Language of document : ECLI:EU:T:2013:460

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

16 settembre 2013 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercati belga, tedesco, francese, italiano, olandese e austriaco delle ceramiche sanitarie e rubinetteria – Decisione che constata un’infrazione dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE – Coordinamento di aumenti di prezzo e scambio di informazioni commerciali riservate – Nozione di infrazione – Comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole – Collaborazione – Orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 – Calcolo dell’importo dell’ammenda – Mancanza di capacità contributiva»

Nella causa T‑368/10,

Rubinetteria Cisal SpA, con sede in Alzo Frazione di Pella (Italia), rappresentata da M. Pinnarò e P. Santer, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da F. Castillo de la Torre, A. Antoniadis e L. Malferrari, in qualità di agenti, assistiti da A. Dal Ferro, avvocato,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda diretta, in via principale, all’annullamento della decisione C (2010) 4185 def. della Commissione, del 23 giugno 2010, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39092 – Ceramiche sanitarie e rubinetteria), per la parte concernente la ricorrente, e, in subordine, alla riduzione dell’ammenda inflitta alla medesima,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da I. Pelikánová, presidente, K. Jürimäe (relatore) e M. van der Woude, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 ottobre 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Con la decisione C (2010) 4185 def., del 23 giugno 2010, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39092 – Ceramiche sanitarie e rubinetteria; in prosieguo: la «decisione controversa»), la Commissione europea ha constatato l’esistenza di un’infrazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria. Quest’infrazione, alla quale avrebbero partecipato 17 imprese, sarebbe stata realizzata nel corso di diversi periodi compresi tra il 16 ottobre 1992 e il 9 novembre 2004 e avrebbe assunto la forma di un insieme di accordi anticoncorrenziali o di pratiche concordate in Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e Austria (punti 2 e 3 e articolo 1 della decisione controversa).

2        In particolare, nella decisione controversa la Commissione ha esposto che l’infrazione accertata consisteva, in primo luogo, nel coordinamento, da parte dei suddetti produttori di ceramiche sanitarie e rubinetteria, degli aumenti annuali dei prezzi e di altri elementi di determinazione dei medesimi, nell’ambito di regolari riunioni in seno ad associazioni nazionali di settore, in secondo luogo, nella fissazione o nel coordinamento dei prezzi in occasione di eventi specifici, quali l’aumento del costo delle materie prime, l’istituzione dell’euro nonché l’introduzione di pedaggi autostradali e, in terzo luogo, nella divulgazione e nello scambio di informazioni commerciali riservate. Inoltre, la Commissione ha constatato che la fissazione dei prezzi nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria seguiva un ciclo annuale. In quest’ambito, i produttori stabilivano i loro listini prezzi, che solitamente rimanevano validi per un anno e costituivano la base per i rapporti commerciali con i grossisti (punti da 152 a 163 della decisione controversa).

3        I prodotti oggetto della decisione controversa sono ceramiche sanitarie e rubinetteria facenti parte di uno dei tre seguenti sottogruppi di prodotti: articoli di rubinetteria, box doccia e accessori nonché articoli sanitari in ceramica (in prosieguo: i «tre sottogruppi di prodotti») (punti 5 e 6 della decisione controversa).

4        La Rubinetteria Cisal SpA, ricorrente, è un’impresa italiana che produce esclusivamente articoli di rubinetteria (punto 68 della decisione controversa).

5        Il 26 marzo 2007 la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti, che è stata notificata alla ricorrente (punto 139 della decisione controversa).

6        Dal 12 al 14 novembre 2007 si è tenuta un’audizione orale, cui ha partecipato la ricorrente (punto 143 della decisione controversa).

7        Il 9 luglio 2009 la Commissione ha inviato a talune società, compresa la ricorrente, una lettera di esposizione dei fatti, richiamando la loro attenzione su talune prove specifiche sulle quali la Commissione pensava di fare affidamento in sede di adozione di una decisione definitiva (punti 147 e 148 della decisione controversa).

8        Tra il 19 giugno 2009 e l’8 marzo 2010, la Commissione ha inviato alcune richieste di informazioni supplementari, ai sensi dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), a varie società, compresa la ricorrente (punti da 149 a 151 della decisione controversa).

9        Il 23 giugno 2010 la Commissione ha adottato la decisione controversa.

10      Nella decisione controversa la Commissione ha ritenuto che le pratiche descritte nel precedente punto 2 facessero parte di un piano generale finalizzato a limitare la concorrenza tra i destinatari di detta decisione e presentassero le caratteristiche di una violazione unica e continuata, la cui portata interessava i tre sottogruppi di prodotti e si estendeva ai territori di Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e Austria (punti 778 e 793 della decisione controversa; in prosieguo: l’«infrazione accertata»). A questo riguardo, essa ha evidenziato segnatamente che dette pratiche avevano seguito un modello ricorrente, che risultava uniforme in tutti i sei Stati membri interessati dalle indagini della Commissione (punti 778 e 793 della decisione controversa). Essa ha parimenti rilevato l’esistenza di associazioni nazionali di settore riguardanti l’insieme dei tre sottogruppi di prodotti, che ha denominato «associazioni generiche», di associazioni nazionali di categoria comprendenti membri la cui attività riguardava almeno due di questi tre sottogruppi di prodotti, che ha denominato «associazioni interprodotto», nonché di associazioni specializzate comprendenti membri la cui attività riguardava uno di questi tre sottogruppi di prodotti (punti 796 e 798 della decisione controversa). Infine, essa ha constatato la presenza in vari Stati membri di un gruppo centrale di imprese coinvolte nel cartello nell’ambito tanto di associazioni generiche, quanto di associazioni interprodotto (punti 796 e 797 della decisione controversa).

11      Per quanto concerne le indicazioni ricavabili dalle pratiche anticoncorrenziali che si sarebbero svolte, in particolare, in Italia, queste ultime sarebbero state attuate nell’ambito di due gruppi informali. In primo luogo, alcune imprese, tra cui la ricorrente, si sarebbero riunite in seno a Euroitalia due o tre volte l’anno tra il luglio 1992 e l’ottobre 2004. Nell’ambito di questo gruppo, che si era formato quando i produttori tedeschi erano penetrati nel mercato italiano, gli scambi di informazioni avrebbero avuto ad oggetto non solo gli articoli di rubinetteria, ma anche le ceramiche sanitarie. In secondo luogo, alcune riunioni si sarebbero svolte in seno al gruppo Michelangelo (dal nome dell’albergo dove si tenevano le riunioni), alle quali la ricorrente non avrebbe partecipato, tra la fine del 1995 o l’inizio del 1996 e il 25 luglio 2003. Durante tali riunioni, le discussioni avrebbero avuto ad oggetto un’ampia gamma di prodotti sanitari, in particolare la rubinetteria e gli articoli in ceramica (punti da 97 a 100 della decisione controversa)

12      Per quanto concerne la partecipazione della ricorrente alle riunioni di Euroitalia, da un lato, la Commissione rileva che quest’ultima non nega di aver partecipato a dette riunioni dal 1993 al 2004. Dall’altro, essa ritiene che gli argomenti dedotti dalla ricorrente diretti a dimostrare, segnatamente, il suo ruolo marginale nell’intesa o la negligenza della sua direzione non rimettano in discussione il fatto che essa ha partecipato attivamente a detta intesa (v. punti 475 e 476 della decisione controversa).

13      Quanto alla determinazione dell’eventuale partecipazione delle imprese in questione all’infrazione accertata, la Commissione rileva che non vi sono prove sufficienti che consentano di concludere che la ricorrente nonché altre imprese italiane che avevano partecipato alle riunioni di Euroitalia e di Michelangelo fossero al corrente di un piano generale (punti da 851 a 879 della decisione controversa).

14      Peraltro, per il calcolo dell’importo delle ammende da essa imposte alle imprese destinatarie della decisione controversa, la Commissione si è basata sugli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006») (punti da 1174 a 1399 della decisione controversa).

15      Nell’articolo 1, paragrafo 5, punto 14, della decisione controversa, la Commissione constata che la ricorrente ha violato l’articolo 101 TFUE partecipando a un accordo o a una pratica concordata in forma continuata nel territorio italiano, nel periodo compreso tra il 15 marzo 1993 e il 9 novembre 2004.

16      Nell’articolo 2, paragrafo 13, della decisione controversa la Commissione impone alla ricorrente un’ammenda pari a EUR 1 196 269.

 Procedimento e conclusioni delle parti

17      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale in data 3 settembre 2010, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

18      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di passare alla fase orale.

19      Le parti hanno esposto le loro difese e hanno risposto ai quesiti orali posti dal Tribunale durante l’udienza del 16 ottobre 2012.

