Language of document : ECLI:EU:C:2006:310

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

11 maggio 2006 (*)

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Marchio comunitario – Artt. 8, n. 1, lett. b), 15, n. 3, e 43, nn. 2 e 3, del regolamento (CE) n. 40/94 – Rischio di confusione – Domanda di marchio denominativo comunitario VITAFRUIT – Opposizione del titolare del marchio denominativo nazionale VITAFRUT – Uso effettivo del marchio anteriore – Prova del consenso del titolare all’uso del marchio anteriore – Somiglianza tra i prodotti»

Nel procedimento C-416/04 P,

avente ad oggetto un ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado, proposto, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, il 27 settembre 2004,

The Sunrider Corp., con sede in Torrance, California (Stati Uniti), rappresentata dal sig. A. Kockläuner, Rechtsanwalt,

ricorrente,

controinteressato nel procedimento:

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dalla sig.ra S. Laitinen e dal sig. A. Folliard-Monguiral, in qualità di agenti,

convenuto in primo grado,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann, K. Lenaerts, E. Juhász e M. Ilešič (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. F. G. Jacobs

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 17 novembre 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 dicembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la sua impugnazione, The Sunrider Corp. chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 8 luglio 2004, causa T‑203/02, Sunrider/UAMI – Espadafor Caba (VITAFRUIT) (Racc. pag. II‑2811; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l’«UAMI») 8 aprile 2002 (procedimento R 1046/2000‑1) che rifiuta la registrazione del marchio denominativo VITAFRUIT (in prosieguo: la «decisione controversa»).

 Contesto normativo

2        L’art. 8 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), intitolato «Impedimenti relativi alla registrazione», dispone, ai suoi nn. 1, lett. b), e 2, lett. a), sub ii):

«1.      In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore il marchio richiesto è escluso dalla registrazione:

(...)

b)      se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

2.      Ai sensi del paragrafo 1 si intendono per “marchi anteriori”:

a)      i seguenti tipi di marchi la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio comunitario, tenuto conto, ove occorra, del diritto di priorità invocato per i medesimi:

(...)

ii)      marchi registrati nello Stato membro (…)».

3        A termini dell’art. 15 del regolamento n. 40/94, intitolato «Uso del marchio comunitario»:

«1.      Se entro cinque anni dalla registrazione il marchio comunitario non ha formato oggetto da parte del titolare di un uso effettivo nella Comunità per i prodotti e servizi per i quali è stato registrato, o se tale uso è stato sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, il marchio comunitario è sottoposto alle sanzioni previste nel presente regolamento, salvo motivo legittimo per il mancato uso.

(…)

3.      L’uso del marchio comunitario con il consenso del titolare è considerato come effettuato dal titolare».

4        L’art. 43 del regolamento n. 40/94, intitolato «Esame dell’opposizione», prevede, ai suoi nn. 2 e 3:

«2.       Su istanza del richiedente, il titolare di un marchio comunitario anteriore che abbia presentato opposizione deve addurre la prova che nel corso dei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di marchio comunitario il marchio comunitario anteriore è stato seriamente utilizzato nella Comunità per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e sui quali si fonda l’opposizione (…), purché a tale data il marchio anteriore fosse registrato da almeno cinque anni. In mancanza di tale prova, l’opposizione è respinta. Se il marchio comunitario anteriore è stato utilizzato solo per una parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, ai fini dell’esame dell’opposizione si intende registrato solo per tale parte dei prodotti o dei servizi.

3.       Il paragrafo 2 si applica ai marchi nazionali anteriori di cui all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), fermo restando che l’utilizzazione nella Comunità è sostituita dall’utilizzazione nello Stato membro in cui il marchio nazionale anteriore è tutelato».

5        La regola 22, n. 2, del regolamento (CE) della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario (GU L 303, pag. 1), precisa che «[l]e informazioni, le prove e i documenti necessari per dimostrare l’utilizzazione sono costituiti da informazioni relative al luogo, al tempo, alla estinzione e alla natura dell’utilizzazione del marchio anteriore per i prodotti e i servizi per i quali esso è registrato e sui quali si fonda l’opposizione».

 Antefatti della controversia

6        Il 1º aprile 1996 la ricorrente ha presentato all’UAMI, in virtù del regolamento n. 40/94, una domanda di registrazione come marchio comunitario del marchio denominativo VITAFRUIT.

7        I prodotti per i quali è stata richiesta la registrazione del marchio rientrano nelle classi 5, 29, e 32 dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato. I prodotti rientranti nella classe 32 sono: «birre; acque minerali e gassose e altre bevande analcoliche; bevande di frutta e di verdura, succhi di frutta; sciroppi e altri preparati per fare bevande; bevande alle erbe e vitaminiche».

8        Il 1º aprile 1998 il sig. Espadafor Caba ha presentato opposizione, a titolo dell’art. 42, n. 1, del regolamento n. 40/94, alla registrazione del marchio richiesto per tutti i prodotti indicati nella domanda di marchio.

