Language of document : ECLI:EU:T:2005:89

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)
9 marzo 2005 (1)

«Marchio comunitario – Procedimento di opposizione – Marchi anteriori figurativi nazionale e comunitario SHARK – Domanda di registrazione di marchio comunitario denominativo Hai – Impedimento relativo alla registrazione – Rischio di confusione – Art. 8, n 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T-33/03,

Osotspa Co. Ltd, con sede in Bangkok (Tailandia), rappresentata dall'avv. C. Gassauer-Fleissner, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. A. von Mühlendahl, T. Eichenberg e G. Schneider, in qualità di agenti,

convenuto,

altra parte nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, interveniente dinanzi al Tribunale,

Distribution & Marketing GmbH, con sede in Salzbourg (Austria), rappresentata inizialmente dall'avv. C. Hauer, successivamente dagli avv.ti V. von Bomhard, A. Renck e A. Pohlmann,

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione della terza commissione di ricorso dell'UAMI 27 novembre 2002 (procedimento R 296/2002-3), relativa a un procedimento di opposizione tra la Osotspa Co. Ltd e la Distribution & Marketing GmbH,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),



composto dal sig. H. Legal, presidente, dalla sig.ra V. Tiili e dal sig. V. Vadapalas, giudici,

cancelliere: sig.ra D. Christensen, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 febbraio 2003,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 maggio 2003,

visto il controricorso dell'interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 maggio 2003,

in seguito all'udienza del 29 settembre 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti

1
Il 10 settembre 1997 la Distribution & Marketing GmbH (in prosieguo: l’«interveniente») presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2
Il marchio di cui veniva chiesta la registrazione è il segno denominativo Hai.

3
I prodotti e servizi per i quali veniva chiesta la registrazione del marchio appartengono alle classi 5, 12, 14, 25, 28, 32, 33, 34, 35, 41 e 42 di cui all’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957 relativo alla classificazione dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato.

4
Il 3 agosto 1998 tale domanda di registrazione veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 58/98.

5
Il 30 ottobre 1998 la società Osotspa Co. Ltd (in prosieguo: la «ricorrente») presentava opposizione, ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94, contro la registrazione del marchio richiesto per i prodotti e servizi appartenenti alle classi 5, 32, 33, 35 e 42 e corrispondenti alla descrizione seguente:

classe 5: «Prodotti fortificanti per la salute, ovvero preparati di vitamine, preparati di minerali, ricostituenti»;

classe 32: «Birre; acque minerali e gassose e altre bevande analcooliche; bevande di frutta e succhi di frutta; sciroppi e altri preparati per fare bevande»;

classe 33: «Bevande alcooliche (tranne le birre)»;

classe 35: «Organizzazione di fiere ed esposizioni per scopi commerciali o pubblicitari che riguardano, esclusivamente o meno, i seguenti prodotti: prodotti fortificanti per la salute, ovvero preparati di vitamine, preparati di minerali, ricostituenti; birre; acque minerali e gassose e altre bevande analcooliche; bevande di frutta e succhi di frutta; sciroppi e altri preparati per fare bevande; bevande alcooliche; distribuzione a scopo pubblicitario di prodotti fortificanti per la salute ovvero preparati di vitamine, preparati di minerali, ricostituenti, di birre, di acque minerali e gassose e altre bevande analcooliche, di bevande di frutta e succhi di frutta, di sciroppi e altri preparati per fare bevande nonché di bevande alcooliche»;

classe 42: «Vitto ed alloggio».

6
Il motivo fatto valere a sostegno dell’opposizione era quello di cui all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. L’opposizione si basava sull’esistenza, da un lato, del marchio nazionale AM 537/96, registrato in Austria il 10 maggio 1996, e, dall’altro, del marchio comunitario n. 168 427, registrato il 12 maggio 1998, entrambi designanti le «bevande analcooliche; sciroppi e altri preparati per fare bevande», compresi nella classe 32 del citato Accordo di Nizza. Tali due marchi figurativi anteriori (in prosieguo: i «marchi anteriori») si presentano come segue:

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7
Con decisione 31 gennaio 2002 la divisione di opposizione respingeva l’opposizione per il motivo che non sussisteva alcun rischio di confusione tra i due marchi controversi. Osservando che occorre tener conto del carattere distintivo medio dei marchi anteriori, essa considerava che i segni a confronto sono completamente diversi sul piano visivo e fonetico e che presentano una struttura totalmente differente.

