Language of document : ECLI:EU:T:2004:360

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione Ampliata)
14 dicembre 2004 (1)

«Politica commerciale comune  –  Organizzazione mondiale del commercio (OMC)  –  Regolamento (CE) n. 3286/94  –  Ostacoli agli scambi   –  Senape preparata –  Chiusura della procedura d'esame relativa agli ostacoli agli scambi  –  Interesse comunitario»

Nella causa T‑317/02,

Fédération des industries condimentaires de France (FICF), con sede in Parigi (Francia),

Confédération générale des producteurs de lait de brebis et des industriels de Roquefort, con sede in Millau (Francia),

Comité économique agricole régional « fruits et légumes de la région Bretagne » (Cerafel), con sede in Morlaix (Francia),

Comité national interprofessionnel des palmipèdes à foie gras (CIFOG), con sede in Parigi (Francia),

rappresentati dagli avv.ti  O. Prost e M.-J. Jacquot,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. P‑J. Kuijper e dalla sig.ra G. Boudot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione della Commissione 9 luglio 2002, 2002/604/CE, che chiude la procedura d'esame relativa agli ostacoli agli scambi, ai sensi del regolamento (CE) n. 3286/94 del Consiglio, consistenti in talune pratiche commerciali mantenute dagli Stati Uniti d'America («USA») in relazione alle importazioni di senape preparata (GU L 195, pag. 72),



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione Ampliata),



composto dal sig. B. Vesterdorf, presidente, dal sig. P. Mengozzi, dalla sig.ra M.E. Martins Ribeiro, dal sig. F. Dehousse e dalla sig.ra  I. Labucka, giudici,

cancelliere: sig. H. Jung

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 settembre 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Contesto giuridico

1
L’art. 1 del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3286, che stabilisce le procedure comunitarie nel settore della politica commerciale comune al fine di garantire l’esercizio dei diritti della Comunità nell’ambito delle norme commerciali internazionali, in particolare di quelle istituite sotto gli auspici dell’Organizzazione mondiale del commercio (GU L 349, pag. 71), come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 20 febbraio 1995, n. 356 (GU L 41, pag. 3; in prosieguo: il «regolamento n. 3286/94»), stabilisce quanto segue:

«Il presente regolamento istituisce le procedure della Comunità in materia di politica commerciale comune per garantire l’esercizio dei diritti della Comunità ai sensi delle norme commerciali internazionali, in particolare di quelle istituite sotto gli auspici dell’Organizzazione mondiale del commercio che, nell’osservanza degli obblighi e delle procedure internazionali vigenti, consentono di:

(...)

b) reagire agli ostacoli agli scambi che incidono sul mercato di un paese terzo al fine di eliminare i conseguenti effetti negativi sugli scambi.

Tali procedure si applicano in particolare all’apertura, al successivo espletamento e alla chiusura delle procedure internazionali di risoluzione delle controversie nel settore della politica commerciale comune».

2
L’art. 2 del regolamento n. 3286/94 così recita:

«1.    Ai fini del presente regolamento per “ostacoli agli scambi” si intende qualsiasi pratica commerciale adottata o mantenuta da un paese terzo in relazione alla quale le norme commerciali internazionali istituiscono un diritto di agire. Tale diritto di agire esiste quando le norme commerciali internazionali vietano esplicitamente una pratica o riconoscono ad un’altra parte danneggiata da una pratica il diritto di chiedere che siano eliminati gli effetti della pratica in questione.

2.      Ai fini del presente regolamento, e salvo il paragrafo 8, per “diritti della Comunità” si intendono i diritti di cui essa può avvalersi, in materia di commercio internazionale, ai sensi delle norme commerciali internazionali. In questo contesto, per “norme commerciali internazionali” si intendono anzitutto le norme istituite sotto gli auspici dell’OMC e specificate negli allegati dell’accordo OMC, ma esse possono essere anche quelle specificate in qualsiasi altro accordo di cui la Comunità sia parte e che specifichi norme applicabili agli scambi tra la Comunità e i paesi terzi.

(…)

4.      Ai fini del presente regolamento, per “effetti negativi sugli scambi” si intendono gli effetti che un ostacolo agli scambi arreca o minaccia di arrecare, in relazione a un prodotto o a un servizio, a imprese della Comunità sul mercato di qualsiasi paese terzo, e che hanno un effetto notevole sull’economia della Comunità, di una regione della Comunità o di un settore di attività economica ivi esistente. Il fatto che il denunciante risenta di tali effetti negativi non si considera di per sé sufficiente a giustificare l’avvio di qualsiasi azione da parte delle istituzioni comunitarie.

(…)».

3
L’art. 4 del regolamento n. 3286/94 dispone quanto segue:

«1.    Ogni impresa comunitaria nonché ogni associazione, avente o meno personalità giuridica, che agisce a nome di una o più imprese comunitarie e che ritiene che tali imprese comunitarie abbiano subito effetti negativi sugli scambi a seguito di ostacoli agli scambi che incidono sul mercato di un paese terzo può presentare una denuncia per iscritto. Tuttavia, tale denuncia è ammissibile soltanto se l’ostacolo agli scambi che ne è l’oggetto dà diritto ad un’azione legale in base a norme commerciali internazionali fissate in un accordo commerciale multilaterale o plurilaterale.

2.      La denuncia deve contenere sufficienti elementi di prova relativi all’esistenza degli ostacoli agli scambi e ai conseguenti effetti negativi sugli scambi. Questi ultimi devono essere dimostrati, ove appropriato, sulla base dell’elenco illustrativo di fattori indicato all’articolo 10».

4
L’art. 5 del regolamento n. 3286/94, rubricato «Procedura di denuncia», recita come segue:

«1.    La denuncia è presentata alla Commissione, che ne invia una copia agli Stati membri.

2.      La denuncia può essere ritirata, nel qual caso il procedimento può essere concluso, a meno che ciò non sia contrario all’interesse della Comunità.

3.      Quando si constata, previe consultazioni, che la denuncia non fornisce elementi di prova sufficienti per giustificare l’avvio di un’inchiesta, il denunciante ne viene informato.

4.      La Commissione decide non appena possibile l’apertura di una procedura comunitaria d’esame a seguito di una denuncia presentata conformemente agli articoli 3 o 4; la decisione viene normalmente presa entro 45 giorni dalla presentazione della denuncia; questo periodo può essere sospeso, su richiesta o con il consenso del denunciante, per consentire l’acquisizione di informazioni complementari eventualmente necessarie ai fini di una completa valutazione della validità delle sue ragioni».

5
L’art. 7, n. 1, del regolamento n. 3286/94, prevede quanto segue:

«Ai fini delle consultazioni a norma del presente regolamento, è istituito un comitato consultivo, in appresso denominato “comitato”, composto da rappresentanti di ciascuno Stato membro e presieduto da un rappresentante della Commissione».

6
L’art. 8 del regolamento n. 3286/94 stabilisce:

«1. Se, al termine delle consultazioni, la Commissione ritiene che esistano elementi di prova sufficienti per giustificare l’apertura di una procedura d’esame e che ciò sia necessario nell’interesse della Comunità, la Commissione procede come segue:

a)      annuncia l’apertura di una procedura d’esame nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee; questo avviso indica il prodotto o servizio e i paesi interessati, fornisce un riassunto delle informazioni ricevute, precisa che ogni informazione utile deve essere comunicata alla Commissione e stabilisce il termine entro il quale le parti interessate possono [far conoscere i loro punti di vista per iscritto e] chiedere di essere sentite dalla Commissione, conformemente al paragrafo 5;

b)      informa ufficialmente i rappresentanti del paese o dei paesi oggetto della procedura con i quali, se necessario, possono tenersi consultazioni;

c)      effettua l’esame a livello comunitario, in collaborazione con gli Stati membri.

(…)

4. a) La Commissione offre ai denuncianti, agli esportatori e agli importatori interessati, nonché ai rappresentanti del paese o dei paesi esportatori o importatori interessati, la possibilità di prendere visione di tutte le informazioni ad essa fornite, tranne i documenti ad uso interno della Commissione e delle amministrazioni, purché tali informazioni siano pertinenti per la tutela dei loro interessi, non siano riservate ai sensi dell’articolo 9 e siano utilizzate dalla Commissione nella sua procedura d’esame. Gli interessati presentano a tal fine una domanda scritta motivata alla Commissione, indicando le informazioni desiderate.

b)      I denuncianti, gli esportatori e gli importatori interessati, nonché i rappresentanti del paese o dei paesi esportatori o importatori interessati, possono chiedere di essere informati dei fatti e delle considerazioni essenziali risultanti dalla procedura d’esame.

5.      La Commissione può sentire le parti interessate. Queste ultime debbono essere sentite, quando lo richiedano per iscritto entro il termine fissato dall’avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee e quando dimostrino di essere parti direttamente interessate all’esito della procedura.

(…)

8.      Terminato l’esame, la Commissione sottopone una relazione al comitato. La relazione deve essere presentata di norma entro i cinque mesi successivi all’avviso di apertura, salvo quando la complessità dell’esame induca la Commissione a portare tale termine a sette mesi».

7
L’art. 10 del regolamento n. 3286/94, relativo all’esame degli elementi di prova, dispone:

«(…)

4.      Qualora sia asserita l’esistenza di effetti negativi sugli scambi, la Commissione esamina l’impatto[, reale o potenziale,] di tali effetti negativi sull’economia della Comunità o di una regione della Comunità o su un settore dell’attività economica ivi svolta. A tal fine la Commissione può tener conto, ove opportuno, del tipo di fattori di cui sopra ai paragrafi 1 e 2. Effetti negativi sugli scambi possono sorgere, tra l’altro, in situazioni in cui le correnti di scambio relative ad un prodotto o servizio siano impedite, intralciate o deviate in seguito ad un qualsiasi ostacolo agli scambi, oppure da situazioni in cui ostacoli agli scambi abbiano compromesso in misura notevole la fornitura di fattori di produzione (ad esempio pezzi e componenti o materie prime) alle imprese comunitarie. Quando è asserita l’esistenza di una minaccia di effetti negativi sugli scambi, la Commissione esamina altresì se sia chiaramente prevedibile che una situazione particolare possa trasformarsi in reali effetti negativi sugli scambi.

5.      Nell’esaminare gli elementi di prova relativi agli effetti negativi sugli scambi, la Commissione tiene altresì conto delle disposizioni, dei principi o delle pratiche che regolano il diritto di agire nel quadro delle pertinenti norme commerciali internazionali di cui all’articolo 2, paragrafo 1.

(…)».

8
Ai termini dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94:

«1.    Qualora dalla procedura d’esame risulti che non è necessario intraprendere un’azione nell’interesse della Comunità, la chiusura del procedimento è decisa secondo le disposizioni dell’articolo 14».

9
L’art. 12 del regolamento n. 3286/94 stabilisce quanto segue:

«1.    Qualora, a meno che la situazione di fatto e di diritto sia tale da non richiedere una procedura d’esame, risulti da detta procedura che un’azione è necessaria nell’interesse della Comunità per garantire l’esercizio dei diritti della Comunità nel quadro delle norme commerciali internazionali, al fine di eliminare (...) gli effetti negativi sugli scambi derivanti da ostacoli agli scambi introdotti o mantenuti da paesi terzi, le misure del caso sono disposte secondo la procedura di cui all’articolo 13.

(…)».

10
L’art. 14 del regolamento n. 3286/94 così dispone:

«1.    Qualora sia fatto riferimento alla procedura di cui al presente articolo, la questione è sottoposta al comitato dal suo presidente.

2.      Il rappresentante della Commissione sottopone al comitato un progetto della decisione da adottare. Il comitato delibera entro un termine che il presidente può fissare in funzione dell’urgenza della questione in esame.

3.      La Commissione adotta una decisione che comunica agli Stati membri e che è applicabile allo scadere di un termine di dieci giorni qualora entro tale termine nessuno Stato membro abbia deferito la questione al Consiglio.

4.      A richiesta di uno Stato membro il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può modificare la decisione della Commissione.

5.      La decisione della Commissione si applica allo scadere di un termine di trenta giorni a decorrere dal giorno in cui la questione è stata deferita al Consiglio, qualora questo non abbia deliberato entro tale termine».


Fatti all’origine della controversia

11
Fra il 1981 e il 1996 il Consiglio ha adottato numerose direttive nell’ambito della lotta contro l’utilizzazione nei mangimi di talune sostanze ad azione ormonica, perseguendo segnatamente l’obiettivo di tutelare la salute umana.

12
Gli Stati Uniti d’America (in prosieguo: gli «Stati Uniti») hanno avviato dinanzi agli organi dell’OMC una procedura di risoluzione delle controversie allo scopo di contestare la conformità delle disposizioni comunitarie con le norme di tale organizzazione.

13
Il 18 agosto 1997 un panel ha dichiarato tale normativa comunitaria in contrasto con le norme dell’OMC.

14
Il 16 gennaio 1998 l’organo di appello ha adottato una relazione che conferma tale decisione.

15
In seguito all’adozione di tale relazione da parte dell’organo di conciliazione (in prosieguo: l’«ODC»), il 13 febbraio 1998, con decisione arbitrale, il termine per adeguare la normativa comunitaria alle norme dell’OMC è stato fissato al 13 maggio 1999.

16
Poiché la Comunità europea non ha modificato la normativa nel termine stabilito, il 3 giugno 1999 gli Stati Uniti hanno domandato all’ODC l’autorizzazione a sospendere le concessioni tariffarie, in conformità all’art. 22, n. 2, dell’intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie, allegato all’accordo istitutivo dell’OMC (in prosieguo: l’«intesa sulla risoluzione delle controversie»), per un ammontare annuo di dollari statunitensi (USD) 202 milioni. Contemporaneamente, gli Stati Uniti hanno redatto una lista di prodotti suscettibili di essere sottoposti a una sospensione delle concessioni tariffarie, fra i quali la senape preparata.

17
In seguito a una decisione arbitrale del 12 luglio 1999, vertente sull’ammontare totale della sospensione delle concessioni tariffarie, il 26 luglio 1999 l’ODC ha autorizzato gli Stati Uniti a sospendere le dette concessioni per un importo di USD 116,8 milioni all’anno e a colpire con un dazio doganale addizionale del 100% un certo numero di prodotti provenienti dagli Stati membri della Comunità europea, fra cui la senape preparata. Tuttavia gli Stati Uniti hanno deciso di non applicare la sospensione delle concessioni tariffarie ai prodotti provenienti dal Regno Unito.

18
Il 7 giugno 2001 la Fédération des industries condimentaires de France (in prosieguo: la «FICF» o la «denunciante»), che riunisce i principali produttori francesi di senape preparata, ha presentato una denuncia alla Commissione europea, in conformità dell’art. 4 del regolamento n. 3286/94.

19
In particolare, tale denuncia precisava che l’applicazione selettiva delle misure di ritorsione americane era in contrasto con l’art. 22 dell’intesa sulla risoluzione delle controversie, nel senso che le misure di sospensione delle concessioni tariffarie autorizzate dall’ODC possono essere applicate esclusivamente nei confronti del «membro interessato» previamente condannato – nella fattispecie la Comunità europea nella sua interezza – e non limitatamente a taluni Stati membri. Nella denuncia si asseriva altresì che l’ostacolo agli scambi creato dagli Stati Uniti comportava effetti negativi sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94, nei confronti delle esportazioni di senape preparata delle imprese facenti parte della FICF e che era nell’interesse della Comunità avviare un procedimento contro le misure americane, in conformità del regolamento n. 3286/94.

20
Alla luce degli elementi di prova apportati dalla denunciante, la Commissione, il 1° agosto 2001, ha pubblicato l’avviso di apertura di una procedura d’esame, in conformità dell’art. 8 del regolamento n. 3286/94, relativa ad un ostacolo agli scambi consistente in talune pratiche commerciali mantenute dagli Stati Uniti in relazione alle importazioni di senape preparata (GU 2001, C 215, pag. 2).

