Language of document : ECLI:EU:T:2016:124

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

3 marzo 2016 (*)

«Aiuti di Stato – Compensazione retroattiva di servizio pubblico concessa dalle autorità italiane – Servizi di trasporto interregionale tramite autobus prestati tra il 1987 e il 2003 – Decisione che dichiara l’aiuto incompatibile con il mercato interno – Mantenimento di un obbligo di servizio pubblico – Concessione di una compensazione – Regolamento (CEE) n. 1191/69»

Nella causa T‑15/14,

Simet SpA, con sede in Rossano Calabro (Italia), rappresentata da A. Clarizia, C. Varrone e P. Clarizia, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da G. Conte, D. Grespan e P.‑J. Loewenthal, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione 2014/201/UE della Commissione, del 2 ottobre 2013, relativa alla compensazione di Simet SpA per l’esercizio di servizi di trasporto pubblico dal 1987 al 2003 [Aiuto di Stato SA.33037 (2012/C) Italia] (GU 2014, L 114, pag. 67),

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da D. Gratsias, presidente, M. Kancheva (relatore) e C. Wetter, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 luglio 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La ricorrente, Simet SpA, è una società che presta servizi di trasporto di passeggeri su strada. Più specificamente, essa gestisce una rete di collegamenti interregionali regolari tramite autobus tra la Calabria e altre regioni d’Italia (in prosieguo: i «collegamenti interregionali»). Oltre a tali servizi, che costituiscono la parte principale della sua attività, la ricorrente fornisce altri servizi, compresi servizi di trasporto internazionale, servizi turistici e servizi di noleggio autobus con conducente.

 Quadro legislativo e regolamentare che disciplina le attività della ricorrente

2        L’attività della ricorrente è stata disciplinata, nel corso degli anni, da una serie di disposizioni legislative e regolamentari, sia a livello nazionale sia a livello dell’Unione europea.

 Diritto dell’Unione

3        Il settore del trasporto su strada è stato disciplinato a livello dell’Unione, in particolare, dal regolamento (CEE) n. 1191/69 del Consiglio, del 26 giugno 1969, relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile (GU L 156, pag. 1).

4        L’articolo 1 del regolamento n. 1191/69 dispone quanto segue:

«1.      Gli Stati membri sopprimono gli obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico, definiti nel presente regolamento, nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile.

2.      Tali obblighi potranno tuttavia essere mantenuti nella misura in cui siano indispensabili a garantire la fornitura di sufficienti servizi di trasporto.

(...)

4.      Gli oneri gravanti sulle imprese di trasporto in conseguenza del mantenimento degli obblighi di cui al paragrafo 2 (...) formano oggetto di compensazioni determinate in base a metodi comuni indicati nel present[e] regolamento».

5        L’articolo 2 del regolamento n. 1191/69 così dispone:

«1.      Per obblighi di servizio pubblico si intendono gli obblighi che l’impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse condizioni.

2.      Gli obblighi di servizio pubblico ai sensi del paragrafo 1 comprendono l’obbligo di esercizio, l’obbligo di trasporto e l’obbligo tariffario.

3.      Per obbligo di esercizio, ai sensi del presente regolamento, si intende l’obbligo fatto alle imprese di trasporto di adottare, per le linee o gli impianti il cui esercizio sia stato loro affidato mediante concessione od autorizzazione equivalente, tutte le misure atte a garantire un servizio di trasporto conforme a determinate norme di continuità, di regolarità e di capacità. Tale nozione comprende anche l’obbligo di garantire l’esercizio di servizi complementari, nonché l’obbligo di mantenere in buono stato, dopo la soppressione dei servizi di trasporto, linee, impianti e materiale, nella misura in cui quest’ultimo sia eccedente rispetto all’insieme della rete.

4.      Per obbligo di trasporto, ai sensi del presente regolamento, si intende l’obbligo fatto alle imprese di trasporto di accettare e di effettuare qualsiasi trasporto di persone o di merci a prezzi e condizioni di trasporto determinati.

5.      Per obbligo tariffario, ai sensi del presente regolamento, si intende l’obbligo per le imprese di trasporto di applicare prezzi stabiliti od omologati dalle pubbliche autorità, in contrasto con l’interesse commerciale dell’impresa e derivanti dall’imposizione o dal rifiuto di modificare misure tariffarie particolari, soprattutto per talune categorie di viaggiatori, per talune categorie di prodotti o per talune relazioni.

Le disposizioni del comma precedente non si applicano agli obblighi derivanti da misure generali di politica dei prezzi applicabili al complesso delle attività economiche o da misure adottate in materia di prezzi e di condizioni generali di trasporto per l’organizzazione del mercato dei trasporti o di una parte di questo».

6        L’articolo 4 del regolamento n. 1191/69 dispone quanto segue:

«1.      Spetta alle imprese di trasporto di presentare alle autorità competenti degli Stati membri domanda per la soppressione totale o parziale di un obbligo di servizio pubblico, qualora tale obbligo comporti per esse svantaggi economici.

2.      Le imprese di trasporto possono proporre, nella loro domanda, di sostituire con un’altra tecnica di trasporto quella attualmente impiegata. Le imprese determinano le economie che possono migliorare i risultati della loro gestione finanziaria, applicando le disposizioni dell’articolo 5».

7        L’articolo 5 del regolamento n. 1191/69 prevede quanto segue:

«1.      Un obbligo di esercizio o di trasporto comporta svantaggi economici se la diminuzione delle spese, che potrebbe essere realizzata con la soppressione totale o parziale di tale obbligo riguardo a una prestazione o ad un complesso di prestazioni soggette a tale obbligo, è superiore alla diminuzione degli introiti risultante da detta soppressione.

Gli svantaggi economici sono determinati sulla base di un consuntivo, se del caso attualizzato, degli svantaggi economici annui costituiti dalla differenza fra la riduzione degli oneri annui e la riduzione degli introiti annui derivanti dalla soppressione dell’obbligo.

Tuttavia, se degli obblighi di esercizio o di trasporto sono relativi ad una o più categorie di traffico di persone o di merci su una rete o su una parte considerevole di una rete, la valutazione degli oneri che possono essere eliminati in caso di soppressione dell’obbligo viene fatta sulla base di una suddivisione fra le varie categorie di traffico dei costi complessivi sostenuti dall’impresa per la sua attività di trasporto.

Lo svantaggio economico è in tal caso pari alla differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività dell’impresa interessata dall’obbligo di servizio pubblico e il corrispondente introito.

Gli svantaggi economici vengono determinati tenendo conto delle ripercussioni dell’obbligo sul complesso dell’attività dell’impresa.

2.      L’obbligo tariffario comporta svantaggi economici quando la differenza fra gli introiti e gli oneri del traffico soggetto all’obbligo è inferiore alla differenza fra gli introiti e gli oneri del traffico risultante da una gestione commerciale che tenga conto dei costi delle prestazioni soggette a detto obbligo nonché della situazione del mercato».

8        Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69, «[l]e decisioni di mantenere o di sopprimere a termine, totalmente o parzialmente, un obbligo di servizio pubblico, prevedono, per gli oneri che ne derivano, la concessione di una compensazione determinata secondo i metodi comuni di cui agli articoli 10, 11, 12 e 13».

9        L’articolo 10 del regolamento n. 1191/69 così dispone:

«1.      Per quanto riguarda l’obbligo d’esercizio o di trasporto, l’ammontare della compensazione prevista all’articolo 6 è pari alla differenza tra la diminuzione degli oneri e la diminuzione degli introiti dell’impresa che può derivare, per il periodo di tempo considerato, dalla soppressione totale o parziale della parte corrispondente dell’obbligo in questione.

Tuttavia, se gli svantaggi economici sono stati calcolati suddividendo i costi complessivi sostenuti dall’impresa per la sua attività di trasporto fra le varie parti di questa attività di trasporto, l’ammontare della compensazione è pari alla differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività dell’impresa interessata dall’obbligo di servizio pubblico e l’introito corrispondente.

2.      Per il calcolo degli oneri e degli introiti di cui al paragrafo 1 si tiene conto delle ripercussioni che la soppressione dell’obbligo in questione avrebbe sul complesso dell’attività dell’impresa.»

10      A norma dell’articolo 12 del regolamento n. 1191/69, per la determinazione dei costi risultanti dal mantenimento degli obblighi, si tiene conto di un’efficiente gestione dell’impresa e di una fornitura di servizi di trasporto di qualità adeguata. Gli interessi sul capitale proprio possono essere dedotti dagli interessi contabili.

11      L’articolo 14 del regolamento n. 1191/69 dispone quanto segue:

«1.      A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, gli Stati membri possono imporre obblighi di servizio pubblico a una impresa di trasporto soltanto se tali obblighi sono indispensabili a garantire la fornitura di sufficienti servizi di trasporto, a condizione che non si tratti dei casi previsti al paragrafo 3 dell’articolo 1.

2.      Se gli obblighi così imposti comportano per le imprese di trasporto svantaggi economici ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, ovvero oneri ai sensi dell’articolo 9, le autorità competenti degli Stati membri prevedono, nelle loro decisioni relative all’imposizione di nuovi obblighi, la concessione di una compensazione degli oneri che ne derivano. Sono applicabili le disposizioni degli articoli da 10 a 13».

12      L’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69, così dispone:

«2.      Le compensazioni risultanti dall’applicazione del presente regolamento sono dispensate dalla procedura di informazione preventiva di cui all’articolo 93, paragrafo 3, del trattato che istituisce la Comunità economica europea.

Gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione, per categoria d’obblighi, le compensazioni degli oneri derivanti per le imprese di trasporto dal mantenimento degli obblighi di servizio pubblico di cui all’articolo 2 e dall’applicazione ai trasporti di viaggiatori di prezzi e condizioni di trasporto imposti nell’interesse di una o più categorie sociali particolari».

13      Il regolamento (CEE) n. 1893/91 del Consiglio, del 20 giugno 1991, che modifica il regolamento n. 1191/69 (GU L 169, pag. 1), entrato in vigore il 1° luglio 1992, ha soppresso la possibilità per gli Stati membri di mantenere o di imporre obblighi di servizio pubblico alle imprese di trasporto, ad eccezione delle imprese la cui attività era limitata esclusivamente all’esercizio di servizi urbani, extraurbani o regionali.

