Language of document : ECLI:EU:T:2016:368

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

28 giugno 2016 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercati portoghese e spagnolo delle telecomunicazioni – Clausola di non concorrenza nel mercato iberico inserita nel contratto di acquisizione, da parte della Telefónica, della quota detenuta dalla Portugal Telecom nell’operatore brasiliano di telefonia mobile Vivo – Salvaguardia legale “nei limiti consentiti dalla legge” – Obbligo di motivazione – Infrazione per oggetto – Restrizione accessoria – Concorrenza potenziale – Infrazione per effetti – Calcolo dell’importo dell’ammenda – Domanda di audizione di testimoni»

Nella causa T‑208/13,

Portugal Telecom SGPS, SA, con sede in Lisbona (Portogallo), rappresentata da N. Mimoso Ruiz e R. Bordalo Junqueiro, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da C. Giolito, C. Urraca Caviedes e T. Christoforou, successivamente da C. Giolito, C. Urraca Caviedes e P. Costa de Oliveira, in qualità di agenti, assistiti da M. Marques Mendes, avvocato,

convenuta,

avente ad oggetto, in via principale, la domanda di annullamento della decisione C (2013) 306 final della Commissione, del 23 gennaio 2013, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE (caso COMP/39.839 – Telefónica/Portugal Telecom) e, in subordine, la domanda di riduzione dell’ammenda,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M.E. Martins Ribeiro (relatore), presidente, S. Gervasoni e L. Madise, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 maggio 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La presente controversia, avente ad oggetto la decisione C (2013) 306 final della Commissione, del 23 gennaio 2013, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE (caso COMP/39.839 – Telefónica/Portugal Telecom) (in prosieguo: la «decisione impugnata») è scaturita da una clausola (in prosieguo: la «clausola») inserita nell’articolo 9 dell’accordo di acquisto di azioni (in prosieguo: l’«accordo») firmato dalla Telefónica, SA (in prosieguo: la «Telefónica»), e dalla ricorrente, la Portugal Telecom SGPS, SA (in prosieguo: la «PT») il 28 luglio 2010, riguardante il controllo esclusivo, da parte della Telefónica, dell’operatore di rete mobile brasiliano Vivo Participações, SA (in prosieguo: la «Vivo»). La clausola così recita (punto 1 della decisione impugnata):

«Numero nove – Divieto di concorrenza

Nei limiti consentiti dalla legge, ciascuna delle parti si astiene dal partecipare o dall’investire, in maniera diretta o mediante proprie controllate, in qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico per un periodo decorrente dalla data di conclusione dell’operazione [27 settembre 2010] fino al 31 dicembre 2011».

2        La Commissione europea ha ritenuto, in linea con la propria conclusione preliminare contenuta nella comunicazione degli addebiti del 21 ottobre 2011, che, alla luce della clausola e delle circostanze (il contesto economico e giuridico nel quale si inseriva tale caso e il comportamento delle parti), la clausola equivalesse ad un accordo di ripartizione dei mercati avente ad oggetto la restrizione della concorrenza nel mercato interno, in violazione dell’articolo 101 TFUE (punti 2 e 434 della decisione impugnata).

A –  Presentazione della PT e della Telefónica

3        Il gruppo Portugal Telecom è stato costituito nel 1994 in seguito alla fusione di tre società pubbliche, e privatizzato in cinque fasi dal 1995 al 2000. Al termine della quinta e ultima fase di privatizzazione, nel 2000, lo Stato portoghese deteneva 500 azioni di categoria A (in prosieguo: le «azioni privilegiate»), che gli conferivano taluni diritti particolari, tra i quali il diritto di veto per le modifiche statutarie e altre decisioni rilevanti. Il 12 dicembre 2000, la Portugal Telecom, SA ha adottato la struttura di società di investimenti e la denominazione PT (punti 21, 22 e 23 della decisione impugnata).

4        La PT è il primo operatore di telecomunicazioni in Portogallo e dispone di una presenza strategica in altri paesi, in particolare in Brasile e nell’Africa subsahariana. In Brasile, l’attivo della PT consisteva principalmente nel 50% delle quote dell’impresa comune che controllava la Vivo sino all’acquisizione di quest’ultima da parte della Telefónica. In seguito alla cessione della propria partecipazione nella Vivo, il 28 luglio 2010, la PT ha concluso un partenariato strategico con l’Oi, uno dei principali fornitori di comunicazioni elettroniche in Brasile (punti 24 e 25 della decisione impugnata).

5        La PT ha ceduto la propria partecipazione dello 0,20% nella Telefónica nel 2010 e non controlla alcuna società spagnola. Essa fornisce servizi di telecomunicazione ai propri clienti multinazionali portoghesi che operano nel mercato spagnolo utilizzando le reti di altri operatori e, in particolare, della Telefónica (punti 27, 28 e 233 della decisione impugnata).

6        La Telefónica è l’ex monopolio di Stato spagnolo delle telecomunicazioni, interamente privatizzato nel 1997, e il primo operatore di telecomunicazioni in Spagna. La Telefónica ha sviluppato una presenza internazionale in vari paesi dell’Unione europea, dell’America latina e dell’Africa ed è uno dei più grandi gruppi europei di telecomunicazioni (punti 12 e 16 della decisione impugnata).

7        Al momento dell’adozione della decisione oggetto della presente controversia, la Telefónica deteneva il 2% del capitale della PT. All’epoca dei fatti oggetto di detta decisione, la Telefónica deteneva una partecipazione minoritaria nella Zon Multimedia (in prosieguo: la «Zon»), società concorrente della PT operante nel settore delle comunicazioni elettroniche, nata dalla scissione, avvenuta nel novembre 2007, tra la PT Multimedia e la propria controllante, la PT. Oltre alle proprie partecipazioni nelle società portoghesi, la Telefónica iniziava a sviluppare una presenza diretta in Portogallo grazie a due delle sue controllate e alla filiale portoghese di una di tali controllate (punti da 18 a 20 e 215 della decisione impugnata).

8        La Telefónica designava peraltro, a seconda della data, uno o due membri del consiglio di amministrazione della PT. Alla data di conclusione definitiva dell’operazione relativa all’acquisizione della Vivo, ossia il 27 settembre 2010 (v. infra, punto 25), la Telefónica aveva designato due membri del consiglio di amministrazione della PT (nota a piè di pagina n. 67 della decisione impugnata).

B –  Le negoziazioni e la firma dell’accordo

9        La Vivo è uno dei principali operatori nel settore delle telecomunicazioni mobili in Brasile. Al momento della firma dell’accordo, il 28 luglio 2010, la Vivo era controllata congiuntamente dalla Telefónica e dalla PT attraverso la Brasilcel NV (in prosieguo: la «Brasilcel»), società di investimento registrata nei Paesi Bassi (punto 33 della decisione impugnata).

10      Il 6 maggio 2010 la Telefónica lanciava un’offerta pubblica di acquisto ostile di importo pari a EUR 5,7 miliardi sulla partecipazione del 50% detenuta, all’epoca, dalla PT nella Brasilcel. Detta offerta conteneva, in particolare, una disposizione ai sensi della quale «la Telefónica non avrebbe imposto alcuna clausola di non concorrenza o di astensione alla Portugal Telecom». Questa prima offerta veniva respinta all’unanimità dai membri del consiglio di amministrazione della PT (punti 35 e 36 della decisione impugnata).

11      Il 1° giugno 2010, alle 2:53, in seguito a una riunione svoltasi inter partes il 31 maggio 2010, la PT inviava alla Telefónica un messaggio di posta elettronica con un progetto relativo a una seconda offerta per l’acquisto della sua partecipazione nella Vivo. La clausola veniva introdotta per la prima volta in tale progetto (punto 38 della decisione impugnata).

12      Il primo progetto di clausola era redatto come segue (punto 39 della decisione impugnata):

«Divieto di concorrenza

Ciascuna delle parti si astiene dal partecipare o dall’investire, in maniera diretta o mediante proprie controllate, in qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico per un periodo decorrente dalla data di accettazione dell’offerta fino i) al 31 dicembre 2011 o ii) alla data del trasferimento effettivo dell’ultima parte delle azioni alternative B».

13      Con un messaggio di posta elettronica, inviato alla PT il 1° giugno 2010 alle 12:21, la Telefónica suggeriva di apportare una modifica alla clausola mediante l’aggiunta della locuzione «ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso» al fine di escludere dall’ambito di applicazione di tale clausola le attività di ciascuna parte all’epoca esistenti nel mercato nazionale dell’altra. Tale modifica è stata inserita nella seconda offerta datata 1° giugno 2010 (punto 40 della decisione impugnata).

14      Oltre al primo progetto di clausola, la seconda offerta prevedeva un aumento del prezzo a EUR 6,5 miliardi, un’opzione di riacquisto a favore della PT, in forza della quale essa poteva riacquistare le proprie azioni detenute dalla Telefónica, e un impegno della Telefónica ad acquistare le azioni che la PT deteneva nella società Dedic SA, un operatore di call center brasiliano. Inoltre, la seconda offerta prevedeva sempre l’impegno della Telefónica ad astenersi dall’imporre «una qualsiasi clausola di non concorrenza o di astensione alla Portugal Telecom», già contenuta nella prima offerta (punti 41 e 42 della decisione impugnata).

15      Nella serata del 1° giugno 2010 il consiglio di amministrazione della PT rendeva noto che, a suo avviso, la seconda offerta formulata dalla Telefónica non rifletteva il valore effettivo della Vivo. Tuttavia, il consiglio decideva di sottoporre la propria decisione all’assemblea generale della società il 30 giugno 2010 (punto 45 della decisione impugnata).

16      La seconda offerta veniva resa pubblica dalle parti mediante inserimento in rete sui rispettivi siti Internet e con comunicazione alle autorità di borsa spagnola e portoghese. Inoltre, il contenuto della clausola inserita nella seconda offerta veniva anch’esso reso pubblico in un opuscolo distribuito dal consiglio di amministrazione della PT il 9 giugno 2010 ai propri azionisti ai fini della preparazione dell’assemblea generale prevista il 30 giugno 2010 (punti 128 e 129 della decisione impugnata).

17      Il 29 giugno 2010 la Telefónica presentava una terza offerta di importo pari a EUR 7,15 miliardi, che conteneva peraltro gli stessi termini e condizioni della seconda offerta (punto 46 della decisione impugnata).

18      Il 30 giugno 2010 l’assemblea generale ordinaria della PT approvava la terza offerta formulata dalla Telefónica. Tuttavia, il governo portoghese esercitava il diritto inerente alle azioni privilegiate dallo stesso detenute nella PT (v. supra, punto 3) per bloccare l’operazione e la Telefónica prorogava la terza offerta fino al 16 luglio 2010 (punti 47 e 48 della decisione impugnata).

19      Nella sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Portogallo (C‑171/08, Racc., EU:C:2010:412), la Corte ha dichiarato che, mantenendo nella PT diritti speciali come quelli previsti nello statuto di detta società a favore dello Stato e di altre entità pubbliche, attribuiti in connessione con azioni privilegiate dello Stato nella PT, la Repubblica portoghese era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 56 CE (punto 50 della decisione impugnata).

20      Il 16 luglio 2010 la PT chiedeva alla Telefónica di prorogare la sua offerta sino al 28 luglio 2010, ma la Telefónica si opponeva e l’offerta scadeva (punto 51 della decisione impugnata).

21      Il 27 luglio 2010 aveva luogo una nuova riunione tra la PT e la Telefónica e quest’ultima proponeva alla PT, da un lato, di aggiungere l’espressione «nei limiti consentiti dalla legge» all’inizio della clausola e, dall’altro, di fissare la durata della clausola dalla «data di conclusione dell’operazione [27 settembre 2010] fino al 31 dicembre 2011» (punti 52 e 53 della decisione impugnata).

22      Il 28 luglio 2010 la Telefónica e la PT concludevano l’accordo in forza del quale la Telefónica assumeva il controllo esclusivo della Vivo grazie all’acquisto del 50% del capitale della Brasilcel, versando un prezzo di EUR 7,5 miliardi (punto 54 della decisione impugnata).

23      L’accordo conteneva, all’articolo 9, la clausola seguente (punto 55 della decisione impugnata):

«Numero nove – Divieto di concorrenza

Nei limiti consentiti dalla legge, ciascuna delle parti si astiene dal partecipare o dall’investire, in maniera diretta o mediante proprie controllate, in qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico per un periodo decorrente dalla data di conclusione dell’operazione [27 settembre 2010] fino al 31 dicembre 2011».

24      Contrariamente alla seconda offerta (v. supra, punto 14), l’accordo non prevedeva più l’opzione di riacquisto a favore della PT, in forza della quale quest’ultima poteva riacquistare le proprie azioni detenute dalla Telefónica. Per contro, l’accordo prevedeva, in particolare, in primo luogo, le dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT designati dalla Telefónica (articolo 3, paragrafo 6, dell’accordo), in secondo luogo, un programma di partenariato industriale fra le due imprese (articolo 6 dell’accordo) salvo che le stesse non fossero in concorrenza in Brasile (articolo 7 dell’accordo) e, in terzo luogo, l’eventuale acquisizione, da parte della Telefónica, della società brasiliana Dedic, specializzata nella fornitura di servizi di call center (articolo 10 dell’accordo) (punti da 56 a 61 della decisione impugnata).

25      La conclusione definitiva dell’operazione aveva luogo il 27 settembre 2010, per effetto di un «atto notarile di cessione di azioni» e di un «atto notarile di conferma» (punto 63 della decisione impugnata).

26      Alla data della firma dell’accordo, il 28 luglio 2010, la PT aveva anche annunciato di aver concluso, in pari data, un protocollo di accordo recante fissazione delle norme applicabili all’attuazione di un partenariato strategico con l’Oi (v. supra, punto 4) e di auspicare l’acquisto del 22,38% delle quote del gruppo Oi per svolgere un ruolo rilevante nella gestione di quest’ultimo (punto 62 della decisione impugnata).

27      L’operazione Vivo veniva notificata, in data 29 luglio e 18 agosto 2010, all’Agência National de Telecommunicações (Anatel, autorità di regolamentazione delle telecomunicazioni brasiliane) e al Conselho Administrativo de Defesa Econômica (CADE, autorità brasiliana garante della concorrenza) e, in un articolo apparso sulla stampa il 23 agosto 2010, la Telefónica confermava che l’accordo conteneva una clausola di non concorrenza (punti 103, 130 e 491 della decisione impugnata).

C –  Fatti avvenuti successivamente alla conclusione dell’accordo

28      Il 26 e il 29 ottobre 2010 si svolgevano due conversazioni telefoniche tra la Telefónica e la PT (punti 113 e 124 della decisione impugnata).

29      Il 4 febbraio 2011, in seguito all’avvio del procedimento da parte della Commissione il 19 gennaio 2011 (v. infra, punto 31), la Telefónica e la PT firmavano un accordo per eliminare la clausola (punto 125 della decisione impugnata), redatto nei seguenti termini:

«Preambolo:

Considerato che la [PT] e la Telefónica hanno concluso un accordo (in prosieguo: l’“accordo”), il 28 giugno 2010, relativo alla vendita, da parte della [PT], alla Telefónica del 50% (cinquanta) per cento del capitale della società di diritto olandese [Brasilcel] (in prosieguo: la “Brasilcel” o la “società”).

Considerato che l’articolo 9 dell’accordo conteneva una clausola di non concorrenza, in forza della quale, nei limiti consentiti dalla legge, ciascuna parte si impegna[va] a non fare concorrenza alla controparte nel mercato iberico, a decorrere dalla data di conclusione dell’operazione (quale definita nell’accordo) e fino al 31 dicembre 2011.

Considerato che l’articolo 9 dell’accordo era stato previamente ipotizzato dalle parti nell’ambito di un’eventuale opzione di riacquisto, a favore della PT, delle azioni detenute, all’epoca, dalla Telefónica in detta società, e che tale articolo è stato mantenuto nell’accordo definitivo, salva la sua conformità alla legge, nonostante, in fine, la rinuncia a tale opzione.

Considerato che le parti intendono riportare per iscritto la circostanza che il menzionato articolo 9 non è applicabile, che non è mai stato eseguito, e che non ha avuto quindi alcun effetto sulle rispettive decisioni commerciali.

Considerato che alla Telefónica e alla PT è stato notificato, rispettivamente, il 24 gennaio e il 21 gennaio 2011, l’avvio, da parte della Commissione europea, di un procedimento formale nei loro confronti in merito al suddetto articolo 9.

Tutto ciò premesso, le parti convengono quanto segue:

Articolo 1. Modifica dell’accordo e revoca dei diritti

Si procede alla modifica dell’accordo e all’abolizione dell’intero articolo 9. Tale articolo è considerato nullo e non scritto.

Le parti confermano, in modo irrevocabile e definitivo, che l’articolo 9 non può conferire diritti o imporre obblighi di qualunque tipo alle parti o a qualsivoglia terzo.

Articolo 2. Normativa applicabile

Il presente accordo e qualsiasi controversia relativa alla sua esecuzione o qualsiasi conseguenza connessa a qualsivoglia violazione delle sue disposizioni saranno disciplinati dal diritto portoghese e interpretati conformemente a quest’ultimo».

D –  Procedimento dinanzi alla Commissione

30      La clausola veniva individuata, nel settembre 2010, dall’autorità spagnola garante della concorrenza, che ne informava l’autorità portoghese garante della concorrenza e la Commissione, cui veniva deciso di affidare l’indagine (punto 3 della decisione impugnata).

31      Il 19 gennaio 2011 la Commissione avviava un procedimento nei confronti della Telefónica e la PT, ai sensi del disposto dell’articolo 11, paragrafo 6 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), e dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU L 123, pag. 18) (punto 5 della decisione impugnata).

32      Nell’ambito dell’indagine, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione inviava richieste di informazioni alle parti il 5 gennaio, il 1° aprile, il 25 maggio, il 10 e il 24 giugno 2011 nonché il 5 settembre 2012 e ad alcuni dei loro clienti multinazionali il 20 aprile 2011. Inoltre, avevano luogo riunioni con la PT il 17 marzo e l’8 settembre 2011 nonché il 27 settembre 2012, e con la Telefónica il 21 marzo e il 7 settembre 2011 nonché il 27 settembre 2012 (punto 6 della decisione impugnata).

33      Il 21 ottobre 2011 la Commissione emanava una comunicazione degli addebiti, il 4 novembre 2011, le parti avevano accesso al fascicolo e, il 7 novembre 2011, le stesse ricevevano i documenti corrispondenti. Il 13 gennaio 2012 la Telefónica e la PT rispondevano alla comunicazione degli addebiti, senza peraltro chiedere alcuna audizione (punti 7, 8 e 9 della decisione impugnata).

34      Il 23 gennaio 2013 la Commissione adottava la decisione impugnata.

 Decisione impugnata

35      La Commissione ha precisato che il caso da cui è scaturita la decisione impugnata riguardava la clausola contenuta nell’accordo (v. supra, punti 1, 22 e 23) (punto 1 della decisione impugnata).

36      La Commissione ha chiarito che, a suo avviso, secondo quanto indicato nella comunicazione degli addebiti, alla luce della clausola e delle circostanze (il contesto economico e giuridico nel quale si inseriva tale caso e il comportamento delle parti), la clausola equivaleva ad un accordo di ripartizione dei mercati avente ad oggetto la restrizione della concorrenza nel mercato interno, in violazione dell’articolo 101 TFUE, confermando tale conclusione nella decisione impugnata (punto 2 della decisione impugnata).

37      In primo luogo, la Commissione ha analizzato gli antecedenti in fatto delle trattative tra le parti che hanno portato all’introduzione della clausola nella versione definitiva dell’accordo, i fatti successivi alla firma di quest’ultimo (v. supra, punti da 10 a 29) e gli argomenti delle parti presentati in relazione a detti antecedenti e fatti (punti da 29 a 130 della decisione impugnata).

38      In secondo luogo, la Commissione ha ritenuto, quanto alla sfera di applicazione della clausola e ai mercati pertinenti, che essa riguardasse, alla luce della sua formulazione (v. supra, punti 1 e 23), qualsiasi progetto relativo a servizi di comunicazione elettronica, sempreché l’una o l’altra parte fornisse o potesse fornire un servizio di tal genere. Pertanto, come emerge dalla sua formulazione, la clausola riguardava i servizi di telefonia fissa e mobile, di accesso a Internet e televisivi nonché i servizi di radiodiffusione, considerati servizi di comunicazione sebbene non menzionati nella clausola. Per contro, la Commissione ha precisato che, conformemente al tenore della clausola, qualsiasi attività esercitata e qualsiasi investimento effettuato anteriormente alla firma dell’accordo, ossia il 28 luglio 2010, erano esclusi dall’ambito di applicazione della clausola (punti da 132 a 136 e 185 della decisione impugnata).

39      Su quest’ultimo punto, la Commissione ha osservato che i servizi globali di telecomunicazione e i servizi all’ingrosso di trasporto internazionale erano esclusi dall’ambito di applicazione della clausola per la presenza di ciascuna parte nei mercati di detti servizi, nell’ambito della penisola iberica, alla data della firma dell’accordo (punti 173, 174, 184 e 185 della decisione impugnata).

40      Quanto alla portata geografica della clausola, la Commissione ha interpretato l’espressione «mercato iberico» nel senso di un riferimento ai mercati spagnolo e portoghese. Tenuto conto delle attività commerciali delle parti, consistenti in una presenza nella maggior parte dei mercati delle comunicazioni elettroniche nel paese d’origine di ciascuna parte e in una presenza scarsa, se non addirittura inesistente, nel paese d’origine della controparte (v. supra, punti da 3 a 7), la Commissione ha ritenuto che l’ambito di applicazione geografico della clausola riguardasse il Portogallo, per la Telefónica, e la Spagna, per la PT (punti da 137 a 140 della decisione impugnata).