20      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare la decisione controversa nella parte in cui la Commissione la sanziona, nell’articolo 1, paragrafo 5, punto 14, di detta decisione, e le infligge un’ammenda, nell’articolo 2, punto 13, della medesima decisione;

–        in subordine, nel caso in cui il Tribunale non annulli l’ammenda che le è stata inflitta, ridurne l’importo a un livello più appropriato;

–        condannare la Commissione alle spese.

21      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

22      In via preliminare occorre ricordare che il sindacato giurisdizionale esercitato dal giudice dell’Unione europea, per quanto concerne le decisioni che infliggono sanzioni adottate dalla Commissione per sanzionare le violazioni del diritto della concorrenza, si basa sul controllo di legittimità, previsto dall’articolo 263 TFUE, che è integrato, quando detto giudice è investito di una domanda in tal senso, da una competenza estesa anche al merito, riconosciuta a quest’ultimo in forza dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE (v., in tal senso, sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 53, 63 e 64). Detta competenza autorizza il giudice, oltre al mero controllo sulla legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, eventualmente, a sopprimere, ridurre o aumentare l’importo dell’ammenda o la penalità inflitta (v. sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, KME e a./Commissione, C‑272/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 103 e giurisprudenza ivi citata; v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, Racc. pag. II‑6681, punto 265).

23      Alla luce della giurisprudenza ricordata nel punto precedente, occorre esaminare, in un primo tempo, la domanda formulata in via principale dalla ricorrente, diretta a ottenere l’annullamento degli articoli 1 e 2 della decisione controversa limitatamente a quanto la concerne e, in un secondo tempo, quella formulata in subordine, diretta sostanzialmente a che il Tribunale eserciti la sua competenza estesa anche al merito per riformare, riducendola, l’ammenda che la Commissione le ha inflitto.

 Sulla domanda, formulata in via principale, diretta all’annullamento parziale della decisione controversa

24      A sostegno del suo ricorso la ricorrente invoca sei motivi. Il primo motivo è relativo alla mancata violazione degli articoli 101 TFUE e 53 dell’accordo SEE, tenuto conto della natura delle informazioni scambiate. Il secondo motivo è relativo a una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento, nonché a un vizio di motivazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda. Il terzo motivo riguarda una violazione delle norme applicabili in materia di determinazione dell’importo dell’ammenda. Il quarto motivo è relativo ad errori concernenti la base di calcolo utilizzata dalla Commissione per determinare l’importo dell’ammenda. Il quinto motivo è relativo ad errori derivanti dalla mancata presa in considerazione di circostanze attenuanti. Il sesto motivo riguarda errori nella valutazione della capacità contributiva della ricorrente.

 Sul primo motivo, relativo alla mancata violazione degli articoli 101 TFUE e 53 dell’accordo SEE, tenuto conto della natura delle informazioni scambiate

25      La ricorrente sostiene che la Commissione ha avuto torto nel concludere che essa aveva violato gli articoli 101 TFUE e 53 dell’accordo SEE, tenuto conto della natura delle informazioni scambiate in seno a Euroitalia. A questo proposito, formula quattro censure principali.

26      Sotto il primo profilo, la ricorrente osserva che i comportamenti anticoncorrenziali tenuti in Italia sono completamente diversi da quelli tenuti in Germania e in Austria in considerazione, segnatamente, della volontà delle imprese di partecipare a un’intesa e dei vantaggi che esse ne avrebbero tratto. Alla luce di ciò, la Commissione avrebbe avuto torto nel concludere nel senso dell’esistenza di un’infrazione unica, continuata e complessa.

27      Da una parte, occorre rilevare che nella decisione controversa la Commissione ha esaminato i comportamenti delle imprese in questione su ciascun territorio dei sei Stati membri dell’Unione europea in cui essa ha rilevato l’esecuzione di pratiche anticoncorrenziali. Per l’esattezza, per quanto concerne, in particolare, le pratiche anticoncorrenziali che si sarebbero svolte sul territorio italiano, nei punti 401 e 878 della decisione controversa la Commissione rileva che le riunioni di Euroitalia traggono origine dalla volontà delle imprese tedesche di estendere il modello di cooperazione esistente in Germania all’Italia, circostanza che, del resto, la ricorrente non nega. Nei citati punti, la Commissione constata parimenti che le pratiche anticoncorrenziali poste in esecuzione in Italia sono distinte da quelle poste in esecuzione in Germania e in Austria.

28      Dall’altra, è giocoforza rilevare che, sebbene la Commissione abbia concluso, nel punto 796 della decisione controversa, nel senso dell’esistenza di un’infrazione unica, continuata e complessa, nei punti 878 e 879 della decisione controversa essa ha parimenti constatato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, quest’ultima non poteva, al pari delle altre imprese italiane che avevano partecipato a pratiche concorrenziali riguardanti solo l’Italia, essere considerata responsabile di un’infrazione unica estesa a sei Stati membri.

29      Alla luce delle constatazioni effettuate nei precedenti punti 27 e 28, occorre constatare che la prima censura della ricorrente si basa su una lettura errata della decisione controversa. Di conseguenza, dev’essere respinta in quanto infondata.

30      Sotto un secondo profilo, la ricorrente afferma sostanzialmente di essersi limitata a scambiare con i suoi concorrenti informazioni commerciali non sensibili e non riservate.

31      Secondo la giurisprudenza, perché sussista un accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è sufficiente che le imprese interessate abbiano espresso la comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo (sentenze del Tribunale del 17 dicembre 1991, Hercules Chemicals/Commissione, T‑7/89, Racc. pag. II‑1711, punto 256, e del 20 marzo 2002, HFB e a./Commissione, T‑9/99, Racc. pag. II‑1487, punto 199).

32      La nozione di pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento tra imprese che, senza spingersi fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce scientemente una cooperazione pratica tra di loro ai rischi della concorrenza (sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, Racc. pag. I‑4125, punto 115, e Hüls/Commissione, C‑199/92 P, Racc. pag. I‑4287, punto 158).

33      Al riguardo, l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE osta a che fra gli operatori economici abbiano luogo contatti diretti o indiretti di qualsiasi genere che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente, attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato quando tali contatti abbiano per oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, punto 32 supra, punti 116 e 117).

34      Uno scambio di informazioni è contrario alle norme dell’Unione in materia di concorrenza qualora riduca o annulli il grado di incertezza in ordine al funzionamento del mercato di cui trattasi, con conseguente restrizione della concorrenza tra le imprese (v., in tal senso, sentenza della Corte del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, Racc. pag. I‑10821, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).

35      Infatti, la divulgazione di informazioni riservate elimina l’incertezza relativa al futuro comportamento di un concorrente e, in tal modo, influenza, direttamente o indirettamente, la strategia del destinatario delle informazioni (v., in questo senso, sentenza della Corte del 23 novembre 2006, Asnef-Equifax e Administración del Estado, C‑238/05, Racc. pag. I‑11125, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). Ogni operatore economico deve pertanto determinare autonomamente la politica che intende seguire in seno al mercato interno e le condizioni che intende applicare alla propria clientela (v. sentenza Thyssen Stahl/Commissione, punto 34 supra, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).

36      Detto obbligo di autonomia, pur non escludendo di certo il diritto degli operatori economici di adattarsi intelligentemente al comportamento che i loro concorrenti tengono o presumibilmente terranno, vieta però rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato di cui trattasi, tenuto conto della natura della merce o delle prestazioni fornite, dell’importanza e del numero delle imprese, nonché del volume di detto mercato (v. sentenza Thyssen Stahl/Commissione, punto 34 supra, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

37      Peraltro, il fatto di non rispettare un’intesa è irrilevante riguardo all’esistenza stessa di quest’ultima. I partecipanti a un’intesa, infatti, rimangono concorrenti e ognuno di essi può essere tentato, in ogni momento, di approfittare della disciplina degli altri in materia di prezzi fissati in base ad un cartello per abbassare i propri prezzi onde aumentare la sua quota di mercato, pur mantenendo un livello generale di prezzi relativamente elevato. In ogni caso, la circostanza che un’impresa non abbia interamente applicato i prezzi convenuti non implica che, così facendo, essa abbia applicato prezzi che avrebbe potuto fatturare in assenza dell’intesa (v., in questo senso, sentenza del Tribunale 8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata nella Raccolta, punti 335 e 336).

