo della durata dell’infrazione attribuita alla C/G (‘considerando’ 157 della Decisione). La C/G, in particolare, non può richiamarsi al terzo trattino del punto 3 degli orientamenti, perché la cessazione del suo comportamento anticoncorrenziale non è stata indotta da interventi della Commissione.

342
Anche gli ulteriori argomenti volti ad ottenere la riduzione dell’ammenda in forza di circostanze attenuanti devono essere, del pari, disattesi.

343
Innanzitutto, il fatto che, a seguito dell’indagine avviata dalla Commissione, la C/G e la UCAR abbiano avviato rispettivamente un programma di adeguamento alle norme in materia di concorrenza e un’indagine interna volta a porre fine all’infrazione non cambia nulla quanto all’effettiva sussistenza dell’infrazione stessa. Di conseguenza, il solo fatto che, in alcuni casi, la Commissione abbia preso in considerazione, nella sua prassi decisionale precedente, simili misure alla stregua di una circostanza attenuante non fa sorgere a suo carico l’obbligo di procedere allo stesso modo in ogni circostanza (sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 357, e 14 maggio 1998, causa T‑352/94, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. II‑1989, punti 417 e 419). Ciò è ancor più vero quando l’infrazione in oggetto rappresenta, come nella fattispecie, una manifesta violazione dell’art. 81, n. 1, lett. a) e c), CE. Peraltro, poiché l’indagine interna della UCAR ha favorito la sua cooperazione con la Commissione, quest’ultima ne ha tenuto conto concedendole una riduzione dell’ammenda pari al 40% in base alla sua comunicazione sulla cooperazione.

344
In secondo luogo, quanto all’argomento della C/G relativo alla pressione economica che avrebbe subito, l’unica precisazione fornita dalla ricorrente in proposito è relativa a taluni contatti avuti con la SGL nel 1996 (‘considerando’ 82 della Decisione), ovvero dopo l’attuazione dell’intesa. Pertanto, è sufficiente ricordare che la C/G ha liberamente deciso di adeguarsi alle decisioni dei membri dell’intesa in materia di prezzi. Essa non ha dichiarato di aver subito pressioni per aderire all’intesa; peraltro, anche se così fosse stato, essa avrebbe potuto informarne le autorità competenti, anziché aderire all’intesa. L’argomento non può quindi essere accolto.

345
Lo stesso vale per quanto riguarda, in terzo luogo, il riferimento della C/G, della SGL e della UCAR alla crisi strutturale del settore degli elettrodi di grafite. A tal proposito è sufficiente ricordare che, nella sua sentenza 20 marzo 2002, causa T‑16/99, Lögstör Rör/Commissione (Racc. pag. II‑1633, punti 319 e 320), pronunciata nella causa «tubi preisolati», il Tribunale ha rilevato che la Commissione non è tenuta a considerare quale circostanza attenuante la situazione finanziaria negativa del settore di cui trattasi. Il Tribunale ha del pari confermato che, anche se in precedenti cause la Commissione ha tenuto conto della situazione economica del settore quale circostanza attenuante, essa non è necessariamente tenuta a continuare ad osservare tale prassi (sentenza del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑13/89, ICI/Commissione, Racc. pag. II‑1021, punto 372). Infatti, come giustamente rilevato dalla Commissione, i cartelli sorgono, in generale, nel momento in cui un settore entra in difficoltà. Se si accogliesse il ragionamento delle ricorrenti, l’ammenda dovrebbe essere sistematicamente ridotta nella quasi totalità dei casi. È quindi inutile verificare ulteriormente se siano effettivamente comparabili i fatti che ricorrono nella fattispecie e quelli che sono all’origine di altre decisioni, nelle quali talune crisi strutturali sono state considerate come circostanze attenuanti.

346
In quarto luogo, e in via subordinata, non è convincente l’argomento della SGL, secondo cui da una crisi dell’industria dei tubi d’acciaio sarebbe derivata una crisi relativa in particolare ai produttori di elettrodi di grafite. La Commissione ha affermato in proposito, senza essere contraddetta sul punto, che la produzione mondiale d’acciaio elettrico è passata da 196 milioni di tonnellate nel 1987 a 270 milioni di tonnellate nel 1997 (nono ‘considerando’ della Decisione). Se ne può dedurre che un’eventuale riduzione della produzione globale d’acciaio non ha interessato, in primo luogo, la produzione delle acciaierie elettriche, bensì quella delle acciaierie tradizionali (‘considerando’ 4, 5, 9 e 10 della Decisione).

347
In quinto luogo, quanto al fatto che solamente le società Mitsubishi e Union Carbide, e non la UCAR, avrebbero tratto vantaggi economici dall’intesa, la circostanza che un’impresa non abbia tratto alcun vantaggio dall’infrazione non può rappresentare una circostanza attenuante, poiché diversamente quest’ultima perderebbe il suo carattere dissuasivo (v., in tal senso, sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punti 340‑342, e la giurisprudenza ivi citata). La mancanza di vantaggio economico non limita in alcun modo la gravità dell’infrazione commessa. Peraltro, se la UCAR intende contestare il comportamento della Mitsubishi e della Union Carbide, essa deve agire contro tali società per far valere i propri diritti, come ha già fatto introducendo un ricorso negli Stati Uniti.

348
Infine, la UCAR fa valere talune transazioni di diritto civile stipulate negli Stati Uniti e in Canada; tuttavia, neppure queste ultime incidono minimamente sulla gravità dell’infrazione commessa e non possono pertanto essere prese in considerazione come circostanze attenuanti. Se è vero che la Commissione ha tenuto conto, nella decisione tubi preisolati, del risarcimento versato a un concorrente, la cui eliminazione dal mercato comunitario aveva rappresentato uno dei principali obiettivi dell’intesa, tale concorrente aveva sede nella Comunità e faceva quindi parte degli operatori economici protetti dal diritto comunitario della concorrenza. Tale circostanza non obbliga la Commissione a tener conto, in favore della UCAR, del risarcimento di clienti negli Stati Uniti e in Canada per le perdite subite sui citati mercati. Le transazioni di cui trattasi sono ininfluenti per quanto riguarda l’infrazione commessa dalla UCAR nel SEE.

349
Risulta da quanto sopra che i motivi e gli argomenti sollevati dalla Tokai, dalla C/G, dalla Nippon, dalla UCAR e dalla SEC devono essere respinti.

f)     Sul limite massimo delle ammende e sulla capacità contributiva di talune ricorrenti ai sensi del punto 5 degli orientamenti

Cause T‑239/01 e T‑245/01

350
Nel ricordare che l’ammenda di base calcolata per la UCAR è stata ridotta del 15,2% al fine di rispettare il limite massimo del 10% del fatturato complessivo della UCAR (‘considerando’ 199 della Decisione), la SDK e la SGL rimproverano alla Commissione di aver concesso alla UCAR tale correzione prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, quindi in una fase intermedia del processo di determinazione delle ammende, e non alla fine di tale processo. Orbene, le ammende inflitte alle altre partecipanti all’intesa non sarebbero state ridotte in maniera analoga. La SDK e la SGL denunciano tale disparità di trattamento e pretendono la medesima riduzione delle loro ammende, affinché sia mantenuto un rapporto coerente e proporzionale con l’ammenda applicata alla UCAR.

351
La SDK afferma di essere stata eccessivamente sanzionata per il fatto che il suo fatturato complessivo supera ampiamente quello relativo alle vendite di elettrodi di grafite; essa sarebbe stata quindi penalizzata per il fatto di avere un numero più elevato di attività ulteriori, non riguardanti la vendita del prodotto di cui trattasi. Se l’attività della SDK in materia di elettrodi di grafite fosse stata gestita come attività imprenditoriale autonoma, l’applicazione della soglia massima del 10% avrebbe portato a ridurre l’ammenda finale a 6,6 milioni di euro.

352
A tal riguardo, il Tribunale rileva che la Commissione, applicando alla UCAR il limite massimo del 10% non «al risultato finale del calcolo dell’ammenda», bensì in una fase anteriore, cioè prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, non ha rispettato il disposto del punto 5, lett. a), degli orientamenti. Orbene, la Commissione, avendo stabilito di applicare nel caso di specie il metodo definito negli orientamenti, è tenuta a conformarvisi ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, salvo illustrare specificamente i motivi che giustifichino, caso per caso, l’eventuale scostamento su un determinato punto (v. la giurisprudenza citata al precedente punto 157 e la sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punto 271).

353
Il ‘considerando’ 199 della Decisione, limitandosi a rinviare al limite massimo delle ammende previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, non contiene alcuna spiegazione specifica in ordine al motivo per cui la Commissione si è discostata dagli orientamenti. La Commissione ha tuttavia spiegato, dinanzi al Tribunale, che essa aveva applicato la riduzione del 15,2% in favore della UCAR non perché avesse ritenuto che l’infrazione commessa da quest’ultima meritasse una sanzione inferiore a quella degli altri membri dell’intesa, bensì in quanto intendeva tener conto del fatto che, solo nel caso della UCAR, l’importo di base determinato prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione superava il limite massimo previsto di 15,1 milioni di euro, cioè del 15,2%. Di conseguenza, la Commissione ha ritenuto necessario anticipare l’applicazione di tale limite per garantire che la comunicazione sulla cooperazione potesse dispiegare pienamente i suoi effetti: se l’importo di base eccedeva ampiamente il limite del 10% ancor prima dell’applicazione della citata comunicazione, senza che tale limite potesse essere immediatamente applicato, l’invito a collaborare con la Commissione rivolto all’impresa interessata sarebbe stato molto meno incisivo, posto che l’ammenda finale sarebbe stata ricondotta in ogni caso al 10%, con o senza la sua cooperazione.

354
Il Tribunale ritiene che tale spiegazione giustifichi l’approccio scelto dalla Commissione nel caso della UCAR. La relativa motivazione non doveva essere contenuta nella Decisione stessa, in quanto l’approccio in questione non è pregiudizievole per l’impresa interessata, cioè la UCAR. Anche qualora tale misura favorevole alla UCAR fosse illegittima per carenza di motivazione, la SDK e la SGL non potrebbero invocare tale illegittimità commessa in favore di un terzo (v. in senso, sentenza 14 maggio 1998, SCA Holding/Commissione, citata al precedente punto 216, punto 160).

355
In ogni caso, è pacifico che la SDK e la SGL non si trovavano in una situazione analoga a quella della UCAR in termini di fatturato complessivo, dato che l’importo di base stabilito per loro non superava il limite massimo prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Di conseguenza, esse non possono validamente affermare che la Commissione, in base al principio di parità di trattamento, era tenuta ad accordare loro la stessa riduzione applicata alla UCAR. Ne discende che i motivi relativi alla violazione di tale principio devono essere respinti.

356
Lo stesso vale per il motivo sollevato dalla SDK, secondo cui la sua ammenda avrebbe dovuto essere significativamente ridotta qualora la sua attività relativa agli elettrodi di grafite fosse stata gestita come attività imprenditoriale autonoma. Tale motivo è basato su speculazioni assolutamente estranee all’effettivo status giuridico della società, di cui la Commissione doveva tener conto nel ricollegare, in conformità ad una giurisprudenza consolidata (v., ad esempio, sentenza musique Diffusion Française/Commissione, citata al precedente punto 144, punti 118 e 119, e sentenza Cemento, citata al precedente punto 39, punto 5022), il limite massimo del 10% al fatturato complessivo (senza distinzione di prodotti) della SDK. Posto che la SDK ha optato per una struttura «unitaria» verticale della sua società, la Commissione poteva semplicemente prenderne atto e supporre che tale struttura corrispondesse all’interesse economico della SDK. Peraltro, allo stadio attuale, nulla permette di sapere quale sarebbe stato lo statuto preciso e quale la posizione di un’«attività imprenditoriale autonoma» nell’ambito del gruppo SDK. Anche tale motivo dev’essere quindi respinto.

Cause T‑239/01, T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01

–      Argomenti delle parti

357
La SEC afferma che la sua ammenda corrisponde all’11, 3% del suo fatturato complessivo realizzato nel 1999, e supera quindi il tetto massimo del 10% di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

358
La SGL ritiene che la Commissione non fosse legittimata a calcolare la sua ammenda sulla base del suo fatturato realizzato nel 2000. Tale fatturato sarebbe aumentato di 180 milioni di euro a seguito dell’acquisizione, nel gennaio 2000, di un’altra società. Orbene, la sentenza Cemento (citata al precedente punto 39, punto 5045), non consentirebbe di prendere in considerazione un aumento del fatturato successivo alla fine dell’infrazione (marzo 1998). In tale contesto, la SGL si lamenta dell’eccessiva durata del procedimento amministrativo; il ritardo accumulato avrebbe compromesso i suoi interessi finanziari, posto che il suo fatturato nel 1999 era inferiore a quello del 2000.

359
La SGL aggiunge che il limite massimo del 10% è assoluto, nel senso che non può essere superato neppure dagli importi «intermedi» (di partenza e di base) stabiliti dalla Commissione nel corso della sua procedura di calcolo. Sarebbe erroneo l’opposto ragionamento svolto dal Tribunale nella sentenza LR AF/Commissione, citata al precedente punto 38.

