Language of document : ECLI:EU:T:2017:129

ORDINANZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

28 febbraio 2017 (*)

«Ricorso di annullamento – Dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016 – Comunicato stampa – Nozione di “accordo internazionale” – Individuazione dell’autore dell’atto – Portata dell’atto – Sessione del Consiglio europeo – Riunione dei capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione europea tenutasi nei locali del Consiglio dell’Unione europea – Qualità dei rappresentanti degli Stati membri dell’Unione durante un incontro con il rappresentante di un paese terzo – Articolo 263, primo comma, TFUE – Incompetenza»

Nella causa T‑193/16,

NG, residente in Atene (Grecia), rappresentato da B. Burns, solicitor, P. O’Shea e I. Whelan, barristers,

ricorrente,

contro

Consiglio europeo, rappresentato da K. Pleśniak, Á. de Elera-San Miguel Hurtado e S. Boelaert, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e volta all’annullamento di un accordo asseritamente concluso dal Consiglio europeo e dalla Repubblica di Turchia il 18 marzo 2016 e intitolato «Dichiarazione UE-Turchia, 18 marzo 2016»,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata),

composto da I. Pelikánová, presidente, V. Valančius, P. Nihoul, J. Svenningsen (relatore) e U. Öberg, giudici,

cancelliere: E. Coulon

ha emesso la seguente

Ordinanza

 Fatti

 Gli incontri tra i dirigenti europei e turchi anteriori al 18 marzo 2016

1        Il 15 ottobre 2015, la Repubblica di Turchia e l’Unione europea hanno concordato un piano di azione comune intitolato «EU-Turkey joint action plan» (in prosieguo: il «piano d’azione comune») volto a rafforzare la reciproca cooperazione in materia di sostegno ai cittadini siriani beneficiari di una protezione internazionale temporanea e in materia di gestione migratoria, per rispondere alla crisi determinata dalla situazione in Siria.

2        Obiettivo del piano d’azione comune era di rispondere alla situazione di crisi in Siria in tre modi, ossia, in primo luogo, trattando alla radice le cause del massiccio esodo di siriani, in secondo luogo, fornendo sostegno ai siriani beneficiari di una protezione internazionale temporanea e alle loro comunità di accoglienza in Turchia e, in terzo luogo, rafforzando la cooperazione in materia di prevenzione dei flussi migratori illegali in direzione dell’Unione.

3        Il 29 novembre 2015 i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione si sono riuniti con la controparte turca (in prosieguo: la «prima riunione dei capi di Stato o di governo»). In esito a tale incontro, essi hanno deciso di attivare il piano di azione comune e, in particolare, di intensificare la reciproca cooperazione attiva sui migranti che non avevano bisogno di protezione internazionale, impedendo i viaggi verso la Turchia e l’Unione, assicurando l’applicazione delle disposizioni bilaterali di riammissione in vigore e rinviando rapidamente i migranti che non avevano bisogno di protezione internazionale nei rispettivi paesi d’origine.

4        L’8 marzo 2016 una dichiarazione dei capi di Stato o di governo dell’Unione, pubblicata dai servizi congiunti del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione europea, indicava che i capi di Stato o di governo dell’Unione avevano discusso con il Primo ministro turco sulle relazioni tra l’Unione e la Repubblica di Turchia e sui progressi compiuti nell’attuazione del piano d’azione comune. Tale incontro si era svolto il 7 marzo 2016 (in prosieguo: la «seconda riunione dei capi di Stato o di governo»). In tale dichiarazione veniva precisato quanto segue:

«I capi di Stato o di governo hanno convenuto che sono necessarie iniziative coraggiose per chiudere le rotte del traffico di esseri umani, smantellare il modello di attività dei trafficanti, proteggere le (…) frontiere esterne [dell’Unione] e porre fine alla crisi migratoria in Europa. (…) Hanno accolto con grande favore le ulteriori proposte avanzate [in tale contesto] dalla [Repubblica di] Turchia per affrontare la questione della migrazione. Hanno convenuto di lavorare sulla base dei principi [seguenti]:

–        far rientrare, a spese dell’[Unione], tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche;

–        far sì che, per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell’[Unione], nel quadro degli impegni esistenti;

–        (…)

Il presidente del Consiglio europeo porterà avanti dette proposte e definirà i dettagli con la [Repubblica di Turchia] prima del Consiglio europeo di marzo (…)

Il presente documento non fissa nuovi impegni per gli Stati membri per quanto concerne la ricollocazione e il reinsediamento.

(…)».

5        Nella sua comunicazione COM(2016) 166 final al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, del 16 marzo 2016, intitolata «P[rossime fasi operative della cooperazione UE-Turchia in materia di migrazione]») (in prosieguo: la «comunicazione del 16 marzo 2016»), la Commissione europea ha chiarito che, il 7 marzo 2016, i «leader [dell’Unione avevano] accolto con estremo favore le nuove proposte presentate dalla [Repubblica di] Turchia (…) e [avevano] convenuto di collaborare con questo paese in base a sei principi», che «[i]l presidente del Consiglio europeo [era] stato incaricato di portare avanti queste proposte e di elaborarne i dettagli insieme alla Turchia prima del Consiglio europeo di marzo» e che «[l]a presente comunicazione spiega[va] in che modo i sei principi dovrebbero essere applicati sfruttando appieno il potenziale della cooperazione [tra l’Unione e la Repubblica di] Turchia e rispettando al tempo stesso il diritto europeo e internazionale».

6        Nella comunicazione del 16 marzo 2016 la Commissione indicava, in particolare, che «[i]l rimpatrio di tutti i nuovi migranti irregolari e richiedenti asilo dalla Grecia in Turchia [era] essenziale per far sì che i migranti smettano di pagare i trafficanti e di rischiare la vita» e che «data l’entità dei flussi attuali fra Turchia e Grecia, queste disposizioni [dovevano] essere considerate una misura temporanea e straordinaria, che [era] necessaria per porre fine alle sofferenze umane e ripristinare l’ordine pubblico e [doveva] essere sostenuta da un adeguato quadro operativo». Secondo tale comunicazione, di recente erano stati compiuti progressi in termini di riammissione nella Repubblica di Turchia dei migranti irregolari e richiedenti asilo non bisognosi di protezione internazionale nell’ambito dell’accordo bilaterale di riammissione fra la Repubblica ellenica e la Repubblica di Turchia, al quale sarebbe subentrato, dal 1o giugno 2016, l’accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare tra l’Unione europea e la Repubblica di Turchia (GU 2014, L 134, pag. 3).