9        Il marchio anteriore di cui il sig. Espadafor Caba è titolare è il marchio denominativo nazionale VITAFRUT, registrato in Spagna per i prodotti «bevande gassate analcoliche e non terapeutiche, bevande fredde non terapeutiche di ogni genere, gassose, granulati effervescenti, succhi di frutta e di verdura non fermentati (eccetto il mosto), limonate, aranciate, bevande fredde (eccetto l’orzata), selz, acqua di Seidlitz e ghiaccio artificiale», rientranti nelle classi 30 e 32.

10      Su istanza della ricorrente la divisione d’opposizione dell’UAMI, conformemente all’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94, ha invitato il sig. Espadafor Caba a fornire la prova che il marchio anteriore era stato seriamente utilizzato in Spagna nel corso dei cinque anni precedenti la pubblicazione della domanda di marchio comunitario.

11      Il sig. Espadafor Caba ha trasmesso, da una parte, sei etichette di bottiglia sulle quali figurava il marchio anteriore e, dall’altra, quattordici fatture e buoni d’ordine, di cui dieci erano precedenti alla detta pubblicazione.

12      Con decisione 23 agosto 2000, la divisione d’opposizione ha respinto la domanda di marchio per i prodotti rientranti nella classe 32, diversi dalle birre, indicati nella domanda di marchio. Essa ha considerato, in primo luogo, che gli elementi di prova forniti dal sig. Espadafor Caba dimostravano che il marchio anteriore era stato seriamente utilizzato ai sensi dell’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 per i prodotti denominati «succhi di frutta e di verdura non fermentati, limonate, aranciate». In secondo luogo, la divisione d’opposizione ha ritenuto che tali prodotti e quelli rientranti nella classe 32, diversi dalle birre, indicati nella domanda di marchio comunitario fossero in parte simili e in parte identici e che sussistesse un rischio di confusione, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento, tra il marchio anteriore e il marchio richiesto.

13      Il ricorso proposto dalla ricorrente contro tale decisione è stato respinto dalla decisione controversa. In sostanza, la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha confermato le valutazioni contenute nella decisione della divisione d’opposizione sottolineando, tuttavia, che l’uso effettivo del marchio anteriore era stato dimostrato solo per i prodotti denominati «concentrati di succo».

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

14      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 2 luglio 2002, la ricorrente ha proposto un ricorso di annullamento della decisione controversa per violazione, da una parte, dell’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94, e, dall’altra, dell’art. 8, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento.

15      Con la prima parte del suo primo motivo, essa fa valere che la commissione di ricorso aveva erroneamente preso in considerazione l’uso del marchio effettuato da un terzo. Essa, infatti, ha sostenuto che l’opponente non aveva dimostrato che l’uso del marchio anteriore invocato fosse avvenuto con il suo consenso.

16      Al punto 23 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che l’uso invocato del marchio anteriore era stato effettuato dalla società Industrias Espadafor, SA, e non dal sig. Espadafor Caba, titolare del marchio, benché il nome di quest’ultimo compaia anche nel nome della società di cui trattasi. Esso ha considerato, tuttavia, ai punti 24‑28 della medesima sentenza, che la commissione di ricorso aveva potuto legittimamente basarsi sulla presunzione che il marchio anteriore era stato utilizzato con il consenso del titolare, tanto più che la ricorrente non aveva contestato tale punto dinanzi ad essa.

17      Il Tribunale ha dunque respinto la prima parte del primo motivo.

18      Con la seconda parte del medesimo motivo, la ricorrente ha fatto valere che la commissione di ricorso aveva interpretato erroneamente la nozione di «uso effettivo». Essa ha sostenuto, in sostanza, che gli elementi di prova forniti dal sig. Espadafor Caba non dimostravano né il periodo, né il luogo, né la natura, né, infine, il carattere sufficiente dell’uso invocato del marchio per poterlo qualificare come effettivo.

19      Dopo aver ricordato, ai punti 36‑42 della sentenza impugnata, la giurisprudenza della Corte (sentenza 11 marzo 2003, causa C‑40/01, Ansul, Racc. pag. I‑2439), nonché la propria giurisprudenza, e aver esaminato, ai punti 43‑53 della medesima sentenza, gli elementi di prova addotti dall’opponente, il Tribunale, al punto 54 della detta sentenza, ha concluso la sua analisi nel modo seguente:

«Ne consegue che la controparte nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso ha addotto la prova che sono state vendute, con il proprio consenso, a un cliente spagnolo, fra il maggio 1996 e il maggio 1997, circa 300 [casse] da dodici pezzi ciascuna di succhi concentrati di frutta differente, equivalenti a un fatturato di circa EUR 4 800. Benché la rilevanza dell’uso del marchio anteriore sia limitata e sia preferibile disporre di maggiori elementi di prova relativi alla natura dell’uso durante il periodo pertinente, i fatti e le prove presentati dalla controparte nel procedimento bastano ad accertare un uso effettivo. Di conseguenza, l’UAMI ha giustamente ritenuto, nella decisione [controversa], che il marchio anteriore sia stato seriamente utilizzato per una parte dei prodotti per i quali è stato registrato, cioè per i succhi di frutta».