360
La SGL contesta infine alla Commissione di non aver tenuto conto della sua difficile situazione finanziaria. Così facendo essa avrebbe violato il punto 5, lett. b), degli orientamenti.

361
La UCAR e la C/G invocano, del pari, la loro incapacità di pagare l’ammenda. Esse sottolineano la difficile situazione del settore degli elettrodi di grafite, nonché la loro precaria situazione finanziaria.

362
In tale contesto, la UCAR ricorda il grave indebitamento cagionatole dalla Mitsubishi e dalla Union Carbide nel corso della sua ristrutturazione nel 1995. Essa fa inoltre riferimento alle pesanti ammende inflittele dalle autorità americane e canadesi. Attualmente la UCAR non avrebbe più la possibilità di chiedere ulteriori prestiti a causa del congelamento delle sue linee di credito. La UCAR ricorda che la Commissione ha reiteratamente tenuto conto, nella sua prassi decisionale anteriore, della situazione finanziaria dei destinatari delle sue decisioni, e ciò nello stabilire l’importo delle ammende ovvero nel determinare le condizioni di pagamento. Orbene nella fattispecie, essa avrebbe contraddetto la propria prassi amministrativa.

363
La C/G aggiunge che, poco dopo l’adozione della Decisione, le sue difficoltà finanziarie l’hanno costretta a chiedere l’avvio di una procedura di fallimento negli Stati Uniti.

364
La Commissione contesta tutti i motivi e gli argomenti dedotti dalle ricorrenti.

–     Giudizio del Tribunale

365
Quanto al motivo sollevato dalla SEC, è sufficiente ricordare che il massimale del 10%, previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, fa riferimento all’esercizio sociale precedente la data della Decisione, cioè, nella fattispecie, l’anno 2000 (v., in tal senso, sentenze 16 novembre 2000, Sarriò/Commissione, citata al precedente punto 239, punto 85, e FETTCSA, citata al precedente punto 47, punto 506). Orbene, la SEC ammette esplicitamente che, nel suo caso, detto massimale è stato rispettato con riferimento all’anno 2000. Pertanto, il motivo dev’essere respinto.

366
Laddove la SGL afferma che la Commissione era tenuta a calcolare la sua ammenda in base al fatturato complessivo dell’esercizio 1999, poiché tale fatturato era di gran lunga inferiore a quello dell’esercizio 2000, è sufficiente ricordare che il calcolo delle ammende si è basato sui fatturati mondiali realizzati nel 1998 con la vendita del prodotto di cui trattasi e sulle quote di mercato delle imprese interessate tra il 1992 e il 1998 (‘considerando’ 30, 149 e 150 della Decisione). Detti fatturati non fanno riferimento né all’esercizio 1999, né all’esercizio 2000. L’argomento della SGL è quindi irrilevante.

367
Risulta inoltre da costante giurisprudenza che il limite massimo del 10%, di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, fa riferimento al fatturato complessivo dell’impresa considerata, poiché solo questo fatturato dà un’indicazione approssimativa dell’importanza e dell’influenza di tale impresa sul mercato (v. sentenza Cemento, citata al precedente punto 39, punto 5022, nonché la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, solo l’ammenda conclusivamente applicata deve rispettare il limite sopra indicato, in conformità al citato art. 15; tale disposizione non vieta alla Commissione di fare riferimento, nel suo calcolo, ad un importo intermedio superiore al detto limite, sempreché l’importo dell’ammenda finale inflitta all’impresa stessa non superi tale limite massimo (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 38, punti 287 e 288). Nel caso della SGL, l’ammenda finale di EUR 80,2 milioni è inferiore al limite del 10%, riferito sia all’esercizio 1999 (EUR 980 milioni), sia all’esercizio 2000 (EUR 1 262 milioni). Gli argomenti della SGL basati su un’eccessiva durata del procedimento amministrativo, nonché sulla sentenza Cemento (punto 5045) non sono quindi pertinenti.

368
La critica rivolta alla sentenza LR AF/Commissione è infondata. La SGL si richiama al diritto penale, che non consente al giudice di superare il livello massimo previsto per un determinato reato; va sottolineato tuttavia che nessuna norma di diritto comunitario prevede sanzioni amministrative minime o massime per i vari tipi di infrazioni al diritto della concorrenza. La Commissione è quindi libera, in linea di principio, di determinare l’importo delle ammende volte a sanzionare tali infrazioni in funzione della gravità e della durata di queste ultime. Il solo limite massimo del potere sanzionatorio attribuito alla Commissione riguarda la capacità finanziaria dell’impresa interessata, in termini di fatturato complessivo di quest’ultima. Nulla impedisce quindi alla Commissione di superare, con operazioni di calcolo puramente intermedie relative alla gravità e alla durata dell’infrazione, il limite massimo del 10%, di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

369
Quanto alla difficile situazione del settore degli elettrodi di grafite, non si tratta di un contesto economico «specifico», ai sensi del punto 5, lett. b), degli orientamenti. Come sopra rilevato, i cartelli nascono proprio nel momento in cui un settore entra in difficoltà. Se tale rilievo non ha giustificato il riconoscimento di una circostanza attenuante (v., supra, punto 345), esso non può neppure giustificare, in questo contesto, una riduzione dell’ammenda.

370
Ciò vale anche per la precaria situazione economica della SGL, della UCAR e della C/G. Infatti, secondo costante giurisprudenza, la Commissione non è obbligata a tener conto della situazione deficitaria di un’impresa ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, considerato che ammettere un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un ingiustificato vantaggio concorrenziale alle imprese meno adeguate alle condizioni del mercato (sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 38, punto 308; sentenza HFB e a./Commissione, citata al precedente punto 280, punto 596, e sentenza FETTCSA, citata al precedente punto 47, punto 351, e giurisprudenza ivi citata). Il fatto che la Commissione abbia ritenuto, nella propria prassi decisionale anteriore, di dover tener conto delle difficoltà economiche di una determinata impresa non implica che essa sia costretta ad effettuare la medesima valutazione in una decisione successiva (sentenza FETTCSA, punti 353 e 354).

371
Tale giurisprudenza non è contraddetta dal punto 5, lett. b), degli orientamenti, secondo cui dev’essere presa in considerazione la capacità contributiva reale di un’impresa. Infatti, tale capacità rileva solamente nel suo «contesto sociale particolare», rappresentato dalle conseguenze che deriverebbero dal pagamento dell’ammenda, in particolare, a livello di aumento della disoccupazione ovvero di deterioramento dei settori economici a monte e a valle dell’impresa interessata. A tal proposito, le ricorrenti non hanno fornito alcun elemento che permetta di valutare detto «contesto sociale particolare».

372
Peraltro, il fatto che un provvedimento assunto da un’autorità comunitaria cagioni il fallimento ovvero la liquidazione di una determinata impresa non risulta vietato, in quanto tale, dal diritto comunitario (v., in tal senso, sentenze della Corte 15 gennaio 1986, causa 52/84, Commissione/Belgio, Racc. pag. 89, punto 14, e 2 luglio 2002, causa C‑499/99, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑6031, punto 38). Infatti, la liquidazione di un’impresa nella sua forma giuridica attuale, pur potendo pregiudicare gli interessi finanziari dei proprietari, degli azionisti o dei detentori di quote, non significa tuttavia che gli elementi personali, materiali e immateriali da cui l’impresa è costituita perdano anch’essi il loro valore.

373
All’udienza, la SGL ha affermato che il fatto che la Commissione non abbia tenuto conto della situazione finanziaria negativa dell’impresa contrasta con la prassi assai recente della Commissione, che, nella sua decisione 17 dicembre 2002, C (2002) 5083 finale, relativa ad un procedimento a norma dell’art. 81 del Trattato CE e dell’art. 53 dell’accordo sul SEE (COMP/E-2/37.667 – Grafite speciale) ha espressamente ridotto l’ammenda inflitta alla SGL a causa della grave situazione finanziaria dell’impresa. Secondo la SGL, la stessa riduzione avrebbe dovuto quindi essere concessa nel caso di specie.

374
È sufficiente rilevare in proposito che la decisione 17 dicembre 2002 ha considerato sia la situazione economica della SGL, sia il fatto che all’impresa era già stata applicata un’ammenda rilevante per la sua partecipazione al cartello sul mercato degli elettrodi di grafite, sicché la Commissione ha ritenuto che, «in tali specifiche circostanze, non era necessario applicare l’importo integrale dell’ammenda per ottenere un sufficiente effetto dissuasivo» (‘considerando’ 558). La SGL non può quindi validamente richiamare tale particolarità della decisione 17 dicembre 2002 e contestare alla Commissione un errore di diritto ovvero un errore manifesto di valutazione per non essersi discostata, nel presente contesto, non caratterizzato da tale particolarità, dalla giurisprudenza citata al precedente punto 370.

375
La C/G elenca quindi le sue difficoltà economiche di cui la Commissione avrebbe dovuto tener conto, cioè l’assenza di sedi produttive al di fuori degli Stati Uniti e l’incapacità di offrire servizi tecnici di alto livello, i costi elevati della sua manodopera, la bassa qualità dei suoi prodotti e l’integrazione verticale delle sue attività produttive. A fronte di tale argomento la Commissione ha correttamente sottolineato che tali problemi si sono riflessi nel fatturato e, pertanto, nella classificazione della C/G in una categoria per la quale è stato stabilito un importo di partenza inferiore rispetto a quello della SGL e della UCAR. Inoltre, poiché la C/G è riuscita ad aumentare il volume delle sue vendite in Europa nonostante tali difficoltà, le è stata riconosciuta una rilevante riduzione dell’ammenda mediante l’applicazione di circostanze attenuanti. Di conseguenza, in questo contesto non risulta giustificata alcuna ulteriore riduzione dell’ammenda.

376
I riferimenti della UCAR alle sanzioni inflittele negli Stati Uniti e in Canada, nonché al comportamento pregiudizievole della Mitsubishi e della Union Carbide non fanno che ripetere, in questo contesto, motivi che sono già stati respinti sopra. È sufficiente quindi ricordare che la UCAR non ha dimostrato di essersi trovata in un «contesto sociale specifico» che imponeva alla Commissione di rinunciare, quantomeno in parte, all’applicazione di un’ammenda. Quanto al comportamento della Mitsubishi e della Union Carbide, che nell’ambito della Decisione non sono state identificate e sanzionate quali autrici dell’infrazione, nulla imponeva alla Commissione di ridurre di conseguenza l’ammenda della UCAR, il cui ruolo di autrice dell’infrazione è stato accertato, risparmiando in tal modo a quest’ultima l’introduzione dinanzi ai giudici nazionali competenti di ricorsi per il risarcimento del danno economico che asserisce di aver subito a causa del comportamento di tali due società.

377
Poiché nessuno dei motivi e degli argomenti sollevati in questo contesto è stato accolto, gli importi di base, come finora determinati, rimangono invariati.

3.  Sui motivi relativi ad una violazione della comunicazione sulla cooperazione

378
La SGL, la UCAR e la C/G sostengono che la Commissione ha concesso loro riduzioni delle ammende insufficienti ai sensi del punto D della comunicazione sulla cooperazione.

379
Ai sensi del citato punto D, «[u]n’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B o C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione» (punto 1).

«Ciò può verificarsi in particolare:

se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,

se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse» (punto 2).

380
Nella Decisione, la Commissione ha applicato il punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione ai casi della SGL (‘considerando’ 169 e 172-175), della UCAR (‘considerando’ 200-202) e della C/G (‘considerando’ 239 e 240).

a)      Causa T‑239/01

Sintesi della Decisione

381
La Commissione ha ridotto del 30% l’ammenda della SGL in quanto questa aveva cooperato fin dallo stadio iniziale del procedimento (‘considerando’ 167-169 e 175). Tuttavia, dopo i primi contatti nell’aprile 1998, la SGL non avrebbe veramente cooperato, e quindi la Commissione ha dovuto inviarle una richiesta formale di informazioni ed un richiamo nel quale essa si riservava il diritto di adottare una decisione formale in applicazione dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. In risposta, la SGL ha fornito, l’8 giugno 1999, una dichiarazione ufficiale relativa alla sua partecipazione al cartello (‘considerando’ 173). La Commissione, ritenendo che la cooperazione delle imprese debba essere volontaria e, in particolare, prestata al di fuori dell’esercizio di qualsiasi potere di indagine, ha stabilito che una parte sostanziale delle informazioni fornite nella dichiarazione dell’8 giugno 1999 costituiscono di fatto la risposta di SGL alla richiesta di informazioni della Commissione. La dichiarazione di SGL è quindi considerata come contributo volontario ai sensi della comunicazione sulla cooperazione soltanto per quanto riguarda le informazioni più ampie di quelle richieste ai sensi dell’art. 11 (‘considerando’ 174).