38      Nel caso di specie, da una parte, occorre rilevare che la ricorrente non nega di aver partecipato alle 31 riunioni di Euroitalia, elencate nell’allegato 6 alla decisione controversa. Dall’altro, anche se essa sostiene che le informazioni commerciali comunicate in occasione di tali riunioni non erano né riservate né sensibili ‒ segnatamente in quanto essa avrebbe stabilito autonomamente i futuri aumenti di prezzo in questione, detti aumenti sarebbero stati annunciati ai clienti prima della loro comunicazione in seno a Euroitalia e inoltre questi futuri aumenti non sarebbero stati necessariamente rispettati ‒ ciò nondimeno essa non nega che i membri di Euroitalia si erano reciprocamente comunicati i loro futuri aumenti di prezzo almeno nel periodo compreso tra il 15 marzo 1993 e il 9 novembre 2004.

39      Alla luce di ciò, occorre constatare che la ricorrente non dimostra che la Commissione sia incorsa in un errore ritenendo che gli scambi di informazioni in materia di aumenti di prezzo tra concorrenti avvenuti in occasione delle riunioni di Euroitalia costituissero una violazione degli articoli 101 TFUE e 53 dell’accordo SEE.

40      I sette argomenti dedotti dalla ricorrente a questo riguardo non inficiano la constatazione effettuata nel punto precedente.

41      In primo luogo, la ricorrente sostiene di aver sempre cercato di mantenersi sul mercato senza aumentare i propri prezzi, come si evincerebbe dai punti 424, 427, 431 e 436 della decisione controversa.

42      A questo proposito occorre certamente dare atto del fatto che, nella decisione controversa, la Commissione ha rilevato che, durante le riunioni di Euroitalia svoltesi nei giorni 27 maggio 1997 (punto 424 della decisione controversa), 26 gennaio 1998 (punto 427 della decisione controversa), 16 ottobre 1998 (punto 431 di detta decisione) e 15 ottobre 1999 (punto 436 della medesima decisione), la ricorrente aveva espressamente dichiarato che non avrebbe aumentato i suoi prezzi futuri. Tuttavia, è giocoforza rilevare anche che la ricorrente non nega gli accertamenti effettuati dalla Commissione, contenuti nei citati punti della decisione controversa, secondo i quali, durante queste quattro riunioni, gli altri membri di Euroitalia hanno annunciato i loro futuri aumenti di prezzo. Alla luce di ciò, benché la ricorrente abbia annunciato che non avrebbe aumentato i suoi prezzi futuri, la mera circostanza di venire a conoscenza delle intenzioni degli altri membri di Euroitalia di aumentare i loro prezzi era tale da influenzare il suo comportamento sul mercato nonché quello dei suoi concorrenti e, pertanto, di alterare il normale svolgimento della concorrenza.

43      Pertanto, il primo argomento della ricorrente dev’essere respinto in quanto infondato.

44      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che le informazioni da essa comunicate durante le riunioni di Euroitalia erano già note ai suoi clienti e, di conseguenza, al mercato. A questo proposito, da un lato, essa osserva che tale circostanza si ricava chiaramente dai punti 412, 413, 415, 419, 438, 444, 451 e 459 della decisione controversa. Dall’altro, la Commissione si sarebbe fondata a torto sull’accertamento contenuto nel punto 415 della decisione controversa per concludere, nel punto 916 di quest’ultima, che la ricorrente annunciava le sue previsioni di prezzo in seno a Euroitalia prima che detti prezzi fossero comunicati ai suoi clienti.

45      Anzitutto, per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo il quale, in seno a Euroitalia, i concorrenti si scambiavano i loro futuri aumenti di prezzo da loro previamente comunicati ai rispettivi clienti, e pertanto detti aumenti erano noti al mercato, da un lato, occorre constatare che la ricorrente si limita a fare rinvio, a sostegno delle sue affermazioni, a 8 delle 31 riunioni di Euroitalia. Ebbene, anche qualora si dovesse ritenere che nessuna violazione sia stata commessa in occasione di queste 8 riunioni, una siffatta considerazione non inficerebbe gli accertamenti in base ai quali durante altre riunioni di Euroitalia, cui la ricorrente aveva partecipato, erano avvenuti scambi illeciti di informazioni. Dall’altro, e ad ogni modo, come la Commissione fa giustamente osservare nei punti 917 e 918 della decisione controversa, senza, del resto, nessuna opposizione da parte della ricorrente, dalla giurisprudenza ricordata nel precedente punto 36 si evince che è vietata la semplice presa di contatto, diretta o indiretta, tra concorrenti, che abbia un oggetto o un effetto tali da influire sul comportamento di uno o più di loro. Alla luce di ciò, la circostanza che la ricorrente abbia divulgato i propri prezzi ai suoi concorrenti solo dopo averli divulgati ai propri clienti resta priva di qualsiasi incidenza in merito all’accertamento della sua partecipazione all’infrazione in questione.

46      La ricorrente sostiene poi che la Commissione, nel constatare, al punto 916 della decisione controversa, che essa, in seno a Euroitalia, annunciava i propri futuri aumenti di prezzo prima di comunicarli ai suoi clienti, ha effettuato erroneamente un rinvio al punto 415 della decisione controversa. A questo proposito occorre rilevare che, sebbene da detto punto si ricavi che la ricorrente, in occasione della riunione del 22 marzo 1994, ha annunciato di aver aumentato i propri prezzi del 6% a partire dal gennaio 1994, essa non nega che altri membri dell’intesa, quali la Mamoli Robinetteria SpA e la Rubinetterie Teorema SpA, hanno annunciato, per parte loro, i rispettivi aumenti di prezzo per i successivi mesi di giugno e aprile, come si ricava parimenti da detto punto. Alla luce di ciò, anche qualora la ricorrente avesse effettivamente aumentato i propri prezzi prima della riunione di Euroitalia del 22 marzo 1994, ciò non rimetterebbe in discussione l’accertamento secondo il quale, in occasione di questa riunione cui essa non nega di aver partecipato, altri membri di Euroitalia avevano annunciato i loro futuri aumenti di prezzo. Pertanto, la Commissione non è incorsa in nessun errore di valutazione riguardo alla partecipazione della ricorrente a discussioni anticoncorrenziali in occasione di tale riunione.

47      Alla luce di ciò, il secondo argomento della ricorrente dev’essere respinto in quanto infondato.

48      In terzo luogo, la ricorrente sostiene di non aver mai partecipato a una riunione di Euroitalia durante la quale gli scambi di informazioni siano sfociati nella determinazione di prezzi, come si ricaverebbe dai punti 434, 438 e 440 della decisione controversa. Peraltro, essa non avrebbe mai partecipato a discussioni bilaterali aventi un oggetto anticoncorrenziale.

49      A questo proposito occorre rilevare che la Commissione non dichiara assolutamente, nella decisione controversa, che la ricorrente abbia partecipato a riunioni che hanno portato alla determinazione di prezzi o che abbia partecipato a discussioni bilaterali aventi un oggetto anticoncorrenziale. Infatti, da un lato, come si ricava segnatamente dal punto 403 di detta decisione, la Commissione ha constatato che le discussioni in seno a Euroitalia riguardavano «il coordinamento dei futuri aumenti dei prezzi (in rapporto agli anni/cicli di prezzo successivi) e altre informazioni sensibili sui prezzi (per esempio sconti/riduzioni offerte ai clienti, prezzi minimi per prodotti specifici)». Dall’altro, come discende dalla giurisprudenza citata nei precedenti punti da 33 a 36, scambi siffatti costituiscono una violazione dell’articolo 101 TFUE, anche qualora i concorrenti non si siano messi d’accordo sull’importo esatto degli aumenti futuri di prezzo che essi intendevano applicare.

50      Ciò premesso, il terzo argomento della ricorrente dev’essere respinto in quanto infondato.

51      In quarto luogo, la ricorrente sostiene di non aver mai partecipato a discussioni dirette al controllo dell’applicazione degli aumenti di prezzo previamente discussi da essa e dai suoi concorrenti, come si evincerebbe dai punti 452 e 453 della decisione controversa.

52      In detti punti la Commissione constata sostanzialmente che, in occasione delle riunioni di Euroitalia del 14 febbraio e del 17 e 18 giugno 2003, i partecipanti hanno discusso dell’applicazione dei precedenti aumenti di prezzo nonché dei futuri aumenti di prezzo.