7        Nella comunicazione del 16 marzo 2016 la Commissione concludeva che «[l]’organizzazione del rimpatrio di tutti i nuovi migranti irregolari e richiedenti asilo che attraversano il Mar Egeo dalla Turchia alla Grecia, (…) [sarebbe stata] una misura temporanea e straordinaria, che [doveva] iniziare prima possibile» e che, in tale prospettiva, la suddetta comunicazione «defini[va] un quadro atto a garantire che il processo si svolg[esse] conformemente al diritto internazionale ed europeo, il che esclude[va] l’applicazione di una politica generale in materia di rimpatri [e specificava] inoltre le misure legislative e logistiche da adottare con urgenza per consentire l’avvio del processo».

 La riunione del 18 marzo 2016 e la dichiarazione UE-Turchia

8        Il 18 marzo 2016 veniva pubblicata sul sito Internet del Consiglio, nella forma del comunicato stampa n. 144/16, una dichiarazione contenente un resoconto dei risultati di «quella che da novembre 2015 [era] la terza riunione volta ad approfondire le relazioni Turchia-UE nonché ad affrontare la crisi migratoria» (in prosieguo: la «riunione del 18 marzo 2016») tra «i membri del Consiglio europeo» e «la controparte turca» (in prosieguo: la «dichiarazione UE-Turchia»).

9        Nella dichiarazione UE-Turchia veniva precisato che, pur riconfermando «l’impegno ad attuare il piano d’azione comune attivato il 29 novembre 2015 [la Repubblica di] Turchia e l’U[nione] riconosc[evano] che [erano] necessari ulteriori sforzi, rapidi e decisi». La dichiarazione proseguiva nei seguenti termini:

«Al fine di smantellare il modello di attività dei trafficanti e offrire ai migranti un’alternativa al mettere a rischio la propria vita, l’UE e la [Repubblica di] Turchia hanno deciso oggi di porre fine alla migrazione irregolare dalla Turchia verso l’[Unione]; per conseguire questo obiettivo hanno concordato i seguenti punti d’azione supplementari:

1)      Tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche a decorrere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia, nel pieno rispetto del diritto dell’[Unione] e internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva. Tutti i migranti saranno protetti in conformità delle pertinenti norme internazionali e nel rispetto del principio di non-refoulement. Si tratterà di una misura temporanea e straordinaria che è necessaria per porre fine alle sofferenze umane e ristabilire l’ordine pubblico. I migranti che giungeranno sulle isole greche saranno debitamente registrati e qualsiasi domanda d’asilo sarà trattata individualmente dalle autorità greche conformemente alla direttiva sulle procedure d’asilo, in cooperazione con l’UNHCR. I migranti che non faranno domanda d’asilo o la cui domanda sia ritenuta infondata o non ammissibile ai sensi della suddetta direttiva saranno rimpatriati in Turchia. La [Repubblica di] Turchia e la [Repubblica ellenica], assistite dalle istituzioni e agenzie dell’[Unione], adotteranno le misure necessarie e converranno i necessari accordi bilaterali, tra cui la presenza di funzionari turchi sulle isole greche e di funzionari greci in Turchia dal 20 marzo 2016, al fine di garantire un collegamento e agevolare in questo modo il corretto funzionamento di detti accordi. I costi delle operazioni di rimpatrio dei migranti irregolari saranno a carico dell’UE.

2)      Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’[Unione] tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite. Sarà istituito, con l’assistenza della Commissione, delle agenzie dell’[Unione] e di altri Stati membri nonché dell’UNHCR, un meccanismo inteso a garantire l’attuazione di tale principio a decorrere dallo stesso giorno dell’avvio dei rimpatri. La priorità sarà accordata ai migranti che precedentemente non siano entrati o non abbiano tentato di entrare nell’[Unione] in modo irregolare. Per quanto riguarda l’UE, il reinsediamento nell’ambito di tale meccanismo si svolgerà, in primo luogo, assolvendo agli impegni assunti dagli Stati membri nelle conclusioni dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio il 20 luglio 2015, in base ai quali restano 18 000 posti destinati al reinsediamento. A qualsiasi ulteriore bisogno di reinsediamento si provvederà mediante un analogo accordo volontario fino a un limite di 54 000 persone aggiuntive (…)».

 La situazione del ricorrente

10      Il ricorrente, NG, è un cittadino afgano. Egli spiega di essere fuggito dalla Repubblica islamica dell’Afghanistan insieme alla sua famiglia per il timore di persecuzioni e danni gravi alla sua persona. Infatti, egli sarebbe stato obiettivo e vittima di attacchi diretti da parte dei Talebani che avrebbero tentato di assassinarlo a causa delle sue responsabilità professionali in una società privata che aveva legami con gli Stati Uniti d’America, impegnata nello svolgimento di compiti sensibili a sostegno dell’esercito regolare afgano.

11      Il ricorrente sostiene di essere entrato in Grecia in una data successiva al 18 marzo 2016, con l’intenzione di presentare una domanda di asilo nella Repubblica federale di Germania.

12      Il ricorrente spiega di essere stato costretto a presentare la propria domanda di asilo in Grecia, segnatamente a causa dell’esistenza dell’«accordo controverso». Tuttavia, egli non avrebbe mai voluto, né avuto l’intenzione, di presentare tale domanda in Grecia a causa delle cattive condizioni di accoglienza in tale Stato membro, in particolare in termini di infrastrutture, e della lunghezza del trattamento delle domande di asilo e delle carenze sistematiche nell’attuazione del sistema di asilo europeo tanto a livello dell’amministrazione di tale Stato membro quanto a livello del suo sistema giurisdizionale. Tali carenze sarebbero state constatate, in particolare, dai giudici europei nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), e nella sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609).

13      In definitiva, il ricorrente avrebbe presentato la sua domanda di asilo in Grecia solo al fine di evitare di essere rispedito in Turchia, con il rischio eventuale di essere ivi trattenuto o di essere espulso verso l’Afghanistan.

 Procedimento e conclusioni delle parti

14      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 aprile 2016, il ricorrente ha proposto il presente ricorso, nel quale, considerando la dichiarazione UE-Turchia come un atto attribuibile al Consiglio europeo che concretizza un accordo internazionale concluso il 18 marzo 2016 tra l’Unione e la Repubblica di Turchia, qualificato nei suoi atti come «accordo controverso», chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare l’«accordo [che sarebbe stato concluso] tra il Consiglio europeo e la [Repubblica di] Turchia del 18 marzo 2016, [e] denominato «Dichiarazione EU-Turchia, 18 marzo 2016» (in prosieguo: l’«atto impugnato»);

–        condannare il Consiglio europeo alle spese.