21
Tale avviso precisava, al punto 2, che «[l’]esame che la Commissione sta avviando potrà inoltre riguardare altri prodotti che si trovano in una situazione analoga alla senape preparata, in particolare quelli relativamente ai quali le parti interessate che si sono manifestate entro [un termine di trenta giorni dalla pubblicazione del presente avviso] hanno dimostrato essere parimenti oggetto delle pratiche asserite».

22
Parecchie organizzazioni imprenditoriali si sono manifestate presso la Commissione entro il termine stabilito, fra cui il Comité national interprofessionnel des palmipèdes à foie gras, la Confédération générale des producteurs de lait de brebis et des industriels de Roquefort e il Comité économique agricole régional «fruits et légumes de la région Bretagne». In seguito a tali manifestazioni di interesse, la Commissione, in applicazione del punto 2 dell’avviso di apertura, ha deciso di estendere la procedura d’esame al foie gras, al roquefort e agli scalogni.

23
Il 6 marzo 2002, al termine del suo esame, la Commissione ha informato il comitato previsto dall’art. 7 del regolamento n. 3286/94 delle conclusioni della sua inchiesta; poi, il 27 marzo 2002, gli ha trasmesso una relazione d’esame. Tale relazione proponeva la chiusura della procedura.

24
Il 23 aprile 2002, la Commissione ha inviato al difensore della FICF una versione non confidenziale della relazione d’esame. Nella lettera la Commissione precisava che il comitato previsto dall’art. 7 del regolamento n. 3286/94 aveva approvato la proposta di chiudere la procedura e che, di conseguenza, una decisione in tal senso sarebbe stata pubblicata nel prossimo futuro sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

25
Con lettera del 17 maggio 2002, uno dei difensori della FICF ha accusato ricevuta della relazione d’esame. In tale lettera egli ha manifestato sorpresa per il tempo impiegato dalla Commissione per inviargli tale relazione e per definire la futura decisione della questione. Prendendo atto del fatto che la Commissione nella lettera del 23 aprile 2002 segnalava che una decisione sarebbe stata presa nel prossimo futuro, il difensore della FICF ha concluso che la Commissione non concedeva un diritto di replica alla denunciante, comportamento che gli pareva in contrasto col rispetto dei diritti della difesa.

26
Nella sua risposta a tale lettera, datata 4 giugno 2002, la Commissione ha affermato di avere pienamente rispettato le disposizioni del regolamento n. 3286/94, in particolare l’art. 8, nn. 4 e 8. A tale riguardo la Commissione ha rilevato che la denunciante non le aveva mai presentato una domanda ai sensi dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 3286/94. La Commissione ha altresì ricordato alla denunciante di averla regolarmente tenuta informata sull’evoluzione della questione e che essa era al corrente dell’esito della procedura d’esame ben prima della data di trasmissione ufficiale della relazione d’esame.

27
Il 6 giugno 2002 il Comité économique agricole régional «fruits et légumes de la région Bretagne» ha inviato una lettera alla Commissione con la quale anzitutto manifestava meraviglia per non aver ricevuto direttamente la relazione d’esame, che gli era stata trasmessa per il tramite dei suoi difensori. Esso esprimeva poi il proprio disaccordo circa l’annunciata chiusura della procedura d’esame e, infine, affermava che l’annuncio della prossima adozione della decisione di chiudere la procedura d’esame non gli permetteva l’esercizio del diritto di replica nei confronti delle conclusioni contenute nella relazione d’esame.

28
Il 7 giugno 2002 la Confédération générale des producteurs de lait de brebis et des industriels de Roquefort ha inviato alla Commissione una lettera sostanzialmente identica a quella inviata dal Comité économique agricole régional «fruits et légumes de la région Bretagne».

29
Con lettere del 14 giugno 2002, la Commissione ha inviato una versione non confidenziale della relazione d’esame alla Confédération générale des producteurs de lait de brebis et des industriels de Roquefort e al Comité économique agricole régional «fruits et légumes de la région Bretagne», ricordando a tali organizzazioni imprenditoriali che erano intervenute nel procedimento unicamente in quanto parti interessate, ragione per la quale la Commissione non aveva ritenuto di dover trasmettere loro direttamente la relazione d’esame, la quale oltretutto era un documento pubblico. Nelle sue lettere la Commissione ha altresì affermato di avere in ogni caso rispettato le disposizioni dell’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94, di avere regolarmente tenuto informati i difensori delle due organizzazioni sull’evoluzione della questione e che questi erano al corrente dell’esito della procedura d’esame ben prima della data di trasmissione ufficiale della relazione d’esame. La Commissione, infine, ha sottolineato che la decisione di chiusura della procedura d’esame sarebbe stata adottata nel prossimo futuro.

30
Il 9 luglio 2002 la Commissione ha adottato la decisione 2002/604/CE, che chiude la procedura d’esame relativa agli ostacoli agli scambi, ai sensi del regolamento (CE) n. 3286/94 del Consiglio, consistenti in talune pratiche commerciali mantenute dagli Stati Uniti d’America («USA») in relazione alle importazioni di senape preparata (GU L 195, pag. 72; in prosieguo: la «decisione impugnata»). La decisione impugnata è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee il 27 luglio 2002.

31
Nel sesto ‘considerando’ della decisione impugnata la Commissione ha rilevato quanto segue:

«La procedura d’esame ha portato alla conclusione che i presunti effetti negativi sugli scambi non sembrano derivare dall’ostacolo agli scambi menzionato nella denuncia, cioè dalla pratica adottata dagli USA di applicare una revoca selettiva delle concessioni nei confronti di alcuni Stati membri, ma non di tutti (cosiddette «sanzioni selettive»). In effetti, dall’inchiesta non è emersa alcuna prova del fatto che rendere applicabile anche al Regno Unito la sospensione delle concessioni comporterebbe per il denunziante maggiori opportunità di esportazione di senape preparata verso il mercato statunitense. Di conseguenza, nessun effetto negativo sugli scambi, secondo la definizione contenuta nel regolamento, può essere attribuito all’ostacolo agli scambi menzionato nella denuncia, fatta eccezione per gli effetti derivanti dalla sospensione di concessioni autorizzat[a] e applicat[a] a buon diritto dagli USA in conformità dell’accordo dell’OMC. Pertanto, in conformità dell’articolo 11 del regolamento [n. 3286/94], la procedura d’esame ha dimostrato che non è necessario intraprendere, nell’interesse della Comunità, un’azione specifica nei confronti del presunto ostacolo agli scambi ai sensi del regolamento stesso».

32
Di conseguenza, la Commissione, nell’articolo unico della decisione impugnata, ha deciso di chiudere la procedura d’esame aperta il 1° agosto 2001.


Procedimento e conclusioni delle parti

33
Con ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 16 ottobre 2002, la FICF, la Confédération générale des producteurs de lait de brebis et des industriels de Roquefort, il Comité national interprofessionnel des palmipèdes à foie gras e il Comité économique agricole régional «fruits et légumes de la région Bretagne» (in prosieguo: i «ricorrenti») hanno introdotto il presente ricorso.

34
In applicazione dell’art. 14 del regolamento di procedura del Tribunale e su proposta della Prima Sezione, il Tribunale, sentite le parti in conformità dell’art. 51 del detto regolamento, ha deciso di rinviare la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

35
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione ampliata) ha deciso di aprire la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha invitato le parti a rispondere ad alcuni quesiti e a produrre alcuni documenti.

36
Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti del Tribunale in occasione dell’udienza del 14 settembre 2004.

37
I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata;

condannare la Commissione alle spese.

38
La Comissione conclude che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare i ricorrenti alle spese.


Sulla ricevibilità

39
Pur senza sollevare un’eccezione di irricevibilità contro il presente ricorso, la Commissione ha circoscritto i suoi atti scritti alla situazione della FICF, unica organizzazione ad aver depositato una denuncia presso la Commissione in conformità dell’art. 4 del regolamento n. 3286/94, escludendo la situazione delle altre organizzazioni imprenditoriali, intervenute nella procedura d’esame in qualità di parti interessate.

40
A tale proposito occorre rilevare che i ricorrenti hanno presentato un unico atto introduttivo. Ora, da giurisprudenza costante risulta che, quando si tratta di un unico ricorso, l’accertamento della sua ricevibilità relativamente ad un solo ricorrente dispensa dalla necessità di esaminare la legittimazione ad agire degli altri ricorrenti, poiché è sufficiente che almeno uno dei ricorrenti integri i presupposti enunciati nell’art. 230 CE (v., in questo senso, sentenza della Corte 24 marzo 1993, causa C‑313/90, CIRFS e a./Commissione, Racc. pag. I‑1125, punto 31; sentenze del Tribunale 27 aprile 1995, causa T‑12/93, CCE de Vittel e a./Commissione, Racc. pag. II‑1247, punto 44, e 15 settembre 1998, cause riunite T‑374/94, T‑375/94, T‑384/94 e T‑388/94, European Night Services e a./Commissione, Racc. pag. II‑3141, punto 61).

41
Ora, occorre precisare che l’art. 4 del regolamento n. 3286/94 ha inteso permettere, segnatamente, a ogni associazione che agisca in nome di una o più imprese della Comunità – come, nel caso di specie, la FICF, che agisce in nome dei produttori francesi di senape preparata – di invocare, nella denuncia presentata alla Commissione, il diritto di valersi delle norme commerciali internazionali, contenute in un accordo commerciale multilaterale o plurilaterale, alle condizioni precisate dal detto regolamento, nonché di valersi delle garanzie procedurali previste dalle disposizioni di questo stesso regolamento. L’insieme di queste garanzie implica che un denunciante, nel senso dell’art. 4 del regolamento n. 3286/94, ha il diritto di sottoporre al controllo del Tribunale una decisione della Commissione che chiude una procedura d’esame aperta in seguito al deposito della sua denuncia.

42
Ne segue che la FICF, che ha presentato una denuncia alla Commissione in base all’art. 4 del regolamento n. 3286/94, è legittimata a impugnare la decisione impugnata dinanzi al Tribunale e che, di conseguenza, trattandosi di un unico ricorso, non occorre esaminare la legittimazione ad agire degli altri ricorrenti.


Nel merito

43
I ricorrenti deducono otto motivi a sostegno del ricorso. Il primo motivo attiene alla violazione dell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94; il secondo motivo concerne la violazione dell’art. 2, n. 4, del regolamento n. 3286/94; il terzo motivo attiene alla violazione dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94; il quarto motivo attiene alla violazione dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94; il quinto motivo attiene al difetto di motivazione della decisione impugnata; il sesto motivo attiene ad errori manifesti di valutazione dei fatti e alla violazione dell’art. 2, n. 4, e dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94; il settimo motivo attiene alla violazione dei diritti della difesa; infine, l’ottavo motivo concerne la violazione dell’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 e la violazione del dovere di diligenza della Commissione.

Sul primo motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94

Argomenti delle parti

44
Secondo i ricorrenti, la definizione di «ostacolo agli scambi», come risulta dall’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94, si basa su due elementi nettamente identificabili e inscindibili, cioè un elemento materiale («qualsiasi pratica commerciale adottata o mantenuta da un paese terzo») e un elemento di illegalità («un diritto di agire» attribuito alla Comunità europea). Ora, ad avviso dei ricorrenti, la decisione impugnata ha limitato tale definizione al solo elemento dell’illegalità, cioè all’applicazione «selettiva» da parte degli Stati Uniti della sospensione delle concessioni tariffarie. Secondo i ricorrenti, l’approccio adottato dalla Commissione non solamente viola l’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94, ma snatura altresì la portata della denuncia presentata dalla FICF e l’avviso di apertura della procedura d’esame. Al contrario di ciò che sembra sostenere la Commissione, le misure di sospensione delle concessioni tariffarie prese dagli Stati Uniti non potrebbero essere scisse, da una parte, nelle misure autorizzate dall’ODC e applicate dagli Stati Uniti e, dall’altra, nell’ostacolo agli scambi allegato dalla denunciante, cioè l’applicazione selettiva delle dette misure. Secondo i ricorrenti, il fatto che l’ODC abbia autorizzato l’adozione di misure di ritorsione non implica automaticamente che l’applicazione di tali misure da parte degli Stati Uniti sia «legale», come ritiene la Commissione.

45
Anzitutto, la Commissione ricorda che scopo del regolamento n. 3286/94 è costituire procedure comunitarie nell’ambito della politica commerciale comune, volte a permettere alla Comunità di esercitare i diritti ad essa riconosciuti dall’OMC. È in quest’ottica che l’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94 definirebbe gli ostacoli agli scambi come qualsiasi pratica commerciale adottata o mantenuta da un paese terzo in relazione alla quale le norme commerciali internazionali istituiscono un diritto di agire.

46
La Commissione contesta, poi, l’interpretazione dell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94 adottata dai ricorrenti. Secondo la Commissione, non basta che sussista un ostacolo agli scambi perché sia possibile instaurare una procedura di risoluzione delle controversie. Soprattutto sarebbe necessario rilevare effetti negativi sugli scambi. Dunque, ai fini dell’applicazione del regolamento n. 3286/94, la nozione di ostacolo agli scambi non può venire staccata da quella di «effetti negativi sugli scambi». In altri termini, ad avviso della Commissione, perché sussista un «ostacolo agli scambi», nel senso del regolamento n. 3286/94, è necessario che le imprese dimostrino di risentire di «effetti negativi sugli scambi», nel senso dell’art. 2, n. 4, del regolamento n. 3286/94. Un’interpretazione contraria avrebbe come effetto la creazione di una vera e propria actio popularis a favore delle imprese comunitarie.

47
Secondo la Commissione è questa la concezione di «ostacolo agli scambi» che è stata applicata nella fattispecie, sia nel contesto della relazione d’esame, sia in sede di adozione della decisione impugnata. Dunque, una siffatta concezione non sarebbe una novità per i ricorrenti. A tale riguardo la Commissione rinvia alla decisione impugnata, secondo la quale l’inchiesta non è stata in grado di dimostrare che la denunciante ha subito effetti negativi sugli scambi in seguito alla decisione degli Stati Uniti di applicare selettivamente la sospensione delle concessioni tariffarie, al di là degli effetti sugli scambi derivanti da tale sospensione, che è stata «autorizzat[a] e applicat[a] a buon diritto dagli USA in virtù dell’accordo dell’OMC». La Commissione conclude che, da una parte, le misure americane sono state adottate nel rispetto dei principi emanati dall’OMC e che, dall’altra parte, poiché la denunciante non è riuscita a provare alcun effetto negativo sugli scambi, non sussiste un «ostacolo agli scambi» nel senso del regolamento n. 3286/94, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti.

Giudizio del Tribunale

48
Preliminarmente si deve osservare che, in virtù del regolamento n. 3286/94, l’avvio di un’azione della Comunità basata sulle norme internazionali del commercio contro un ostacolo agli scambi, adottato o mantenuto da un paese terzo e producente effetti sul mercato di quest’ultimo, presuppone, per lo meno, il soddisfacimento di tre condizioni cumulative, cioè: la sussistenza di un ostacolo agli scambi corrispondente alla definizione del regolamento, la presenza di effetti negativi sugli scambi derivanti da tale ostacolo e la necessità di agire nell’interesse della Comunità. Quando, al termine di una procedura d’esame aperta in conformità del regolamento n. 3286/94, la Commissione constata che una delle condizioni citate non è soddisfatta, le istituzioni della Comunità hanno il diritto di ritenere che non vi sia ragione di iniziare una simile azione.