53      A questo proposito, da un lato, basti rilevare che, come si ricava dall’allegato 6 alla decisione controversa, la ricorrente non ha partecipato alle due riunioni ricordate nel punto precedente. Alla luce di ciò, essa non può validamente richiamare i punti 452 e 453 della decisione controversa per dimostrare di non aver partecipato alle discussioni, in seno a Euroitalia, miranti a verificare l’applicazione di precedenti aumenti di prezzo, dato che la Commissione non ha tenuto in considerazione dette riunioni per corroborare le sue conclusioni. Dall’altro, e viceversa, è giocoforza constatare, segnatamente, che la ricorrente non critica la dichiarazione della Commissione, contenuta nel punto 459 della decisione controversa, secondo la quale nella riunione di Euroitalia del 3 e 4 giugno 2004, cui essa ha partecipato, si sono tenute discussioni concernenti l’applicazione degli aumenti di prezzo di cui i concorrenti avevano discusso in occasione di precedenti riunioni. Pertanto, la Commissione non è incorsa in errore a tale riguardo.

54      Pertanto, il quarto argomento della ricorrente dev’essere respinto in quanto infondato.

55      In quinto luogo, la ricorrente sostiene che i membri di Euroitalia non avevano dato necessariamente esecuzione agli aumenti di prezzo di cui discutevano, come si evincerebbe dai punti 421 e 422 della decisione controversa.

56      Nel punto 421 della decisione controversa la Commissione rileva che, in occasione della riunione del 14 ottobre 1996, la ricorrente e le società Rubinetterie Teorema, RAF Rubinetteria SpA e Hansa Metallwerke AG hanno comunicato la loro intenzione di non aumentare i rispettivi prezzi per il 1997. Nel punto 422 di detta decisione la Commissione rileva che, mentre alcune fra le imprese in questione si sono adeguate alla decisione da loro adottata l’anno precedente, altre, al pari segnatamente della ricorrente, hanno annunciato la loro decisione di aumentare i propri prezzi.

57      Ebbene, occorre constatare che, conformemente alla giurisprudenza citata nel precedente punto 37, la circostanza che alcune imprese, come la ricorrente, non abbiano rispettato la loro decisione iniziale di non procedere a futuri aumenti di prezzo, malgrado quanto da esse annunciato in occasione di precedenti riunioni di Euroitalia, anche qualora risultasse comprovata, non modifica l’accertamento in base al quale lo scambio di informazioni commerciali riservate tra i concorrenti in questione costituiva un’intesa ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

58      Pertanto, il quinto argomento della ricorrente dev’essere respinto in quanto infondato.

59      In sesto luogo, la ricorrente ritiene che la decisione controversa contenga contraddizioni e sia insufficientemente motivata. A questo proposito, essa rileva che la Commissione, nel punto 446 della decisione controversa, ritiene che dai documenti da essa sequestrati in occasione delle ispezioni effettuate durante le sue indagini si ricavi che i partecipanti alle riunioni di Euroitalia avevano previsto di aumentare i loro prezzi. Ciò sarebbe in contraddizione con l’accertamento contenuto nella nota in calce n. 556 di detta decisione, secondo la quale tali documenti sono illeggibili e non recano date precise.

60      Ebbene, anche se nella nota in calce n. 556 della decisione controversa la Commissione riconosce che le prove da essa raccolte in occasione dell’ispezione condotta presso la Zucchetti Rubinetteria SpA non sono sempre leggibili e non recano date precise, essa tuttavia ritiene che il confronto tra le informazioni ricavabili da detti documenti e quelle rinvenibili nei documenti raccolti in occasione delle ispezioni effettuate presso le società Grohe SpA e Hansgrohe SR, che essa indica nella decisione controversa, consenta di confermare che le discussioni in materia di aumenti di prezzo, da essa descritte nel punto 446 della decisione controversa, si sono davvero svolte il 28 settembre 2001.

61      Da un lato, è giocoforza constatare che la decisione controversa non è viziata da insufficienza di motivazione, dato che consente alla ricorrente di conoscere i motivi per i quali la Commissione ha ritenuto che il 28 settembre 2001 si fossero svolte discussioni illecite. Dall’altro, la ricorrente non produce né argomenti né prove che dimostrino che detta istituzione avesse commesso un errore di valutazione constatando, in base al complesso dei documenti a sua disposizione, che durante detta riunione si era discusso di futuri aumenti di prezzo.

62      Alla luce di ciò, il sesto argomento della ricorrente, in quanto diretto a denunciare una violazione dell’obbligo di motivazione e un errore di valutazione, dev’essere respinto in quanto infondato.

63      In settimo luogo, la ricorrente sostiene che le obiezioni da essa formulate durante il procedimento amministrativo non hanno ricevuto nessuna risposta nella decisione controversa.

64      Occorre ricordare a questo proposito che, nei punti 475 e 476 della decisione controversa, la Commissione illustra le osservazioni formulate dalla ricorrente in risposta alla comunicazione degli addebiti e alla lettera di esposizione dei fatti ad essa notificate. In sostanza, da un lato, la Commissione constata in tale occasione che la ricorrente riconosce di aver partecipato alle riunioni di Euroitalia dal 1993 al 2004, durante le quali i membri si comunicavano i futuri aumenti di prezzo. Dall’altro, essa rileva che le osservazioni formulate dalla ricorrente, concernenti segnatamente il suo ruolo marginale nell’intesa, la condotta negligente della sua direzione, il carattere distintivo del suo portafoglio di prodotti di lusso e la mancanza di effetti anticoncorrenziali, tenuto conto del livello di concorrenza sul mercato e delle trattative condotte con i grossisti, nonché il fatto che l’intesa in questione avrebbe riguardato solo i suoi listini di prezzi standard, sono esaminate nella seconda parte della decisione controversa, riguardante la valutazione giuridica dei fatti. Nel punto 476 di detta decisione la Commissione aggiunge che la ricorrente «ha comunque partecipato attivamente a tutte le discussioni rilevanti sui prezzi in occasione delle riunioni dell’Euroitalia, in modo sistematico e sostenuto per un periodo di tempo prolungato», e che «il carattere relativamente meno formale delle riunioni tenutesi presso Euroitalia non rende il coordinamento dei prezzi in Italia in alcun modo meno grave o meno rilevante dal punto di vista concorrenziale».

65      Alla luce degli accertamenti effettuati nel punto precedente, da un lato, occorre rilevare che la ricorrente non rimette in discussione il richiamo effettuato dalla Commissione, nei punti 475 e 476 della decisione controversa, alle osservazioni da essa presentate durante il procedimento amministrativo. Dall’altro, occorre constatare che queste osservazioni mirano tutte a minimizzare la gravità dell’infrazione in questione e, pertanto, il livello dell’ammenda che poteva esserle inflitta. Viceversa, come giustamente rilevato dalla Commissione nel punto 476 della decisione controversa, le osservazioni della ricorrente non sono tali da rimettere in discussione l’accertamento dell’esistenza stessa dell’infrazione. Peraltro, e ad ogni modo, occorre rilevare che la Commissione ha risposto alle osservazioni della ricorrente, ricordate nel precedente punto 64, in occasione dell’esame delle circostanze attenuanti, nei punti da 1228 a 1260 della decisione controversa.

66      Di conseguenza, il settimo argomento della ricorrente dev’essere respinto in quanto infondato.

67      Alla luce di ciò, i sette argomenti dedotti dalla ricorrente e, pertanto, la seconda censura nella sua integralità devono essere respinti.

68      Sotto un terzo profilo, da una parte, la ricorrente sostiene che la Commissione ha omesso di verificare se fosse soddisfatta nel caso di specie una condizione indispensabile al fine dell’accertamento di una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ossia se il commercio tra Stati membri fosse stato danneggiato in modo significativo. Dall’altra, la ricorrente sostiene che, sebbene essa riconosca di avere scambiato informazioni con gli altri partecipanti alle riunioni di Euroitalia, la condizione relativa all’esistenza di una collaborazione concertata e consapevole mirante a limitare la concorrenza non sarebbe viceversa soddisfatta nel caso di specie, posto che dette riunioni avevano avuto carattere informale.

69      Anzitutto, per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione non avrebbe dimostrato che il commercio tra Stati membri sia stato danneggiato in modo significativo, da un lato, occorre constatare che la ricorrente non deduce nessun argomento diretto a rimettere in discussione l’analisi della Commissione, contenuta nei punti da 981 a 986 della decisione controversa, relativa agli effetti sul commercio tra Stati membri nel caso di specie. Ebbene, nei detti punti la Commissione ha ricordato che una violazione dell’articolo 101 TFUE implicava che il commercio tra Stati membri fosse stato leso ed ha esposto i motivi per i quali essa ha ritenuto che ciò fosse avvenuto nel caso di specie, segnatamente a causa del fatto che il settore delle ceramiche sanitarie, compresi gli articoli di rubinetteria prodotti dalla ricorrente, era contrassegnato da un rilevante volume di scambi tra gli Stati membri.