14      Infatti, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, «[p]er garantire servizi di trasporto sufficienti tenendo conto segnatamente dei fattori sociali, ambientali e di assetto del territorio o per offrire particolari condizioni tariffarie a favore di determinate categorie di passeggeri le competenti autorità degli Stati membri possono concludere contratti di servizio pubblico con un’impresa di trasporto».

15      Così, l’articolo 14 del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, dispone che:

«1.      Per “contratto di servizio pubblico” s’intende un contratto concluso fra le autorità competenti di uno Stato membro e un’impresa di trasporto allo scopo di fornire alla collettività servizi di trasporto sufficienti.

In particolare il contratto di servizio pubblico può comprendere:

–        servizi di trasporto conformi a determinate norme di continuità, regolarità, capacità e qualità;

–        servizi di trasporto complementari;

–        servizi di trasporto a determinate tariffe e condizioni, in particolare per talune categorie di passeggeri o per taluni percorsi;

–        adeguamenti dei servizi alle reali esigenze.

2.      Il contratto di servizio pubblico comprende tra l’altro i seguenti punti:

a)      le caratteristiche dei servizi offerti, segnatamente le norme di continuità, regolarità, capacità e qualità;

b)      il prezzo delle prestazioni che formano oggetto del contratto, che si aggiunge alle entrate tariffarie o comprende dette entrate, come pure le modalità delle relazioni finanziarie tra le due parti;

c)      le norme relative alle clausole addizionali e alle modifiche del contratto, segnatamente per tener conto dei mutamenti imprevedibili;

d)      il periodo di validità del contratto;

e)      le sanzioni in caso di mancata osservanza del contratto.

3.      I mezzi finanziari utilizzati per la fornitura di servizi di trasporto che formano oggetto di un contratto di servizio pubblico possono appartenere all’impresa o essere messi a sua disposizione.

4.      L’impresa che desidera metter fine o apportare modifiche sostanziali ad un servizio di trasporto che essa fornisce alla collettività in modo continuo e regolare e che non è coperto dal contratto o dall’obbligo di servizio pubblico ne informa le autorità competenti dello Stato membro con un preavviso di almeno tre mesi.

Le autorità competenti possono rinunciare a questa informazione.

Questa disposizione non pregiudica le altre procedure nazionali che disciplinano il diritto di metter fine o di apportare modifiche ad un servizio di trasporto.

5.      Dopo aver ricevuto l’informazione di cui al paragrafo 4 le autorità competenti possono imporre il mantenimento del servizio ancora per un anno al massimo dalla data del preavviso e notificano tale decisione all’impresa almeno un mese prima della scadenza del preavviso.

Esse possono pure prendere l’iniziativa di negoziare l’istituzione o la modifica di un servizio di trasporto.

6.      Gli oneri derivanti alle imprese di trasporto dagli obblighi previsti al paragrafo 5 formano oggetto di compensazioni secondo i metodi comuni enunciati alle sezion[i] II, III e IV».

16      Per contro, conformemente all’articolo 1, paragrafo 5, del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, «le competenti autorità degli Stati membri possono mantenere o imporre gli obblighi di servizio pubblico di cui all’articolo 2 per i servizi urbani, extraurbani e regionali di trasporto di passeggeri». In tal caso, «[l]e condizioni e le modalità, compresi i metodi di compensazione, sono definiti nelle sezioni II, III e IV».

17      In tale disposizione viene inoltre precisato che:

«Quando un’impresa di trasporto svolge contemporaneamente servizi soggetti ad obblighi di servizio pubblico ed altre attività, i servizi pubblici devono formare oggetto di sezioni distinte che rispondano come minimo ai seguenti requisiti:

a)      separazione di conti corrispondenti a ciascuna attività di esercizio e ripartizione delle relative quote di patrimonio in base alle norme contabili vigenti;

b)      spese bilanciate dalle entrate di esercizio e dai versamenti dei poteri pubblici, senza possibilità di trasferimento da o verso altri settori d’attività dell’impresa».

18      Il regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, è stato abrogato dal regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70 (GU L 315, pag. 1), entrato in vigore il 3 dicembre 2009.

 Diritto nazionale

19      La ricorrente ha inizialmente esercitato collegamenti interregionali in virtù di concessioni annuali, rilasciate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (in prosieguo: il «MIT») a norma della legge del 28 settembre 1939, n. 1822, recante disciplina degli autoservizi di linea (autolinee) per viaggiatori, bagagli e pacchi agricoli in regime di concessione all’industria privata (GURI n. 292, del 18 dicembre 1939; in prosieguo: la «legge n. 1822/1939»).

20      Conformemente all’articolo 3 della legge n. 1822/1939, la concessione veniva rilasciata «in base ad apposito disciplinare comprendente tutte le condizioni di ordine tecnico, amministrativo ed economico, che regolano la concessione stessa, nonché gli obblighi inerenti al trasporto degli effetti postali». L’articolo 6, comma 2, punto 3, della medesima legge prevedeva che, in presenza di più richiedenti per la stessa concessione, l’amministrazione dava precedenza, in particolare, al richiedente che dimostrasse di assumere altri oneri per opere o servizi di interesse locale in connessione con i servizi di trasporto e che fosse in grado di soddisfarli. Peraltro, l’articolo 1 della legge n. 1822/1939 disponeva che i concessionari avevano l’obbligo di trasportare gli effetti postali su richiesta dell’amministrazione delle poste e dei telegrafi.

21      La legge n. 1822/1939 è stata modificata dal decreto del Presidente della Repubblica del 22 aprile 1994, n. 369, regolamento recante semplificazione del procedimento di concessione di autolinee ordinarie di competenza statale (supplemento ordinario n. 91 alla GURI n. 136, del 13 giugno 1994; in prosieguo: il «decreto n. 369/1994»). In virtù del decreto n. 369/1994, le imprese che intendevano ottenere una concessione dovevano fornire, nella rispettiva domanda di concessione, una «dimostrazione chiara e dettagliata dell’impossibilità di soddisfare in tutto o in parte le accertate esigenze di pubblica utilità attraverso i servizi di trasporto già esistenti».

22      La legge n. 1822/1939, come modificata dal decreto n. 369/1994, è stata successivamente abrogata dal decreto legislativo del 21 novembre 2005, n. 285, recante riordino dei servizi automobilistici interregionali di competenza statale (supplemento ordinario alla GURI n. 6, del 9 gennaio 2006), adottato in attuazione della legge del 1° marzo 2005, n. 32, recante delega al Governo per il riassetto normativo del settore dell’autotrasporto di persone e cose (GURI n. 57, del 10 marzo 2005).

23      Le disposizioni transitorie del decreto legislativo n. 285/2005 hanno tuttavia comportato il mantenimento a favore della ricorrente del regime di concessioni annuali previsto dalla legge n. 1822/1939, come modificata dal decreto n. 369/1994, fino al 31 dicembre 2012.

24      Inoltre, la ricorrente ha beneficiato di una serie di disposizioni nazionali che hanno previsto il versamento di compensazioni per gli oneri finanziari derivanti da determinati obblighi assunti dai concessionari di servizi di trasporto su strada.

25      La ricorrente ha altresì beneficiato delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica del 29 dicembre 1969, n. 1227, recante norme riguardanti la soppressione degli obblighi di servizio pubblico nei confronti delle aziende esercenti servizi automobilistici a carattere prevalentemente interregionale, la compensazione degli obblighi di servizio pubblico da mantenere e il rimborso degli oneri per obblighi tariffari (GURI n. 75, del 25 marzo 1970; in prosieguo: il «decreto n. 1227/69»).

26      L’articolo 2 del decreto n. 1227/69 prevedeva che, conformemente all’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69, le imprese che gestivano in prevalenza servizi regionali di trasporto su strada potevano chiedere al MIT la soppressione totale o parziale di un obbligo di servizio pubblico ad esse imposto, qualora tale obbligo non fosse stato soppresso. L’8 gennaio 1981, la ricorrente ha pertanto ottenuto dalle autorità italiane, ai sensi del decreto n. 1227/69, l’assegnazione di fondi a titolo di compensazione degli oneri finanziari derivanti dagli obblighi tariffari imposti ai concessionari tra il 1972 e il 1974.

27      La ricorrente ha inoltre beneficiato delle disposizioni della legge del 13 dicembre 1986, n. 877, recante interventi urgenti per gli autoservizi pubblici di linea di competenza statale (GURI n. 295, del 20 dicembre 1986), che disponeva l’erogazione di un contributo in base alle percorrenze effettuate tra il 1° aprile del 1972 e il 1986 alle imprese che esercitavano autoservizi di linea nazionali di competenza statale ed autoservizi internazionali aventi carattere frontaliero.

28      In seguito, la ricorrente non ha più ricevuto alcun versamento a titolo di compensazione.

29      Peraltro, l’articolo 4, paragrafo 4, lettera b), della legge del 15 marzo 1997, n. 59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa (supplemento ordinario n. 56 alla GURI n. 63, del 17 marzo 1997), come modificata dal decreto legislativo del 19 novembre 1997, n. 422, recante conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (GURI n. 287, del 10 dicembre 1997), così dispone:

«prevedere che le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolino l’esercizio dei servizi con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati, sia in concessione che nei modi di cui agli articoli 22 e 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, mediante contratti di servizio pubblico, che rispettino gli articoli 2 e 3 del regolamento (CEE) n. 1191/69 ed il regolamento (CEE) n. 1893/91, che abbiano caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio e che garantiscano entro il 1° gennaio 2000 il conseguimento di un rapporto di almeno 0,35 tra ricavi da traffico e costi operativi, al netto dei costi di infrastruttura previa applicazione della direttiva 91/440/CEE (...) ai trasporti ferroviari di interesse regionale e locale; definire le modalità per incentivare il superamento degli assetti monopolistici nella gestione dei servizi di trasporto urbano e extraurbano e per introdurre regole di concorrenzialità nel periodico affidamento dei servizi; definire le modalità di subentro delle regioni entro il 1° gennaio 2000 con propri autonomi contratti di servizio regionale al contratto di servizio pubblico tra Stato e Ferrovie dello Stato Spa [per servizi di interesse locale e regionale]».