49
A proposito della nozione di «ostacolo agli scambi» occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94:

«Ai fini del presente regolamento per “ostacoli agli scambi” si intende qualsiasi pratica commerciale adottata o mantenuta da un paese terzo in relazione alla quale le norme commerciali internazionali istituiscono un diritto di agire. Tale diritto di agire esiste quando le norme commerciali internazionali vietano esplicitamente una pratica o riconoscono ad un’altra parte danneggiata da una pratica il diritto di chiedere che siano eliminati gli effetti della pratica in questione».

50
Nella fattispecie è palese che la Commissione, nella decisione impugnata, ha ritenuto che la FICF lamentasse un ostacolo agli scambi costituito dalla sospensione delle concessioni tariffarie da parte degli Stati Uniti nei confronti degli esportatori di senape preparata degli Stati membri della Comunità, con esclusione di quelli del Regno Unito, sanzione che la decisione impugnata ha qualificato come «selettiva».

51
Secondo i ricorrenti, operando in tal modo, la Commissione avrebbe ignorato la definizione di ostacoli agli scambi di cui all’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94, in quanto, nella fattispecie, avrebbe considerato solamente l’elemento dell’«illegalità» della detta definizione.

52
Questa tesi non può essere accolta.

53
Anzitutto si deve rilevare che gli elementi che compongono la definizione di ostacolo agli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94, non possono venire scissi artificialmente come suggeriscono i ricorrenti. In effetti, un ostacolo agli scambi la cui sussistenza possa venire invocata ai fini dell’applicazione del regolamento n. 3286/94 presuppone l’esistenza di un diritto di esercitare un’azione istituito dalle norme commerciali internazionali. Tale interpretazione risulta, in particolare, dal riferimento operato dall’art. 1, n. 1, di tale regolamento «[a]ll’osservanza degli obblighi e delle procedure internazionali vigenti» ed è corroborata dal settimo ‘considerando’ del regolamento n. 3286/94, che precisa «che scopo d[el] meccanismo [istituito dal regolamento] è fornire gli strumenti procedurali per chiedere che le istituzioni comunitarie reagiscano agli ostacoli agli scambi adottati o mantenuti da paesi terzi (...) a condizione che esista un diritto di agire, in relazione a tali ostacoli, ai sensi delle norme commerciali internazionali applicabili». In virtù di un’interpretazione diversa qualunque pratica commerciale adottata o mantenuta da un paese terzo potrebbe essere considerata un ostacolo agli scambi, anche nel caso in cui le norme commerciali internazionali non istituissero alcun diritto di esercitare un’azione.

54
Venendo, poi, all’argomento dei ricorrenti secondo cui l’interpretazione adottata dalla Commissione avrebbe travisato la portata della denuncia presentata dalla FICF alla Commissione, si deve rilevare che la denunciante, al contrario di quanto i ricorrenti hanno sostenuto dinanzi al Tribunale, non sosteneva che le misure americane di sospensione delle concessioni tariffarie nei confronti di taluni prodotti provenienti dalla Comunità, per un ammontare di USD 116,8 milioni, fossero qualificabili come un «ostacolo agli scambi». In effetti, la denuncia riconosceva che tali misure erano state autorizzate dall’ODC il 26 luglio 1999. Per contro, nelle sue considerazioni in ordine alla qualificazione come «ostacolo agli scambi», nel senso del regolamento n. 3286/94, delle misure adottate dagli Stati Uniti (punto IV della denuncia), la denunciante sosteneva che vi era violazione delle norme dell’OMC, in quanto «gli Stati Uniti non potevano legittimamente scegliere di applicare le misure di ritorsione a taluni Stati membri dell’Unione europea e non ad altri» (punto IV.1, pag. 8, della denuncia) e che «l’applicazione selettiva delle misure di ritorsione operata dagli Stati Uniti rimetteva in causa la fissazione da parte degli arbitri della misura della sospensione delle concessioni» (punto IV.2, pag. 11, della denuncia). Inoltre essa riconosceva che «le conclusioni e le raccomandazioni del Panel e dell’Organo di appello riguardavano le “Comunità europee” [e che] gli Stati Uniti, dunque, dovevano applicare le misure alle “Comunità europee”, senza fare distinzioni fra gli Stati membri, che, tutti quanti, hanno applicato le misure contestate» (pag. 13 della denuncia). Infine, essa ricordava che «l’atteggiamento degli Stati Uniti produceva l’effetto di decomunitarizzare la politica commerciale prevista dal Trattato», in quanto le misure di ritorsione riguardavano solo quattordici dei quindici Stati membri (pag. 14 della denuncia).

55
Ne deriva che l’ostacolo agli scambi lamentato nella denuncia consisteva unicamente nell’applicazione selettiva delle misure americane di sospensione delle concessioni tariffarie, senza che la Commissione abbia snaturato la portata della denuncia. Oltretutto, il Tribunale rileva che nella fattispecie, se si tiene conto della definizione di ostacolo agli scambi precisata nel punto 53 supra, l’ostacolo agli scambi nel senso del regolamento n. 3286/94 poteva consistere soltanto nell’applicazione selettiva delle misure americane di sospensione delle concessioni tariffarie. Infatti, dato che solamente un ostacolo agli scambi contro il quale esista un diritto di azione istituito dalle norme commerciali internazionali rientra nell’ambito di applicazione del regolamento n. 3286/94, una procedura basata su tale regolamento non poteva essere avviata nei confronti delle misure americane di sospensione delle concessioni che erano state autorizzate dall’ODC, in quanto, per principio, non esisteva alcun diritto di azione della Comunità istituito dalle norme commerciali internazionali nei loro confronti. È questa la ragione per cui il punto 4 dell’avviso di apertura della procedura d’esame, citato al punto 20 supra, affermava che l’ostacolo agli scambi lamentato nella denuncia era costituito dal mantenimento di «misure commerciali (...) solamente contro numerosi Stati membri piuttosto che contro l’intera Comunità» e che la FICF riteneva, senza che la correttezza di una simile considerazione sia stata contestata dinanzi al Tribunale, che «la pratica di richiedere l’adozione di misure contro tutti gli Stati membri e di attuarle solamente contro alcuni di essi [minasse] l’attendibilità del dispositivo di composizione delle controversie». D’altra parte si deve altresì precisare che il punto 1.4 della relazione d’esame preparata dalla Commissione, intitolata «The obstacle to trade» (L’ostacolo agli scambi) affermava:

«(...) è importante rilevare che l’ostacolo agli scambi oggetto di quest’inchiesta non consiste nella sospensione delle concessioni da parte degli Stati Uniti d’America in seguito al cosiddetto caso degli “ormoni”, ma nel modo in cui tale sospensione è stata messa in pratica dagli Stati Uniti. Infatti la denunciante non contesta il diritto degli Stati Uniti di sospendere le summenzionate concessioni in virtù dell’intesa sulla risoluzione delle controversie nel quadro dell’OMC, ma unicamente il loro diritto di sospenderle nei confronti di taluni Stati membri della Comunità a esclusione di altri».

56
Ora, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, affermando che l’ostacolo agli scambi identificato nella denuncia consisteva nell’applicazione selettiva delle misure americane agli Stati membri della Comunità, il terzo e il sesto ‘considerando’ della decisione impugnata sono conformi sia alla definizione degli «ostacoli agli scambi», di cui all’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94, sia alla qualificazione che, nella fattispecie, risultava dalla denuncia e che è stata accolta dall’avviso di apertura della procedura e dalla relazione d’esame.

57
Dall’insieme di queste considerazioni risulta che, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, la Commissione, nella definizione dell’ostacolo agli scambi, non si è limitata unicamente all’elemento dell’«illegalità», ma ha preso in considerazione l’insieme degli elementi inscindibili dalla nozione di ostacoli agli scambi, come definita nell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94.

58
Conseguentemente, il primo motivo è respinto.

Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 4, del regolamento n. 3286/94

Argomenti delle parti

59
I ricorrenti ritengono che un approccio restrittivo nei confronti della nozione di ostacolo agli scambi, come quello accolto dalla decisione impugnata, comporti altresì – e necessariamente – un’erronea analisi degli «effetti negativi sugli scambi», nel senso dell’art. 2, n. 4, del regolamento n. 3286/94, in violazione di tale disposizione. Secondo i ricorrenti, la Commissione avrebbe dovuto analizzare gli effetti negativi sugli scambi dell’imposizione illegale, a partire dal luglio 1999, dei dazi doganali addizionali del 100% ad valorem contestati dai ricorrenti e non limitarsi agli effetti dell’elemento che vizia di illegalità le misure americane, cioè l’applicazione selettiva delle dette misure.

60
Inoltre, i ricorrenti ritengono che la decisione impugnata sia viziata altresì da un errore manifesto di valutazione dei dati contenuti nella relazione d’esame. Infatti, la conclusione cui è arrivata la Commissione nella decisione impugnata, secondo la quale da tale relazione «non è emersa alcuna prova del fatto che rendere applicabile anche al Regno Unito la sospensione delle concessioni [tariffarie] comporterebbe per [la] denunziante maggiori opportunità di esportazione di senape preparata verso il mercato statunitense», sarebbe infirmata dalla lettura combinata dei dati relativi alla diminuzione delle importazioni di senape proveniente dagli Stati membri, con l’eccezione del Regno Unito, e di quelli relativi alla crescita delle importazioni provenienti da quest’ultimo Stato membro, che figurano nella relazione d’esame.

61
La Commissione replica di aver valutato correttamente la natura degli effetti negativi sugli scambi comportati dalla sospensione delle concessioni tariffarie adottata dagli Stati Uniti nei confronti della senape preparata.

62
La Commissione afferma che le conclusioni della relazione d’esame non hanno messo in evidenza l’esistenza di un qualsivoglia effetto di «vasi comunicanti» fra la diminuzione delle esportazioni della denunciante verso gli Stati Uniti e una crescita sostanziale e a lungo termine delle esportazioni britanniche. Secondo la Commissione, i dati contenuti nella relazione d’esame dimostrano che la decisione statunitense di escludere i prodotti provenienti dal Regno Unito dalla sospensione delle concessioni tariffarie non ha giovato alle esportazioni di senape britannica verso gli Stati Uniti e non è all’origine di effetti negativi sugli scambi per la denunciante. Si potrebbe affermare che alla denunciante siano stati causati effetti negativi sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94, solo qualora la procedura d’esame fosse stata in grado di provare le conseguenze significative e durevoli comportate dalla selettività delle misure sul mercato della senape preparata in Europa. Tuttavia, la Commissione ricorda altresì che l’art. 2, n. 4, del regolamento n. 3286/94 adotta una definizione precisa di «effetti negativi sugli scambi», quali effetti arrecati da ostacoli agli scambi che abbiano un effetto notevole sull’economia della Comunità, di una regione della Comunità o di un settore di attività economica ivi esistente. A suo avviso, il fatto che «la denunciante sia vittima di effetti negativi non è considerato in sé sufficiente per giustificare l’avvio di un’azione da parte delle istituzioni della Comunità».

63
In definitiva, secondo la Commissione, la decisione impugnata ha affermato correttamente che l’esame non era riuscito a provare che la natura selettiva delle misure di ritorsione americane abbia comportato effetti negativi sugli scambi rispondenti ai criteri del regolamento n. 3286/94.

Giudizio del Tribunale

64
Preliminarmente, occorre ricordare che, ai termini dell’art. 2, n. 4, del regolamento n. 3286/94:

«Ai fini del presente regolamento, per “effetti negativi sugli scambi” si intendono gli effetti che un ostacolo agli scambi arreca o minaccia di arrecare, in relazione a un prodotto o a un servizio, a imprese della Comunità sul mercato di qualsiasi paese terzo, e che hanno un effetto notevole sull’economia della Comunità, di una regione della Comunità o di un settore di attività economica ivi esistente. Il fatto che il denunciante risenta di tali effetti negativi non si considera di per sé sufficiente a giustificare l’avvio di qualsiasi azione da parte delle istituzioni comunitarie».

65
Da tale definizione risulta che il regolamento n. 3286/94 ha inteso includere l’esistenza di un nesso di causalità tra gli effetti negativi sugli scambi attuali («arreca») o potenziali («minaccia di arrecare») e l’ostacolo agli scambi, come identificato nelle particolari circostanze di ciascuna fattispecie nel senso del regolamento n. 3286/94. Tale interpretazione è suffragata dal settimo ‘considerando’ del regolamento n. 3286/94, che afferma che il meccanismo creato dal regolamento mira a permettere di chiedere che le istituzioni comunitarie reagiscano agli ostacoli agli scambi adottati da paesi terzi che «recano» effetti negativi sugli scambi, nonché dall’art. 4, n. 2, del detto regolamento, relativo al contenuto della denuncia, che richiede che quest’ultima contenga sufficienti elementi di prova relativi all’esistenza degli ostacoli agli scambi e ai «conseguenti» effetti negativi sugli scambi. Inoltre, gli effetti negativi sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94, devono anche avere un notevole impatto sull’economia della Comunità, di una regione della Comunità o di un settore di attività economica ivi esistente.

66
A tale riguardo, venendo all’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Commissione non avrebbe dovuto limitare la propria analisi degli effetti negativi sugli scambi a quelli causati dall’applicazione selettiva della sospensione delle concessioni tariffarie, il Tribunale, tenuto conto della soluzione fornita sopra relativamente al primo motivo e del nesso di causalità che deve sussistere fra l’«ostacolo agli scambi» e gli «effetti negativi sugli scambi», nel senso del regolamento n. 3286/94, ritiene che esso debba essere respinto. Infatti, poiché «l’ostacolo agli scambi», nel senso del regolamento n. 3286/94, denunciato nel presente procedimento, era costituito dall’applicazione selettiva della sospensione delle concessioni tariffarie riguardo alle esportazioni di senape preparata verso gli Stati Uniti, la Commissione doveva limitare la propria analisi degli «effetti negativi sugli scambi» a quelli che avevano un nesso di causalità col detto ostacolo.

67
Ciò premesso, occorre verificare se, come sostengono i ricorrenti, la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione dei dati risultanti dalla relazione d’esame, concludendo, al sesto ‘considerando’ della decisione impugnata, che «dall’inchiesta non è emersa alcuna prova del fatto che rendere applicabile anche al Regno Unito la sospensione delle concessioni [tariffarie] comporterebbe per il denunziante maggiori opportunità di esportazione di senape preparata verso il mercato statunitense».

68
A tale riguardo si deve rilevare, anzitutto, una differenza tra la formulazione francese del citato passaggio del sesto ‘considerando’ della decisione impugnata e quella della grande maggioranza delle altre versioni linguistiche di questo testo. In effetti, al contrario del testo in lingua francese, che utilizza l’avverbio «davantage», la grande maggioranza delle altre versioni linguistiche fa riferimento a «maggiori» o a «migliori opportunità di esportazione». Le cose stanno così per le versioni del passaggio citato in lingua inglese [«(...) would result in greater export opportunities (...)»], [tedesca («(...) für den Antragsteller zu besseren Ausfuhrmöglichkeiten für Senf (...)»], danese [«(...) at klageren ville få større muligheder for at eksportere (...)»], spagnola [«(...) traería consigo majores oportunidades para el denunciante de exportar (...)»], finlandese [«(...) valituksen tekijän (...) viennin mahdollisuuksien laajenemiseen (...)»], italiana [«(...) comporterebbe per il denunziante maggiori opportunità di esportazione (...)»], portoghese [«(...) se traduziria, para o autor da denúncia, em maiores oportunidades de exportação (...)»] e svedese [«(...) bättre utsiker för den klagande att exportera (...)»].