8
Il 2 aprile 2002 la ricorrente presentava ricorso all’UAMI, ai sensi degli artt. 57‑62 del regolamento n. 40/94, contro la decisione della divisione di opposizione.

9
Con decisione 27 novembre 2002 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la terza commissione di ricorso respingeva il ricorso. In sostanza, essa considerava che, nonostante la parziale identità dei prodotti designati dai marchi in conflitto e tenuto conto del carattere distintivo medio dei marchi anteriori e delle differenze fonetiche visive e concettuali chiaramente percepibili tra i segni a confronto, non sussisteva un significativo rischio di confusione presso il pubblico degli Stati membri dell’Unione europea, e in particolare dell’Austria. Ciò sarebbe avvalorato dal fatto che la sua valutazione deve tener conto del consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, il quale percepisce un marchio nel modo in cui gli si presenta, senza sottoporlo ad un’analisi approfondita e senza tradurlo in un’altra lingua.


Conclusioni delle parti

10
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

riformare la decisione impugnata accogliendo l’opposizione proposta contro la registrazione del marchio Hai e rifiutare la registrazione di tale marchio;

in subordine, rinviare il procedimento all’UAMI;

condannare l’UAMI alle spese.

11
L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.

12
L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

respingere interamente il ricorso e confermare la decisione impugnata;

in subordine, rinviare il procedimento all’UAMI;

condannare la ricorrente alle spese.


In diritto

13
La ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale, da un lato, rifiuti la registrazione del marchio comunitario e, dall’altro, annulli la decisione impugnata.

Sulla domanda diretta al diniego della registrazione del marchio comunitario richiesto

14
Con la seconda parte del primo capo della domanda la ricorrente chiede in sostanza che il Tribunale ingiunga all’UAMI di rifiutare la registrazione del marchio richiesto.

15
Si deve a questo proposito ricordare che, conformemente all’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94, l’UAMI è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza del giudice comunitario. Di conseguenza, non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’UAMI. Incombe, infatti, a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione delle sentenze del Tribunale [sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T‑331/99, Mitsubishi HiTec Paper Bielefeld/UAMI (Giroform), Racc. pag. II‑433, punto 33; 27 febbraio 2002, causa T‑34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), Racc. pag. II‑683, punto 12, e 3 luglio 2003, causa T‑129/01, Alejandro/UAMI – Anheuser‑Busch (BUDMEN), Racc. pag. II‑2251, punto 22]. la seconda parte del primo capo della domanda della ricorrente è quindi irricevibile.

Sulla domanda diretta all’annullamento della decisione impugnata

16
La ricorrente deduce un motivo unico, relativo alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

Argomenti delle parti

17
La ricorrente contesta la valutazione effettuata dalla commissione di ricorso secondo la quale non sussisterebbe un reale rischio di confusione tra i segni controversi.

18
In applicazione della formula secondo la quale un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati dai marchi controversi potrebbe essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra tali marchi, e viceversa, la ricorrente sottolinea che, almeno per quanto riguarda i prodotti della classe 32 che sono identici, si dovrebbe ritenere che un tenue grado di somiglianza tra i marchi basti a rilevare la sussistenza di un rischio di confusione. La ricorrente sostiene che sussiste un rischio di confusione anche in mancanza d’identità dei prodotti e servizi, giacché i marchi in questione sarebbero, comunque, estremamente vicini.

19
La ricorrente contesta, inoltre, la valutazione della commissione di ricorso secondo la quale i marchi anteriori SHARK hanno un carattere distintivo medio. I marchi anteriori consisterebbero, infatti, nella riproduzione, che colpisce l’immaginazione, di un animale che, rapportato ai prodotti e ai servizi in questione, sarebbe palesemente di pura fantasia.

