Language of document : ECLI:EU:T:2016:282

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

10 maggio 2016 (*)

«Diritto delle istituzioni – Iniziativa dei cittadini europei – Politica di coesione – Regioni a minoranza nazionale – Diniego di registrazione – Assenza manifesta di competenza della Commissione – Articolo 4, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 211/2011»

Nella causa T‑529/13,

Balázs-Árpád Izsák, residente a Târgu Mureş (Romania),

Attila Dabis, residente a Budapest (Ungheria),

rappresentati inizialmente da J. Tordáné dr. Petneházy, successivamente da D. Sobor, avvocati,

ricorrenti,

sostenuti da

Ungheria, rappresentata da M. Fehér, G. Szima e G. Koós, in qualità di agenti,

interveniente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da H. Krämer, K. Talabér-Ritz, A. Steiblytė e P. Hetsch, successivamente da Talabér-Ritz, K. Banks, Krämer e B.-R. Killmann, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Repubblica ellenica, rappresentata da E.-M. Mamouna, in qualità di agente,

Romania, rappresentata da R. Radu, R. Haţieganu, D. Bulancea e M. Bejenar, in qualità di agenti,

Repubblica slovacca, rappresentata da B. Ricziová, in qualità di agente,

intervenienti,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione C (2013) 4975 final della Commissione, del 25 luglio 2013, recante diniego della registrazione della proposta di iniziativa dei cittadini presentata dai ricorrenti

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, I. Pelikánová (relatore) e E. Buttigieg, giudici,

cancelliere: S. Bukšek Tomac, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 dicembre 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        In data 18 giugno 2013 i ricorrenti, i sigg. Balázs-Árpád Izsák e Attila Dabis, congiuntamente ad altre cinque persone, hanno presentato alla Commissione europea una proposta di iniziativa dei cittadini (in prosieguo: la «proposta controversa»), intitolata «Politica di coesione per l’uguaglianza delle regioni e la preservazione delle culture regionali» (Cohesion policy for the equality of the regions and sustainability of the regional cultures), ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, TUE e del regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, riguardante l’iniziativa dei cittadini (GU L 65, pag. 1).

2        Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 211/2011, i ricorrenti hanno inserito nel registro elettronico messo a disposizione a tale scopo dalla Commissione (in prosieguo il «registro») le informazioni minime descritte nell’allegato II del medesimo regolamento (in prosieguo le «informazioni necessarie»), in particolare per quanto riguarda l’esposizione sintetica dell’oggetto e degli obiettivi della proposta controversa.

3        Dalle informazioni fornite dai ricorrenti a titolo di informazioni necessarie risultava che la proposta controversa era intesa a far sì che la politica di coesione dell’Unione europea rivolgesse un’attenzione particolare alle regioni le cui caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche differivano da quelle delle regioni circostanti. Per tali regioni, comprendenti zone geografiche prive di strutture dotate di competenze amministrative, occorreva che la prevenzione di qualsiasi divario o ritardo di sviluppo economico rispetto alle regioni circostanti, il sostegno allo sviluppo economico e la salvaguardia delle condizioni della coesione economica, sociale e territoriale fossero assicurate in maniera tale che le loro caratteristiche rimanessero invariate. Per questo, tali regioni dovevano beneficiare delle medesime opportunità di accesso ai diversi fondi dell’Unione e dovevano essere loro garantiti la preservazione delle proprie caratteristiche nonché un corretto sviluppo economico, in maniera tale che lo sviluppo dell’Unione potesse essere sostenibile e che la diversità culturale di quest’ultima fosse salvaguardata.

4        In allegato alle informazioni fornite a titolo di informazioni necessarie, i ricorrenti fornivano, ai sensi dell’allegato II del regolamento n. 211/2011, informazioni più ampie sull’oggetto, gli obiettivi e il contesto della proposta controversa (nel prosieguo: le «informazioni supplementari»).

5        Da un lato, da tali informazioni supplementari emergeva che, secondo i ricorrenti, le regioni a minoranza nazionale corrispondono a regioni e zone geografiche che non dispongono necessariamente di strutture dotate di competenze amministrative, ma nelle quali sono insediate comunità che presentano caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche diverse da quelle delle popolazioni insediate nelle regioni circostanti e che formano una maggioranza o sono costituite da un numero cospicuo di persone a livello locale, mentre, a livello nazionale, non rappresentano che una minoranza, e che hanno espresso (tramite referendum) la propria volontà di godere di uno status di autonomia all’interno dello Stato membro interessato (in prosieguo: le «regioni a minoranza nazionale»). Tali regioni a minoranza nazionale sono, ad avviso dei ricorrenti, le custodi di culture e lingue europee ancestrali e rappresentano fonti importanti della diversità culturale e linguistica dell’Unione e, più in generale, dell’Europa.

6        Dall’altro lato, emergeva dalle informazioni supplementari che l’atto legislativo dell’Unione proposto (in prosieguo: l’«atto proposto») doveva innanzitutto garantire l’uguaglianza tra le regioni e la preservazione delle culture regionali, prevenendo qualsiasi divario o ritardo di sviluppo economico delle regioni a minoranza nazionale rispetto alle regioni circostanti e permettendo che la coesione economica, sociale e territoriale delle regioni a minoranza nazionale fosse salvaguardata, in maniera tale da non pregiudicarne le caratteristiche. Secondo i ricorrenti, la politica di coesione disciplinata dagli articoli da 174 TFUE a 178 TFUE doveva, per rispondere ai valori fondamentali definiti agli articoli 2 TUE e 3 TUE, contribuire alla salvaguardia delle specifiche caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche delle regioni a minoranza nazionale, minacciate dall’integrazione economica europea, nonché alla correzione degli svantaggi e delle discriminazioni incidenti sullo sviluppo economico di tali regioni. Di conseguenza, l’atto proposto doveva accordare alle regioni a minoranza nazionale una possibilità di accesso ai fondi, alle risorse e ai programmi della politica di coesione dell’Unione pari a quella delle regioni attualmente ammissibili, come elencate all’allegato I del regolamento (CE) n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, relativo all’istituzione di una classificazione comune delle unità territoriali per la statistica (NUTS) (GU L 154, pag. 1). Tali garanzie potevano, secondo i ricorrenti, comprendere l’attuazione di istituzioni regionali autonome, dotate di poteri sufficienti ad aiutare le regioni a minoranza nazionale a preservare le proprie caratteristiche nazionali, linguistiche e culturali, nonché la propria identità.

7        A tale fine, da un lato, l’atto proposto doveva fornire una definizione di «regione a minoranza nazionale», riferendosi, in primo luogo, ai concetti e agli obiettivi enunciati in taluni strumenti di diritto internazionale, in particolare alla definizione di «minoranza nazionale» di cui alla raccomandazione 1201 (1993) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, adottata il 1° febbraio 1993, relativa ad un protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sui diritti delle minoranze, in secondo luogo, alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in terzo luogo, alla giurisprudenza elaborata in applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, in quarto luogo, all’articolo 3 TUE e all’articolo 167 TFUE, nonché, in quinto luogo, alla volontà espressa (tramite referendum) dalle comunità interessate di beneficiare di uno status di autonomia all’interno dello Stato membro interessato. Dall’altro, detto atto doveva designare nominativamente, in conformità alla definizione summenzionata, le regioni a minorità nazionale esistenti nell’Unione, che dovevano in seguito essere inserite nella classificazione statistica comune delle unità territoriali (nel prosieguo la «NUTS») di cui all’allegato I del regolamento n. 1059/2003.

8        Inoltre, onde evitare che i fondi, le risorse e i programmi della politica di coesione dell’Unione fossero utilizzati dalle autorità amministrative regionali per finanziare politiche ostili alle minoranze nazionali, l’atto proposto doveva prevedere che gli Stati membri dovessero, senza ritardo, onorare in toto i propri obblighi e i propri impegni internazionali nei confronti delle minoranze nazionali e che la violazione o il mancato rispetto da parte di qualsiasi Stato membro di tali impegni sarebbero equivalsi a una violazione dei valori di cui all’articolo 2 TUE, soggetta alla procedura descritta all’articolo 7 TUE e suscettibile di condurre il Consiglio dell’Unione europea a sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati.