69
Il Tribunale ritiene che l’idea veicolata da queste differenti versioni linguistiche del passaggio citato, pertinente in relazione all’esame della questione relativa al preteso manifesto errore di valutazione, sia, da una parte, quella di una correlazione meno categorica di quella espressa nella versione francese con l’impiego dell’avverbio «davantage» fra la diminuzione delle esportazioni di senape preparata verso gli Stati Uniti provenienti da quattordici Stati membri della Comunità e la crescita delle esportazioni di tale prodotto verso gli Stati Uniti provenienti dal Regno Unito e, dall’altra parte, quella di un’incidenza durevole sul livello delle esportazioni di senape preparata verso gli Stati Uniti.

70
Occorre poi notare che i ricorrenti non contestano i dati che figurano nella relazione d’esame riguardanti, da una parte, le esportazioni di senape preparata verso gli Stati Uniti provenienti dagli Stati membri della Comunità, con l’esclusione del Regno Unito, e, dall’altra, quelli riguardanti le esportazioni provenienti da quest’ultimo Stato. Peraltro, i ricorrenti non contestano neanche il metodo adottato dalla relazione d’esame allo scopo di determinare gli effetti negativi sugli scambi causati dall’ostacolo agli scambi, come è stato identificato nel punto 1.4 della relazione d’esame e ricordato sopra, al punto 55.

71
Ciò premesso, sia dai dati ripresi nella relazione d’esame sia dall’analisi ivi effettuata risulta che la conclusione cui è giunta la Commissione nel sesto ‘considerando’ della decisione impugnata non è manifestamente erronea.

72
Occorre infatti constatare che, fra la media delle esportazioni negli anni 1996‑1998 e l’anno 2000, la crescita delle esportazioni di senape preparata verso gli Stati Uniti in provenienza dal Regno Unito, sia in valore, sia in volume, ha rappresentato una parte ed una proporzione estremamente piccole rispetto alle esportazioni di senape preparata provenienti dagli altri Stati membri della Comunità. Di conseguenza, anche se si supponesse che, nell’ipotesi in cui le misure di ritorsione americane fossero state estese alla senape proveniente dal Regno Unito, gli esportatori di Stati membri diversi dal Regno Unito si sarebbero giovati di questa crescita – cosa che non è stata dimostrata dai ricorrenti –, tali esportatori non avrebbero potuto beneficiare di maggiori opportunità di esportazione.

73
Oltretutto, dagli elementi d’informazione utilizzati dalla Commissione nel corso della procedura d’esame risulta che gli importatori americani di senape preparata hanno cercato fornitori alternativi stabiliti fuori della Comunità, i quali hanno largamente beneficiato della sospensione delle concessioni tariffarie da parte delle autorità americane nei confronti della senape preparata proveniente dagli Stati membri.

74
Ne deriva che il secondo motivo dev’essere respinto.

Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94

Argomenti delle parti

75
Preliminarmente, i ricorrenti rilevano che la versione francese dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94 contiene un errore di punteggiatura. Riferendosi alla «versione corretta» di tale disposizione, i ricorrenti sono dell’opinione che l’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94 imponga alla Commissione di prendere in considerazione, nella sua valutazione degli effetti negativi sugli scambi, le disposizioni, i principi o le pratiche che disciplinano il diritto di avviare un’azione basata sulle norme del commercio internazionale applicabili. Ora, secondo i ricorrenti, nonostante la Commissione, in sede di relazione d’esame, abbia valutato la compatibilità delle misure americane con le norme dell’OMC, una simile analisi non è stata assolutamente compiuta nella decisione impugnata, cosa che, nella fattispecie, costituisce una violazione dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94. Peraltro, ad avviso dei ricorrenti, la decisione impugnata è viziata altresì da difetto di motivazione, in quanto la Commissione non ha spiegato le ragioni per cui l’analisi giuridica dell’ostacolo agli scambi, da essa compiuta nella relazione d’esame, non compare nella decisione impugnata.

76
Senza contestare il fatto che la versione francese dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94 contenga l’errore segnalato dai ricorrenti, la Commissione sostiene che tale motivo non è fondato.

Giudizio del Tribunale

77
La versione francese dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94 recita «[l]a Commission tient compte aussi, dans son examen, des éléments de preuve concernant les effets commerciaux défavorables, des dispositions, principes ou pratiques qui régissent le droit d’engager une action au titre des règles de commerce internationales applicables évoquées à l’article 2, paragraphe 1».

78
A tale riguardo, come i ricorrenti hanno giustamente sostenuto nelle loro memorie, senza essere contraddetti dalla Commissione su tale punto, tale versione contiene un errore di sintassi, in quanto contiene una virgola dopo il termine «examen». In effetti, tanto la struttura del n. 5 dell’art. 10 del regolamento n. 3286/94, che imporrebbe l’inserimento della congiunzione coordinativa «et» dopo l’aggettivo «défavorables», se la virgola fosse pertinente, quanto la collocazione di tale disposizione all’interno dell’articolo in questione, che ha ad oggetto l’«examen des éléments de preuve», inducono a ritenere che la virgola che compare dopo il termine «examen» non abbia ragione di essere. Inoltre, le altre versioni linguistiche dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94 si riferiscono, in tale logica, all’«esame degli elementi di prova relativi agli effetti negativi sugli scambi».

79
Dunque, occorre leggere l’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94 nel seguente modo: «[l]a Commission tient compte aussi, dans son examen des éléments de preuve concernant les effets commerciaux défavorables, des dispositions, principes ou pratiques qui régissent le droit d’engager une action au titre des règles de commerce internationales applicables évoquées à l’article 2, paragraphe 1».

80
Comunque, la posizione dei ricorrenti secondo cui tale disposizione imponeva alla Commissione, nella decisione impugnata, di analizzare la compatibilità del denunciato ostacolo agli scambi con le disposizioni degli accordi stipulati nell’ambito dell’OMC costituisce un’interpretazione erronea dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94.

81
Infatti, alla luce di quanto è stato affermato preliminarmente sopra, nel punto 48, la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione le disposizioni, i principi o le pratiche che regolano il diritto di agire nel quadro delle norme commerciali internazionali, in quanto, nella fattispecie, la Commissione ha constatato, a ragione, che gli elementi di prova di tipo quantitativo analizzati nella relazione d’esame non permettevano di concludere che vi fossero effetti negativi sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94.

82
Venendo poi alla tesi per cui la decisione impugnata sarebbe viziata da un difetto di motivazione, occorre osservare che, una volta constatata correttamente l’insussistenza di effetti negativi sugli scambi nel senso del regolamento n. 3286/94, la Commissione non era tenuta né a procedere all’esame degli elementi aggiuntivi menzionati nell’art. 10, n. 5, del detto regolamento, né a motivare la decisione impugnata a tale riguardo.

83
Il terzo motivo è pertanto respinto.

Sul quarto motivo, attinente alla violazione dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94

Argomenti delle parti

84
I ricorrenti sostengono che la decisione impugnata ha confuso l’«interesse della Comunità», oggetto dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94, con l’interesse della denunciante. Ora, secondo l’opinione dei ricorrenti, un tale modo di procedere non solo è in contrasto con tale disposizione, ma ignora altresì, nella fattispecie, il fatto che nel corso della procedura d’esame sono intervenute altre parti e che, a partire dall’annuncio di tale procedura, il 1° agosto 2001, la Commissione aveva riconosciuto l’interesse della Comunità a «esaminare le pratiche degli Stati Uniti che possono rappresentare una minaccia sistematica al ruolo della Comunità nell’OMC e danneggiare la coesione e la solidarietà della [Comunità], in quanto l’esclusione di uno Stato membro dalla sospensione delle concessioni commerciali implica inevitabilmente un onere per gli altri Stati membri».

85
Inoltre, i ricorrenti ritengono che le osservazioni formulate dalla Commissione in sede di procedimento dinanzi al Tribunale, secondo le quali l’analisi dell’interesse della denunciante è una condizione preliminare a quella dell’interesse della Comunità, siano in contraddizione con la decisione impugnata, in quanto, per chiudere la procedura d’esame, la Commissione si è basata sull’insussistenza di un interesse della Comunità e non sull’insussistenza di un interesse della denunciante. In ogni caso, i ricorrenti sostengono che il riconoscimento da parte della Commissione, nella fase scritta del procedimento, della distinzione fra l’interesse della denunciante e quello della Comunità suffraga la loro tesi secondo cui la decisione impugnata, nella fattispecie, viola l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94.

86
La Commissione rileva che il regolamento n. 3286/94 non definisce la nozione di «interesse della Comunità» e che a tale riguardo essa dispone di un potere discrezionale assai ampio. Resta il fatto che, secondo la Commissione, tale nozione, nell’economia complessiva del regolamento n. 3286/94, svolge un ruolo ben preciso, cioè quello di escludere che un’azione venga avviata per principio o in abstracto. In altri termini, la Commissione ritiene che un denunciante non possa avvalersi del regolamento n. 3286/94 per indurre la Comunità ad avviare un’azione di principio in difesa dell’interesse generale della Comunità, se egli stesso non ha subito effetti negativi sugli scambi. Ora, dal momento che, nella fattispecie, la denunciante non ha subito effetti di tal genere al di là di quanto le misure di ritorsione hanno potuto (legittimamente) produrre, la condizione preliminare alla valutazione dell’interesse della Comunità ad avviare un’azione non era soddisfatta. D’altra parte, le conclusioni della relazione d’esame mostrerebbero chiaramente che i ricorrenti non avrebbero avuto alcun interesse a che le misure americane fossero applicate uniformemente nei confronti di tutti gli Stati membri della Comunità.

87
Nella controreplica, la Commissione precisa altresì di aver tenuto conto di tutti gli interessi in causa, compreso quello delle imprese intervenute nel corso della procedura d’esame, come risulta dalla relazione d’esame, di cui la decisione impugnata ha completamente rispettato le conclusioni. In ogni caso, la selettività delle misure americane interesserebbe principalmente la senape preparata, poiché, nel caso di specie, questa era il solo prodotto ad essere esportato dal Regno Unito, e non, dunque, il roquefort, il foie gras e gli scalogni.

88
In definitiva, la Commissione afferma di avere correttamente ritenuto che, in base alla relazione d’esame, non fosse nell’interesse della Comunità proseguire il procedimento.

Giudizio del Tribunale

    Osservazioni preliminari

89
Occorre rilevare che il regolamento n. 3286/94 non fornisce alcuna definizione della nozione di «interesse della Comunità», né precisa le norme che disciplinano la valutazione di tale interesse. Nondimeno diverse disposizioni del regolamento n. 3286/94 si riferiscono a tale nozione.

90
Così, ai termini dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 3286/94, la Commissione apre una procedura d’esame «[s]e, al termine delle consultazioni, (...) ritiene che esistano elementi di prova sufficienti per giustificare l’apertura di una procedura d’esame e che ciò sia necessario nell’interesse della Comunità».

91
Inoltre, in forza dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94, «[q]ualora dalla procedura d’esame risulti che non è necessario intraprendere un’azione nell’interesse della Comunità, la chiusura del procedimento è decisa secondo le disposizioni dell’articolo 14».

92
D’altra parte, l’art. 12, n. 1, del regolamento n. 3286/94, afferma che, «[q]ualora, a meno che la situazione di fatto e di diritto sia tale da non richiedere una procedura d’esame, risulti da detta procedura che un’azione è necessaria nell’interesse della Comunità per garantire l’esercizio dei diritti della Comunità nel quadro delle norme commerciali internazionali, al fine di eliminare (...) gli effetti negativi sugli scambi derivanti da ostacoli agli scambi introdotti o mantenuti da paesi terzi, le misure del caso sono disposte».

93
Tali disposizioni debbono essere lette alla luce del quindicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 3286/94, secondo il quale «spetta alla Commissione (...) agire in relazione agli ostacoli agli scambi adottati o mantenuti da paesi terzi, nell’ambito dei diritti e degli obblighi internazionali della Comunità, unicamente quando gli interessi della Comunità richiedano un intervento, e che pertanto, nel valutare tali interessi, la Commissione (...) dovrebb[e] tenere in debito conto nei [suoi] procedimenti [i] pareri espressi da tutte le parti interessate».

94
Per stabilire se l’interesse della Comunità necessiti di un’azione occorre la valutazione di situazioni economiche complesse e il controllo giurisdizionale di una tale valutazione deve limitarsi alla verifica del rispetto delle norme di procedura, dell’esattezza materiale dei fatti che sono stati assunti per effettuare la scelta contestata, dell’insussistenza di errori manifesti di valutazione di tali fatti o dell’insussistenza di sviamento di potere (v., in questo senso, sentenza della Corte 10 marzo 1992, causa C‑179/87, Sharp Corporation/Consiglio, Racc. pag. I‑1635, punto 58, e sentenza del Tribunale 15 ottobre 1998, causa T‑2/95, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, Racc. pag. II‑3939, punto 292). Quando il giudice comunitario è investito di un ricorso di annullamento contro una decisione della Commissione che chiude una procedura d’esame relativa ad ostacoli agli scambi motivata dall’insussistenza dell’interesse comunitario, ai sensi del regolamento n. 3286/94, il controllo giurisdizionale comprende anche la valutazione dell’insussistenza di errori di diritto (v., per analogia, sentenza del Tribunale 8 luglio 2003, causa T‑132/01, Euroalliages e a./Commissione, Racc. pag. II‑0000, punto 49). Un limite siffatto al controllo giurisdizionale, sussistente nel quadro del controllo delle misure antidumping, si applica a fortiori in una procedura che è caratterizzata da una portata assai più generale e che può anche avere per esito l’avvio di un contenzioso internazionale.

95
Alla luce di tali considerazioni occorre verificare se, come sostengono i ricorrenti, da una parte, l’interesse della Comunità ad agire contro l’ostacolo agli scambi lamentato nella denuncia sia stato già valutato e constatato in modo definitivo nella fase di annuncio dell’apertura della procedura d’esame, e, dall’altra, se la Commissione abbia assimilato o ridotto l’interesse della Comunità all’interesse individuale della denunciante, senza tenere conto dell’interesse delle altre parti interessate.

    Sulla valutazione dell’interesse della Comunità nella fase dell’annuncio dell’apertura della procedura d’esame

96
Al punto 6 dell’avviso di apertura della procedura d’esame, la Commissione afferma:

«È nell’interesse della Comunità esaminare le pratiche degli Stati Uniti, che possono rappresentare una minaccia sistematica al ruolo della Comunità nell’OMC e danneggiare la coesione e la solidarietà della [Comunità], in quanto l’esclusione di uno Stato membro dalla sospensione delle concessioni commerciali implica inevitabilmente un onere per gli altri Stati membri. È quindi nell’interesse della Comunità avviare una procedura d’esame».

97
Su un piano generale, va osservato che la valutazione dell’interesse della Comunità, effettuata nella fase di apertura di una procedura d’esame, per sua natura ha un carattere preparatorio. Non può quindi essere assimilata alla valutazione che deve effettuarsi nella fase successiva, cioè al termine della procedura d’esame, nel momento in cui si tratta di decidere se un’azione sia necessaria nell’interesse della Comunità.

98
In effetti, un’interpretazione diversa avrebbe come conseguenza che, dal momento della decisione della Commissione di aprire una procedura d’esame, la stessa sarebbe automaticamente tenuta, nella fase della decisione relativa ad un’eventuale azione della Comunità, a considerare tale azione come necessaria, nel caso in cui gli altri presupposti legali di applicazione del regolamento n. 3286/94 – cioè l’esistenza di un ostacolo agli scambi e la sussistenza di effetti negativi sugli scambi da esso risultanti – siano integrati, privando così la Commissione del suo margine di valutazione discrezionale.

99
Nella fattispecie, il tenore generale del punto 6 dell’avviso di apertura della procedura d’esame non poteva dare luogo a un’interpretazione secondo cui la Commissione aveva abbandonato qualunque diritto di accertare, alla fine della procedura d’esame, se l’interesse della Comunità esigesse o no un’azione nel caso de quo. In effetti, è sufficiente constatare che il punto 6 dell’avviso di apertura si è limitato a concludere che era nell’interesse della Comunità «avviare una procedura d’esame».