20
Inoltre, secondo la ricorrente, sussiste un rischio di confusione, poiché esiste una somiglianza sotto uno dei tre aspetti, visivo, fonetico o concettuale. Essa sottolinea che, nella decisione impugnata, la somiglianza concettuale dei marchi è accertata, ma che tale fattore si vede riconosciuto, a torto, meno peso degli elementi visivo e fonetico. A titolo d’esempio, la ricorrente fa notare che la commissione di ricorso ha attribuito maggiore importanza alla somiglianza fonetica che al contenuto semantico del marchio richiesto affermando che la clientela interessata considererebbe che «Hai» sia una storpiatura della parola inglese «high».

21
Secondo la ricorrente, i segni in conflitto nella fattispecie presentano un rischio di confusione, giacché hanno un solo significato intrinseco, chiaro e immediatamente comprensibile. Il consumatore medio percepirebbe immediatamente il contenuto semantico dei marchi in questione e stabilirebbe subito un nesso di associazione tra tali contenuti e, di conseguenza, tra i due segni.

22
Peraltro, e contrariamente a quanto afferma la commissione di ricorso, tale identità concettuale non sarebbe neutralizzata dall’uso di due lingue differenti. Al riguardo la ricorrente sostiene, riferendosi alle decisioni dell’ufficio dei brevetti austriaco, che la commissione di ricorso non ha correttamente valutato lo stato del mercato in Austria, in cui la conoscenza della lingua inglese è una cosa scontata. Pertanto, i marchi costituiti da parole in lingua straniera, soprattutto in inglese, non dovrebbero essere valutati in modo diverso da quelli formati da parole tedesche che hanno lo stesso significato. Il pubblico al quale si rivolgono i prodotti e i servizi in questione comprenderebbe infatti il significato della parola «shark», circostanza peraltro riconosciuta dalla commissione di ricorso.

23
La ricorrente aggiunge che il contenuto semantico dei marchi anteriori è completato dalla loro grafica in forma di squalo che ne rende il significato ancora più accessibile ed evidente. Infatti, la parola «shark» scritta nella forma stilizzata di uno squalo agevolerebbe l’accostamento e la somiglianza tra i marchi controversi. Ciò avrebbe l’effetto di ridurre significativamente l’elemento di diversità conseguente alle lingue diverse.

24
Quanto alla considerazione della commissione di ricorso che le traduzioni di marchi sarebbero pertinenti solo se sono comuni e se il pubblico interessato presume che il marchio tradotto provenga dalla stessa impresa o da un’impresa associata, la ricorrente sostiene che è sufficiente che sussista il rischio che i consumatori facciano tale accostamento.

25
La ricorrente precisa inoltre che la «confusione incrociata assoluta», ossia il rischio di confusione tra una riproduzione soltanto figurativa di un termine e un marchio puramente denominativo, è ammessa. A fortiori, nella fattispecie, sarebbe giocoforza rilevare la sussistenza di un rischio di confusione, poiché i marchi anteriori non sono costituiti solamente dall’elemento figurativo che riproduce uno squalo.

26
Infine, la ricorrente constata che il rischio di confusione è presente in una parte importante dell’Unione europea. Il termine «Hai» sarebbe conosciuto non solo in lingua tedesca e finlandese, ma anche in quella svedese, danese e olandese, lingua quest’ultima parlata anche in Belgio. Tale termine sarebbe capito anche in talune regioni di confine italiane e francesi. Il tedesco e l’inglese sarebbero padroneggiati anche nelle regioni del nord dell’Europa.

27
L’UAMI sostiene che, nella decisione impugnata, la commissione di ricorso ha applicato i principi che disciplinano la valutazione del rischio di confusione, quali risultano dalla giurisprudenza, senza commettere errori e che, pur tenendo conto dei motivi delle parti, essa ha giustamente ritenuto che non sussistesse alcun rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

28
Considerato che i marchi anteriori hanno unicamente un carattere distintivo medio e tenuto conto delle marcate differenze che i segni presentano sui piani visivo e fonetico, l’UAMI condivide la conclusione della camera di ricorso secondo la quale, malgrado la parziale identità tra i prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto, la somiglianza concettuale dei segni non è sufficiente, nella fattispecie, per poter ritenere che esista un significativo rischio di confusione ai sensi del diritto dei marchi.