41      Pertanto, la Commissione ha concluso che la clausola si applicava a tutti i mercati dei servizi di telecomunicazione elettronica e dei servizi televisivi in Spagna e in Portogallo, eccezion fatta per i mercati di fornitura di servizi globali di telecomunicazione e di servizi all’ingrosso di trasporto internazionale (punto 185 della decisione impugnata).

42      In terzo luogo, secondo la Commissione, non vi è dubbio che la clausola costituisce un accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, trattandosi di un accordo scritto, concluso e firmato dalle parti, la cui esistenza è innegabile e che, per di più, la clausola è stata oggetto di un atto notarile nel cui preambolo si precisa che ad esso è allegata una copia dell’accordo (punto 237 della decisione impugnata).

43      Sotto un primo profilo, alla luce della giurisprudenza relativa alle restrizioni della concorrenza per oggetto, la Commissione ha ritenuto, dopo aver analizzato gli argomenti delle parti, che la clausola costituisse una restrizione per oggetto tenuto conto del contenuto dell’accordo, degli scopi perseguiti dalla clausola, del contesto economico e giuridico nel quale la clausola si inseriva, della condotta e del comportamento effettivo delle parti e, infine, dell’intenzione di queste ultime (punti da 238 a 242 e da 243 a 356 della decisione impugnata).

44      La Commissione ha quindi concluso, quanto all’oggetto della clausola, che, alla luce della sua sfera di applicazione, la clausola vietava alla PT di penetrare in uno dei mercati spagnoli delle telecomunicazioni e alla Telefónica di estendere la sua presenza, limitata, nei mercati portoghesi delle telecomunicazioni, e ciò per tutto il periodo di applicazione della clausola, cosicché, invece di farsi concorrenza reciprocamente e di comportarsi come rivali, comportamento normalmente atteso in un mercato aperto e concorrenziale, la Telefónica e la PT avevano convenuto, deliberatamente, di escludere e di limitare qualsiasi concorrenza nei rispettivi mercati, costituendo quindi la clausola un accordo di ripartizione dei mercati (punto 353 della decisione impugnata).

45      Su quest’ultimo punto, la Commissione ha precisato che la clausola poteva, per di più, ritardare l’integrazione nel settore delle comunicazioni elettroniche, in quanto il processo di integrazione di detto mercato sarebbe stato gravemente compromesso qualora operatori storici come la Telefónica e la PT avessero potuto rafforzare la loro posizione, già particolarmente forte, nel mercato partecipando a pratiche collusive volte a proteggere i loro mercati d’origine e ad evitare l’entrata di altri operatori in tali mercati (punti 354 e 355 della decisione impugnata).

46      Sotto un secondo profilo, dopo aver ricordato che, conformemente alla giurisprudenza, la considerazione degli effetti concreti di un accordo è superflua a fronte della prova che quest’ultimo costituisca una restrizione della concorrenza per oggetto –, ciò che, secondo la Commissione, è avvenuto nella specie, l’Istituzione ha tuttavia precisato, in risposta agli argomenti delle parti, che, anzitutto, la clausola era stata adottata da due concorrenti, essendo quindi idonea a produrre effetti anticoncorrenziali, che, inoltre, laddove la clausola fosse stata considerata inidonea a produrre effetti, ciò non avrebbe potuto impedire che essa potesse essere considerata costitutiva di una restrizione per oggetto in quanto, se un accordo ha per oggetto di restringere la concorrenza, è indifferente, per quanto riguarda l’esistenza dell’infrazione, che la conclusione dell’accordo sia avvenuta o meno nell’interesse commerciale dei contraenti, restando quindi del tutto irrilevante il fatto che la clausola avente ad oggetto la restrizione della concorrenza sia potuta risultare inidonea a produrre effetti nell’interesse commerciale della Telefónica o della PT, e che, infine, le parti non avevano affatto dimostrato di aver avviato nuove attività in Spagna o in Portogallo che potessero smentire l’attuazione della clausola, il che non dimostrava, di per sé, che la clausola fosse stata attuata, ma era un segnale che ciò aveva potuto verificarsi (punti 240 e da 357 a 365 della decisione impugnata).

47      Secondo la Commissione, doveva ritenersi, nella specie, non necessario dimostrare l’esistenza di un qualsivoglia effetto negativo sulla concorrenza, in quanto l’oggetto anticoncorrenziale della clausola era stato dimostrato e non occorreva quindi effettuare una valutazione dettagliata di ciascun mercato delle telecomunicazioni in questione nonché degli effetti della clausola nell’ambito di questi ultimi (punto 366 della decisione impugnata).

48      Sotto un terzo profilo, la Commissione ha precisato che la clausola non può essere considerata quale restrizione accessoria all’operazione Vivo, in quanto la clausola riguardava il mercato iberico mentre l’operazione Vivo riguarda un operatore la cui attività si limita al Brasile e che la clausola non può essere considerata necessaria per la realizzazione dell’operazione (punti da 367 a 433 della decisione impugnata).

49      La Commissione è giunta alla conclusione che la clausola imponeva un obbligo di non concorrenza alle parti costituendo un accordo di ripartizione dei mercati allo scopo di restringere la concorrenza nel mercato interno e violando, conseguentemente, l’articolo 101 TFUE, alla luce del contenuto dell’accordo (e, in particolare, della formulazione della clausola, che dava adito solo a pochi dubbi sulla sua natura, o addirittura a nessun dubbio) nonché del contesto economico e giuridico nel quale l’accordo si inseriva (ad esempio, i mercati delle comunicazioni elettroniche, che erano liberalizzati) e della condotta e del comportamento effettivi delle parti (in particolare, dell’annullamento della clausola unicamente ad opera delle stesse il 4 febbraio 2011, in seguito all’avvio del procedimento da parte della Commissione il 19 gennaio 2011, e non già in seguito alle conversazioni telefoniche dell’ottobre 2010, contrariamente a quanto affermato dalle parti) (punto 434 della decisione impugnata).

50      Sotto un quarto profilo, la Commissione ha precisato che la clausola non risponde ai requisiti fissati dall’articolo 101, paragrafo 3, TFUE (punti da 436 a 446 della decisione impugnata) e che può compromettere gli scambi tra Stati membri (punti da 447 a 453 della decisione impugnata).

51      Sotto un quinto profilo, per quanto riguarda la durata dell’infrazione, la Commissione ha concluso che tale durata copre il periodo decorrente dalla data della conclusione definitiva dell’operazione, ossia il 27 settembre 2010 (v. supra, punto 25), alla data in cui la clausola è stata annullata, ossia il 4 febbraio 2011 (v. supra, punto 29) (punti da 454 a 465 della decisione impugnata).

52      Sotto un sesto profilo, per quanto attiene al calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha applicato, nella decisione impugnata, le disposizioni degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti»).

53      Ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione ha tenuto conto del valore delle vendite dei servizi oggetto della clausola, quali definiti nella sezione 5 della decisione impugnata (v. supra, punti da 38 a 40) e, in particolare, per ciascuna parte, unicamente il valore delle proprie vendite nel paese d’origine (punti da 478 a 483 della decisione impugnata).

54      La Commissione ha altresì ricordato di tener conto, in linea generale, delle vendite realizzate dalle imprese durante l’ultimo anno completo della loro partecipazione all’infrazione, ma che, nella specie, l’infrazione era durata meno di un anno e aveva avuto luogo tra il 2010 e il 2011. Successivamente, la Commissione ha fatto ricorso alle vendite delle imprese nel corso del 2011, che erano più ridotte rispetto alle vendite registrate dalle parti nel 2010 (punto 484 della decisione impugnata).

55      Quanto alla gravità dell’infrazione, che determina la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione per fissare l’importo di base dell’ammenda, la Commissione ha ricordato che l’infrazione è costituita da un accordo di non concorrenza e di ripartizione dei mercati delle comunicazioni elettroniche e televisive spagnolo e portoghese e che la Telefónica e la PT sono gli operatori storici nei rispettivi paesi. Inoltre, la Commissione ha precisato di tener conto del fatto che la clausola non è stata tenuta segreta dalle parti (v. supra, punti 16 e 27). Alla luce di tali elementi, la Commissione ha ritenuto che la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione dovesse essere pari al 2% per le due imprese interessate (punti da 489 a 491 e 493 della decisione impugnata).

56      Quanto alla durata dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto del fatto che la durata si è estesa dal 27 settembre 2010 (data della constatazione mediante atto notarile e, quindi, della conclusione definitiva dell’operazione) al 4 febbraio 2011 (data dell’accordo delle parti che poneva fine alla clausola) (punto 492 della decisione impugnata).

57      La Commissione non ha rilevato alcuna circostanza aggravante e ha ritenuto che la data di cessazione della validità della clausola, il 4 febbraio 2011, costituisse una circostanza attenuante tenuto conto del fatto che la stessa aveva avuto luogo solo sedici giorni dopo l’avvio del procedimento e 30 giorni dopo l’invio della prima richiesta di informazioni alle parti. Poiché la clausola non era, peraltro, segreta, la Commissione ha ritenuto opportuno ridurre l’importo di base dell’ammenda da infliggere alle parti del 20% (punti 496, 500 e 501 della decisione impugnata).

58      L’importo definitivo delle ammende ammonta a EUR 66 894 000 per la Telefónica e a EUR 12 290 000 per la PT (punto 512 della decisione impugnata). La Commissione ha precisato che tale importo non superava il 10% del fatturato totale realizzato da ciascuna impresa interessata (punti 510 e 511 della decisione impugnata).

59      Il dispositivo della decisione impugnata così recita:

«Articolo 1

La [Telefónica] e la [PT] hanno commesso una violazione dell’articolo 101 [TFUE] stipulando un patto di non concorrenza consistente nell’articolo nove dell’accordo concluso da tali società il 28 luglio 2010.

La durata dell’infrazione si è protratta dal 27 settembre 2010 al 4 febbraio 2011.

Articolo 2

«Per l’infrazione di cui all’articolo 1, sono inflitte le seguenti ammende:

a) alla [Telefónica]: EUR 66 894 000

b) alla [PT]: EUR 12 290 000

(…)».

 Procedimento e conclusioni delle parti

60      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 9 aprile 2013, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

61      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, ha chiesto alle parti di produrre documenti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta nel termine impartito.

62      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza che ha avuto luogo il 12 maggio 2015.

63      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare che il presente ricorso di annullamento è stato validamente proposto ed è ricevibile in forza dell’articolo 263 TFUE e ai fini dell’articolo 264 TFUE;

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta in forza dell’articolo 2 della decisione impugnata;

–        condannare la Commissione a sopportare le spese del procedimento e le spese che essa ha sostenuto.

64      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso irricevibile;

–        in subordine, dichiarare che il ricorso è privo di qualsiasi fondamento giuridico e mantenere la decisione negli stessi termini nonché l’ammenda inflitta con il medesimo importo;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

A –  Sulla ricevibilità

65      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce formalmente due motivi di annullamento, il primo vertente sulla violazione delle forme sostanziali, ossia il difetto di motivazione e l’insufficienza della prova, e il secondo vertente sulla violazione del Trattato e del diritto relativo alla sua applicazione, in quanto la decisione è viziata da un errore manifesto sui fatti, sulla prova e sulla sufficienza della prova, da un errore nell’interpretazione dell’articolo 101 TFUE e, quindi, dalla violazione di tale disposizione, dalla violazione dell’obbligo di svolgere indagini e di pronunciarsi, dalla violazione del principio in dubio pro reo, dalla violazione dei principi ai quali la Commissione è soggetta nell’irrogare ammende e dalla violazione del principio di proporzionalità.

66      Prima dell’esposizione dei motivi propriamente detti, l’atto introduttivo del ricorso contiene tre parti preliminari intitolate «I fatti», «L’oggetto del ricorso» e «Contenuto essenziale e principali vizi della decisione».

67      La Commissione sostiene che, per mancanza di chiarezza e di comprensibilità nonché per le modalità di presentazione dei motivi dedotti, l’atto introduttivo del ricorso deve essere dichiarato irricevibile in forza dell’articolo 44 del regolamento di procedura del 2 maggio 1991. La Commissione sostiene che è assai difficile individuare ciò che la ricorrente intende dedurre come motivi di annullamento, in quanto l’esposizione dei motivi propriamente detta inizia solo al punto 276 dell’atto introduttivo del ricorso, preceduta da più di 250 punti di sviluppi nei quali la ricorrente non precisa in che cosa consistano concretamente, a suo avviso, uno o più motivi di annullamento della decisione impugnata. Inoltre, nell’esposizione dei motivi di annullamento, la ricorrente non preciserebbe in quale misura detti sviluppi siano pertinenti ai fini della concretizzazione dei motivi di annullamento.

68      Va ricordato che, in forza dell’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, ogni ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a supporto (sentenza del 30 gennaio 2007, France Télécom/Commissione, T‑340/03, Racc., EU:T:2007:22, punto 166). Inoltre, il giudice dell’Unione ha dichiarato che si doveva ammettere che l’enunciazione dei motivi del ricorso poteva non attenersi alla terminologia e all’enumerazione del regolamento di procedura e l’indicazione della loro sostanza anziché della loro qualificazione giuridica, poteva bastare a condizione che i motivi emergessero con sufficiente chiarezza dal ricorso (v. ordinanza del 21 maggio 1999, Asia Motor France e a./Commissione, T‑154/98, Racc., EU:T:1999:109, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

69      Per contro, se così non avviene e se nell’atto introduttivo del ricorso non sono formulate, in particolare, contestazioni precise contro la decisione impugnata, il ricorso deve essere dichiarato irricevibile (v., in tal senso, ordinanza del 20 gennaio 2012, Groupe Partouche/Commissione, T‑315/10, EU:T:2012:21, punti 22 e seguenti).

70      Pertanto, non è ammissibile che l’istituzione convenuta e il Tribunale siano obbligati a basarsi su congetture riguardo ai ragionamenti e alle circostanze precise – di fatto e di diritto – che potrebbero aver legittimato le contestazioni della ricorrente. Infatti, è proprio una situazione di questo tipo, fonte di incertezza del diritto e incompatibile con il principio della corretta amministrazione della giustizia, che l’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991 intende evitare (v., in tal senso, ordinanza del 19 maggio 2008, TF1/Commissione, T‑144/04, Racc., EU:T:2008:155, punto 57).

71      Infine, va rilevato che elementi contenuti in un ricorso di annullamento sotto il titolo «I fatti», «L’oggetto del ricorso» oppure «Contenuto essenziale e principali vizi della decisione» non sono idonei, prima facie, a costituire motivi autonomi in grado di determinare l’annullamento della decisione impugnata, ma piuttosto sono diretti a descrivere i fatti e l’atto contestato. Tuttavia, non è possibile escludere a priori la possibilità che tale parte del ricorso possa contenere l’esposizione di uno o più motivi di annullamento. Nondimeno, solo se risulta da un passo contenuto in tali titoli in maniera chiara e univoca che, oltre alla sua funzione descrittiva, tale passo rimette in discussione la validità delle constatazioni effettuate nella decisione impugnata, si può ritenere che esso costituisca un motivo di ricorso, nonostante la struttura dell’atto introduttivo e il suo posto nell’economia generale di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenze del 14 dicembre 2005, Honeywell/Commissione, T‑209/01, Racc., EU:T:2005:455, punto 106, e del 1° luglio 2008, Commissione/D, T‑262/06 P, Racc. FP, EU:T:2008:239, punto 52).

72      Nella specie, occorre constatare una mancanza di chiarezza dell’atto introduttivo del ricorso dovuta, in particolare, al fatto che la ricorrente espone, in più di 200 punti, «[il c]ontenuto essenziale e [i] principali vizi della decisione» prima di arrivare ai «motivi» propriamente detti. Poiché tali «motivi» sono trattati in modo assai sommario, risulta necessario procedere all’individuazione, in questi circa 200 punti, delle censure e degli argomenti a sostegno dei motivi dedotti.

73      Risulta, del resto, che tale era l’intento della ricorrente, come la stessa ha affermato al punto 69 della replica e confermato all’udienza. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, è possibile individuare, nella parte relativa al «[c]ontenuto essenziale e [ai] principali vizi della decisione», le contestazioni che la ricorrente formula contro la decisione impugnata e le disposizioni di cui essa invoca la violazione. Non si può quindi sostenere, al pari della Commissione, che «risulta chiaramente dall’atto introduttivo del ricorso un’assenza totale di conclusioni giuridiche atte a rimettere in discussione la legittimità della decisione [impugnata]». Occorre, peraltro, osservare che la Commissione ha potuto formulare una risposta alle censure dedotte dalla ricorrente.

74      Ne consegue che l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione deve essere respinta e il ricorso deve essere dichiarato ricevibile.

75      Occorre tuttavia rilevare che, sebbene sia possibile individuare, nei circa 200 punti che precedono l’esposizione dei motivi propriamente detti del ricorso, le contestazioni che la ricorrente formula contro la decisione impugnata e le disposizioni di cui essa invoca la violazione, le sue memorie sono caratterizzate dalla mancanza di corrispondenza tra dette contestazioni e i motivi dedotti e una certa mancanza di sintesi. In tali circostanze, è utile ricordare che l’obbligo per il Tribunale di motivare le proprie decisioni non può essere interpretato nel senso che quest’ultimo sia tenuto a replicare in dettaglio a tutti gli argomenti invocati da una parte, specialmente se tali argomenti non hanno un carattere sufficientemente chiaro e preciso e non sono fondati su elementi di prova circostanziati (sentenze dell’11 settembre 2003, Belgio/Commissione, C‑197/99 P, Racc., EU:C:2003:444, punto 81, e dell’11 gennaio 2007, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, C‑404/04 P, EU:C:2007:6, punto 90). Inoltre, da una giurisprudenza costante risulta che l’obbligo di motivazione non impone al Tribunale di fornire una spiegazione che segua esaustivamente e uno per uno tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia, e che la motivazione può quindi essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali il Tribunale non ha accolto le loro tesi ed alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo (v. sentenza del 16 luglio 2009, Commissione/Schneider Electric, C‑440/07 P, Racc., EU:C:2009:459, punto 135 e giurisprudenza ivi citata).

B –  Nel merito

1.     Sulle conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata

76      A sostegno della domanda di annullamento della decisione impugnata, la ricorrente deduce un motivo vertente sulla violazione delle forme sostanziali e un motivo vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE e delle norme che devono essere osservate al momento della sua applicazione.

a)     Sul motivo vertente sulla violazione delle forme sostanziali

77      La ricorrente fa valere, a titolo di violazione delle forme sostanziali, che la decisione impugnata è viziata da un difetto di motivazione e dall’insufficienza della prova, censura, quest’ultima, che deve essere trattata, tuttavia, come la ricorrente ha confermato all’udienza, nell’ambito dell’esame del secondo motivo di annullamento, vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE.

78      Per quanto riguarda il presunto difetto di motivazione, occorre ricordare che l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE costituisce una formalità sostanziale che deve essere distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, la quale attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso (sentenze del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, Racc., EU:C:1998:154, punto 67; del 22 marzo 2001, France/Commissione, C‑17/99, Racc., EU:C:2001:178, punto 35, e del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, Racc., EU:C:2011:620, punto 146).

79      Nella specie, in primo luogo, si deve constatare che la ricorrente esamina il difetto di motivazione della decisione impugnata, sotto il titolo «Difetto dei punti della motivazione», nella parte dell’atto introduttivo del ricorso intitolata «Motivi di annullamento». Occorre esaminare, di seguito, le censure contenute sotto tale titolo. In secondo luogo, risulta che, in tutto l’atto introduttivo del ricorso, la ricorrente muove critiche che possono configurarsi come censure attinenti alla motivazione, ma che riguardano in realtà, fatte salve le censure esaminate infra ai punti da 165 a 168, da 220 a 224 e da 254 a 256, la questione della fondatezza della decisione impugnata e che occorre quindi esaminare in sede di analisi delle questioni di merito alle quali esse si ricollegano.

80      Nell’ambito delle contestazioni che si ricollegano formalmente al motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione, la ricorrente si limita, dopo aver ricordato che detto obbligo è previsto all’articolo 296 TFUE, a far valere che «la motivazione della decisione impugnata contiene omissioni, imprecisioni ed errori su questioni essenziali, il che pregiudica irreparabilmente le sue conclusioni» e a far riferimento, a «titolo esemplificativo», alle conclusioni della Commissione contenute ai punti 264 e seguenti e 353 e seguenti della decisione impugnata. Risulta tuttavia dalle sue affermazioni che essa non contesta in realtà la motivazione, bensì la fondatezza delle considerazioni contenute nei suddetti punti, come la stessa ha peraltro confermato all’udienza, circostanza di cui si è preso atto nel verbale.

81      Ne consegue che, per la parte in cui non riguarda le censure che contestano in realtà la fondatezza della decisione impugnata, e fatti salvi i successivi punti da 165 a 168, da 220 a 224 e da 254 a 256, il motivo vertente sulla violazione delle forme sostanziali dev’essere respinto senza che si debba procedere all’esame degli argomenti della ricorrente che si ricollegano formalmente a tale motivo con riferimento all’obbligo di motivazione.

b)     Sul motivo vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE e del diritto relativo alla sua applicazione

82      Secondo la ricorrente, tenuto conto della natura della clausola e delle circostanze e del contesto, giuridici ed economici, nei quali essa si inserisce, né la clausola né l’obbligo relativo al fatto che le parti si astengono dal farsi concorrenza nel mercato iberico devono essere considerate restrizioni della concorrenza per oggetto.