70      Dall’altro, dalla giurisprudenza si evince che la Commissione non ha l’obbligo di dimostrare che la partecipazione della ricorrente a un accordo e a una pratica concordata abbia avuto un effetto rilevante sugli scambi tra Stati membri, dal momento che le pratiche in questione sono in grado di dirottare gli scambi commerciali dall’orientamento che essi avrebbero altrimenti seguito (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 10 marzo 1992, ICI/Commissione, T‑13/89, Racc. pag. II‑1021, punto 304 e giurisprudenza ivi citata).

71      Alla luce di ciò, il primo argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe omesso di dimostrare l’esistenza di un danno significativo per il commercio tra Stati membri dev’essere respinto in quanto infondato.

72      Dev’essere poi respinto in quanto infondato l’argomento della ricorrente secondo il quale essa, pur riconoscendo di avere scambiato informazioni con i suoi concorrenti in seno a Euroitalia, non avrebbe commesso nessuna violazione dell’articolo 101 TFUE in quanto la Commissione non avrebbe dimostrato l’esistenza di una collaborazione concertata e consapevole mirante alla determinazione dei prezzi. Infatti, come si evince dalla giurisprudenza illustrata nei precedenti punti da 33 a 36, la circostanza che i membri di Euroitalia si siano scambiati informazioni riguardanti i loro futuri aumenti di prezzo costituisce una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, anche qualora essi non si siano messi d’accordo sull’importo di detti aumenti. Ciò deriva dal fatto che la divulgazione sistematica di informazioni commerciali riservate elimina l’incertezza relativa ai comportamenti futuri dei concorrenti sul mercato e in tal modo influenza, direttamente o indirettamente, la strategia dei destinatari di dette informazioni.

73      Alla luce di ciò, occorre respingere il secondo argomento della ricorrente e, di conseguenza, la sua terza censura in quanto infondati.

74      Sotto un quarto profilo, la ricorrente afferma che la Commissione non ha sufficientemente tenuto conto, nella determinazione dell’importo dell’ammenda, del fatto che le conseguenze della sua partecipazione alle riunioni di Euroitalia erano state limitate e non avevano prodotto nessun effetto anticoncorrenziale.

75      Da una parte, quest’argomento dev’essere considerato ininfluente, dal momento che non contribuisce a suffragare il primo motivo. Infatti, se e in quanto la ricorrente sostiene a tale riguardo che la Commissione non ha sufficientemente tenuto conto, nel calcolo dell’importo dell’ammenda, del fatto che l’intesa in seno a Euroitalia non aveva prodotto effetti sulla concorrenza, tale circostanza non consente di dimostrare che la Commissione abbia violato gli articoli 101 TFUE e 53 dell’accordo SEE concludendo nel senso dell’esistenza di un’intesa, argomento che la ricorrente formula a titolo di primo motivo (v. il precedente punto 25). Dall’altra, e ad ogni modo, è giocoforza constatare che la ricorrente si limita ad affermare che l’intesa in questione è rimasta priva di conseguenze sulla concorrenza, senza tuttavia produrre né argomenti né prove che rimettano in discussione l’analisi della Commissione, illustrata nei punti da 914 a 941 della decisione controversa, secondo la quale le pratiche in questione avrebbero provocato una restrizione della concorrenza.

76      Alla luce di ciò, la quarta censura dev’essere respinta in quanto parzialmente ininfluente e parzialmente infondata. Di conseguenza, il primo motivo dev’essere integralmente respinto.

 Sul secondo motivo, relativo a una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento nonché a un vizio di motivazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda

77      La ricorrente asserisce che, imponendole un’ammenda di importo equivalente al 10% del suo fatturato, la Commissione, da una parte, ha violato i principi di proporzionalità e di parità di trattamento e, dall’altra, ha omesso di motivare la decisione controversa. Infatti, in detta decisione la Commissione avrebbe descritto i diversi gradi di partecipazione delle imprese coinvolte nell’infrazione, senza però trarne nessuna conseguenza nella determinazione dell’importo finale dell’ammenda da imporre a ciascuna di esse. Ebbene, secondo la ricorrente, a differenza delle altre imprese, essa non sarebbe stata giudicata responsabile della violazione unica e continuata, non avrebbe fatto parte dell’associazione Michelangelo, non avrebbe mai avuto contatti bilaterali con altre imprese, dato il carattere modesto e marginale del suo ruolo nell’intesa, non sarebbe stata coinvolta in una violazione concernente i tre sottogruppi di prodotti, avrebbe avuto solo una quota insignificante del mercato, non sarebbe stata in grado di influenzare il mercato locale o internazionale e nemmeno di orientare la politica dei prezzi degli altri concorrenti e, infine, non avrebbe avuto esperienza in materia di diritto della concorrenza. Peraltro, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione le dimensioni e l’importanza delle imprese in questione nella determinazione dell’importo dell’ammenda.

78      In primo luogo, per quanto concerne la censura della ricorrente secondo la quale la Commissione avrebbe violato l’obbligo di motivazione ad essa incombente, occorre ricordare che, in base a una giurisprudenza consolidata, la motivazione imposta dall’articolo 296 TFUE dev’essere adattata alla natura dell’atto in questione e deve far apparire in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento dell’istituzione autrice dell’atto, in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni della misura adottata e al giudice competente di esercitare il suo controllo (v., in tal senso, sentenza della Corte del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, Racc. pag. I‑1719, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

79      Nel caso di specie, occorre constatare che la Commissione ha esposto, nella decisione controversa, le diverse fasi del calcolo che l’hanno condotta a ridurre il livello dell’ammenda calcolata in funzione degli orientamenti del 2006, affinché il suo importo non eccedesse, alla fine, il 10% del fatturato della ricorrente, circostanza che peraltro quest’ultima non nega. Infatti, come si evince dalla tabella E della decisione controversa, contenuta nel punto 1226 di detta decisione, e dal punto 1260 della medesima, l’importo di base dell’ammenda da erogare alla ricorrente era pari a EUR 11 300 000, e la Commissione non aveva riscontrato nessuna circostanza aggravante o attenuante che giustificasse la modificazione di questo importo. Pertanto, come si evince dai punti da 1261 a 1264 della decisione controversa, è al fine di rispettare il tetto del 10% del suo fatturato, previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, che la Commissione, come si ricava dalla tabella F riprodotta nel punto 1264 della decisione controversa, ha ridotto l’importo dell’ammenda da imporre alla ricorrente a EUR 1 196 269, che costituisce l’importo definitivo al quale quest’ultima è stata condannata nell’articolo 2, paragrafo 13, della decisione controversa.

80      Alla luce dei punti della decisione controversa illustrati nel punto precedente, è giocoforza constatare che la detta decisione fa apparire in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento che ha condotto la Commissione a imporre alla ricorrente un’ammenda equivalente al 10% del suo fatturato.

81      Pertanto, la prima censura della ricorrente dev’essere respinta in quanto infondata.

82      In secondo luogo, per quanto concerne la censura della ricorrente secondo la quale la Commissione avrebbe violato il principio della parità di trattamento, in quanto le sarebbe stata imposta, analogamente ad altre imprese che avrebbero tenuto un comportamento illecito più grave del suo, un’ammenda di importo massimo pari al 10% del suo fatturato, occorre anzitutto ricordare che, per giurisprudenza consolidata, il principio della parità di trattamento è violato quando situazioni analoghe sono trattate in modo diverso o quando situazioni diverse sono trattate in modo identico, a meno che un siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenze della Corte del 13 dicembre 1984, Sermide, 106/83, Racc. pag. 4209, punto 28, e del Tribunale del 30 settembre 2009, Hoechst/Commissione, T‑161/05, Racc. pag. II‑3555, punto 79).

83      Per di più, conformemente alla giurisprudenza, il tetto del 10% del fatturato, previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, costituisce un limite, applicabile uniformemente a tutte le imprese e articolato in funzione delle dimensioni di ciascuna di esse, diretto a evitare ammende di livello eccessivo e sproporzionato. Tale limite massimo ha quindi uno scopo distinto ed autonomo rispetto a quello dei criteri della gravità e della durata dell’infrazione. La circostanza che l’importo definitivo dell’ammenda sia pari al tetto del 10% del fatturato non significa pertanto che esso sia stato calcolato sul solo fondamento di questo limite, ma che detto importo, che dovrebbe essere stabilito in linea di principio in base alla gravità e alla durata dell’infrazione, è stato ridotto a livello di detto limite (v., in tal senso, sentenza della Corte del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punti 281, 282 e 289).