20      Di conseguenza, il Tribunale ha respinto la seconda parte del primo motivo.

21      Con il suo secondo motivo, la ricorrente ha fatto valere che la commissione di ricorso aveva violato l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, ritenendo che i prodotti «bevande alle erbe e vitaminiche», indicati nella domanda di marchio comunitario, e i prodotti «concentrati di succo», per cui il marchio anteriore sarebbe stato seriamente utilizzato, fossero simili. Secondo la stessa, vi era al massimo una debole somiglianza tra tali prodotti.

22      Al punto 66 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che il marchio anteriore era stato usato per diversi succhi di frutta concentrati, destinati ai consumatori finali, e non per concentrati di succo di frutta, destinati a industrie che producono succhi di frutta. Esso ha pertanto respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale le bevande alle erbe e vitaminiche e i prodotti per cui il marchio anteriore era stato seriamente utilizzato erano destinati a compratori diversi.

23      Al punto 67 della medesima sentenza, il Tribunale ha considerato che le bevande alle erbe e vitaminiche e i succhi di frutta concentrati avevano lo stesso scopo, ossia dissetare, e che si trattava in entrambi i casi di bevande analcoliche consumate, di norma, fresche, e che tali bevande avevano, in ampia misura, un carattere di concorrenzialità. Esso ha ritenuto che la composizione certamente diversa di tali prodotti non modificava la constatazione che i detti prodotti sono interscambiabili in quanto destinati a soddisfare un identico bisogno.

24      Inoltre, il Tribunale non ha accolto il secondo motivo e ha respinto integralmente il ricorso della ricorrente.

 Ricorso

25      Nel suo ricorso, a sostegno del quale deduce tre motivi, la ricorrente chiede che la Corte voglia:

–        in via principale, annullare la sentenza impugnata;

–        in subordine, annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato il rifiuto di registrare il marchio richiesto per i prodotti «bevande alle erbe e vitaminiche»;

–        annullare la decisione controversa;

–        condannare l’UAMI alle spese sostenute sia dinanzi agli organi dell’UAMI e al Tribunale sia dinanzi alla Corte.

26      L’UAMI chiede alla Corte di respingere il ricorso e di condannare la ricorrente alle spese.

 Sulla ricevibilità della comparsa di risposta dell’UAMI

27      Nella sua replica la ricorrente conclude per l’irricevibilità della comparsa di risposta dell’UAMI in quanto quest’ultimo non ha chiesto che vengano accolte, in tutto o in parte, le conclusioni presentate in primo grado, come lo richiederebbe l’art. 116 del regolamento di procedura della Corte.

28      Il n. 1 di questo articolo dispone che:

«Le conclusioni della comparsa di risposta devono avere per oggetto:

–      il rigetto totale o parziale dell’impugnazione oppure l’annullamento totale o parziale della decisione del Tribunale;

–      l’accoglimento, totale o parziale, delle conclusioni presentate in primo grado, esclusa ogni nuova conclusione».

29      Questa disposizione precisa a quali fini le parti del procedimento diverse dalla ricorrente sono autorizzate a depositare una comparsa di risposta.

30      Affinché tale comparsa di risposta abbia un effetto utile, queste parti diverse dalla ricorrente devono, in linea di principio, prendervi posizione per quanto riguarda l’impugnazione, chiedendone il rigetto totale o parziale, oppure aderendovi, in tutto o in parte, o addirittura presentando una domanda riconvenzionale, tutti capi di conclusione, questi, previsti al primo trattino dell’art. 116, n. 1, del regolamento di procedura.

31      Le altre parti del procedimento, invece, non possono essere tenute a formulare, pena la nullità della loro comparsa di risposta, il capo di conclusioni previsto al secondo trattino di tale disposizione. Infatti, ciascuna parte è libera di presentare dinanzi ad un giudice le domande che essa ritiene appropriate. Così, quando il Tribunale non accoglie, o non accoglie del tutto, le conclusioni presentate da una parte, quest’ultima può scegliere di non chiedere alla Corte, a cui viene presentato un ricorso contro la decisione del Tribunale, che queste vengano accolte.

32      A maggior ragione, quando, come nella fattispecie, una parte ha ottenuto completa soddisfazione dinanzi al Tribunale e conclude, nella sua comparsa di risposta dinanzi alla Corte, per il rigetto totale dell’impugnazione, non occorre che essa chieda che vengano accolte le sue conclusioni presentate in primo grado. Del resto, se la Corte accoglie l’impugnazione e, facendo uso della facoltà riconosciutale dall’art. 61 dello Statuto della Corte di giustizia, decide di statuire definitivamente sulla controversia, essa sarà tenuta a prendere in considerazione tali conclusioni per accoglierle di nuovo, totalmente o parzialmente, oppure per respingerle, senza poter fondare tale rigetto sulla circostanza che la detta parte non le ha riproposte davanti ad essa.