83      La ricorrente contesta quindi alla Commissione di aver violato l’articolo 101 TFUE nel qualificare la clausola come restrizione della concorrenza per oggetto. In tale contesto, essa fa valere che la Commissione non ha fornito la prova dell’infrazione e che tale istituzione ha commesso un errore manifesto sui fatti, sulla prova e sulla sufficienza della prova, un errore di applicazione dell’articolo 101 TFUE e una violazione del Trattato, una violazione dell’obbligo di svolgere indagini e di pronunciarsi e, infine, una violazione del principio in dubio pro reo.

84      Come ha confermato all’udienza, la ricorrente sviluppa, in sostanza, i seguenti argomenti di fatto e di diritto a sostegno di tale motivo: la clausola non aveva alcun collegamento con l’operazione Vivo, ma era collegata all’opzione di riacquisto, da parte della PT, delle sue quote detenute dalla Telefónica (in prosieguo: l’«opzione d’acquisto»), che era contenuta nella seconda e nella terza offerta, ma non compariva più nella versione definitiva dell’accordo o alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, che erano previste dall’accordo; la clausola conteneva due obblighi distinti, un obbligo principale di autovalutazione e un obbligo secondario di non concorrenza; di questi, il secondo diveniva vincolante solo qualora la sua legittimità fosse constatata nell’esercizio del primo; la clausola non poteva costituire una restrizione della concorrenza per oggetto, in quanto la Commissione non avrebbe dimostrato che la Telefónica e la PT erano concorrenti potenziali e che la clausola poteva quindi restringere la concorrenza e, infine, dato che la clausola non costituiva una restrizione della concorrenza per oggetto, la Commissione avrebbe dovuto esaminarne gli effetti.

 Osservazioni preliminari

85      Occorre ricordare che, per ricadere nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo, una decisione di associazione di imprese o una pratica concordata devono avere «per oggetto o per effetto» di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno.

86      Al riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che alcune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario (v. sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, Racc., EU:C:2014:2204, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

87      Tale giurisprudenza si fonda sul fatto che talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 86, EU:C:2014:2204, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

88      È quindi pacifico che la probabilità che certi comportamenti collusivi, come quelli che portano alla fissazione orizzontale dei prezzi da parte di cartelli, abbiano effetti negativi, in particolare, sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi, è talmente alta che può essere ritenuto inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dimostrare che tali comportamenti hanno effetti concreti sul mercato. L’esperienza, infatti, dimostra che tali comportamenti determinano riduzioni della produzione e aumenti dei prezzi, dando luogo ad una cattiva allocazione delle risorse a detrimento, in particolare, dei consumatori (sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 86, EU:C:2014:2204, punto 51).

89      Nel caso in cui l’analisi di un tipo di coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerebbe, per contro, esaminarne gli effetti e, per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 86, EU:C:2014:2204, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

90      Secondo la giurisprudenza della Corte, per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione di imprese presentino un grado sufficiente di dannosità per essere considerati come una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle loro disposizioni, agli obiettivi che essi mirano a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale essi si collocano. Nella valutazione di tale contesto, occorre prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 86, EU:C:2014:2204, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

91      Inoltre, sebbene l’intenzione delle parti non costituisca un elemento necessario per determinare la natura restrittiva di un accordo tra imprese, nulla vieta alle autorità garanti della concorrenza ovvero ai giudici nazionali e dell’Unione di tenerne conto (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 86, EU:C:2014:2204, punto 54, e giurisprudenza ivi citata).

92      È alla luce tali principi che vanno esaminati gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

 Sull’argomento vertente sul fatto che la clausola era collegata all’opzione d’acquisto o alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica

93      La ricorrente fa valere che la clausola non presentava alcun collegamento con l’operazione Vivo, ma era collegata all’opzione d’acquisto, che era contenuta nella seconda e nella terza offerta – consistente, quest’ultima, soltanto in un aumento del prezzo senza una nuova versione dei termini dell’accordo – e non compariva più nella versione finale dell’accordo, nonché alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, prevista dalla clausola stessa.

94      La ricorrente sottolinea che l’opzione d’acquisto e la clausola sono comparse contemporaneamente nella seconda offerta e fa valere che l’obbligo di non concorrenza era tipico di un’acquisizione di attivi quale l’opzione di acquisto, implicante il rischio che il cedente sfrutti il settore ceduto, di cui ha una buona conoscenza.

95      A causa della riduzione, da parte della Telefónica, della sua partecipazione nel capitale della PT a circa il 2%, annunciata il 23 giugno 2010, la quarta offerta non avrebbe più contenuto un’opzione d’acquisto, bensì l’obbligo per la Telefónica, di intraprendere iniziative affinché i suoi due rappresentanti nel consiglio di amministrazione della PT rinunciassero a tale funzione. A causa delle difficoltà del processo di negoziazione, talune disposizioni provenienti dalle offerte precedenti non sarebbero state tuttavia ridiscusse, cosicché la clausola sarebbe stata mantenuta, con l’inserimento della formula «nei limiti consentiti dalla legge».

96      La ricorrente ha precisato all’udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, che non intendeva sostenere che la clausola avrebbe dovuto essere qualificata come restrizione accessoria alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica. Tuttavia, dalle sue affermazioni emerge, in sostanza, che essa dichiara di aver associato l’impegno di non concorrenza, da un lato, all’opzione di acquisto delle sue azioni detenute dalla Telefónica e, dall’altro, alle dimissioni dei membri del suo consiglio di amministrazione nominati dalla stessa. Inoltre, secondo la ricorrente, quando l’opzione d’acquisto è stata rimossa dal progetto di accordo al momento della quarta offerta, è stata ivi inserita la dicitura «nei limiti consentiti dalla legge», che trasformava così la clausola di non concorrenza in clausola di autovalutazione. In tali circostanze, e nei limiti in cui, con tale argomento, la ricorrente pretenda di sottrarre la clausola all’applicazione dell’articolo 101 TFUE, occorre fare le considerazioni che seguono.

97      Dalla giurisprudenza della Corte deriva che, se un’operazione o una determinata attività non ricade nell’ambito di applicazione del principio di divieto sancito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, per la sua neutralità o per il suo effetto positivo sul piano della concorrenza, neppure una restrizione dell’autonomia commerciale di uno o più partecipanti a tale operazione o a tale attività ricade nel citato principio di divieto qualora detta restrizione sia obiettivamente necessaria per l’attuazione di tale operazione o attività e proporzionata agli obiettivi dell’una o dell’altra (v. sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, Racc., EU:C:2014:2201, punto 89 e giurisprudenza ivi citata).

98      Qualora non sia possibile dissociare una siffatta restrizione dall’operazione o dall’attività principale senza comprometterne l’esistenza e gli obiettivi, occorre infatti esaminare la compatibilità di tale restrizione con l’articolo 101 TFUE congiuntamente con la compatibilità dell’operazione o dell’attività principale cui essa è accessoria, e ciò sebbene, considerata isolatamente, tale restrizione possa rientrare, a prima vista, nel principio di divieto ex articolo 101, paragrafo 1, TFUE (sentenza MasterCard e a./Commissione, cit. supra, al punto 97, EU:C:2014:2201, punto 90).

99      Pertanto, la nozione di restrizione accessoria riguarda qualsiasi restrizione direttamente legata e necessaria alla realizzazione di un’operazione principale (sentenze del 18 settembre 2001, M6 e a./Commissione, T‑112/99, Racc., EU:T:2001:215, punto 104, e del 29 giugno 2012, E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, T‑360/09, Racc., EU:T:2012:332, punto 62).

100    Per restrizione direttamente legata alla realizzazione di un’operazione principale occorre intendere qualsiasi restrizione che è d’importanza subordinata rispetto alla realizzazione di tale operazione e che comporta un legame evidente con quest’ultima (sentenze M6 e a./Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2001:215, punto 105, e E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 63).

101    Riguardo alla condizione relativa al carattere necessario di una restrizione, quest’ultima implica un duplice esame. Infatti, occorre stabilire, da un lato, se la restrizione sia oggettivamente necessaria alla realizzazione dell’operazione principale e, dall’altro, se la stessa sia proporzionata a quest’ultima (sentenze M6 e a./Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2001:215, punto 106, e E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 64).

102    Per quanto riguarda il carattere oggettivamente necessario di una restrizione, va sottolineato che, in quanto non può essere ammessa l’esistenza di una regola di ragionevolezza nel diritto dell’Unione in materia di concorrenza, sarebbe errato interpretare, nell’ambito della qualificazione delle restrizioni accessorie, la condizione della necessità oggettiva nel senso che essa implica un contemperamento degli effetti pro‑ e anticoncorrenziali di un accordo (sentenze M6 e a./Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2001:215, punto 107, e E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 65).

103    Tale posizione è giustificata non solo dallo scopo di rispettare l’effetto utile dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, ma anche per motivi di coerenza. Infatti, dato che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE non implica un’analisi degli effetti positivi e negativi per la concorrenza di una restrizione principale, la stessa considerazione vale per quanto riguarda l’analisi delle restrizioni che la accompagnano (sentenze M6 e a./Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2001:215, punto 108, e E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 66).

104    Di conseguenza, l’esame del carattere obiettivamente necessario di una restrizione rispetto all’operazione principale può essere solo relativamente astratto. Non si tratta di analizzare se, in considerazione della situazione concorrenziale sul mercato in esame, la restrizione sia necessaria per il successo commerciale dell’operazione principale, ma proprio di determinare se, nell’ambito particolare dell’operazione principale, la restrizione sia necessaria alla realizzazione di tale operazione. Se, in mancanza della restrizione, l’operazione principale risulti difficilmente realizzabile, o persino irrealizzabile, la restrizione può essere considerata oggettivamente necessaria alla sua realizzazione (sentenze M6 e a./Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2001:215, punto 109, e E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra punto 99, EU:T:2012:332, punto 67).

105    Dato che una restrizione è obiettivamente necessaria alla realizzazione di un’operazione principale, occorre ancora verificare se la sua durata e il suo ambito di applicazione ratione materiae e geografico non eccedano quanto necessario alla realizzazione di detta operazione. Se la durata o la sfera di applicazione della restrizione eccedono quanto necessario per la realizzazione dell’operazione, essa deve essere oggetto di un’analisi separata nell’ambito dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE (sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 68).

106    Si deve rilevare che, nella misura in cui la valutazione del carattere accessorio di un impegno particolare rispetto ad un’operazione principale implica valutazioni economiche complesse da parte della convenuta, il sindacato giurisdizionale di tale valutazione si limita alla verifica del rispetto delle regole di procedura, del carattere sufficiente della motivazione e dell’esattezza sostanziale dei fatti, della mancanza di errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere (sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 69).

107    Se risulta accertato che una restrizione è direttamente collegata e necessaria alla realizzazione di un’operazione principale, la compatibilità di tale restrizione con le regole di concorrenza deve essere esaminata con quella dell’operazione principale. Pertanto, se l’operazione principale non ricade nell’ambito del divieto stabilito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, lo stesso vale anche per le restrizioni direttamente collegate e necessarie a tale operazione. Se, per contro, l’operazione principale costituisce una restrizione ai sensi di detta disposizione, ma fruisce di un’esenzione in forza dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, tale esenzione riguarda anche dette restrizioni accessorie (sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 70).

108    Va inoltre osservato che, nella sentenza dell’11 luglio 1985, Remia e a./Commissione (42/84, Racc., EU:C:1985:327, punti da 17 a 20), la Corte ha esaminato una clausola di non concorrenza inserita in un contratto di cessione d’impresa. Dopo aver constatato che il solo fatto di essere incluse in un contratto di cessione d’impresa non sottraeva, di per sé, le clausole di non concorrenza dall’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, la Corte ha precisato che, per valutare se siffatte clausole ricadessero o meno nell’ambito del divieto stabilito da tale articolo, si doveva esaminare quale sarebbe stato il gioco della concorrenza in loro assenza. La Corte ha precisato che, in tale ipotesi, qualora il venditore e l’acquirente fossero rimasti in concorrenza dopo la cessione, l’accordo di cessione d’impresa non poteva essere realizzato, in quanto il venditore, che conosceva particolarmente bene i dettagli dell’impresa ceduta, avrebbe conservato la possibilità di attirare di nuovo a sé la sua vecchia clientela, cosicché, in tale situazione, le clausole di non concorrenza avevano, in via di principio, il merito di garantire la possibilità e l’effettività della cessione, fermo restando che tali clausole dovevano essere tuttavia necessarie per il trasferimento dell’impresa ceduta e che la loro durata e il loro campo di applicazione dovevano essere strettamente limitati a tale obiettivo.

109    Per quanto riguarda l’opzione d’acquisto e le dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, va osservato che la ricorrente afferma, ai punti 20 e 76 dell’atto introduttivo del ricorso, che la clausola aveva, rispetto a questi due elementi, un obiettivo analogo a quello delle clausole di non concorrenza inserite negli accordi di cessione d’imprese, ossia impedire alla Telefónica di servirsi di informazioni ottenute grazie alla sua presenza nel consiglio di amministrazione della PT per fare concorrenza alla PT.

110    Per quanto riguarda, da un lato, l’opzione d’acquisto, va rilevato che quest’ultima non compariva più nella versione definitiva dell’accordo, cosicché non può giustificare la clausola, il che costituisce, peraltro, la ragione per cui la Commissione non ha esaminato se la clausola potesse essere qualificata come restrizione accessoria all’opzione d’acquisto (v. punto 390 della decisione impugnata). Inoltre, e in ogni caso, è giocoforza constatare che la ricorrente si limita, in primo luogo, ad affermare che «l’obbligo di non concorrenza era nell’interesse PT e tipico di un’acquisizione di attivi con le caratteristiche dell’obbligo derivante dall’esecuzione dell’opzione d’acquisto, in particolare di un acquisto che comporta un rafforzamento del controllo, che implica un notevole investimento e il rischio che il cedente possa sfruttare il settore ceduto, di cui ha una buona conoscenza», in secondo luogo, a sottolineare l’entità della partecipazione che doveva formare oggetto dell’opzione d’acquisto (10%) e, in terzo luogo, a far valere che «la PT era abituat[a] ad associare questo tipo di clausole ad accordi di compravendita di azioni, in quanto [erano] limitate nel tempo e non pregiudizievoli per le attività in corso» e che «la PT aveva interesse a garantirsi una tutela a breve termine in seguito all’esercizio dell’opzione d’acquisto».

111    La ricorrente non chiarisce tuttavia perché e come, nella specie, in concreto, la vendita, da parte della Telefónica, delle azioni della PT, che essa deteneva, avrebbe potuto comportare il rischio che il cedente continuasse a sfruttare il settore interessato di cui aveva una buona conoscenza, né da che cosa, in concreto, essa dovesse proteggersi a causa dell’esercizio di un’opzione d’acquisto.

112    Peraltro, pur insistendo sul fatto che l’opzione d’acquisto e la clausola di non concorrenza sono apparse contemporaneamente nella seconda offerta, il che indicherebbe l’esistenza di un collegamento fra i due elementi, la ricorrente non dimostra che la loro introduzione era collegata. Pertanto, la ricorrente si limita ad affermare che il fatto che la clausola fosse collegata all’opzione d’acquisto risulta dallo scambio di corrispondenza tra la Telefónica e la PT avvenuto il 1° giugno 2010 tra le 2:53 e le 17:00, che ha portato all’aumento del prezzo della seconda offerta. Detta corrispondenza, prodotta dalla Commissione in risposta a un quesito del Tribunale, consiste in uno scambio di messaggi di posta elettronica tra la Telefónica e la PT, contenenti le revisioni successive del testo dell’accordo con modifiche apparenti. Sebbene contengano certamente l’opzione d’acquisto e la clausola di non concorrenza, tali versioni dell’accordo non consentono tuttavia di desumere un rapporto di dipendenza tra quest’ultima e l’opzione d’acquisto.

113    In tali circostanze, è giocoforza constatare che non si può sostenere che la clausola avrebbe potuto essere qualificata come restrizione accessoria all’opzione d’acquisto.

114    Per quanto attiene, d’altro lato, alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, la ricorrente insiste sul fatto che questi ultimi abbiano potuto avere accesso a informazioni sensibili senza tuttavia dimostrare che esisteva un rischio concreto che la Telefónica sfruttasse le informazioni ottenute dai membri del consiglio di amministrazione della PT, da essa stessa nominati, a danno della PT dopo le dimissioni dei suoi membri.

115    Inoltre, è giocoforza constatare che la ricorrente non deduce elementi che possano confutare le conclusioni della Commissione contenute nei punti da 391 a 401 della decisione impugnata, secondo le quali la clausola non può essere giustificata quale restrizione accessoria alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica.

116    La Commissione ha infatti affermato, segnatamente, che il diritto societario portoghese e, più in particolare, gli articoli 64, 254 e 398 del codice di commercio portoghese ponevano a carico dei membri di un consiglio di amministrazione l’obbligo di non utilizzare le informazioni alle quali avevano avuto accesso in tale ambito a fini diversi da quelli necessari per il buon funzionamento della società (punto 395 della decisione impugnata). Orbene, la ricorrente non chiarisce il motivo per cui, in presenza di tale obbligo giuridico, la clausola fosse necessaria per proteggere le informazioni messe a disposizione dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica dopo le dimissioni di questi ultimi da detto consiglio di amministrazione.

117    Parimenti, la Commissione ha osservato, per quanto riguarda la presunta necessità di proteggere le informazioni riservate alle quali i membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica avrebbero avuto accesso, che dette informazioni erano state messe a disposizione di tali membri prima della transazione Vivo, che all’epoca non era stato ritenuto necessario alcun impegno di non concorrenza e che le parti non avevano dimostrato le ragioni per cui l’uscita della Telefónica dal consiglio di amministrazione della PT avrebbe comportato la necessità di assumere un impegno di non concorrenza (punti 393 e 394 della decisione impugnata).

118    Dalle suesposte considerazioni risulta che la ricorrente non ha dimostrato che la clausola aveva costituito una restrizione accessoria alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica.

119    Inoltre, va osservato che la ricorrente non ha più contraddetto le considerazioni della Commissione contenute nei punti da 402 a 404 della decisione impugnata, secondo le quali, anche supponendo che un impegno di non concorrenza sia stato necessario per l’esecuzione delle dimissioni dal consiglio di amministrazione della PT dei membri nominati dalla Telefónica, al fine di garantire la protezione delle informazioni riservate messe a disposizione di detto organo, siffatto impegno avrebbe dovuto limitarsi a quanto era strettamente necessario, il che non avviene nel caso della clausola, che ha natura bilaterale e non vieta quindi soltanto alla Telefónica di fare concorrenza alla PT, ma anche alla PT di fare concorrenza alla Telefónica.

120    Infine, e in ogni caso, va osservato, come sottolinea correttamente la Commissione ai punti 386 e 387 della decisione impugnata, che la questione se una restrizione possa essere qualificata come accessoria deve essere esaminata in relazione all’obbligo principale. Orbene, nella specie, l’operazione principale relativamente alla quale occorre valutare la clausola di non concorrenza non è né l’opzione di acquisto né l’uscita dei membri designati dalla Telefónica dal consiglio di amministrazione della PT, bensì l’operazione Vivo. Tuttavia, la ricorrente non deduce alcun elemento destinato a dimostrare che la clausola sarebbe stata necessaria per consentire la realizzazione di detta operazione.

121    Dalle suesposte considerazioni risulta che la ricorrente non ha dimostrato che la clausola avrebbe dovuto essere qualificata come restrizione accessoria all’opzione d’acquisto quale contenuta nell’accordo, circostanza che avrebbe dovuto essere presa in considerazione in fase di valutazione delle circostanze dell’accordo. Parimenti, la ricorrente non ha dimostrato che la clausola era una restrizione accessoria alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, previste nella versione definitiva dell’accordo, cosicché essa avrebbe dovuto sottrarsi a tale titolo al divieto di cui all’articolo 101 TFUE.

 Sull’argomento vertente sul fatto che la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione

122    La ricorrente fa valere che la clausola non conteneva alcun obbligo di non concorrenza incompatibile con l’articolo 101 TFUE: l’obbligo di non concorrenza stabilito dalla clausola sarebbe stato subordinato alla condizione della sua valutazione e della sua convalida ad opera di entrambe le parti e, dato che tale valutazione avrebbe avuto luogo e ne sarebbe stata tratta la conclusione che l’obbligo di non concorrenza non era ammissibile, quest’ultimo si sarebbe estinto senza aver mai prodotto effetti. Tale interpretazione sarebbe, sotto ogni profilo, l’interpretazione più plausibile della disposizione in questione.

123    Secondo la ricorrente, a causa della dicitura «nei limiti consenti dalla legge», la clausola conteneva in effetti due obblighi, ossia un obbligo, secondario, di non concorrenza e un obbligo, principale, di autovalutazione, che imponeva alle parti di valutare la legittimità dell’obbligo di non concorrenza e se l’esercizio di autovalutazione previsto dalla clausola avesse dovuto avere come risultato che l’obbligo di non concorrenza non era legittimo, quest’ultimo sarebbe decaduto automaticamente.

124    Durante le conferenze telefoniche del 26 e del 29 ottobre 2010, le parti avrebbero posto in essere l’esercizio di autovalutazione previsto dalla clausola e sarebbero giunte alla conclusione che la restrizione della concorrenza non era ammissibile. Esse avrebbero quindi esaminato la questione se si dovesse abrogare la clausola, ma siffatta soluzione sarebbe sembrata loro poco compatibile con l’esistenza dell’obbligo di autovalutazione ormai contenuto nella clausola. La PT avrebbe pertanto ammesso che l’obbligo imposto dalla clausola era adempiuto con la realizzazione dell’esercizio di autovalutazione e che le autorità competenti dovevano essere informate del risultato di detto esercizio. È in tale contesto che si dovrebbe intendere l’accordo concluso tra le parti il 4 febbraio 2011, che eliminava la clausola e confermava che quest’ultima non aveva mai imposto un obbligo di non concorrenza ad alcuna delle parti.