 Ricorsi presentati dalla ricorrente dinanzi ai giudici nazionali

30      Il 22 ottobre 1999, la ricorrente ha presentato al MIT domanda di versamento di una compensazione a fronte degli obblighi di servizio pubblico che essa aveva assunto nell’ambito dell’esercizio di collegamenti interregionali per il periodo compreso tra il 1987 e il 1999. Poiché il MIT ha rifiutato di versare la suddetta compensazione, motivando che la domanda della ricorrente non soddisfaceva le condizioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1191/69 per la concessione di tale compensazione, la ricorrente ha contestato la decisione del MIT presentando un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica italiana. Detto ricorso è stato respinto, mediante decreto del Presidente della Repubblica, il 10 ottobre 2002.

31      Nel 2004, la ricorrente ha adito il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (in prosieguo: il «TAR Lazio») per ottenere il riconoscimento del proprio diritto a percepire la somma di EUR 66 891 982 a fronte degli oneri da essa assunti nell’adempimento degli obblighi di servizio pubblico a partire dal 1987, a titolo di compensazione annua ai sensi del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, a titolo di risarcimento danni, oppure mediante azione di indebito arricchimento in forza dell’articolo 2041 del codice civile italiano. Con sentenza del 12 gennaio 2009 (n. 112/2009; in prosieguo: la «sentenza del TAR Lazio»), il TAR Lazio ha dichiarato irricevibili le domande della ricorrente fondate sul regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, e sull’articolo 2041 del codice civile italiano. A tale riguardo, il TAR Lazio ha dichiarato, in particolare, in applicazione del principio processuale italiano secondo il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, che il decreto presidenziale del 10 ottobre 2002 aveva già statuito implicitamente sulla domanda basata sul regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91. Peraltro, il TAR Lazio ha respinto la domanda di risarcimento danni della ricorrente in quanto infondata.

32      Il 9 marzo 2009, la ricorrente ha impugnato la sentenza del TAR Lazio, di cui al precedente punto 31, dinanzi al Consiglio di Stato.

33      Con sentenza del 3 marzo 2010 (n. 1405/2010; in prosieguo: la «sentenza del Consiglio di Stato»), il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del TAR Lazio, dichiarando che la ricorrente ha diritto, nella sua qualità di operatore di servizio pubblico, al versamento di compensazioni economiche in ragione dei costi sostenuti per la prestazione di detto servizio, ai sensi degli articoli 6, 10 e 11 del regolamento n. 1191/69. Il Consiglio di Stato ha precisato che l’ammontare di tali versamenti dovrebbe essere determinato, a norma dell’articolo 35 del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 80, recante nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (supplemento ordinario alla GURI n. 82, dell’8 aprile 1998), dalle autorità pubbliche sulla base di dati attendibili ricavabili dalla contabilità della ricorrente, dai quali emerga la differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività della ricorrente interessata dall’obbligo di servizio pubblico e gli introiti generati da tale attività.

34      Il Consiglio di Stato ha invece sospeso il procedimento sulla domanda di risarcimento danni, ritenendo che solo all’esito del calcolo, da parte delle autorità pubbliche italiane, delle somme spettanti a titolo di compensazione sarà possibile stabilire eventuali perdite residue, non coperte da detto calcolo, che dovranno quindi essere rivendicate e dimostrate dalla ricorrente. Inoltre, il Consiglio di Stato, avendo accolto l’istanza della ricorrente volta a ottenere il riconoscimento del proprio diritto a percepire una compensazione, ha ritenuto di non doversi pronunciare sulla richiesta di indebito arricchimento basata sull’articolo 2041 del codice civile italiano.

35      Il 1° aprile 2011 il Consiglio di Stato ha emesso, su richiesta della ricorrente, un’ordinanza volta a costringere il MIT a procedere al calcolo delle compensazioni dovute in applicazione della sua sentenza, di cui al precedente punto 33.

36      Il 17 gennaio 2012, tenuto conto delle difficoltà riscontrate dal MIT nel calcolo delle compensazioni dovute e su richiesta della ricorrente, il Consiglio di Stato ha emesso una nuova ordinanza con la quale ha nominato un collegio formato da tre esperti indipendenti, incaricati di calcolare l’ammontare delle compensazioni spettanti alla ricorrente, in applicazione della sua sentenza, di cui al precedente punto 33.

37      Poiché tale collegio di consulenza non è giunto ad una conclusione unanime, esso ha presentato, il 20 agosto 2012, una relazione di maggioranza, sottoscritta da due esperti, che concludeva che le compensazioni dovute alla ricorrente ammontavano a EUR 22 049 796 e, il 29 agosto 2012, una relazione di minoranza, sottoscritta dal terzo membro, nonché presidente, del collegio di consulenza, che concludeva che i dati disponibili non erano sufficienti a determinare la compensazione da riconoscere alla ricorrente e che quindi non si poteva concedere a quest’ultima alcuna compensazione.

 Procedimento amministrativo

38      In seguito all’ordinanza del Consiglio di Stato del 1° aprile 2011, le autorità italiane hanno notificato alla Commissione europea, il 18 maggio 2011, di avere concesso, in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato di cui al precedente punto 33, una compensazione a favore della ricorrente per servizi interregionali di trasporto di passeggeri tramite autobus forniti tra il 1987 ed il 2003 nell’ambito di un obbligo di servizio pubblico.

39      Il 12 luglio ed il 5 ottobre 2011, il 20 febbraio, il 2 e il 28 marzo e il 17 aprile 2012, le autorità italiane hanno presentato ulteriori informazioni in merito alla misura notificata.

40      Con lettera del 31 maggio 2012, la Commissione ha notificato alle autorità italiane la propria decisione di avviare il procedimento di indagine formale previsto all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, ed ha invitato gli interessati a presentare le rispettive osservazioni.

41      Le autorità italiane hanno presentato le loro osservazioni in merito all’avvio del procedimento di indagine formale il 1° giugno, il 24 settembre e l’11 ottobre 2012.

42      La ricorrente, in veste di terzo interessato, ha presentato le proprie osservazioni in merito alla decisione di avvio del procedimento di indagine formale il 4 agosto, il 31 ottobre ed il 13 dicembre 2012.

43      Le autorità italiane hanno presentato commenti sulle osservazioni della ricorrente il 28 novembre, il 4 ed il 19 dicembre 2012 ed il 10 gennaio 2013.

 Decisione impugnata

44      Il 2 ottobre 2013, la Commissione ha adottato la decisione 2014/201/UE, relativa alla compensazione in favore di Simet per l’esercizio di servizi di trasporto pubblico dal 1987 al 2003 [Aiuto di Stato SA.33037 (2012/C) Italia] (GU 2014, L 114, pag. 67; in prosieguo: la «decisione impugnata»), dichiarando che la misura notificata dalle autorità italiane costituiva un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, incompatibile con il mercato interno.

45      Nella decisione impugnata, la Commissione ha anzitutto constatato che la misura notificata era imputabile allo Stato, comportava l’utilizzo di risorse statali, procurava un vantaggio economico alla ricorrente, aveva carattere selettivo e poteva falsare la concorrenza tanto da incidere sugli scambi fra gli Stati membri. In tale contesto, la Commissione ha osservato che la misura notificata non rispondeva al secondo criterio stabilito dalla Corte nella sentenza del 24 luglio 2003, Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg (C‑280/00, Racc.; in prosieguo: la «sentenza Altmark», EU:C:2003:415), secondo cui i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente. La Commissione ne ha tratto la conclusione che la misura notificata costituiva un aiuto ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

46      Inoltre, la Commissione ha valutato se la misura notificata potesse essere considerata, alla luce dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69, una compensazione dispensata dall’obbligo di notifica preventiva di cui all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

47      A tal fine, da una parte, la Commissione ha verificato se le autorità italiane avessero imposto unilateralmente alla ricorrente un obbligo di servizio pubblico, ai sensi dell’articolo 1 del regolamento n. 1191/69. A tale riguardo, in primo luogo, la Commissione ha considerato che l’iniziativa presa dalla ricorrente di chiedere il rinnovo dei disciplinari di concessione per tutti i sedici anni che costituivano il periodo in esame era incompatibile con un’imposizione unilaterale dell’obbligo di servizio pubblico. In secondo luogo, essa ha affermato che l’indicazione, nei disciplinari, di tariffe, percorsi, frequenza delle corse e orari di servizio da rispettare non significava necessariamente che, come conseguenza delle concessioni, alla ricorrente venissero imposti obblighi unilaterali di servizio pubblico. In terzo luogo, la Commissione ha osservato che la ricorrente non aveva fornito alcuna prova dell’effettiva erogazione dei servizi di trasporto di effetti postali né dei costi netti da essi derivanti. In quarto luogo, per quanto riguarda le tariffe che la ricorrente ha potuto praticare per i servizi di trasporto di passeggeri forniti, la Commissione ritiene che la loro approvazione da parte del MIT e il riferimento a tariffe regolamentate non significavano, di per sé, che queste tariffe non fossero state inizialmente fissate dagli operatori. In ogni caso, tali tariffe regolamentate non costituirebbero un obbligo tariffario ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento n. 1191/69, poiché questa disposizione non si applica agli obblighi derivanti da misure generali di politica dei prezzi applicabili al complesso delle attività economiche o da misure adottate in materia di prezzi e di condizioni generali di trasporto per l’organizzazione del mercato dei trasporti o di una parte di questo. In quinto luogo, per quanto riguarda i dinieghi del MIT alle istanze della ricorrente di avviare nuovi servizi o di ampliare quelli esistenti, la Commissione ha puntualizzato che tali rifiuti erano il risultato del modo in cui la legge n. 1822/1939 disciplinava il funzionamento dei servizi di linea di trasporto passeggeri, ossia consentendo l’avvio o l’ampliamento di nuovi servizi soltanto a patto che le nuove concessioni non avessero effetti sui diritti di altri operatori. Peraltro, la Commissione osserva che, in generale, la ricorrente non ha dimostrato di aver formulato domande di modifica delle caratteristiche indicate nei disciplinari né il rigetto di tali domande da parte del MIT.

48      D’altra parte, la Commissione ha verificato se la compensazione concessa alla ricorrente fosse conforme al metodo comune di compensazione previsto dal regolamento n. 1191/69.