29
L’interveniente approva la motivazione della decisione impugnata.

30
Secondo l’interveniente, le differenze fonetiche tra i termini «Hai» e «shark» nonché la grafica del marchio figurativo SHARK farebbero sì che i segni controversi producano un’impressione diversa ed escluderebbero qualsiasi somiglianza tra di essi.

31
L’argomento della ricorrente secondo il quale il consumatore medio percepisce immediatamente il significato dei marchi di cui trattasi e stabilisce un nesso tra di essi non sarebbe realistico. La tesi della ricorrente pretenderebbe troppo dal consumatore e non corrisponderebbe all’esperienza pratica. Mentre sarebbe possibile che il consumatore metta l’accento sulle somiglianze piuttosto che sulle differenze che i segni presentano, i consumatori non identificherebbero, nella fattispecie, nessun punto comune né nella figura né nell’elemento denominativo. La parola «Hai», infatti, non comparirebbe nei marchi anteriori e, a loro volta, la figura dello squalo stilizzato e la parola «shark» non comparirebbero nel segno depositato dall’interveniente. Non esistendo elementi somiglianti, non potrebbe dunque sussistere alcun rischio di confusione.

32
Per quanto riguarda l’utilizzo di due lingue, l’interveniente fa valere che, nonostante la giurisprudenza ammetta che il vocabolario di base della lingua inglese sia compreso dal consumatore austriaco e sia tradotto con il suo equivalente in tedesco, il termine «shark» non può essere classificato tra i termini presi in prestito dal vocabolario di base inglese. Inoltre, l’argomento della ricorrente secondo il quale il termine «shark» avrebbe acquisito notorietà grazie al celebre film «Der weiße Hai» sarebbe cavilloso. In Austria il film sarebbe conosciuto solo con il titolo tedesco e, d’altronde, il titolo originale inglese non conterrebbe neppure la parola «shark». Inoltre, il termine «shark» sarebbe proprio della lingua americana e non delle lingua inglese.

33
Peraltro, l’interveniente ritiene che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, i consumatori interessati percepirebbero la parola «Hai» come la designazione tedesca o olandese di un pesce carnivoro, ma anche come la storpiatura della parola inglese «high», nel senso di alta qualità, di buono, di nobile, ecc. Dal punto di vista fonetico, la parola «Hai» attribuirebbe quindi un doppio significato al segno, giocando sulla storpiatura, il che sarebbe peraltro l’obiettivo dell’ortografia sbagliata dell’espressione «high». Del resto, anche se il significato sostanziale del marchio Hai dovesse corrispondere solo al senso originario della parola «Hai», non vi sarebbe chiaramente somiglianza tra i marchi SHARK e Hai, perché i consumatori non attribuirebbero facilmente lo stesso contenuto semantico a tali due parole. Sarebbe irrealistico credere che i consumatori traducano la parola tedesca o olandese «Hai» con il termine americano «shark», senza fare nessun’altra associazione di idee. Pertanto, non sussisterebbe un rischio di confusione, nemmeno sotto questo profilo.

34
Infine, l’interveniente constata che ammettere la «confusione incrociata assoluta» non avrebbe alcun effetto sulla fattispecie, poiché i consumatori, a fronte di un marchio contemporaneamente denominativo e figurativo, terrebbero in mente soprattutto l’elemento denominativo «shark» e non l’elemento grafico.

Giudizio del Tribunale

35
Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se a causa dell’identità o della somiglianza del detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore. Per di più, in forza dell’art. 8, n. 2, lett. a), sub i) e ii), del regolamento n. 40/94, si intendono per marchi anteriori i marchi registrati in uno Stato membro, la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio comunitario.

36
Secondo una costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate.

37
Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere quindi valutato globalmente a seconda di come il pubblico pertinente percepisce i segni e i prodotti o servizi di cui trattasi, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi designati [v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II‑2821, punti 31‑33, e la giurisprudenza citata].

38
Nella specie, i marchi anteriori sono stati registrati a livello nazionale, in Austria, e a livello comunitario. Pertanto, il territorio pertinente ai fini dell’analisi del rischio di confusione è costituito da tutta l’Unione europea e, in particolare, dall’Austria. Dato che i prodotti di cui trattasi sono destinati al consumo comune, il pubblico destinatario è il consumatore medio che si ritiene sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. È evidente che i prodotti in questione, cioè le bevande energetiche, sono destinati soprattutto ad un pubblico giovane.