100
Di conseguenza, il primo argomento dei ricorrenti dev’essere respinto.

    Sull’assimilazione o la riduzione dell’interesse della Comunità all’interesse individuale della denunciante e la mancata presa in considerazione degli interessi delle altre parti interessate

101
Il presente argomento si basa, in sostanza, su due addebiti, cioè, da una parte, quello della mancata presa in considerazione dell’interesse di parti interessate diverse dalla denunciante e, dall’altra, quello dell’assimilazione o della riduzione da parte della Commissione dell’interesse della Comunità a quello della denunciante.

102
Relativamente al primo addebito, va rilevato che la decisione impugnata non si riferisce assolutamente a tali parti.

103
Questo fatto, tuttavia, nella fattispecie, non costituisce di per sé una violazione dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94.

104
Come risulta dalla lettura combinata dei precedenti punti 91 e 93, l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94, interpretato alla luce del quindicesimo ‘considerando’ di tale regolamento, garantisce che, in sede di valutazione dell’interesse della Comunità nell’ambito della procedura d’esame, vengano prese in considerazione le opinioni espresse da tutte le parti interessate al procedimento. Ne segue che la valutazione dell’interesse della Comunità richiede la ponderazione degli interessi delle diverse parti interessate e dell’interesse generale, in particolare nell’ambito della procedura d’esame (v., per analogia, sentenza Euroalliages e a./Commissione, cit.).

105
Nella fattispecie, è certo che, in seguito alla pubblicazione dell’avviso di apertura della procedura d’esame, le parti interessate hanno reso noto alla Commissione il loro interesse ad essere coinvolte nel procedimento iniziato dalla denunciante contro l’ostacolo agli scambi denunciato da quest’ultima, per quanto concerne i loro rispettivi prodotti. Sulla falsariga dell’analisi effettuata relativamente alle esportazioni di senape preparata verso gli Stati Uniti, la relazione d’esame ha esaminato, per quanto concerne i prodotti delle parti interessate, se l’ostacolo agli scambi lamentato nella denuncia generasse effetti negativi sugli scambi. Al termine di tale esame, sulla falsariga delle conclusioni che la relazione d’esame ha tratto riguardo alla situazione della denunciante, nella relazione si è affermato che le misure selettive americane non erano all’origine degli effetti sugli scambi sofferti dalle parti interessate, le quali, per di più, sul mercato americano non subivano concorrenza da parte di esportazioni provenienti dal Regno Unito. Infine, nell’ambito dell’analisi dell’interesse della Comunità, nella relazione d’esame si è affermato, al punto 4, che, «come è stato precedentemente rilevato, l’avvio di un procedimento dinanzi agli organi dell’OMC non è in grado di eliminare o di ridurre i problemi economici di fronte a cui si trovano i denuncianti». Sebbene questo passaggio del punto 4 della relazione d’esame si riferisca, erroneamente, a tutte le parti come a denuncianti, esso mostra che l’interesse delle parti interessate al procedimento è stato preso in considerazione in sede di valutazione dell’interesse della Comunità, nel contesto della relazione d’esame.

106
Inoltre, i ricorrenti, durante la fase scritta del procedimento, non hanno mai sostenuto che le parti interessate avessero interessi diversi da quelli della denunciante che non fossero stati presi in considerazione dalla Commissione nell’ambito della procedura d’esame.

107
In udienza, interpellati su questo punto da parte del Tribunale, i ricorrenti hanno affermato che le parti interessate non avevano alcun interesse a chiedere che le misure di ritorsione americane fossero estese al Regno Unito, poiché era chiaro che il roquefort, il foie gras e gli scalogni non erano prodotti nel Regno Unito, ma che, per contro, essi avevano un interesse a che l’applicazione selettiva delle misure americane fosse denunciata dalla Comunità dinanzi agli organi dell’OMC, cosa che, nell’ipotesi di una condanna degli Stati Uniti, secondo i ricorrenti, avrebbe implicato che i loro prodotti sarebbero stati ritirati dalla lista approvata dall’ODC. Ora, occorre rilevare che, anche supponendo che un tale interesse sia diverso da quello della denunciante, la Commissione ha preso in considerazione una siffatta argomentazione nel contesto del suo esame, segnalando il carattere ipotetico della possibilità richiamata dai ricorrenti, in particolare per via della competenza esclusiva delle autorità americane in ordine alla determinazione della lista dei prodotti soggetti alla sospensione delle concessioni tariffarie. Dunque, si può affermare che tale interesse è stato preso in considerazione dalla Commissione.

108
Perciò, il fatto che, fra i ricorrenti nel presente procedimento, l’unica parte interessata ad essere menzionata dalla decisione impugnata sia la denunciante non può, in quanto tale, essere interpretato come una violazione dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94, letto nella prospettiva del quindicesimo ‘considerando’ di tale regolamento.

109
Si deve pertanto respingere l’addebito relativo alla mancata presa in considerazione dell’interesse di parti interessate diverse dalla denunciante.

110
Venendo all’addebito relativo alla pretesa assimilazione dell’interesse della Comunità a quello della denunciante, occorre innanzitutto fare riferimento al sesto e al settimo ‘considerando’ della decisione impugnata.

111
Nel sesto ‘considerando’ della decisione impugnata, la Commissione, dopo aver affermato che, «[i]n effetti, dall’inchiesta non è emersa alcuna prova del fatto che rendere applicabile anche al Regno Unito la sospensione delle concessioni [tariffarie] comporterebbe per il denunziante maggiori opportunità di esportazione di senape preparata verso il mercato statunitense» e dopo aver poi precisato che, «[d]i conseguenza, nessun effetto negativo sugli scambi, secondo la definizione contenuta nel regolamento, può essere attribuito all’ostacolo agli scambi menzionato nella denuncia», ha concluso che, «in conformità dell’articolo 11 del regolamento [n. 3286/94], la procedura d’esame ha dimostrato che non è necessario intraprendere, nell’interesse della Comunità, un’azione specifica nei confronti del presunto ostacolo agli scambi ai sensi del regolamento stesso».

112
Ai sensi del settimo ‘considerando’ della decisione impugnata, la Commissione ha concluso che «[d]alla procedura d’esame non sono emersi elementi di prova sufficienti a dimostrare che è necessario intraprendere, nell’interesse della Comunità, un’azione specifica ai sensi del regolamento» e che «[l]a procedura d’esame deve pertanto essere chiusa».

113
L’utilizzazione della congiunzione coordinativa «pertanto», nell’ultima frase del sesto ‘considerando’ della decisione impugnata, mostra che, ad avviso della Commissione, l’insussistenza della necessità di un’azione nell’interesse della Comunità deriva, per lo meno in modo indiretto, dalla constatazione del fatto che la denunciante non aveva alcun interesse a che la sospensione delle concessioni tariffarie fosse estesa al Regno Unito, in quanto essa non risentiva di effetti negativi sugli scambi risultanti dall’applicazione selettiva delle misure americane.

114
D’altronde, occorre rilevare che la necessità di una preliminare dimostrazione di un interesse della denunciante perché un interesse della Comunità possa anch’esso sussistere è stata confermata dalla Commissione nelle sue memorie. In effetti, quest’ultima ha difeso l’idea secondo la quale il regolamento n. 3286/94 non possa essere utilizzato da un denunciante per indurre la Commissione ad avviare un’azione di principio in difesa dell’interesse generale della Comunità, senza che egli stesso abbia risentito di effetti negativi sugli scambi.

115
Di conseguenza, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, l’argomentazione sviluppata dalla Commissione nella fase scritta del procedimento dinanzi al Tribunale non è in contraddizione coi motivi della decisione impugnata.

116
Occorre poi richiamare i passaggi pertinenti della relazione d’esame. Al punto 4 della relazione d’esame (intitolato «Interesse della Comunità»), la Commissione ha affermato:

«I risultati dell’inchiesta hanno dimostrato che non sussistono effetti negativi sugli scambi riguardanti la denunciante causati dall’ostacolo agli scambi allegato nel presente procedimento. Tali risultati sono sufficienti per privare la procedura di un presupposto fondamentale per proseguire ulteriormente quest’azione, sulla base del regolamento. Nondimeno, la Commissione ha verificato se sussistano altri strumenti che la Comunità possa utilizzare per reagire alle violazioni e ai potenziali effetti negativi sugli scambi identificati nella presente relazione».

117
Essa, poi, ha ricordato:

«L’avvio di una procedura dinanzi agli organi dell’OMC non è in grado di eliminare o di ridurre i problemi economici di fronte a cui si trovano i denuncianti. D’altro canto, è difficile sottovalutare l’impatto giuridico e politico delle pratiche americane. Infatti, gli Stati Uniti sembrano aver adottato la pratica delle “sanzioni selettive” come un’“arma” commerciale allo scopo di indebolire la coesione interna della Comunità e, di conseguenza, influire sulle sue relazioni col suo principale partner economico. In definitiva, la Commissione è dell’opinione che interessi di più ampia portata e di lungo periodo della Comunità richiedano un’azione avente l’obiettivo di evitare che la pratica americana consistente nella sospensione delle concessioni nei confronti di certi Stati membri ad esclusione di altri (cioè le “sanzioni selettive”) si verifichi in futuro. In tale prospettiva, la Commissione proseguirà i suoi colloqui allo scopo di giungere ad una soluzione mutuamente soddisfacente sul cosiddetto caso degli ormoni e discuterà con le autorità americane i problemi di tipo sistematico sollevati nella presente relazione».

118
Nel punto 6 della relazione d’esame, intitolato «Strumenti presi in considerazione», la Commissione, dopo aver ricordato le tre condizioni necessarie perché venga avviata un’azione della Comunità [cioè, a) che esista un diritto della Comunità basato sulle norme che regolano il commercio internazionale, b) che sussistano effetti negativi sugli scambi causati dall’ostacolo agli scambi lamentato e c) che l’azione sia necessaria nell’interesse della Comunità], ha espresso la posizione per cui, «[s]ulla base dell’analisi e delle conclusioni di cui sopra, in particolare per quanto riguarda l’insussistenza di effetti negativi sugli scambi, si propone di chiudere la procedura d’esame nel presente caso» e per cui «il modo più appropriato per trattare i problemi di fronte a cui si trova la denunciante sia proseguire i colloqui con le autorità americane allo scopo di trovare una soluzione mutuamente soddisfacente per il cosiddetto caso degli ormoni».

119
Il Tribunale rileva che la procedura d’esame non ha escluso un interesse generale e di lungo periodo della Comunità ad agire in futuro contro le violazioni potenziali analizzate nella relazione d’esame; d’altro canto, dal momento che l’avvio di una procedura nell’ambito dell’OMC non era in grado di eliminare o di ridurre i problemi economici di fronte a cui si trovavano i denuncianti, è stato proposto di chiudere la procedura d’esame, in particolare, per via dell’insussistenza di effetti negativi sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94.

120
Ora, il fatto che la Commissione esiga che l’eventuale azione della Comunità dipenda dai fatti e dalle ragioni di diritto all’origine della procedura d’esame e che, sebbene in presenza di un interesse generale e di lungo periodo ad agire in futuro contro le potenziali violazioni che possono scaturire dalla pratica delle «sanzioni selettive» adottate dagli Stati Uniti, come identificate nella relazione d’esame, la Commissione decida di chiudere la procedura d’esame non costituisce una violazione dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94 da parte della Commissione.

121
Infatti, l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94 deve essere letto alla luce del sesto ‘considerando’ dello stesso, secondo il quale il meccanismo giuridico istituito dal regolamento n. 3286/94 deve «garanti[re] che la decisione di appellarsi ai diritti della Comunità ai sensi delle norme commerciali internazionali sia presa sulla base di un’analisi giuridica e di informazioni oggettive attendibili». Ne segue che, se al termine di una procedura d’esame il quadro in fatto e in diritto all’origine di tale procedura non fornisce le basi per un’eventuale decisione di far valere i diritti della Comunità, in particolare per la mancata integrazione di uno dei presupposti legali previsti per l’applicazione del regolamento n. 3286/94 – nel presente caso l’insussistenza di effetti negativi sul commercio risultanti dall’ostacolo agli scambi lamentato –, la Commissione è autorizzata a constatare la mancata integrazione di tutti i presupposti previsti dal regolamento n. 3286/94.

122
Tale interpretazione è suffragata altresì dall’art. 12, n. 1, del regolamento n. 3286/94. Occorre infatti ricordare che, secondo tale disposizione, «[q]ualora (...) risulti da[lla] procedura [d’esame] che un’azione è necessaria nell’interesse della Comunità per garantire l’esercizio dei diritti della Comunità nel quadro delle norme commerciali internazionali, al fine di eliminare (...) gli effetti negativi sugli scambi derivanti da un ostacolo agli scambi introdotti o mantenuti da paesi terzi, le misure del caso sono disposte». Ora, dalla formulazione dell’art. 12, n. 1, del regolamento n. 3286/94 risulta chiaramente che l’azione della Comunità deve avere come fine la cessazione degli effetti negativi sugli scambi causati da un ostacolo al commercio e che, pertanto, tale azione non deve essere iniziata qualora non corrisponda a tale obiettivo. In altri termini, in base all’art. 12, n. 1, del regolamento n. 3286/94, un denunciante non può valersi del regolamento per spingere la Comunità ad avviare un’azione in difesa dell’interesse generale della Comunità, se egli stesso non ha risentito di effetti negativi sugli scambi. In ogni caso, anche in quest’ipotesi, la constatazione di un siffatto effetto negativo sugli scambi non è sufficiente perché un’azione, nel senso del regolamento n. 3286/94, debba essere avviata dalla Comunità, poiché la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale in ordine all’insieme degli interessi commerciali della Comunità.

123
Nella fattispecie, il fatto che la Commissione, nel quadro della procedura d’esame, abbia ritenuto utile, ad abundantiam, verificare se potesse eventualmente sussistere un interesse più generale e di lungo periodo della Comunità non implica di per sé che la Commissione sia costretta a concludere che dalla procedura d’esame risulti la necessità di un’azione nell’interesse della Comunità. Infatti, un siffatto modo di procedere deriva specificamente dalla necessità di rispondere a tutti gli argomenti sollevati dal denunciante e/o dalle parti interessate ed è espressione del rispetto del principio di buona amministrazione. Tuttavia, esso non può venire usato contro la Commissione al fine di dimostrare che questa ha violato l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94.

124
Di conseguenza, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, la Commissione non ha limitato l’interesse della Comunità a quello della denunciante, né ha violato l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94.

125
Per tutte queste ragioni il quarto motivo dev’essere integralmente respinto.

Sul quinto motivo, attinente al difetto di motivazione della decisione impugnata

126
Questo motivo si suddivide in due capi: da una parte, il difetto di motivazione relativamente all’analisi dell’ostacolo agli scambi e, dall’altra, il difetto di motivazione relativamente all’interesse della Comunità ad intraprendere un’azione.

Sul primo capo del quinto motivo, attinente al difetto di motivazione relativamente all’analisi dell’ostacolo agli scambi

    Argomenti delle parti

127
I ricorrenti ritengono che la Commissione abbia disatteso l’obbligo di motivazione derivante dall’art. 253 CE, in quanto nella decisione impugnata non avrebbe proceduto a un’analisi giuridica dell’ostacolo agli scambi lamentato nella denuncia.