Argomenti delle parti

382
La SGL afferma che non era tenuta a rispondere a talune domande contenute nella richiesta di informazioni della Commissione, in quanto altrimenti sarebbe stata essa stessa costretta ad accusarsi. Nella sua dichiarazione 8 giugno 1999, essa avrebbe tuttavia fornito risposte concrete ed esatte. Alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Funke 25 febbraio 1993, serie A n. 256/A, § 44), la SGL sarebbe stata addirittura legittimata ad opporsi a qualsiasi contributo attivo alla dimostrazione della propria responsabilità. Ritenendo erroneamente che la SGL fosse tenuta a rispondere a tutte le domande poste, la Commissione avrebbe sottovalutato la sua volontaria cooperazione.

383
La SGL aggiunge che la Commissione avrebbe inoltre dovuto tener conto della sua risposta ad una richiesta di informazioni del 30 luglio 1997. Mediante tale risposta la SGL avrebbe confermato di aver avvertito soggetti terzi della verifica imminente da parte della Commissione. Tale richiesta di informazioni avrebbe avuto l’obiettivo di ottenere dalla SGL la confessione di un’infrazione, cosicché la SGL non sarebbe stata in alcun caso tenuta a rispondere. La sua confessione volontaria avrebbe pertanto dovuto condurre ad una più significativa riduzione dell’ammenda.

384
La SGL ritiene che la sua dichiarazione 8 giugno 1999 sia intervenuta nella stessa fase del procedimento amministrativo in cui è intervenuta la cooperazione della SDK e della UCAR. Essa avrebbe esposto i fatti in maniera altrettanto dettagliata di quanto hanno fatto le citate società, poiché la portata e il contenuto delle informazioni erano obiettivamente equivalenti. Di conseguenza, la Commissione non avrebbe potuto attribuire alla cooperazione fornita dalla SGL un valore più limitato rispetto a quella cronologicamente anteriore della SDK e della UCAR (sentenza Krupp, citata al precedente punto 279, punti 237 e segg.).

385
La SGL ritiene inoltre di essere stata discriminata rispetto alla UCAR, alla C/G e alla SDK.

386
In primo luogo, il fatto che l’ammenda inflitta alla UCAR sia stata ridotta del 40%, mentre l’ammenda della SGL è stata ridotta solamente del 30% rappresenterebbe una disparità di trattamento, posto che la cooperazione della UCAR non supererebbe, nella sostanza, la cooperazione della SGL. Fin dall’inizio, questa avrebbe informato la Commissione della sua intenzione di collaborare quanto prima possibile, pur sottolineando che il procedimento penale parallelo in corso a suo carico negli Stati Uniti le impediva di comunicare per iscritto alla stessa Commissione tutti i dettagli di fatto relativi all’intesa. Essa avrebbe dovuto attendere la conclusione di una transazione giudiziaria (plea agreement) nel maggio 1999 per poter inviare alla Commissione la sua dichiarazione dell’8 giugno 1999. Orbene, la UCAR e la SDK avrebbero ugualmente atteso l’ esito di analoghe transazioni giudiziarie prima di trasmettere le loro informazioni alla Commissione. La SGL non avrebbe dovuto essere svantaggiata per il fatto che la SDK e la UCAR hanno potuto definire in anticipo le loro transazioni giudiziarie, poiché la SGL non avrebbe avuto alcun influenza sul comportamento delle autorità americane. La SGL aggiunge che le dichiarazioni dei due collaboratori della UCAR, trasmesse alla Commissione in data 25 marzo 1999, non possono essere considerate come una cooperazione dell’impresa, poiché solamente l’impresa stessa può essere coinvolta nel procedimento ed essere considerata responsabile della cooperazione. Inoltre, il valore della cooperazione prestata dalla UCAR sarebbe inferiore a quello attribuitole dalla Commissione.

387
In secondo luogo, la concessione alla C/G di una riduzione dell’ammenda nella misura del 40% rappresenterebbe un errore di valutazione, in quanto si è ritenuto che la parziale disapplicazione degli accordi illeciti da parte della C/G potesse giustificare una simile riduzione. Infatti, la C/G avrebbe tenuto un comportamento analogo a quello degli altri partecipanti all’intesa.

388
In terzo luogo, la Commissione avrebbe operato una disparità di trattamento a danno della SGL riducendo del 70%, ai sensi del punto C della comunicazione sulla cooperazione, l’importo dell’ammenda inflitta alla SDK. Orbene, la Decisione non preciserebbe se i presupposti di cui alla citata comunicazione fossero effettivamente presenti nel caso della SDK e mancassero invece nel caso della SGL. In ogni caso, il contributo della SDK non giustificherebbe il trattamento particolarmente favorevole accordato a detta impresa.

389
La Commissione replica che quasi tutti gli elementi evidenziati dalla SGL al fine di dimostrare la rilevanza della sua cooperazione rappresentano indicazioni che essa aveva l’obbligo di fornire, in conformità all’art. 11 del regolamento n. 17, cioè le date, i luoghi, i partecipanti e le modalità di preparazione e di organizzazione delle riunioni con i concorrenti, i quantitativi e le consegne degli elettrodi di grafite nella Comunità e le tabelle relative all’evoluzione dei prezzi. Di conseguenza, tutte queste indicazioni non avrebbero dovuto essere prese in considerazione ai fini dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Anche nell’ipotesi in cui la SGL non fosse stata tenuta a fornire talune delle informazioni richieste il 31 marzo 1999, il suo contributo non dovrebbe essere sopravvalutato: infatti, l’8 giugno 1999, data in cui ha ricevuto la dichiarazione dalla SGL, la Commissione sarebbe già stata in possesso della maggior parte delle informazioni rilevanti grazie alla cooperazione della SDK e di due collaboratori di alto livello della UCAR. In ogni caso, la SGL non avrebbe assunto l’iniziativa di cooperare, bensì si sarebbe limitata a rispondere ad una richiesta di informazioni.

390
Il riferimento della SGL alla sentenza Krupp (citata al precedente punto 279) sarebbe inconferente, posto che la cronologia delle risposte fornite nella causa Krupp corrispondeva all’ordine in cui la Commissione aveva interrogato le imprese interessate; di conseguenza, a parere del Tribunale, il solo fatto che una di tali imprese avesse riconosciuto i fatti contestati rispondendo per prima alle domande poste non poteva rappresentare una ragione oggettiva di trattamento differenziato. Nella fattispecie, al contrario, l’ordine in cui i documenti sono giunti alla Commissione non sarebbe spiegabile in base a quello in cui la Commissione ha interrogato la SGL, la SDK e la UCAR.

391
La Commissione aggiunge che la SGL ha fornito una risposta incompleta alla sua richiesta di sapere quali fossero le imprese che la SGL aveva informato dell’imminenza delle verifiche della Commissione: la SGL non avrebbe rivelato di aver avvertito anche la UCAR. Orbene, essa avrebbe benissimo potuto informare la Commissione del fatto di aver avvertito tre imprese, senza con ciò ammettere l’esistenza di un’infrazione. Infatti, il fatto di segnalare ad altre imprese l’imminenza delle verifiche non rappresenterebbe, in sé stesso, una violazione dell’art. 81 CE.

392
Laddove la SGL afferma di essere stata discriminata rispetto alla UCAR, alla C/G e alla SDK, la Commissione replica che la UCAR ha contribuito in maniera più significativa all’accertamento dell’infrazione di quanto abbia fatto la SGL. Quanto al ruolo assunto dalla C/G, la Commissione sottolinea che la passività del comportamento della C/G, nonché l’aumento delle sue vendite in Europa hanno permesso a quest’ultima di ottenere una riduzione dell’ammenda pari al 40%, mediante l’applicazione di circostanze attenuanti. La situazione della C/G e quella della SGL non sarebbero quindi comparabili. Lo stesso varrebbe per il confronto con la SDK. Contrariamente alla SGL, la SDK avrebbe beneficiato dell’applicazione del punto C della comunicazione sulla cooperazione poiché essa era stata la prima società a fornire realmente elementi di prova decisivi al fine di dimostrare l’esistenza dell’intesa, e si è ritirata dal cartello a partire dal mese di aprile 1997.

393
La Commissione rileva che nel corso del procedimento amministrativo la SGL non ha contestato l’addebito secondo cui essa aveva continuato l’infrazione a seguito delle verifiche, e rileva inoltre che tale mancata contestazione dei fatti è stata presa in considerazione nell’ambito della riduzione del 30% della sua ammenda. Orbene, dinanzi al Tribunale, la SGL negherebbe per la prima volta di aver proseguito l’infrazione a seguito delle citate verifiche. Facendo ciò, essa avrebbe ridotto a posteriori la rilevanza della sua cooperazione. Pertanto, un’ulteriore riduzione dell’ammenda da parte del Tribunale, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, non risulterebbe congrua.

Giudizio del Tribunale

394
In ordine alla censura relativa ad una violazione del principio di parità di trattamento, risulta da costante giurisprudenza che, nell’ambito della sua valutazione della cooperazione fornita dalle imprese interessate, la Commissione non può violare tale principio, che viene trasgredito quando situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse siano trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenze Krupp, citata al precedente punto 279, punto 237, e ABB Asea Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 153, punto 240, e la giurisprudenza ivi citata).

395
Va rilevato in proposito che la SDK e la C/G non si trovano in una situazione comparabile a quella della SGL.

396
Infatti, la Commissione ha rilevato, nella Decisione, che la C/G non ha partecipato alle riunioni «degli alti dirigenti», né alle riunioni «di lavoro», che essa si è limitata a seguire i prezzi stabiliti dagli altri membri del cartello e che, in violazione di uno dei principi basilari del cartello (quello del «produttore nazionale»), ha aumentato le sue vendite in Europa. La SGL non ha contestato tali rilievi fattuali (‘considerando’ 81-86 della Decisione), né ha affermato di aver tenuto un comportamento analogo a quello ora descritto della C/G.

397
Con riferimento alla situazione della SDK, alla quale è stato applicato il punto C della comunicazione sulla cooperazione e che ha beneficiato di una riduzione dell’ammenda pari al 70%, la SGL non sostiene l’applicabilità, anche nel suo caso, del citato punto C; essa si limita ad affermare che la Decisione non spiega perché i presupposti per l’applicazione del punto C ricorressero nel caso della SDK e non nel caso della SGL. Orbene, come sopra rilevato, la Commissione ha correttamente constatato che la SGL era stata tra le istigatrici e le capofila del cartello; inoltre, la SGL non sostiene neppure di essere stata la prima impresa a fornire elementi determinanti al fine di dimostrare l’esistenza del cartello. Di conseguenza, nel caso della SGL non ricorrono i presupposti stabiliti dalle lett. b) ed e) del punto B, lette in combinato disposto con il punto C della comunicazione sulla cooperazione. Quest’ultima non può quindi in alcun modo beneficiare di una riduzione dell’ammenda ai sensi del citato punto C, cosicché la sua argomentazione relativa alla SDK è irrilevante.

398
È del pari irrilevante l’argomento basato sul fatto che il contributo della SDK – come quello della UCAR – sarebbe stato in realtà sopravvalutato dalla Commissione e che esso non giustificava in alcun modo la riduzione dell’ammenda accordata. Infatti, nel tentativo di svalutare la cooperazione di altre imprese, la SGL non mira a sostenere che la propria cooperazione aveva il medesimo valore di quella fornita da un’altra impresa, e meritava pertanto la stessa riduzione concessa a quest’ultima, bensì contesta il trattamento riservato a tali imprese in quanto eccessivamente favorevole e pertanto illegittimo. Tale argomentazione non è quindi idonea a garantirle una riduzione di maggiore entità.

399
Quanto allo stabilire se la cooperazione prestata dalla SGL, ricompensata con un 30% di riduzione, fosse effettivamente comparabile per valore a quella fornita dalla UCAR, ricompensata con un 40% di riduzione, emerge dal fascicolo del Tribunale che la SGL e la UCAR, nella loro veste di istigatrici e di capofila del cartello, hanno entrambe fornito elementi rilevanti e dettagliati che hanno sensibilmente facilitato il compito della Commissione, fermo restando che la parte sostanziale della cooperazione della SGL è stata fornita qualche mese più tardi rispetto a quella dei due collaboratori della UCAR, sigg. (...) e (...), che erano stati sollecitati dalla UCAR a inviare le loro deposizioni alla Commissione, cosicché quest’ultima ha potuto giustamente imputare tale cooperazione alla UCAR stessa.

400
In tale contesto, la SGL non può validamente affermare che la sua cooperazione è stata «ritardata» dal procedimento parallelo negli Stati Uniti. Come correttamente rilevato dalla Commissione (‘considerando’ 172 della Decisione), la SGL ha scelto, a proprio rischio e pericolo, di aspettare la chiusura del procedimento americano, con la speranza di ottenere una sanzione più clemente da parte delle autorità americane, prima di collaborare con la Commissione, cosicché essa avrebbe dovuto aspettarsi che quest’ultima fosse già stata informata da altre imprese e che di conseguenza il contributo della SGL avrebbe perso il suo valore informativo.