 Il procedimento accelerato e il rinvio della causa dinanzi alla Prima Sezione ampliata

15      Con atto separato, presentato in concomitanza con il ricorso, ai sensi dell’articolo 152 del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorrente ha chiesto a quest’ultimo di statuire mediante il procedimento accelerato.

16      Il 10 giugno 2016 il Consiglio europeo ha presentato le proprie osservazioni sulla domanda di procedimento accelerato, concludendo in sostanza che le condizioni di applicazione di tale procedura non erano soddisfatte. Con atto separato dello stesso giorno, tale istituzione ha chiesto, in via principale, il rinvio della presente causa dinanzi alla Grande Sezione in forza dell’articolo 28, paragrafi 1 e 2, del regolamento di procedura. In subordine, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 5, del suddetto regolamento di procedura, detta istituzione ha chiesto il rinvio della presente causa dinanzi ad una formazione composta da almeno cinque giudici.

17      Con lettera del 20 giugno 2016, la cancelleria del Tribunale ha confermato il ricevimento della domanda di rinvio della presente causa dinanzi alla Grande Sezione ed ha informato le parti del rinvio della stessa, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 5, del regolamento di procedura, dinanzi ad una formazione ampliata composta da cinque giudici, nel caso di specie la Settima Sezione ampliata.

18      Con decisione del 22 giugno 2016, il Tribunale ha deciso di accogliere l’istanza di procedimento accelerato.

 L’eccezione sollevata dal Consiglio europeo e le domande di intervento

19      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 luglio 2016, il Consiglio, ai sensi dell’articolo 130 del regolamento di procedura, ha sollevato un’eccezione intitolata «Eccezione di irricevibilità».

20      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 luglio 2016, NQ, NR, NS, NT, NU e NV hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del ricorrente.

21      Con atti depositati il 20 e il 22 luglio 2016, il Regno del Belgio e la Repubblica ellenica hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio europeo.

22      Con atto depositato il 3 agosto 2016, la Commissione ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del «Consiglio dell’Unione europea». Con lettera di rettifica dell’11 agosto 2016, la Commissione ha indicato di voler intervenire a sostegno delle conclusioni del «Consiglio europeo».

23      Con atto depositato il 15 agosto 2016, Amnesty International ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del ricorrente.

24      Nella sua eccezione, il Consiglio europeo chiede formalmente che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto «manifestamente irricevibile»;

–        condannare il ricorrente alle spese.

25      Il 3 agosto 2016 il ricorrente ha presentato le sue osservazioni sull’eccezione sollevata dal Consiglio europeo, nelle quali chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere la suddetta eccezione;

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        condannare il Consiglio europeo alle spese da lui sostenute nell’ambito del procedimento incidentale.

26      Con lettera della cancelleria del 3 ottobre 2016, le parti sono state informate della designazione di un nuovo giudice relatore e della riassegnazione della presente causa alla Prima Sezione ampliata nella quale il suddetto giudice siede.

 Le risposte alle misure di organizzazione del procedimento

27      Con lettere della cancelleria del 3 novembre 2016, il Consiglio europeo è stato invitato ad ottemperare a misure di organizzazione del procedimento adottate dal Tribunale ai sensi dell’articolo 89, paragrafo 3, lettere a) e d), e dell’articolo 90, paragrafo 1, del regolamento di procedura, mentre il Consiglio e la Commissione, da parte loro, ai sensi dell’articolo 24, secondo comma, dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, e dell’articolo 89, paragrafo 3, lettera c), del suddetto regolamento di procedura, sono stati invitati dal Tribunale a rispondere a talune questioni e a fornire taluni documenti. In tale contesto, le suddette istituzioni sono state invitate, in particolare, a spiegare al Tribunale se la riunione del 18 marzo 2016 avesse dato luogo ad un accordo scritto e, nel caso, a comunicare al Tribunale ogni documento che permettesse di stabilire l’identità delle parti che avevano concordato i «punti d’azione supplementari» menzionati nella dichiarazione UE‑Turchia.

28      Nelle sue risposte alle domande del Tribunale fornite il 18 novembre 2016, il Consiglio europeo ha segnatamente chiarito che, a sua conoscenza, tra l’Unione e la Repubblica di Turchia non era stato concluso alcun accordo o trattato, ai sensi dell’articolo 218 TFUE o dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 23 maggio 1969. La dichiarazione UE-Turchia, così come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, sarebbe stata solo il «frutto di un dialogo internazionale tra gli Stati membri e la [Repubblica di] Turchia e, alla luce del suo contenuto e delle intenzioni dei suoi autori, [non sarebbe] destinata a produrre effetti giuridici vincolanti né a costituire un accordo o un trattato».

29      Il Consiglio europeo ha inoltre prodotto un certo numero di documenti relativi alla riunione del 18 marzo 2016 la quale, secondo tale istituzione, costituiva una riunione dei capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione con il rappresentante della Repubblica di Turchia e non una sessione del Consiglio europeo alla quale aveva partecipato il suddetto Stato terzo.

30      Nella sua risposta del 18 novembre 2016, la Commissione ha segnatamente spiegato al Tribunale che, considerata la terminologia utilizzata nella dichiarazione UE‑Turchia e, in particolare, l’uso nella versione inglese della stessa del termine «will», era chiaro come non si trattasse di un accordo giuridicamente vincolante, bensì di un’intesa politica raggiunta dai «membri del Consiglio europeo [, ossia] i capi di Stato o di governo degli Stati membri, il Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione», intesa che era stata riportata integralmente nel corpus del comunicato stampa n. 144/16 il quale era relativo alla riunione del 18 marzo 2016 e illustrava la dichiarazione UE‑Turchia.

31      Nella sua risposta del 2 dicembre 2016, il Consiglio ha chiarito, in particolare, di non essere l’autore della dichiarazione UE-Turchia e di non essere stato affatto coinvolto nel dialogo strutturato che si era svolto tra i rappresentanti degli Stati membri e la Repubblica di Turchia o nelle attività del presidente del Consiglio europeo che avevano condotto a tale dichiarazione. I lavori preparatori che si erano svolti in seno al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) avrebbero riguardato soltanto la preparazione delle riunioni del Consiglio europeo, alcune delle quali inerivano alla gestione della crisi migratoria. Per contro, il Consiglio non avrebbe preparato il vertice svoltosi il 18 marzo 2016 tra i membri del Consiglio europeo, ossia i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione, e il Primo ministro turco.