33      Di conseguenza, va respinta l’eccezione di irricevibilità della comparsa di risposta dell’UAMI.

 Sul primo motivo

 Argomenti delle parti

34      Con il suo primo motivo, la ricorrente fa valere che il Tribunale ha violato il combinato disposto dell’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 e dell’art. 15, nn. 1 e 3, del medesimo regolamento, prendendo in considerazione l’uso del marchio anteriore da parte di un terzo.

35      Con la prima parte di questo motivo, la ricorrente contesta al Tribunale contemporaneamente di aver effettuato un’interpretazione erronea della ripartizione dell’onere della prova, di aver preso in considerazione elementi non probanti forniti dall’opponente e di essersi basato su presunzioni piuttosto che su prove.

36      Secondo la ricorrente, dalla giurisprudenza del Tribunale risulta che l’uso serio di un marchio non può essere dimostrato da probabilità o da presunzioni, ma deve basarsi su elementi concreti ed oggettivi che provino un’utilizzazione effettiva e sufficiente del marchio sul mercato interessato.

37      Nella fattispecie, mentre all’opponente incombeva l’onere di provare che l’uso del marchio anteriore, effettuato dalla società Industrias Espadafor SA, era stato fatto con il suo consenso, l’opponente non avrebbe prodotto alcuna prova secondo cui esso avrebbe acconsentito a tale uso. Per giungere alla constatazione che l’opponente aveva acconsentito al detto uso, la commissione di ricorso ed il Tribunale si sarebbero quindi erroneamente basati su probabilità e presunzioni.

38      Con la seconda parte del primo motivo, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto non verificando, nell’ambito dell’esame della prima parte del primo motivo presentato in primo grado, se, nel momento in cui ha statuito, esso poteva legittimamente adottare una nuova decisione avente il medesimo dispositivo della decisione controversa, come richiederebbe la sua stessa giurisprudenza [sentenza del Tribunale 23 settembre 2003, causa T‑308/01, Henkel/UAMI – LHS (UK) (KLEENCARE), Racc. pag. II‑3253, punto 29].

39      Dai punti 25 e 26 della sentenza impugnata emergerebbe che il Tribunale si è infatti limitato a verificare se la commissione di ricorso potesse, nel momento in cui ha adottato la decisione controversa, basarsi sulla presunzione secondo cui l’opponente aveva acconsentito all’uso del marchio anteriore da parte della società Industrias Espadafor SA.

40      Quanto alla prima parte del primo motivo, l’UAMI ritiene che, nella causa di cui trattasi, la presunzione secondo cui l’opponente aveva acconsentito all’uso del marchio anteriore da parte della società Industrias Espadafor SA, presunzione a cui il Tribunale ha aderito, sia interamente giustificata dalle ragioni esposte ai punti 24‑29 della sentenza impugnata. Di conseguenza, la valutazione dei fatti da parte del Tribunale, a seguito della quale quest’ultimo ha ammesso che l’opponente aveva acconsentito all’uso invocato del marchio anteriore, non conterrebbe alcun errore di valutazione né alcuno snaturamento che autorizzi la Corte ad intervenire negli accertamenti effettuati dal Tribunale.

41      Quanto alla seconda parte del primo motivo, l’UAMI fa valere che, secondo una costante giurisprudenza, il ricorso dinanzi al Tribunale è diretto a garantire un controllo di legittimità della decisione della commissione di ricorso ai sensi dell’art. 63 del regolamento n. 40/94, per cui il Tribunale non era affatto tenuto ad esaminare se una nuova decisione avente il medesimo dispositivo della decisione controversa potesse oppure no essere legittimamente adottata al momento in cui esso ha statuito.

 Giudizio della Corte

42      In primo luogo, conformemente all’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94, su istanza del richiedente di un marchio comunitario, il titolare di un marchio anteriore che abbia presentato opposizione deve addurre la prova che il suo marchio è stato seriamente utilizzato.

43      Peraltro, dall’art. 15, n. 3, del medesimo regolamento, emerge che l’uso effettivo di un marchio è l’uso fatto dal titolare di tale marchio o con il suo consenso.

44      Ne consegue che spetta al titolare del marchio anteriore che ha presentato opposizione fornire la prova di aver acconsentito all’uso invocato di tale marchio da parte di un terzo.

45      Nella fattispecie, da un lato, nella parte in cui censura il Tribunale per aver effettuato un’interpretazione erronea della ripartizione dell’onere della prova, la prima parte del primo motivo non è fondata.