84      Alla luce della giurisprudenza illustrata nei precedenti punti 82 e 83, da una parte, occorre rilevare che, anche qualora risultassero giustificate le circostanze invocate dalla ricorrente e ricordate nel precedente punto 77, dirette a sostenere che la gravità del suo comportamento illecito sarebbe minore di quella che ha contrassegnato il comportamento di altre imprese membri dell’intesa, ciò resterebbe però privo di conseguenze in merito all’accertamento secondo il quale la Commissione, nel caso di specie, avrebbe agito nel rispetto del principio della parità di trattamento. Infatti, essa ha applicato in modo non discriminatorio il tetto del 10% del fatturato, previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, a tutte le imprese sanzionate nella decisione controversa.

85      Dall’altra, tenuto conto della gravità dell’infrazione cui la ricorrente ha partecipato, ossia uno scambio di informazioni concernenti i futuri aumenti di prezzo, e della durata della sua partecipazione a detta infrazione, ossia più di 11 anni, questi due fattori bastano a giustificare che alla ricorrente sia stata imposta un’ammenda corrispondente al tetto di legge del 10% del suo fatturato, al pari delle altre imprese italiane sanzionate nella decisione controversa per il loro comportamento anticoncorrenziale sul territorio italiano, le quali, come la ricorrente, non erano finanziariamente incapaci di versare un’ammenda corrispondente al 10% del loro rispettivo fatturato.

86      Di conseguenza, la seconda censura della ricorrente va respinta in quanto infondata.

87      In terzo luogo, per quanto concerne la censura della ricorrente secondo la quale la Commissione avrebbe violato il principio di proporzionalità imponendole un’ammenda corrispondente al 10% del suo fatturato, occorre ricordare che, per giurisprudenza consolidata, questo principio impone che gli atti delle istituzioni non superino i limiti di quanto è appropriato e necessario alla realizzazione dei legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa in questione, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, occorre far ricorso a quella meno costrittiva, e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli obiettivi perseguiti (sentenze della Corte del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, Racc. pag. I‑4023, punto 13, e del 5 maggio 1998, Regno Unito/Commissione, C‑180/96, Racc. pag. I‑2265, punto 96; sentenza del Tribunale del 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, T‑30/05, non pubblicata nella Raccolta, punto 223).

88      Nell’ambito dei procedimenti avviati dalla Commissione per sanzionare le violazioni delle norme in materia di concorrenza, l’applicazione del principio di proporzionalità comporta che le ammende non devono essere esorbitanti riguardo agli obiettivi perseguiti, vale a dire riguardo al rispetto di tali norme, e che l’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza dev’essere proporzionato all’infrazione, valutata nel suo complesso, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima (v., in tal senso, sentenze del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc. pag. II‑2501, punto 532, e Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 87 supra, punti 223 e 224 e giurisprudenza ivi citata). In particolare, il principio di proporzionalità implica che la Commissione deve fissare l’ammenda in modo proporzionato agli elementi presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione, e che essa deve applicare al riguardo tali elementi in maniera coerente e obiettivamente giustificata (sentenze del Tribunale del 27 settembre 2006, Jungbunzlauer/Commissione, T‑43/02, Racc. pag. II‑3435, punti da 226 a 228, e del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, T‑446/05, Racc. pag. II‑1255, punto 171).

89      Nel caso di specie, da una parte, occorre ricordare che la ricorrente non critica nessuno dei fattori presi in considerazione dalla Commissione, in applicazione degli orientamenti del 2006, per stabilire un’ammenda di importo pari a EUR 11 300 000, da essa poi ridotto a EUR 1 196 269 in considerazione del tetto del 10% del suo fatturato. Dall’altra, e ad ogni modo, tenuto conto della gravità dell’infrazione in questione, che consisteva in un’intesa segreta, cui la ricorrente ha partecipato attivamente, ed estesa a tutto il territorio di uno Stato membro, nonché della lunga partecipazione della ricorrente a detta infrazione, cioè più di 11 anni, come si ricava dall’allegato 6 e dai punti 437 e 446 della decisione controversa, occorre giudicare che l’imposizione alla ricorrente di un’ammenda equivalente al 10% del suo fatturato è conforme al principio di proporzionalità. Nessuno dei fattori invocati dalla ricorrente e illustrati nel precedente punto 77, considerati tanto isolatamente quanto congiuntamente, autorizza a ritenere che, tenuto conto della gravità e della durata dell’intesa in questione, la Commissione abbia imposto alla ricorrente un’ammenda sproporzionata nel caso di specie.

90      Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre respingere come infondate le tre censure dedotte dalla ricorrente e, di conseguenza, il secondo motivo nella sua integralità.

 Sul terzo motivo, relativo a una violazione delle norme applicabili in materia di determinazione dell’importo dell’ammenda

91      La ricorrente sostiene che la Commissione, in osservanza della giurisprudenza, dovrebbe prendere in considerazione la capacità economica effettiva delle imprese di alterare la concorrenza e il loro peso specifico sul mercato e, di conseguenza, l’influenza reale del loro comportamento illecito sul mercato. Ebbene, la Commissione non avrebbe preso in considerazione una siffatta influenza, pur avendo essa stessa riconosciuto che la ricorrente aveva svolto un ruolo marginale rispetto alle altre imprese partecipanti all’infrazione unica.

92      In via preliminare occorre rilevare che la ricorrente non deduce nessun argomento diretto a dimostrare che la Commissione abbia violato gli orientamenti del 2006 all’atto di determinare l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta. Alla luce di ciò, occorre esclusivamente valutare se, calcolando l’importo di detta ammenda in osservanza degli orientamenti del 2006, la Commissione abbia omesso di prendere in considerazione l’influenza reale del comportamento illecito della ricorrente sul mercato.

93      A questo proposito, basti constatare che, basando segnatamente il suo calcolo dell’importo delle ammende imposte alle imprese destinatarie della decisione controversa sul «valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo (SEE)», la Commissione ha preso in considerazione, conformemente al punto 13 degli orientamenti del 2006, l’influenza sul mercato del comportamento illecito di ciascuna impresa, tenuto conto delle dimensioni di ognuna. Nel caso di specie, è pacifico che la Commissione, nel punto 1220 della decisione controversa, ha preso in considerazione una percentuale del valore delle vendite delle imprese in questione al fine di calcolare l’importo di base dell’ammenda alle stesse imposta.

94      Pertanto, il calcolo dell’importo di base dell’ammenda imposta a ciascuna impresa riflette il peso rispettivo di ognuna sul mercato e, di conseguenza, l’influenza reale del comportamento illecito di dette imprese su tale mercato.

95      Peraltro, la giurisprudenza cui fa rinvio la ricorrente, ossia la sentenza della Corte del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione (C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punti 174 e 175), e la sentenza del Tribunale del 29 aprile 2004, Tokai Carbon e a./Commissione (T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Racc. pag. II‑1181, punto 160), non può inficiare la conclusione esposta nel precedente punto 94. Infatti, in queste due sentenze è stata esaminata la legittimità delle ammende imposte in osservanza degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CECA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»). Ebbene, a differenza degli orientamenti del 2006, applicati dalla Commissione nella decisione controversa, gli orientamenti del 1998 non prendevano in considerazione ai fini dell’importo di base dell’ammenda il fatturato delle imprese partecipanti a un’intesa, ma facevano riferimento a un importo forfettario determinato in funzione soltanto della gravità dell’infrazione. Per questo motivo, tali sentenze non consentono di dimostrare che il metodo di calcolo dell’ammenda applicato nella decisione controversa, quale previsto dagli orientamenti del 2006, porti, a torto, a ignorare gli effetti del comportamento illecito della ricorrente sul mercato. Quest’argomento della ricorrente dev’essere pertanto respinto in quanto infondato.

96      Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre respingere il terzo motivo in quanto infondato.

 Sul quarto motivo, relativo a errori nella base di calcolo utilizzata dalla Commissione per determinare l’importo dell’ammenda

97      La ricorrente afferma che, in sede di calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione è incorsa in un errore di valutazione prendendo in considerazione la totalità del fatturato derivante dalle sue vendite, quando invece, durante le riunioni di Euroitalia, si era parlato solo dei listini standard, vale a dire di quelli concernenti i prezzi lordi praticati dai grossisti nei confronti dei consumatori (ben diversi dai listini speciali, ossia quelli concernenti i prezzi destinati ai loro clienti importanti per articoli realizzati in esclusiva per questi ultimi). Ebbene, solo una piccola quota del suo fatturato totale sarebbe stata realizzata nel 2004 in Europa con i listini standard.

98      La Commissione respinge tale argomento.

99      Il paragrafo 13 degli orientamenti del 2006 prevede che, ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda, la Commissione può fondarsi sul «valore delle vendite dei beni o servizi ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce».