125    Infine, l’obbligo di non concorrenza non avrebbe potuto produrre effetti prima di essere convalidato e non poteva essere quindi qualificato come restrizione per oggetto. In ogni caso, anche se così fosse stato, detta clausola sarebbe decaduta il 29 ottobre 2010, data a partire dalla quale è stato chiaro ad entrambe le parti che esse non potevano avvalersi dell’accordo per astenersi dal farsi concorrenza reciprocamente.

126    Nell’ambito del presente ricorso la ricorrente contesta talune conclusioni della Commissione contenute nella decisione impugnata, senza tuttavia produrre elementi concreti o, quantomeno, argomenti pertinenti tali da rimetterle in discussione. La ricorrente esamina, in sostanza, i seguenti punti nell’ambito della sua argomentazione: sotto un primo profilo, la conclusione contenuta nel punto 255 della decisione impugnata secondo la quale la formulazione della clausola evidenzia la sua natura anticoncorrenziale sarebbe errata, sotto un secondo profilo, le parti avrebbero avuto fondati motivi per nutrire dubbi riguardo alla possibilità che la clausola potesse essere legittima quale restrizione accessoria all’opzione d’acquisto o alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione nominati dalla Telefónica, sotto un terzo profilo, le circostanze della negoziazione dell’accordo avrebbero giustificato il fatto di rinviare l’esame di tale possibilità a un momento successivo, sotto un quarto profilo, le audioconferenze dell’ottobre 2010 avrebbero provato che l’esercizio di autovalutazione previsto dalla clausola avrebbe avuto luogo, sotto un quinto profilo, l’accordo di abrogazione della clausola, concluso il 4 febbraio 2011, confermerebbe che l’esercizio di autovalutazione avrebbe avuto luogo e che la clausola non avrebbe mai avuto il benché minimo effetto, sotto un sesto profilo, la Commissione interpreterebbe in modo errato le risposte della PT alla richiesta di informazioni del 5 gennaio 2011 e, infine, sotto un settimo profilo, le parti avrebbero avuto, in ogni caso, argomenti sufficienti per non rispettare la clausola.

127    In primo luogo, l’affermazione della ricorrente secondo la quale la conclusione contenuta nel punto 255 della decisione impugnata è errata si ricollega al suo argomento consistente nel precisare che, contrariamente alle affermazioni della Commissione, essa non qualifica la clausola come un semplice obbligo di autovalutazione, ma sostiene che la clausola conteneva due obblighi, uno preliminare, l’altro finale: l’obbligo preliminare di autovalutazione sarebbe consistito nel verificare se l’obbligo di non concorrenza fosse possibile, mentre quest’ultimo non poteva essere costituito senza che le parti avessero verificato che lo fosse. L’inserimento della formula «nei limiti consentiti dalla legge» avrebbe infatti significato che nessuna delle parti aveva il diritto di esigere dall’altra che questa si astenesse dal farle concorrenza senza aver anzitutto convalidato la legittimità di tale comportamento, in quanto l’obbligo di non farsi concorrenza sarebbe dipeso dal rispetto dell’obbligo di valutare la legittimità di tale restrizione.

128    L’obbligo di non concorrenza non si confonderebbe, quindi, con l’obbligo di autovalutazione e il risultato dell’autovalutazione, svoltasi nelle audioconferenze dell’ottobre 2010, sarebbe consistito nel fatto che l’obbligo di non concorrenza non era legittimo. L’accordo di abrogazione avrebbe avuto lo scopo di eliminare la clausola per sciogliere i dubbi e allontanare definitivamente l’idea che esistesse tra le parti un qualunque accordo di non concorrenza, e non di porre fine all’obbligo di autovalutazione.

129    Va osservato, al pari della Commissione, che è irrilevante la presunta differenza, stabilita dalla ricorrente, tra l’affermazione contenuta nel punto 76 della decisione impugnata secondo la quale «le parti sostengono [che, invece] di imporre un obbligo di non concorrenza, la clausola prevede soltanto un semplice obbligo di autovalutazione della legittimità e della portata dell’impegno di non concorrenza» e l’affermazione secondo la quale «la clausola conteneva un obbligo di non concorrenza la cui legittimità dipendeva dalla convalida ad opera delle parti». Le due affermazioni equivalgono, in sostanza, ad affermare che, grazie alla dicitura «nei limiti consentiti dalla legge», l’obbligo di non concorrenza previsto dalla clausola non poteva avere effetti prima che la sua legittimità fosse stata analizzata dalle parti. Inoltre, contrariamente a quanto sembra sostenere la ricorrente, la presunta precisazione secondo la quale la clausola non conteneva un obbligo di autovalutazione, bensì un obbligo preliminare di autovalutazione e un obbligo successivo di non concorrenza non consente di confutare gli argomenti della Commissione contenuti nella decisione impugnata.

130    Per quanto attiene, quindi, alla conclusione della Commissione contenuta nel punto 255 della decisione impugnata, la presunta precisazione della ricorrente secondo la quale la clausola non conteneva, a suo avviso, solo un obbligo di autovalutazione, ma anche un obbligo – secondario – di non concorrenza non cambia il fatto che, manifestamente, la formulazione letterale della clausola non fa alcun riferimento a un qualsivoglia esercizio di autovalutazione e non può quindi suffragare l’argomento delle parti secondo il quale la clausola conteneva l’obbligo di portare a termine siffatto esercizio.

131    In secondo luogo, è giocoforza constatare che non possono essere accolti neppure gli altri argomenti della ricorrente. Dall’esame degli elementi fatti valere dalla ricorrente nell’ambito del presente ricorso emerge infatti che la stessa non confuta in modo valido l’analisi effettuata dalla Commissione, secondo la quale non può essere accolta l’idea che la clausola contenesse un obbligo di autovalutazione, che tale autovalutazione abbia avuto luogo e che l’obbligo di non concorrenza non sia mai divenuto effettivo, cosicché non può sussistere un’infrazione all’articolo 101 TFUE. La ricorrente si limita ad affermare che l’obbligo di non concorrenza era subordinato alla verifica della sua possibilità, ma non deduce alcun elemento atto a rimettere in discussione gli elementi dedotti dalla Commissione al fine di dimostrare che non vi sono elementi che indichino che la clausola contenesse un obbligo di autovalutazione da cui dipendeva l’entrata in vigore dell’obbligo di non concorrenza.

132    Sotto un primo profilo, la ricorrente sottolinea elementi ritenuti atti a dimostrare che l’interpretazione secondo la quale la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione della legittimità dell’obbligo di non concorrenza è rafforzata dal fatto che non sussistesse un ragionevole dubbio riguardo alla possibilità di qualificare l’obbligo di non concorrenza come restrizione accessoria all’opzione d’acquisto o alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica. La ricorrente sostiene quindi che, tenuto conto del contesto e delle pressioni dovute alla negoziazione, le è parso ragionevole mettere da parte l’obbligo di non concorrenza sino alla verifica delle conseguenze dell’eliminazione dell’opzione d’acquisto e del mantenimento dell’obbligo di dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica

133    Tale argomento va respinto.

134    Per quanto riguarda, da un lato, l’opzione d’acquisto, occorre ricordare che tale opzione era prevista nella seconda e nella terza offerta (punti 41 e 46 della decisione impugnata) e che non figurava più nella quarta offerta, in quanto la Telefónica aveva venduto, nel frattempo, la maggior parte della propria partecipazione nella PT, che era pari, inizialmente, al 10% circa (punto 18 della decisione impugnata).

135    Per questa ragione, la ricorrente sostiene che, a causa della brevità del periodo intercorso tra la ricezione della quarta offerta e la firma dell’accordo, ossia 24 ore, le parti non hanno avuto il tempo di verificare se la clausola potesse essere ancora legittima senza l’opzione d’acquisto, cosicché hanno trasformato la clausola in clausola di autovalutazione per rinviare l’esame della legittimità a un momento successivo.

136    Tuttavia, da quanto constatato supra ai punti da 110 a 113 deriva che la ricorrente non è riuscita a dimostrare che la clausola avrebbe potuto essere qualificata come restrizione accessoria all’opzione d’acquisto nel momento in cui figurava nell’accordo o che poteva sussistere un ragionevole dubbio al riguardo, cosicché qualsiasi argomento fondato su tale idea non può essere accolto.

137    Per quanto attiene, d’altro lato, alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, previste dall’accordo, è stato parimenti constatato supra, ai punti da 114 a 118, che non era dimostrato che la clausola fosse una restrizione accessoria a dette dimissioni, cosicché un presunto dubbio al riguardo non può avvalorare la tesi secondo la quale la clausola avrebbe in realtà istituito un obbligo di autovalutazione della legittimità di tale restrizione.

138    In tale contesto, va peraltro osservato che, come ha rilevato la Commissione al punto 376 (b) della decisione impugnata, l’argomento della ricorrente è viziato da una contraddizione, in quanto le considerazioni secondo le quali la clausola potrebbe essere ritenuta una restrizione accessoria alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, da un lato, e quelle secondo le quali l’esercizio di autovalutazione avrebbe consentito di stabilire che la clausola non era conforme al diritto della concorrenza, dall’altro, sono incompatibili, poiché, se la clausola fosse stata legittima in quanto restrizione accessoria alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, il presunto esercizio di autovalutazione non sarebbe potuto sfociare nella conclusione che la clausola era illegittima.

139    Inoltre, occorre rilevare che, pur insistendo sulla presunta difficoltà della questione di diritto consistente nell’accertare se la clausola avrebbe potuto essere qualificata come restrizione accessoria alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica, la ricorrente, come rileva giustamente la Commissione, non ha mai sostenuto che la presunta valutazione della legittimità della clausola, nelle audioconferenze dell’ottobre 2010, sarebbe stata lunga o difficile, facendo valere, per contro, che due telefonate sarebbero state sufficienti affinché le parti si accordassero sulla questione.

140    Da quanto precede risulta che la presunta complessità giuridica delle questioni relative alla possibilità di qualificare la clausola come restrizione accessoria all’opzione d’acquisto o alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica non può essere accolta come elemento che depone a favore dell’argomento secondo il quale l’inciso «nei limiti consentiti dalla legge» ha introdotto nella clausola un obbligo di autovalutazione della legittimità dell’obbligo di non concorrenza.

141    Sotto un secondo profilo, la ricorrente sostiene che le circostanze della negoziazione dell’accordo hanno giustificato l’aggiunta di un obbligo di autovalutazione preliminare all’obbligo di non concorrenza. Nell’esaminare la quarta offerta le parti avrebbero provveduto a non riesaminare le clausole provenienti da offerte precedenti e le avrebbero modificate solo nel caso in cui ciò si fosse rivelato indispensabile per adeguare la proposta alle caratteristiche essenziali dell’operazione. L’inserimento della formula «nei limiti consenti dalla legge» sarebbe stato quindi dovuto al fatto che le circostanze erano mutate con la rinuncia all’opzione d’acquisto, ma che non era possibile, di fronte ai molteplici limiti della negoziazione, convalidare a priori la legittimità del mantenimento dell’accordo di non concorrenza entro i termini inizialmente previsti.

142    La ricorrente fa valere inoltre che l’accordo è stato firmato meno di 24 ore dopo la ricezione della quarta offerta. Durante tale arco temporale, poiché era in discussione la conclusione dell’acquisizione della Vivo e della Oi, la clausola sarebbe stata l’ultima delle preoccupazioni della PT, niente proverebbe che le parti abbiano discusso della formulazione definitiva della clausola e tutto indicherebbe che esse non hanno fatto niente in tal senso.

143    Non convince neppure tale argomento.

144    Anzitutto, per quanto riguarda la rinuncia all’opzione d’acquisto, occorre ricordare che sin dal 23 giugno 2010 la Telefónica ha annunciato di aver ridotto la sua partecipazione nella PT a circa il 2%, cosicché, come sottolinea correttamente la Commissione, sin da tale data, ossia più di un mese prima dell’invio della quarta offerta, il 27 luglio 2010, e della firma dell’accordo, il 28 luglio 2010, le parti erano al corrente del venir meno di qualsiasi presunto collegamento tra l’opzione d’acquisto e la clausola. Ne consegue che la ricorrente non può sostenere che le parti hanno avuto a disposizione solo un termine di 24 ore per valutare le conseguenze del venir meno dell’opzione d’acquisto.

145    Inoltre, va osservato che la ricorrente non confuta gli elementi dedotti dalla Commissione per dimostrare che le parti hanno modificato i termini dell’accordo sino al termine delle negoziazioni, ossia il fatto che le clausole 6 e 7 dell’accordo abbiano subito modifiche tra la presentazione della quarta offerta e la firma dell’accordo e che la clausola stessa sia stata oggetto di discussioni e di modifiche quanto alla sua durata sino a poco prima della firma dell’accordo. La ricorrente si limita ad affermare che «niente prova che le parti abbiano discusso della formulazione definitiva d[ella clausola] e tutto sta ad indicare che esse non hanno fatto niente». Inoltre, non può essere accolta l’affermazione della ricorrente, al punto 34 della replica, secondo la quale la modifica della clausola consistente nel far passare la data di entrata in vigore della stessa dalla «data di sottoscrizione del presente atto» alla «data [di conclusione definitiva dell’operazione]» sarebbe una modifica puramente logica, se non addirittura una correzione automatica. Infatti, l’espressione «data di sottoscrizione del presente atto» avrebbe significato che la clausola aveva effetto al momento della firma dell’accordo, quindi il 28 luglio 2010, mentre l’espressione «data [di conclusione definitiva dell’operazione]» significa che la clausola aveva effetto al momento della conclusione definitiva dell’operazione il 27 settembre 2010 (v. supra, punti 22 e 25).

146    Infine, in termini più generali, l’argomento della ricorrente fondato sulla presunta difficoltà delle circostanze della negoziazione deve essere respinta. Pertanto, la Commissione afferma correttamente, al punto 249 della decisione impugnata e al punto 49 del controricorso, che non è affatto pensabile che imprese come la Telefónica e la PT, che hanno accesso e fanno ricorso a consulenti legali sofisticati, abbiano «sbrigato in modo frettoloso e approssimativo» la discussione e la modifica del testo dell’accordo e, in particolare, della clausola. La ricorrente, peraltro, non contesta affatto tale affermazione, limitandosi ancora una volta ad affermare che «la probabilità che, in un primo tempo, le parti abbiano avuto accesso e fatto ricorso a consulenti legali sofisticati era, quantomeno, incerta e oggettivamente ridotta».

147    Sotto un terzo profilo, la ricorrente fa valere che l’esercizio di autovalutazione asseritamente previsto dalla clausola è stato realizzato durante le audioconferenze svoltesi il 26 e il 29 ottobre 2010. Dato che, tuttavia, la ricorrente non contesta nuovamente l’analisi effettuata dalla Commissione, in particolare ai punti da 102 a 124 della decisione impugnata, secondo la quale gli elementi dedotti dalle parti non consentono di concludere che la «decadenza» della clausola a decorrere dal 29 ottobre 2010 è stata dimostrata, che l’autovalutazione era prevista dalla clausola o che tale presunta autovalutazione ha avuto un qualsiasi effetto (punto 124 della decisione impugnata), le sue affermazioni devono essere ancora una volta respinte. La ricorrente si limita infatti ad affermare che «la prova dei contatti e la prova del loro contenuto [sono le] stess[e] e [che] ess[e] [sono] concordant[i]», che «non sembra ragionevole ritenere ch[e le audioconferenze] abbiano avuto un obiettivo diverso da quello di discutere de[lla clausola] e che da esse sia emersa la conferma che l’obbligo di non concorrenza era lecito», che [n]essun elemento di prova depone a favore di una tesi così assurda» e che «[a]l contrario, tutto sta ad indicare che la riflessione comune ha potuto condurre soltanto a un’unica conclusione[, ossia] quella secondo la quale l’obbligo di non concorrenza era contrario alla legge e inefficace».

148    Parimenti, la ricorrente non confuta l’argomento della Commissione secondo il quale, se la clausola avesse veramente previsto un obbligo di autovalutazione, sarebbe stato logico non solo che essa vi facesse riferimento, ma anche che prevedesse una data a tal fine piuttosto che una data fissa di entrata in vigore o, in caso contrario, che le parti procedessero quantomeno a tale autovalutazione il più rapidamente possibile dopo la firma dell’accordo e, in ogni caso, prima dell’entrata in vigore prevista della clausola, ossia al momento della conclusione definitiva dell’operazione il 27 settembre 2010 (punti da 250 a 255 e 309 e seguenti della decisione impugnata). Dato che la ricorrente si limita a rilevare che «le parti possono ritenere necessario fissare un termine, così come possono scegliere di non fissarne uno», che, poiché l’obbligo di non concorrenza previsto dalla clausola non era vincolante tanto che la sua legittimità non era stata convalidata, la PT non avrebbe ritenuto urgente chiarire la questione, e l’argomento era «caduto nell’oblio», e che, nelle circostanze del caso di specie, «è comprensibile che le parti non siano state troppo zelanti nel chiarire la questione», è giocoforza constatare che essa non spiega sia la mancanza di una data per l’esercizio di autovalutazione sia il ritardo nella presunta attuazione di tale autovalutazione.

149    La dichiarazione giurata della sig.ra M.R.S.S.N., responsabile della direzione della concorrenza della PT alla data di conclusione dell’accordo nonché dell’accordo di abrogazione della clausola, prodotta dalla Commissione quale allegato B.1 al controricorso, non modifica tale constatazione. La sig.ra M.R.S.S.N. afferma certamente in tale dichiarazione che, durante le conferenze telefoniche tra la Telefónica e la PT nell’ottobre 2010, è stata valutata l’ammissibilità della clausola alla luce del diritto della concorrenza, che ne è stata tratta la conclusione che le parti non potevano impegnarsi nei termini inizialmente previsti e che da tali conferenze risulta altresì che l’obbligo previsto dalla clausola potrebbe ritenersi adempiuto a decorrere dal momento in cui le parti avevano proceduto all’esame della sua legittimità e concluso per l’impossibilità del suo oggetto (v. anche punto 117 della decisione impugnata). Orbene, come sottolinea la Commissione (punti 120 e 122 della decisione impugnata), tale dichiarazione non costituisce una prova contemporanea del contenuto delle conversazioni dell’ottobre 2010, il che le conferirebbe un valore probatorio più elevato (v., in tal senso, sentenze dell’11 marzo 1999, Ensidesa/Commissione, T‑157/94, Racc., EU:T:1999:54, punto 312, e del 16 dicembre 2003, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied e Technische Unie/Commissione, T‑5/00 e T‑6/00, Racc., EU:T:2003:342, punto 181). Inoltre, anche se una deposizione resa da un testimone diretto dei fatti riferiti deve essere considerata, in linea di principio, di elevato valore probatorio (sentenza del 3 marzo 2011, Siemens/Commissione, T‑110/07, Racc., EU:T:2011:68, punto 75), occorre altresì considerare il fatto che la dichiarazione di cui trattasi nella specie è stata resa da una persona che potrebbe avere un interesse diretto nella causa e che non può essere qualificata come indipendente dalla ricorrente (v., in tal senso, sentenza Siemens/Commissione, cit., EU:T:2011:68, punti 69 e 70).

150    Ne consegue che, alla luce dell’insieme degli elementi in gioco, tale dichiarazione, quale unico elemento di prova, non è sufficiente per dimostrare che la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione, fermo restando che, per quanto riguarda il valore probatorio che occorre attribuire ai diversi elementi di prova, il solo criterio rilevante per valutare le prove liberamente prodotte risiede nella loro credibilità (v. sentenza dell’8 luglio 2004, Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, T‑44/00, Racc., EU:T:2004:218, punto 84 e giurisprudenza ivi citata; sentenze dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, Racc., EU:T:2004:220, punto 72, e JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc., EU:T:2004:221, punto 273) e che, secondo le norme generalmente applicabili in materia di prove, la credibilità e quindi il valore probatorio di un documento dipendono dalla sua fonte, dalle circostanze nelle quali è stato redatto, dal suo destinatario e dalla ragionevolezza e affidabilità del suo contenuto (sentenza del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Racc., EU:T:2000:77, punto 1053).

151    Sotto il quarto profilo, la ricorrente contesta la valutazione della Commissione (punti da 313 a 323 della decisione impugnata) alla luce dell’accordo di abrogazione della clausola (v supra, punto 29). Secondo la Commissione, in sostanza, l’accordo di abrogazione non consente di accogliere la tesi secondo la quale la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione adempiuto durante le conversazioni telefoniche dell’ottobre 2010, in quanto nessuna formulazione dell’accordo di abrogazione consente di associare la decisione di abrogare la clausola ad un obbligo di autovalutazione (punto 315 della decisione impugnata). I punti dell’accordo di abrogazione spiegano le circostanze in cui le parti sono giunte alla decisione di «eliminare» la clausola, senza fare tuttavia riferimento alle conversazioni telefoniche di ottobre (punto 316 della decisione impugnata), e la formulazione dell’accordo di abrogazione indica proprio che la clausola conteneva un obbligo di non concorrenza e non un obbligo di autovalutazione (punti da 317 a 322 della decisione impugnata).

152    La ricorrente fa valere che l’interpretazione della Commissione parte dalla premessa errata secondo la quale le parti avrebbero sostenuto che la clausola conteneva semplicemente un obbligo di autovalutazione, mentre la PT avrebbe sempre sostenuto che la clausola conteneva due obblighi, un obbligo preliminare di autovalutazione e un obbligo secondario di non concorrenza. Alla luce di tale ragionamento, l’accordo di abrogazione non contraddirebbe affatto l’idea che la clausola stabilisse un obbligo di autovalutazione.