39
Inoltre, ancorché l’art. 8 del regolamento n. 40/94 non contenga disposizioni analoghe a quella dell’art. 7, n. 2, secondo cui, ai fini del diniego di registrazione di un marchio, è sufficiente l’esistenza di un motivo di impedimento assoluto anche solo in una parte della Comunità, si deve ritenere che la stessa soluzione debba trovare applicazione nella specie. Ne consegue che la registrazione dev’essere parimenti negata anche quando il motivo di impedimento relativo esista solo in una parte della Comunità (sentenza del Tribunale 3 marzo 2004, causa T‑355/02, Mülhens/UAMI – Zirh International (ZIRH), Racc. pag. II‑791, punto 36).

40
Alla luce delle considerazioni sopra illustrate, si deve procedere alla comparazione, in primo luogo, tra i prodotti interessati e, in secondo luogo, tra i segni in conflitto.

    Sulla comparazione dei prodotti

41
Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi in questione, si deve tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra di essi. Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità (sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C‑39/97, Canon, Racc. pag. I‑5507, punto 23).

42
I marchi in conflitto riguardano taluni prodotti della stessa classe, cioè la classe 32, la cui descrizione è d’altronde largamente identica.

43
I prodotti compresi nella classe 5 di cui alla domanda di marchio possono essere anche prodotti che servono alla preparazione di bevande, in particolare di bevande energetiche. Quanto ai prodotti appartenenti alla classe 33, tra i quali figurano le bevande alcoliche, si deve rilevare che attualmente le bevande energetiche sono spesso commercializzate e consumate con bevande alcoliche.

44
Inoltre, tutti i prodotti di cui trattasi compresi nelle classi 5, 32 e 33 sono di solito a distribuzione generalizzata, dal reparto alimentare di un grande magazzino ai bar e ai caffè.

45
Per quanto concerne i servizi rientranti nelle classi 35 e 42 di cui alla domanda di marchio, va rilevato che essi sono meno vicini ai prodotti contraddistinti dai marchi anteriori. Il fatto che le bevande alcoliche e non alcoliche siano oggetto di promozioni in occasione di fiere e siano spesso consumati nei ristoranti non basta a creare un nesso tra i prodotti e i servizi appartenenti alle classi 35 e 42.

46
Si deve quindi ritenere che i prodotti appartenenti alla classe 32 siano identici. I prodotti compresi nelle classi 5 e 33 di cui alla domanda di marchio sono talmente collegati ai prodotti della classe 32, contraddistinti dai marchi anteriori, che devono essere ritenuti somiglianti. Per contro, i servizi compresi nelle classi 35 e 42, designati dalla domanda di marchio, e i prodotti contraddistinti dai marchi anteriori non possono essere ritenuti somiglianti.

    Sulla comparazione dei segni

47
Come risulta da una costante giurisprudenza, la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, auditiva o logica dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti [v. sentenza del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips‑Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II‑4335, punto 47, e la giurisprudenza citata].

48
È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se il grado di somiglianza tra i marchi in esame sui piani visivo, fonetico e concettuale sia sufficientemente elevato per poter considerare che sussiste un rischio di confusione tra di essi.

49
Nella fattispecie, sul piano visivo, è giocoforza rilevare che i due segni, Hai e SHARK, si distinguono facilmente dalla grafica in quanto solo il marchio SHARK si presenta in una forma figurativa. A tale proposito occorre notare che la grafica delle lettere del marchio SHARK riproduce la forma di uno squalo, mentre il segno Hai è composto esclusivamente dal termine «Hai». Anche sotto l’aspetto denominativo, i segni in conflitto («Hai» e «shark») vanno considerati dissimili, benché contengano entrambi la combinazione delle lettere «h» e «a». I due segni non sono pertanto somiglianti sul piano visivo.