49      In primo luogo, la Commissione ha rilevato che, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1191/69, per quanto riguarda l’obbligo di esercizio o di trasporto, l’ammontare della compensazione doveva essere pari alla differenza tra la diminuzione degli oneri e la diminuzione degli introiti dell’impresa che può risultare, per il periodo di tempo considerato, dalla soppressione totale o parziale della parte corrispondente dell’obbligo in questione. Ebbene, conformemente alla giurisprudenza, i requisiti stabiliti dalla suddetta disposizione non sarebbero soddisfatti quando non è possibile accertare, basandosi su dati certi della contabilità della società, la differenza tra i costi imputabili alla parte della sua attività nell’area soggetta a una concessione e le entrate corrispondenti e, di conseguenza, quando non è possibile calcolare il costo aggiuntivo derivante dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico. La Commissione ha inoltre osservato che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, del regolamento n. 1191/69, nella sua versione applicabile a decorrere dal 1° luglio 1992, le imprese di trasporto che esercitavano non soltanto servizi soggetti agli obblighi di servizio pubblico ma anche altre attività erano tenute ad assicurare detti servizi, innanzitutto separando i conti corrispondenti a ciascuna attività di esercizio e ripartendo le relative quote di patrimonio in base alle norme contabili vigenti e, inoltre, compensando le spese con le entrate di esercizio e i versamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, senza possibilità di trasferimento da o verso altri settori di attività dell’impresa. Ebbene, dato che la ricorrente non aveva adottato un’efficace separazione dei conti per i servizi da essa prestati fino al 2002, e tenuto conto dei dubbi riguardanti la validità della separazione dei conti svolta nella contabilità analitica per gli esercizi 2002 e 2003, in mancanza di prove del fatto che gli organi di governo societario della ricorrente avessero utilizzato tale contabilità per controllare le attività della ricorrente, la Commissione ha ritenuto che l’articolo 10 del regolamento n. 1191/69 non sia stato rispettato.

50      In secondo luogo, la Commissione ha ritenuto che la ricorrente non abbia dimostrato l’osservanza dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69, in virtù del quale gli svantaggi economici dovevano essere determinati tenendo conto delle ripercussioni dell’obbligo sul complesso dell’attività dell’impresa, né dell’articolo 13 del medesimo regolamento, che dispone di fissare preventivamente l’importo della compensazione.

51      In terzo e ultimo luogo, la Commissione ha ritenuto che il metodo comune di compensazione aveva trovato applicazione alle attività di trasporto interregionale della ricorrente soltanto fino all’entrata in vigore del regolamento n. 1893/91, il 1° luglio 1992, e che esso non poteva dunque applicarsi a una compensazione per il periodo compreso tra il 1987 e il 2003.

52      Pertanto, la Commissione ha constatato che la misura notificata non poteva essere considerata conforme al metodo comune di compensazione previsto dal regolamento n. 1191/69.

53      La Commissione ha concluso che la misura notificata non era dispensata dall’obbligo di notifica preventiva ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69.

54      Infine, la Commissione ha esaminato la compatibilità della misura notificata con la normativa in vigore al momento dell’adozione della decisione impugnata, ossia il regolamento n. 1370/2007. Dopo aver rilevato che la misura notificata non osservava determinati obblighi previsti dall’articolo 4 di tale regolamento, relativi al contenuto dei contratti di servizio pubblico, dall’articolo 6, paragrafo 1, nonché dall’allegato del medesimo regolamento, relativi alla separazione della compensazione dalla contabilità del beneficiario e alle modalità da seguire per determinare l’ammontare massimo della compensazione, la Commissione ha concluso che la compensazione decisa dal Consiglio di Stato non sarebbe erogata in conformità al regolamento n. 1370/2007 e, pertanto, che la misura notificata era incompatibile con il mercato interno. Peraltro, la Commissione ha respinto l’argomentazione della ricorrente secondo cui il Consiglio di Stato non avrebbe condannato il MIT a versarle una compensazione per obblighi di servizio pubblico a norma del regolamento n. 1191/69, ma l’avrebbe condannato al risarcimento danni a causa dell’imposizione illecita di obblighi di servizio pubblico ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 3 e 5, di tale regolamento. A tale riguardo, la Commissione ha osservato che dalla sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, emergeva che quest’ultimo aveva riconosciuto il diritto della ricorrente a percepire una compensazione in base agli articoli 6, 10 e 11 del regolamento n. 1191/69 e aveva respinto il ricorso per risarcimento presentato dalla ricorrente. La Commissione ha aggiunto che, in ogni caso, la concessione di un risarcimento in favore della ricorrente per una presunta imposizione unilaterale e illecita di obblighi di servizio pubblico, calcolato secondo il metodo comune di compensazione di cui al regolamento n. 1191/69, violerebbe gli articoli 107 TFUE e 108 TFUE, poiché produrrebbe per la ricorrente lo stesso risultato di una compensazione per obblighi di servizio pubblico per il periodo in esame, nonostante il fatto che i disciplinari di concessione che regolamentano i servizi in questione non rispettassero i requisiti sostanziali del regolamento n. 1191/69, né quelli del regolamento n. 1370/2007.

55      Il dispositivo della decisione impugnata è così formulato:

«Articolo 1

I pagamenti di compensazione a favore di Simet notificati dalle autorità italiane costituiscono un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Tale misura non era dispensata dall’obbligo di notifica preventiva in base all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 1191/69.

Tale aiuto di Stato è incompatibile con il mercato interno, in quanto non sono state rispettate le condizioni del regolamento (CE) n. 1370/2007. Pertanto le autorità italiane non possono dare esecuzione a detto aiuto.

Articolo 2

La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione».

 Procedimento e conclusioni delle parti

56      La ricorrente ha proposto il presente ricorso il 6 gennaio 2014.

57      La Commissione ha depositato il proprio controricorso il 24 marzo 2014.

58      La ricorrente ha depositato la replica il 12 maggio 2014. La Commissione ha depositato la controreplica il 28 agosto 2014.

59      Il 4 giugno 2015, il Tribunale ha rivolto alla ricorrente un quesito, cui rispondere per iscritto, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64, paragrafo 3, lettere a) e b), del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991. La ricorrente ha risposto a tale quesito il 12 giugno 2015.

60      Le parti hanno svolto le loro difese orali ed hanno risposto ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza del 14 luglio 2015.

61      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

62      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sulla ricevibilità

63      La Commissione sostiene che, dal momento che la ricorrente ha indicato nella replica di aver rinunciato al proprio ricorso per l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, sarebbe venuto meno il suo interesse ad agire nella presente causa, avendo la decisione impugnata ad oggetto proprio la notifica della compensazione cui la ricorrente avrebbe diritto in esecuzione di tale sentenza, secondo la relazione di maggioranza effettuata nell’ambito del ricorso per l’esecuzione.

64      A tale riguardo, occorre ricordare che l’interesse ad agire costituisce presupposto per la ricevibilità di un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica. Un tale interesse presuppone che l’annullamento dell’atto impugnato possa produrre di per sé conseguenze giuridiche e che il ricorso possa quindi, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto (v. sentenza del 18 marzo 2010, Centre de Coordination Carrefour/Commissione, T‑94/08, Racc., EU:T:2010:98, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). L’interesse ad agire deve quindi essere esistente ed effettivo al giorno in cui il ricorso è proposto.

65      L’interesse ad agire deve, inoltre, permanere fino alla pronuncia della sentenza, pena il non luogo a statuire (v. sentenza Centre de Coordination Carrefour/Commissione, punto 64 supra, EU:T:2010:98, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

66      Occorre inoltre ricordare che, qualora l’interesse sul quale si fonda l’azione della ricorrente riguardi una situazione giuridica futura, essa dovrà dimostrare che il pregiudizio a danno di questa situazione è comunque già certo (ordinanza del 27 marzo 2012, European Goldfields/Commissione, T‑261/11, EU:T:2012:157, punto 29).

67      Nel caso di specie, risulta sia dalla decisione impugnata che dalle memorie della ricorrente che le autorità italiane hanno per due volte rifiutato di eseguire la sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, che le condannava a versare una compensazione alla ricorrente, il che ha portato il Consiglio di Stato ad adottare, su richiesta della ricorrente, una prima ordinanza di esecuzione il 1° aprile 2011 ed una seconda ordinanza di esecuzione il 17 gennaio 2012.

68      Nella replica, la ricorrente ha indicato di aver rinunciato al proprio ricorso per l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, e di riservarsi il diritto di proporre un nuovo ricorso.

69      In risposta ad un quesito scritto posto dal Tribunale ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 3, lettere a) e b), del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, la ricorrente ha precisato di aver rinunciato all’atto con il quale intendeva ottenere l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, ma di non aver rinunciato alla propria azione per l’esecuzione di detta sentenza e che, pertanto, essa conservava la facoltà di presentare un nuovo ricorso per l’esecuzione della stessa sino alla scadenza del termine di prescrizione, ossia il 9 marzo 2020. Secondo la ricorrente, essa manteneva quindi un interesse alla soluzione della controversia nella presente causa, in vista della possibile presentazione di un nuovo ricorso per l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33.

70      Ne consegue che non è certa la prosecuzione, da parte della ricorrente, della sua azione per l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33.

71      Tuttavia, nel caso di specie, tale circostanza non è di per sè idonea a privare la ricorrente del suo interesse ad agire.

72      Infatti, nell’ipotesi in cui il Tribunale dovesse annullare la decisione impugnata, le autorità italiane continuerebbero, in ogni caso, ad essere tenute a dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato di cui al precedente punto 33, e ciò indipendentemente dalla rinuncia, da parte della ricorrente, al proprio ricorso per l’esecuzione di detta sentenza.

73      Inoltre, occorre rilevare che, secondo la formulazione stessa della decisione impugnata, «[l]e autorità italiane hanno deciso di attendere la valutazione da parte della Commissione delle misure notificate prima di dare esecuzione [alla sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, ed alla sua ordinanza del 1° aprile 2011] e pagare [alla ricorrente] la compensazione».

74      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve necessariamente rilevare che la ricorrente mantiene un interesse alla soluzione della controversia.