401
Va quindi rilevato che il motivo essenziale per cui la Commissione ha concesso alla SGL una riduzione dell’ammenda pari solamente al 30% è indicato al ‘considerando’ 174 della Decisione: secondo la Commissione, un’impresa merita una riduzione dell’ammenda solamente se la sua cooperazione è «volontaria» e prestata al di fuori «dell’esercizio di qualsiasi potere di indagine»; poiché «una parte sostanziale delle informazioni fornite [dalla SGL] nella dichiarazione ufficiale costituisc[e] di fatto la risposta di SGL alla richiesta di informazioni della Commissione (...) [l]a dichiarazione di SGL [è stata] considerata come contributo volontario ai sensi della [comunicazione sulla cooperazione] soltanto se le informazioni fornite erano più ampie di quelle richieste ai sensi dell’articolo 11». Inoltre, la SGL ha inviato la sua dichiarazione dell’ 8 giugno 1999 solamente dopo un altro sollecito con cui la Commissione si riservava il diritto di adottare una decisione formale conformemente all’art. 11, n. 5 (‘considerando’ 173 della Decisione). Basandosi sulla sentenza della Corte 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione (Racc. pag. 3283, punti 27, 28 e 32-35), la Commissione non ha quindi premiato quelle informazioni che, a suo parere, la SGL era comunque obbligata a fornire in risposta ad una richiesta di informazioni ovvero a una decisione che disponeva, sotto la minaccia di sanzioni, la comunicazione delle informazioni richieste.

402
In tale contesto, va sottolineato che non può essere riconosciuto un diritto al silenzio assoluto, invocato dalla SGL per sostenere di non essere stata tenuta a rispondere ad alcuna richiesta d’informazioni. Il riconoscimento di un tale diritto andrebbe infatti oltre quanto necessario per preservare i diritti della difesa delle imprese e costituirebbe un ostacolo ingiustificato allo svolgimento, da parte della Commissione, del compito di vigilanza sul rispetto delle norme in materia di concorrenza nel mercato comune. Un diritto al silenzio può essere riconosciuto all’impresa interessata soltanto nei limiti in cui essa sia obbligata a fornire risposte attraverso le quali sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza dell’infrazione che dev’essere provata dalla Commissione (sentenza del Tribunale 20 febbraio 2001, causa T‑112/98, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑729, punti 66 e 67).

403
Per preservare l’effetto utile dell’art. 11 del regolamento n. 17, la Commissione può quindi obbligare le imprese a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui queste ultime siano a conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i relativi documenti di cui siano in possesso, anche se possono servire ad accertare l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale (v. sentenza Mannesmannröhren-Werke/Commissione, citata al precedente punto 402, punto 65, e la giurisprudenza ivi citata).

404
Tale potere di richiesta d’informazioni della Commissione, confermato dalle sentenze Orkem/Commissione e Mannesmannröhren-Werke/Commissione, citate rispettivamente ai precedenti punti 401 e 402, non contrasta né con l’art. 6, nn. 1 e 2, della CEDU (sentenza Mannesmannröhren-Werke/Commissione, citata, punto 75), né con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

405
Infatti, se è vero che la Corte ha stabilito (sentenza LVM, citata al precedente punto 130, punto 274) che, successivamente alla sentenza Orkem/Commissione, citata al precedente punto 401, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, della quale il giudice comunitario deve tener conto, ha conosciuto nuovi sviluppi con la citata sentenza Funke, citata al precedente punto 382, con la sentenza 10 maggio 1994 Saunders/Regno Unito 17 dicembre 1996 (Recueil des arrêts et décisions 1996-VI, pag. 2044, §§ 69, 71 e 76), nonché con la sentenza 3 maggio 2001, J.B./Suisse (non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 64-71), essa non ha tuttavia modificato, nella sentenza LVM, la propria giurisprudenza.

406
Comunque, il fatto di essere obbligati a rispondere ai quesiti di mero fatto posti dalla Commissione e a soddisfare le richieste della stessa di produrre documenti preesistenti non è idoneo a costituire una violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa né del diritto ad un processo equo, che offrono, nel settore del diritto della concorrenza, una protezione equivalente a quella garantita dall’art. 6 della CEDU. Infatti nulla impedisce al destinatario di una richiesta di informazioni di dimostrare in seguito nell’ambito del procedimento amministrativo o nel corso di un procedimento dinanzi al giudice comunitario, che i fatti esposti nelle risposte o i documenti comunicati hanno un significato diverso da quello considerato dalla Commissione (sentenza Mannesmannröhren-Werke/Commissione, citata al precedente punto 402, punti 77 e 78).

407
Quanto poi all’accertare in che misura la SGL fosse tenuta, alla luce della giurisprudenza citata, a rispondere alla richiesta di informazioni 31 marzo 1999, si deve rilevare che, al di là delle domande puramente fattuali e delle richieste di documenti preesistenti, la Commissione ha chiesto di descrivere l’oggetto e lo svolgimento di numerose riunioni cui avrebbe partecipato la SGL, nonché i risultati e le conclusioni di tali riunioni, quando risultava chiaro che la Commissione sospettava che l’oggetto di tali riunioni fosse quello di limitare la concorrenza. Ne discende che una tale domanda era tale da costringere la SGL ad ammettere la sua partecipazione ad un’infrazione alle norme comunitarie della concorrenza.

408
Lo stesso vale per le domande intese a ottenere i verbali delle citate riunioni, i documenti di lavoro e i documenti preparatori ad esse relativi, le note manoscritte afferenti, le note e le conclusioni sulle riunioni stesse, i documenti di pianificazione e di discussione, nonché i progetti esecutivi relativi agli aumenti di prezzi effettuati tra il 1992 e il 1998.

409
Poiché la SGL non era tenuta a rispondere a simili domande contenute nella richiesta di informazioni 31 marzo 1999, il fatto che essa abbia comunque fornito informazioni sui punti indicati dev’essere considerato come collaborazione volontaria dell’impresa, atta a giustificare una riduzione dell’ammenda, in applicazione della comunicazione sulla cooperazione.

410
Tale conclusione non può essere contestata in base all’argomento della Commissione, secondo cui le informazioni di cui trattasi non sono state fornite spontaneamente, bensì in risposta ad una richiesta di informazioni. Infatti, il punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, lungi dal richiedere un atto spontaneo, assunto per sola iniziativa dell’impresa interessata, si limita a richiedere informazioni che contribuiscano a «confermare» la sussistenza dell’infrazione. Inoltre, lo stesso punto C, relativo ad una riduzione dell’ammenda maggiore rispetto a quella prevista al punto D, consente di ricompensare una cooperazione fornita «dopo che la Commissione abbia proceduto ad accertamenti, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa stessa». D’altra parte, la circostanza che una richiesta di informazioni sia stata rivolta alla SGL in forza dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 17 non può essere determinante per sminuire la cooperazione fornita da un’impresa ai sensi del punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, tanto più che una tale richiesta è un atto meno vincolante di un accertamento effettuato sulla base di una decisione.

411
Ne discende che la Commissione ha sottovalutato l’importanza della cooperazione fornita in tale contesto dalla SGL.

412
Laddove la Commissione contesta alla SGL di aver fornito una risposta incompleta alla domanda relativa a quali fossero le imprese informate dalla SGL, nel giugno 1997, dell’imminenza delle verifiche della Commissione, è vero che, con lettera 30 luglio 1997, la SGL ha limitato la sua confessione alla VAW e ad un’altra impresa, senza precisare di avere altresì informato la UCAR. Tuttavia, la Commissione ha essa stessa sottolineato che l’avvertimento della SGL aggravava l’infrazione, comportava l’applicazione di un’ammenda il cui effetto dissuasivo era più rilevante rispetto alla normalità dei casi e poteva essere considerato come circostanza aggravante, avendo tale comportamento della SGL posto le condizioni necessarie al mantenimento in attività del cartello e al prolungamento dei suoi effetti nefasti. Risulta quindi che la SGL non era tenuta a comunicare alla Commissione di aver avvertito altre imprese. Infatti, tali informazioni erano idonee ad aggravare la sanzione che la Commissione avrebbe applicato alla SGL. Anche su questo punto, la Commissione ha quindi erroneamente valutato il comportamento della SGL, contestandole di aver fornito una risposta incompleta.

413
Infine, risulta dalla Decisione che nessuna tra le imprese coinvolte, tra cui la SGL, ha negato la sostanza dei fatti sui quali la Commissione aveva basato la sua comunicazione degli addebiti (‘considerando’ 41). Orbene, ancorché il ‘considerando’ 168 riproduca integralmente il testo del punto D della comunicazione sulla cooperazione e ancorché la Commissione abbia espressamente concesso alla Tokai, alla SEC e alla Nippon una riduzione dell’ammenda pari al 10% in applicazione del citato punto D, n. 2, secondo trattino, per non aver contestato i fatti (‘considerando’ 219 e 222), essa non ha applicato tale disposizione alla SGL ed ha ridotto l’ammenda di quest’ultima solamente ai sensi del punto D, n. 2, primo trattino (‘considerando’ 175).

414
In risposta ad una questione scritta del Tribunale, la Commissione si è sforzata di spiegare tale omissione precisando che, nei casi in cui la cooperazione delle imprese si era limitata ad un’assenza di contestazione dei fatti, essa ha applicato una riduzione basata unicamente su tale tipo di cooperazione ed ha fatto espresso riferimento al punto D, n. 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, mentre, nei casi in cui le imprese avevano altresì cooperato ai sensi del primo comma di tale disposizione, come era avvenuto nei casi della SGL, della UCAR, della VAW e della C/G, essa ha applicato una sola riduzione, che raggruppava i due tipi di cooperazione; tale riduzione unica sarebbe stata esclusivamente ed erroneamente basata sul primo trattino. In ogni caso, emergerebbe chiaramente dal contesto della Decisione che la riduzione concessa alla SGL era basata sia sul fatto che quest’ultima aveva fornito informazioni e documenti, sia sulla mancata contestazione dei fatti.

415
È sufficiente rilevare in proposito che tale spiegazione è stata fornita per la prima volta dinanzi al Tribunale dai rappresentanti della Commissione, e che essa non risulta essere contenuta nella Decisione adottata dal collegio dei membri della Commissione. Orbene, la valutazione della mancata contestazione dei fatti da parte della SGL avrebbe dovuto risultare dai ‘considerando’ relativi alla cooperazione dell’impresa, allo stesso modo in cui essa era stata espressamente citata – oltre che al ‘considerando’ 41 relativo alla descrizione dello svolgimento del procedimento amministrativo – nei ‘considerando’ 219 e 222 con riferimento alla Tokai, alla SEC e alla Nippon (v., in tal senso, sentenza Asean Brown Boveri/Commissione, citata al precedente punto 153, punto 244). Alla luce del passaggio della Decisione relativo alla SGL, il Tribunale deve prendere atto del fatto che la Commissione non ha consentito all’impresa di beneficiare della disposizione di cui al punto D, n. 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, ancorché la SGL integrasse i presupposti di applicazione di tale disposizione.

416
Emerge da quanto precede che la Commissione ha in vari punti sottovalutato l’importanza della cooperazione fornita dalla SGL prima dell’adozione della Decisione. Nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, il Tribunale ritiene doversi ridurre, a questo titolo, l’ammenda inflitta alla SGL del 10%, che si aggiunge al 30% già concesso dalla Commissione.

417
La Commissione chiede al Tribunale di non applicare tale riduzione, in quanto la SGL avrebbe contestato per la prima volta dinanzi al Tribunale la sostanza dei fatti precedentemente ammessi in sede di procedimento amministrativo. A fronte di tale argomento, va rilevato che la SGL effettivamente rimprovera alla Commissione di aver erroneamente ritenuto che l’infrazione fosse proseguita dopo il giugno 1997. I rilievi della Commissione a ciò afferenti si sono basati essenzialmente sull’obiettivo comportamento dell’impresa in sede di procedimento amministrativo, nonché sulle sue dichiarazioni piuttosto generiche di non contestazione. Dinanzi al Tribunale, la SGL si è essenzialmente limitata ad affermare che la Commissione si era sbagliata in ordine al significato del suo comportamento e delle sue dichiarazioni. Per replicare a tale censura, la Commissione poteva limitarsi a richiamare tale comportamento nonché le dichiarazioni della SGL, come pure la cronologia dello svolgimento del procedimento amministrativo (v., supra, punti 71-77). Il compito della Commissione, che consiste nell’accertare i fatti costitutivi dell’infrazione, è stato semplificato, nel corso del procedimento amministrativo, dal comportamento e dalle dichiarazioni della SGL. Esso pertanto non è stato reso più difficile, da un punto di vista oggettivo, dalla successiva contestazione sollevata dalla SGL dinanzi al Tribunale.

418
Non può tuttavia negarsi che la Commissione, contro ogni ragionevole aspettativa che poteva sorgere dalla cooperazione oggettiva resa dalla SGL nel corso del procedimento amministrativo, ha dovuto elaborare e presentare al Tribunale una difesa in replica alla contestazione dei fatti costitutivi dell’infrazione, pur avendo ritenuto, a buon diritto, che la SGL non avrebbe più messo in discussione i fatti stessi. Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ritiene di dover esercitare la propria competenza giurisdizionale anche nel merito, di cui dispone ai sensi dell’art. 17 del regolamento n. 17, diminuendo la riduzione dell’ammenda concessa alla SGL di due punti percentuali. Tale riduzione dell’ammenda è quindi pari all’8%.

419
Come stabilito al precedente punto 113, tale conclusione non contrasta con la sentenza Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione.