100    Nel caso di specie, dalle dichiarazioni stesse della ricorrente si evince che le discussioni riguardanti i listini standard influenzavano parimenti i suoi listini speciali. Infatti, come riportato dalla ricorrente nelle sue memorie scritte ed in risposta ai quesiti orali del Tribunale posti in udienza, alcuni prodotti venduti normalmente applicando il listino standard erano venduti applicando quelli speciali, ossia concedendo uno sconto supplementare a determinati clienti importanti.

101    Alla luce di ciò, occorre respingere il quarto motivo in quanto infondato.

 Sul quinto motivo, relativo a errori derivanti dall’omessa considerazione di circostanze attenuanti

102    La ricorrente afferma che la Commissione ha violato l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, nonché le disposizioni degli orientamenti del 2006 in materia di circostanze attenuanti. Anzitutto, la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione la circostanza che, a differenza delle imprese multinazionali che hanno presentato domande dirette a beneficiare della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole»), essa è una piccola impresa a gestione familiare che non aveva avuto a disposizione, all’epoca dei fatti, un servizio giuridico interno e un’esperienza in materia di diritto della concorrenza. La Commissione avrebbe dovuto poi prendere in considerazione il fatto che la ricorrente aveva collaborato in modo trasparente e tempestivo con essa, in seguito alle sollecitazioni di questa istituzione e fornendo alla medesima tutti gli elementi utili in suo possesso.

103    La Commissione respinge tale argomento.

104    In primo luogo, occorre rilevare che la ricorrente lamenta una violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, e non dell’articolo 23, paragrafo 3, del medesimo regolamento. Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del citato regolamento, la Commissione può «infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza (…), commettono un’infrazione alle disposizioni degli art[icoli 101 TFUE o 102 TFUE]». Ebbene, a parte il fatto che, come si ricava dal testo stesso dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, la Commissione può infliggere un’ammenda a un’impresa che abbia commesso un’infrazione per semplice negligenza, ossia senza avere né la consapevolezza né l’intenzione di commetterla, le altre circostanze invocate dalla ricorrente, ossia il fatto che essa sia un’impresa artigianale a gestione familiare e che abbia collaborato durante il procedimento amministrativo, sono irrilevanti sotto il profilo del potere attribuito alla Commissione dall’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, di infliggere ammende alle imprese partecipanti a cartelli.

105    Alla luce di ciò, occorre respingere la censura della ricorrente secondo la quale la Commissione avrebbe violato l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003.

106    In secondo luogo, quanto al fatto che la ricorrente lamenta una violazione delle disposizioni degli orientamenti del 2006 in materia di circostanze attenuanti, è importante ricordare che il punto 29 di detti orientamenti è del seguente tenore:

«L’importo di base dell’ammenda può essere ridotto qualora la Commissione constati l’esistenza di circostanze attenuanti, quali:

–        quando l’impresa interessata fornisce la prova di aver posto fine alle attività illecite immediatamente dopo i primi interventi della Commissione. Questo non si applica agli accordi o alle pratiche di natura segreta (in particolare i cartelli);

–        quando l’impresa fornisce la prova che l’infrazione è stata commessa per negligenza;

–        quando l’impresa fornisce la prova che la propria partecipazione all’infrazione è sostanzialmente marginale dimostrando altresì che, nel periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, non ha di fatto dato loro applicazione adottando un comportamento concorrenziale sul mercato; il fatto che un’impresa abbia partecipato a un’infrazione per una durata inferiore rispetto alle altre imprese non costituisce di per sé una circostanza attenuante, in quanto di tale circostanza si è già tenuto conto nella determinazione dell’importo di base;

–        quando l’impresa collabora efficacemente con la Commissione al di fuori del campo di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole e oltre quanto richiesto dagli obblighi di collaborazione imposti dalla legge;

–        quando il comportamento anticoncorrenziale è stato autorizzato o incoraggiato dalle autorità pubbliche o dalla legge».

107    In primo luogo, quanto al problema di accertare se la Commissione abbia omesso a torto di tener conto della domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda della ricorrente basata sulla circostanza che essa sarebbe una piccola impresa artigianale a gestione familiare, da una parte, è giocoforza constatare che un siffatto fattore non compare tra le circostanze attenuanti che possono dare diritto a una riduzione dell’importo dell’ammenda in applicazione degli orientamenti del 2006. Alla luce di ciò, la Commissione non è incorsa in errore non concedendo nessuna riduzione alla ricorrente a questo titolo. Dall’altra, occorre rilevare, ad ogni modo, che le piccole dimensioni di un’impresa si riflettono nell’importo dell’ammenda ad essa imposta, senza che questo fattore debba essere preso in considerazione a titolo di circostanza attenuante. Infatti, posto che, come si ricava dal punto 13 degli orientamenti del 2006, l’importo di base dell’ammenda è calcolato in rapporto alle vendite di beni cui l’infrazione si riferisce direttamente o indirettamente, le dimensioni della ricorrente sono state prese in considerazione in sede di calcolo dell’importo dell’ammenda. Pertanto, la Commissione non non è incorsa in nessun errore non prendendo in considerazione tale fattore in sede di esame delle circostanze attenuanti che potessero portare a una riduzione dell’importo di base dell’ammenda.

108    Peraltro, la ricorrente sostiene che non era consapevole dell’illiceità delle discussioni svoltesi in seno a Euroitalia, tenuto conto del fatto che non avrebbe avuto a disposizione un servizio giuridico interno e avrebbe difettato d’esperienza in materia di diritto della concorrenza. Anzitutto, se si intende quest’argomento nel senso che la ricorrente sostiene di aver partecipato per negligenza a un’infrazione ai sensi del paragrafo 29, secondo trattino, degli orientamenti del 2006, occorre ricordare che, come giustamente fa rilevare la Commissione, essa ha partecipato per più di 11 anni alle riunioni di Euroitalia senza che siano stati redatti verbali ufficiali delle discussioni anticoncorrenziali svoltesi in tali occasioni. Tale fattore tende a dimostrare che i membri di questo gruppo facevano attenzione a non lasciare tracce ufficiali delle loro discussioni illecite. Alla luce di ciò, la Commissione poteva legittimamente ritenere che le imprese interessate, tra cui la ricorrente, fossero consapevoli di violare le disposizioni del diritto della concorrenza. Inoltre, e ad ogni modo, come la Commissione ha rilevato nel punto 1231 della decisione controversa, dalla giurisprudenza si ricava che, affinché un’impresa sia considerata responsabile di una violazione deliberata delle disposizioni in materia di diritto della concorrenza, non è necessario che l’impresa abbia avuto consapevolezza di violare tali norme, in quanto basta che essa non potesse ignorare che la sua condotta aveva per oggetto di restringere la concorrenza (sentenza del Tribunale del 12 luglio 2001, Tate & Lyle e a./Commissione, T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Racc. pag. II‑2035, punto 127). Nel caso di specie, poiché le discussioni avevano proprio lo scopo di coordinare i futuri aumenti di prezzo tra i concorrenti, si deve giudicare che la ricorrente ha partecipato intenzionalmente alle pratiche anticoncorrenziali in seno a Euroitalia.

109    Alla luce di ciò, la ricorrente non ha fornito la prova che la Commissione sia incorsa in un errore non concedendole nessuna riduzione dell’importo dell’ammenda a causa del suo comportamento negligente. La prima censura della ricorrente va quindi respinta.

110    In secondo luogo, per quanto concerne la fondatezza dell’omessa considerazione della domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda presentata dalla ricorrente a motivo della sua collaborazione con la Commissione, occorre ricordare che quest’ultima, nel paragrafo 29, quarto trattino, degli orientamenti del 2006, si è impegnata, nell’ambito del suo potere di valutazione delle circostanze attenuanti che essa deve prendere in considerazione in sede di calcolo dell’importo delle ammende, a concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda quando l’impresa collabora efficacemente con essa al di fuori del campo di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole e oltre quanto richiesto dagli obblighi di collaborazione imposti dalla legge.

111    Tuttavia, l’applicazione del punto 29, quarto trattino, degli orientamenti del 2006 non può avere la conseguenza di privare della sua efficacia pratica la comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole. Infatti, dal disposto e dall’economia di detta comunicazione si ricava che le imprese, in linea di principio, possono ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda in base alla loro collaborazione solo quando soddisfano i rigorosi requisiti previsti dalla medesima comunicazione.