32      Il Consiglio ha inoltre indicato di condividere pienamente la posizione illustrata dal Consiglio europeo nella sua eccezione formulata ai sensi dell’articolo 130 del regolamento di procedura. A tal riguardo, egli ha segnatamente sostenuto che, a sua conoscenza, tra l’Unione e la Repubblica di Turchia non era stato concluso alcun accordo riguardante la crisi migratoria.

33      Nelle sue osservazioni depositate il 19 dicembre 2016, il ricorrente ha contestato la posizione del Consiglio europeo, del Consiglio e della Commissione secondo la quale, da un lato, non era stato concluso alcun accordo con la Repubblica di Turchia durante la riunione del 18 marzo 2016 e, dall’altro, l’esito delle discussioni con tale Stato terzo dovrebbe essere qualificato come un’intesa politica. Il ricorrente considera in particolare che, tenendo conto del linguaggio utilizzato in ciò che egli qualifica come l’«accordo controverso», l’uso del termine inglese «agree» (che significherebbe «concordato») permette di constatare che si tratta di un accordo destinato a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi. Inoltre, l’assenza dell’espressione «Stati membri» indicherebbe che l’«accordo controverso» non avrebbe potuto essere concluso dagli Stati membri dell’Unione.

 In diritto

34      Ai sensi dell’articolo 130 del regolamento di procedura, se il convenuto, con atto separato, chiede al Tribunale di statuire sull’irricevibilità o sull’incompetenza senza avviare la discussione nel merito, quest’ultimo statuisce nel più breve termine possibile, dopo aver aperto, se del caso, la fase orale del procedimento.

35      Nel caso di specie, il Tribunale si ritiene sufficientemente informato dall’esame dei documenti del fascicolo e decide di statuire senza che sia necessario proporre alla conferenza plenaria il rinvio della presente causa dinanzi alla Grande Sezione né aprire la fase orale del procedimento.

36      Nell’ambito dell’eccezione da esso sollevata, il Consiglio europeo deduce, in via principale, l’incompetenza del Tribunale a pronunciarsi sul presente ricorso.

37      Poiché le norme sulla competenza dei giudici dell’Unione previste dal Trattato FUE come dallo statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dal suo allegato fanno parte del diritto primario, occupano una posizione centrale nell’ordinamento giuridico dell’Unione e, pertanto, l’osservanza di tali regole rappresenta un’esigenza fondamentale in tale ordinamento giuridico (sentenza del 10 settembre 2015, Riesame Missir Mamachi di Lusignano/Commissione, C‑417/14 RX-II, EU:C:2015:588, punto 57), il Tribunale deve esaminare la suddetta questione in primo luogo.

38      A sostegno della sua eccezione di incompetenza, il Consiglio europeo sostiene che né lui né alcuna delle entità indicate dall’articolo 263, primo comma, TFUE è autore della dichiarazione UE-Turchia, così come diffusa dal Consiglio per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, e, di conseguenza, non potrebbe essere regolarmente designato come convenuto nel caso di specie.

39      Infatti, secondo il Consiglio europeo, la dichiarazione UE-Turchia promana dai partecipanti ad un vertice internazionale, nel caso di specie svoltosi il 18 marzo 2016 a margine e all’esito della sessione del Consiglio europeo. Pertanto, tale dichiarazione sarebbe attribuibile ai membri del Consiglio europeo, che sono gli Stati membri dell’Unione, e alla loro «controparte turca», in quanto sarebbero loro ad essersi riuniti nell’ambito di una riunione distinta da quella del Consiglio europeo. Tale riunione distinta avrebbe fatto seguito alle prime due riunioni dei capi di Stato o di governo, dello stesso tipo, tenutesi il 29 novembre 2015 e il 7 marzo 2016 e che avevano dato luogo tanto alla pubblicazione di una dichiarazione comune, come quella di cui si trattasi nella fattispecie e di cui rende conto il comunicato stampa n. 144/16, quanto ad un piano di azione comune. Il Consiglio europeo ritiene che la dichiarazione UE‑Turchia non si possa pertanto qualificare come atto da esso adottato.

40      Il ricorrente contesta la suddetta analisi, sostenendo che ciò che egli qualifica come «accordo controverso» in quanto atto impugnato, tenuto conto del contenuto dello stesso e dell’insieme delle circostanze in cui è avvenuta la sua adozione, dev’essere considerato come un atto del Consiglio europeo poiché, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostiene tale istituzione, gli Stati membri dell’Unione avrebbero agito collettivamente in seno alla suddetta istituzione e non avrebbero esercitato competenze nazionali estranee al quadro istituzionale dell’Unione. Inoltre, secondo il ricorrente, il Consiglio europeo e la Commissione hanno attivamente partecipato alla preparazione e alla negoziazione del suddetto «accordo controverso», come testimonierebbe al riguardo il contenuto della comunicazione del 16 marzo 2016, e tale «accordo controverso», in realtà, possiede la natura di un trattato internazionale.

41      Il ricorrente contesta che il Consiglio europeo possa, da un lato, affermare che i membri di tale istituzione hanno agito, nel caso di specie, nella loro qualità di rappresentanti dei rispettivi governi o Stati e, dall’altro, sostenere che gli Stati membri hanno così potuto agire in nome dell’Unione vincolandola ad uno Stato terzo per mezzo di ciò che egli qualifica come «accordo controverso», il quale, per di più, sarebbe contrario alle norme previste nel diritto derivato dell’Unione applicabile in materia di asilo.

42      In ogni caso, occorrerebbe riferirsi ai termini utilizzati nella dichiarazione UE-Turchia così come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, in particolare alla circostanza che quest’ultima, da un lato, fa riferimento al fatto che l’«UE» e la «Repubblica di Turchia» «hanno concordato» taluni punti d’azione supplementari, «hanno deciso» e «riconfermato» alcuni aspetti e, dall’altro, indica obblighi specifici accettati da ciascuna delle parti, cosa che confermerebbe l’esistenza di un accordo giuridicamente vincolante. Inoltre, per quanto riguarda i chiarimenti forniti dalla Commissione in merito all’esistenza di un quadro normativo e regolamentare che già permetteva il finanziamento delle operazioni di rimpatrio, che costituiva un punto di azione supplementare considerato nella dichiarazione UE-Turchia, secondo il ricorrente ciò suggerisce che il cosiddetto «accordo controverso» è stato concluso in un contesto che ne consentiva l’attuazione, il che confermerebbe la capacità del suddetto «accordo controverso» di produrre effetti giuridici.