9        Il 25 luglio 2013 la Commissione ha adottato la decisione C (2013) 4975 final, recante diniego di registrazione della proposta controversa (in prosieguo: la «decisione impugnata»), sulla base del rilievo che da un’analisi approfondita delle disposizioni dei trattati citate in tale proposta, nonché di tutte le altre basi giuridiche possibili, emergeva che detta proposta esulava manifestamente dalla competenza della Commissione a presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati.

 Procedimento e conclusioni delle parti

10      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 settembre 2013 i ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

11      Il 3 gennaio 2014 la Commissione ha presentato un controricorso.

12      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 febbraio 2014, la Repubblica slovacca ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione.

13      Il 21 febbraio 2014 i ricorrenti hanno depositato una replica.

14      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 marzo 2014, l’Ungheria ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni dei ricorrenti.

15      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 7 e il 12 marzo 2014, la Repubblica ellenica e la Romania hanno chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione.

16      Il 7 aprile 2014 la Commissione ha depositato una controreplica.

17      Dopo aver raccolto le osservazioni delle parti, con ordinanza del 12 maggio 2014 il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha accolto le istanze di intervento della Repubblica slovacca, dell’Ungheria, della Repubblica ellenica e della Romania.

18      La Repubblica slovacca, da una parte, e l’Ungheria e la Romania, dall’altra, hanno presentato le proprie memorie di intervento rispettivamente il 23 e il 25 giugno 2014. La Repubblica ellenica non ha presentato nessuna memoria di intervento.

19      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 18 e il 23 giugno e il 25 agosto 2014, il Judeţul Covasna (distretto rumeno di Covasna), Bretagne réunie e l’Obec Debrad’ (comune slovacco di Debrad’) hanno chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni dei ricorrenti.

20      Dopo aver raccolto le osservazioni delle parti, con ordinanza del 18 maggio 2015 il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha respinto le istanze di intervento del Judeţul Covasna, di Bretagne réunie e dell’Obec Debrad’.

21      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di aprire la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89, paragrafo 3, lettera b), del proprio regolamento di procedura, ha invitato le parti principali a pronunciarsi per iscritto su taluni aspetti della controversia. Le parti hanno risposto a tali quesiti entro i termini assegnati. Nella propria risposta, i ricorrenti hanno dichiarato di rinunciare al capo delle conclusioni diretto a obbligare la Commissione a registrare la proposta controversa e ad adottare tutti i provvedimenti giuridici necessari.

22      All’udienza del 15 dicembre 2015 le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti orali del Tribunale, ad eccezione della Repubblica ellenica, il cui rappresentante non era presente a detta udienza. In occasione di quest’ultima, la Commissione ha informato il Tribunale che i ricorrenti avevano pubblicato, sul sito Internet della proposta controversa, il controricorso che la stessa aveva depositato nella presente causa e che, nonostante la sua domanda in tal senso, essi avevano rifiutato di ritirarlo. La stessa ha chiesto al Tribunale di tener conto di questo comportamento abusivo dei ricorrenti in sede di ripartizione delle spese. I ricorrenti non hanno negato i fatti contestati dalla Commissione, ma hanno rilevato che il proprio comportamento, in assenza di un testo che lo vietasse, non costituiva un abuso di diritto. Essi hanno pertanto invitato il Tribunale ad applicare le regole generali sulle spese.

23      In seguito all’adeguamento delle proprie conclusioni (punto 21 supra), i ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

24      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso in parte irricevibile e, quanto al resto, infondato;

–        condannare i ricorrenti e l’Ungheria alle spese.

25      Sebbene la Repubblica ellenica non abbia formalmente presentato conclusioni, si deve ritenere che la stessa, in qualità di interveniente a sostegno delle conclusioni della Commissione, aderisca puramente e semplicemente a queste ultime.

26      La Repubblica slovacca, interveniente a sostegno delle conclusioni della Commissione, chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso in parte irricevibile e, quanto al resto, infondato;

–        condannare i ricorrenti alle spese.

27      La Romania, interveniente a sostegno delle conclusioni della Commissione, aderisce sostanzialmente a queste ultime nei limiti in cui mirano al rigetto del ricorso, poiché in parte irricevibile e, quanto al resto, infondato.

 In diritto

 Sulla ricevibilità di alcune censure

28      In sede di replica, i ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, invocano sostanzialmente censure relative, da un lato, a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione e, dall’altro, a un’errata interpretazione dell’articolo 352 TFUE.

29      Invitata dal Tribunale a pronunciarsi su tale aspetto della controversia (punto 21 supra), la Commissione, sostenuta dalla Repubblica slovacca, ha dedotto l’irricevibilità della censura relativa a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione, in quanto tale censura era stata sollevata, per la prima volta, soltanto in sede di replica e non soddisfaceva le condizioni di ricevibilità derivanti dalle disposizioni di cui al combinato disposto dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), e dell’articolo 48 del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991.

30      Per quanto riguarda la censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 352 TFUE, la Commissione, sostenuta dalla Romania e dalla Repubblica slovacca, ne ha ugualmente chiesto il rigetto, in quanto irricevibile, per il motivo che era stata sollevata per la prima volta in sede di replica.

31      I ricorrenti oppongono di aver sollevato le presenti censure in risposta agli argomenti presentati dalla Commissione nel controricorso e sostengono che tali censure costituiscono soltanto un’estensione di quelle già presenti nel proprio ricorso.

32      Va ricordato che, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), e dell’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, la deduzione di nuovi motivi successivamente al deposito del ricorso è vietata, a meno che tali motivi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Tuttavia, deve essere considerato ricevibile un motivo che costituisca un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio e che presenti una connessione stretta con quest’ultimo (v. sentenza del 15 ottobre 2008, Mote/Parlamento, T‑345/05, Racc., EU:T:2008:440, punto 85 e giurisprudenza ivi citata). Un’analoga soluzione va adottata quando una censura è formulata a sostegno di un motivo dedotto (v. sentenza del 19 marzo 2013, In ’t Veld/Commissione, T‑301/10, Racc., EU:T:2013:135, punto 97 e giurisprudenza ivi citata).

33      Perché possa essere considerato un’estensione di un motivo o di una censura precedentemente indicati, occorre che un nuovo argomento presenti con i motivi o le censure inizialmente dedotti nel ricorso, un legame sufficientemente stretto perché possa essere considerato derivare dalla normale evoluzione del contraddittorio nell’ambito di un procedimento giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza del 26 novembre 2013, Groupe Gascogne/Commissione, C‑58/12 P, Racc., EU:C:2013:770, punto 31).

34      Nel caso in esame, è vero che le censure relative a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione, nonché la censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 352 TFUE, di cui al precedente punto 28, non figuravano nel ricorso.

35      Ciononostante, le censure relative a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione corrispondono, nel caso di specie, a un’estensione delle censure formulate nel ricorso e sono fondate su elementi emersi durante il procedimento dinanzi al Tribunale. Invero, da una parte, tali censure sono strettamente connesse all’unico motivo dedotto, sostanzialmente, dai ricorrenti nell’atto di ricorso, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, basato sul rilievo che la proposta controversa non esulava manifestamente dalla competenza della Commissione a presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati. Esse appaiono come una nuova qualificazione giuridica degli argomenti presentati a sostegno di detto motivo, alla luce di alcuni argomenti avanzati dalla Commissione nel controricorso, dai quali, a loro avviso, emergerebbe che l’unica motivazione della decisione impugnata era che la Commissione non giudicava opportuno, allo stato attuale del diritto dell’Unione, esercitare le proprie competenze nel senso da loro auspicato. Dall’altra parte, i ricorrenti giustificano la presentazione di tali censure con alcuni elementi emersi durante il procedimento dinanzi al Tribunale, ovvero argomenti avanzati dalla Commissione nel controricorso, in base ai quali «le politiche dell’Unione non [potevano] diventare gli strumenti di politiche contrarie alle minoranze» e «le specificità delle minoranze nazionali [erano] suscettibili di essere prese adeguatamente in considerazione nell’istituzione della classificazione NUTS a livello degli Stati membri».