128
La Commissione ricorda i principi stabiliti dalla giurisprudenza in materia di motivazione degli atti delle istituzioni comunitarie. A suo avviso, nella fattispecie, la motivazione della decisione impugnata integrava tutti questi requisiti giurisprudenziali. Infatti, riprendendo l’essenza delle conclusioni della relazione d’esame, esplicitamente menzionata nel sesto ‘considerando’ della decisione impugnata, questa avrebbe soddisfatto completamente l’obbligo di motivazione ad essa incombente, tanto più che la relazione d’esame è stata elaborata al termine di un procedimento in contraddittorio nel corso del quale i ricorrenti hanno potuto esprimere i loro punti di vista. Dunque, i ricorrenti sarebbero stati in grado di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e il giudice comunitario sarebbe in grado di effettuare il controllo.

    Giudizio del Tribunale

129
Secondo giurisprudenza costante, la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve far apparire, in forma chiara e non equivoca, il ragionamento dell’autorità comunitaria, autrice dell’atto contestato, in modo da permettere agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato ai fini della tutela dei loro diritti e al giudice comunitario di esercitare il proprio controllo (sentenze della Corte 26 giugno 1986, causa 203/85, Nicolet Instrument, Racc. pag. 2049, punto 10; 7 maggio 1987, causa 240/84, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio, Racc. pag. 1809, punto 31, e causa 255/84, Nachi Fujikoshi/Consiglio, Racc. pag. 1861, punto 39; e 9 gennaio 2003, causa C‑76/00 P, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. I‑79, punto 81). Inoltre, il requisito della motivazione deve essere valutato in funzione delle circostanze del caso di specie, specialmente in funzione del contenuto dell’atto, della natura delle motivazioni utilizzate e dell’interesse che i destinatari o altre persone interessate direttamente e individualmente dall’atto possono avere a ricevere spiegazioni. Non è necessario che la motivazione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, qualora la questione se la motivazione di un atto integri i requisiti dell’art. 253 CE necessiti di essere affrontata non solo in base alla sua formulazione, ma anche al suo contesto, nonché in base all’insieme delle norme giuridiche che disciplinano la materia considerata (v., in particolare, sentenze della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63, e Petrotub e Republica/Consiglio, cit., punto 81). Di conseguenza, se l’atto contestato fa emergere l’essenza dell’obiettivo perseguito dall’istituzione, sarebbe inutile esigere una motivazione specifica per ciascuna delle scelte tecniche da essa operate (sentenza della Corte 29 febbraio 1996, causa C‑122/94, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑881, punto 29).

130
Nella fattispecie, è opportuno rilevare che, da una parte, nella decisione impugnata la Commissione ha identificato l’ostacolo agli scambi lamentato nella denuncia, che «sarebbe costituito dalla decisione degli USA di applicare la sospensione delle concessioni commerciali imposte sulla senape preparata, a seguito del cosiddetto “caso ormoni”, solamente alle esportazioni provenienti da alcuni Stati membri della Comunità (il Regno Unito ne risulta escluso)» (terzo ‘considerando’ della decisione impugnata); dall’altra parte, nel sesto ‘considerando’ della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che «[l]a procedura d’esame ha portato alla conclusione che i presunti effetti negativi sugli scambi non sembrano derivare dall’ostacolo agli scambi menzionato nella denuncia, cioè dalla pratica adottata dagli USA di applicare una revoca selettiva delle concessioni nei confronti di alcuni Stati membri, ma non di tutti (cosiddette “sanzioni selettive”)».

131
Ora, se si tiene conto del contesto in cui si inserisce la presente controversia, tali indicazioni integrano i requisiti dell’art. 253 CE.

132
Occorre infatti ricordare, anzitutto, che l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94 dispone che, «[q]ualora dalla procedura d’esame risulti che non è necessario intraprendere un’azione (...), la chiusura del procedimento è decisa». Da tale disposizione risulta che una decisione che chiude una procedura d’esame può limitare la sua motivazione al richiamo delle principali conclusioni emerse dalla relazione d’esame, rinviando a quest’ultima, senza che sia necessario, se si tiene conto del contesto in cui si inserisce tale decisione, riprendere tutti quanti gli elementi di fatto e di diritto sviluppati in tale relazione.

133
È poi opportuno ricordare che la relazione d’esame è, nella sua versione non confidenziale, un documento pubblico e che, nella fattispecie, è stato trasmesso ai ricorrenti prima dell’adozione della decisione impugnata. Questi ultimi, dunque, potevano conoscere a sufficienza le ragioni della decisione impugnata e, in particolare, le ragioni per cui, nonostante la relazione d’esame avesse messo in evidenza alcuni indici di incompatibilità dell’ostacolo agli scambi lamentato dalla denunciante rispetto alle norme degli accordi stipulati nell’ambito dell’OMC, l’analisi giuridica dell’ostacolo agli scambi, nella decisione impugnata, non era necessaria, per via dell’insussistenza di un nesso di causalità fra tale ostacolo e gli effetti negativi sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94.

134
Infine, dall’esame del primo e del secondo motivo, effettuato sopra dal Tribunale, rispettivamente, nei punti 48‑58 e 64‑74, è emerso che l’esercizio del controllo giurisdizionale non è stato ostacolato.

135
Pertanto, il primo capo del quinto motivo dev’essere respinto.

Sul secondo capo del quinto motivo, attinente al difetto di motivazione in ordine all’interesse della Comunità ad avviare un’azione

    Argomenti delle parti

136
In primo luogo, ad avviso dei ricorrenti, poiché la Commissione ha preso posizione relativamente all’interesse della Comunità solo in rapporto agli interessi della denunciante, la decisione impugnata non permette né alle parti intervenute nel corso della procedura d’esame, che sono anch’esse parti ricorrenti nel presente procedimento, di conoscere le ragioni dell’adozione della decisione impugnata, né al giudice di esercitare il proprio controllo giurisdizionale.

137
In secondo luogo, i ricorrenti sostengono che la Commissione non ha risposto a tutti gli argomenti utilizzati nella denuncia relativamente all’interesse della Comunità ad avviare un’azione. Per prima cosa, i ricorrenti fanno notare che la decisione impugnata tace relativamente all’interesse della Comunità, menzionato nella relazione d’esame, di evitare che gli Stati Uniti attentino all’unità della politica commerciale comune con la pratica delle sanzioni «selettive», applicabili esclusivamente a un certo numero di Stati membri. I ricorrenti sottolineano, poi, che la denuncia affermava che non poteva escludersi che, in seguito ad un’azione della Comunità, gli Stati Uniti, estendendo le loro misure di ritorsione a tutti quanti gli Stati membri della Comunità, avrebbero ritirato la senape preparata dalla lista dei prodotti oggetto di tali misure. Infatti, secondo loro, gli Stati Uniti sarebbero stati obbligati a togliere alcuni prodotti dalla lista, fra cui, eventualmente, la senape preparata, in quanto la sospensione delle concessioni tariffarie non poteva eccedere l’ammontare di USD 116,8 milioni all’anno. Ora, anche se i ricorrenti ammettono che questo punto è stato affrontato nella relazione d’esame, essi tuttavia rilevano che la decisione impugnata lo fa passare sotto silenzio, il che, a loro avviso, costituisce un difetto di motivazione. Inoltre, i ricorrenti criticano la Commissione perché non ha risposto, nella decisione impugnata, all’argomento, sollevato nella denuncia, secondo il quale la Comunità, in questo caso, aveva tanto interesse ad avviare un’azione quanto ne aveva ad avviare consultazioni con gli Stati Uniti nell’ambito dell’applicazione dell’art. 306 della legge americana del 1974 sul commercio estero. Infine, i ricorrenti rimproverano alla Commissione di non aver risposto, nella decisione impugnata, all’argomento, affrontato invece nella relazione d’esame, secondo il quale una condanna degli Stati Uniti presso l’OMC permetterebbe loro di chiedere il rimborso dei dazi doganali indebitamente percepiti.

138
La Commissione per tutti quanti questi addebiti rinvia agli argomenti sviluppati nel contesto del primo capo del presente motivo.

    Giudizio del Tribunale

139
Come ricordato sopra, nel punto 129, non è necessario che la motivazione di una decisione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, purché permetta agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato ai fini della tutela dei loro diritti e al giudice comunitario di esercitare il suo controllo, tenendo conto, in particolare, del contesto giuridico e fattuale in cui tale decisione si inserisce.

140
Venendo al primo argomento dei ricorrenti, secondo cui la decisione impugnata non permetterebbe alle parti interessate intervenute nel corso della procedura d’esame di conoscere le ragioni della chiusura della procedura, il Tribunale ritiene che esso debba essere respinto.

141
Certo, occorre rilevare che la Commissione ha effettivamente preso la decisione impugnata esclusivamente in rapporto alla senape preparata.

142
Tuttavia, nel contesto in cui si inserisce tale decisione, una siffatta circostanza non ha impedito a tutti i ricorrenti di conoscere le ragioni per le quali la Commissione ha deciso di chiudere la procedura d’esame nella quale le parti interessate sono state coinvolte. Infatti, dalla relazione d’esame, la quale è stata comunicata ai ricorrenti prima dell’adozione della decisione impugnata, risulta chiaramente che le conclusioni di tale relazione si applicavano ai loro prodotti almeno quanto a quelli della denunciante. Oltretutto, l’esame ha messo in evidenza che i prodotti delle parti interessate non subivano sul mercato americano alcuna concorrenza da parte di identici prodotti provenienti dal Regno Unito, poiché tali prodotti non vi erano esportati e, dunque, l’ostacolo agli scambi denunciato non causava loro alcun effetto negativo sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94.

143
Infine, anche se la Commissione, nel rispetto del principio di buona amministrazione, avrebbe dovuto precisare più chiaramente la situazione delle altre organizzazioni, oltre alla denunciante, intervenute durante la procedura d’esame, la mancanza di un riferimento ai prodotti di queste ultime fra i motivi della decisione impugnata, tuttavia, non ostacola l’esercizio del controllo giurisdizionale del Tribunale, se si tiene conto del contesto in cui tale decisione si inserisce.

144
Per quanto concerne il secondo argomento e gli ultimi tre addebiti sviluppati sopra, nel punto 137, si deve precisare che i ricorrenti ammettono che la relazione d’esame ha analizzato e respinto tutti gli addebiti da loro sollevati. Ora, dal punto di vista della motivazione, il Tribunale ritiene che la Commissione, in sede di motivazione della decisione impugnata, non dovesse pronunciarsi su tutti gli elementi di fatto e di diritto sollevati dai ricorrenti più di quanto dovesse farlo su tutte le scelte tecniche operate dalla Commissione, nella misura in cui l’essenza dell’obiettivo perseguito dall’istituzione risultava chiaramente dalla decisione impugnata. Dunque, il silenzio della decisione impugnata sugli ultimi tre addebiti sollevati dai ricorrenti poteva essere inteso, nel contesto del caso di specie, come una conferma della posizione espressa nella relazione d’esame, relazione che era stata trasmessa ai ricorrenti prima dell’adozione della decisione impugnata e alla quale essa ha fatto espresso riferimento. Inoltre, il mancato riferimento, nei motivi della decisione impugnata, alle considerazioni di natura ipotetica all’origine dei tre addebiti sollevati dai ricorrenti non ostacola il controllo della legalità della decisione impugnata. Dunque, questi tre addebiti debbono essere respinti.

145
Dev’essere altresì respinto l’addebito attinente alla mancanza di motivazione della decisione impugnata relativamente all’interesse sistematico della Comunità a difendere l’unità della politica commerciale comune. Infatti, dalla relazione d’esame risulta che, com’è stato sottolineato sopra, nel contesto della valutazione del quarto motivo, nonostante l’unità della politica commerciale comune sia stata certamente considerata rappresentare un interesse generale e di lungo periodo della Comunità, nella fattispecie tale motivo non ha implicato che un’azione della Comunità venisse considerata necessaria, e ciò per via del mancato soddisfacimento delle condizioni legali di applicazione del regolamento n. 3286/94. Di conseguenza, nel contesto del procedimento in esame, i ricorrenti hanno potuto conoscere le ragioni per le quali, nella fattispecie, l’azione della Comunità non poteva essere presa in considerazione e la motivazione della decisione impugnata, benché laconica, soddisfaceva anche il requisito della possibilità di controllo giurisdizionale.

146
Conseguentemente, il secondo capo del presente motivo deve essere respinto così come il quinto motivo nella sua interezza.

Sul sesto motivo, attinente ad errori manifesti nella valutazione dei fatti nonché alla violazione dell’art. 2, n. 4, e dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94

147
Il presente motivo si suddivide in due capi. Il primo capo attiene ad un errore manifesto di valutazione della Commissione relativo all’eventuale ritiro dei prodotti dei ricorrenti dalla lista delle merci sottoposte alla sovrattassa doganale americana. Il secondo capo attiene ad un errore manifesto di valutazione relativo al rimborso della sovrattassa doganale indebitamente pagata.

Sul primo capo del sesto motivo, attinente ad un errore manifesto di valutazione della Commissione in relazione ad un eventuale ritiro dei prodotti dei ricorrenti dalla lista delle merci sottoposte alla sovrattassa doganale americana

    Argomenti delle parti

148
I ricorrenti precisano che, anche se il Tribunale dovesse respingere il secondo addebito da loro sollevato nel contesto del secondo capo del quinto motivo, attinente al difetto di motivazione, si dovrebbe comunque dichiarare che la Commissione, nella sua relazione d’esame, ha commesso un errore manifesto nella valutazione dei fatti e violato l’art. 2, n. 4, e l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94.

149
Secondo i ricorrenti, è evidente che, se il Regno Unito fosse stato incluso nella lista degli Stati soggetti alla sospensione delle concessioni tariffarie americane, «piccoli» prodotti provenienti da altri Stati membri, come quelli dei ricorrenti, avrebbero potuto essere esclusi dall’ambito di applicazione delle misure americane, per via del limite massimo dell’ammontare delle sospensioni tariffarie, fissato dalla decisione arbitrale degli organi dell’OMC. D’altronde, la pertinenza di un simile approccio sarebbe stata riconosciuta anche dalla Commissione nel suo avviso di apertura della procedura d’esame. Dunque, la Commissione avrebbe dovuto dare maggiore spazio all’analisi della possibilità che i prodotti dei ricorrenti venissero esclusi dalla lista determinata dalle autorità americane. I ricorrenti ritengono che l’incertezza circa il successo in un procedimento di risoluzione delle controversie non possa precludere un’azione della Comunità laddove ve ne sia la possibilità. Ora, nel caso di specie le cose starebbero effettivamente in questo modo.

150
La Commissione, pur ritenendo di avere già risposto a questo motivo nelle sue osservazioni relative ai motivi precedenti, nondimeno sottolinea che la decisione impugnata non è mai andata al di là dei limiti inerenti al suo potere discrezionale, come configurato dalla giurisprudenza, per quanto attiene alla scelta dei mezzi necessari per la realizzazione della politica commerciale comune e nella valutazione di situazioni economiche di carattere complesso.

151
Nella fattispecie, la Commissione ritiene di non aver commesso alcun errore manifesto nella valutazione dei fatti, per come sono descritti nella relazione d’esame, sia per quanto riguarda l’insussistenza di effetti negativi sugli scambi, sia per quanto riguarda l’insussistenza di un interesse della Comunità a dar seguito alla procedura. Ciò varrebbe, in particolare, per le speculazioni dei ricorrenti circa il ritiro della senape preparata dalla lista delle misure americane.

    Giudizio del Tribunale

152
Anzitutto occorre ricordare che, dopo essersi pronunciata nel senso dell’insussistenza di un nesso di causalità fra l’ostacolo agli scambi lamentato nella denuncia della FICF e gli effetti negativi sugli scambi, la Commissione, nella relazione d’esame, ha esaminato l’argomento addotto nella denuncia secondo cui, nell’ipotesi in cui la Comunità vincesse la causa dinanzi agli organi dell’OMC, la sospensione delle concessioni tariffarie ad opera degli Stati Uniti dovrebbe essere estesa al Regno Unito, il che li porterebbe inevitabilmente a modificare la lista dei prodotti colpiti, poiché, altrimenti, l’ammontare totale della sospensione supererebbe l’ammontare autorizzato dall’ODC (USD 116,8 milioni). Dunque, secondo i ricorrenti, la senape preparata e gli altri prodotti sottoposti alla procedura d’esame potrebbero essere esclusi dalla lista dei prodotti presentata all’ODC da parte delle autorità americane.