 Considerazioni preliminari

43      In via preliminare, occorre ricordare che il ricorso di annullamento previsto dall’articolo 263 TFUE si esperisce nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni, gli organi e organismi dell’Unione, indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma, purché sia diretto a produrre effetti giuridici (sentenze del 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio, 22/70, EU:C:1971:32, punto 42, e del 4 settembre 2014, Commissione/Consiglio, C‑114/12, EU:C:2014:2151, punti 38 e 39; v. altresì sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/ConsiglioC‑28/12, EU:C:2015:282, punti 14 e 15 e giurisprudenza ivi citata). Al riguardo, il fatto che l’esistenza di un atto diretto a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi sia stata rivelata tramite un comunicato stampa o che abbia assunto la forma di una dichiarazione non osta alla possibilità di constatare l’esistenza di tale atto né, pertanto, alla competenza del giudice dell’Unione di sindacare la legittimità di tale atto in forza dell’articolo 263 TFUE, purché promani da un’istituzione, da un organo o da un organismo dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 1993, Parlamento/Consiglio e Commissione, C‑181/91 e C‑248/91, EU:C:1993:271, punto 14).

44      Per quanto riguarda il Consiglio europeo, il Trattato di Lisbona lo ha eretto a rango di istituzione dell’Unione. Pertanto, contrariamente a quanto dichiarato in precedenza dal giudice dell’Unione (ordinanze del 13 gennaio 1995, Roujansky/Consiglio, C‑253/94 P, EU:C:1995:4, punto 11, e del 13 gennaio 1995, Bonnamy/Consiglio, C‑264/94 P, EU:C:1995:5, punto 11), gli atti adottati da tale istituzione che, a termini dell’articolo 15 TUE, non esercita funzioni legislative ed è composta dai capi di Stato o di governo degli Stati membri nonché dal suo presidente e dal presidente della Commissione, non sono più sottratti al controllo di legittimità previsto ai sensi dell’articolo 263 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 27 novembre 2012, Pringle, C‑370/12, EU:C:2012:756, punti da 30 a 37).

45      Ciò posto, emerge dall’articolo 263 TFUE che, in via generale, il giudice dell’Unione non è competente a statuire sulla legittimità di un atto emanato da un’autorità nazionale (sentenze del 3 dicembre 1992, Oleificio Borelli/Commissione, C‑97/91, EU:C:1992:491, punto 9, e del 15 dicembre 1999, Kesko/Commissione, T‑22/97, EU:T:1999:327, punto 83), né di un atto adottato dai rappresentanti di autorità nazionali di più Stati membri che agiscono nell’ambito di un comitato previsto da un regolamento dell’Unione (v., in tal senso sentenza del 17 settembre 2014, Liivimaa Lihaveis, C‑562/12, EU:C:2014:2229, punto 51). Parimenti, gli atti adottati dai rappresentanti degli Stati membri riuniti fisicamente nell’ambito di una delle istituzioni dell’Unione e che agiscono non in qualità di membri del Consiglio o di membri del Consiglio europeo, bensì nella loro qualità di capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione, non sono soggetti al sindacato di legittimità esercitato dal giudice dell’Unione (sentenza del 30 giugno 1993, Parlamento/Consiglio e Commissione, C‑181/91 e C‑248/91, EU:C:1993:271, punto 12).

46      Tuttavia, a questo proposito, il fatto che un atto venga qualificato, da un’istituzione chiamata in causa quale parte convenuta in un ricorso, come «decisione degli Stati membri» dell’Unione non è sufficiente per sottrare tale atto al sindacato di legittimità istituito dall’articolo 263 TFUE, nel caso di specie, degli atti del Consiglio europeo. Infatti, perché ciò accada, è inoltre necessario accertare che l’atto in parola, considerati il suo contenuto e il complesso delle circostanze in cui è stato adottato, in realtà, non costituisca una decisione del Consiglio europeo (sentenza del 30 giugno 1993, Parlamento/Consiglio e Commissione, C‑181/91 e C‑248/91, EU:C:1993:271, punto 14).

 Gli autori dell’atto impugnato

47      Fatte queste precisazioni, il Tribunale osserva che, nel caso di specie, l’atto impugnato viene formalmente descritto nel ricorso come l’«accordo concluso tra il Consiglio europeo e la [Repubblica di] Turchia, datato 18 marzo 2016, intitolato “Dichiarazione UE-Turchia, 18 marzo 2016”», vale a dire un atto che rientrerebbe nel diritto internazionale pattizio. Tuttavia, il controllo di legittimità da parte del giudice dell’Unione degli atti rientranti nel diritto internazionale pattizio deve avere unicamente ad oggetto l’atto con cui un’istituzione ha inteso concludere il presunto accordo internazionale in questione, e non quest’ultimo in quanto tale (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 286). Occorre pertanto intendere le conclusioni del ricorrente come dirette, in sostanza, all’annullamento di un atto con cui il Consiglio europeo avrebbe inteso concludere, per conto dell’Unione, un accordo con la Repubblica di Turchia, il 18 marzo 2016 (v., in tal senso, sentenza del 9 agosto 1994, Francia/Commissione, C‑327/91, EU:C:1994:305, punto 17), e il cui contenuto sarebbe illustrato nella dichiarazione UE-Turchia così come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16.

48      Di conseguenza, spetta al Tribunale esaminare se la dichiarazione UE-Turchia, come diffusa per mezzo del suddetto comunicato stampa, riveli l’esistenza di un atto imputabile all’istituzione di cui trattasi nel caso di specie, ossia il Consiglio europeo e se, attraverso tale atto, detta istituzione abbia concluso un accordo internazionale, che il ricorrente qualifica come «accordo controverso», adottato in violazione dell’articolo 218 TFUE e che corrisponderebbe all’atto impugnato.

49      Nella misura in cui, ai fini dell’articolo 21, primo comma, dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’atto impugnato è stato prodotto dal ricorrente mediante la deduzione del comunicato stampa n. 144/16, occorre valutare il contesto in cui è stata realizzata la dichiarazione UE-Turchia, come diffusa per mezzo del suddetto comunicato stampa, nonché il contenuto di tale dichiarazione per stabilire se essa possa costituire o rivelare l’esistenza di un atto imputabile al Consiglio europeo e soggetto al controllo di legittimità previsto dall’articolo 263 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 1993, Parlamento/Consiglio e Commissione, C‑181/91 e C‑248/91, EU:C:1993:271, punto 14), nel caso di specie un atto che corrisponderebbe all’atto impugnato e conterrebbe la conclusione di ciò che il ricorrente qualifica come «accordo controverso».