36      Pertanto, le censure relative a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione sono ricevibili.

37      Al contrario, la censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 352 TFUE non è strettamente connessa alle censure esposte nel ricorso. Inoltre, tale censura non si fonda su elementi che sarebbero emersi nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, poiché, a prescindere dagli argomenti della Commissione nel controricorso, tale censura avrebbe potuto già essere presentata nell’atto introduttivo del ricorso. Infatti, nella decisione impugnata, la Commissione si era già espressa nel senso che nessuna disposizione dei trattati, diversa da quelle menzionate nella proposta controversa, poteva servire da base per l’atto proposto, il che includeva l’articolo 352 TFUE.

38      Occorre pertanto respingere, in quanto irricevibile, la censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 352 TFUE, e respingere, quanto al resto, le eccezioni di irricevibilità sollevate dalla Commissione.

 Nel merito

39      A sostegno della domanda di annullamento della decisione impugnata, i ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, deducono sostanzialmente un unico motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, sulla base del rilievo che la proposta controversa non esula manifestamente dalla competenza della Commissione a presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati. Tenuto conto delle conclusioni di cui al precedente punto 38, occorre considerare che tale motivo si articola in più censure relative, in primo luogo, a un’errata interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), TFUE e dell’articolo 174 TFUE, nonché dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 1059/2003, letto alla luce del considerando 10 del medesimo regolamento, in secondo luogo, a un’errata interpretazione dell’articolo 167 TFUE, in terzo luogo a un’errata interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, TFUE, in quarto luogo, a una considerazione errata di informazioni non previste dall’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 211/2011 e, in quinto luogo, a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione.

40      Occorre, nel caso di specie, partire dall’analisi della censura vertente su un’errata considerazione di informazioni non previste dall’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 211/2011.

 Sulla censura relativa a un’errata considerazione di informazioni non previste dall’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 211/2011

41      I ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, concludono che la Commissione è incorsa in errore nel tenere conto, nella decisione impugnata, delle informazioni supplementari, come definite al precedente punto 4.

42      La Commissione, sostenuta dalla Romania e dalla Repubblica slovacca, chiede che la presente censura venga respinta.

43      La presente censura pone la questione di definire quali siano le informazioni sulle quali la Commissione è autorizzata a basarsi per decidere che le condizioni di registrazione di una proposta d’iniziativa dei cittadini, enumerate all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b) del regolamento n. 211/2011, non sono soddisfatte.

44      L’articolo 4 del regolamento n. 211/2011 dispone, in particolare, quanto segue:

«1.      Prima d’iniziare la raccolta delle dichiarazioni di sostegno dei firmatari per una proposta d’iniziativa dei cittadini, gli organizzatori sono tenuti a chiederne la registrazione alla Commissione fornendo le informazioni indicate nell’allegato II, riguardanti in particolare l’oggetto e gli obiettivi di tale iniziativa dei cittadini.

(…)

2.      Entro due mesi dalla data di ricevimento delle informazioni di cui all’allegato II, la Commissione registra una proposta d’iniziativa dei cittadini attribuendole un numero individuale di registrazione e ne invia conferma agli organizzatori, purché siano soddisfatte le seguenti condizioni:

(…)

b)      la proposta d’iniziativa dei cittadini non esula manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati;

(…)

3.      La Commissione rifiuta la registrazione se le condizioni di cui al paragrafo 2 non sono soddisfatte.

(…)».

45      Poiché l’articolo 4 del regolamento n. 211/2011 rinvia direttamente, a tal proposito, all’allegato II del medesimo regolamento, quest’ultimo deve essere considerato dotato di forza cogente identica a quella di detto regolamento (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 24 aprile 1996, Industrias Pesqueras Campos e a./Commissione, T‑551/93 e da T‑231/94 a T‑234/94, Racc., EU:T:1996:54, punto 84).

46      L’allegato II del regolamento n. 211/2011, rubricato «Informazioni necessarie per registrare una proposta d’iniziativa dei cittadini», dispone quanto segue:

«Per registrare nel registro elettronico della Commissione una proposta d’iniziativa dei cittadini si devono fornire le seguenti informazioni:

1.      il titolo della proposta d’iniziativa dei cittadini, in non oltre 100 battute;

2.      il suo oggetto, in non oltre 200 battute;

3.      una descrizione degli obiettivi della proposta d’iniziativa dei cittadini nella quale si chiede alla Commissione di agire in sede legislativa, in non oltre 500 battute;

4.      le disposizioni dei trattati che gli organizzatori ritengono pertinenti all’azione proposta;

(…)

Gli organizzatori possono fornire in allegato informazioni più ampie sull’oggetto, gli obiettivi e il contesto dell’iniziativa dei cittadini e, se lo desiderano, possono anche trasmettere la bozza di un atto giuridico».

47      Dall’articolo 4 del regolamento n. 211/2011 e dall’allegato II dello stesso emerge che la Commissione esamina le informazioni comunicate dagli organizzatori al fine di valutare se la proposta di iniziativa dei cittadini soddisfi le condizioni di registrazione di cui, in particolare, all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), dello stesso regolamento.

48      Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, le «informazioni indicate nell’allegato II» del regolamento n. 211/2011, alle quali rinvia l’articolo 4 del medesimo regolamento, non si limitano alle informazioni minime che, ai sensi dello stesso allegato, devono essere fornite nel registro.

49      Infatti, il diritto degli organizzatori della proposta di iniziativa, riconosciuto dall’allegato II del regolamento n. 211/2011, di fornire informazioni supplementari, e persino una bozza di atto giuridico dell’Unione, ha quale corollario l’obbligo per la Commissione di esaminare dette informazioni, allo stesso titolo di ogni altra informazione fornita ai sensi di tale allegato, in base al principio di buona amministrazione, al quale si ricollega l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare con cura e imparzialità tutti gli elementi pertinenti della fattispecie (v. sentenze del 29 marzo 2012, Commissione/Estonia, C‑505/09 P, Racc., EU:C:2012:179, punto 95 e giurisprudenza citata, e del 23 settembre 2009, Estonia/Commissione, T‑263/07, Racc., EU:T:2009:351, punto 99 e giurisprudenza citata).

50      Pertanto, a prescindere persino dalla questione se le informazioni necessarie, fornite nel registro, fossero sufficienti, occorre concludere che la Commissione doveva esaminare le informazioni supplementari, ai fini di valutare se la proposta controversa soddisfacesse le condizioni di registrazione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento 211/2011.

51      Tale conclusione non è rimessa in discussione dagli argomenti dei ricorrenti relativi, sostanzialmente, al fatto che la Commissione non avrebbe dovuto tenere conto, nella decisione impugnata, delle informazioni supplementari che si limitavano a illustrare proposte di atti che avrebbero potuto eventualmente essere presentate dalla Commissione, senza tuttavia corrispondere all’atto proposto.

52      A tal riguardo è importante rilevare che, nella decisione impugnata, basandosi sulle informazioni supplementari, la Commissione ha ritenuto che, con la proposta controversa, i ricorrenti la invitassero a presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione inteso a garantire «l’uguaglianza tra le regioni e la preservazione delle culture regionali», il che, a loro avviso, implicava necessariamente, da una parte, di garantire che gli Stati membri rispettassero i propri impegni di diritto internazionale nei confronti della minoranze nazionali e, dall’altra, di «rivolgere un’attenzione particolare alle regioni [a minoranza nazionale] nell’ambito della politica di coesione dell’Unione», accogliendo una definizione di «regione a minoranza nazionale» che tenesse conto dei criteri fissati negli strumenti internazionali citati nella proposta controversa, nonché della volontà espressa dalle comunità interessate, e identificando nominativamente dette regioni.