 Nel merito

75      A sostegno del suo ricorso la ricorrente deduce, in sostanza, cinque motivi. Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, e del regolamento n. 1191/69, in quanto la Commissione sarebbe incorsa in un errore di fatto, in manifesti errori di valutazione ed istruito il procedimento in modo insufficiente. Il secondo motivo riguarda una violazione dei principi in materia di risarcibilità del danno subito dai soggetti dell’ordinamento in caso di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro. Il terzo motivo verte sulla violazione dell’obbligo di motivazione. Il quarto motivo ha ad oggetto la violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto la Commissione sarebbe incorsa in errori manifesti di valutazione circa il rispetto del metodo comune di compensazione di cui al regolamento n. 1191/69 da parte della misura notificata. Il quinto motivo verte sul fatto che la Commissione, avendo tenuto conto nella decisione impugnata delle relazioni del collegio di consulenza sulle quali il Consiglio di Stato non si era ancora pronunciato, avrebbe interferito con l’attività giurisdizionale del giudice nazionale.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, e del regolamento n. 1191/69

76      Il primo motivo si divide, sostanzialmente, in due parti. La prima parte verte su un errore di fatto, in quanto la Commissione avrebbe erroneamente considerato che il Consiglio di Stato aveva condannato il MIT a versare una compensazione alla ricorrente a norma del regolamento n. 1191/69. La seconda parte verte su un errore manifesto di valutazione, o su una carenza di istruttoria, in quanto la Commissione non avrebbe tenuto conto del fatto che la normativa nazionale in base alla quale sarebbero stati imposti alla ricorrente gli obblighi di servizio pubblico era contraria al regolamento n. 1191/69.

–       Sulla prima parte del primo motivo, vertente su un errore di fatto

77      La ricorrente sostiene, come aveva fatto nell’ambito del procedimento amministrativo, che il Consiglio di Stato non ha condannato il MIT a versarle una compensazione a norma del regolamento n. 1191/69, ma che esso l’ha condannato a risarcirla per il pregiudizio ad essa arrecato dall’imposizione unilaterale di obblighi di servizio pubblico in violazione di detto regolamento per il periodo compreso tra il 1987 ed il 2003. Secondo la ricorrente, è esclusivamente ai fini della determinazione dei criteri idonei a quantificare il danno che il Consiglio di Stato, in conformità a quanto espressamente previsto all’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998, ha operato il rinvio al regolamento n. 1191/69, in vigore all’epoca dei fatti di causa. Infatti, secondo la ricorrente, il Consiglio di Stato non ha risolto la controversia mediante l’applicazione del regolamento n. 1191/69 bensì, tenuto conto dei motivi dedotti dalla ricorrente, ha solo fatto rinvio ai criteri previsti da detto regolamento per la quantificazione del ristoro effettivo dei costi sostenuti per l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, in applicazione del diritto interno. In altri termini, il Consiglio di Stato avrebbe riconosciuto il diritto al risarcimento della sola perdita subita in applicazione della sua giurisprudenza in materia.

78      La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto della prima parte del primo motivo.

79      A tale riguardo, occorre rilevare che la tesi della ricorrente consiste nel ritenere che la misura notificata non costituisse una compensazione a fronte dell’imposizione di obblighi di servizio pubblico, ai sensi della sentenza Altmark, di cui al precedente punto 45 (EU:C:2003:415), o del regolamento n. 1191/69, bensì il risarcimento da parte del giudice nazionale del danno arrecato dall’imposizione di obblighi di servizio pubblico in violazione del diritto dell’Unione applicabile.

80      Ebbene, si deve necessariamente rilevare che tale tesi è contraddetta dalla lettura della sentenza del TAR Lazio, di cui al precedente punto 31, nonché da quella della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33.

81      Infatti, dalla sentenza del TAR Lazio, di cui al precedente punto 31, risulta che nel 2004 la ricorrente ha adito tale giudice per ottenere il riconoscimento del proprio diritto a percepire la somma di EUR 66 891 982 a fronte degli oneri da essa assunti nell’adempimento degli obblighi di servizio pubblico a partire dal 1987, a titolo di compensazione annua ai sensi del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, a titolo di risarcimento danni, oppure mediante azione di indebito arricchimento in forza dell’articolo 2041 del codice civile italiano (v. punto 31 supra).

82      Occorre successivamente ritornare, al pari della Commissione, sul contenuto della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33.

83      Il Consiglio di Stato descrive, al punto 2 della propria sentenza, di cui al precedente punto 33, il quadro normativo rilevante, ricordando che la legge n. 1822/1939 disciplinava l’affidamento ai privati delle autolinee di competenza statale sulla base di concessioni, qualora ciò non fosse in concorrenza con concessioni già assentite, e permetteva al MIT di accordare sussidi chilometrici per l’impianto e l’esercizio.

84      Successivamente, il medesimo giudice sottolinea che con il regolamento n. 1893/91 «è stata operata una netta distinzione fra “servizi di trasporto connotati di specifico interesse pubblico” (individuati in “servizi regionali e locali”) e quelli, invece, per i quali la soppressione degli obblighi di servizio era operata in via definitiva, fatta salva la possibilità per la [pubblica amministrazione] di stipulare contratti di servizio pubblico per assicurare la fornitura di servizi di trasporto sufficienti e fatte sal[v]e le garanzie per le categorie sociali particolari».

85      Inoltre, il Consiglio di Stato rileva che «[s]ulla natura delle compensazioni operate dagli Stati membri in materia di servizi di trasporto, al fine di non ricomprenderle nella categoria degli aiuti di Stato, si è pronunciata la Corte di giustizia [con la sentenza Altmark]».

86      Il Consiglio di Stato ne trae la conclusione che «l’imprenditore che esercita, per obblighi di servizio pubblico, prestazioni di servizi di trasporto pubblico (...) ha diritto ad essere compensato per gli oneri che sopporta».

87      Il Consiglio di Stato rileva inoltre che, di conseguenza, «[a]lla luce della disciplina descritta va verificata, nella fattispecie, la spettanza o meno delle previste compensazioni alla [ricorrente]».

88      Come giustamente sottolineato dalla Commissione, il ragionamento del Consiglio di Stato precedentemente esposto dimostra che quest’ultimo ha valutato la fondatezza dell’istanza della ricorrente volta ad ottenere una compensazione per l’adempimento di taluni obblighi di servizio pubblico.

89      Peraltro, dopo aver spiegato che la «domanda svolta in sede giurisdizionale dalla società al fine di ottenere il riconoscimento al diritto alle compensazioni» era ricevibile, contrariamente a quanto dichiarato dal TAR Lazio, il Consiglio di Stato rileva che «il Regolamento CEE n. 1191/69 del Consiglio adottato il 26 giugno 1969 nel testo risultante dalle modificazioni introdotte con il Regolamento CEE n. 1893/91», prevedeva esplicitamente, all’articolo 1, paragrafo 5, la possibilità di mantenere o imporre obblighi di servizio per i servizi urbani, extraurbani e regionali. Esso aggiunge che, in tal caso, gli oneri che derivano dalla decisione di mantenere o imporre obblighi unilaterali di servizio devono essere compensati dagli Stati membri, secondo i metodi stabiliti dagli articoli 10, 11 e 12 del regolamento n. 1191/69, a prescindere dalla domanda di cui all’articolo 4 di detto regolamento. Il Consiglio di Stato precisa che «il legislatore italiano non solo non si è avvalso di tale facoltà, ma con l’articolo 4, comma 4, della legge n. 59/97 e con le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 422/97 ha stabilito che i contratti di servizio pubblico [dovevano] essere stipulati con l’obbligo della compensazione degli obblighi di servizio pubblico».

90      Dopo avere ricordato la diretta applicabilità del regolamento n. 1191/69, il Consiglio di Stato prosegue affermando che «[d]a ciò consegu[iva] che (...) non può essere negata all’esercente il servizio pubblico la pretesa al ristoro dei costi effettivamente sostenuti in ragione dell’espletamento del servizio pubblico».

91      Il Consiglio di Stato conclude quanto segue:

«L’appello (...) va accolto nei sensi di cui in motivazione, con conseguente accertamento del diritto della Società appellante a percepire gli importi a titolo di compensazione ai sensi degli articoli 6, 10 e 11 del Regolamento CEE [n.] 1191/69, il cui ammontare, ai sensi dell’art. 35 del [decreto legislativo] n. 80 del 1998, dovrà essere determinato dall’Amministrazione (...) sulla base dei dati certi, ricavabili dalla contabilità dell’interessata, dai quali emerga la differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività dell’impresa interessata dall’obbligo di servizio pubblico e gli introiti corrispondenti. Ogni pretesa risarcitoria dedotta dall’appellante non può, allo stato, trovare accoglimento, in quanto solo all’esito della suddetta determinazione da parte dell’amministrazione, potrà eventualmente emergere un danno residuo non coperto da tale determinazione, che dovrà essere dedotto e dimostrato dalla società interessata. L’accoglimento della richiesta principale esonera il Collegio dall’affrontare l’azione, avanzata in via subordinata dall’appellante, di indebito arricchimento».

92      Di conseguenza, il Consiglio di Stato «condanna il Ministero (...) al pagamento degli importi di cui in motivazione da determinare, a norma dell’art. 35 del [decreto legislativo] n. [80] del 1998, nel termine e con le modalità ivi indicate».

93      Pertanto, dalla sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, emerge altresì che quest’ultimo ha, da un lato, riconosciuto il diritto della ricorrente di beneficiare, per gli obblighi di servizio pubblico che le erano stati imposti, della compensazione ai sensi degli articoli 6, 10 e 11 del regolamento n. 1191/69 e, dall’altro, ha condannato il MIT a pagare alla ricorrente, a titolo di compensazione, un importo da determinarsi da parte dell’amministrazione a norma dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998.

94      L’articolo 35, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 80/1998 prevede che il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, si pronuncia sulle domande di risarcimento danni. Il paragrafo 2 della medesima disposizione prevede che il giudice amministrativo può, nell’ambito di tale competenza, stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica deve proporre a favore del ricorrente il pagamento di una somma entro un congruo termine.

95      Tuttavia, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il solo riferimento all’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998 non consente di concludere che la misura notificata fosse necessariamente volta al risarcimento del danno derivante dalla violazione del regolamento n. 1191/69 da parte della normativa nazionale, ai sensi della sentenza del 22 gennaio 1976, Russo (60/75, Racc., EU:C:1976:9, punto 9).