50      Come menzionato nella dichiarazione UE-Turchia, la riunione del 18 marzo 2016 era la terza riunione svoltasi dal novembre 2015. Orbene, per quanto riguarda le due riunioni precedenti, che hanno avuto luogo rispettivamente il 29 novembre 2015 e il 7 marzo 2016, i rappresentanti degli Stati membri hanno partecipato a tali riunioni nella loro qualità di capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione e non in quanto membri del Consiglio europeo.

51      Infatti, per quanto riguarda la prima riunione dei capi di Stato o di governo, essa ha dato origine ad un comunicato stampa intitolato «Riunione dei capi di Stato o di governo del[l’Unione] con la [Repubblica di] Turchia, 29 [novembre] 2015 – Dichiarazione UE-Turchia», in cui si spiegava che erano i «dirigenti dell’Unione europea» che si erano riuniti con la loro «controparte turca».

52      La seconda riunione dei capi di Stato o di governo ha dato origine ad un comunicato stampa intitolato «Dichiarazione dei capi di Stato o di governo del[l’Unione]», in cui si indicava che erano i «capi di Stato o di governo del[l’Unione]» che avevano incontrato il Primo ministro turco e che «[avevano] convenuto di lavorare sulla base dei principi contenuti [nelle proposte supplementari presentate il 7 marzo 2016 dalla Repubblica di] Turchia, ossia: far rientrare, a spese dell’UE, tutti i nuovi migranti irregolari che [avevano] compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche; far sì che, per ogni siriano che la [Repubblica di] Turchia riammette dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell’[Unione], nel quadro degli impegni esistenti».

53      In tale contesto è intervenuta la comunicazione della Commissione del 16 marzo 2016, che non può essere equiparata ad una proposta ai sensi dell’articolo 294, paragrafo 2, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 1993, Parlamento/Consiglio e Commissione, C‑181/91 e C‑248/91, EU:C:1993:271, punti 17 e 18). Quest’ultima indica che «[l]a prossima fase della cooperazione UE-Turchia volta ad affrontare la crisi migratoria richiederà uno sforzo concertato da parte della [Repubblica ellenica] e della [Repubblica di Turchia] con il sostegno della Commissione, delle agenzie dell’[Unione] e delle organizzazioni partner» e che «[g]li Stati membri dovranno inoltre fornire supporto sotto forma di personale ed essere pronti ad assumere impegni in materia di reinsediamento».

54      La dichiarazione UE-Turchia, come diffusa in esito alla riunione del 18 marzo 2016 per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, si presenta tuttavia in modo diverso rispetto alle precedenti dichiarazioni diffuse al termine della prima e della seconda riunione dei capi di Stato o di governo.

55      Infatti, il comunicato stampa n. 144/16, relativo alla riunione del 18 marzo 2016 indica, in primo luogo, che la dichiarazione UE-Turchia è il risultato di una riunione tra i «membri del Consiglio europeo» e la «controparte turca»; in secondo luogo, che sono i «membri del Consiglio europeo» che hanno incontrato la controparte turca e, in terzo luogo, che sono «l’UE e la [Repubblica di] Turchia» che hanno concordato i punti di azione supplementari esposti nella suddetta dichiarazione. Occorre pertanto stabilire se l’uso di questi termini implichi, come sostiene il ricorrente, che i rappresentanti degli Stati membri hanno partecipato alla riunione del 18 marzo 2016 nella loro qualità di membri dell’istituzione «Consiglio europeo», ovvero se vi abbiano preso parte nella loro qualità di capo di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione.

56      A questo proposito, il Tribunale osserva che, mentre il comunicato stampa n. 144/16, per mezzo del quale è stata diffusa la dichiarazione UE-Turchia, nella versione web fornita dal ricorrente e allegata al ricorso, reca l’indicazione «Affari esteri e relazioni internazionali», la quale si riferisce in linea di principio ai lavori del Consiglio europeo, la versione in formato PDF di tale comunicato, fornita dal Consiglio europeo, contiene l’espressione «Vertice internazionale», che rinvia in principio alle riunioni dei capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione con i rappresentanti di paesi terzi. Di conseguenza, non si può trarre alcuna conclusione riguardo alla presenza di tali indicazioni.

57      Inoltre, per quanto riguarda il contenuto della dichiarazione UE-Turchia, l’uso dell’espressione «membri del Consiglio europeo» e l’indicazione secondo la quale è l’Unione che ha concordato punti di azione supplementari con la Repubblica di Turchia potrebbero effettivamente lasciar intendere che i rappresentanti degli Stati membri dell’Unione avessero agito, durante la riunione del 18 marzo 2016, nella loro qualità di membri dell’istituzione «Consiglio europeo» e, nonostante la mancanza di competenza legislativa di tale istituzione, come prevista espressamente dall’articolo 15, paragrafo 1, UE, avessero deciso di concludere giuridicamente un accordo con il suddetto Stato terzo al di fuori della procedura di cui all’articolo 218 TFUE.

58      Tuttavia, nella sua risposta del 18 novembre 2016, il Consiglio europeo spiega che l’espressione «membri del Consiglio europeo» contenuta nella dichiarazione UE-Turchia deve intendersi come un riferimento fatto ai capi di Stati o di governo degli Stati membri dell’Unione, in quanto questi ultimi compongono il Consiglio europeo. Inoltre, il riferimento, nella detta dichiarazione, al fatto che «l’UE e la [Repubblica di] Turchia» avevano concordato alcuni punti di azione supplementari si spiegherebbe con l’intento di semplificare i termini utilizzati per il grande pubblico nell’ambito di un comunicato stampa.

59      Orbene, secondo tale istituzione, il termine «UE», in questo contesto giornalistico, deve intendersi come riferito ai capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione. Al riguardo, il Consiglio europeo ha insistito sulla forma con cui è stata diffusa la dichiarazione UE-Turchia di cui trattasi nella fattispecie, vale a dire quella di un comunicato stampa che, per sua natura, avrebbe uno scopo meramente informativo e sarebbe privo di valore giuridico. Infatti, la parte convenuta sottolinea che tale supporto informativo viene prodotto a beneficio del grande pubblico dal servizio di stampa del segretariato generale del Consiglio. Ciò spiegherebbe, da un lato, l’apposizione, su alcuni documenti diffusi su Internet, come la versione web del comunicato stampa n. 144/16 relativo alla dichiarazione UE-Turchia fornita dal ricorrente, di una duplice intestazione «Consiglio europeo/Consiglio dell’Unione europea» e, dall’altro, il fatto che taluni documenti a volte sono caricati inavvertitamente su rubriche non appropriate del sito Internet condiviso da queste due istituzioni e dal presidente del Consiglio europeo.