53      I ricorrenti non possono fondatamente sostenere che le misure così identificate nella decisione impugnata sarebbero state delineate, nelle informazioni supplementari, come semplici esempi di proposte di provvedimenti che avrebbero potuto, se del caso, essere presentate dalla Commissione. Nelle proprie informazioni supplementari essi indicano espressamente, anzitutto, che «la legislazione dovrebbe [...] prevedere che gli Stati membri sono tenuti ad adempiere, senza indugio, ai propri impegni internazionali nei confronti delle minoranze nazionali». I ricorrenti indicano poi, reiterando una domanda già formulata nell’ambito delle informazioni necessarie, che, per rispondere agli obiettivi perseguiti dalla proposta controversa, «[le regioni a minoranza nazionale] devono vedersi accordata una pari possibilità di accesso ai fondi strutturali e agli altri fondi dell’Unione, alle risorse e ai programmi [della politica di coesione] [e] devono essere loro garantite la preservazione delle proprie caratteristiche, nonché un adeguato sviluppo economico». Da ultimo, essi fanno chiaro riferimento a un «concetto [di regioni a minoranza nazionale] da doversi definire in un atto dell’Unione» e osservano che, «[a]l di là della definizione del concetto di regioni a minoranza nazionale, l’atto legislativo dell’Unione redatto dalla Commissione deve altresì identificare il loro nome in un allegato, tenendo conto dei criteri fissati dagli strumenti internazionali elencati [nelle informazioni supplementari], e della volontà delle comunità interessate». Dai passaggi delle informazioni supplementari summenzionati emerge che le proposte di misure di cui la Commissione ha tenuto conto nella decisione impugnata erano chiaramente delineate dai ricorrenti, nelle predette informazioni, quali misure che avrebbero dovuto necessariamente figurare nell’atto proposto.

54      Pertanto la Commissione, nella decisione impugnata, ha giustamente preso in considerazione tali misure al fine di verificare se la proposta controversa soddisfacesse le condizioni di registrazione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011.

55      Inoltre, la conclusione di cui al precedente punto 50 non è rimessa in discussione dagli argomenti delle parti vertenti sulla questione se, nel caso di specie, nella decisione impugnata, le informazioni supplementari fossero state o meno prese in considerazione nell’interesse dei ricorrenti.

56      A tal proposito è importante sottolineare che spetta agli organizzatori di una proposta di iniziativa dei cittadini valutare, in ciascun caso, se è nel proprio interesse esercitare il diritto, riconosciuto all’allegato II del regolamento n. 211/2011, di fornire informazioni supplementari sull’oggetto, gli obiettivi e il contesto della loro proposta, tenuto conto dell’obbligo correlato in capo alla Commissione di esaminarle al fine di valutare, in particolare, se la proposta di iniziativa dei cittadini debba essere registrata. Tuttavia, una volta che che gli organizzatori di una proposta di iniziativa dei cittadini hanno deciso di esercitare il proprio diritto e di fornire tali informazioni supplementari, queste ultime devono essere esaminate dalla Commissione, senza che questa possa e debba chiedersi se la presa in considerazione di dette informazioni sia o meno nell’interesse degli organizzatori.

57      Nel caso di specie, i ricorrenti hanno fornito informazioni supplementari alla Commissione, la quale doveva pertanto esaminarle indipendentemente dal fatto che ciò fosse o meno nell’interesse dei ricorrenti.

58      Essendo dunque l’argomento dei ricorrenti integralmente rigettato, la censura relativa a un’errata considerazione delle informazioni non previste dall’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 211/2011 va respinta.

 Osservazioni preliminari sulle altre censure sollevate dai ricorrenti

59      Posto che l’insieme delle altre censure sollevate dai ricorrenti è connesso, sostanzialmente, alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 (punto 39 supra), è opportuno rammentare che, ai sensi dell’articolo 5 TUE, il principio di attribuzione governa la delimitazione delle competenze dell’Unione, che, secondo l’articolo 13, paragrafo 2, TUE, ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, e che è in tale contesto che l’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 prevede la condizione secondo cui la proposta di iniziativa dei cittadini non deve manifestamente esulare dalle competenze della Commissione a presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati.

60      Dalla formulazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 emerge che la Commissione deve procedere a un primo esame degli elementi di cui dispone al fine di valutare se la proposta di iniziativa dei cittadini esuli manifestamente dalle proprie competenze, con la precisazione che è previsto un esame più approfondito in caso di registrazione della proposta. Invero, l’articolo 10, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 211/2011 dispone che, quando la Commissione riceve l’iniziativa dei cittadini europei, entro tre mesi espone in una comunicazione le sue conclusioni giuridiche e politiche riguardo detta iniziativa, l’eventuale azione che intende intraprendere e i suoi motivi per agire o meno in tal senso.

61      Al fine di determinare se la Commissione abbia correttamente applicato, nel caso in esame, la condizione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, occorre esaminare se, con riferimento alla proposta controversa e nel quadro di un primo esame degli elementi di cui disponeva, la stessa non potesse manifestamente proporre l’adozione di un atto dell’Unione basato sugli articoli dei trattati, in particolare quelli citati dai ricorrenti nella proposta controversa.

 Sulle censure relative a un’errata interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), TFUE e dell’articolo 174 TFUE, nonché dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 1059/2003, letto alla luce del considerando 10 dello stesso regolamento

62      I ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, concludono che la Commissione, nella decisione impugnata, è incorsa in un errore di interpretazione, rifiutando di constatare che l’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), TFUE e l’articolo 174 TFUE, nonché l’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 1059/2003, letto alla luce del considerando 10 dello stesso regolamento, potevano fornire una base giuridica che le consentisse di presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione corrispondente alla proposta controversa.

63      La Commissione, sostenuta dalla Romania e dalla Repubblica slovacca, chiede che le presenti censure siano respinte.

64      Nella decisione impugnata, la Commissione, dopo aver definito il contenuto dell’atto proposto come indicato al precedente punto 52, ha osservato quanto segue:

«Secondo [la] domanda, sono necessarie [alcune misure] affinché sia rivolta un’attenzione particolare alle regioni [a minoranza nazionale] nel contesto della politica di coesione dell’Unione. Tuttavia, ogni misura adottata sulla base degli articoli 177 [TFUE] e 178 TFUE che disciplinano la politica di coesione [dell’Unione] si limita a perseguire gli obiettivi di rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, come previsto dall’articolo 174 TFUE. Promuovere le condizioni delle minoranze nazionali non può essere inteso quale aiuto a ridurre “il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni” e il ritardo delle regioni meno favorite, come previsto all’articolo 174, secondo comma, TFUE. A tal riguardo, l’elenco degli “svantaggi” previsti all’articolo 174, terzo comma, TFUE, che comporta l’obbligo di rivolgere un’“attenzione particolare” alle regioni interessate, è esaustivo. Conseguentemente, gli articoli 174 [TFUE], 176 [TFUE], 177 [TFUE] e 178 TFUE non possono costituire le basi giuridiche per l’adozione dell’atto [...] proposto».

65      Inoltre, la Commissione, dopo aver segnalato che il suo esame aveva riguardato non solo le disposizioni dei trattati citate nella proposta controversa, ma anche «tutte le altre basi giuridiche possibili», ha concluso come segue:

«[N]on esiste una base giuridica, nei trattati, che giustifichi la presentazione di una proposta di atto legislativo avente il contenuto [che gli organizzatori della proposta controversa] auspicano».

66      In via preliminare, occorre ricordare che la scelta della base giuridica di un atto legislativo dell’Unione deve fondarsi su elementi oggettivi suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto di tale atto (v. sentenze dell’11 giugno 2014, Commissione/Consiglio, C‑377/12, Racc., EU:C:2014:1903, punto 34 e giurisprudenza citata, nonché del 18 dicembre 2014, Regno Unito/Consiglio, C‑81/13, Racc., EU:C:2014:2449, punto 35 e giurisprudenza citata).

67      Le presenti censure sollevano la questione se alla luce, in particolare, dello scopo e del contenuto dell’atto proposto, questo potesse essere adottato sulla base delle disposizioni, menzionate dai ricorrenti nella proposta controversa, riguardanti la politica di coesione dell’Unione.