96      Occorre infatti rilevare che dal testo della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, emerge che quest’ultimo non ha constatato l’illegittimità della normativa nazionale rispetto al regolamento n. 1191/69, ma ha semplicemente escluso l’applicabilità di tale normativa ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un diritto alla compensazione fondato su detto regolamento.

97      Occorre inoltre rilevare che il pagamento al quale è condannato il MIT deve essere effettuato a titolo di compensazione e che quest’ultima deve corrispondere, secondo la formulazione stessa della sentenza, agli oneri imputabili agli obblighi di servizio pubblico imposti alla ricorrente.

98      Occorre ancora rilevare che il Consiglio di Stato ha esplicitamente sospeso il procedimento sulla domanda di risarcimento danni proposta dalla ricorrente.

99      Alla luce di tali circostanze, occorre rilevare che la misura notificata non aveva ad oggetto il risarcimento di un danno derivante dalla violazione del regolamento n. 1191/69, bensì la compensazione degli oneri derivanti dall’imposizione di obblighi di servizio pubblico in applicazione delle disposizioni di detto regolamento.

100    Il Consiglio di Stato ha del resto confermato tale lettura della propria sentenza, di cui al precedente punto 33, nell’ordinanza del 1° aprile 2011, nella quale dichiarava quanto segue:

«La decisione n. 1405 del 2010, alle cui motivazioni il Collegio si richiama, ha riconosciuto il diritto della società Simet a percepire gli importi a titolo di compensazione ai sensi degli [articoli] 6, 10 e 11 del [regolamento] CEE n. 1191/69 e ha stabilito che il relativo ammontare, ai sensi dell’[articolo] 35 del [decreto legislativo] n. 80 del 1998, dovrà essere determinato dall’Amministrazione, nel termine di 90 giorni, sulla base dei dati certi, ricavabili dalla contabilità dell’interessata, dai quali emerga la differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività dell’impresa interessata dall’obbligo di servizio pubblico e gli introiti corrispondenti».

101    Ne consegue che la tesi della ricorrente, secondo la quale la Commissione sarebbe incorsa in un errore di fatto nel ritenere che il Consiglio di Stato avesse condannato il MIT a versarle una compensazione a norma del regolamento n. 1191/69, è priva di fondamento.

102    Del resto, occorre rilevare che, nell’ipotesi in cui la misura notificata debba essere interpretata, come sostiene la ricorrente, non come una compensazione per l’imposizione di obblighi di servizio pubblico ai sensi del regolamento n. 1191/69, bensì come un risarcimento del danno arrecato dall’imposizione di obblighi di servizio pubblico in violazione di tale regolamento, la ricorrente non può, al contempo, sostenere che tale risarcimento poteva sottrarsi alla qualificazione di aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, per il solo fatto che esso era volto a compensare l’imposizione di obblighi di servizio pubblico ai sensi del medesimo regolamento.

103    Diversamente, come correttamente rilevato dalla Commissione nei punti da 131 a 133 della decisione impugnata, in un caso del genere, il fatto di ritenere che il pagamento dovuto a titolo di compensazione non fosse una compensazione, bensì un risarcimento, consentirebbe di eludere l’applicazione degli articoli 107 TFUE e 108 TFUE.

104    Ebbene, si deve necessariamente rilevare che, nel caso di specie, la ricorrente non adduce alcun argomento che possa rimettere in discussione la constatazione secondo la quale la misura notificata integra gli elementi costitutivi di un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, cosicché la tesi della ricorrente secondo cui la misura notificata non costituisce una compensazione ai sensi del regolamento n. 1191/69, bensì un risarcimento del danno arrecato dalla violazione di quest’ultimo, sarebbe, in ogni caso, inconferente.

105    La prima parte del primo motivo deve pertanto essere respinta.

–       Sulla seconda parte del primo motivo, vertente su un manifesto errore di valutazione, o su una carenza di istruttoria, per quanto riguarda la conformità al diritto dell’Unione della normativa nazionale applicabile

106    La ricorrente formula, in sostanza, due censure nei confronti della Commissione.

107    In primo luogo, la ricorrente contesta alla Commissione il mancato esame d’ufficio della conformità della normativa nazionale al diritto dell’Unione. Secondo la ricorrente, se la Commissione avesse esaminato tale questione, essa avrebbe compreso, da un lato, che la normativa nazionale non era conforme al diritto dell’Unione e, dall’altro, che per tale ragione il Consiglio di Stato aveva escluso l’applicabilità della normativa nazionale e condannato il MIT a risarcirla.

108    In secondo luogo, la ricorrente contesta alla Commissione di aver affermato, nella decisione impugnata, che essa non era assoggettata, in applicazione della normativa nazionale, ad obblighi di servizio pubblico in violazione del regolamento n. 1191/69.

109    La Commissione eccepisce l’irricevibilità della seconda parte del primo motivo, a norma dell’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, per mancanza di connessione tra le censure formulate dalla ricorrente e il titolo del primo motivo, il che è contestato dalla ricorrente.

110    La Commissione contesta, inoltre, la ricevibilità dei documenti allegati dalla ricorrente alla replica, a sostegno della prima censura. Si tratta di atti legislativi italiani, ossia la legge n. 1822/1939, la legge n. 32/2005 e la legge n. 877/86, che la ricorrente avrebbe prodotto al fine di dimostrare che la normativa italiana era contraria al regolamento n. 1991/69. La Commissione sostiene che, da un lato, la produzione di tali documenti non è volta a replicare alle argomentazioni esposte nel controricorso e, dall’altro, che la ricorrente avrebbe potuto produrre detti documenti nel ricorso. In tali circostanze, la Commissione ritiene che, in mancanza di giustificazione del ritardo nella produzione di tali nuovi elementi di prova, questi ultimi dovrebbero essere dichiarati irricevibili.

111    La Commissione contesta, peraltro, la fondatezza delle censure della ricorrente.

112    A tale riguardo, occorre rilevare che la prima censura della ricorrente si fonda su tre argomenti chiaramente distinguibili. Il primo argomento verte sul fatto che la Commissione era tenuta ad esaminare d’ufficio la conformità al diritto dell’Unione della normativa nazionale. Esso è riconducibile ad una violazione del dovere di istruzione. Il secondo ed il terzo argomento vertono rispettivamente sul fatto che la normativa nazionale non era conforme al diritto dell’Unione e che per tale ragione il Consiglio di Stato ha escluso l’applicabilità della normativa nazionale e condannato il MIT a risarcirla. Essi sono riconducibili a presunti errori di valutazione da parte della Commissione.

113    La seconda censura, con la quale la ricorrente contesta alla Commissione di aver affermato che essa non era assoggettata, in applicazione della normativa nazionale, ad obblighi di servizio pubblico in violazione del regolamento n. 1191/69, è anch’essa agevolmente riconducibile ad un errore manifesto di valutazione.

114    Inoltre, si deve necessariamente rilevare che, nonostante la loro formulazione, la Commissione è giunta ad una sufficiente comprensione delle censure della ricorrente, alle quali ha potuto compiutamente replicare nel controricorso. Ne consegue che deve essere respinta l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione sulla base dell’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991.

115    Si deve pertanto valutare la fondatezza delle censure della ricorrente.

116    Per quanto riguarda la prima censura, occorre anzitutto respingere, in quanto infondate, le argomentazioni della ricorrente secondo cui la normativa nazionale sarebbe stata contraria al diritto dell’Unione e secondo cui il Consiglio di Stato avrebbe per tale motivo condannato il MIT a risarcire la ricorrente, poiché costituiscono una mera riproposizione della tesi respinta nell’ambito dell’esame della prima parte del primo motivo.

117    Peraltro, occorre parimenti respingere, in quanto infondato, l’argomento della ricorrente vertente sul fatto che la Commissione avrebbe dovuto esaminare d’ufficio la conformità al diritto dell’Unione della normativa nazionale. Infatti, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, non può essere addebitato alla Commissione di non aver tenuto conto di eventuali elementi di fatto o di diritto che potevano esserle presentati nel corso del procedimento amministrativo, ma che non lo sono stati, non avendo la Commissione l’obbligo di esaminare d’ufficio o in via presuntiva quali elementi avrebbero potuto esserle sottoposti (sentenze del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, Racc., EU:C:1998:154, punto 60, e del 3 febbraio 2011, Italia/Commissione, T‑3/09, Racc., EU:T:2011:27, punto 84).

118    Ebbene, si deve necessariamente rilevare che la ricorrente non contesta l’affermazione della Commissione secondo cui essa non aveva sollevato, nel corso del procedimento amministrativo, alla quale ha partecipato in qualità di terzo interessato, la questione della conformità della normativa nazionale al regolamento n. 1191/69. Si deve pertanto respingere, in quanto infondata, la prima censura della ricorrente, senza che sia neppure necessario pronunciarsi sulla ricevibilità degli allegati C1, C3 e C4 alla replica.

119    Per quanto riguarda la seconda censura, poiché essa, diversamente dalla prima, che è direttamente connessa alla prima parte del primo motivo, riguarda un errore manifesto di valutazione circa l’applicazione del regolamento n. 1191/69, il Tribunale ha ritenuto opportuno esaminarla insieme alle altre censure del quarto motivo, che verte proprio su siffatti errori di valutazione.

120    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere la seconda parte del primo motivo e, pertanto, il primo motivo nella sua interezza, ad eccezione della seconda censura della seconda parte, che verrà esaminata nell’ambito del quarto motivo.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dei principi in materia di risarcibilità del danno subito dai soggetti dell’ordinamento in caso di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro

121    La ricorrente sostiene che il Consiglio di Stato ha constatato che le concessioni ad essa rilasciate ogni anno erano lesive del suo diritto di ricevere una compensazione sulla base del regolamento n. 1191/69 e, dopo l’entrata in vigore del regolamento n. 1893/91, del suo diritto di esercitare attività d’impresa senza obblighi di servizio pubblico. Di conseguenza, il Consiglio di Stato avrebbe condannato il MIT al risarcimento del danno, in conformità ai principi che regolano la responsabilità dello Stato membro per i danni causati dall’adozione di atti amministrativi contrari al diritto dell’Unione, e avrebbe ordinato la determinazione dell’importo del risarcimento in modo equo, facendo riferimento ai criteri previsti dal regolamento n. 1191/69 per la determinazione della compensazione degli obblighi di servizio pubblico, fermo restando il loro adattamento alla situazione particolare della ricorrente. Inoltre, il Consiglio di Stato avrebbe espressamente dichiarato che, qualora fosse stato dimostrato un danno superiore a quello determinato sulla base dei criteri di detto regolamento, tale danno doveva essere risarcito a parte. In effetti, secondo la ricorrente, il danno può essere sia maggiore che minore rispetto alla compensazione spettante all’impresa a norma del regolamento n. 1191/69. Ne conseguirebbe che, qualificando la misura notificata come aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, la Commissione avrebbe violato i principi stabiliti dalla giurisprudenza in materia di risarcibilità del danno subito dai soggetti dell’ordinamento in caso di violazione del diritto dell’Unione.