60      A causa del pubblico destinatario di tale supporto informativo, il comunicato stampa che illustra la dichiarazione UE-Turchia farebbe uso intenzionale di formule semplificate, termini del linguaggio ordinario e sintesi. Questa volgarizzazione terminologica non potrebbe però essere usata per effettuare valutazioni giuridiche e normative e, in particolare, non potrebbe alterare il contenuto o la natura giuridica del procedimento cui essa si riferisce, ossia un vertice internazionale come indicato nella versione PDF del comunicato stampa relativo alla dichiarazione UE-Turchia.

61      Di conseguenza, secondo il Consiglio europeo, l’uso inappropriato dell’espressione «membri del Consiglio europeo» e del termine «UE» in un comunicato stampa come il comunicato n. 144/16 che illustra la dichiarazione UE-Turchia, non può influire in alcun modo sullo status giuridico e sul ruolo in cui i rappresentanti degli Stati membri hanno incontrato la loro controparte turca, nel caso di specie nella loro qualità di capi di Stato o di governo, né potrebbe impegnare l’Unione in alcun modo. La dichiarazione UE-Turchia, come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, in realtà, sarebbe soltanto un impegno politico dei capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione nei confronti della loro controparte turca.

62      Alla luce di siffatti chiarimenti del Consiglio europeo e tenuto conto dell’ambivalenza dell’espressione «membri del Consiglio europeo» e del termine «UE» figuranti nella dichiarazione UE-Turchia come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, è necessario far riferimento ai documenti relativi alla riunione del 18 marzo 2016 per stabilirne la portata.

63      Orbene, a questo proposito, il Tribunale constata che i documenti ufficiali relativi alla riunione del 18 marzo 2016, prodotti dal Consiglio europeo su richiesta del Tribunale, dimostrano che due eventi distinti, la sessione di tale istituzione e un vertice internazionale, sono stati organizzati in modo parallelo seguendo vie diverse sul piano giuridico, protocollare e organizzativo a conferma della natura giuridica distinta dei due eventi suddetti.

64      Infatti, da un lato, nelle sue risposte ai quesiti del Tribunale fornite il 18 novembre 2016, il Consiglio europeo, producendo i diversi supporti stampa di cui ha curato la diffusione, ha chiarito che la sessione del Consiglio europeo doveva inizialmente svolgersi in due giornate ma che, tenuto conto degli eventi migratori intervenuti, era stato deciso di dedicare una sola giornata a tale sessione, ossia quella del 17 marzo 2016 e di sostituire la seconda giornata di sessione del Consiglio europeo inizialmente prevista, ossia quella del 18 marzo 2016, con una riunione tra i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione e la loro controparte turca, riunione che, per ragioni di costi, di sicurezza e di efficacia, si era svolta nello stesso edificio utilizzato per le riunioni del Consiglio europeo e quelle del Consiglio.

65      D’altro lato, emerge in particolare dall’invito trasmesso il 9 marzo 2016 dal presidente del Consiglio europeo ai diversi Stati membri dell’Unione che i «membri del Consiglio europeo» erano invitati il 17 marzo 2016 ad una sessione del Consiglio europeo i cui lavori erano previsti dalle 16.45 alle 19.30 seguiti da una cena mentre, per quanto riguarda la giornata del 18 marzo 2016, l’arrivo dei «capi di Stato o di governo dell’U[nione] e del capo di governo della Turchia» era previsto tra le 9.15 e le 9.45, seguito da una «colazione di lavoro per i capi di Stato o di governo dell’U[nione] e del capo di governo della Turchia» alle 10.00. Una nota dell’11 marzo 2016, inviata dal segretariato generale del Consiglio alla missione della Repubblica di Turchia presso l’Unione descrive negli stessi termini lo svolgimento della riunione del 18 marzo 2016 invitando il Primo ministro turco ad una riunione con i capi di Stato o di governo dell’Unione e non con i membri del Consiglio europeo.

66      Inoltre, una nota del 18 marzo 2016 della direzione del protocollo e delle riunioni della direzione generale «Amministrazione» del Consiglio, intitolata «Programma di lavoro del servizio del protocollo», indica da parte sua, per quanto riguarda la riunione del 18 marzo 2016, che l’arrivo dei «membri del Consiglio europeo, del Primo ministro della Repubblica di Turchia e dell’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza» avrebbe avuto luogo senza ordine protocollare tra le 12.00 e le 12.45 e che una «colazione di lavoro per i membri del Consiglio europeo e dell’alto rappresentante» sarebbe stata offerta a partire dalle 13.00 senza menzionare la presenza del Primo ministro turco. Per contro, tale nota prodotta dal servizio incaricato del protocollo invitava i partecipanti ad una «sessione di lavoro dei capi di Stato o di governo e dell’alto rappresentante dell’U[nione] con il Primo ministro della Turchia» che si sarebbe svolta a partire dalle 15.00, a conferma del fatto che era in tale ultima qualità, e non nella loro qualità di membri del Consiglio europeo, che i rappresentanti degli Stati membri dell’Unione erano chiamati ad incontrare la controparte turca.

67      Questi documenti trasmessi ufficialmente agli Stati membri dell’Unione e alla Repubblica di Turchia dimostrano quindi che, nonostante i termini malauguratamente ambigui della dichiarazione UE-Turchia come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, è nella loro qualità di capi di Stato o di governo degli Stati membri che i rappresentanti dei suddetti Stati membri hanno incontrato il Primo ministro turco il 18 marzo 2016 all’interno dei locali condivisi dal Consiglio europeo e dal Consiglio, ossia nel palazzo Justus Lipsius.

68      A questo proposito, il fatto che il presidente del Consiglio europeo e quello della Commissione, non formalmente invitati, siano stati comunque presenti durante il suddetto incontro non può permettere di considerare che, a causa della presenza di tutti i suddetti membri del Consiglio europeo, la riunione del 18 marzo 2016 si sarebbe svolta tra il Consiglio europeo e il Primo ministro turco.