68      L’articolo 3 TUE cita, tra gli altri obiettivi perseguiti dall’Unione, la promozione della coesione economica, sociale e territoriale. Detta coesione figura tra i settori di competenza concorrente tra l’Unione e gli Stati membri enumerati all’articolo 4, paragrafo 2, TFUE. Come correttamente osservato dalla Commissione, la base giuridica per l’adozione di atti legislativi dell’Unione per il consolidamento e l’ulteriore sviluppo dell’azione dell’Unione nel settore della coesione economica, sociale e territoriale, compresa la possibilità di creare dei fondi a finalità strutturale, è rinvenibile nelle disposizioni della parte terza, titolo XVIII, del Trattato FUE, vale a dire gli articoli da 174 TFUE a 178 TFUE. Ciò emerge, altresì, dal protocollo (n. 28) sulla coesione economica, sociale e territoriale, allegato al Trattato UE e al Trattato FUE.

69      Da una lettura combinata degli articoli da 174 TFUE a 178 TFUE emerge che il legislatore dell’Unione ha la facoltà di adottare misure dirette a promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione e, in particolare, a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite, rivolgendo, a tal proposito, un’attenzione particolare alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

70      Conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, che dispone, in particolare, che l’Unione rispetta l’identità nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali, la nozione di «regione», ai sensi degli articoli da 174 TFUE a 178 TFUE, deve essere definita nel rispetto della situazione politica, amministrativa e istituzionale esistente. Ciononostante, le unità amministrative esistenti all’interno dei diversi Stati membri presentano tra loro grandi differenze, sia sul piano demografico e geografico, sia per quanto riguarda le loro competenze. Orbene, l’adozione di atti legislativi dell’Unione nel settore della politica di coesione implica che il legislatore dell’Unione disponga di dati comparabili concernenti il livello di sviluppo di ciascuna di tali unità amministrative. Come emerge dal considerando 9, il regolamento n. 1059/2003 ha perciò istituito una NUTS, che consente, attraverso la definizione di «unità territoriali» o di «regioni NUTS», il cui livello, nella gerarchia, dipende dalla loro dimensione in termini di popolazione, di rendere confrontabili le statistiche relative al livello di sviluppo delle diverse unità amministrative esistenti negli Stati membri e che, dunque, funge da riferimento per l’attuazione della politica di coesione dell’Unione.

71      A tal riguardo, l’articolo 3 del regolamento n. 1059/2003, che fissa i criteri di classificazione delle unità territoriali per la statistica, nella versione in vigore all’epoca dei fatti, prevede quanto segue:

«1.      Le unità amministrative esistenti all’interno degli Stati membri costituiscono il primo criterio di definizione delle unità territoriali.

A tal fine, per "unità amministrativa" si intende una zona geografica in cui un’autorità amministrativa ha la competenza di prendere decisioni amministrative o politiche per tale zona, all’interno del quadro giuridico e istituzionale dello Stato membro.

2.      Per stabilire in quale livello NUTS debba essere classificata una determinata classe di unità amministrative di uno Stato membro, si considera la dimensione media della classe di unità amministrative dal punto di vista della popolazione facendo riferimento alla tabella seguente:

(…)

Se la popolazione di un intero Stato membro è inferiore al limite minimo per un determinato livello NUTS, l’intero Stato membro costituisce una unità territoriale NUTS per tale livello.

3.      Ai fini del presente regolamento, la popolazione di un’unità territoriale comprende le persone che risiedono abitualmente in questa zona.

4.      Le unità amministrative esistenti utilizzate per la classificazione NUTS sono elencate nell’allegato II. Le misure intese a modificare elementi non essenziali del presente regolamento e che adeguano l’allegato II sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 7, paragrafo 2.

5.      Se, per un determinato livello NUTS, nello Stato membro non esistono unità amministrative di dimensione opportuna, in conformità dei criteri elencati nel paragrafo 2, il livello NUTS sarà costituito aggregando un numero adeguato di unità amministrative contigue esistenti di dimensione minore. L’aggregazione terrà conto di pertinenti criteri quali le circostanze geografiche, socioeconomiche, storiche, culturali o ambientali.

Le unità risultanti dall’aggregazione sono definite in seguito "unità non amministrative". La dimensione delle unità non amministrative in uno Stato membro per un determinato livello NUTS deve rientrare nei limiti indicati dalla tabella di cui al paragrafo 2.

Singole unità non amministrative possono tuttavia derogare dai suddetti limiti in determinate circostanze geografiche, socioeconomiche, storiche, culturali o ambientali, specialmente nelle isole e nelle regioni ultraperiferiche. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali del presente regolamento completandolo, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 7, paragrafo 2».

72      Alla luce del contesto normativo riportato ai punti da 68 a 71 supra, la Commissione, nella decisione impugnata, ha correttamente considerato che «gli articoli 174 [TFUE], 176 [TFUE], 177 [TFUE] e 178 TFUE non possono costituire basi giuridiche per adottare l’atto [...] proposto».

73      Dalla proposta controversa, come descritta al punto 3 e dai punti da 5 a 8 supra, risulta infatti che l’atto proposto doveva consentire che le regioni a minoranza nazionale fossero integrate nella nozione di «regione», ai sensi degli articoli da 174 [TFUE] a 178 TFUE, e godessero di una particolare attenzione, nell’ambito della politica di coesione dell’Unione, affinché le proprie specifiche caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche potessero essere preservate. L’atto proposto doveva, in particolare, imporre agli Stati membri il rispetto dei propri obblighi nei confronti delle minoranze nazionali, anche in sede di attuazione della politica di coesione dell’Unione, definire la nozione stessa di «regione a minoranza nazionale», che costituisse altresì una «regione» ai sensi degli articoli da 174 [TFUE] a 178 TFUE, nonché istituire un elenco nominativo delle regioni a minoranza nazionale idonee a beneficiare di un’attenzione particolare nell’ambito della politica di coesione dell’Unione, affinché le loro specifiche caratteristiche fossero preservate.

74      Risulta, inoltre, dalla proposta controversa che le regioni a minoranza nazionale dovevano essere definite sulla base di criteri autonomi e, dunque, indipendentemente dalle unità amministrative esistenti negli Stati membri. La proposta controversa prevede, infatti, che «tutti gli elementi essenziali del concetto [di regioni a minoranza nazionale] da definire in un atto legislativo dell’Unione esistono già in innumerevoli strumenti internazionali adottati da molti Stati membri» e rinvia, a tal riguardo, alle «regioni con caratteristiche nazionali, etniche, culturali, religiose, linguistiche che differiscono da quelle delle regioni circostanti». Secondo la proposta controversa, le regioni così definite comprendevano «zone geografiche prive di competenze amministrative». Di conseguenza, secondo la proposta controversa, per la creazione di regioni conformi alla NUTS occorreva tenere in considerazione le frontiere linguistiche, etniche e culturali, così come la volontà delle comunità autoctone costituenti la maggioranza della popolazione della regione, espressa attraverso un previo referendum, e «le garanzie [derivanti dall’atto proposto], in linea con la [...] risoluzione [del Parlamento europeo sulla protezione delle minoranze e le politiche contro la discriminazione nell’Europa allargata] e la volontà delle comunità in questione, potrebbero includere l’attuazione di istituzioni regionali autonome, dotate di poteri sufficienti a sostenere la preservazione [delle] caratteristiche nazionali, linguistiche e culturali e [dell’] identità [delle regioni a minoranza nazionale]». Risulta così dalla proposta controversa che l’atto proposto doveva condurre a ridefinire la nozione di «regione», ai sensi degli articoli da 174 TFUE a 178 TFUE, conferendo un vero e proprio status alle regioni a minoranza nazionale, e ciò indipendentemente dalla situazione politica, amministrativa e istituzionale esistente negli Stati membri interessati.