50
Sul piano fonetico, è chiaro che i segni di cui trattasi non presentano alcuna somiglianza.

51
Sul piano concettuale, è evidente che la parola inglese «shark» si traduce in tedesco e in finlandese con la parola «Hai», in olandese con la parola «haai», in danese e in svedese con la parola «haj». È dunque probabile che le persone che parlano queste lingue capiscano che sia la parola «shark» sia la parola «Hai» significano «squalo». Ciò si verifica soprattutto per il pubblico destinatario, posto che si tratta di giovani, che generalmente conoscono sufficientemente l’inglese da capire il significato della parola «shark». Ciò accade anche per le persone che non identificano immediatamente la parola inglese «shark», ma che ne capiscono il significato quando vedono la figura di uno squalo. Il contenuto semantico dei marchi anteriori è infatti completato dalla grafica a forma di squalo che ne rende il significato ancor più accessibile ed evidente. Occorre quindi rilevare che esiste una somiglianza concettuale tra i segni di cui trattasi, che tuttavia abbisogna di una previa traduzione.

52
Per di più, risulta che il marchio richiesto possa tradurre un gioco di parole, una storpiatura della parola inglese «high». Questo significato, tuttavia, non è evidente e non basta a neutralizzare la somiglianza concettuale tra i segni in conflitto.

53
Non sussiste pertanto alcuna somiglianza visiva o fonetica tra i segni in questione, mentre invece sussiste una certa somiglianza concettuale che necessita di una previa traduzione.

54
Occorre quindi valutare globalmente se, nella fattispecie, tale somiglianza concettuale sia sufficiente a generare un rischio di confusione.

    Sulla valutazione globale dei segni in questione

55
Secondo la giurisprudenza, la semplice somiglianza concettuale tra i marchi non è sufficiente per generare un rischio di confusione in circostanze in cui il marchio anteriore non gode di una particolare notorietà e consiste in una figura che presenta pochi elementi di fantasia (sentenza della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I‑6191, punto 25).

56
Il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore. Non può quindi essere escluso che la somiglianza concettuale derivante dal fatto che due marchi utilizzino immagini concordanti nel loro contenuto semantico possa creare rischio di confusione nel caso in cui il marchio anteriore possieda un carattere distintivo particolare, o intrinsecamente, o grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico (v., in tal senso, sentenza SABEL, cit., punto 24). Marchi del genere godono di una tutela più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (sentenza Canon, cit., punto 18, e sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 20).

57
Per determinare il carattere distintivo di un marchio e quindi valutare se esso abbia un carattere distintivo elevato, bisogna valutare globalmente i fattori che possono dimostrare che il marchio è divenuto atto a identificare i prodotti o servizi per i quali è stato registrato come provenienti da un’impresa determinata e quindi a distinguere tali prodotti o servizi da quelli di altre imprese (sentenze della Corte 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I‑2779, punto 49, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 22).

58
Nell’effettuare tale valutazione, occorre prendere in considerazione in particolare le qualità intrinseche del marchio, ivi compreso il fatto che esso sia o meno privo di qualsiasi elemento descrittivo dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che identifica il prodotto come proveniente da un’impresa determinata grazie al marchio nonché le dichiarazioni delle camere di commercio e industria o di altre associazioni professionali (sentenze Windsurfing Chiemsee, cit., punto 51, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 23).

59
Nella fattispecie, la ricorrente non ha invocato la conoscenza dei suoi marchi presso il pubblico, ma soltanto il loro carattere distintivo intrinsecamente elevato. La presenza o meno di elementi descrittivi nei marchi anteriori deve pertanto essere presa in considerazione assieme alle loro altre qualità intrinseche in sede di valutazione del loro carattere distintivo.

60
È evidente, nella fattispecie, che i marchi anteriori SHARK non contengono alcun elemento descrittivo. Si tratta di marchi dalla grafica particolare, le cui lettere sono in carattere stilizzato tale che l’insieme del segno evoca la forma di uno squalo, dove la «s» è la testa, la «a» la pinna dorsale e la «k» la coda dell’animale. Occorre notare che l’animale scelto e il prodotto contraddistinto dai marchi anteriori non sono privi di significato: si tratta di uno squalo usato per designare bevande energetiche. Tali marchi, presi nel loro insieme, colpiscono e risvegliano l’attenzione. Simili marchi possono anche essere memorizzati più facilmente dal pubblico pertinente.