153
Occorre poi rilevare che la Commissione, nella relazione d’esame (punto 2.5, pag. 32), ha risposto a tale argomento nel seguente modo:

«Tuttavia, anzitutto, l’esito di un procedimento avviato dinanzi agli organi dell’OMC sarebbe lungi dall’essere certo, per via della mancanza di precedenti sulle questioni in causa. La stesura della lista di prodotti sui quali è applicata una sovrattassa doganale del 100%, poi, rientra nella competenza delle autorità americane. Non vi è alcuna garanzia (anzi, potrebbe addirittura ritenersi altamente improbabile) che le autorità americane eliminerebbero dalla lista i prodotti del denunciante. Inoltre, estendere la misura al roquefort, al foie gras o agli scalogni provenienti dal Regno Unito non produrrebbe alcun effetto sullo statu quo, poiché il Regno Unito non esporta tali prodotti».

154
Il Tribunale ritiene che l’analisi sviluppata nella relazione d’esame per rispondere all’argomento addotto dalla denunciante e dalle parti interessate non sia affetta da un errore manifesto di valutazione.

155
Innanzitutto, come messo in evidenza dalla relazione d’esame e come ricordato dalla Commissione in udienza, anche supponendo che la Comunità avesse intrapreso con successo un’azione dinanzi agli organi dell’OMC, l’eventuale modificazione della lista dei prodotti sottoposti alla sospensione delle concessioni tariffarie che gli Stati Uniti effettuerebbero rientrerebbe nella competenza delle autorità americane. A tale riguardo, occorre notare che, nella decisione arbitrale del 12 luglio 1999 (WT/DS26/ARB), richiamata sopra al punto 17 e confermata dall’ODC, gli arbitri hanno affermato chiaramente, basandosi sull’art. 22 dell’intesa sulla risoluzione delle controversie, di non essere competenti in ordine alla determinazione della lista definitiva dei prodotti suscettibili di sospensione delle concessioni tariffarie. Ora, i ricorrenti non hanno né affermato né, a fortiori, dimostrato che la Comunità potesse avere una simile competenza.

156
Il Tribunale rileva, poi, che l’inclusione nella lista americana dei prodotti originari del Regno Unito non implicherebbe affatto il ritiro dei prodotti dei ricorrenti da quella stessa lista. In effetti, è altrettanto possibile e ragionevole immaginare che possano essere tolti dalla lista altri prodotti o sottoprodotti della nomenclatura tariffaria, pur continuando l’ammontare massimo di USD 116,8 milioni, autorizzato dall’ODC, ad essere rispettato.

157
Infine, si deve constatare che i ricorrenti non forniscono alcun elemento di prova che permetta di dimostrare che vi sia un errore manifesto di valutazione e alla Commissione rimproverano esclusivamente di non aver preso in considerazione un possibile ritiro dei loro prodotti. A parte il fatto che tale affermazione non è esatta poiché la relazione d’esame ha risposto, respingendolo, all’addebito sollevato nella denuncia della FICF, l’analisi svolta nella relazione d’esame, comunque, non può considerarsi viziata da un errore manifesto di valutazione da parte della Commissione, se si tiene conto del carattere ipotetico della situazione presa in considerazione dai ricorrenti.

158
Di conseguenza, il primo capo del presente motivo dev’essere respinto.

Sul secondo capo del sesto motivo, attinente ad un errore manifesto di valutazione in relazione alla restituzione della sovrattassa doganale indebitamente pagata

    Argomenti delle parti

159
Per quanto riguarda la possibilità di pretendere la restituzione dei dazi doganali percepiti dalle autorità americane fino al momento di un’eventuale condanna degli Stati Uniti presso l’OMC, i ricorrenti, anzitutto, si stupiscono del fatto che la Commissione, nel respingere questo argomento, addotto nella denuncia, per il motivo che il diritto americano non attribuirebbe efficacia diretta agli accordi dell’OMC ed escluderebbe ricorsi di privati basati su tali accordi, abbia preso posizione sull’interpretazione di un diritto straniero, cosa che andrebbe al di là delle sue competenze. Poi, i ricorrenti ritengono che la legislazione americana non impedisca ai privati di esperire azioni amministrative volte all’ottenimento del rimborso di dazi doganali indebitamente percepiti. I ricorrenti richiamano a tale riguardo la relazione del Panel, datata 15 luglio 2002, relativa all’art. 129, C), 1), della legge americana sugli accordi dell’Uruguay Round (Uruguay Round Agreements Act), che confermerebbe che le autorità americane possono tener conto delle raccomandazioni emanate dagli organi dell’OMC. Di conseguenza, i ricorrenti ritengono che, al contrario di ciò che ha concluso la Commissione nella sua relazione d’esame, un rimborso dei dazi doganali percepiti dalle autorità americane sia possibile.

160
La Commissione, sostanzialmente, rinvia alla posizione da essa sviluppata a proposito del primo capo del presente motivo.

    Giudizio del Tribunale

161
Occorre rilevare che la premessa su cui si fonda questo capo è basata sull’ipotesi secondo la quale, in seguito ad un’eventuale decisione degli organi dell’OMC che desse ragione alla Comunità, gli Stati Uniti estenderebbero la sospensione delle concessioni tariffarie a tutti quanti gli Stati membri, il che comporterebbe l’eliminazione dei prodotti dei ricorrenti dalla lista americana, laddove tale eliminazione avrebbe a sua volta come conseguenza che i ricorrenti potrebbero domandare la restituzione della sovrattassa doganale pagata alle autorità doganali americane fino a quel momento.

162
Ora, quest’ipotesi è priva di ogni fondamento, in quanto subordinata a quella respinta dal Tribunale nell’esame del primo capo del presente motivo.

163
Per di più, senza che occorra risolvere la questione dell’interpretazione della normativa e della pratica americane effettuata dalla Commissione, si deve rilevare che la relazione d’esame ha respinto la tesi della denunciante e delle parti interessate anche per il motivo che il procedimento di risoluzione delle controversie dell’OMC si basa sul principio dell’adeguamento ex nunc alle norme del GATT del 1994, che risulta dall’art. 19, n. 1, dell’intesa sulla risoluzione delle controversie. Dunque, poiché tale valutazione non è stata contestata dai ricorrenti, occorre concludere che, anche supponendo che debba constatarsi un errore di valutazione relativamente alla possibilità di richiedere un rimborso dei dazi doganali indebitamente percepiti, tale errore non avrebbe comunque pregiudicato la legalità della decisione impugnata. Infatti, da una parte tale errore non inciderebbe sull’insussistenza di un nesso di causalità fra l’ostacolo agli scambi denunciato e gli effetti negativi sugli scambi che è stata constatata dalla decisione impugnata; dall’altra, non pregiudicherebbe la valutazione dell’eventuale interesse della Comunità ad avviare un’azione nell’ambito dell’OMC, poiché tale azione non ha come fine, né può avere come effetto, il rimborso retroattivo dei dazi doganali versati alle autorità di uno Stato terzo da imprese comunitarie i cui prodotti siano sottoposti a una misura di sospensione di concessioni tariffarie da parte di tale Stato.

164
Pertanto, il secondo capo del sesto motivo dev’essere respinto, così come tale motivo nella sua interezza.

Sul settimo motivo, attinente alla violazione dei diritti della difesa

Argomenti delle parti

165
Mediante questo motivo, i ricorrenti accusano la Commissione di non aver permesso loro di far valere il loro punto di vista in ordine agli elementi di fatto e di diritto contenuti nella relazione d’esame, prima dell’adozione della decisione impugnata.

166
Nella fattispecie, i ricorrenti ricordano che la Commissione ha trasmesso loro la relazione d’esame, tuttavia segnalando loro che la decisione impugnata sarebbe stata adottata nel prossimo futuro. Secondo i ricorrenti, tale posizione lasciava intendere che, dal momento della trasmissione della relazione d’esame, la decisione impugnata era già stata presa e che, perciò, la Commissione non avrebbe lasciato loro alcuna possibilità di far valere il loro punto di vista sugli elementi contenuti in tale relazione. Tale posizione sarebbe stata confermata dalla Commissione nella lettera del 4 giugno 2002, indirizzata al difensore dei ricorrenti. Ora, nonostante i ricorrenti ammettano, da una parte, che la denunciante è stata informata del risultato della procedura d’esame e, dall’altra, che nessuna disposizione del regolamento n. 3286/94 prevede la trasmissione di informazioni ad altre parti interessate dopo la fine della procedura d’esame, essi ritengono, nondimeno, che, in virtù del principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa ? come è stato specificamente stabilito nell’ambito del contenzioso dell’antidumping ? la Commissione avrebbe dovuto permettere loro di rispondere agli argomenti formulati nella relazione d’esame. Il fatto che i ricorrenti abbiano avuto «contatti» coi servizi della Commissione non revoca in dubbio questa conclusione, poiché i ricorrenti sostengono di non aver mai potuto conoscere con precisione il fondamento in fatto e in diritto della posizione della Commissione prima dell’adozione della relazione d’esame.

167
La Commissione replica affermando che tutti questi argomenti non sono pertinenti. Infatti, a suo avviso, nel caso di specie, gli obblighi scaturenti dall’art. 8 del regolamento n. 3286/94 sono stati perfettamente rispettati. Anche se i ricorrenti hanno avuto la possibilità di presentare le loro osservazioni durante la procedura d’esame, il fatto ? come affermato dai ricorrenti ? di non aver potuto avvalersi di un «diritto di replica» prima dell’adozione della decisione impugnata deriva dall’applicazione delle disposizioni dell’art. 8 del regolamento n. 3286/94.

168
Inoltre, riferendosi alla giurisprudenza sviluppata in argomento in materia di antidumping, la Commissione precisa che è importante che le imprese interessate possano far conoscere il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sugli elementi di prova accolti. Ora, trasponendo tale giurisprudenza al caso di specie, la Commissione ritiene di aver rispettato i diritti della difesa dei ricorrenti. D’altronde, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, la denunciante avrebbe avuto tutto il tempo di comunicare le proprie osservazioni fra la data in cui la relazione d’esame le è stata trasmessa, il 23 aprile 2002, e la data in cui la decisione impugnata è stata adottata, il 9 luglio 2002.

169
Inoltre, la Commissione rileva che i ricorrenti non hanno eccepito l’illegittimità dell’art. 8 del regolamento n. 3286/94 per violazione del principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa.

Giudizio del Tribunale

170
Si deve anzitutto ricordare che il principio del rispetto dei diritti della difesa è un principio fondamentale del diritto comunitario (v., specialmente, sentenze della Corte 17 ottobre 1989, causa 85/87, Dow Benelux/Commissione, Racc. pag. 3137, punto 25; 27 giugno 1991, causa C‑49/88, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I‑3187, punto 15, nonché sentenza del Tribunale 18 dicembre 1997, cause riunite T‑159/94 e T‑160/94, Ajinomoto e NutraSweet/Consiglio, Racc. pag. II‑2461, punto 81).

171
D’altra parte, nella generale economia del regolamento n. 3286/94, la procedura d’esame e l’eventuale azione nell’interesse della Comunità decisa al termine di quella si rivolgono esclusivamente ad un paese terzo che abbia adottato o mantenuto un ostacolo agli scambi. Dunque, un’impresa che sporga denuncia in base al regolamento n. 3286/94 può richiamarsi al rispetto dei diritti della difesa unicamente alle condizioni specificate da tale regolamento, a meno che tali condizioni siano esse stesse considerate una violazione del principio generale che mirano a concretizzare.

172
A tale proposito, è importante rilevare che l’art. 8, n. 4, lett. a), del regolamento n. 3286/94 dispone che «[l]a Commissione offre ai denuncianti, agli esportatori e agli importatori interessati, nonché ai rappresentanti del paese o dei paesi esportatori o importatori interessati, la possibilità di prendere visione di tutte le informazioni ad essa fornite, tranne i documenti ad uso interno della Commissione e delle amministrazioni, purché tali informazioni siano pertinenti per la tutela dei loro interessi, non siano riservate ai sensi dell’articolo 9 e siano utilizzate dalla Commissione nella sua procedura d’esame» e che «gli interessati presentano a tal fine una domanda scritta motivata alla Commissione, indicando le informazioni desiderate». Inoltre, lo stesso punto, sub b), stabilisce che «[i] denuncianti, gli esportatori e gli importatori interessati, nonché i rappresentanti del paese o dei paesi esportatori o importatori interessati, possono chiedere di essere informati dei fatti e delle considerazioni essenziali risultanti dalla procedura d’esame». L’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 impone alla Commissione di sottoporre, al termine del suo esame, una relazione al comitato di cui all’art. 7 del regolamento.

173
Da tali disposizioni risulta che il regolamento n. 3286/94 concede ai denuncianti, agli esportatori e agli importatori interessati, nonché ai rappresentanti del paese o dei paesi interessati, un diritto di informazione, sottoposto alle condizioni precisate nell’art. 8, n. 4, lett. a) e b), dello stesso, che, in particolare, deve conciliarsi con l’obbligo delle istituzioni comunitarie di rispettare il segreto commerciale. Queste stesse persone possono chiedere di essere informate sui fatti e sulle considerazioni essenziali risultanti dalla procedura d’esame.

174
Nella fattispecie, è pacifico che la versione non confidenziale della relazione d’esame è stata trasmessa ai ricorrenti dopo il parere del comitato consultivo e prima dell’adozione della decisione impugnata. In tale occasione, i ricorrenti avrebbero potuto far valere i loro punti di vista. Tuttavia, i ricorrenti hanno ritenuto che la posizione della Commissione, al tempo della trasmissione della relazione, fosse già stata determinata, in quanto la Commissione aveva contemporaneamente annunciato loro che la decisione impugnata sarebbe stata adottata nel prossimo futuro. Dunque, ne hanno dedotto che eventuali loro osservazioni non avrebbero avuto alcuna influenza sulla posizione dell’istituzione. Ne segue che, sostanzialmente, i ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto trasmettere loro il progetto di relazione d’esame in modo da poter formulare utilmente osservazioni prima della sua trasmissione al comitato consultivo o, per lo meno, avrebbe dovuto informarli d’ufficio sui fatti e sulle considerazioni essenziali risultanti dalla procedura d’esame.

175
Tuttavia, il Tribunale constata che nessuna disposizione del regolamento n. 3286/94 impone alla Commissione di trasmettere alle persone menzionate nell’art. 8, n. 4, di tale regolamento il progetto di relazione d’esame prima della sottoposizione dello stesso al comitato consultivo, di modo che tali persone possano comunicare le loro eventuali osservazioni all’istituzione, né impone di informare d’ufficio tali persone sui fatti e sulle considerazioni essenziali risultanti dalla procedura d’esame.

176
Al contrario, occorre ricordare che l’art. 8, n. 4, lett. a) e b), del regolamento n. 3286/94 obbliga le persone menzionate in tale disposizione a formulare una domanda di informazione alla Commissione. Per quanto riguarda le informazioni utilizzate nella procedura d’esame [di cui alla lett. a)], tale domanda deve essere inviata per iscritto alla Commissione e deve essere motivata indicando le informazioni desiderate. Nell’ipotesi in cui la domanda concerna i fatti e le considerazioni essenziali risultanti dalla procedura d’esame [presi in considerazione nella lett. b)], il regolamento non impone né forme né condizioni particolari che tale domanda debba rispettare.