46      Infatti, dopo aver rilevato, al punto 23 della sentenza impugnata, che il nome della società Industrias Espadafor SA, che ha utilizzato il marchio anteriore, riprende un elemento del cognome del titolare di tale marchio e aver affermato, ai punti 24 e 25 della medesima sentenza, che è poco probabile che il sig. Espadafor Caba abbia potuto ottenere gli elementi di prova dell’uso del marchio anteriore che egli ha prodotto dinanzi alla divisione d’opposizione e alla commissione di ricorso dell’UAMI se tale uso fosse stato fatto contro la sua volontà, il Tribunale ha considerato che l’UAMI si era basato correttamente sulla presunzione che l’opponente aveva acconsentito all’uso invocato del marchio anteriore.

47      In tal modo, il Tribunale non ha affatto chiesto alla ricorrente di dimostrare la sua mancanza di consenso, ma si è basato sugli elementi prodotti dall’opponente per dedurne che era stata fornita la prova del suo consenso all’uso allegato. Non ha dunque invertito l’onere della prova.

48      Dall’altro lato, in quanto censura il Tribunale per aver affermato che gli elementi di prova prodotti dall’opponente fornivano la prova del suo consenso all’uso invocato, questa parte del motivo mira ad indurre la Corte a sostituire la sua valutazione dei fatti a quella effettuata dal Tribunale ed è, quindi, irricevibile.

49      Infatti, in conformità agli artt. 225, n. 1, CE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, il ricorso contro una pronuncia del Tribunale è limitato alle questioni di diritto. Il Tribunale è dunque competente in via esclusiva ad accertare e a valutare i fatti pertinenti, nonché a valutare gli elementi di prova. La valutazione di tali fatti ed elementi di prova non costituisce, quindi, salvo il caso di loro snaturamento, una questione di diritto, come tale soggetta al controllo della Corte nell’ambito di un’impugnazione (v., in particolare, sentenza 15 settembre 2005, causa C-37/03 P, BioID/UAMI, Racc. pag. I‑7975, punto 43 e giurisprudenza citata).

50      Orbene, non risulta che, ai punti 23‑25 della sentenza impugnata, il Tribunale abbia snaturato i fatti e gli elementi di prova che gli erano stati sottoposti.

51      Occorre aggiungere che il Tribunale, ai punti 26 e 27 della sentenza impugnata, ha constatato ad abuntantiam che «[l]’UAMI poteva fondarsi su[lla] presunzione [che l’opponente avesse acconsentito all’uso invocato] tanto più che la ricorrente non ha contestato (…) l’uso del marchio anteriore da parte della società Industrias Espadafor, SA».

52      Va dunque respinta la prima parte del primo motivo in quanto parzialmente infondata e parzialmente irricevibile.

53      In secondo luogo, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, dalla giurisprudenza del Tribunale non risulta che quest’ultimo è tenuto a verificare se, nel momento in cui statuisce su un ricorso contro una decisione di una commissione di ricorso dell’UAMI, esso possa legittimamente adottare una nuova decisione avente il medesimo dispositivo della decisione impugnata. Infatti, ai punti 25 e 26 della sua sentenza Henkel/UAMI – LHS (UK) (KLEENCARE), citata, il Tribunale si è limitato ad affermare che tale obbligo incombe alle commissioni di ricorso dell’UAMI, a causa del principio di continuità funzionale tra le istanze di tale organismo che statuiscono in primo grado – quali gli esaminatori e le divisioni d’opposizione e di annullamento – e le dette commissioni.

54      Ai termini dell’art. 63 del regolamento n. 40/94, il Tribunale può annullare o riformare la decisione di una commissione di ricorso dell’UAMI solo «per incompetenza, per violazione di norme che prescrivono una determinata forma, per violazione del Trattato, del presente regolamento o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione o per sviamento di potere».

55      Ne consegue che il Tribunale può annullare o riformare la decisione oggetto del ricorso solo se, al momento in cui essa è stata adottata, la medesima era viziata da uno di questi motivi di annullamento o di riforma. Per contro, il Tribunale non può annullare o riformare la detta decisione per motivi insorgenti dopo la sua pronuncia.

56      Di conseguenza, la seconda parte del primo motivo è infondata e pertanto tale motivo va integralmente respinto.

 Sul secondo motivo

 Argomenti delle parti

57      Con la prima parte del suo secondo motivo, la ricorrente fa valere che le etichette prodotte dall’opponente, essendo prive di data, non consentono di fornire la prova di un uso del marchio anteriore durante il periodo rilevante né, pertanto, di suffragare gli altri elementi di prova prodotti durante il procedimento.

58      Con la seconda parte del medesimo motivo, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha violato l’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94 disconoscendo la nozione di «uso effettivo» ai sensi di questo articolo. Esso non avrebbe, in particolare, rispettato le condizioni a cui l’uso di un marchio può essere considerato effettivo.