420
Ne discende che l’importo finale dell’ammenda inflitta alla SGL dev’essere pari a EUR 69,114 milioni.

b)     Causa T‑264/01

Sintesi della Decisione

421
La Commissione ha accordato una riduzione dell’ammenda pari al 40% in quanto la UCAR, pur non essendo stata la prima società a fornirle una prova decisiva, ha contribuito materialmente ad accertare aspetti importanti del caso ed è stata la prima società a riconoscere i «contatti illeciti con i concorrenti», in risposta ad una richiesta ufficiale di informazioni (‘considerando’ 200-202).

Argomenti delle parti

422
La UCAR sostiene che la riduzione dell’ammenda applicatale dalla Commissione nella misura del 40% è insufficiente rispetto alla riduzione del 30% concessa alla SGL e a quella del 70% concessa alla SDK. Poiché la UCAR avrebbe cooperato nella misura del possibile con la Commissione, essa avrebbe diritto alla maggiore riduzione possibile. Infatti, la UCAR avrebbe fornito informazioni decisive quanto alla comprensione del funzionamento dell’intesa. Certo, la Commissione avrebbe avuto la prova dell’esistenza di un’intesa grazie alle rivelazioni della SDK; tuttavia, la UCAR avrebbe fornito le prove che hanno permesso di ovviare alle numerose lacune nelle informazioni a disposizione della Commissione.

423
La UCAR contesta in primo luogo alla Commissione di non aver tenuto conto dell’indagine interna indipendente ed approfondita avviata dal suo consiglio d’amministrazione al fine di accertare e di comunicare alla Commissione i fatti rilevanti. Tale indagine sarebbe stata decisiva in quanto il suo direttore generale e il suo direttore delle vendite per l’Europa erano direttamente coinvolti nell’intesa e avevano i mezzi per impedire la comunicazione delle informazioni.

424
In secondo luogo, la UCAR avrebbe comunicato tutte le informazioni rilevanti alla Commissione immediatamente dopo aver avuto conoscenza dell’infrazione da essa stessa commessa. Essa avrebbe collaborato con il personale della Commissione ai fini della redazione di una domanda di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17. Infatti, la UCAR avrebbe espresso reticenza nel consegnare alla Commissione documenti scritti, in quanto sussisteva il rischio che tali documenti fossero utilizzati nell’ambito di procedimenti paralleli avviati nei confronti della UCAR negli Stati Uniti. La UCAR avrebbe quindi proposto alla Commissione di trasmetterle informazioni solo in forma orale. Nel giugno 1998 la Commissione le avrebbe inviato una richiesta di informazioni strutturata d’accordo con la UCAR, così da far riferimento alle informazioni orali già fornite alla Commissione. Dopo la conclusione dei procedimenti avviati negli Stati Uniti, nel giugno 1999 la UCAR avrebbe trasmesso volontariamente alla Commissione tutte le informazioni pertinenti.

425
La UCAR ricorda, in terzo luogo, di aver informato la Commissione del fatto che il preavviso relativo alle sue verifiche a sorpresa proveniva da contatti tra la SGL e un funzionario della Commissione, indicato per nome. L’indagine avviata nei confronti di detto funzionario avrebbe condotto ad un procedimento penale. La UCAR aggiunge che la sua cooperazione in ordine al preavviso relativo alle verifiche a sorpresa ha avuto un ruolo importante nella valutazione della gravità dell’infrazione commessa dalla SGL.

426
La Commissione afferma che la riduzione dell’ammenda del 40% concessa alla UCAR è compresa tra il 10 e il 50%, come previsto al punto D, n. 1, della comunicazione sulla cooperazione. La UCAR non sarebbe riuscita a dimostrare l’esistenza di un errore manifesto della Commissione sul punto. La cooperazione fornita dalla UCAR sarebbe stata adeguatamente valutata nella Decisione, fermo restando che le informazioni puramente orali non potevano essere utilizzate come elementi probatori affidabili.

427
Quanto al ruolo svolto dalla UCAR con riferimento alla scoperta di eventuali fughe di notizie dai servizi della Commissione, quest’ultima sostiene che vanno distinti due aspetti dell’assistenza fornita. Da un lato, la UCAR l’avrebbe informata che la SGL aveva allertato le altre imprese; tale circostanza sarebbe parte integrante dell’infrazione in oggetto e la Commissione ne avrebbe tenuto conto quale circostanza aggravante nel calcolo dell’ammenda inflitta alla SGL, mentre la cooperazione della UCAR è stata presa in considerazione nell’ambito della riduzione della sua ammenda del 40%. D’altro lato, l’informazione sulla possibile implicazione di un funzionario della Commissione non sarebbe stata rilevante ai fini dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione all’infrazione commessa dalla UCAR nell’ambito del presente procedimento, in quanto tale informazione non avrebbe facilitato la Commissione nel compito di far emergere le responsabilità dei membri dell’intesa.

Giudizio del Tribunale

428
Quanto all’argomento della UCAR, secondo cui la riduzione della sua ammenda era insufficiente rispetto a quella concessa alla SGL e alla SDK, esso non vale a dimostrare l’esistenza di un errore manifesto di valutazione della Commissione. Infatti, la SDK ha beneficiato di una riduzione dell’ammenda in applicazione del punto C della comunicazione sulla cooperazione. La sua situazione non è quindi comparabile a quella della UCAR, che ha beneficiato del punto D e che neppure sostiene di presentare i requisiti di applicazione del punto C. Per quanto riguarda la SGL, la UCAR non ha dimostrato, nei dettagli, che la sua cooperazione, compensata con una riduzione del 40%, avesse un valore ampiamente superiore a quella della SGL, ricompensata con una riduzione del 30%. Per quanto riguarda il riferimento della UCAR al procedimento parallelo negli Stati Uniti, esso non vale a dimostrare che la Commissione abbia sottovalutato la sua cooperazione resa nel corso del procedimento amministrativo tenutosi dinanzi alla Commissione stessa (v., supra, punto 400).

429
Neppure può accogliersi l’argomento della UCAR basato sull’indagine interna del suo consiglio di amministrazione. In considerazione del fatto che tale indagine si è tradotta nella cooperazione della UCAR, la Commissione ne ha tenuto conto concedendo una riduzione dell’ammenda pari al 40%. Tuttavia, il fatto di aver avviato un’indagine interna non giustifica, in quanto tale, un aumento di tale riduzione. Non si può infatti dimenticare che, parallelamente a detta indagine, altri rappresentanti della UCAR hanno continuato l’infrazione, per conto dell’impresa, anche a seguito delle verifiche a sorpresa operate dalla Commissione.

430
Quanto ai contatti orali intervenuti tra la UCAR e la Commissione, quest’ultima, in risposta ad una domanda scritta del Tribunale, ha precisato che le informazioni orali fornite dalla UCAR il 25 marzo, il 2 aprile e l’11 giugno 1998 erano state dettagliatamente trascritte in note interne redatte da funzionari della Commissione. Tali note non farebbero parte del fascicolo istruttorio della causa. All’epoca, infatti, la UCAR non avrebbe voluto che le informazioni da essa fornite fossero utilizzate ai fini probatori. La Commissione ne ha dedotto che tali informazioni orali non rappresentavano elementi probatori validi ai sensi del punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, per cui la UCAR non ha ottenuto alcuna specifica riduzione d’ammenda in tal senso.

431
Questa tesi non può essere accolta. Da un lato, infatti, la disposizione citata prevede che non solo i «documenti», bensì anche le «informazioni» possono considerarsi «elementi probatori» che contribuiscono a confermare la sussistenza dell’infrazione. Ne discende che tali informazioni non necessariamente devono essere fornite in forma documentale. D’altro lato, l’utilità pratica di un’informazione puramente orale è incontestabile quando essa consente alla Commissione, ad esempio, di reperire prove dirette dell’infrazione ovvero quando, data la sua precisione, spinge la Commissione a proseguire un’indagine che altrimenti essa avrebbe abbandonato in mancanza di prove sufficienti disponibili.

432
Nella fattispecie, come emerge dalle note interne citate, la UCAR avrebbe fornito oralmente, in particolare, i nomi di altre imprese partecipanti all’intesa, i nomi di molti dei loro rappresentanti, taluni nomi in codice utilizzati per dissimulare i contatti (v. ‘considerando’ 59 della Decisione), nonché varie date e luoghi di riunioni organizzate nell’ambito dell’intesa, con i nomi dei partecipanti. Tali indicazioni avrebbero già permesso alla Commissione di inviare una richiesta di informazioni alle imprese indicate dalla UCAR, invitandole a confermare se i loro rappresentanti, indicati per nome, avessero partecipato alle riunioni menzionate dalla UCAR, in modo da rendere loro noto che essa disponeva già di una fonte affidabile di informazioni, il che avrebbe potuto spingere le imprese destinatarie a cooperare con la Commissione già a partire da tale fase iniziale dell’indagine.

433
Posto che le informazioni orali fornite dalla UCAR sono state successivamente confermate mediante dichiarazioni scritte fornite dall’impresa stessa, ovvero per sua iniziativa (dichiarazioni dei sigg. (...) e (...)), risulta che la UCAR ha fornito la sua cooperazione in due fasi: innanzitutto, mediante numerose comunicazioni orali, quindi, con la comunicazione di prove documentali. Non tenendo conto delle informazioni orali fornite dalla UCAR nel marzo, nell’aprile e nel giugno 1998, la Commissione ha quindi sottovalutato l’importanza della cooperazione fornita da tale impresa.

434
Quanto al ruolo della UCAR nel rivelare un’eventuale fuga di notizie dai servizi della Commissione, quest’ultima ha confermato, in sede di udienza, il suo punto di vista, secondo cui tale rivelazione non l’ha aiutata nell’individuare le responsabilità dei membri dell’intesa. La comunicazione sulla cooperazione avrebbe l’unico obiettivo di ricompensare chi fornisce elementi probatori astrattamente idonei a cagionare l’applicazione di sanzioni all’impresa che presta la propria cooperazione. Orbene, la fonte degli avvertimenti di cui trattasi nella fattispecie non sarebbe riconducibile ad un’infrazione per la quale la UCAR sarebbe soggetta ad ammenda.

435
Questa tesi non può essere accolta. Infatti, può essere ricompensata con una riduzione dell’ammenda qualsiasi collaborazione che abbia consentito alla Commissione di accertare l’esistenza di un’infrazione con minore difficoltà e, eventualmente, di mettervi fine (sentenza 16 novembre 2000, SCA Holding/Commissione, citata al precedente punto 108, punto 36). Ancorché la comunicazione sulla cooperazione preveda, al suo punto A, n. 3, solo una riduzione delle «ammende che altrimenti sarebbero (...) inflitte [alle imprese che cooperano con la Commissione]», tale disposizione non richiede che ogni singola informazione debba riferirsi ad un’infrazione al diritto della concorrenza idonea ad essere sanzionata separatamente. Per poter beneficiare della comunicazione sulla cooperazione, è sufficiente che l’impresa disposta a cooperare si esponga a sanzioni rivelando la sua implicazione in un’infrazione, mentre la valutazione dei vari elementi informativi ai fini di un’eventuale riduzione dell’ammenda dipende dalla loro utilità per la Commissione rispetto al suo compito di accertare l’esistenza dell’infrazione e di mettervi fine.

436
Sotto quest’ultimo profilo, è chiaro che un funzionario della Commissione che agisce slealmente è in grado di sabotare la missione dell’istituzione cui appartiene, sostenendo i membri di un cartello illegittimo. Così, egli può complicare significativamente l’indagine condotta da quest’ultima, ad esempio distruggendo ovvero manipolando elementi probatori, informando i membri del cartello di una imminente verifica a sorpresa, oppure rivelando la strategia istruttoria seguita dalla Commissione. Di conseguenza, l’informazione relativa all’esistenza di un funzionario di tal genere dev’essere considerata, in linea di principio, idonea a facilitare il compito della Commissione, che consiste nell’accertare e nel porre fine ad un’infrazione. L’utilità di una simile informazione è particolarmente rilevante quando essa viene fornita all’inizio dell’indagine avviata dalla Commissione in ordine ad eventuali azioni anticoncorrenziali.

437
Nella fattispecie, la UCAR ha esposto nel suo ricorso e nel relativo allegato n. 47 i dettagli fattuali relativi alla fuga di notizie dai servizi della Commissione, precisando in particolare che essa ne aveva informato la Commissione nel gennaio 1999, che l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) era intervenuto e che in Italia era stata avviata un’indagine penale nei confronti del funzionario incriminato. Nel corso dell’intero procedimento scritto dinanzi al Tribunale e, successivamente, in risposta ad una questione scritta di quest’ultimo, la Commissione non ha mai contestato alcuno degli elementi fattuali indicati. Solamente all’udienza la Commissione ha sostenuto, per la prima volta, che l’indagine interna realizzata in tale ambito non aveva portato ad alcun risultato e che il funzionario denunciato dalla UCAR si trovava sempre al servizio della Commissione. Ad oggi non sarebbe quindi possibile identificare alcun funzionario come responsabile della fuga di notizie di cui trattasi.