153    Tale argomento va respinto. Anche se si dovesse prendere in considerazione l’interpretazione secondo la quale la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione e un obbligo di non concorrenza, è giocoforza constatare che l’argomento della Commissione, sintetizzato supra al punto 151, resta valido. La ricorrente si limita peraltro a sostenere che l’accordo di abrogazione «conferma» l’interpretazione adottata dalle parti durante le audioconferenze dell’ottobre 2010 e che l’affermazione contenuta in detto accordo, secondo la quale la clausola «non può essere eseguit[a] e non è mai stata eseguit[a]», risulta incoerente solo se la clausola rimane circoscritta a un obbligo di autovalutazione, in quanto sarebbe incoerente affermare che l’obbligo non può essere adempiuto e non lo è mai stato mentre le parti sostengono giustamente che l’esercizio di autovalutazione, asseritamente previsto dalla clausola, ha avuto luogo, ma non se si ammette che la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione e un obbligo di non concorrenza, in quanto, in tal caso, non sarebbe incoerente affermare che l’obbligo previsto dalla clausola non può essere adempiuto e non lo è mai stato.

154    Orbene, tale argomento non cambia il fatto che l’accordo non accenna affatto alle audioconferenze dell’ottobre 2010, a una presunta interpretazione della clausola adottata durante tali audioconferenze, al fatto che tale accordo confermerebbe un presunto risultato di dette conferenze o, in generale, al fatto che la clausola conterrebbe un obbligo di autovalutazione. Anche ammettendo la presunta differenza operata dalla PT tra il fatto di sostenere che la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione e il fatto di sostenere che essa conteneva un obbligo di autovalutazione e un obbligo di non concorrenza, i termini dell’accordo di abrogazione e, in particolare, l’affermazione secondo la quale la clausola non può essere eseguita è non lo è mai stata restano incoerenti alla luce di siffatta interpretazione.

155    Sotto un quinto profilo, la ricorrente fa valere che la Commissione incorre in un errore quando afferma, al punto 115 della decisione impugnata, che la risposta della PT alla richiesta di informazioni, del 5 gennaio 2011, menziona soltanto il fatto che la clausola doveva essere interpretata nel senso che era corredata dell’obbligo di procedere a un esercizio di autovalutazione e quando rileva, al punto 303 della decisione impugnata, che, prima delle loro risposte alla comunicazione degli addebiti, le parti non hanno sostenuto che la clausola prevedeva l’obbligo di realizzare un’autovalutazione.

156    Va osservato che, ai punti 30, 31 e 32 della sua risposta alla richiesta di informazioni, la PT ha affermato che «[i]l fatto è che, sebbene l’esistenza di detta disposizione sia stata resa pubblica [per sua iniziativa] il 9 giugno 2010 (v. allegato 10), essa è caduta nell’oblio, in quanto l’impresa non si sentiva ad essa vincolata e non sperava di poter esigere un qualsiasi comportamento dalla Telefónica conforme alle sue disposizioni, almeno non prima che fosse stata effettuata una valutazione della legittimità della disposizione». Essa ha aggiunto che «l’argomento è divenuto nuovamente una fonte di preoccupazione solo con le notizie pubblicate sui giornali il 23 e il 24 agosto e il 19 [ottobre] 2010», che, «[i]n seguito a tali pubblicazioni, [essa] ha dato incarico ai suoi avvocati di contattare gli avvocati della Telefónica al fine di chiarire la questione» e che «il 26 e il 29 ottobre 2010 hanno avuto luogo due audioconferenze in cui si è concluso che la clausola di non concorrenza non era sufficientemente giustificata e che non era di alcuna utilità, cosicché sarebbe stato preferibile abrogarla».

157    Sebbene non abbia quindi espressamente segnalato che l’obbligo principale istituito dalla clausola era un obbligo di autovalutazione, la PT ha tuttavia affermato che «non [si] sentiva vincolata [dalla clausola] e non sperava di poter esigere un qualsiasi comportamento dalla Telefónica conforme alle sue disposizioni, almeno non prima che fosse stata effettuata una valutazione della legittimità della disposizione», il che implica l’idea di una valutazione della legittimità della clausola prima della sua entrata in vigore.

158    Tuttavia, quand’anche si dovesse attenuare il rigore dell’affermazione della Commissione, secondo la quale, prima delle loro risposte alla comunicazione degli addebiti, le parti non hanno sostenuto che la clausola prevedeva l’obbligo di realizzare un’autovalutazione, non solo le dichiarazioni in questione non affermano che la clausola sarebbe decaduta in seguito al presunto esercizio di autovalutazione, ma, in più, la circostanza che la PT abbia già lasciato intendere nella sua risposta alla richiesta di informazioni del 5 gennaio 2011 che la legittimità della clausola doveva essere convalidata prima della sua entrata in vigore non cambia il fatto che la ricorrente non ha dimostrato, nell’ambito del presente ricorso dinanzi al Tribunale, che la clausola contenesse un obbligo di autovalutazione né che la clausola sarebbe decaduta in seguito al presunto esercizio di autovalutazione nell’ottobre 2010.

159    Infine, sotto un sesto profilo, la ricorrente sostiene che, in ogni caso, la Commissione avrebbe dovuto considerare la clausola inefficace, in quanto le parti avevano argomenti sufficienti per non rispettare l’obbligo di non concorrenza. Pertanto, secondo la ricorrente, è evidente, dalla lettura dei chiarimenti forniti dalla Telefónica e dalla PT, che le parti non avevano gli stessi interessi riguardo alla clausola, in quanto la Telefónica sosteneva di averla accettata per consentire l’operazione Vivo, mentre la PT era interessata a tale clausola per tutelarsi contro l’opzione d’acquisto. Pertanto, le due parti avrebbero avuto opinioni diverse su ciò che era consentito dalla legge e avrebbero avuto, quindi, argomenti sufficienti l’una nei confronti dell’altra per non rispettare l’obbligo di non concorrenza.

160    Tale argomento deve essere respinto senza necessità di esaminare le ragioni che depongono presumibilmente a favore del fatto che le parti avrebbero avuto argomenti sufficienti per non rispettare l’obbligo di non concorrenza. È sufficiente, infatti, al riguardo, ricordare che, conformemente all’articolo 101, paragrafo 2, TFUE, gli accordi vietati in forza di detto articolo sono nulli di pieno diritto, cosicché nessuna impresa può essere tenuta a rispettarli. Infatti, poiché la nullità di cui all’articolo 101, paragrafo 2, TFUE è assoluta, un accordo nullo in forza di tale disposizione è privo di effetti nei rapporti fra i contraenti e non è opponibile ai terzi (v., per analogia, sentenza del 25 novembre 1971, Béguelin Import, 22/71, Racc., EU:C:1971:113, punto 29). Il fatto di avere, presumibilmente, «argomenti per non rispettare l’obbligo di non concorrenza» non può dunque sottrarre un accordo al divieto sancito all’articolo 101 TFUE.

161    Da tutte le suesposte considerazioni deriva che l’argomento vertente sul fatto che la clausola contenesse un obbligo di autovalutazione deve essere respinto.

 Sull’argomento vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE a causa del mancato esame delle condizioni della concorrenza potenziale

162    La ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un errore astenendosi dal procedere a un esame delle condizioni della concorrenza potenziale al fine di verificare se, tenuto conto della struttura dei mercati pertinenti e del contesto economico‑giuridico, esistessero possibilità reali e concrete che la Telefónica e la PT si facessero concorrenza reciprocamente nei mercati pertinenti asseritamente previsti dalla clausola. Orbene, la qualificazione di «restrizione per oggetto» di una restrizione della concorrenza dipenderebbe altresì dalla sua idoneità a produrre effetti restrittivi.

163    Al riguardo, la ricorrente fa valere che, a causa degli ostacoli legislativi e regolamentari all’entrata e all’espansione nel mercato portoghese delle comunicazioni elettroniche nonché degli ostacoli inerenti alla struttura stessa, alle caratteristiche e alle peculiarità dei mercati in questione, le parti non potevano essere qualificate come concorrenti potenziali.

164    La ricorrente contesta inoltre alla Commissione di non aver tenuto conto, nella decisione impugnata, dell’analisi esaustiva da essa svolta nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, dei mercati delle comunicazioni elettroniche in Portogallo e degli ostacoli che rendono la concorrenza in tali mercati impossibile, limitandosi a un’argomentazione generale non conforme agli obblighi derivanti dalla giurisprudenza e omettendo di confutare gran parte degli argomenti sviluppati dalla ricorrente.

165    In primo luogo, dall’argomento della ricorrente emerge che essa, a dire il vero, non rimette in discussione la motivazione formale della decisione impugnata, bensì il fatto che la Commissione abbia omesso, erroneamente a suo avviso, di procedere a uno studio della struttura dei mercati interessati e delle reali possibilità di concorrenza delle parti in tali mercati.

166    In ogni caso, alla luce dei punti da 265 a 278 della decisione impugnata risulta che la Commissione ha spiegato le ragioni per le quali non aveva ritenuto necessario procedere a un’analisi dettagliata della struttura dei mercati interessati e ha risposto agli argomenti formulati dalle parti nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti con riferimento all’esistenza di una concorrenza potenziale tra le stesse, quali sono stati sintetizzati dalla stessa Commissione ai punti da 268 a 270 della decisione impugnata. Nei limiti in cui possa essere inteso nel senso che contesta, in generale, una presunta mancanza di motivazione della decisione impugnata su tale punto, l’argomento della ricorrente non può essere accolto.

167    Più precisamente, da un lato, la ricorrente fa valere, ai punti 136 e 318 dell’atto introduttivo del ricorso, che la Commissione ha omesso di confutare, nella decisione impugnata, l’argomento ripreso al punto 169 di quest’ultima, consistente nel sostenere che, se taluni mercati al dettaglio erano esclusi dall’ambito di applicazione della clausola, i mercati all’ingrosso corrispondenti dovevano essere anch’essi esclusi, in quanto la concorrenza reale o potenziale nei mercati al dettaglio condizionava la concorrenza nei mercati all’ingrosso e che, se i primi non erano oggetto dell’obbligo di non concorrenza non lo erano nemmeno i secondi. Orbene, dalla lettura dei punti 153, 154 e 169 della decisione impugnata emerge che la Commissione ha ritenuto che le parti dovessero essere considerate concorrenti potenziali in tutti i mercati dei servizi di comunicazione elettronica e dei servizi televisivi e che, pertanto, dato che essa non ha accettato la premessa secondo la quale taluni mercati al dettaglio dovevano essere esclusi dall’ambito di applicazione della clausola, non si doveva confutare l’argomento secondo il quale i mercati all’ingrosso corrispondenti a tali mercati al dettaglio, complementari rispetto a questi ultimi, dovevano essere esclusi dall’ambito di applicazione della clausola.

168    D’altro lato, la ricorrente contesta il fatto che la decisione impugnata contenga solo poche riflessioni, o nessuna, sulla questione relativa a quali mercati potessero essere effettivamente oggetto dell’accordo in questione. Nei limiti in cui riguardi anch’essa il rispetto, da parte della Commissione, dell’obbligo di motivazione, tale contestazione deve essere respinta, in quanto, nella sezione 5.3 della decisione impugnata (punti da 186 a 197), la Commissione ha esposto i «mercati rilevanti di prodotti», facendo riferimento, contrariamente alle affermazioni della ricorrente, non soltanto agli orientamenti individuati nella sua raccomandazione del 17 dicembre 2007, relativa ai mercati rilevanti di prodotti e di servizi nel settore delle comunicazioni elettroniche che possono essere sottoposti a una regolamentazione ex ante conformemente alla direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (GU L 344, pag. 65), ma anche alle sue decisioni precedenti e alla giurisprudenza (punto 186 della decisione impugnata). Inoltre, nella sezione 5.5. della decisione impugnata (punti da 200 a 233 della decisone impugnata), la Commissione ha analizzato la «presenza delle parti nei mercati in questione». Infine, essa ha affermato che, alla luce della portata dell’ambito di applicazione della clausola, i contorni esatti di ciascun mercato pertinente potevano rimanere aperti.

169    In secondo luogo, per quanto riguarda, la censura relativa all’errata valutazione dell’«idoneità» della clausola a restringere la concorrenza tra la PT e la Telefónica a causa della posizione della Commissione secondo la quale, nella specie, essa non era tenuta a procedere a un’analisi dettagliata della struttura dei mercati interessati, occorre rilevare, come emerge dalla decisione impugnata, tre elementi sui quali la Commissione si è basata al fine di concludere che nessuna analisi dettagliata della concorrenza potenziale tra le parti si rivelava necessaria relativamente a ciascun mercato specifico per valutare se l’accordo era costitutivo di una restrizione della concorrenza per oggetto (punto 278 della decisione impugnata).

170    Anzitutto, la Commissione ha rilevato che il fatto di concludere un accordo di non concorrenza, o di prevedere la necessità di procedere a un’autovalutazione della legittimità e dell’ambito di applicazione di un impegno di non concorrenza accessorio, se ci si atteneva all’interpretazione della clausola proposta dalle parti, costituiva un riconoscimento, da parte di queste ultime, del fatto che esse erano, quantomeno, concorrenti potenziali relativamente a taluni servizi. Infatti, in mancanza di qualsiasi concorrenza potenziale, non si dovrebbe concludere alcun accordo di non concorrenza, o prevedere la realizzazione di un’autovalutazione riguardante un impegno di non concorrenza (punto 271 della decisione impugnata).

171    Inoltre, la Commissione ha osservato che la clausola aveva un ambito di applicazione ampio, in quanto si applicava a tutti i servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi (punti 141, 265 e 278 della decisione impugnata).

172    Infine, la Commissione ha precisato che detti servizi erano stati liberalizzati conformemente al quadro normativo dell’Unione, che consentiva e incentivava la concorrenza tra gli operatori (punto 265 della decisione impugnata), e che tale contesto liberalizzato, nel quale la concorrenza era possibile e incentivata, doveva costituire il punto di partenza della valutazione della clausola (punto 267 della decisione impugnata).

173    Occorre peraltro ricordare che, certamente, affinché un accordo abbia un oggetto anticoncorrenziale, deve essere capace di produrre effetti negativi sulla concorrenza, vale a dire essere concretamente idoneo ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza in seno al mercato interno (sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, Racc., EU:C:2013:160, punto 38).

174    Inoltre, va ricordato nuovamente (v. supra, punto 90) che, per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione di imprese presentino un grado sufficiente di dannosità per essere considerati come una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle loro disposizioni, agli obiettivi che essi mirano a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale essi si collocano. Nella valutazione di tale contesto, occorre prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (v. sentenza CB/Commissione, cit. supra al punto 86, EU:C:2014:2204, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

175    Tuttavia, sebbene, nell’ambito dell’interpretazione del contesto di un accordo, si debbano prendere in considerazione le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione, la Commissione non è sempre tenuta a procedere a una definizione precisa del mercato o dei mercati in questione. Infatti, la definizione del mercato rilevante non riveste la stessa importanza nell’applicazione dell’articolo 101 TFUE o dell’articolo 102 TFUE. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, la definizione adeguata del mercato rilevante è una condizione necessaria e preliminare a qualsiasi giudizio su un comportamento che si pretende anticoncorrenziale (sentenze del 10 marzo 1992, SIV e a./Commissione, T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, Racc., EU:T:1992:38, punto 159, e dell’11 dicembre 2003, Adriatica di Navigazione/Commissione, T‑61/99, Racc., EU:T:2003:335, punto 27), in quanto, prima di dimostrare l’esistenza di un abuso di posizione dominante, è necessario provare l’esistenza di una posizione dominante in un determinato mercato, il che presuppone la previa definizione di tale mercato. Per contro, da una giurisprudenza costante emerge che, per l’applicazione dell’articolo 101 TFUE, si deve definire il mercato di cui trattasi per determinare se l’accordo di cui è causa possa incidere sugli scambi tra Stati membri ed abbia per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno (sentenze del 21 febbraio 1995, SPO e a./Commissione, T‑29/92, Racc., EU:T:1995:34, punto 74, e Adriatica di Navigazione/Commissione, cit., EU:T:2003:335, punto 27; v., anche, sentenza del 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, T‑30/05, EU:T:2007:267, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).

176    Pertanto, nell’ambito dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, una definizione preliminare del mercato pertinente non si impone quando l’accordo controverso ha di per sé un oggetto anticoncorrenziale, vale a dire quando la Commissione ha potuto correttamente concludere, senza una delimitazione preventiva del mercato, che l’accordo in questione falsava la concorrenza e poteva incidere in modo significativo sugli scambi tra gli Stati membri. Si tratta, in particolare, del caso delle restrizioni più gravi, espressamente vietate all’articolo 101, paragrafo 1, lettere da a) a e), TFUE (conclusioni dell’avvocato generale Bot nelle cause riunite Erste Group Bank e a./Commissione, C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc., EU:C:2009:192, paragrafi da 168 a 175). Se l’oggetto stesso di un accordo è quello di restringere la concorrenza per mezzo di una «ripartizione di mercati», non è necessario definire i mercati in questione in maniera precisa, dato che la concorrenza attuale o potenziale è stata necessariamente ristretta (sentenza Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, cit. supra al punto 150, EU:T:2004:218, punto 132).

177    Pertanto, dato che, nella specie, la Commissione ha constatato che la clausola sanzionata dalla decisione impugnata aveva ad oggetto una ripartizione di mercati, la ricorrente non può sostenere che un’analisi dettagliata dei mercati interessati era necessaria per stabilire se la clausola costituisse una restrizione della concorrenza per oggetto.

178    Infatti, imprese che stipulano un accordo avente lo scopo di restringere la concorrenza non possono, in linea di principio, essere esonerate dall’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE sostenendo che il loro accordo non doveva avere un’incidenza considerevole sulla concorrenza (sentenza Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, cit. supra al punto 150, EU:T:2004:218, punto 130). Poiché l’accordo sanzionato nella specie consisteva in una clausola di non concorrenza, definita dalle parti come applicabile a «qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico», la sua esistenza aveva un senso solo qualora vi fosse una concorrenza da restringere (sentenze Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, cit. supra al punto 150, EU:T:2004:218, punto 131, e del 21 maggio 2014, Toshiba/Commissione, T‑519/09, EU:T:2014:263, punto 231).

179    Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo il quale l’esistenza di un presunto accordo di non concorrenza non può costituire una prova dell’esistenza di una concorrenza potenziale tra le parti è inconferente.

180    Dalla giurisprudenza emerge, infatti, che la conclusione di siffatto accordo costituisce quantomeno un forte indizio dell’esistenza di un rapporto di concorrenza potenziale (v., in tal senso, sentenza Toshiba/Commissione, cit. supra al punto 178, EU:T:2014:263, punto 231). Come sottolinea correttamente la Commissione al punto 271 della decisione impugnata, il fatto di concludere un accordo di non concorrenza costituisce un riconoscimento, ad opera delle parti, del fatto che esse sono, quantomeno, concorrenti potenziali riguardo a taluni servizi. Inoltre, l’esistenza dell’accordo di non concorrenza è solo uno degli elementi sui quali la Commissione si è basata per concludere nel senso dell’esistenza di una concorrenza potenziale tra le parti (v. supra, punti da 169 a 172 e, infra, punto 182).

181    Al riguardo, risulta, in particolare, dalla giurisprudenza che, in presenza di un mercato liberalizzato come quello di cui trattasi nella specie, la Commissione non deve procedere a un’analisi della struttura del mercato interessato e della questione se l’entrata in tale mercato corrisponda, per ciascuna delle parti, a una strategia economica praticabile (v., in tal senso, sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punti da 89 a 93), ma è tenuta ad esaminare se esistano barriere insormontabili all’entrata nel mercato, che escludano qualsiasi concorrenza potenziale (v., in tal senso, sentenza Toshiba/Commissione, cit. supra al punto 178, EU:T:2014:263, punto 230).

182    Orbene, nella specie, la Commissione ha non solo constatato che il mercato dei servizi di telecomunicazione e televisivi in Spagna e in Portogallo era pienamente liberalizzato (v. supra, punto 172), ma ha altresì rilevato che, per ammissione stessa delle parti, queste ultime erano presenti nei mercati di fornitura di servizi globali di telecomunicazione nonché in quelli di servizi all’ingrosso di trasporto internazionale, su tutto il mercato iberico (punti 173, 174 e 272 della decisione impugnata); che esse non avevano dimostrato che il periodo di applicazione previsto dalla clausola sarebbe risultato insufficiente per procedere all’acquisizione di un operatore di telecomunicazioni esistente, quale mezzo per divenire titolare di talune reti senza doverle realizzare (punto 273 della decisione impugnata); che la situazione attuale dei mercati spagnolo e portoghese non poteva essere fatta valere per escludere la possibilità di investire nel settore, in quanto, nonostante la crisi, gli investimenti avevano registrato in tali mercati una crescita o, quantomeno, erano rimasti stabili (punto 274 della decisione impugnata); e, infine, che la stessa Telefónica aveva ammesso che il lancio di un’offerta pubblica d’acquisto su una società quale la PT era ipotizzabile, in occasione delle negoziazioni relative all’operazione Vivo, cosicché l’acquisizione di un concorrente della PT avrebbe potuto essere anch’essa fattibile (punti 37 e da 275 a 277 della decisione impugnata).

183    La ricorrente non deduce, nell’atto introduttivo del ricorso, alcun elemento tale da indicare che, nonostante tali elementi, un’analisi dettagliata dei mercati in questione sarebbe stata necessaria per stabilire se la clausola costituisse una restrizione della concorrenza per oggetto o per stabilire che nessuna barriera insormontabile impediva alle parti di entrare nei rispettivi mercati contigui.