59      Secondo la ricorrente, dalle conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer e dalla sentenza della Corte nella causa Ansul, citata, nonché dalla giurisprudenza del Tribunale emerge che l’uso effettivo non include usi simbolici, che sono tesi soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio, che il limite oltre il quale l’uso commerciale del marchio può essere considerato idoneo ed effettivo è direttamente legato alla natura del prodotto e alla categoria del servizio, che, a prescindere dal volume delle transazioni effettuate sotto l’insegna del marchio, o dalla loro frequenza, deve trattarsi di un utilizzo continuato, giammai sporadico od occasionale, e che un uso effettivo presuppone che il marchio sia presente su una parte sostanziale del territorio nell’ambito del quale esso è protetto.

60      La ricorrente sottolinea che, nella fattispecie, i prodotti venduti sono beni di produzione e di consumo correnti, destinati all’uso quotidiano del consumatore finale, di prezzo basso e, di conseguenza, facili da vendere. Con riferimento alla natura di tali prodotti, vendite di volume tale come quello dimostrato nella fattispecie non possono essere considerate sufficienti ai sensi dell’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94. Peraltro, l’opponente, che ha fornito la prova di sole cinque operazioni in undici mesi, avrebbe dimostrato al massimo un uso sporadico ed occasionale del marchio anteriore. Un tale uso non può, in ogni caso, essere considerato un uso continuo, effettivo e stabile. Inoltre, poiché le fatture prodotte sono state inviate al medesimo cliente, non sarebbe stata fornita la prova che il marchio anteriore era presente su una parte sostanziale del territorio sul quale è protetto.

61      Essa aggiunge che la sua valutazione secondo cui il Tribunale ha disconosciuto la nozione di «uso effettivo» ai sensi dell’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94 è corroborata dal fatto che il Bundesgerichtshof (Germania), in un’altra causa, ha affermato che un fatturato mensile di EUR 4 400 caratterizza un uso puramente formale.

62      Secondo la ricorrente, essa non rimette affatto in questione gli accertamenti di fatto e la valutazione delle prove effettuate dal Tribunale, ma gli contesta di aver violato la nozione di «uso effettivo». Si tratterebbe di una questione di diritto che può essere sollevata nell’ambito di un’impugnazione.

63      L’UAMI rileva che, ai punti 32‑42 della sentenza impugnata, il Tribunale ha correttamente esposto i principi sviluppati sia dal medesimo sia dalla Corte per quanto riguarda la nozione di «uso effettivo» e constata che la ricorrente non contesta tali principi, ma considera che i fatti di specie non forniscono la prova di un tale uso.

64      Ne conclude dunque che il secondo motivo dell’impugnazione è diretto ad ottenere il riesame da parte della Corte dei fatti e degli elementi di prova, per cui tale motivo deve essere dichiarato irricevibile.

65      In subordine, l’UAMI ritiene che il Tribunale abbia correttamente affermato che la prova della serietà dell’uso del marchio anteriore era stata fornita, per cui il motivo è infondato. Esso riconosce che l’uso provato è di importanza abbastanza limitata e sembra riguardare un solo cliente, ma sottolinea che l’importo totale delle operazioni è stato raggiunto su un periodo abbastanza breve. Esso ricorda inoltre che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, non vi è una regola «de minimis» e ritiene che il Tribunale abbia correttamente affermato che un uso limitato può essere compatibile con un’effettiva presenza sul mercato.

66      Quanto all’affermazione della ricorrente secondo cui un marchio deve essere presente su una parte sostanziale del territorio su cui esso è protetto affinché il suo uso possa essere qualificato come effettivo, l’UAMI considera che tale requisito non è valido alla luce della sentenza Ansul, citata, e dell’ordinanza 27 gennaio 2004, causa C-259/02, La Mer Technology (Racc. pag. I-1159), e che l’importanza della copertura territoriale è solo uno degli elementi che deve essere preso in considerazione per determinare se l’utilizzo sia effettivo oppure no.

67      Quanto all’argomento derivante dalla decisione del Bundesgerichtshof, l’UAMI sostiene che le decisioni di un giudice nazionale non sono vincolanti nel presente procedimento e che, per di più, dato che occorre valutare caso per caso se un marchio sia stato seriamente utilizzato, è praticamente impossibile trarre conclusioni generali da altre cause.

 Giudizio della Corte

68      In primo luogo, va rilevato che la ricorrente non rimette in questione l’accertamento, effettuato dal Tribunale ai punti 46‑48 della sentenza impugnata sulla base delle fatture prodotte dall’opponente, secondo cui il valore dei prodotti messi in commercio con il marchio anteriore, tra il maggio 1996 ed il maggio 1997, destinati ad un solo cliente in Spagna, ammontava ad una cifra superiore ad EUR 4 800, corrispondente alla vendita di 293 casse da dodici unità ciascuna.

69      Ciò premesso, la prima parte del secondo motivo, relativa alla circostanza che le etichette prodotte dall’opponente non possono, per loro natura, fornire la prova di un uso del marchio anteriore durante il periodo rilevante né suffragare gli altri elementi di prova, non può comportare l’annullamento della sentenza impugnata e deve quindi essere respinta in quanto inoperante.