112    Pertanto, allo scopo di conservare l’efficacia pratica della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole, soltanto in situazioni eccezionali la Commissione è tenuta a concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda a un’impresa sulla base del punto 29, quarto trattino, degli orientamenti del 2006. Tale caso si presenta, in particolare, allorché la cooperazione di un’impresa, pur andando al di là del suo obbligo legale di collaborare senza tuttavia conferirle il diritto ad una riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole, riveste un’utilità obiettiva per la Commissione. Siffatta utilità dev’essere ritenuta sussistente quando la Commissione, nella sua decisione definitiva, si basa su elementi di prova che l’impresa le ha fornito nell’ambito della sua collaborazione e in mancanza dei quali la Commissione non sarebbe stata in grado di sanzionare totalmente o parzialmente l’infrazione in questione (sentenza del Tribunale del 17 maggio 2011, Arkema France/Commissione, T‑343/08, Racc. pag. II‑2287, punto, punto 170).

113    Nel caso di specie, da una parte, è giocoforza constatare che la ricorrente non ha presentato una domanda diretta a beneficiare della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole e che non ha collaborato con la Commissione al di là di quanto imposto dalla legge, ossia fornendo informazioni ulteriori rispetto a quelle che era obbligata a trasmetterle, conformemente agli obblighi ad essa incombenti in forza del regolamento n. 1/2003, circostanza che del resto essa non invoca. Dall’altra, e ad ogni modo, la ricorrente non afferma né dimostra che la Commissione si sia basata su elementi di prova, contenuti nella decisione controversa, che essa le aveva fornito pur non essendo obbligata a farlo in osservanza degli obblighi ad essa incombenti in forza del regolamento n. 1/2003 e in mancanza dei quali la Commissione non sarebbe stata in grado di sanzionare totalmente o parzialmente l’intesa in questione.

114    Alla luce di ciò, la seconda censura della ricorrente e, di conseguenza, il quinto motivo nella sua integralità devono essere respinti in quanto infondati.

 Sul sesto motivo, relativo a errori nella valutazione della capacità contributiva della ricorrente

115    La ricorrente afferma sostanzialmente che la Commissione ha ritenuto a torto che essa non dovesse beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda in forza del paragrafo 35 degli orientamenti del 2006. In proposito, essa solleva due censure.

116    Il punto 35 degli orientamenti del 2006 prevede quanto segue:

«In circostanze eccezionali la Commissione può, a richiesta, tener conto della mancanza di capacità contributiva di un’impresa in un contesto sociale ed economico particolare. La Commissione non concederà alcuna riduzione di ammenda basata unicamente sulla constatazione di una situazione finanziaria sfavorevole o deficitaria. Una riduzione potrebbe essere concessa soltanto su presentazione di prove oggettive dalle quali risulti che l’imposizione di una ammenda, alle condizioni fissate dai presenti orientamenti, pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa e priverebbe i suoi attivi di qualsiasi valore».

117    Con la sua prima censura la ricorrente sostiene che la decisione controversa è contraddittoria, in quanto la Commissione non le ha concesso una riduzione in forza del paragrafo 35 degli orientamenti del 2006, pur avendo constatato che la sua situazione finanziaria giustificava l’applicazione di una riduzione a tale titolo.

118    Occorre rilevare che dai punti 1331 e 1332 della decisione controversa si evince che, pur riconoscendo le difficoltà economiche della ricorrente, la Commissione ha tuttavia ritenuto che quest’ultima non dovesse beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda. A questo riguardo, da un lato, la Commissione constata che la ricorrente non le ha trasmesso informazioni che le consentissero di esaminare la situazione economica del gruppo che la controllava al giorno in cui è stata adottata la decisione controversa. Dall’altro, le informazioni pubbliche concernenti detto gruppo dimostrerebbero che la società controllante, finanziariamente sana, può far fronte all’ammenda inflitta alla sua controllata. Alla luce di quanto qui ricordato, occorre considerare che la motivazione illustrata dalla Commissione nella decisione controversa per giustificare il diniego di una riduzione a titolo di mancanza di capacità contributiva non è contraddittoria.

119    Pertanto, la prima censura della ricorrente dev’essere respinta in quanto infondata.

120    Con la sua seconda censura la ricorrente critica la Commissione per essersi limitata ad esaminare la sua capacità di versare l’ammenda, quando invece, secondo la giurisprudenza, la capacità contributiva di un’impresa va valutata nel suo peculiare contesto sociale, costituito dalle conseguenze che il versamento dell’ammenda avrebbe, segnatamente, in rapporto all’aumento della disoccupazione o al deterioramento dei settori economici a monte e a valle dell’impresa interessata.

121    A questo proposito basti constatare che la ricorrente non deduce né argomenti né prove che dimostrino che, tenuto conto della situazione economica del gruppo cui essa appartiene, l’ammenda inflittale ponga irrimediabilmente in pericolo la sua redditività economica e porti a privare di qualsiasi valore il suo patrimonio, conformemente al paragrafo 35 degli orientamenti del 2006.

122    Alla luce di ciò, la Commissione non era obbligata ad esaminare le conseguenze, sul settore economico in questione, di un’eventuale crisi della ricorrente per respingere la domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda da essa formulata.

123    La seconda censura della ricorrente e, di conseguenza, il sesto motivo nella sua integralità devono essere respinti in quanto infondati.

124    Poiché i sei motivi dedotti dalla ricorrente sono stati disattesi, occorre respingere la sua domanda diretta a ottenere l’annullamento parziale della decisione controversa.

 Sulla domanda, formulata in subordine, diretta alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

125    Con il secondo capo della sua domanda la ricorrente chiede al Tribunale di ridurre l’importo dell’ammenda inflittale dalla Commissione ad un livello più appropriato. A questo riguardo essa chiede, per l’esattezza, che l’importo dell’ammenda sia ridotto dal Tribunale a un valore simbolico o che venga preso in considerazione solo il suo fatturato relativo alle vendite di articoli di rubinetteria sul mercato italiano effettuate applicando il listino standard.

126    A questo proposito è importante ricordare che, secondo la giurisprudenza, da una parte, esercitando la sua competenza estesa anche al merito, il Tribunale deve effettuare la sua valutazione tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie e rispettando i principi generali del diritto dell’Unione, quali il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza Romana Tabacchi/Commissione, punto 22 supra, punti 179 e 280) o il principio di parità di trattamento (sentenza Erste Group Bank e a./Commissione, punto 95 supra, punto 187).

127    Dall’altra, l’esercizio della competenza estesa anche al merito non equivale a un controllo d’ufficio. Di conseguenza, ad eccezione dei motivi di ordine pubblico che il Tribunale è tenuto a sollevare d’ufficio, quali l’assenza o l’insufficienza di motivazione della decisione controversa, spetta al ricorrente sollevare i motivi diretti avverso quest’ultima e produrre elementi di prova a sostegno di detti motivi (v., in tal senso, sentenza Chalkor/Commissione, punto 22 supra, punto 64).

128    Nel caso di specie, da un lato, il Tribunale, in forza della sua competenza estesa anche al merito, giudica che nessun elemento invocato dalla ricorrente a qualsivoglia titolo nella presente causa né nessun motivo di ordine pubblico giustificano che esso faccia uso di detta competenza per ridurre l’importo dell’ammenda imposta dalla Commissione. Dall’altro, tenuto conto, in particolare, della gravità dell’infrazione consistente in un’intesa segreta sul territorio italiano, avente ad oggetto i futuri aumenti di prezzo, e della sua lunga durata, pari a 11 anni, l’ammenda imposta dalla Commissione, limitata al 10% del fatturato della ricorrente, costituisce una sanzione adeguata che consente di reprimere, in modo proporzionato e dissuasivo, il suo comportamento anticoncorrenziale.

129    Alla luce di ciò, il Tribunale ritiene che non occorra ridurre l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione alla ricorrente.

130    Di conseguenza, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle spese

131    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannate alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Rubinetteria Cisal SpA è condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

Pelikánová

Jürimäe

Van der Woude

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 settembre 2013.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla domanda, formulata in via principale, diretta all’annullamento parziale della decisione controversa

Sul primo motivo, relativo alla mancata violazione degli articoli 101 TFUE e 53 dell’accordo SEE, tenuto conto della natura delle informazioni scambiate

Sul secondo motivo, relativo a una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento nonché a un vizio di motivazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda

Sul terzo motivo, relativo a una violazione delle norme applicabili in materia di determinazione dell’importo dell’ammenda

Sul quarto motivo, relativo a errori nella base di calcolo utilizzata dalla Commissione per determinare l’importo dell’ammenda

Sul quinto motivo, relativo a errori derivanti dall’omessa considerazione di circostanze attenuanti

Sul sesto motivo, relativo a errori nella valutazione della capacità contributiva della ricorrente

Sulla domanda, formulata in subordine, diretta alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.