75      Orbene, come osservato al precedente punto 70, e ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’Unione deve, nell’ambito della politica di coesione, rispettare la situazione politica, amministrativa e istituzionale esistente negli Stati membri. Pertanto, quando, al solo scopo di assicurare la comparabilità dei dati statistici regionali, l’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 1059/2003 prevede di tenere conto di criteri quali le circostanze geografiche, socioeconomiche, storiche, culturali o ambientali, non è che al fine di aggregare, in un’unità non amministrativa di dimensione sufficiente in termini di popolazione, unità amministrative esistenti negli Stati membri interessati e con il solo scopo di garantire la comparabilità delle statistiche relative al livello di sviluppo di tali differenti unità amministrative. Inoltre, quando tale medesima disposizione dispone che si possa derogare alle soglie demografiche in determinate circostanze geografiche, socio-economiche, storiche, culturali o ambientali, ciò è possibile soltanto con riferimento a unità non amministrative corrispondenti, esse stesse, a un’aggregazione di unità amministrative esistenti negli Stati membri interessati a fini puramente statistici e senza che ciò possa comportare una modifica, di qualsivoglia sorta, al quadro politico, amministrativo e istituzionale esistente negli Stati membri interessati.

76      Ne consegue che il legislatore dell’Unione non potrebbe, senza violare l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, adottare un atto che, al pari dell’atto proposto, definisca regioni a minoranza nazionale che possano beneficiare di un’attenzione particolare nell’ambito della politica di coesione dell’Unione, sulla base di criteri autonomi e, dunque, indipendentemente dalla situazione politica, amministrativa e istituzionale esistente negli Stati membri interessati.

77      Ad ogni modo, quand’anche le regioni a minoranza nazionale potessero corrispondere a unità amministrative esistenti negli Stati membri interessati o ad aggregazioni di tali unità, va osservato che la preservazione delle caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche specifiche di tali regioni non costituisce un fine che varrebbe a giustificare l’adozione di un atto legislativo dell’Unione sulla base degli articoli 174 [TFUE], 176 [TFUE], 177 [TFUE] e 178 TFUE.

78      Infatti, tali ultime disposizioni conferiscono al legislatore dell’Unione soltanto il potere di adottare misure dirette a promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione e, in particolare, a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite, rivolgendo, a tal proposito, un’attenzione particolare alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

79      Certo, i ricorrenti asseriscono, sostanzialmente, da una parte, che l’integrazione europea, e in particolare l’attuazione della politica di coesione dell’Unione, non promuovono attualmente uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, poiché minacciano le caratteristiche specifiche delle regioni a minoranza nazionale, le quali tendono quindi a «scomparire» e, dall’altra, che le regioni a minoranza nazionale sono colpite da uno svantaggio demografico grave e permanente, connesso alla posizione minoritaria, sul piano nazionale, della loro popolazione, che incide sul loro sviluppo economico rispetto alle regioni circostanti.

80      Tuttavia, come correttamente osservato dalla Commissione, l’argomento dei ricorrenti riposa a tal proposito su affermazioni che non risultano per nulla suffragate, né, a fortiori, comprovate.

81      Da un lato, i ricorrenti non hanno dimostrato che l’attuazione della politica di coesione dell’Unione, sia da parte dell’Unione sia degli Stati membri, minacciava le caratteristiche specifiche delle regioni a minoranza nazionale.

82      Ai sensi dell’articolo 2 TUE, l’Unione si fonda sul rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Inoltre, l’articolo 21, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sull’appartenenza a una minoranza nazionale. Orbene, l’articolo 6, paragrafo 1, TUE dispone che l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati, e l’articolo 51, paragrafo 1, di detta Carta precisa che le sue disposizioni si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Ne discende che, nell’esercizio della propria competenza concorrente in materia di coesione economica, sociale e territoriale, l’Unione e gli Stati membri non devono discriminare le persone e le popolazioni in ragione della loro appartenenza a una minoranza nazionale.

83      Del resto, va sottolineato che la proposta controversa non mirava a combattere discriminazioni di cui sarebbero vittime le persone o le popolazioni insediate nelle regioni a minoranza nazionale, in ragione della loro appartenenza a tale minoranza, bensì a prevenire qualsiasi divario o ritardo di sviluppo economico delle regioni a minoranza nazionale rispetto alle regioni circostanti, dovuto allo svantaggio che le proprie specifiche caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche rappresenterebbero per le prime. D’altro canto, i ricorrenti stessi hanno ammesso, al punto 5 del ricorso, che la proposta controversa non aveva per «oggetto» di «impedire le discriminazioni», sebbene non escludessero che l’atto proposto potesse avere una tale «conseguenza».

84      Pertanto, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, né l’articolo 2 TUE, né l’articolo 21, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, né nessun’altra disposizione di diritto dell’Unione volta a combattere le discriminazioni, in particolare le disposizioni basate sull’appartenenza a una minoranza nazionale, potevano consentire alla Commissione di proporre, nell’ambito della politica di coesione dell’Unione, un atto legislativo dell’Unione il cui oggetto e contenuto sarebbero stati corrispondenti a quelli dell’atto proposto.

85      Dall’altro lato, i ricorrenti non hanno dimostrato che le caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche specifiche delle regioni a minoranza nazionale potessero essere considerate uno svantaggio demografico grave e permanente, ai sensi dell’articolo 174, terzo comma, TFUE.

86      A tal proposito, mentre l’articolo 174, terzo comma, TFUE riconosce che le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna presentano svantaggi naturali o demografici corrispondenti alla loro insularità, al loro carattere transfrontaliero, alla loro topografia, al loro isolamento, alla loro bassa o bassissima densità demografica, lo stesso non menziona le regioni le cui caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche differiscono da quelle delle regioni circostanti. L’articolo 121, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio (GU L 347, pag. 320), citato dai ricorrenti, non estende affatto, a tal riguardo, il campo di applicazione dell’articolo 174 TFUE, in quanto concerne unicamente zone insulari, zone di montagna, zone a bassa e bassissima densità demografica e regioni ultraperiferiche. Non può dunque dedursi da detto articolo 121, paragrafo 4, che la nozione di «grave e permanente svantaggio demografico», ai sensi dell’articolo 174, terzo comma, TUE, possa includere le caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche specifiche delle regioni a minoranza nazionale.

87      Anche ammettendo che dette caratteristiche possano essere analizzate come dati demografici specifici delle regioni interessate, non è dimostrato che esse costituiscano sistematicamente, per lo sviluppo economico di dette regioni, uno svantaggio rispetto alle regioni circostanti. Certamente, come osservano i ricorrenti, le differenze, in particolare linguistiche, tra queste regioni e le regioni circostanti possono essere all’origine di taluni costi aggiuntivi per le transazioni o di talune difficoltà occupazionali. Tuttavia, come rileva correttamente la Commissione, le caratteristiche specifiche di tali regioni possono ugualmente conferire loro taluni vantaggi comparativi, quali una certa attrattiva turistica o il multilinguismo.

88      Quanto agli atti di diritto dell’Unione, quali la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, del 24 luglio 2003, intitolata «Promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica – Piano d’azione 2004-2006» [COM (2003) 449 definitivo], che tendono a promuovere le lingue regionali e minoritarie, questi non originano dalla constatazione che dette lingue costituirebbero uno svantaggio per lo sviluppo economico delle regioni in cui sono parlate, ma da quella per cui tali lingue concorrono alla diversità linguistica dell’Unione e al multilinguismo, esso stesso inteso come un vantaggio.

89      In assenza di prove fornite dai ricorrenti, non vi è dunque alcuna ragione di supporre che le caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche specifiche delle regioni a minoranza nazionale ostacolino sistematicamente il loro sviluppo economico rispetto a quello delle regioni circostanti, in una maniera tale che queste caratteristiche possano essere qualificate come «gravi e permanenti svantaggi demografici» ai sensi dell’articolo 174, terzo comma, TFUE.

90      Per tutti i suesposti motivi occorre respingere integralmente le censure relative a un’errata interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), TFUE e dell’articolo 174 TFUE, nonché dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 1059/2003, letto alla luce del considerando 10 dello stesso regolamento.