70      In secondo luogo, come si evince dalla giurisprudenza della Corte, un marchio è oggetto di un «uso effettivo» allorché assolve alla sua funzione essenziale, che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o di mantenere per essi uno sbocco, ad esclusione degli usi simbolici, che sono tesi soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio. Nel verificare la serietà dell’uso del marchio, occorre prendere in considerazione tutti i fatti e le circostanze che possono provare l’effettività del suo sfruttamento commerciale, segnatamente gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o trovare quote di mercato per i prodotti ovvero i servizi tutelati dal marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio [v., a proposito dell’art. 10, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), disposizione che è identica all’art. 15, n. 1, del regolamento n. 40/94, sentenza Ansul, citata, punto 43, e ordinanza La Mer Technology, citata, punto 27].

71      Il problema di stabilire se un uso sia quantitativamente sufficiente per conservare o creare quote di mercato per i prodotti o servizi protetti dal marchio dipende così da diversi fattori e da una valutazione caso per caso. Le caratteristiche di tali prodotti o servizi, la frequenza o la regolarità dell’uso del marchio, il fatto che il marchio sia utilizzato per commercializzare tutti i prodotti o i servizi identici dell’impresa titolare o semplicemente alcuni di essi, ovvero ancora le prove relative all’uso del marchio che il titolare è in grado di fornire, rientrano tra i fattori che possono essere presi in considerazione. (v., in tal senso, ordinanza La Mer Technology, citata, punto 22).

72      Pertanto, non è possibile stabilire a priori, astrattamente, quale misura quantitativa debba essere considerata per stabilire se l’uso sia serio oppure no. Non può quindi essere fissata una regola «de minimis» che non consenta all’UAMI o, su ricorso, al Tribunale di valutare tutte le circostanze della controversia di cui devono conoscere (v., in tal senso, ordinanza La Mer Technology, citata, punto 25). Così, qualora risponda ad una giustificazione commerciale reale, alle condizioni citate al punto 70 della presente sentenza, un uso anche minimo può bastare ad attestare la sussistenza di un uso effettivo (ordinanza La Mer Technology, citata, punto 27).

73      Nella fattispecie, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nell’ambito della sua valutazione relativa alla serietà dell’uso del marchio anteriore.

74      Infatti, in primo luogo, in applicazione della regola 22, n. 2, del regolamento n. 2868/95, esso, ai punti 46‑54 della sentenza impugnata, ha esaminato il luogo, la durata, l’importanza e la natura di tale uso.

75      In secondo luogo, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai punti 70‑72 della presente sentenza, esso si è adoperato per stabilire se il marchio anteriore fosse stato usato al fine di creare o di conservare uno sbocco per i prodotti «succhi concentrati di frutta», per i quali è stata fornita la prova dell’uso invocato, o se, al contrario, tale uso avesse avuto il solo scopo di conservare i diritti conferiti dal marchio e dovesse essere qualificato come simbolico.

76      In terzo luogo, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la circostanza che, nella fattispecie, la prova dell’uso del marchio anteriore è stata fornita solo per la vendita di prodotti a destinazione di un solo cliente non consente di escludere a priori la sua serietà (v., in tal senso, ordinanza La Mer Technology, citata, punto 24), sebbene ne deriverebbe che il detto marchio non era presente su una parte sostanziale del territorio spagnolo, su cui esso era protetto. Infatti, come fa valere l’UAMI, l’importanza territoriale dell’uso è solo uno dei fattori che devono essere presi in considerazione, tra gli altri, per determinare se esso sia effettivo oppure no.

77      Infine, in quarto luogo, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo ad una sentenza pronunciata dal Bundesgerichtshof in una sentenza riguardante un marchio diverso dal marchio VITAFRUT, come emerge dalla giurisprudenza ricordata ai punti 70‑72 della presente sentenza, la valutazione della serietà dell’uso di un marchio necessita la presa in considerazione di tutte le circostanze della fattispecie e non è possibile determinare a priori, in modo astratto, quale limite quantitativo dovrebbe essere adottato per determinare se l’uso presenti o meno tale carattere. Ne consegue che i giudici che statuiscono su due cause distinte possono valutare diversamente la serietà degli usi invocati dinanzi ad essi, anche qualora tali usi abbiano generato fatturati paragonabili.

78      Inoltre, l’argomento della ricorrente secondo cui, con riferimento in particolare alla natura dei prodotti messi in commercio con il marchio anteriore, l’importanza quantitativa dell’uso di tale marchio era insufficiente per poterlo qualificare come effettivo ai sensi dell’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94 è teso a chiedere alla Corte di sostituire la propria valutazione dei fatti e degli elementi di prova a quella del Tribunale. Tranne il caso di snaturamento, che non è invocato nella fattispecie, un argomento di questo tipo non costituisce una questione di diritto assoggettata in quanto tale al controllo della Corte per i motivi ricordati al punto 49 della presente sentenza.