69      Infatti, facendo rinvio a numerosi documenti prodotti dal suo presidente, il Consiglio europeo ha indicato che, in pratica, i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione affidavano a quest’ultimo un compito di rappresentanza e di coordinamento dei negoziati con la Repubblica di Turchia a loro nome, il che spiegava la presenza di quest’ultimo alla riunione del 18 marzo 2016. Del pari, la presenza del Presidente della Commissione durante la suddetta riunione si spiegherebbe con il fatto che tale riunione rientrava nel proseguimento del dialogo politico con la Repubblica di Turchia iniziato dalla Commissione nell’ottobre 2015 su invito dei capi di Stato o di governo dell’Unione fatto il 23 settembre 2015. Orbene, come giustamente sottolineato dal Consiglio europeo, tali documenti si riferiscono, esplicitamente e ripetutamente, per quanto riguarda i lavori del 18 marzo 2016, a una riunione dei capi di Stato o di governo dell’Unione con la loro controparte turca e non a una sessione del Consiglio europeo. In particolare, è questo il caso della dichiarazione n. 151/16 del presidente del Consiglio europeo, comunicata subito dopo la riunione del 18 marzo 2016, intitolata «Osservazioni del Presidente Donald Tusk a seguito della riunione tra i capi di Stato o di governo dell’U[nione] con la Turchia».

70      Ciò premesso, il Tribunale considera che l’espressione «membri del Consiglio europeo» e il termine «UE», figuranti nella dichiarazione UE-Turchia come diffusa per mezzo del comunicato stampa n 144/16, debbono intendersi come riferimenti ai capi di Stato o di governo dell’Unione che, come nel corso della prima e della seconda riunione dei capi di Stato o di governo del 29 novembre 2015 e del 7 marzo 2016, si sono riuniti con la loro controparte turca e hanno concordato nuove misure operative per ristabilire l’ordine pubblico, essenzialmente sul territorio greco, corrispondenti a quelle già invocate o indicate precedentemente nelle dichiarazioni pubblicate nella forma di comunicati stampa al termine della prima e della seconda riunione dei capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione con la controparte turca. Ciò è confermato dal fatto che la dichiarazione adottata al termine della seconda riunione dei capi di Stato o di governo, svoltasi il 29 novembre 2015, utilizzava ugualmente e senza variazioni il termine «UE» e l’espressione «dirigenti europei» per indicare i rappresentanti degli Stati membri dell’Unione, agenti in qualità di capi di Stato o di governo di tali Stati membri, durante la suddetta riunione del 29 novembre 2015, analoga a quella del 18 marzo 2016.

71      Da questo contesto complessivo che ha preceduto la pubblicazione online sul sito Internet del Consiglio del comunicato stampa n. 144/16 contenente la dichiarazione UE-Turchia emerge che, per quanto riguarda la gestione della crisi migratoria, il Consiglio europeo, in quanto istituzione, non ha adottato alcuna decisione di concludere un accordo con il governo turco a nome dell’Unione, né che ha impegnato l’Unione ai sensi dell’articolo 218 TFUE. Di conseguenza, il Consiglio europeo non ha adottato un atto corrispondente all’atto impugnato, così come descritto dal ricorrente e il cui contenuto sarebbe stato esposto nel suddetto comunicato stampa.

72      Dall’insieme delle considerazioni che precedono deriva che, a prescindere dalla questione se costituisca, come sostenuto dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, una dichiarazione di natura politica o, al contrario, come sostenuto dal ricorrente, un atto idoneo a produrre effetti giuridici obbligatori, la dichiarazione UE-Turchia, come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, non può essere considerata come un atto adottato dal Consiglio europeo, né peraltro da un’altra istituzione, organo o organismo dell’Unione o come prova dell’esistenza di un simile atto e che corrisponderebbe all’atto impugnato.

73      Ad abundantiam, alla luce del riferimento, contenuto nella dichiarazione UE-Turchia, al fatto che «l’UE e la [Repubblica di] Turchia avevano concordato punti di azione supplementari», il Tribunale considera che, anche supponendo che un accordo internazionale possa essere stato concluso informalmente nel corso della riunione del 18 marzo 2016, circostanza che, nel caso di specie, è stata negata dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, tale accordo sarebbe intervenuto tra i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione e il Primo ministro turco.

74      Orbene, nell’ambito di un ricorso ai sensi dell’articolo 263 TFUE, il Tribunale non è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un accordo internazionale stipulato dagli Stati membri (sentenza del 5 maggio 2015, Spagna/Parlamento e Consiglio, C‑146/13, EU:C:2015:298, punto 101).

75      Occorre pertanto accogliere l’eccezione di incompetenza sollevata dal Consiglio europeo, ricordando che l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non mira a modificare il sistema di controllo giurisdizionale previsto dai Trattati (sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 97).

76      Poiché l’eccezione di incompetenza è stata accolta e il ricorso dev’essere conseguentemente respinto, non è necessario statuire sulle domande di intervento presentate da NQ, NR, NS, NT, NU e NV, da Amnesty International nonché dal Regno del Belgio, dalla Repubblica ellenica e dalla Commissione.

 Sulle spese

77      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 135, paragrafo 1, del medesimo regolamento, per ragioni di equità, il Tribunale può decidere che una parte soccombente sostenga, oltre alle proprie spese, soltanto una quota delle spese dell’altra parte, oppure che non debba essere condannata a tale titolo.

78      Tenuto conto delle circostanze della presente causa, in particolare della formulazione ambigua del comunicato stampa n. 144/16, il Tribunale considera equo decidere che ciascuna parte debba sopportare le proprie spese.

79      Ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 10, del regolamento di procedura, se la causa principale si conclude prima della decisione sull’istanza di intervento, le spese dell’istante e delle parti principali relative all’istanza di intervento sono compensate. Di conseguenza, NG, il Consiglio europeo nonché NQ, NR, NS, NT, NU e NV, nonché Amnesty International, il Regno del Belgio, la Repubblica ellenica e la Commissione dovranno sopportare le proprie spese relative alle domande di intervento.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

così provvede:

1)      Il ricorso è respinto per l’incompetenza del Tribunale a conoscere dello stesso.

2)      Non vi è luogo a statuire sulle istanze di intervento presentate da NQ, NR, NS, NT, NU e NV nonché da Amnesty International, dal Regno del Belgio, dalla Repubblica ellenica e dalla Commissione europea.

3)      NG e il Consiglio europeo sopportano le proprie spese.

4)      NQ, NR, NS, NT, NU e NV nonché Amnesty International, il Regno del Belgio, la Repubblica ellenica e la Commissione sopportano le proprie spese.

Lussemburgo, 28 febbraio 2017

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

I. Pelikánová


*      Lingua processuale: l’inglese.