 Sulla censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 167 TFUE

91      I ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, concludono che la Commissione, nella decisione impugnata, è incorsa in un errore di interpretazione, ritenendo che la proposta controversa esulasse manifestamente dalla propria competenza a presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione della politica culturale prevista all’articolo 167 TFUE.

92      La Commissione, sostenuta dalla Romania e dalla Repubblica slovacca, chiede che la presente censura venga respinta.

93      Nella decisione impugnata, la Commissione, dopo aver definito il contenuto dell’atto proposto come indicato al precedente punto 52, ha osservato quanto segue:

«L[’]articolo[…] 167 […] TFUE non può neppure costituire [una] base[…] giuridica […] per la legislazione proposta in quanto [tale legislazione] non contribuirebbe a nessuno degli obiettivi perseguiti dalle politiche previste da tale disposizione […]».

94      La presente censura pone la questione se, alla luce, in particolare, del suo scopo e del suo contenuto, l’atto proposto doveva contribuire a uno degli obiettivi perseguiti dalla politica culturale dell’Unione di cui all’articolo 167 TFUE.

95      A tal riguardo, è importante ricordare che, ai sensi dell’articolo 22 della Carta dei diritti fondamentali e dell’articolo 3, paragrafo 3, quarto comma, TUE, l’Unione rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo.

96      L’articolo 6, lettera c), TFUE annovera la cultura tra i settori nei quali l’Unione ha una competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri. Come emerge altresì dall’articolo 2, paragrafo 5, primo comma, TFUE, tale competenza dell’Unione non sostituisce la competenza degli Stati membri ed è sussidiaria a quest’ultima.

97      L’articolo 167 TFUE prevede quanto segue:

«1.      L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune.

2.      L’azione dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori:

–        miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei,

–        conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea;

–        scambi culturali non commerciali,

–        creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo.

3.      L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d’Europa.

4.      L’Unione tiene conto degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norma di altre disposizioni dei trattati, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture.

5.      Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo:

–        il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri;

–        il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta raccomandazioni».

98      Dall’articolo 167 TFUE e, più precisamente, dai paragrafi 2 e 5 del medesimo risulta che, nell’ambito della politica culturale dell’Unione e al fine di contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune, il legislatore dell’Unione ha facoltà di adottare azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, o raccomandazioni intese a perseguire precisi obiettivi, ossia, in primo luogo, il miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, in secondo luogo, la conservazione e la salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, in terzo luogo, gli scambi culturali non commerciali e, in quarto luogo, la creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo.

99      Pertanto, nella decisione impugnata la Commissione ha correttamente ritenuto che «la legislazione proposta [...] non contribuirebbe a nessuno degli obiettivi perseguiti dalla [politica culturale dell’Unione, prevista all’articolo 167 TFUE]».

100    Dalla proposta controversa, così come descritta ai punti 3 e da 5 a 8 supra, risulta infatti che l’atto proposto doveva essenzialmente mirare ad attuare, nell’ambito della politica di coesione dell’Unione, talune garanzie affinché le caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche specifiche delle regioni a minoranza nazionale potessero essere preservate. Tali garanzie dovevano essenzialmente consistere nel fornire alle regioni a minoranza nazionale un accesso ai fondi, alle risorse e ai programmi della politica di coesione dell’Unione, al fine di prevenire qualsiasi divario o ritardo di sviluppo economico di tali regioni rispetto alle regioni circostanti, nonché nel riconoscere alle regioni a minoranza nazionale uno status d’autonomia, in conformità alla volontà espressa dalla loro popolazione (tramite referendum), indipendentemente dalla situazione politica, amministrativa e istituzionale esistente negli Stati membri interessati.

101    Orbene, l’articolo 167 TFUE non può servire da fondamento per l’adozione di un atto legislativo dell’Unione che persegua tale fine e abbia tale contenuto. Invero, la preservazione, attraverso le proprie caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche specifiche, delle regioni a minoranza nazionale, o addirittura il riconoscimento di uno status d’autonomia a tali regioni, ai fini dell’attuazione della politica di coesione dell’Unione, è un obiettivo che, da una parte, va ben al di là del mero contributo al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri, nel rispetto della loro diversità nazionale e regionale, o della semplice messa in rilievo del retaggio culturale comune e che, dall’altra, non è direttamente collegabile a uno degli obiettivi specificatamente previsti dall’articolo 167, paragrafo 2, TFUE. Peraltro, gli stessi ricorrenti hanno ammesso, al punto 5 del ricorso, che la proposta controversa non aveva per «oggetto» di «tutelare la diversità culturale», sebbene non escludessero che l’atto proposto potesse avere una tale «conseguenza».

102    Così, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, né l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, né l’articolo 167, paragrafo 1, TFUE, né l’articolo 22 della Carta dei diritti fondamentali consentivano alla Commissione, nel caso di specie, di proporre, nell’ambito della politica di coesione dell’Unione, un atto legislativo diretto a proteggere la diversità culturale rappresentata dalle minoranze nazionali, il quale atto, del resto, non sarebbe stato corrispondente all’oggetto e al contenuto dell’atto proposto.

103    Si deve in ogni caso rilevare che l’adozione dell’atto proposto, che implicava necessariamente la definizione della nozione di «regione a minoranza nazionale» ai fini dell’attuazione della politica di coesione dell’Unione, non corrispondeva a nessuna delle modalità d’azione di cui all’articolo 167, paragrafo 2, TFUE per contribuire alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla politica culturale dell’Unione, vale a dire, l’adozione di azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, o l’adozione di raccomandazioni.

104    Per tutti i suesposti motivi, la censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 167 TFUE dev’essere respinta.

 Sulla censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, TFUE

105    I ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, concludono che la Commissione, nella decisione impugnata, è incorsa in un errore di interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, TFUE, poiché ha ritenuto che nessuna disposizione dei trattati costituisse una base giuridica per una qualsivoglia azione delle istituzioni diretta a combattere le discriminazioni basate sull’appartenenza a una minoranza nazionale.

106    La Commissione, sostenuta dalla Romania e dalla Repubblica slovacca, chiede che la presente censura venga respinta.

107    Nella decisione impugnata, dopo aver definito il contenuto dell’atto proposto come indicato al precedente punto 52 e dopo aver segnalato che il proprio esame avrebbe avuto ad oggetto «le disposizioni dei trattati [...] sugger[ite] e [...] qualsiasi altra base giuridica possibile», la Commissione ha osservato quanto segue:

«In conclusione, [...] non esiste nei trattati nessuna base giuridica che permetterebbe di presentare una proposta di atto legislativo [dell’Unione] avente il contenuto previsto [nella proposta controversa]».

108    A tal proposito, i ricorrenti addebitano alla Commissione un’interpretazione errata dell’articolo 19, paragrafo 1, TFUE, il quale avrebbe potuto fungere da base giuridica per l’atto proposto.

109    La presente censura pone la questione se, alla luce, in particolare, del suo scopo e del suo contenuto, l’atto proposto avrebbe potuto essere adottato sulla base dell’articolo 19, paragrafo 1, TFUE.

110    L’articolo 19 TFUE prevede quanto segue:

«1.      Fatte salve le altre disposizioni dei trattati e nell’ambito delle competenze da essi conferite all’Unione, il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.

2.      In deroga al paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare i principi di base delle misure di incentivazione dell’Unione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, destinate ad appoggiare le azioni degli Stati membri volte a contribuire alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1».

111    Fatte salve le altre disposizioni dei trattati e nell’ambito delle competenze da essi conferite all’Unione, l’articolo 19, paragrafo 1, TFUE attribuisce al legislatore dell’Unione il potere di adottare i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.