177
Ora, nella fattispecie, i ricorrenti non hanno mai sostenuto di aver inviato alla Commissione una domanda d’informazione, ai sensi dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 3286/94, prima dell’adozione della relazione d’esame. Inoltre, come la Commissione ha rilevato, a ragione, i ricorrenti non hanno eccepito l’illegittimità delle disposizioni dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 3286/94.

178
Occorre altresì rilevare che i ricorrenti, nelle loro memorie, hanno ammesso di essere stati tenuti informati dell’evoluzione e della direzione della procedura d’esame, di aver potuto esprimere, oralmente, la loro opinione in ordine all’esito della procedura stessa e di essere stati informati, prima dell’adozione della relazione d’esame, del fatto che la Commissione riteneva che non sussistessero, nel caso di specie, effetti negativi sugli scambi, nel senso del regolamento n. 3286/94. È giocoforza constatare, quindi, che i ricorrenti sono stati messi in grado di far valere il loro punto di vista sull’evoluzione e sulla direzione della procedura d’esame e su almeno uno dei suoi elementi fondamentali, nonché di difendere i loro interessi. È vero che, nel contesto del loro ricorso, i ricorrenti hanno sostenuto che tali informazioni erano troppo generali per essere considerate rispettose dei loro diritti procedurali. Tuttavia, dagli atti di causa non risulta che i ricorrenti, prima della fine della procedura d’esame, abbiano domandato – ove necessario per iscritto – alla Commissione di precisare tali informazioni, in particolare per quanto riguardava i fatti e le considerazioni essenziali, comprese quelle giuridiche, risultanti dalla procedura d’esame, come previsto dall’art. 8, n. 4, del regolamento n. 3286/94. In questo caso, poiché la Commissione ha l’obbligo di rispondere con diligenza a tale domanda di informazione, i ricorrenti sarebbero stati in grado di far valere utilmente i loro punti di vista sugli elementi contenuti nella risposta della Commissione. Nel contesto del presente ricorso, i ricorrenti non possono rimproverare alla Commissione di non aver permesso loro di presentare osservazioni sugli elementi di fatto e di diritto risultanti dalla procedura d’esame, non avendo mai affermato di aver formulato una simile domanda. Oltretutto, il fatto che il diritto di essere informati intorno ai fatti e alle considerazioni essenziali risultanti dalla procedura d’esame sia subordinato alla condizione – e solo a questa – che i ricorrenti ne facciano domanda alla Commissione non pregiudica, di per sé, la tutela dei loro interessi, dal momento che, per di più, tale domanda non è soggetta ad alcuna forma particolare.

179
Inoltre, dalla relazione d’esame risulta che la Commissione ha esaminato diversi argomenti esposti nella denuncia e vi ha risposto. Essa ha altresì esaminato la situazione di prodotti diversi dalla senape preparata, che si lamentava fossero colpiti allo stesso modo dalle misure americane, e ciò in seguito alla partecipazione delle organizzazioni interessate alla procedura d’esame, le quali – come risulta dalla relazione d’esame senza che ciò sia stato contestato dai ricorrenti – hanno collaborato a tale procedura.

180
Per tutte queste ragioni il settimo motivo dev’essere respinto.

Sull’ottavo motivo, attinente alla violazione dell’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 e alla violazione del dovere di diligenza della Commissione

181
Questo motivo si basa su due capi. Il primo capo attiene al mancato rispetto del termine previsto dall’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94. Il secondo capo attiene alla violazione del dovere di diligenza della Commissione relativamente al lasso di tempo trascorso fra la fine della procedura di consultazione del comitato di cui all’art. 7 del regolamento n. 3286/94 e l’adozione della decisione impugnata.

Sul primo capo dell’ottavo motivo, attinente al mancato rispetto del termine previsto dall’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94.

    Argomenti delle parti

182
I ricorrenti ricordano che, secondo l’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94, la Commissione, di regola, dovrebbe trasmettere la propria relazione d’esame al comitato di cui all’art. 7 dello stesso regolamento entro il termine di cinque mesi dall’avviso di apertura della procedura, salvo quando la complessità dell’esame la induca a portare tale termine a sette mesi. Secondo i ricorrenti, il termine di sette mesi è assolutamente inderogabile e la sua esistenza mira a garantire alle imprese denuncianti una risposta rapida circa l’esito della valutazione del fascicolo sottoposto alla Commissione. Ora, i ricorrenti ritengono che la Commissione abbia violato l’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94, in quanto, nella fattispecie, effettivamente, la Commissione ha ritenuto che la complessità dell’esame rendesse necessario portare il termine a sette mesi e il comitato ha ricevuto la relazione solamente il 27 marzo 2002, cioè sette mesi e ventisette giorni dopo l’avviso di apertura della procedura.

183
La Commissione ritiene che la quantità di tempo impiegata per la chiusura della procedura non sia irragionevole, considerata la complessità del settore in cui è intervenuta la decisione impugnata e se si tiene conto della sua preoccupazione di esaminare tutti gli argomenti dei diversi soggetti intervenuti prima di chiudere la procedura. La Commissione ricorda, altresì, di aver condotto la procedura in causa con spirito di leale cooperazione, tenendo informate tutte le parti coinvolte.

    Giudizio del Tribunale

184
Preliminarmente occorre ricordare che l’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94, dispone quanto segue:

«Terminato l’esame, la Commissione sottopone una relazione al comitato. La relazione deve essere presentata di norma entro i cinque mesi successivi all’avviso di apertura, salvo quando la complessità dell’esame induca la Commissione a portare tale termine a sette mesi».

185
Nella fattispecie, i ricorrenti non contestano che l’esame condotto dalla Commissione fosse complesso e rendesse necessario portare il termine a sette mesi. È altrettanto pacifico che la relazione d’esame è stata trasmessa al comitato di cui all’art. 7 del regolamento n. 3286/94 sette mesi e ventisette giorni dopo l’avviso di apertura della procedura d’esame. Dunque, il termine di sette mesi previsto dall’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 è stato superato.

186
Tuttavia, occorre verificare se un simile superamento del termine previsto dall’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 possa comportare l’annullamento della decisione impugnata.

187
Innanzi tutto, è opportuno precisare che, mentre il superamento di un termine di natura perentoria comporta la nullità di qualunque atto adottato fuori termine, il superamento di un termine di natura puramente indicativa, per principio, non dovrebbe comportare l’annullamento dell’atto adottato fuori termine (v., in questo senso e per analogia, sentenza del Tribunale 2 maggio 1995, cause riunite T‑163/94 e T‑165/94, NTN Corporation e Koyo Seiko/Consiglio, Racc. pag. II‑1381, punto 119 e giurisprudenza ivi citata).

188
Venendo poi alla natura del termine di cui all’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94, occorre constatare che[, nella versione francese,] l’impiego del condizionale e dell’avverbio «normalement» nella seconda frase di tale disposizione permette di ritenere che il termine di cinque mesi previsto per la sottoposizione della relazione d’esame sia di natura indicativa (v., per analogia, sentenza NTN Corporation e Koyo Seiko/Consiglio, cit., punto 119).

189
Il Tribunale ritiene che la natura del termine per la sottoposizione della relazione d’esame non possa cambiare in funzione del fatto che la Commissione ritenga che la complessità dell’esame debba indurla a portare tale termine a sette mesi. Infatti si deve rilevare che il termine di sette mesi a cui si riferisce l’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 rappresenta, nell’ipotesi di un esame detto «complesso», esclusivamente la proroga del termine iniziale di cinque mesi previsto nel caso di un esame detto «semplice o normale». La fine della seconda frase dell’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94, in effetti, indica che si tratta di «portare tale termine a sette mesi». Tale formulazione si ritrova anche nelle altre versioni linguistiche del regolamento n. 3286/94. Ne segue che, poiché il termine per la trasmissione della relazione d’esame, nell’ipotesi di un esame qualificato come «semplice o normale», è di natura puramente indicativa, lo stesso vale nel caso di un esame detto «complesso», giacché si tratta semplicemente di una proroga del termine iniziale.

190
Ciò premesso, il Tribunale ritiene che la Commissione non possa ritardare la sottoposizione della relazione d’esame oltre un termine ragionevole (v., per analogia, sentenza NTN Corporation e Koyo Seiko/Consiglio, cit.), poiché tale fatto, in effetti, può contribuire a ritardare l’adozione della decisione di chiudere la procedura d’esame.

191
Tuttavia, nella fattispecie, il superamento di ventisette giorni del termine indicativo di sette mesi previsto dall’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 non costituisce una violazione del principio del termine ragionevole.

192
Pertanto, il primo capo dell’ottavo motivo dev’essere respinto.

Sul secondo capo dell’ottavo motivo, attinente alla violazione del dovere di diligenza della Commissione relativamente al lasso di tempo trascorso fra la fine della procedura di consultazione del comitato di cui all’art. 7 del regolamento n. 3286/94 e l’adozione della decisione impugnata

    Argomenti delle parti

193
I ricorrenti sostengono che la Commissione è venuta meno al suo dovere di diligenza, che le imponeva di adottare la decisione impugnata più velocemente di quanto abbia fatto, in seguito alla consultazione del comitato di cui all’art. 7 del regolamento n. 3286/94. Infatti, secondo i ricorrenti, la decisione è stata adottata dopo ben tre mesi dalla fine della procedura di consultazione. Ora, i ricorrenti sostengono che, se si tiene conto dell’importanza della procedura prevista dal regolamento n. 3286/94 per le imprese coinvolte e del già lungo intervallo di tempo trascorso fra l’annuncio dell’apertura della procedura d’esame e la trasmissione della relazione d’esame al comitato, si deve concludere che la Commissione è venuta meno al proprio dovere di diligenza.

194
La Commissione replica affermando di aver agito, in un procedimento con gravi conseguenze, con la massima diligenza possibile.

    Giudizio del Tribunale

195
Occorre rilevare che, in applicazione dell’art. 7, n. 4, del regolamento n. 3286/94, il comitato consultivo dispone di otto giorni lavorativi per reagire alla relazione d’esame trasmessa dalla Commissione in applicazione dell’art. 8, n. 8, del regolamento.

196
Secondo l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94, una decisione della Commissione che chiude una procedura d’esame deve essere adottata in base alla procedura prevista dall’art. 14 di tale regolamento. Secondo il n. 2 di tale disposizione, «[i]l rappresentante della Commissione sottopone al comitato un progetto della decisione da adottare» e «[i]l comitato delibera entro un termine che il presidente può fissare in funzione dell’urgenza della questione in esame». L’art. 14, n. 3, del regolamento n. 3286/94 dispone che «[l]a Commissione adotta una decisione che comunica agli Stati membri e che è applicabile allo scadere di un termine di dieci giorni qualora entro tale termine nessuno Stato membro abbia deferito la questione al Consiglio».

197
Ne segue che il regolamento n. 3286/94 non prevede né un termine entro il quale la Commissione debba sottoporre al comitato consultivo un progetto di decisione, in seguito alla procedura di consultazione vertente sulla relazione d’esame, né un termine entro cui la Commissione debba adottare una decisione, a decorrere dal momento in cui il comitato abbia deliberato sul progetto. Di conseguenza, il regolamento non menziona alcun termine entro cui una decisione di chiusura della procedura d’esame – come, nella fattispecie, la decisione impugnata – debba intervenire in seguito alla consultazione del comitato di cui all’art. 7 del regolamento n. 3286/94.

198
Il Tribunale ritiene che il silenzio del regolamento n. 3286/94 su tale questione possa essere interpretato come la conseguenza della volontà del legislatore comunitario di lasciare alla Commissione un certo margine di valutazione discrezionale in ordine alla data in cui sia opportuno adottare una decisione di chiusura di una procedura d’esame, in funzione di tutte le circostanze di ciascun caso di specie e specialmente di eventuali interventi che la Commissione potrebbe prendere in considerazione di effettuare presso le autorità dello Stato terzo interessato, prima della chiusura di una procedura d’esame.

199
Tuttavia, il riconoscimento di un siffatto margine di valutazione discrezionale non può implicare per la Commissione l’autorizzazione a ritardare oltre un ragionevole termine l’adozione di una decisione ai sensi dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94, laddove tale termine deve essere determinato in funzione delle particolari circostanze di ciascuna fattispecie. Un limite siffatto, come i ricorrenti hanno sostenuto, mira infatti a garantire il rispetto del dovere di diligenza e del principio di buona amministrazione che incombe alla Commissione.

200
Nella fattispecie, occorre rilevare che tra la fine della procedura di consultazione del comitato, il 15 aprile 2002, e l’adozione della decisione impugnata, il 9 luglio 2002, sono trascorsi due mesi e ventiquattro giorni. Ora, un tale intervallo di tempo non è da considerarsi irragionevole, se si tiene conto, in particolare, dell’obbligo che incombe alla Commissione di procedere alla consultazione interna dei suoi diversi servizi sul progetto di decisione e di quello di procedere alla consultazione degli Stati membri sulla decisione, come prescritto dall’art. 14 del regolamento n. 3286/94, e se si tiene altresì conto della necessità di un intervallo di tempo sufficiente per consentire la traduzione della decisione in tutte le lingue ufficiali della Comunità.

201
Ne segue che il secondo capo del presente motivo deve essere respinto, così come l’ottavo motivo nella sua interezza.

202
Conseguentemente, il ricorso deve essere integralmente respinto.


Sulle spese

203
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché i ricorrenti sono rimasti soccombenti, devono essere condannati alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

I ricorrenti sono condannati alle spese.

Vesterdorf

Mengozzi

Martins Ribeiro

Dehousse

Labucka

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 dicembre 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

B. Vesterdorf

Indice

Contesto giuridico

Fatti all’origine della controversia

Procedimento e conclusioni delle parti

Sulla ricevibilità

Nel merito

    Sul primo motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 3286/94

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 4, del regolamento n. 3286/94

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’art. 10, n. 5, del regolamento n. 3286/94

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sul quarto motivo, attinente alla violazione dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

            – Osservazioni preliminari

            – Sulla valutazione dell’interesse della Comunità nella fase dell’annuncio dell’apertura della procedura d’esame

            – Sull’assimilazione o la riduzione dell’interesse della Comunità all’interesse individuale della denunciante e la mancata presa in considerazione degli interessi delle altre parti interessate

    Sul quinto motivo, attinente al difetto di motivazione della decisione impugnata

        Sul primo capo del quinto motivo, attinente al difetto di motivazione relativamente all’analisi dell’ostacolo agli scambi

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sul secondo capo del quinto motivo, attinente al difetto di motivazione in ordine all’interesse della Comunità ad avviare un’azione

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

    Sul sesto motivo, attinente ad errori manifesti nella valutazione dei fatti nonché alla violazione dell’art. 2, n. 4, e dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 3286/94

        Sul primo capo del sesto motivo, attinente ad un errore manifesto di valutazione della Commissione in relazione ad un eventuale ritiro dei prodotti dei ricorrenti dalla lista delle merci sottoposte alla sovrattassa doganale americana

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sul secondo capo del sesto motivo, attinente ad un errore manifesto di valutazione in relazione alla restituzione della sovrattassa doganale indebitamente pagata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

    Sul settimo motivo, attinente alla violazione dei diritti della difesa

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sull’ottavo motivo, attinente alla violazione dell’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94 e alla violazione del dovere di diligenza della Commissione

        Sul primo capo dell’ottavo motivo, attinente al mancato rispetto del termine previsto dall’art. 8, n. 8, del regolamento n. 3286/94.

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sul secondo capo dell’ottavo motivo, attinente alla violazione del dovere di diligenza della Commissione relativamente al lasso di tempo trascorso fra la fine della procedura di consultazione del comitato di cui all’art. 7 del regolamento n. 3286/94 e l’adozione della decisione impugnata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

Sulle spese



1
Lingua processuale: il francese.