184    Va infatti osservato che, oltre all’argomento già trattato supra ai punti da 162 a 181, la ricorrente si limita, nelle sue memorie, a contestare l’argomento della Commissione sintetizzato supra al punto 182 senza che tale contestazione risulti tale da rimettere in discussione l’analisi della Commissione secondo la quale, nella specie, essa non era tenuta a procedere a un’analisi dettagliata della concorrenza potenziale tra le parti nei mercati interessati dalla clausola.

185    Parimenti, non può essere accolto l’argomento supplementare della ricorrente, consistente nel dedurre elementi che si ritiene debbano dimostrare che un’entrata nei mercati interessati non sarebbe stata corrispondente alle priorità strategiche delle parti o non sarebbe stata economicamente vantaggiosa o allettante.

186    Infatti, senza necessità di esaminare nei dettagli tale argomento, è sufficiente rilevare che se l’intenzione di un’impresa di aderire ad un mercato è eventualmente pertinente al fine di stabilire se possa essere considerata un concorrente potenziale sullo stesso mercato, l’elemento essenziale sul quale deve basarsi tale qualificazione è tuttavia costituito dalla sua capacità di entrare in detto mercato (v. sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit. supra al punto 99, EU:T:2012:332, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).

187    Infine, per quanto attiene all’argomento della ricorrente volto ad affermare che, manifestamente, nessun elemento dell’accordo di non concorrenza impediva alla Telefónica di rafforzare la sua presenza nella Zon e che sarebbe stato quindi assai improbabile che la Telefónica sviluppasse ancora un’infrastruttura propria nel mercato portoghese, in quanto ciò sarebbe stato pregiudizievole per l’attività della Zon, da un lato, va osservato che, come ha affermato la Commissione al punto 164 della decisione impugnata, l’argomento secondo il quale la clausola non impediva alla Telefónica di rafforzare la sua presenza nella Zon non può essere accolto, in quanto la clausola contiene letteralmente il divieto «[di] partecipare o [di] investire, in maniera diretta o mediante proprie controllate, in qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni», il che include, altresì, l’aumento, da parte della Telefónica, della sua partecipazione nella Zon. D’altro lato, il fatto che la Telefónica detenga già una partecipazione minoritaria nella Zon, il cui aumento era vietato dalla clausola, non è tale da dimostrare che la Telefónica non era un concorrente potenziale nel mercato portoghese, ma indica che la Telefónica avrebbe potuto, in mancanza della clausola, aumentare tale partecipazione o acquisirne altre in altri operatori.

188    Dalle suesposte considerazioni risulta che non si può affermare che, nonostante il fatto che l’esistenza stessa della clausola sia un chiaro indizio di una concorrenza potenziale tra le parti, che il suo oggetto consistesse in un accordo di ripartizione dei mercati, che essa avesse un ampio ambito di applicazione e che si inserisse in un contesto economico liberalizzato, la Commissione avrebbe dovuto procedere a un’analisi dettagliata della struttura dei mercati interessati e della concorrenza potenziale tra le parti su tali mercati al fine di concludere che la clausola costituiva una restrizione della concorrenza per oggetto. L’argomento della ricorrente vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE a causa del mancato esame delle condizioni della concorrenza potenziale deve essere quindi respinto.

 Sull’argomento riguardante la mancanza di effetti

189    La ricorrente sostiene che, poiché la clausola non contiene alcuna restrizione della concorrenza per oggetto, la Commissione non ha neppure dimostrato né che la clausola avesse prodotto effetti restrittivi della concorrenza né che la stessa potesse produrre tali effetti.

190    Dato che dall’esame degli argomenti della ricorrente, esposti supra ai punti da 93 a 188, deriva che essa non riesce a dimostrare che la conclusione della Commissione secondo la quale la clausola costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto è errata, il suo argomento, sintetizzato supra al punto 189, si fonda sulla premessa errata secondo la quale il comportamento in questione non può essere qualificato come restrizione della concorrenza per oggetto e deve essere respinto. Dal testo stesso dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deriva che gli accordi tra imprese sono vietati indipendentemente dai loro effetti, qualora abbiano un oggetto anticoncorrenziale. Di conseguenza, la dimostrazione di effetti anticoncorrenziali concreti non è necessaria qualora sia comprovato l’oggetto anticoncorrenziale dei comportamenti addebitati (v. sentenza del 3 marzo 2011, Siemens e VA Tech Transmission & Distribution/Commissione, da T‑122/07 a T‑124/07, Racc., EU:T:2011:70, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

191    Infatti, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che esso ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza. Ciò si verifica, in particolare, per quanto riguarda gli accordi che comportano restrizioni manifeste della concorrenza quali la fissazione di prezzi e la ripartizione dei mercati (sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑389/10 P, Racc., EU:C:2011:816, punto 75).

192    Del resto, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione, nell’affermare che il fatto che le parti non abbiano svolto nuove attività in Spagna o in Portogallo è un segno non concludente di applicazione della clausola (punto 365 della decisione impugnata), richiede alle parti la «prova diabolica» che tale mancanza di nuove attività non è stata dovuta alla clausola. Poiché la Commissione non si fonda su tale elemento per dimostrare che la clausola costituisce un’infrazione all’articolo 101 TFUE, bensì sul fatto che la clausola ha natura di infrazione per oggetto, e poiché, per giunta, la Commissione ha precisato che il fatto che le parti non abbiano svolto nuove attività nei mercati in questione è un «indizio non concludente» del fatto che la clausola possa essere stata eseguita, la ricorrente non può contestare alla Commissione di aver richiesto alle parti una qualsiasi prova diabolica.

193    Pertanto, l’argomento vertente sul fatto che la Commissione non ha esaminato gli effetti della clausola deve essere respinto.

2.     Sulle conclusioni riguardanti l’importo dell’ammenda

194    In subordine, la ricorrente contesta l’importo dell’ammenda ad essa inflitta e sostiene che tale importo deve essere ridotto, in quanto, anche se la clausola aveva potuto produrre effetti restrittivi della concorrenza, la Commissione non avrebbe debitamente ponderato l’entità di tali effetti e la loro durata nel determinare l’importo dell’ammenda, violando così i principi relativi al calcolo delle ammende e il principio di proporzionalità.

a)     Osservazioni preliminari

 Sui principi relativi al calcolo delle ammende

195    Va ricordato che da una giurisprudenza costante risulta che la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo dell’importo delle ammende. Tale metodo, delimitato dagli orientamenti, prevede vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 3 settembre 2009, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Racc., EU:C:2009:500, punto 112 e giurisprudenza ivi citata).

196    La gravità delle infrazioni al diritto dell’Unione in materia di concorrenza va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le particolari circostanze del procedimento, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenze del 19 marzo 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, C‑510/06 P, Racc., EU:C:2009:166, punto 72, e del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, Racc., EU:C:2009:505, punto 54).

197    Come è stato esposto supra al punto 52, la Commissione, nella specie, ha determinato l’importo delle ammende applicando il metodo definito negli orientamenti.

198    Anche se tali orientamenti non possono essere qualificati come norme giuridiche alla cui osservanza l’amministrazione è comunque tenuta, essi enunciano tuttavia una norma di comportamento indicativa della prassi da seguire dalla quale l’amministrazione non può discostarsi, in un caso specifico, senza fornire ragioni compatibili con il principio di parità di trattamento (v., per analogia, sentenze del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc., EU:C:2005:408, punto 209 e giurisprudenza ivi citata, e dell’8 ottobre 2008, Carbone‑Lorraine/Commissione, T‑73/04, Racc., EU:T:2008:416, punto 70).

199    Adottando siffatte norme di comportamento e annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in poi applicate ai casi cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento (v., per analogia, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 198, EU:C:2005:408, punto 211 e giurisprudenza ivi citata, e Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. supra al punto 198, EU:T:2008:416, punto 71).

200    Inoltre, tali orientamenti stabiliscono, in modo generale e astratto, il metodo che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’importo delle ammende e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (v., per analogia, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 198, punti 211 e 213).

201    I punti 4 e 5 degli orientamenti prevedono quanto segue:

«4. Il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese o alle associazioni di imprese che, intenzionalmente o per negligenza, violano le disposizioni degli articoli [101 TFUE] o [102 TFUE] costituisce uno dei mezzi che le sono stati attribuiti per consentirle di svolgere la missione di sorveglianza conferitale dal trattato. Tale missione non comprende soltanto il compito di indagare sulle singole infrazioni e di sanzionarle, ma comporta anche il dovere di perseguire una politica generale intesa ad applicare, nel campo della concorrenza, i principi fissati dal trattato e ad orientare in tal senso il comportamento delle imprese. A tal fine la Commissione deve far sì che la propria azione abbia il necessario carattere dissuasivo. Quando la Commissione constata un’infrazione alle disposizioni degli articoli [101 TFUE] o [102 TFUE], può essere pertanto necessario infliggere un’ammenda a coloro che hanno agito illegalmente. Le ammende devono avere un effetto sufficientemente dissuasivo, allo scopo non solo di sanzionare le imprese in causa (effetto dissuasivo specifico), ma anche di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli [101 TFUE] o [102 TFUE] (effetto dissuasivo generale).

5. Per conseguire tali obiettivi è opportuno che la Commissione si riferisca, come base per la determinazione delle ammende, al valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione. Anche la durata dell’infrazione dovrebbe avere un ruolo significativo nella determinazione dell’importo appropriato dell’ammenda. Essa, infatti, necessariamente ha un impatto sulle conseguenze potenziali dell’infrazione sul mercato. Per questo si ritiene importante che l’ammenda rifletta anche il numero di anni durante i quali l’impresa ha partecipato all’infrazione».

202    Gli orientamenti definiscono un metodo di calcolo che si compone di due fasi (punto 9 degli orientamenti). Essi prevedono, per la prima fase di calcolo, la determinazione da parte della Commissione di un importo di base per ciascuna impresa o associazione di imprese interessata e contengono, al riguardo, le seguenti disposizioni:

«12. L’importo di base sarà fissato in riferimento al valore delle vendite secondo la metodologia seguente.

(…)

13. Al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo (SEE). In linea di massima la Commissione prenderà come riferimento le vendite realizzate dall’impresa nell’ultimo anno intero in cui questa ha partecipato all’infrazione.

(…)

19. L’importo di base dell’ammenda sarà legato ad una proporzione del valore delle vendite, determinata in funzione del grado di gravità dell’infrazione, moltiplicata per il numero di anni dell’infrazione.

20. La gravità sarà valutata caso per caso per ciascun tipo di infrazione, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti.

21. In linea di massima, la proporzione considerata del valore delle vendite sarà fissata a un livello che può raggiungere il 30% del valore delle vendite.

22. Per decidere se la proporzione del valore delle vendite da prendere in considerazione in un determinato caso debba situarsi sui valori minimi o massimi all’interno della forcella prevista, la Commissione terrà conto di un certo numero di fattori, quali la natura dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutte le imprese interessate, l’estensione geografica dell’infrazione e se sia stata data attuazione o meno alle pratiche illecite.

23. Per la loro stessa natura, gli accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione, che sono generalmente segreti, costituiscono alcune delle più gravi restrizioni della concorrenza. Nell’ambito della politica di concorrenza essi saranno severamente sanzionati. In generale, pertanto, la proporzione del valore delle vendite considerata per le infrazioni di questo tipo si situerà sui valori più alti previsti.

24. Per tenere pienamente conto della durata della partecipazione di ciascuna impresa all’infrazione, l’importo determinato in funzione del valore delle vendite (cfr. i punti da 20 a 23) sarà moltiplicato per il numero di anni di partecipazione all’infrazione. I periodi di durata inferiore a un semestre saranno contati come metà anno, quelli di durata superiore a sei mesi, ma inferiore a un anno, saranno contati come un anno intero.

25. Inoltre, a prescindere dalla durata della partecipazione di un’impresa all’infrazione, la Commissione inserirà nell’importo di base una somma compresa fra il 15% e il 25% del valore delle vendite definito nella sezione A al fine di dissuadere ulteriormente le imprese dal prendere parte ad accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione. Essa può applicare tale importo supplementare anche ad altre infrazioni. Per decidere la proporzione del valore delle vendite da considerare in un determinato caso, la Commissione terrà conto di un certo numero di fattori, fra cui in particolare quelli indicati al punto 22.

(…)».

203    Gli orientamenti prevedono, per una seconda fase di calcolo, che la Commissione possa adeguare l’importo di base, aumentandolo o riducendolo, sul fondamento di una valutazione globale che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti (punti 11 e 27 degli orientamenti).

204    Con riferimento a tali circostanze, il punto 29 degli orientamenti prevede quanto segue:

«L’importo di base dell’ammenda può essere ridotto qualora la Commissione constati l’esistenza di circostanze attenuanti, quali:

–        quando l’impresa interessata fornisce la prova di aver posto fine alle attività illecite immediatamente dopo i primi interventi della Commissione. Questo non si applica agli accordi o alle pratiche di natura segreta (in particolare i cartelli);

–        quando l’impresa fornisce la prova che l’infrazione è stata commessa per negligenza;

–        quando l’impresa fornisce la prova che la propria partecipazione all’infrazione è sostanzialmente marginale dimostrando altresì che, nel periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, non ha di fatto dato loro applicazione adottando un comportamento concorrenziale sul mercato; il fatto che un’impresa abbia partecipato a un’infrazione per una durata inferiore rispetto alle altre imprese non costituisce di per sé una circostanza attenuante, in quanto di tale circostanza si è già tenuto conto nella determinazione dell’importo di base;

–        quando l’impresa collabora efficacemente con la Commissione al di fuori del campo di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole e oltre quanto richiesto dagli obblighi di collaborazione previsti dalla legge;

–        quando il comportamento anticoncorrenziale è stato autorizzato o incoraggiato dalle autorità pubbliche o dalla legge».

205    Infine, come ha ricordato la Corte nelle sentenze KME Germany e a./Commissione, citata supra al punto 191 (EU:C:2011:816, punto 129), e dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione (C‑272/09 P, Racc., EU:C:2011:810, punto 102), il giudice dell’Unione ha il compito di effettuare il controllo di legittimità ad esso incombente sulla base degli elementi prodotti dal ricorrente a sostegno dei suoi motivi. In occasione di tale controllo, il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione, né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto.

206    Il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 17 del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204), e attualmente dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (sentenza KME Germany e a./Commissione, cit. supra al punto 205, EU:C:2011:810, punto 103).

 Decisione impugnata

207    La Commissione ha ritenuto che, alla luce dei fatti descritti nella decisione impugnata, l’infrazione fosse stata commessa deliberatamente e fosse costituita da un accordo tra le parti, chiaramente illecito, di non concorrenza e di ripartizione dei mercati delle comunicazioni elettroniche spagnolo e portoghese. Secondo la Commissione, per quanto riguarda questo tipo di infrazioni manifeste, le parti non possono sostenere di non aver agito intenzionalmente (punto 477 della decisione impugnata).

208    Per quanto attiene al valore delle vendite che funge da riferimento per la fissazione dell’importo di base, la Commissione ha considerato che la clausola di non concorrenza era applicabile a tutti i servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi forniti in Spagna o in Portogallo, fatta eccezione per servizi globali di telecomunicazione e per i servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, per i quali le parti erano in concorrenza nella penisola iberica alla data della firma dell’accordo, e che per questo fatto sono stati esclusi dall’ambito di applicazione di quest’ultimo. Inoltre, tenuto conto del fatto che la clausola escludeva dal suo ambito di applicazione investimenti e attività già in corso alla data dell’accordo che potevano essere considerati concorrenti rispetto alle attività e agli investimenti della controparte nel mercato iberico, la Commissione ha tenuto conto, per ciascuna parte, solo del valore delle proprie vendite nel suo paese d’origine. Essa non ha quindi preso in considerazione, in particolare, il valore delle vendite di ciascuna parte nel paese d’origine della controparte, in quanto tali importi corrispondevano, in linea di principio, ad attività preesistenti, non rientranti nella clausola. Ciò implica che, per quanto riguarda la Telefónica, il valore delle vendite è stato fissato dalla Commissione tenendo conto del valore delle vendite di quest’ultima società in Spagna, mentre, per quanto riguarda la PT, detto valore è stato determinato tenendo conto del valore delle vendite di tale società in Portogallo (punti 482 e 483 della decisione impugnata).

209    La Commissione ha poi precisato che, in generale, essa teneva conto delle vendite realizzate dalle imprese durante l’ultimo anno intero della loro partecipazione all’infrazione. Poiché, nella specie, l’infrazione è durata meno di un anno e si è verificata tra il 2010 e il 2011, la Commissione ha utilizzato le vendite delle imprese nel corso del 2011, che erano più scarse delle vendite registrate dalle parti nel 2010 (punto 484 della decisione impugnata).

210    Quanto alla gravità dell’infrazione, che determina la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione per fissare l’importo dell’ammenda, la Commissione ha sostenuto che, nella specie, l’infrazione era costituita da un accordo di non concorrenza e di ripartizione dei mercati delle comunicazioni elettroniche e televisivo spagnolo e portoghese tra le parti e che la Telefónica e la PT erano gli operatori storici nei rispettivi paesi (punto 489 della decisione impugnata).

211    La Commissione ha precisato che teneva conto del fatto che la clausola non fosse stata tenuta segreta dalle parti, a partire dal momento della sua introduzione, per la prima volta, nell’offerta del 1° giugno 2010. Infatti, come viene esposto ai punti da 128 a 130 della decisione impugnata, la seconda offerta che includeva il primo progetto di clausola è stata messa online dalle parti sui rispettivi siti Internet e comunicata alle autorità di borsa spagnola e portoghese, che l’hanno pubblicata, a loro volta, sui propri siti Internet. Peraltro, il 9 giugno 2010, la PT ha diffuso presso i suoi azionisti un opuscolo esplicativo dell’operazione e della clausola. Inoltre, l’accordo contenente la versione definitiva della clausola costituiva parte integrante del fascicolo depositato dalla Telefónica e dalla PT presso l’Anatel e il CADE. Infine, in un articolo pubblicato dal Jornal de Negócios il 23 agosto 2010, la Telefónica ha confermato che l’accordo conteneva una clausola di non concorrenza (punto 491 della decisione impugnata).

212    Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto del fatto che questa si era protratta dal 27 settembre 2010, data dell’atto notarile e quindi della conclusione definitiva dell’operazione, al 4 febbraio 2011, data dell’accordo delle parti che poneva fine alla clausola (punto 492 della decisione impugnata).

213    Alla luce di tali elementi, delle dimensioni delle imprese e della breve durata dell’accordo restrittivo, la Commissione ha ritenuto che, nelle circostanze specifiche della causa in esame, era proporzionato e sufficiente in termini di dissuasione considerare una bassa percentuale del valore delle vendite per calcolare l’importo di base delle ammende. La Commissione ha quindi ritenuto che la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione dovesse essere pari al 2% per le due imprese interessate (punto 493 della decisione impugnata). La percentuale del valore delle vendite considerata per ciascuna impresa è stata moltiplicata per il coefficiente considerato per la durata, ossia 0,33, corrispondente a quattro mesi di un anno intero.

214    La Commissione ha considerato gli importi così calcolati come importi di base finali, cosicché si deve constatare che non ha aggiunto alcun importo fisso di dissuasione (droit d’entrée) nella specie, come previsto al punto 25 degli orientamenti (v. supra, punto 202), circostanza che la stessa ha peraltro confermato all’udienza.

215    Per quanto riguarda l’adeguamento dell’importo di base, da un lato, la Commissione ha ritenuto che non sussistesse alcuna circostanza aggravante da considerare nella specie (punto 496 della decisione impugnata).

216    D’altro lato, la Commissione ha ricordato che le parti avevano deciso di eliminare la clausola il 4 febbraio 2011, ponendo quindi fine alla pratica anticoncorrenziale in questione. Secondo la Commissione, tenuto conto del fatto che si è posto fine alla clausola soltanto sedici giorni dopo che la Commissione aveva proceduto all’avvio del procedimento e 30 giorni dopo che la Commissione aveva inviato la prima richiesta di informazioni alle parti e che la clausola non era segreta, si doveva ritenere che l’eliminazione summenzionata costituisse una circostanza attenuante che occorreva applicare alle due parti (punto 500 della decisione impugnata).

217    Alla luce di tali circostanze, la Commissione ha ritenuto che l’importo di base dell’ammenda da infliggere alle parti dovesse essere ridotto del 20% (punto 501 della decisione impugnata) e ha respinto tutti gli argomenti delle parti diretti a far valere altre circostanze attenuanti (punti da 502 a 507 della decisione impugnata).

218    Gli importi finali delle ammende ammontano quindi a EUR 66 894 400 per la Telefónica e a EUR 12 290 400 per la PT.

b)     Sulle vendite prese in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda

219    La ricorrente contesta le conclusioni della Commissione riguardo all’ambito di applicazione della clausola e fa valere che, dato che l’esclusione di talune attività da tale ambito di applicazione comporterebbe una riduzione del fatturato assunto ai fini del calcolo dell’ammenda, l’importo dell’ammenda ad essa inflitto deve essere ridotto. La Commissione non avrebbe tenuto conto dell’analisi esaustiva dei mercati delle comunicazioni elettroniche in Portogallo, svolta dalla ricorrente nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, omettendo di esaminare e di confutare gran parte degli argomenti sviluppati dalla ricorrente.