438
Va rilevato in proposito che la Commissione, una volta informata dalla UCAR nel gennaio 1999, avrebbe dovuto comunicare a quest’ultima, al più tardi entro la data di adozione della Decisione, la sua intenzione di tener conto o meno di tale elemento di informazione ai fini dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Poiché al Tribunale non è dato verificare se l’indagine interna della Commissione, volta a individuare il funzionario in questione, sia stata condotta in maniera adeguata e se essa sia giunta ad un risultato corretto, esso deve limitarsi a trarre le inevitabili conseguenze dal comportamento procedurale della Commissione: la contestazione fattuale sollevata per la prima volta all’udienza dev’essere qualificata come motivo nuovo e respinta, in quanto tardiva, in applicazione dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura. Pertanto, il Tribunale deve basarsi sui fatti come presentati dalla UCAR e riconoscere che l’informazione relativa alla fuga di notizie dai servizi della Commissione è stata oggettivamente utile per la Commissione nella gestione del fascicolo relativo al cartello operante sul mercato degli elettrodi di grafite. Non tenendo conto di tale elemento, la Commissione ha pertanto sottovalutato l’importanza della cooperazione fornita dalla UCAR.

439
Lo stesso può dirsi del fatto che la Commissione ha applicato alla UCAR solamente il punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione (‘considerando’ 202 della Decisione), benché la UCAR non abbia contestato la sostanza dei fatti sui quali la Commissione ha basato la propria comunicazione degli addebiti (‘considerando’ 41 della Decisione) (v., in tal senso, i precedenti punti 413-415).

440
Da quanto precede risulta che la Commissione ha sottovalutato in vari punti l’importanza della cooperazione fornita dalla UCAR prima dell’adozione della Decisione. Nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, il Tribunale ritiene, a questo titolo, che l’ammenda applicata alla UCAR debba essere ridotta del 10%, che si aggiunge al 40% già applicato dalla Commissione.

441
Ne discende che l’importo finale dell’ammenda inflitta alla UCAR dev’essere pari a EUR 42,05 milioni.

c)     Causa T‑252/01

Sintesi della Decisione

442
La Commissione ha ridotto l’ammenda della C/G del 20%, in ragione di talune informazioni fornite da quest’ultima. La C/G non avrebbe tuttavia diritto ad una riduzione maggiore. Benché essa abbia fornito alla Commissione, a partire dal luglio 1998, taluni documenti relativi ai contatti tra concorrenti, essa avrebbe inviato una dichiarazione d’impresa solamente nell’ottobre 1999, nella quale essa rimaneva comunque ambigua relativamente al suo ruolo nel cartello. Secondo il parere della Commissione, la risposta dell’impresa 21 luglio 1999 alla richiesta formale di informazioni, in applicazione dell’art. 11 del regolamento n. 17, non rappresenta un contributo volontario ai sensi della comunicazione sulla cooperazione (‘considerando’ 239 e 240).

Argomenti delle parti

443
La C/G contesta alla Commissione di aver sbagliato nel concederle solamente il 20% di riduzione dell’ammenda in ragione della sua cooperazione. Infatti, la C/G avrebbe fornito alla Commissione tutte le informazioni rilevanti. Inoltre, essa non avrebbe contestato la sostanza dei fatti considerati dalla Commissione nella sua comunicazione degli addebiti. Secondo la C/G, detta cooperazione è stata più preziosa di quella prestata da altri destinatari della Decisione, che hanno beneficiato di riduzioni identiche o maggiori.

444
La C/G afferma che, in realtà, essa stessa ha fornito tutte le prove a suo carico. Senza la sua cooperazione, la Commissione non avrebbe ottenuto tali prove. Laddove la Commissione sostiene che anche altre imprese hanno chiamato in causa la C/G, quest’ultima sottolinea che le dichiarazioni delle altre imprese rappresentano semplici supposizioni fragili e inconsistenti.

445
La C/G confronta, inoltre, la propria situazione con quella della Conradty la quale, contrariamente ad essa, ha rifiutato di cooperare con la Commissione, il che non ha impedito a quest’ultima di applicare un’ammenda alla C/G e non alla Conradty. Infine, la C/G contesta il fatto che la SGL e la VAW hanno beneficiato rispettivamente di una riduzione pari al 30% e al 20% per la loro cooperazione, mentre la SGL aveva avvertito la VAW, come altre imprese, dell’imminenza delle verifiche a sorpresa della Commissione. Non sarebbe logico che la SGL, capofila dell’impresa, beneficiasse di una riduzione maggiore di quella della C/G.

446
La Commissione ricorda che la C/G ha beneficiato di una riduzione del 20%, ricompresa quindi nel margine previsto tra il 10 e il 50%. Il suo legittimo affidamento sarebbe stato pertanto rispettato.

447
Laddove la C/G sostiene di aver essa stessa fornito tutte le prove a suo carico, la Commissione sottolinea di essere già stata in possesso delle prove fornite dalla SGL, dalla VAW e dalla UCAR, che hanno del pari confermato la partecipazione della C/G all’infrazione. In tale contesto, essa cita la dichiarazione della SGL, che contiene il resoconto diretto di una riunione intervenuta tra la SGL e la C/G al fine di discutere del problema delle «crescenti esportazioni americane» verso il mercato europeo. Tale dichiarazione avrebbe confermato quelle della UCAR e dei suoi dipendenti.

448
Per la Commissione, la situazione della C/G, da un lato, e quella della Conradty, della SGL e della VAW, dall’altro, sono completamente differenti: la Conradty non avrebbe cooperato e la Commissione non sarebbe giunta a dimostrare la sua partecipazione all’infrazione. La SGL avrebbe beneficiato di una riduzione dell’ammenda per aver fornito informazioni preziose sul funzionamento dell’intesa, mentre il contributo della C/G ha avuto essenzialmente ad oggetto la sua stessa partecipazione. Infine, la C/G sarebbe stata l’ultima impresa a presentare una dichiarazione, e ciò quando quasi tutte le informazioni sull’intesa, segnatamente quelle fornite dalla SGL e dalla VAW, erano già note alla Commissione.

Giudizio del Tribunale

449
Quanto al confronto operato dalla C/G tra la propria situazione e quella della Conradty, è sufficiente rilevare che la C/G ha essa stessa ammesso la sua partecipazione all’infrazione, mentre la Conradty – come la Mitsubishi e la Union Carbide – non è stata individuata, nell’ambito della Decisione, come autrice dell’infrazione, e non partecipa alle controversie pendenti dinanzi al Tribunale relative alla Decisione stessa. Il riferimento alla Conradty non può quindi giustificare alcun ulteriore riduzione dell’ammenda in favore della C/G.

450
Neppure l’argomento basato su un confronto tra la C/G e la SGL e la VAW può giustificare una tale riduzione. Infatti, lungi dal dimostrare nei dettagli che la sua cooperazione sia stata sottovalutata rispetto a quella delle due imprese citate, la C/G si limita a svalutare la loro cooperazione.

451
Quanto all’affermazione della C/G, secondo cui è stata l’impresa stessa a fornire la quasi totalità delle prove a suo carico, affermazione contestata dalla Commissione, dinanzi al Tribunale è emerso che le prove della Commissione diverse da quelle fornite dalla stessa C/G risultavano essere due dichiarazioni della UCAR, secondo cui «il sig. (...) ha ritenuto, in base alle dichiarazioni rese dal sig. (...) [della SGL] che il sig. (...) proseguiva i suoi contatti con... la C/G e il rappresentante della UCAR... ritiene che la SGL possa aver avuto contatti diretti... eventualmente con l’agente tedesco della C/G», una dichiarazione del sig. (...), il quale ha «supposto che il sig. (...) avesse contatti con... la C/G» e una dichiarazione della SGL secondo cui, in occasione di una riunione tra i rappresentanti della SGL e della C/G, tenutasi all’aeroporto di Francoforte il 21 novembre 1996, si sarebbe discusso dell’aumento incessante delle esportazioni americane verso l’Europa e vi sarebbe stato uno scambio di informazioni sulla situazione del mercato europeo.

452
Orbene, l’unica informazione concreta che non rimane a livello di semplice supposizione è data dalla dichiarazione della SGL relativa alla riunione del 21 novembre 1996. Tuttavia, la partecipazione della C/G all’infrazione, come contestata nella Decisione, si è conclusa proprio nel mese di novembre 1996. Ne discende che effettivamente la C/G ha fornito tutte le prove rilevanti in ordine alla natura e alla durata della sua partecipazione all’infrazione. Nell’accordarle solamente il 20% di riduzione dell’ammenda, la Commissione ha manifestamente sottovalutato l’importanza della cooperazione volontaria fornita in tal senso dalla C/G.

453
Lo stesso può dirsi del fatto che la Commissione ha applicato alla C/G solamente il punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione (‘considerando’ 239 della Decisione), benché la C/G non abbia contestato la sostanza dei fatti sui quali la Commissione ha basato la propria comunicazione degli addebiti (‘considerando’ 41 della Decisione) (v., in tal senso, i precedenti punti 413-415).

454
Ritenendo infine che la risposta della C/G alla richiesta formale di informazioni non rappresentasse un contributo volontario ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, riducendone così l’importanza, la Commissione ha del pari sottovalutato la cooperazione fornita dalla C/G (v., in tal senso, il precedente punto 410).

455
Da quanto precede risulta che la Commissione ha sottovalutato in vari punti l’importanza della cooperazione fornita dalla C/G prima dell’adozione della Decisione. Nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche nel merito, il Tribunale ritiene, a questo titolo, che l’ammenda applicata alla C/G debba essere ridotta del 20%, che si aggiunge al 20% già applicato dalla Commissione.

456
Di conseguenza, l’importo finale dell’ammenda inflitta alla C/G dev’essere pari a EUR 6,48 milioni.

457
Risulta da quanto precede che l’importo finale delle ammende inflitte alla SGL, alla UCAR e alla C/G dev’essere pari rispettivamente a EUR 69, 14 milioni, EUR 42,05 milioni e a EUR 6,48 milioni. Invece, il Tribunale non vede alcuna ragione di discostarsi dai tassi applicati dalla Commissione alle altre ricorrenti ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, salvo per quanto riguarda la Nippon, la cui ammenda viene ridotta non del 10%, bensì, a causa della sua contestazione tardiva della durata dell’infrazione (v., supra, punto 112), solamente dell’8%, risultando così pari a EUR 6,2744 milioni.

458
Alla luce dell’esame ora svolto dal Tribunale, le ammende stabilite dall’art. 3 della Decisione devono essere ridotte come segue:

L’ammenda inflitta alla SGL è ridotta alla somma di EUR 69,114 milioni;

L’ammenda inflitta alla UCAR è ridotta alla somma di EUR 42,05 milioni;

L’ammenda inflitta alla Tokai è ridotta alla somma di EUR 12,276 milioni;

L’ammenda inflitta alla SDK è ridotta alla somma di EUR 10,44 milioni;

L’ammenda inflitta alla C/G è ridotta alla somma di EUR 6,48 milioni;

L’ammenda inflitta alla Nippon è ridotta alla somma di EUR 6,2744 milioni;

L’ammenda inflitta alla SEC è ridotta alla somma di EUR 6,138 milioni.

C –  Sulle conclusioni formulate nelle cause T‑239/01 e T‑246/01, volte all’annullamento dell’art. 4 della Decisione, nonché delle lettere di luglio e di agosto

1.  Argomenti delle parti

459
La SGL chiede l’annullamento dell’art. 4 della Decisione, contestando la legittimità del tasso d’interesse e affermando che esso è stato stabilito senza riferimento ad alcun fondamento normativo. Essa ricorda che la Decisione le è stata inviata con lettera della Commissione 23 luglio 2001, nella quale la Commissione la informava che, alla scadenza del termine di pagamento, avrebbe proceduto al recupero del suo credito applicando il tasso d’interesse dell’8,04%, precisando che, nell’ipotesi in cui venisse adito il Tribunale, essa avrebbe rinunciato al recupero del credito per tutta la durata del procedimento giurisdizionale, a condizione tuttavia che la SGL accettasse l’applicazione di un tasso d’interesse pari al 6,04% e costituisse una garanzia bancaria. La SGL contesta del pari la legittimità di simile tasso d’interesse. Essa sostiene che il diritto di applicare interessi moratori mira esclusivamente ad evitare i ricorsi temerari e ad evitare un vantaggio per le imprese che pagano «in ritardo». Se quindi la Commissione può riferirsi alle condizioni effettivamente applicate nella pratica, non sarebbe giustificato applicare al tasso di mercato un aumento ulteriore di 3,5 punti percentuali. Si tratterebbe in tal caso di un tasso d’interesse proibitivo, che ingiustificatamente agirebbe come una sanzione supplementare applicata ai danni di chi ricorre ad uno strumento di tutela giurisdizionale.