61
Di conseguenza, le qualità intrinseche dei marchi anteriori conferiscono loro un carattere distintivo piuttosto elevato, contrariamente a quanto affermano l’UAMI e l’interveniente.

62
Pertanto, dopo avere accertato che si tratta di prodotti parzialmente identici e di marchi anteriori che hanno un carattere intrinsecamente distintivo, occorre esaminare se, nel caso di specie, la sola somiglianza concettuale, che abbisogna di una previa traduzione, sia sufficiente a ritenere la sussistenza di un rischio di confusione.

63
A tale proposito occorre sottolineare che i prodotti di cui trattasi sono bevande energetiche destinate ad un pubblico giovane che generalmente conosce gli articoli di marca. Come ha giustamente rilevato la commissione di ricorso, tali prodotti vengono distribuiti in modo generalizzato, per esempio nei supermercati, dove il pubblico li acquista soprattutto «a vista». Non bisogna neanche trascurare l’importanza delle ordinazioni a voce nei ristoranti, caffè e bar.

64
Alla luce di tutto quanto precede, occorre considerare che le importanti differenze visive e fonetiche tra i marchi di cui trattasi sono tali da neutralizzare ampiamente la loro somiglianza concettuale che abbisogna di una previa traduzione. Infatti, il grado di somiglianza concettuale tra i due marchi è di scarsa importanza nel caso in cui il pubblico pertinente, al momento dell’acquisto, sia indotto a vedere e a pronunciare il nome del marchio.

65
Si deve quindi rilevare che il grado di somiglianza tra i marchi in questione non è tanto elevato da poter ritenere che il pubblico possa credere che i prodotti di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente collegate.

66
Tenuto conto delle differenze esistenti tra i segni in conflitto, tale valutazione non è inficiata dal fatto che i prodotti e i servizi oggetto del marchio richiesto sono in parte identici a quelli designati dai marchi anteriori.

67
Ciò premesso, la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto che non sussistesse rischio di confusione tra il marchio richiesto ed i marchi anteriori.

68
Quanto alle decisioni nazionali invocate dalle parti, occorre ricordare che risulta da una costante giurisprudenza che registrazioni effettuate fino a questo momento in taluni Stati membri rappresentano un elemento che, non essendo determinante, può soltanto essere preso in considerazione ai fini della registrazione di un marchio comunitario [sentenze del Tribunale 16 febbraio 2000, causa T‑122/99, Procter & Gamble/UAMI (Forma di un sapone), Racc. pag. II‑265, punto 61; 31 gennaio 2001, causa T‑24/00, Sunrider/UAMI (VITALITE), Racc. pag. II‑449, punto 33, e 19 settembre 2001, causa T‑337/99, Henkel/UAMI (Pasticca rotonda rossa e bianca), Racc. pag. II‑2597, punto 58].

69
Quanto alla prassi dell’UAMI, risulta dalla giurisprudenza che le decisioni riguardanti la registrazione di un segno come marchio comunitario, che le commissioni di ricorso debbono adottare in forza del regolamento n. 40/94, rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non di un potere discrezionale. Pertanto, il carattere registrabile di un segno come marchio comunitario dev’essere valutato unicamente sulla base di tale regolamento, quale interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una prassi anteriore delle commissioni di ricorso [sentenze del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑106/00, Streamserve/UAMI (STREAMSERVE), Racc. pag. II‑723, punto 66; 20 novembre 2002, cause riunite T‑79/01 e T‑86/01, Bosch/UAMI (Kit Pro e Kit Super Pro), Racc. pag. II‑4881, punto 32, e 30 aprile 2003, cause riunite T‑324/01 e T‑110/02, Axions e Belce/UAMI (Forma di sigaro di colore bruno e forma di lingotto dorato), Racc. pag. II‑1897, punto 51].

70
Date tali circostanze, occorre respingere il motivo unico dedotto dalla ricorrente e il ricorso nel suo insieme.


Sulle spese

71
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese sostenute dall’UAMI e dall’interveniente, conformemente alle conclusioni di questi ultimi.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

2)
La ricorrente è condannata alle spese.

Legal

Tiili

Vadapalas

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 marzo 2005.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

H. Legal


1
Lingua processuale: il tedesco.