 Sulla motivazione

220    Nei limiti in cui tale argomento della ricorrente debba essere inteso nel senso che contesta il mancato rispetto, da parte della Commissione, dell’obbligo di motivazione, va ricordato che la motivazione deve essere adeguata alla natura dell’atto in questione e deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo (v. sentenza Elf Aquitaine/Commissione, cit. supra al punto 78, EU:C:2011:620, punto 147 e giurisprudenza ivi citata). La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v. sentenza Commissione/Sytraval e Brink’s France, cit. supra al punto 78, EU:C:1998:154, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

221    Quanto alla portata dell’obbligo di motivazione con riferimento al calcolo dell’ammenda inflitta per violazione della normativa dell’Unione in materia di concorrenza, va osservato che l’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 dispone che «[p]er determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata». Al riguardo, gli orientamenti, nonché la comunicazione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (GU 2006, C 298, pag. 17) contengono regole indicative sugli elementi di valutazione di cui la Commissione si avvale per misurare la gravità e la durata dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2003, Cheil Jedang/Commissione, T‑220/00, Racc., EU:T:2003:193, punto 217 e giurisprudenza ivi citata).

222    Di conseguenza, i requisiti della formalità sostanziale costituita dall’obbligo di motivazione sono soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione di cui deve servirsi nell’applicare i suoi orientamenti e, all’occorrenza, la sua comunicazione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese, elementi che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione ai fini del calcolo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 221, EU:T:2003:193, punto 218).

223    Nella specie, nelle sezioni 5 e 6.3.3.2 della decisione impugnata e in particolare ai punti 153, 184, 185 e 278 della medesima decisione, la Commissione ha precisato che le parti dovevano essere considerate, quantomeno, concorrenti potenziali su tutti i mercati dei servizi di comunicazione elettronica e dei servizi televisivi in Spagna e in Portogallo, che i loro argomenti volti a ottenere l’esclusione di talune attività dall’ambito di applicazione della clausola non potevano essere accolti e che, alla luce del rigetto degli argomenti delle parti riguardo all’esistenza di una concorrenza potenziale tra le stesse e tenuto conto dell’ampio ambito di applicazione della clausola, nessuna analisi dettagliata quanto al fatto se le parti fossero concorrenti potenziali risultava necessaria nella specie relativamente a ciascun mercato specifico per valutare se l’accordo dovesse essere considerato costitutivo di una restrizione per oggetto. Inoltre, la Commissione ha osservato, al punto 482 della decisione impugnata, rubricato «Il valore delle vendite», che essa riteneva che la clausola di non concorrenza fosse applicabile a qualsiasi tipo di servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali e che, pertanto, tutti i servizi forniti in Spagna o in Portogallo e costituenti parte integrante dei mercati elencati nella sezione 5.3, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, erano direttamente o indirettamente interessati dall’infrazione.

224    Ne consegue che la Commissione ha fornito spiegazioni sufficienti sul modo in cui essa ha determinato il valore delle vendite da prendere in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda e sulle ragioni per le quali essa ha ritenuto che non fosse necessario esaminare ogni servizio di cui la ricorrente aveva chiesto l’esclusione ai fini del calcolo dell’ammenda nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti. Nei limiti in cui possa essere inteso nel senso che riguarda la violazione dell’obbligo di motivazione, l’argomento della ricorrente deve essere quindi respinto.

 Nel merito

225    La ricorrente fa valere che il valore di talune vendite deve essere escluso dal calcolo dell’ammenda, ossia le vendite realizzate nei mercati nei quali le parti non erano concorrenti potenziali, le vendite corrispondenti ad attività in corso e le vendite realizzate al di fuori della penisola iberica.

–       Sulle vendite corrispondenti ad attività che non possono essere soggette a concorrenza

226    Per quanto riguarda le vendite realizzate in mercati o con servizi non soggetti, secondo la ricorrente, a una concorrenza potenziale, in primo luogo, va osservato che la Commissione, al punto 478 della decisione impugnata, ha rinviato al punto 12 degli orientamenti, il quale stabilisce che l’importo di base dell’ammenda sarà fissato con riferimento al valore delle vendite secondo la metodologia esposta nei punti successivi. Nel suddetto punto la Commissione ha inoltre spiegato che l’importo di base dell’ammenda da infliggere alle imprese sarebbe stato fissato con riferimento al valore delle vendite di beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dalle imprese nell’area geografica interessata all’interno dell’Unione europea. Al punto 482 della decisione impugnata (v. supra, punto 208), la Commissione ha proseguito precisando che essa riteneva che la clausola di non concorrenza fosse applicabile a qualsiasi tipo di servizi di comunicazione elettronica nonché ai servizi televisivi, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali e che, pertanto, tutti i servizi forniti in Spagna o in Portogallo e costituenti parte integrante dei mercati elencati nella sezione 5.3, ad eccezione dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, fossero direttamente o indirettamente interessati dall’infrazione.

227    All’udienza la Commissione, in risposta ai quesiti del Tribunale, ha spiegato che, considerato l’ambito di applicazione assai ampio della clausola, essa non era tenuta ad analizzare la concorrenza potenziale tra le parti per ciascuno dei servizi fatti valere dalla ricorrente ai fini della determinazione del valore delle vendite da prendere in considerazione per il calcolo dell’importo dell’ammenda. Nell’ambito di un’infrazione per oggetto come quella del caso di specie, in cui siffatto esercizio non era richiesto ai fini dell’accertamento dell’infrazione, detto esercizio non poteva essere imposto neppure per la determinazione dell’importo dell’ammenda.

228    Tale argomento non può essere accolto.

229    Infatti, la clausola si applicava, conformemente alla sua formulazione letterale, a «qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico». Inoltre, la Commissione ha utilizzato, ai fini del calcolo dell’ammenda, il valore delle vendite di attività rientranti, a suo avviso, nell’ambito di applicazione della clausola e ha escluso le vendite corrispondenti ad attività in corso, escluse, conformemente alla formulazione letterale della clausola, dall’ambito di applicazione di quest’ultima. Pertanto, le vendite corrispondenti ad attività che non possono essere in concorrenza con la controparte durante il periodo di applicazione della clausola, parimenti escluse dall’ambito di applicazione di quest’ultima in forza della sua formulazione, dovrebbero essere altresì escluse ai fini del calcolo dell’ammenda.

230    Ne consegue che, anche se la Commissione non doveva valutare la concorrenza potenziale con riferimento a ciascuno dei servizi fatti valere dalla ricorrente ai fini della constatazione dell’infrazione (v. supra, punti da 169 a 188), essa avrebbe dovuto esaminare, tuttavia, se la ricorrente avesse fondati motivi per sostenere che il valore delle vendite dei servizi in questione doveva essere escluso dal calcolo dell’ammenda a causa della mancanza di concorrenza potenziale tra le parti relativamente a tali servizi.

231    Al riguardo, va ricordato che, come già dichiarato dalla Corte, la Commissione deve valutare, caso per caso e a fronte del contesto della fattispecie nonché degli obiettivi perseguiti dal regime sanzionatorio istituito con il regolamento n. 1/2003, l’impatto voluto nei confronti dell’impresa interessata, segnatamente tenendo conto di un fatturato che rifletta la situazione economica reale dell’impresa stessa nel periodo nel corso del quale l’infrazione è stata commessa (sentenze del 7 giugno 2007, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, C‑76/06 P, Racc., EU:C:2007:326, punto 25, del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, Racc., EU:C:2014:2363, punto 53, e del 23 aprile 2015, LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, C‑227/14 P, Racc., EU:C:2015:258, punto 49).

232    È possibile, ai fini della commisurazione dell’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, ancorché approssimativa ed imperfetta, delle dimensioni della stessa e della sua potenza economica, quanto della parte di tale fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell’infrazione e che può, quindi, fornire un’indicazione dell’entità della medesima (sentenze del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, Racc., EU:C:1983:158, punto 121, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra al punto 231, EU:C:2014:2363, punto 54, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra al punto 231, EU:C:2015:258, punto 50).

233    Se è vero che l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 lascia alla Commissione un margine discrezionale, esso ne limita nondimeno l’esercizio stabilendo criteri oggettivi ai quali detta istituzione deve attenersi. Così, da un lato, l’importo dell’ammenda applicabile ad un’impresa è soggetto ad un limite massimo esprimibile in cifre e assoluto, sicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta ad una data impresa è determinabile anticipatamente. D’altro lato, l’esercizio di tale potere discrezionale è altresì limitato dalle regole di condotta che la Commissione si è essa stessa imposta, segnatamente con gli orientamenti (sentenze Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra al punto 231, EU:C:2014:2363, punto 55, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra al punto 231, EU:C:2015:258, punto 51).

234    Pertanto, qualora determini, come avviene nel caso di specie, l’importo di base dell’ammenda conformemente al metodo esposto negli orientamenti, la Commissione deve conformarsi a detto metodo.

235    Al riguardo, va ricordato che, in forza del punto 13 degli orientamenti, «[a]l fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo (SEE)». I medesimi orientamenti precisano, al punto 6, che «la combinazione della durata e del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferisce è considerata un parametro adeguato per esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato».

236    Inoltre, dalla giurisprudenza emerge che la quota del fatturato proveniente dalle merci oggetto dell’infrazione è tale da fornire un’esatta indicazione della portata di un’infrazione nel mercato interessato, in quanto il volume di affari realizzato sui prodotti che abbiano costituito oggetto di una pratica restrittiva costituisce un criterio oggettivo che fornisce il giusto metro della nocività della pratica medesima rispetto al normale gioco della concorrenza (v., in tal senso, sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 232, EU:C:1983:158, punto 121, dell’11 marzo 1999, British Steel/Commissione, T‑151/94, Racc., EU:T:1999:52, punto 643, e dell’8 luglio 2008, Saint‑Gobain Gyproc Belgium/Commissione, T‑50/03, EU:T:2008:252, punto 84).

237    Il punto 13 degli orientamenti mira quindi ad assumere quale base iniziale ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa un importo che rifletta l’importanza economica dell’infrazione ed il peso relativo dell’impresa interessata nell’infrazione medesima (sentenze dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 76, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra al punto 231, EU:C:2014:2363, punto 57, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra punto 231, EU:C:2015:258, punto 53).

238    Pertanto, la nozione di valore delle vendite di cui al punto 13 include le vendite realizzate nel mercato interessato dall’infrazione nell’ambito del SEE, senza che si debba stabilire se tale infrazione abbia effettivamente inciso su dette vendite, in quanto la quota del fatturato proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione costituisce l’elemento più idoneo per riflettere l’importanza economica dell’infrazione stessa (v., in tal senso, sentenze Team Relocations e a./Commissione, cit. supra punto 237, EU:C:2013:464, punti da 75 a 78, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, cit. supra punto 231, EU:C:2014:2363, punti da 57 a 59, del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, Racc., EU:C:2015:184, punti 148 e 149, e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, cit. supra al punto 231, EU:C:2015:258, punti da 53 a 58 e 64).

239    Nondimeno, anche se sarebbe certamente pregiudicato l’obiettivo perseguito da tale disposizione qualora la nozione di valore delle vendite ivi prevista dovesse essere intesa nel senso che riguarda unicamente il fatturato realizzato con le vendite di cui risulti accertata l’effettiva connessione con l’intesa contestata, tale nozione non può tuttavia estendersi sino a includere le vendite realizzate dall’impresa interessata non rientranti, direttamente o indirettamente, nella sfera di applicazione dell’intesa stessa (v., in tal senso, sentenze Team Relocations e a./Commissione, cit. supra al punto 237, EU:C:2013:464, punto 76, e Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, cit. supra al punto 238, EU:C:2015:184, punto 148).

240    In tale contesto, va osservato che non si può certamente richiedere alla Commissione, in presenza di una restrizione per oggetto come quella di cui trattasi nella specie, che essa esegua d’ufficio un esame della concorrenza potenziale per tutti i mercati e i servizi rientranti nell’ambito di applicazione dell’infrazione, salvo derogare ai principi stabiliti dalla giurisprudenza citata supra ai punti 175, 176 e 178 e introdurre, attraverso la determinazione del valore delle vendite di cui tener conto per il calcolo dell’ammenda, l’obbligo di esaminare la concorrenza potenziale mentre siffatto esercizio non è necessario nel caso di una restrizione della concorrenza per oggetto (v. supra, punto 177). Al riguardo, la Corte ha infatti dichiarato, in un caso di specie disciplinato dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3), che, nel caso di un’infrazione consistente in una ripartizione di mercati, un’interpretazione che avrebbe la conseguenza d’imporre alla Commissione, relativamente al metodo di calcolo delle ammende, un obbligo al quale essa non è tenuta ai fini dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE, dal momento che l’infrazione in questione ha un oggetto anticoncorrenziale, non può essere accolta (sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. supra al punto 196, EU:C:2009:505, punto 64).

241    La soluzione adottata nella specie non consiste nell’imporre alla Commissione, nell’ambito della determinazione dell’importo dell’ammenda, un obbligo al quale essa non è tenuta ai fini dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE relativamente a un’infrazione avente un oggetto anticoncorrenziale, bensì nel trarre conseguenze dal fatto che il valore delle vendite debba essere direttamente o indirettamente collegato all’infrazione ai sensi del punto 13 degli orientamenti e non possa includere vendite non rientranti, direttamente o indirettamente, nella sfera di applicazione dell’infrazione sanzionata (v. giurisprudenza citata supra al punto 239). Ne consegue che, a partire dal momento in cui la Commissione sceglie di basarsi, per determinare l’importo dell’ammenda, sul valore delle vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, essa deve determinare tale valore in modo preciso.

242    Al riguardo, occorre rilevare che, nella specie, alla luce della formulazione letterale della clausola, che fa espressamente riferimento a «qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni (compresi i servizi di telefonia fissa e mobile, l’accesso a Internet e i servizi televisivi ad eccezione delle attività o degli investimenti già realizzati o in corso) che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico», e del fatto che la ricorrente ha dedotto, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, elementi di fatto per dimostrare che il valore delle vendite di taluni servizi così menzionati doveva essere escluso ai fini del calcolo dell’ammenda a causa della mancanza di qualsiasi concorrenza tra le parti, la Commissione avrebbe dovuto procedere all’esame di tali elementi per determinare il valore delle vendite di beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa.

243    Pertanto, nella specie, dato che le vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce sono le vendite dei servizi rientranti nell’ambito di applicazione della clausola, ossia le vendite di qualsiasi progetto nel settore delle telecomunicazioni, ad eccezione delle attività già realizzate o in corso, che possa essere considerato in concorrenza con l’altro sul mercato iberico, la Commissione, al fine di determinare il valore di tali vendite, avrebbe dovuto determinare i servizi per i quali le parti non erano in concorrenza potenziale nel mercato iberico, esaminando gli elementi dedotti da queste ultime nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti al fine di dimostrare la mancanza di concorrenza potenziale tra le stesse riguardo a taluni servizi durante il periodo di applicazione della clausola. Solo in base a tale analisi di fatto e di diritto sarebbe stato possibile determinare le vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferiva, il cui valore avrebbe dovuto fungere da importo di partenza per il calcolo dell’importo di base dell’ammenda.

244    Ne consegue che dev’essere accolto l’argomento della ricorrente consistente nel sostenere che la Commissione avrebbe dovuto determinare, in base agli elementi fatti valere dalla ricorrente sulla mancanza di concorrenza potenziale tra la Telefónica e la PT riguardo a taluni servizi, il valore delle vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferiva e annullare l’articolo 2 della decisione impugnata, unicamente nella parte in cui fissa l’importo dell’ammenda in base al valore delle vendite assunto dall’Istituzione.

245    In secondo luogo, occorre ricordare che il sistema di controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione relative ai procedimenti ai sensi degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE consiste in un controllo di legittimità degli atti delle istituzioni stabilito all’articolo 263 TFUE, che può essere integrato, in applicazione dell’articolo 261 TFUE e su richiesta delle ricorrenti, dall’esercizio, da parte del Tribunale, di una competenza estesa al merito per quanto riguarda le sanzioni inflitte in tale settore dalla Commissione (sentenza del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, Racc., EU:C:2014:2062, punto 42). Al riguardo, va rilevato che, nella specie, l’illegittimità constatata riguarda il valore delle vendite assunto ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente e, quindi, la base stessa del calcolo di quest’ultima.

246    In tale contesto, va nuovamente rammentato che la Commissione non ha proceduto, al punto 482 della decisione impugnata, ad un’analisi della concorrenza potenziale tra le parti per i servizi fatti valere dalla ricorrente. Peraltro, in risposta ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza, volti ad ottenere, da parte della Commissione, risposte agli argomenti della ricorrente relativi alla presunta mancanza di concorrenza potenziale tra la Telefónica e la PT riguardo a taluni servizi in Portogallo, la Commissione si è limitata a ribadire la propria posizione secondo la quale essa non sarebbe stata tenuta ad analizzare la concorrenza potenziale tra le parti al fine di determinare l’importo dell’ammenda e si è inoltre limitata a rispondere a tutti gli argomenti della ricorrente affermando che la Telefónica era una concorrente potenziale della PT riguardo ai servizi in questione, in quanto avrebbe potuto partecipare alle gare d’appalto o acquisire un operatore esistente.

247    Dalle suesposte considerazioni risulta che, nella specie, il Tribunale non dispone di elementi sufficienti al fine di determinare l’importo finale dell’ammenda da infliggere alla ricorrente.

248    È ben vero che la competenza estesa al merito, di cui il Tribunale è titolare in forza dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la propria valutazione a quella della Commissione. Tuttavia, nella specie, la Commissione non ha proceduto all’analisi degli elementi dedotti dalla ricorrente per dimostrare la mancanza di concorrenza potenziale tra le parti riguardo a taluni servizi al fine di determinare il valore delle vendite da prendere in considerazione per il calcolo dell’importo dell’ammenda. La determinazione del valore di tali vendite da parte del Tribunale implicherebbe quindi che il medesimo sia indotto a colmare una lacuna nell’istruzione del fascicolo.

249    Orbene, l’esercizio della competenza estesa al merito non può estendersi sino al punto da indurre il Tribunale a procedere a siffatta istruzione, che andrebbe al di là della sostituzione della valutazione del Tribunale a quella della Commissione, in quanto la valutazione del Tribunale sarebbe l’unica e la prima valutazione degli elementi che la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione per la determinazione del valore delle vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce ai sensi del punto 13 degli orientamenti e la cui analisi spettava alla Commissione.

250    Ne consegue che, nella specie, non occorre esercitare la competenza estesa al merito del Tribunale, cosicché spetta alla Commissione trarre tutte le conseguenze dall’illegittimità accertata nell’ambito dell’esecuzione della presente sentenza e pronunciarsi nuovamente sulla fissazione dell’importo dell’ammenda. Peraltro, il Tribunale ritiene che debbano essere esaminati gli altri motivi riguardanti l’importo dell’ammenda.

–       Sulle vendite corrispondenti ad attività preesistenti

251    La ricorrente fa valere che, conformemente alla formulazione letterale della clausola, le vendite corrispondenti ad attività preesistenti devono essere escluse ai fini del calcolo delle ammende.

252    In primo luogo, occorre ricordare che dai punti 482 e 483 della decisione impugnata emerge che il valore delle vendite dei servizi globali di telecomunicazione e dei servizi all’ingrosso di trasporto di telecomunicazioni internazionali, per i quali le parti erano concorrenti effettive alla data della firma dell’accordo, non è stato preso in considerazione per il calcolo dell’ammenda.

253    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che il valore delle vendite dei servizi della PT corrispondenti ai servizi forniti dalla Zon, ossia la telefonia fissa, Internet a banda larga e la televisione a pagamento, deve essere escluso dall’ambito di applicazione della clausola, in quanto, dal momento che la Telefónica deteneva quote in tale società concorrente della PT, operante nel settore delle comunicazioni elettroniche (v. supra, punto 7), i servizi forniti dalla Zon rientrano nella categoria «attività o (…) investimenti già realizzati o in corso» (v. supra, punto 1), esclusi dall’ambito di applicazione della clausola.

254    Sotto un primo profilo, la ricorrente osserva che la decisione impugnata fornisce pochi chiarimenti, o nessun chiarimento, riguardo a talune contestazioni formulate dai suoi destinatari e che, per quanto riguarda la presenza della Telefónica nel capitale della Zon e l’influenza che ciò le consentiva di avere, la Commissione si limita a ribadire la tesi secondo la quale detta partecipazione non conferiva alcun potere di controllo alla Telefónica. Nei limiti in cui tale osservazione possa essere intesa come affermazione di una violazione, da parte della Commissione, dell’obbligo di motivazione, siffatta affermazione dovrebbe essere respinta.

255    Risulta infatti che la Commissione ha risposto all’argomento delle parti relativo all’esclusione dei servizi della Zon dall’ambito di applicazione della clausola, precisando che essa non poteva accettare l’affermazione secondo la quale le attività della Zon dovevano essere escluse dall’ambito di applicazione della clausola, in quanto, se le parti avessero voluto dimostrare di essere in una situazione di concorrenza in Portogallo, attraverso la partecipazione della Telefónica nella Zon, avrebbero dovuto dimostrare che la Telefónica controllava le attività di tale operatore, prova che esse non hanno fornito, mentre dai rendiconti annuali del 2011 emergeva che la Telefónica non controllava l’operatore portoghese. Così facendo, la Commissione ha chiaramente esposto la ragione per cui riteneva che le attività della Zon non dovessero essere escluse dall’ambito di applicazione della clausola nonché la ragione per cui essa concludeva che la Telefónica non controllava quest’ultima società, cosicché non può esserle contestata alcuna violazione dell’obbligo di motivazione.