460
La UCAR chiede altresì l’annullamento dell’art. 4 della Decisione sostenendo che dalla Decisione non può desumersi che la sua capacità di pagamento sia stata presa in considerazione, benché essa abbia fornito alla Commissione informazioni dettagliate sulla sua precaria situazione finanziaria. La UCAR dichiara di non essere in grado di pagare l’ammenda nel termine previsto all’art. 4, né di pagare il tasso di interesse applicabile in caso di ritardo nel pagamento. La Commissione non avrebbe tenuto conto della capacità contributiva reale della UCAR in un contesto sociale particolare, in violazione dei suoi stessi orientamenti. In via subordinata, la UCAR chiede che l’art. 4 sia sostituito dall’obbligo per la UCAR di fornire una garanzia sui suoi beni immobiliari non vincolati. Il tasso d’interesse dovrebbe essere soppresso, ovvero considerevolmente ridotto.

461
La UCAR chiede inoltre l’annullamento della lettera 23 luglio 2001, con la quale le è stata inviata la Decisione e nella quale sono stati precisati l’importo dell’ammenda inflitta nonché le condizioni di pagamento. Essa contesta in particolare la condizione per cui, nell’ipotesi di suo ricorso al Tribunale, nessuna misura esecutiva sarebbe avviata a fronte del pagamento di interessi al tasso del 6,04% e della costituzione di una garanzia bancaria.

462
La UCAR chiede infine l’annullamento della lettera 9 agosto 2001, con la quale, in replica alle osservazioni della stessa UCAR relative alle condizioni di pagamento, la Commissione ha rifiutato, da un lato, una proposta di pagamento rateizzato e, d’altro lato, una garanzia su taluni beni della UCAR per assicurare il pagamento dell’ammenda.

463
La Commissione replica che l’applicazione di una maggiorazione del 3,5% al tasso di rifinanziamento della Banca centrale europea è conforme alla sua prassi abituale e rimane nei limiti di quanto necessario ad evitare manovre dilatorie. Essa sostiene di non essere obbligata a tener conto della capacità di pagamento di un’impresa al fine di determinare il metodo ovvero i termini di pagamento dell’ammenda. Essa non sarebbe neppure tenuta a fornire spiegazioni di alcun genere con riferimento all’art. 4.

464
La Commissione ritiene che le richieste di annullamento delle lettere di luglio e di agosto siano irricevibili. Nella lettera di luglio, essa avrebbe fatto un’offerta alla UCAR, che quest’ultima poteva accettare o rifiutare. Tale lettera non avrebbe prodotto alcun effetto giuridico vincolante tale da pregiudicare gli interessi della UCAR. La lettera di agosto non rappresenterebbe neppure un atto inteso a produrre effetti giuridici obbligatori. Infatti, il rifiuto contenuto in tale lettera di accettare le condizioni di pagamento proposte dalla UCAR avrebbe lasciato invariata la situazione giuridica di quest’ultima, ossia la situazione in cui in si trovava alla luce dell’art. 4 della Decisione.

465
Quanto al merito, la Commissione ricorda che la giurisprudenza ha ratificato la sua prassi di richiedere la costituzione di una garanzia bancaria produttiva di interessi, precisando che solamente in base a circostanze eccezionali un ricorrente può astenersi dal costituire una tale garanzia. Orbene, la UCAR non avrebbe provato l’esistenza di circostanze eccezionali tali da giustificare il superamento della condizione relativa alla garanzia bancaria. Secondo la Commissione, il mezzo giuridico appropriato per contestare la sua posizione in ordine alla costituzione di una garanzia bancaria sarebbe una richiesta di provvedimenti provvisori ai sensi degli artt. 242 e 243 CE.

466
La UCAR replica che la lettera di luglio contiene talune modalità esecutive della Decisione che non sono contenute in quest’ultima. Di conseguenza, tale lettera dovrebbe essere suscettibile di controllo giurisdizionale. La lettera di agosto conterrebbe una presa di posizione della Commissione sulla possibilità di accettare pagamenti rateizzati dell’ammenda, nonché la costituzione di una garanzia sui beni della società. La lettera non confermerebbe quindi una decisione precedente, bensì stabilirebbe, per la prima volta, che le circostanze della fattispecie non sono eccezionali al punto da giustificare condizioni di pagamento alternative.

467
Quanto al merito, la UCAR rimprovera alla Commissione di aver insistito sulla costituzione di una garanzia bancaria, senza aver verificato se le circostanze della fattispecie fossero tali da far ritenere adeguata un’altra forma di garanzia. In tale contesto, essa ricorda di possedere in Francia beni non vincolati in favore delle banche il cui valore supera i cinquanta milioni di USD. Orbene, la Commissione si sarebbe limitata ad affermare, nella lettera di agosto, che essa avrebbe preso in considerazione solamente una proposta di pagamento integrale dell’ammenda ovvero di costituzione di una garanzia bancaria. Essa non avrebbe motivato il rifiuto di prendere in considerazione la situazione specifica della UCAR. La UCAR aggiunge che la costituzione di una garanzia bancaria, contrariamente a quella di una garanzia reale, violerebbe le sue principali agevolazioni di credito, come convenute con le banche creditrici.

2. Giudizio del Tribunale

468
Quanto alla ricevibilità delle domande volte all’annullamento delle lettere di luglio e di agosto, si deve innanzitutto individuare l’oggetto preciso di tali domande.

469
A tal proposito, è pacifico che la UCAR, prima di ricevere la lettera di luglio nonché la Decisione in data 26 luglio 2001, si era rivolta alla Commissione per discutere eventuali modalità di pagamento nell’ipotesi in cui le fosse applicata un’ammenda, proposta di discussione che la Commissione aveva in tale fase rifiutato. Di conseguenza, deve riconoscersi alla UCAR un legittimo interesse a sottoporre a controllo gli elementi nuovi – rispetto all’art. 4 della Decisione – contenuti in tali lettere, cioè l’importo del tasso agevolato del 6,04%, nonché le condizioni per l’ottenimento di detto tasso agevolato. Tale controllo deve verificare se la Commissione possa legittimamente negarle il beneficio del tasso del 6,04% per il fatto che la UCAR non ha costituito una garanzia bancaria, ovvero se la Commissione era tenuta ad accettare la garanzia offerta dalla UCAR in via alternativa.

470
Infatti, se è fuor di dubbio che la legittimità del tasso dell’8,04% applicato dall’art. 4 della Decisione può essere sottoposta a sindacato giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 8 ottobre 1996, cause riunite da T‑24/93 a T‑26/93 e T‑28/93, Compagnie maritime belge transports e a./Commissione, Racc. pag. II‑1201, punto 250), alla UCAR dev’essere altresì data la possibilità di impugnare il tasso del 6,04%, stabilito in via alternativa, nonché le condizioni per l’ottenimento di detto tasso, come indicate nelle lettere di luglio e di agosto. A tal fine, essa deve poter contestare alla Commissione, in particolare, la violazione del principio di parità di trattamento, nell’ipotesi in cui la Commissione le abbia negato l’applicazione del tasso agevolato, accordandolo ad un’altra impresa che si trovi nella stessa situazione della UCAR.

471
Lo stesso può dirsi per quanto riguarda il ricorso presentato dalla SGL, la quale, senza formalmente impugnare la lettera di luglio, contesta la legittimità del tasso del 6,04% stabilito in tale lettera.

472
È altresì vero, tuttavia, che la Commissione, alla data d’introduzione del ricorso T‑246/01, non ha ancora effettuato il recupero dell’ammenda inflitta, né ha avviato l’esecuzione forzata della Decisione ai sensi dell’art. 256 CE e degli artt. 104-110 del regolamento di procedura del Tribunale. Di conseguenza, qualsiasi domanda intesa a verificare l’applicazione concreta delle modalità di pagamento relative alla UCAR (sostituzione dell’art. 4 della Decisione con uno schema dei pagamenti, del tasso di interesse effettivo, dei termini di pagamento) dev’essere considerata prematura, posto che alla data d’introduzione del ricorso non era dato sapere quale sarebbe stata la situazione della UCAR nell’ipotesi e nel momento in cui la Commissione avesse effettuato misure di recupero o di esecuzione forzata (v., in tal senso, sentenza Musique diffusion française/Commissione, citata al precedente punto 144, punto 135). In particolare, poiché in tale data la UCAR, di fronte alla minaccia di un’imminente esazione dell’ammenda, non ha introdotto alcuna domanda di provvedimenti urgenti ai sensi degli artt. 242 CE e 104 e segg. del regolamento di procedura, il Tribunale non è chiamato, in questo contesto, a verificare se il bilanciamento degli interessi presenti osti all’applicazione delle citate modalità di pagamento prima della pronuncia della sentenza nella causa principale che statuisce sulla legittimità dell’ammenda inflitta alla UCAR, in quanto tale applicazione metterebbe in pericolo l’esistenza dell’impresa.

473
Le domande formulate in tal senso dalla UCAR sono quindi irricevibili.

474
Quanto al merito, va rilevato che, per un verso, né la SGL né la UCAR hanno sollevato motivi relativi ad una violazione del principio di parità di trattamento.

475
Per altro verso, risulta da costante giurisprudenza (sentenze della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione, Racc. pag. 3151, punti 141-143, e del Tribunale 14 luglio 1995, causa T‑275/94, CB/Commissione, Racc. pag. II‑2169, punti 46-49, e sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 38, punti 395 e 396) che il potere di cui la Commissione è investita ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 comprende la facoltà di determinare la data di esigibilità delle ammende e quella relativa al decorso degli interessi di mora, di fissare il tasso di questi interessi e di stabilire le modalità di esecuzione della sua decisione esigendo, all’occorrenza, la costituzione di una garanzia bancaria a copertura dell’importo del capitale e degli interessi delle ammende inflitte. In mancanza di siffatto potere, il vantaggio che le imprese potrebbero trarre dal pagamento tardivo delle ammende avrebbe l’effetto di attenuare le sanzioni inflitte dalla Commissione nell’esercizio del suo compito di vigilare sull’applicazione delle norme in materia di concorrenza. L’applicazione di interessi di mora alle ammende è giustificata quindi dall’intento di evitare che l’effetto utile del Trattato sia eluso mediante prassi applicate unilateralmente da imprese che tardino a pagare le ammende alle quali sono state condannate, nonché di evitare che tali imprese siano avvantaggiate rispetto a quelle che effettuano il pagamento delle ammende alla scadenza loro impartita.

476
In tale contesto, la giurisprudenza ha riconosciuto alla Commissione il diritto di fissare gli interessi moratori al tasso di mercato aumentato di 3,5 punti percentuali (sentenza CB/Commissione, citata al precedente punto 475, punto 54, sentenza LR AF 1998/Commissione, citata al precedente punto 38, punto 397, e sentenza Compagnie maritime belge transports e a./Commissione, citata al precedente punto 470, punto 250) e, nell’ipotesi di costituzione di una garanzia bancaria, al tasso di mercato aumentato di 1,5 punti percentuali (sentenza CB/Commissione, citata, punto 54). In tale sentenza, il Tribunale ha tollerato interessi moratori del 7,5%, del 13,25% e del 13,75%, precisando che la Commissione può adottare un valore di riferimento più elevato rispetto al tasso di interesse passivo medio applicabile sul mercato quando ciò è necessario per scoraggiare manovre dilatorie (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit., punto 398).

477
Alla luce di quanto sopra, la Commissione non ha superato, nella fattispecie, il margine discrezionale di cui dispone nello stabilire un tasso di interesse moratorio. La SGL e la UCAR, in quanto operatori economici prudenti e informati, avrebbero dovuto essere a conoscenza della prassi decisionale della Commissione e della giurisprudenza sopra citata. Tali imprese non potevano attendersi l’applicazione, da parte della Commissione, di tassi di interesse più favorevoli. In questo contesto - che non è disciplinato dagli artt. 242 e 256 CE, né dagli artt. 104‑110 del regolamento di procedura -, la Commissione non era tenuta, in particolare, a prendere in considerazione la situazione finanziaria della UCAR (v., supra, punti 370-372 e 472).

478
Per quanto concerne in particolare l’obbligo della UCAR di costituire una garanzia bancaria, il Tribunale ha stabilito che, accordando all’impresa interessata la facoltà di esentarsi dal pagamento immediato dell’ammenda mediante una garanzia bancaria diretta ad assicurare il pagamento dell’ammenda e degli interessi relativi, la Commissione concede a detta impresa il beneficio di un privilegio che non risulta dalle disposizioni del Trattato né da quelle del regolamento n. 17 (sentenza CB/Commissione, citata al precedente punto 475, punto 82). Tale privilegio è aumentato dal fatto che il tasso d’interesse imposto in caso di fornitura di una garanzia bancaria è inferiore a quello richiesto in caso di mancato pagamento dell’ ammenda (sentenza CB/Commissione, cit., punto 83).

479
Alla luce di tale giurisprudenza, la Commissione non era tenuta ad accettare la richiesta della UCAR volta ad ottenere un privilegio ulteriore, cioè la rinuncia alla costituzione di una garanzia bancaria e l’accettazione, in sua vece, di una garanzia reale. Infatti, una garanzia bancaria è qualitativamente superiore ad altre forme di garanzia in quanto, in caso di mancato pagamento, è sufficiente rivolgersi alla banca per ottenere immediatamente la somma garantita, mentre la realizzazione del valore di un altro tipo di garanzia può rivelarsi incerta e richiedere sforzi e tempi maggiori. Orbene, in un contesto diverso, la Corte ha concesso alle istituzioni comunitarie il diritto di istituire un sistema di cauzioni semplice ed efficace (sentenza della Corte 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena, Racc. pag. 4587, punto 10). La Commissione non è, essa stessa, una banca, e non dispone né dell’infrastruttura né dei servizi specialistici di una banca, che sarebbero necessari per valutare la garanzia di cui trattasi e per verificare le modalità della sua eventuale riscossione in caso di mancato pagamento. Essa era quindi autorizzata a rifiutare, senza specifiche motivazioni, la garanzia reale offerta dalla UCAR.