122    A sostegno di tale tesi, la ricorrente sostiene che la mancata osservanza dei criteri indicati nella sentenza Altmark, di cui al precedente punto 45 (EU:C:2003:415), accertata dalla Commissione nella decisione impugnata, non è rilevante nel caso di specie, poiché tale sentenza si riferisce a casi in cui è possibile imporre obblighi di servizio pubblico, mentre la ricorrente non poteva essere soggetta a obblighi di tal genere successivamente al 1992. Quanto al periodo antecedente, la mancata osservanza di tali criteri confermerebbe l’illegittimità degli atti con cui il MIT ha rilasciato le concessioni annuali. Allo stesso modo, secondo la ricorrente, la mancata osservanza dell’obbligo di separazione dei conti sarebbe inconferente, dato che essa non era tenuta a separare i propri conti dopo il 1992 poiché, a decorrere da quell’anno, essa non poteva essere assoggettata a obblighi di servizio pubblico. In ogni caso, il regolamento n. 1191/69 imporrebbe esclusivamente l’obbligo di separare, nei conti dell’impresa, le risorse pubbliche da quelle private, al fine di evitare sovvenzioni incrociate e, dato che la ricorrente non aveva ricevuto alcuna compensazione, essa non era tenuta a separare i propri conti.

123    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto del ricorso.

124    A tale riguardo, si deve necessariamente rilevare che il presente motivo di ricorso si basa sulla premessa che il Consiglio di Stato avrebbe, nel caso di specie, condannato l’amministrazione a risarcire alla ricorrente il danno che le sarebbe stato arrecato dall’imposizione di obblighi di servizio pubblico in violazione del regolamento n. 1191/69. Ebbene, come è stato rilevato nell’ambito dell’esame della prima parte del primo motivo, dalla lettura della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, risulta che tale premessa è erronea, poiché il Consiglio di Stato non ha accertato l’illegittimità della normativa nazionale, ma ha riconosciuto il diritto della ricorrente ad avvalersi di una compensazione in base agli articoli 6, 10 e 11 del regolamento n. 1191/69, in ragione degli obblighi di servizio pubblico che le erano stati imposti, ed ha condannato il MIT a pagare, a titolo di compensazione, la differenza fra gli oneri e gli introiti collegati all’adempimento di detti obblighi.

125    Si deve pertanto respingere il secondo motivo del presente ricorso in quanto infondato, senza che sia neppure necessario esaminare la fondatezza delle argomentazioni della ricorrente relative all’applicazione asseritamente erronea della sentenza Altmark, di cui al precedente punto 45 (EU:C:2003:415), e dell’obbligo di separazione contabile previsto dal regolamento n. 1191/69.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

126    Nel terzo motivo di ricorso, la ricorrente sostiene nuovamente la tesi secondo la quale il Consiglio di Stato avrebbe condannato il MIT a risarcirla per l’imposizione di obblighi di servizio pubblico in violazione del regolamento n. 1191/69. Tuttavia, oltre a tali considerazioni, essa deduce diversi argomenti e censure che si riferiscono, alcune, ad una violazione dell’obbligo di motivazione o ad una carenza di istruttoria e, altre, ad errori manifesti di valutazione circa l’applicazione del regolamento n. 1191/69.

127    Per ragioni di chiarezza nell’esposizione del ricorso, le censure relative ad asseriti errori manifesti di valutazione nell’applicazione del regolamento n. 1191/69 saranno, al pari di quelle sollevate dalla ricorrente nella seconda parte del primo motivo, esaminate nell’ambito del quarto motivo.

128    Inoltre, dal momento che si è già data risposta, nell’ambito dell’esame della prima parte del primo motivo, alle argomentazioni della ricorrente circa l’asserito errore di fatto riguardo all’interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato, di cui al precedente punto 33, il Tribunale si limiterà, nell’ambito del presente motivo, ad esaminare le censure della ricorrente vertenti sulla violazione dell’obbligo di motivazione.

129    In via preliminare, va ricordato che la motivazione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e da permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. Pertanto, la necessità della motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi fatti valere e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone che esso riguarda direttamente e individualmente possono avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (sentenze Commissione/Sytraval e Brink’s France, punto 117 supra, EU:C:1998:154, punto 63; del 22 giugno 2004, Portogallo/Commissione, C‑42/01, Racc., EU:C:2004:379, punto 66, e del 15 aprile 2008, Nuova Agricast, C‑390/06, Racc., EU:C:2008:224, punto 79).

130    Peraltro, non occorre che il Tribunale esamini, per verificare il rispetto dell’obbligo di motivazione, la legittimità nel merito dei motivi dedotti dalla Commissione per giustificare la sua decisione. Ne consegue che, nell’ambito di un motivo vertente su un difetto o su un’insufficienza di motivazione, le censure e gli argomenti diretti a contestare la fondatezza della decisione impugnata sono ininfluenti e irrilevanti (sentenza del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, Racc., EU:T:2005:221, punti 58 e 59).

131    È alla luce di tali principi che occorre valutare se la Commissione abbia, nel caso di specie, rispettato il proprio obbligo di motivazione.

–       Sulla prima censura, vertente sul fatto che la Commissione non avrebbe spiegato le ragioni per le quali riteneva che i conti della ricorrente fossero inattendibili

132    La ricorrente contesta alla Commissione, in sostanza, di non aver spiegato, nella decisione impugnata, perché considerasse i suoi conti inattendibili, riprendendo in tal modo la tesi della relazione di minoranza del collegio di consulenza nominato dal Consiglio di Stato, senza rispondere alle argomentazioni contenute nella relazione di maggioranza di detto collegio. In tale contesto, la ricorrente addebita inoltre alla Commissione di non avere provveduto essa stessa all’esame dei suoi conti.

133    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto della prima parte del terzo motivo.

134    A tale riguardo, occorre anzitutto rilevare che l’addebito della ricorrente relativo al mancato esame della sua contabilità da parte della Commissione non è in relazione con una violazione dell’obbligo di motivazione, la cui portata è stata ricordata al precedente punto 129, ma si riferisce principalmente ad una carenza di istruttoria della causa.

135    Occorre inoltre rilevare che, come emerge dalla decisione impugnata e contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione non ha messo in discussione l’attendibilità della contabilità della ricorrente per tutto il periodo di cui trattasi.

136    Al punto 115 della decisione impugnata, la Commissione rammenta il principio enunciato dalla Corte nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 7 maggio 2009, Antrop e a. (C‑504/07, Racc., EU:C:2009:290), secondo il quale i requisiti stabiliti dall’articolo 10 del regolamento n. 1191/69 non sarebbero soddisfatti quando «non è possibile accertare, basandosi su dati certi della contabilità [della società], la differenza tra i costi imputabili alla parte [della sua] attività (...) nell’area soggetta alla rispettiva concessione e le entrate corrispondenti e, di conseguenza, [quando] non è possibile calcolare il costo aggiuntivo derivante (...) dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico».

137    Al punto 117, la Commissione rileva che:

«Nel caso di specie, Simet non ha adottato un’efficace separazione dei conti per i diversi servizi che ha fornito fino al 2002. Inoltre si può dubitare della validità della contabilità analitica per gli anni 2002 e 2003, relativamente alla separazione dei conti, in quanto non è provato che tale contabilità analitica venisse utilizzata dagli organismi di governo societario per controllare le proprie attività. Pertanto il disposto dell’articolo 10 non è stato rispettato».

138    Ai punti 127 e 128, la Commissione ha ripreso la stessa argomentazione nell’ambito dell’esame della compatibilità della misura notificata con il regolamento n. 1370/2007, rilevando quanto segue:

«(…) [L]’articolo 6, paragrafo 1, [di detto regolamento] stabilisce che, in caso di contratti di servizio pubblico aggiudicati direttamente, la compensazione debba essere conforme alle disposizioni del regolamento (CE) n. 1370/2007 e alle disposizioni fissate nell’allegato, per garantire che essa non ecceda quanto necessario per adempiere all’obbligo di servizio pubblico. Detto allegato esige, fra l’altro, la separazione dei conti (punto 5) e precisa le modalità per determinare l’importo massimo della compensazione.

Come rilevato al punto 115, per gran parte del periodo oggetto della notifica (dal 1987 al 2001), Simet non ha adottato un’efficace separazione dei conti, e anche la validità della contabilità analitica può essere messa in dubbio. Di conseguenza è impossibile dimostrare che, qualunque compensazione venga infine accordata, essa non ecceda l’importo corrispondente all’effetto finanziario netto equivalente alla somma delle incidenze, positive o negative, dell’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico sulle spese e sulle entrate dell’operatore di servizio pubblico (punto 2 dell’allegato)».

139    Da tali punti emerge che, tranne che per gli esercizi 2002 e 2003, la Commissione non ha messo in discussione l’attendibilità dei conti della ricorrente, ma ha semplicemente constatato che, in mancanza di un’efficace separazione dei conti, era impossibile escludere qualsiasi rischio di eccesso di compensazione, come prescritto dall’articolo 10 del regolamento n. 1191/69 e dall’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1370/2007, di modo che, per quanto riguarda il periodo compreso tra il 1987 e il 2001, la censura della ricorrente risulta infondata sotto il profilo fattuale.

140    Peraltro, si deve necessariamente constatare che, per quanto riguarda la contestazione dell’attendibilità della contabilità analitica relativa agli esercizi 2002 e 2003, la Commissione ha precisato che essa derivava dalla mancanza di prove che detta contabilità fosse stata effettivamente utilizzata dagli organismi di governo societario della ricorrente per controllare l’attività di quest’ultima, cosicché la ricorrente poteva comprendere il ragionamento della Commissione su tale punto.