79      Di conseguenza, la seconda parte del secondo motivo, relativa alla violazione della nozione di «uso effettivo» ai sensi dell’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94, è in parte irricevibile ed in parte infondata e tale motivo deve dunque essere integralmente respinto.

 Sul terzo motivo

 Argomenti delle parti

80      Con il suo terzo motivo, invocato a sostegno della sua domanda subordinata diretta all’annullamento parziale della sentenza impugnata, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha violato l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 concludendo che i prodotti «bevande alle erbe e vitaminiche», per i quali è richiesta la registrazione, e i prodotti «succhi concentrati di frutta», per i quali è stata dimostrata la serietà dell’uso del marchio anteriore, sono prodotti simili ai sensi di questa disposizione.

81      Da una parte, la ricorrente fa valere che il Tribunale non ha tenuto conto della rispettiva natura dei prodotti, circostanza che costituirebbe pertanto, ai termini della giurisprudenza della Corte, un fattore rilevante che deve essere preso in considerazione per valutare se prodotti o servizi siano simili.

82      Dall’altra, essa fa valere che tali prodotti sono molto diversi per quanto riguarda le loro modalità di fabbricazione e di utilizzazione, la loro destinazione e il loro luogo di commercializzazione, e che tutte queste differenze hanno il sopravvento sulla loro unica caratteristica comune, quella di essere destinati agli stessi consumatori potenziali.

83      La ricorrente sostiene che, con questo motivo, essa non rimette affatto in questione gli accertamenti di fatto e la valutazione delle prove effettuate dal Tribunale, ma contesta a quest’ultimo di aver violato la nozione di «somiglianza dei prodotti». Si tratta, a suo avviso, di una questione di diritto che può essere sollevata nell’ambito dell’impugnazione.

84      A titolo principale, l’UAMI conclude per l’irricevibilità del terzo motivo dell’impugnazione in quanto la ricorrente si limita a censurare la valutazione dei fatti del Tribunale. In via subordinata, esso fa valere che i prodotti in questione sono simili.

 Giudizio della Corte

85      Come ha ricordato correttamente il Tribunale, al punto 65 della sentenza impugnata, per valutare la somiglianza tra prodotti o servizi, si deve tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra tali prodotti o servizi. Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità [v., a proposito dell’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, disposizione che è identica, in sostanza, all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, sentenza 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I‑5507, punto 23].

86      Conformemente a questa giurisprudenza, il Tribunale, al punto 66 della sentenza impugnata, ha constatato che i prodotti «bevande alle erbe e vitaminiche», per i quali è stata richiesta la registrazione, e i prodotti «succhi concentrati di frutta», per cui è stato dimostrato che il marchio anteriore è stato seriamente utilizzato, sono destinati ai consumatori finali. Parimenti, esso ha affermato, al punto 67 della sentenza impugnata, che i detti prodotti hanno lo stesso scopo, ossia dissetare, e che essi presentano, in larga misura, un carattere di concorrenzialità, hanno la stessa natura e la stessa modalità d’impiego – si tratta in entrambi i casi di bevande analcoliche consumate, di norma, fresche – e che la loro composizione diversa non impedisce che essi siano interscambiabili in quanto sono destinati a soddisfare un identico bisogno.

87      In quanto censura il Tribunale per non aver preso in considerazione la natura dei prodotti in questione per valutare la loro somiglianza, la ricorrente si basa su una lettura erronea della sentenza impugnata. Infatti, al punto 67 della sentenza impugnata, il Tribunale ha verificato se i detti prodotti fossero oppure no simili tenendo conto, in particolare, della loro rispettiva natura.

88      In quanto censura il Tribunale per non aver affermato che le differenze tra i prodotti in questione prevarrebbero sull’unica caratteristica comune, consistente nel fatto che tali prodotti sono destinati ai medesimi consumatori potenziali, la ricorrente chiede in realtà alla Corte di sostituire la propria valutazione dei fatti a quella effettuata dal Tribunale ai punti 66 e 67 della sentenza impugnata (v., per analogia, per quanto riguarda la valutazione della somiglianza di due marchi, sentenze 12 gennaio 2006, causa C‑361/04 P, Ruiz-Picasso e a./UAMI, Racc. pag. I‑643, punto 23, e 23 marzo 2006, causa C‑206/04 P, Mühlens/UAMI, Racc. pag. I‑2717, punto 41). Tranne il caso di snaturamento, il quale non è invocato nella fattispecie, un tale argomento non costituisce una questione di diritto assoggettata in quanto tale al controllo della Corte per i motivi ricordati al punto 49 della presente sentenza.

89      Di conseguenza, il terzo motivo d’impugnazione dev’essere respinto in quanto parzialmente infondato e parzialmente irricevibile e, pertanto, l’impugnazione dev’essere integralmente respinta.

 Sulle spese

90      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento d’impugnazione a norma dell’art. 118 del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso contro la pronuncia del Tribunale di primo grado è respinto.

2)      The Sunrider Corp. è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l'inglese.