480
Infine, quanto all’asserita impossibilità per la UCAR di ottenere una garanzia bancaria, va rilevato che tale affermazione della ricorrente non è sufficientemente dimostrata. Infatti, la ricorrente non ha prodotto alcun documento emesso dalle sue banche creditrici che dimostri che essa ha presentato una domanda per l’ottenimento di una garanzia bancaria relativa alla sua ammenda, continuando nel contempo a beneficiare degli anticipi bancari destinati alle attività correnti della società, e che una simile domanda sia stata rifiutata a causa delle sue difficoltà finanziarie. Inoltre, la UCAR non ha dimostrato che le fosse impossibile ottenere, in base alla garanzia reale offerta alla Commissione, una garanzia bancaria costituita da un istituto finanziario diverso dalle sue banche creditrici.

481
Poiché nessuno dei motivi e degli argomenti formulati in questo contesto è stato accolto, le conclusioni volte all’annullamento dell’art. 4 della Decisione, nonché delle lettere di luglio e di agosto, per la parte in cui sono ricevibili, devono essere disattese.


Sulla riapertura della fase orale

482
Con memoria 9 gennaio 2004, la GrafTech International Ltd., già UCAR, ha proposto la riapertura della fase orale nella causa T‑246/01. A sostegno della sua richiesta, essa ha ricordato di aver fatto valere, nel corso del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione e nel corso del procedimento contenzioso dinanzi al Tribunale, la sua incapacità di pagare l’ammenda a causa della sua precaria situazione finanziaria, aggravata dalle sanzioni inflittele dalle autorità di Stati terzi. Benché essa abbia in tal modo dimostrato la sua incapacità contributiva ai sensi del punto 5, lett. b), degli orientamenti, la Commissione le avrebbe negato l’applicazione di tale disposizione, in quanto una riduzione dell’ammenda concessa a questo titolo significherebbe concedere un vantaggio concorrenziale ingiustificato in favore delle imprese meno adattate alle condizioni di mercato. Orbene, nella sua decisione 3 dicembre 2003, relativa ad un procedimento ai sensi dell’art. 81 del trattato CE (Caso n. C. 38.359 – Prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche), la Commissione avrebbe adottato una posizione radicalmente diversa sul problema della capacità contributiva ai sensi del punto 5, lett. b), sopra citato.

483
Con riferimento ad un comunicato stampa della Commissione di pari data, la UCAR precisa, in merito, che la Commissione ha ridotto del 33% l’importo dell’ammenda che avrebbe altrimenti inflitto alla SGL, per il fatto che a questa società erano già state inflitte ammende elevate in ragione della sua partecipazione a due precedenti intese e che essa si trovava in una difficile situazione finanziaria. Per la UCAR, è necessario nella fattispecie riaprire la fase orale, per invitare la Commissione a precisare se è sua intenzione mantenere il rifiuto opposto alla UCAR e, in caso affermativo, a spiegare come tale rifiuto possa essere conciliato con l’approccio adottato nella sua decisione 3 dicembre 2003.

484
A fronte di questo argomento, il Tribunale non ritiene necessario disporre, ai sensi dell’art. 62 del suo regolamento di procedura, la riapertura della fase orale. Infatti, il Tribunale, che dispone in tale ambito di un potere discrezionale, è tenuto ad accogliere una domanda di riapertura solo se la parte interessata si basa su fatti idonei ad esercitare un’influenza decisiva sulla soluzione della controversia che essa non era stata in grado di far valere prima della chiusura della fase orale (sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punti 127 e 128). Orbene, se la UCAR non ha potuto far valere, nella fase orale in data 3 luglio 2003, la citata decisione della Commissione 3 dicembre 2003, tale decisione risulta essere inconferente nel presente caso. Infatti, come emerge dalla giurisprudenza citata al precedente punto 370, non sussiste alcun obbligo per la Commissione di tener conto della situazione deficitaria di un’impresa ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, e ciò indipendentemente dal fatto che essa possa ritenere, in specifiche circostanze, di prendere in considerazione tale situazione in un caso determinato.

485
Di conseguenza, la domanda di riapertura della fase orale dev’essere disattesa.


Sulle spese

486
Ai sensi dell’ art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 87, n. 3, primo comma, dello stesso regolamento, il Tribunale può ripartire le spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi.

487
Nella fattispecie, nella cause T‑239/01 e T‑246/01, poiché le ricorrenti sono risultate soccombenti in una parte rilevante delle loro conclusioni, va stabilito, alla luce delle circostanze di causa, che la SGL sopporterà i sette ottavi delle proprie spese e i sette ottavi delle spese affrontate dalla Commissione, e che quest’ultima sopporterà un ottavo delle proprie spese e un ottavo delle spese affrontate dalla SGL, mentre la UCAR sopporterà i quattro quinti delle proprie spese e i quattro quinti delle spese della Commissione, e quest’ultima sopporterà un quinto delle proprie spese e un quinto delle spese affrontate dalla UCAR.

488
Nelle cause T‑245/01 e T‑252/01, poiché le ricorrenti hanno ottenuto l’accoglimento di una parte non trascurabile delle loro conclusioni, va stabilito, alla luce delle circostanze di causa, che la SDK e la C/G sopporteranno i tre quinti delle loro spese e i tre quinti delle spese affrontate dalla Commissione, mentre quest’ultima sopporterà i due quinti delle proprie spese e i due quinti delle spese affrontate dalle ricorrenti.

489
Nelle cause T‑236/01, T‑244/01 e T‑251/01, poiché le parti hanno visto accogliere e respingere in ugual misura i loro motivi, va stabilito, alla luce delle circostanze di causa, che la Tokai, la Nippon e la SEC sopporteranno la metà delle proprie spese e la metà delle spese affrontate dalla Commissione, mentre quest’ultima sopporterà la metà delle proprie spese e la metà delle spese affrontate dalle ricorrenti.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
Nella causa T‑236/01, Tokai Carbon/Commissione:

L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 12 276 000;

Il ricorso è respinto per il resto;

Ciascuna parte sopporterà la metà delle proprie spese e la metà delle spese affrontate dalla controparte.

2)
Nella causa T‑239/01, SGL Carbon/Commissione:

L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 69 114 000;

Il ricorso è respinto per il resto;

La ricorrente sopporterà i sette ottavi delle proprie spese e i sette ottavi delle spese affrontate dalla Commissione, e quest’ultima sopporterà un ottavo delle proprie spese e un ottavo delle spese affrontate dalla ricorrente.

3)
Nella causa T‑244/01, Nippon Carbon/Commissione:

L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 6 274 400;

Il ricorso è respinto per il resto;

Ciascuna parte sopporterà la metà delle proprie spese e la metà delle spese affrontate dalla controparte.

4)
Nella causa T‑245/01, Showa Denko/Commissione:

L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 10 440 000;

Il ricorso è respinto per il resto;

La ricorrente sopporterà i tre quinti delle proprie spese e i tre quinti delle spese affrontate dalla Commissione, e quest’ultima sopporterà i due quinti delle proprie spese e i due quinti delle spese affrontate dalla ricorrente.

5)
Nella causa T‑246/01, GrafTech International, già UCAR International/Commissione:

L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 42 050 000;

Il ricorso è respinto per il resto;

La ricorrente sopporterà i quattro quinti delle proprie spese e i quattro quinti delle spese affrontate dalla Commissione, e quest’ultima sopporterà un quinto delle proprie spese e un quinto delle spese affrontate dalla ricorrente.

6)
Nella causa T‑251/01, SEC Corporation/Commissione:

L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 6 138 000;

Il ricorso è respinto per il resto;

Ciascuna parte sopporterà la metà delle proprie spese e la metà delle spese affrontate dalla controparte.

7)
Nella causa T‑252/01, The Carbide/Graphite Group/Commissione:

L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 6 480 000;

Il ricorso è respinto per il resto;

La ricorrente sopporterà i tre quinti delle proprie spese e i tre quinti delle spese affrontate dalla Commissione, e quest’ultima sopporterà i due quinti delle proprie spese e i due quinti delle spese affrontate dalla ricorrente.

Forwood

Pirrung

Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 aprile 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung

Indice

Fatti all’origine delle controversie e procedimento

Conclusioni delle parti

Diritto

    A –  Sulle conclusioni volte all’annullamento integrale della Decisione ovvero di taluni accertamenti fattuali

        1.  Sulle conclusioni volte all’annullamento integrale della Decisione

            a)  Causa T‑239/01

                Sull’asserito diniego di un accesso completo al fascicolo

                Sulla pretesa non definitività della comunicazione degli addebiti

                Sull’asserita illegittimità della relazione del consigliere‑uditore

            b)  Causa T‑246/01

        2.  Sulle conclusioni volte all’annullamento parziale dell’art. 1 della Decisione e di taluni accertamenti di fatto in essa contenuti

            a)  Nella causa T‑239/01, sul motivo relativo ad un erroneo accertamento dell’attuazione di un sistema centrale di sorveglianza

            b)  Nella causa T‑236/01, sul motivo relativo ad un erroneo accertamento del carattere mondiale dell’intesa

            c)  Nella causa T‑239/01, sul motivo relativo ad un’erronea valutazione della durata dell’infrazione

            d)  Nella causa T‑244/01, sui motivi relativi ad una violazione delle forme sostanziali, per mancanza di prove sufficienti della partecipazione della Nippon all’infrazione nel periodo tra il maggio 1992 e il marzo 1993, nonché ad una carenza di motivazione sul punto

                Argomenti delle parti

                Giudizio del Tribunale

    B –  Sulle conclusioni volte all’annullamento dell’art. 3 della Decisione ovvero alla riduzione delle ammende inflitte

        1.  Sui motivi relativi ad una violazione del principio di non cumulabilità delle sanzioni e all’obbligo per la Commissione di prendere in considerazione le sanzioni anteriormente inflitte, nonché ad una carenza di motivazione sul punto

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        2.  Sui motivi relativi al mancato rispetto degli Orientamenti, all’illegittimità degli stessi e ad una carenza di motivazione sul punto

            a)  Osservazioni preliminari sul quadro normativo in cui si inseriscono le ammende inflitte alle ricorrenti

            b)  Sugli importi di partenza indicati nella Decisione in relazione alla gravità dell’infrazione

                Sintesi della Decisione

                Argomenti delle parti

                Giudizio del Tribunale

                    –  Sull’applicabilità degli orientamenti per la determinazione del fatturato rilevante

                    –  Sul fatturato considerato dalla Commissione ai fini della determinazione dell’importo di partenza

                    –  Sull’impatto effettivo dell’intesa sugli aumenti di prezzo e sulle quote di mercato di taluni membri dell’intesa

                    –  Sulla ripartizione dei membri dell’intesa in tre categorie e sulla fissazione dei rispettivi importi di base

                    –  Sul «fattore dissuasivo» applicato nella Decisione

                    –  Sulla motivazione della Decisione

            c)  Sugli importi di base stabiliti nella Decisione in funzione della durata dell’infrazione

                Sintesi della Decisione

                Causa T‑239/01

                Causa T‑246/01

                    –  Argomenti delle parti

                    –  Giudizio del Tribunale

            d)  Sulle circostanze aggravanti

                Sintesi della Decisione

                Cause T‑244/01 e 251/01

                Cause T‑239/01 e T‑246/01

            e)  Sulle circostanze attenuanti

                Sintesi della Decisione

                Cause T‑236/01, T‑239/01, T‑244/01, T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01

                    –  Argomenti delle parti

                    –  Giudizio del Tribunale

            f)  Sul limite massimo delle ammende e sulla capacità contributiva di talune ricorrenti ai sensi del punto 5 degli orientamenti

                Cause T‑239/01 e T‑245/01

                Cause T‑239/01, T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01

                    –  Argomenti delle parti

                    –  Giudizio del Tribunale

        3.  Sui motivi relativi ad una violazione della comunicazione sulla cooperazione

            a)  Causa T‑239/01

                Sintesi della Decisione

                Argomenti delle parti

                Giudizio del Tribunale

            b)  Causa T‑264/01

                Sintesi della Decisione

                Argomenti delle parti

                Giudizio del Tribunale

            c)  Causa T‑252/01

                Sintesi della Decisione

                Argomenti delle parti

                Giudizio del Tribunale

    C –  Sulle conclusioni formulate nelle cause T‑239/01 e T‑246/01, volte all’annullamento dell’art. 4 della Decisione, nonché delle lettere di luglio e di agosto

        1.  Argomenti delle parti

        2.  Giudizio del Tribunale

Sulla riapertura della fase orale

Sulle spese



1
Lingua processuale: il tedesco.


2
Dati riservati occultati.