112    Nel caso di specie, senza che sia neppure necessario chiedersi se la nozione di «discriminazione», ai sensi di tale disposizione, includa o meno ogni discriminazione fondata sull’appartenenza a una minoranza nazionale, va ricordato che, come già constatato al precedente punto 83, la proposta controversa non mirava a combattere discriminazioni nei confronti delle persone o delle popolazioni insediate nelle regioni a minoranza nazionale, in ragione della loro appartenenza a tale minoranza, bensì a prevenire qualsiasi divario o ritardo di sviluppo economico delle regioni a minoranza nazionale rispetto alle regioni circostanti, dovuto allo svantaggio che le specifiche caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche rappresenterebbero per le prime.

113    Pertanto, come correttamente riconosciuto dalla Commissione nella decisione impugnata, l’articolo 19, paragrafo 1, TFUE non poteva costituire una base giuridica adeguata per proporre un atto legislativo dell’Unione che perseguisse lo scopo e avesse il contenuto di quello descritto nella proposta controversa.

114    Per tutti i suesposti motivi, la censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, TFUE dev’essere respinta.

 Sulle censure relative a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione

115    I ricorrenti, sostenuti dall’Ungheria, concludono che la Commissione ha commesso uno sviamento di potere in quanto ha rifiutato di registrare la proposta controversa non per il motivo, indicato nella decisione impugnata ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, che essa esulava manifestamente dalla propria competenza, bensì, come emerge dai suoi atti di causa, perché non riteneva opportuno, allo stato del diritto dell’Unione, esercitare le proprie competenze nel senso da essi auspicato, il che non è previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011.

116    Essi concludono inoltre che la Commissione ha violato il principio di buona amministrazione, in quanto, nel caso di specie, sarebbe stata guidata dall’intenzione di disincentivare le iniziative dei cittadini, anche quando queste soddisfacevano, come nel caso in esame, le condizioni di registrazione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, ricorrendo a mezzi scorretti, quali la presa in considerazione di informazioni non previste all’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 211/2011.

117    La Commissione, sostenuta dalla Repubblica slovacca, chiede che le presenti censure vengano respinte.

118    In primo luogo, per quanto concerne la censura relativa a uno sviamento di potere, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di sviamento di potere ha una portata ben precisa nel diritto dell’Unione e riguarda la situazione in cui un’autorità amministrativa esercita i suoi poteri per uno scopo diverso da quello per il quale le sono stati conferiti. Una decisione è viziata da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta essere stata adottata per raggiungere fini diversi da quelli dichiarati (v. sentenza del Tribunale del 9 settembre 2008, Bayer CropScience e a./Commissione, T‑75/06, Racc., EU:T:2008:317, punto 254 e giurisprudenza citata).

119    Nella specie, per determinare l’esistenza di uno sviamento di potere, i ricorrenti si fondano su alcuni argomenti difensivi presentati dalla Commissione, da cui emergerebbe che questa non ritenesse opportuno, allo stato del diritto dell’Unione, esercitare le proprie competenze nel senso auspicato dai ricorrenti.

120    A tal riguardo, occorre osservare che la decisione impugnata contiene una motivazione sufficiente, secondo cui la proposta controversa non soddisfaceva le condizioni di registrazione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, poiché esulava manifestamente dalla competenza che consente alla Commissione di presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati. Ai punti 10 e 11 del controricorso, la Commissione ha ricordato detta motivazione e affermato di «ribadire il proprio punto di vista» per le ragioni che precisava, in seguito, nel controricorso, alla luce degli argomenti sviluppati nel ricorso. Del pari, ai punti 2 e 97 della controreplica, la Commissione ha indicato di «ribadire integralmente il ragionamento e le conclusioni (...) svolti nel controricorso» e di «aver respinto in maniera fondata e conforme al diritto la domanda di registrazione del[la proposta controversa], in base all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (...) n. 211/2011». Da quanto precede emerge che, nelle proprie memorie, la Commissione ha difeso la fondatezza dei motivi esposti nella decisione impugnata, che non è stata messa in discussione dall’esame del presente ricorso.

121    In tale contesto, le frasi messe in rilievo dai ricorrenti, vale a dire il punto 17 del controricorso, secondo cui «le politiche dell’Unione non possono divenire gli strumenti di politiche contrarie alle minoranze», e il punto 58 del controricorso, secondo cui «la Commissione ritiene che le specificità delle minoranze nazionali siano suscettibili di essere prese adeguatamente in considerazione nell’istituzione della [...] NUTS a livello degli Stati membri», non possono essere considerate elementi che dimostrino che la decisione impugnata sarebbe stata basata, di fatto, su motivazioni diverse da quelle nella stessa formalmente indicate, di cui non si è potuto rimettere in discussione la fondatezza in occasione dell’esame del presente ricorso, né come indicativi di uno sviamento, da parte della Commissione, dei poteri che le sono conferiti dall’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011.

122    Ne discende che i ricorrenti, nel caso di specie, non hanno fornito indizi oggettivi, pertinenti e concordanti che consentano di concludere che la decisione impugnata sarebbe stata adottata per scopi diversi da quelli dichiarati, vale a dire perché le condizioni di registrazione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 non erano soddisfatte, in quanto la proposta controversa esulava manifestamente dalla competenza della Commissione a presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati.

123    La censura relativa a uno sviamento di potere commesso dalla Commissione va dunque respinta in quanto infondata.

124    In secondo luogo, per quanto riguarda la censura relativa alla violazione del principio di buona amministrazione, occorre sottolineare che, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, «[o]gni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione». Emerge, ancora, dal considerando 10 del regolamento n. 211/2011 che il principio generale di buona amministrazione comporta, in particolare, che la Commissione registri tutte le proposte di iniziativa dei cittadini che soddisfano le condizioni previste da tale regolamento, e ciò entro il termine di cui all’articolo 4, paragrafo 2, di detto regolamento, ossia entro due mesi dal ricevimento delle informazioni descritte all’allegato II.

125    Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, le condizioni di registrazione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 non erano soddisfatte, come risulta dall’esame delle censure relative a un’errata interpretazione da parte della Commissione degli articoli dei trattati, e pertanto detta istituzione si era fondatamente rifiutata di registrare la proposta controversa, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, dello stesso regolamento.

126    Di conseguenza, la Commissione ha potuto adottare la decisione impugnata senza violare il principio generale di buona amministrazione.

127    La censura relativa ad una violazione di tale principio dev’essere pertanto respinta in quanto infondata.

128    Poiché sono state respinte tutte le censure sollevate dai ricorrenti a sostegno dell’unico motivo relativo, sostanzialmente, alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, occorre respingere detto motivo e, di conseguenza, il presente ricorso per intero.

 Sulle spese

129    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. I ricorrenti, rimasti soccombenti, sopporteranno le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione, senza che occorra tenere conto, a tal riguardo, del pregiudizio arrecato dai ricorrenti, con la pubblicazione, sul sito Internet della proposta controversa, del controricorso della Commissione (punto 22 supra), alla tutela del procedimento giurisdizionale, in particolare ai principi di parità delle armi e di buona amministrazione della giustizia (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione, C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, Racc., EU:C:2010:541, punti 85 e 93).

130    Peraltro, conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, gli Stati membri intervenuti nel procedimento sopportano le proprie spese. Tali disposizioni devono essere applicate all’Ungheria, alla Repubblica ellenica, alla Romania e alla Repubblica slovacca.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      I sigg. Balázs-Árpád Izsák e Attila Dabis sopporteranno le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

3)      L’Ungheria, la Repubblica ellenica, la Romania e la Repubblica slovacca sopporteranno le proprie spese.

Kanninen

Pelikánová

Buttigieg

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 maggio 2016.

Firme


Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla ricevibilità di alcune censure

Nel merito

Sulla censura relativa a un’errata considerazione di informazioni non previste dall’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 211/2011

Osservazioni preliminari sulle altre censure sollevate dai ricorrenti

Sulle censure relative a un’errata interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), TFUE e dell’articolo 174 TFUE, nonché dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 1059/2003, letto alla luce del considerando 10 dello stesso regolamento

Sulla censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 167 TFUE

Sulla censura relativa a un’errata interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, TFUE

Sulle censure relative a uno sviamento di potere e a una violazione del principio di buona amministrazione

Sulle spese


* Lingua processuale: l’ungherese