256    Al riguardo la Commissione ha altresì chiarito, ai punti da 156 a 164 della decisione impugnata, che, se l’attività esercitata da una società nella quale una delle parti deteneva azioni, ma di cui non aveva il controllo, fosse stata rilevante ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione della clausola, quest’ultima avrebbe dovuto indicare che essa era applicabile alle attività delle società non rientranti nel controllo delle parti. Inoltre, se fossero rilevanti ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione della clausola, siffatte attività dovrebbero esserlo anche ai fini del rispetto delle disposizioni di quest’ultima, cosicché l’avvio di un’attività vietata, da parte di una società non controllata, in cui una delle parti deterrebbe una partecipazione minoritaria, costituirebbe una violazione della clausola. La Commissione ha proseguito su tale punto affermando che le parti non possono sostenere di aver contratto un qualsiasi obbligo in nome e per conto delle società nelle quali detenevano una partecipazione minoritaria, ma di cui non avevano il controllo, in quanto non sarebbero in grado di garantire il rispetto di tale obbligo. Pertanto, per poter essere esclusa dall’ambito di applicazione della clausola, un’attività doveva essere realizzata direttamente da una delle parti, o indirettamente da una società controllata da queste ultime.

257    Sotto un secondo profilo, riguardo al merito, la ricorrente non contesta né l’argomento appena esposto né la constatazione della Commissione secondo la quale la Telefónica deteneva, nel corso del periodo di riferimento, solo una partecipazione minoritaria nella Zon (5,46%) (punto 19 della decisione impugnata) e non aveva quindi il controllo di quest’ultima società, cosicché i servizi forniti dalla Zon non potevano essere considerati come servizi forniti dalla Telefónica e, pertanto, come servizi per i quali la Telefónica e la PT erano in concorrenza e che, per questo, dovevano essere esclusi dall’ambito di applicazione della clausola. Ne consegue che la ricorrente non dimostra il motivo per cui, a suo avviso, nonostante il fatto che la Telefónica detenesse soltanto una partecipazione minoritaria nella Zon, i servizi forniti da quest’ultima società dovevano essere considerati come servizi forniti dalla Telefónica e, pertanto, esclusi dall’ambito di applicazione della clausola. Ciò premesso, il suo argomento deve essere respinto.

–       Sulle vendite corrispondenti ad attività realizzate al di fuori della penisola iberica

258    La ricorrente contesta l’ambito di applicazione geografica della clausola come determinato dalla Commissione, sostenendo che, dato che l’accordo si riferisce espressamente al mercato iberico e non al Portogallo e alla Spagna, si deve concludere che le parti hanno inteso fare riferimento ai territori costituenti la penisola iberica e non ai territori costituenti il Regno di Spagna e la Repubblica portoghese. Pertanto, secondo la ricorrente, i territori corrispondenti alle regioni autonome delle Azzorre e di Madera, che rappresentavano nel 2011, rispettivamente, un fatturato di EUR 36 992 000 e di EUR 23 492 000, devono essere esclusi dall’ambito di applicazione geografica della clausola, cosicché il valore delle vendite della PT preso in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda e, di conseguenza, l’importo di quest’ultima, devono essere adeguati.

259    Questa affermazione non può essere accolta. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il testo della clausola non si riferisce letteralmente alla «penisola iberica», bensì al «mercato iberico». Orbene, risulta che il riferimento al «mercato iberico» deve essere inteso non già in senso strettamente geografico, come riferimento alla sola penisola iberica, bensì come riferimento ai mercati della Spagna e del Portogallo, che includono i mercati dei loro territori non situati nella penisola iberica. Non sussistono indizi, e la ricorrente non deduce neppure argomenti al fine di dimostrare che i territori di tali Stati, situati al di fuori della penisola iberica, erano esclusi dall’ambito di applicazione della clausola.

260    Al riguardo, occorre infatti osservare che la ricorrente si limita a contestare l’interpretazione dell’ambito di applicazione geografico della clausola adottata dalla Commissione, ma non deduce alcun argomento volto a rimettere in discussione le conclusioni della Commissione riguardo all’ambito di applicazione geografico della clausola, esposte ai punti da 175 a 182 della decisione impugnata. In tali circostanze, le sue affermazioni non possono essere accolte.

261    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che l’argomento della ricorrente relativo alle vendite prese in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda deve essere accolto per la parte in cui, per determinare il valore delle vendite della ricorrente da prendere in considerazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione doveva esaminare gli argomenti della ricorrente volti a dimostrare la mancanza di concorrenza potenziale tra la Telefónica e la PT riguardo a taluni servizi (v. supra, punti da 226 a 250) e respinto quanto al resto.

c)     Sulla durata dell’infrazione

262    La ricorrente fa valere che la Commissione ha determinato in modo errato la durata dell’infrazione, in quanto l’obbligo di non concorrenza non poteva produrre effetti prima di essere convalidato, cosicché non poteva essere qualificato come restrizione per oggetto destinato ad essere applicato necessariamente a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, ossia dalla data di conclusione definitiva dell’operazione il 27 settembre 2010, e che, in ogni caso, anche non tenendo conto della condizione espressa della convalida preliminare, l’accordo di non concorrenza è scaduto il 29 ottobre 2010 a causa delle conclusioni cui si era giunti nelle conferenze telefoniche tenutesi il 26 e il 29 ottobre 2010.

263    Si deve ricordare che, conformemente all’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, la durata dell’infrazione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alle imprese responsabili di violazioni delle regole di concorrenza.

264    Inoltre, come è stato precisato supra al punto 202, il punto 24 degli orientamenti prevede che, per tenere pienamente conto della durata della partecipazione di ciascuna impresa all’infrazione, l’importo determinato in funzione del valore delle vendite sarà moltiplicato per il numero di anni di partecipazione all’infrazione e che i periodi di durata inferiore a un semestre saranno contati come metà anno, quelli di durata superiore a sei mesi, ma inferiore a un anno, saranno contati come un anno intero.

265    Per quanto riguarda la durata dell’infrazione di cui trattasi nella specie, la Commissione ha concluso, ai punti da 454 a 465 della decisione impugnata, come è già stato precisato supra al punto 51, che tale durata è pari a quella del periodo che inizia a decorrere dalla data di conclusione definitiva dell’operazione, ossia il 27 settembre 2010 (v. supra, punto 25), e cessa alla data in cui la clausola è stata annullata, ossia il 4 febbraio 2011 (v. supra, punto 29).

266    Con la presente censura, la ricorrente contesta, in sostanza, la legittimità della decisione impugnata nella parte in cui constata, come viene precisato all’articolo 1 del suo dispositivo, che l’infrazione si è protratta per un periodo compreso tra la conclusione definitiva dell’operazione, il 27 settembre 2010, e il 4 febbraio 2011. Si deve quindi ritenere che, con la presente censura relativa alla durata, la ricorrente consideri non solo la riduzione dell’ammenda, ma anche l’annullamento parziale della decisione impugnata e, in particolare, dell’articolo 1 del suo dispositivo, nella parte in cui la Commissione constaterebbe erroneamente che l’infrazione si è protratta dal 27 settembre 2010 sino al 4 febbraio 2011.

267    Orbene, è giocoforza constatare che la ricorrente non deduce elementi supplementari riguardanti, specificamente, la durata dell’infrazione e si limita a rinviare a contestazioni già formulate nell’ambito del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE e del diritto relativo alla sua applicazione, che sono già state esaminate e respinte in tale contesto (v. supra, punti da 122 a 161). Dato che la ricorrente non è riuscita a dimostrare che l’obbligo di non concorrenza era soggetto a un obbligo di autovalutazione né che le audioconferenze dell’ottobre 2010 erano sfociate nell’abrogazione della clausola, la sua domanda di riduzione della durata dell’infrazione presa in considerazione per il calcolo dell’importo dell’ammenda deve essere respinta.

d)     Sul rispetto del principio di proporzionalità

268    La ricorrente sostiene che la fissazione dell’importo dell’ammenda ad essa inflitta per l’infrazione di cui trattasi nella specie è viziata dalla violazione del principio di proporzionalità.

269    La Commissione solleva un’eccezione di irricevibilità facendo valere che tale presunto motivo di annullamento deve essere dichiarato irricevibile in quanto la ricorrente si limita, nelle tre righe dell’atto introduttivo del ricorso ad esso dedicate, a contestare che, «tutto sommato, [essa] è convinta che, alla luce di tutte le circostanze del caso di specie e dei criteri che devono essere applicati per infliggere le ammende, la Commissione non abbia rispettato il principio di proporzionalità».

270    Da un lato, occorre ricordare che, come è già stato rilevato supra ai punti 68 e seguenti, in forza dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, ogni ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti e tale indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a supporto. Inoltre, è necessario, al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali un ricorso è fondato emergano in modo coerente e comprensibile dal testo stesso del ricorso (v. ordinanza TF1/Commissione, cit. supra al punto 70, EU:T:2008:155, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

271    È giocoforza constatare che l’esposizione del presunto motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, da parte della ricorrente, nell’ambito del presente ricorso non soddisfa i requisiti in tal modo individuati, cosicché l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione risulta fondata e il presunto motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità deve essere dichiarato irricevibile.

272    D’altro lato, occorre rilevare al riguardo che, nel diritto dell’Unione in materia di concorrenza, il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 17 del regolamento n. 17 e attualmente dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (v. sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, Racc., EU:C:2011:815, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

273    Occorre tuttavia sottolineare che l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale ad un controllo d’ufficio e ricordare che il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, come il difetto di motivazione della decisione impugnata, spetta al ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi (sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 272, EU:C:2011:815, punto 64).

274    Tale condizione procedurale non contraddice la regola secondo cui, per infrazioni alle regole di concorrenza, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa riscontra e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare adeguatamente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione. Ciò che si richiede a un ricorrente nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, infatti, è di identificare gli elementi contestati della decisione impugnata, di formulare censure a tale riguardo e di addurre prove, che possono essere costituite da seri indizi, volte a dimostrare che le proprie censure sono fondate (sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 272, EU:C:2011:815, punto 65).

275    La mancanza di controllo d’ufficio di tutta la decisione impugnata non viola il principio della tutela giurisdizionale effettiva. Non è indispensabile al rispetto di tale principio che il Tribunale, che è senza dubbio tenuto a rispondere ai motivi sollevati e ad esercitare un controllo tanto in diritto quanto in fatto, sia tenuto a procedere d’ufficio ad una nuova istruzione completa del fascicolo (sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 272, EU:C:2011:815, punto 66).

276    Il controllo previsto dai Trattati implica dunque che il giudice dell’Unione eserciti un controllo tanto in diritto quanto in fatto e che esso disponga del potere di valutare le prove, di annullare la decisione impugnata e di modificare l’importo delle ammende. Non risulta quindi che il controllo di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE, completato dalla competenza estesa al merito per quanto riguarda l’importo dell’ammenda, prevista all’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, sia contrario ai dettami del principio della tutela giurisdizionale effettiva che figura all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (sentenza Chalkor/Commissione, cit. supra al punto 272, EU:C:2011:815, punto 67).

277    Da tale giurisprudenza deriva che, in mancanza di argomenti e di elementi di prova dedotti dalla ricorrente a sostegno del presunto motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, il Tribunale non è tenuto a esaminare d’ufficio, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, il rispetto di detto principio da parte della Commissione in fase di fissazione dell’importo dell’ammenda.

3.     Sulla domanda di audizione di testimoni

278    La ricorrente chiede al Tribunale di sentire in qualità di testimone la sig.ra M.R.S.S.N., responsabile della direzione della concorrenza della PT alla data di conclusione dell’accordo nonché alla data dell’accordo di abrogazione della clausola.

279    La Commissione fa valere che tale domanda deve essere respinta in quanto inutile e ridondante, dato che la dichiarazione giurata della sig.ra M.R.S.S.N. sui fatti di cui la stessa avrebbe avuto conoscenza figura già nel fascicolo.

280    Va ricordato che il Tribunale è l’unico giudice dell’eventuale necessità di integrare le informazioni di cui dispone sulle cause di cui è investito (v. ordinanza del 10 giugno 2010, Thomson Sales Europe/Commissione, C‑498/09 P, EU:C:2010:338, punto 138 e giurisprudenza ivi citata).

281    Come è già stato dichiarato dalla Corte nell’ambito di una causa relativa al diritto della concorrenza, anche se una domanda di audizione di testimoni, formulata nell’atto introduttivo del ricorso, indica con precisione i fatti sui quali occorre sentire il testimone o i testimoni e le motivazioni atte a giustificare la loro audizione, spetta al Tribunale valutare la pertinenza della domanda rispetto all’oggetto della controversia e alla necessità di procedere all’audizione dei testimoni citati (v. sentenza del 19 dicembre 2013, Siemens/Commissione, C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, EU:C:2013:866, punto 323 e giurisprudenza ivi citata).

282    La Corte ha inoltre precisato che tale potere discrezionale del Tribunale si conciliava con il diritto fondamentale a un processo equo e, in particolare, con l’articolo 6, paragrafo 3, lettera d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU). Risulta infatti dalla giurisprudenza della Corte che quest’ultima disposizione non riconosce all’imputato il diritto assoluto di ottenere la comparizione di testimoni dinanzi a un tribunale e che spetta, in via di principio, al giudice decidere in ordine alla necessità o all’opportunità di citare un testimone. L’articolo 6, paragrafo 3, della CEDU non impone la convocazione di qualsiasi testimone, ma prevede una totale parità di condizioni che garantiscono che il procedimento controverso, considerato nel suo insieme, abbia offerto all’imputato un’occasione adeguata e sufficiente per contestare i sospetti gravanti sullo stesso (v. sentenza Siemens/Commissione, cit. supra al punto 281, EU:C:2013:866, punti 324 e 325 e giurisprudenza ivi citata).

283    Al riguardo, il Tribunale ha già dichiarato che non si poteva accogliere la domanda di audizione di testimoni di un’impresa ricorrente quando le dichiarazioni che quest’ultima intendeva ottenere con siffatta testimonianza dinanzi al Tribunale erano già state formulate dinanzi alla Commissione, erano state considerate non suffragate da elementi di prova documentali e persino contraddette da alcuni elementi del fascicolo (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2011, ThyssenKrupp Liften Ascenseurs/Commissione, T‑144/07, da T‑147/07 a T‑150/07 e T‑154/07, Racc., EU:T:2011:364, punti 152 e 154).

284    Inoltre, va osservato che una domanda diretta a far sì che il Tribunale integri le informazioni di cui dispone è inoperante quando, anche se il Tribunale accogliesse siffatta domanda, il significato della sua decisione non verrebbe modificato (v., in tal senso, ordinanza Thomson Sales Europe/Commissione, cit. supra al punto 280, EU:C:2010:338, punto 141).

285    Qualora il Tribunale possa pronunciarsi utilmente in base a conclusioni, motivi e argomenti sviluppati nell’ambito della fase sia scritta che orale del procedimento e alla luce dei documenti prodotti, la domanda di audizione di un testimone, presentata dalla ricorrente, deve essere respinta, senza che il Tribunale sia tenuto a giustificare con una motivazione specifica la sua valutazione circa l’inutilità di ricercare elementi di prova supplementari (v., in tal senso, ordinanza del 15 settembre 2005, Marlines/Commissione, C‑112/04 P, EU:C:2005:554, punto 39, e sentenza del 9 settembre 2009, Clearstream/Commissione, T‑301/04, Racc., EU:T:2009:317, punto 218).

286    Tuttavia, se è vero che una parte non ha diritto di richiedere al giudice dell’Unione di adottare una misura di organizzazione del procedimento o un mezzo istruttorio, resta il fatto che il giudice non può trarre conseguenze dalla mancanza, nel fascicolo, di taluni elementi fino a quando non abbia esaurito i mezzi previsti dal regolamento di procedura dell’organo giurisdizionale al fine ottenerne la produzione ad opera della parte in causa (v. ordinanza dell’8 ottobre 2013, Michail/Commissione, T‑597/11 P, Racc. FP, EU:T:2013:542, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

287    Nella specie, dato che la dichiarazione della sig.ra M.R.S.S.N. sui fatti di cui la stessa sarebbe stata a conoscenza figura già nel fascicolo, la domanda di audizione di testimoni presentata dalla ricorrente non deve essere accolta.

288    Al riguardo, va ricordato, come già precisato supra al punto 283, che il Tribunale ha dichiarato di non poter accogliere la domanda di audizione di testimoni di un’impresa ricorrente quando le dichiarazioni che quest’ultima intenda ottenere con la testimonianza dinanzi al Tribunale siano già state formulate dinanzi alla Commissione, siano state considerate non suffragate da elementi di prova documentali e persino contraddette da alcuni elementi del fascicolo.

289    Nella specie, va ricordato che la Commissione ha precisato, come è già stato osservato supra ai punti da 149 a 150, che essa aveva preso in considerazione la dichiarazione di cui trattasi e l’aveva valutata conformemente ai principi applicabili in materia di valutazione della prova. La Commissione ha quindi tenuto conto del fatto che tale dichiarazione fosse stata resa da una persona che avrebbe potuto avere un interesse diretto nella causa (punto 122 della decisione impugnata) e ha compiuto una valutazione ponderata di tale elemento rispetto agli altri elementi di prova disponibili (punti 121, 124 e 308 della decisione impugnata). La Commissione non hai mai messo in dubbio il fatto che l’autore di tale dichiarazione si fosse effettivamente espresso come riportato in tale dichiarazione.

290    In tali circostanze, la domanda diretta ad ottenere che sia disposta l’audizione dinanzi al Tribunale dell’autore di detta dichiarazione deve essere respinta, in quanto gli elementi contenuti nel fascicolo sono sufficienti per consentire al Tribunale di pronunciarsi sulle audioconferenze dell’ottobre 2010 (v., in tal senso, sentenza ThyssenKrupp Liften Ascenseurs/Commissione, cit. supra al punto 283, EU:T:2011:364, punti 152 e 154; v. anche, in tal senso e per analogia, sentenza del 7 ottobre 2004, Mag Instrument/UAMI, C‑136/02 P, Racc., EU:C:2004:592, punto 77).

291    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’affermazione della ricorrente, secondo la quale, in forza del principio di prossimità o di immediatezza, l’audizione di testimoni da parte del Tribunale presenta un innegabile valore aggiunto rispetto al fatto di prendere in considerazione una dichiarazione riportata per iscritto. Infatti, dato che il contenuto della dichiarazione non è rimesso in discussione e che si tratta soltanto di comprendere tale elemento rispetto all’insieme delle prove, gli argomenti dedotti dalla ricorrente all’udienza non possono rimettere in discussione la constatazione secondo la quale è superflua l’audizione dell’autore della dichiarazione in questione dinanzi al Tribunale.

292    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che la domanda di audizione di testimoni deve essere respinta.

293    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che l’argomento della ricorrente relativo alle vendite prese in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda dev’essere parzialmente accolto in quanto, al fine di determinare il valore delle vendite della ricorrente da prendere in considerazione per il calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione era tenuta ad esaminare gli argomenti della ricorrente diretti a dimostrare una mancanza di concorrenza potenziale tra la Telefónica e la PT relativamente a taluni servizi. Pertanto, l’articolo 2 della decisione impugnata dev’essere annullato, unicamente per la parte in cui fissa l’importo dell’ammenda in base al valore delle vendite considerato dalla Commissione, mentre il ricorso dev’essere respinto quanto al resto.

 Sulle spese

294    A norma dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

295    Poiché il ricorso è stato solo parzialmente accolto, sarà fatta un’equa valutazione delle circostanze della causa decidendo che la ricorrente sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della Commissione. La Commissione sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’articolo 2 della decisione C (2013) 306 final della Commissione, del 23 gennaio 2013, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE (caso COMP/39.839 – Telefónica/Portugal Telecom), è annullato per la parte in cui fissa l’importo dell’ammenda inflitta alla Portugal Telecom SGPS, SA in EUR 12 290 000, atteso che tale importo è stato fissato in base al valore delle vendite assunto dalla Commissione europea.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Portugal Telecom SGPS sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della Commissione. La Commissione sopporterà tre quarti delle proprie spese e un quarto di quelle della Portugal Telecom SGPS.

Martins Ribeiro

Gervasoni

Madise

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 28 giugno 2016.

Firme


Indice


Fatti

A –  Presentazione della PT e della Telefónica

B –  Le negoziazioni e la firma dell’accordo

C –  Fatti avvenuti successivamente alla conclusione dell’accordo

D –  Procedimento dinanzi alla Commissione

Decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A –  Sulla ricevibilità

B –  Nel merito

1.  Sulle conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata

a)  Sul motivo vertente sulla violazione delle forme sostanziali

b)  Sul motivo vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE e del diritto relativo alla sua applicazione

Osservazioni preliminari

Sull’argomento vertente sul fatto che la clausola era collegata all’opzione d’acquisto o alle dimissioni dei membri del consiglio di amministrazione della PT nominati dalla Telefónica

Sull’argomento vertente sul fatto che la clausola conteneva un obbligo di autovalutazione

Sull’argomento vertente sulla violazione dell’articolo 101 TFUE a causa del mancato esame delle condizioni della concorrenza potenziale

Sull’argomento riguardante la mancanza di effetti

2.  Sulle conclusioni riguardanti l’importo dell’ammenda

a)  Osservazioni preliminari

Sui principi relativi al calcolo delle ammende

Decisione impugnata

b)  Sulle vendite prese in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda

Sulla motivazione

Nel merito

–  Sulle vendite corrispondenti ad attività che non possono essere soggette a concorrenza

–  Sulle vendite corrispondenti ad attività preesistenti

–  Sulle vendite corrispondenti ad attività realizzate al di fuori della penisola iberica

c)  Sulla durata dell’infrazione

d)  Sul rispetto del principio di proporzionalità

3.  Sulla domanda di audizione di testimoni

Sulle spese


* Lingua processuale: il portoghese.