141    La presente censura deve essere pertanto integralmente respinta.

–       Sulla seconda censura, vertente sul fatto che la Commissione non avrebbe spiegato, nella decisione impugnata, perché ritenesse che un tasso di rendimento superiore al tasso swap maggiorato di un premio di 100 punti base non fosse generalmente considerato un riferimento adeguato per calcolare il ragionevole utile.

142    La ricorrente contesta alla Commissione di aver affermato, senza ulteriori elementi di motivazione, che un tasso di rendimento superiore al tasso swap maggiorato di un premio di 100 punti base non era generalmente considerato un riferimento adeguato per calcolare il ragionevole utile.

143    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto della prima parte del terzo motivo.

144    A tale riguardo, occorre rilevare che l’affermazione cui si riferisce la ricorrente, che riguarda il tasso di rendimento applicabile al capitale annualmente investito dalla ricorrente nell’ambito della gestione delle linee interregionali, è contenuta al punto 129 della decisione impugnata, nella parte della stessa relativa alla compatibilità della misura notificata con il regolamento n. 1370/2007.

145    Il punto 129 della decisione impugnata è così formulato:

«Inoltre, in mancanza di parametri di compensazione stabiliti in anticipo, ogni ripartizione dei costi deve necessariamente essere effettuata ex post in base a ipotesi arbitrarie, come è stato fatto sia nella relazione iniziale che nella relazione di maggioranza. La Commissione non può tuttavia accettare le ipotesi utilizzate nella relazione di maggioranza, secondo cui ogni servizio prestato dall’impresa dovrebbe necessariamente rappresentare la stessa proporzione di costi ed entrate in un dato anno. Inoltre, poiché un calcolo ex post risulterà necessariamente in una piena compensazione dei costi sostenuti nella prestazione del servizio, la Commissione ritiene che un tasso di rendimento sul capitale proprio superiore al tasso swap pertinente maggiorato di un premio di 100 punti base, utilizzato sia nella relazione iniziale che nella relazione di maggioranza, non sia generalmente considerato un riferimento adeguato per calcolare il ragionevole utile».

146    Dal punto 129 emerge che la Commissione ha giustificato l’affermazione secondo la quale il tasso di rendimento proposto nella relazione di maggioranza non sarebbe generalmente considerato adeguato per calcolare il ragionevole utile, affermando che un calcolo ex post dell’importo della compensazione risulterà sempre in una piena compensazione dei costi sostenuti nella prestazione del servizio gravato da obblighi di servizio pubblico. La Commissione ha quindi fornito una giustificazione alla sua affermazione, adempiendo in tal modo al proprio obbligo di motivazione.

147    La questione se tale giustificazione sia adeguata, che la ricorrente ha inoltre contestato, rientra nella valutazione della fondatezza della decisione impugnata. Le argomentazioni esposte in tal senso dalla ricorrente devono pertanto essere considerate, alla luce della giurisprudenza citata al precedente punto 130, ininfluenti e irrilevanti nell’ambito di un motivo di ricorso vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione.

148    Si deve quindi respingere la seconda censura del terzo motivo in quanto infondata.

149    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere il terzo motivo in quanto infondato.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto la Commissione sarebbe incorsa in vari errori manifesti di valutazione nell’applicazione del regolamento n. 1191/69

150    La ricorrente solleva nel ricorso diverse censure nei confronti della Commissione, relative a errori manifesti di valutazione nell’applicazione del regolamento n. 1191/69, che possono essere, in sostanza, raggruppate in un unico motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

151    La ricorrente contesta alla Commissione di aver affermato che, in assenza di separazione dei conti, la misura notificata non poteva prescindere dal rischio di eccesso di compensazione e, pertanto, non fosse conforme al metodo comune di compensazione previsto dal regolamento n. 1191/69. A tale riguardo, la ricorrente sostiene che, prima del 1992, essa non era tenuta ad operare la separazione contabile poiché non percepiva compensazioni e che, a partire dal 1992, non poteva essere tenuta a una separazione contabile poiché non poteva più essere assoggettata in maniera unilaterale a obblighi di servizio pubblico. Essa rileva che, di conseguenza, la sentenza Antrop e a., di cui al precedente punto 136 (EU:C:2009:290), non sarebbe applicabile al suo caso. Inoltre, stando alla ricorrente, il metodo di calcolo proposto nella relazione di maggioranza permetterebbe di evitare rischi di eccesso di compensazione poiché si basa sulla ricostruzione ex post dei costi sostenuti per obblighi di servizio pubblico.

–       Sulla prima censura, vertente sul fatto che la Commissione ha erroneamente ritenuto che la ricorrente non fosse stata assoggettata ad obblighi di servizio pubblico ai sensi del regolamento n. 1191/69

152    La ricorrente contesta alla Commissione, in sostanza, di avere ritenuto che essa non fosse assoggettata ad obblighi di servizio pubblico ai sensi del regolamento n. 1191/69.

153    La Commissione contesta la presente censura.

154    Occorre sottolineare che tale censura riguarda la questione centrale della presente causa. Infatti, si deve necessariamente constatare che, sebbene il Consiglio di Stato abbia ritenuto nella propria sentenza, di cui al precedente punto 33, che la ricorrente avesse diritto a richiedere una compensazione ai sensi degli articoli 6, 10 e 11 del regolamento n. 1191/69, esso non aveva espressamente indicato su cosa si fondasse il beneficio di tale diritto a favore della ricorrente. Tale giudice si è infatti limitato ad affermare che un tale diritto non poteva essere negato agli esercenti di servizio pubblico rispetto agli oneri assunti da questi ultimi a titolo di tale servizio.

155    La ricorrente sostiene che il Consiglio di Stato abbia così tratto la logica conseguenza derivante dal fatto che la normativa nazionale, nell’organizzare l’attività di trasporto regolare di passeggeri su strada come un servizio pubblico il cui esercizio era concesso ad imprese private alle condizioni stabilite dallo Stato, imponeva necessariamente a dette imprese, tra cui anche la ricorrente, obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico, in violazione del regolamento n. 1191/69, che appunto obbligava gli Stati membri a sopprimere tali obblighi.

156    La tesi della ricorrente non appare tuttavia convincente per le seguenti ragioni.

157    In primo luogo, per quanto riguarda gli obblighi cui è stata assoggettata la ricorrente in forza delle decisioni di concessione annuale nel periodo dal 1987 al 30 giugno 1992, durante il quale il regolamento n. 1191/69, nella sua versione iniziale, si applicava ai fatti di causa, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento, gli obblighi che gli Stati membri erano in linea di principio tenuti a sopprimere erano quelli inerenti alla nozione di servizio pubblico, quali definiti da detto regolamento, nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile.

158    Ebbene, occorre innanzitutto rilevare che la fissazione delle tariffe per il singolo passeggero da parte delle decisioni di concessione annuale e l’obbligo di sottoporre la tabella dei prezzi alla previa approvazione degli uffici locali del MIT non possono essere interpretate come obblighi tariffari ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento n. 1191/69.

159    Infatti, conformemente alla giurisprudenza, l’obbligo tariffario è caratterizzato non soltanto dalla fissazione o dall’omologazione da parte delle pubbliche autorità delle tariffe di trasporto, ma anche dalla duplice condizione, cumulativa, che si tratti di misure tariffarie «particolari», che interessano determinate categorie di passeggeri o di prodotti, oppure che si tratti di relazioni determinate, e contrarie, quanto al resto, all’interesse commerciale dell’impresa. Tale interpretazione è suffragata dall’articolo 2, paragrafo 5, secondo comma, che precisa che non costituiscono obblighi tariffari le «misure generali di politica dei prezzi», nonché le «misure adottate in materia di prezzi e di condizioni generali di trasporto per l’organizzazione del mercato dei trasporti o di una parte di questo». Ne consegue che un obbligo giuridico di carattere generale, che sottopone le tariffe di trasporto all’omologazione da parte della pubblica autorità, non può pertanto essere considerato, di per sé solo, costitutivo di un «obbligo tariffario» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento n. 1191/69 (sentenza del 27 novembre 1973, Nederlandse Spoorwegen, 36/73, Racc., EU:C:1973:130, punti da 11 a 13).

160    Ebbene, si deve necessariamente constatare che, sebbene la ricorrente affermi che la fissazione delle tariffe era contraria ai suoi interessi commerciali, dal momento che i prezzi dei biglietti dell’autobus non potevano superare quelli dei biglietti di seconda classe delle ferrovie italiane, essa non sostiene e, a fortiori, non dimostra che la fissazione delle tariffe nelle decisioni di concessione annuale interessasse categorie determinate di passeggeri o di prodotti, oppure relazioni determinate.

161    Successivamente, per quanto alcuni obblighi contenuti nelle decisioni di concessione annuale, relativi alla definizione del percorso, sia in termini di destinazioni che di itinerario, al numero di corse ed alla loro frequenza, ai tempi di percorrenza, alla comunicazione immediata di qualsiasi interruzione, sospensione o variazione del servizio, alla preventiva autorizzazione dell’ufficio locale del MIT per l’acquisto di veicoli destinati al servizio o per la destinazione ad altro uso dei veicoli destinati al servizio, al rilascio di biglietti per il trasporto dei passeggeri, dei bagagli e dei pacchi agricoli e alla loro conservazione per cinque anni, al controllo della contabilità della ricorrente da parte dei funzionari dell’ufficio locale del MIT, nonché l’obbligo giuridico di trasportare a titolo gratuito pacchi per conto dell’amministrazione postale, possano interpretarsi come «obblighi di esercizio» oppure come un «obbligo di trasporto», ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 1191/69, e dell’articolo 2, paragrafo 4, del medesimo, si deve necessariamente constatare che il sistema previsto dalla normativa italiana consentiva alla ricorrente di chiedere il rinnovo delle concessioni annuali oppure di non farlo qualora ritenesse che gli obblighi di servizio pubblico cui era sottoposto l’esercizio di una linea interregionale fossero per lei svantaggiosi.

162    Ne consegue che siffatti obblighi non costituivano obblighi imposti unilateralmente dallo Stato al fine di assicurare un servizio di trasporto sufficiente, ai sensi dell’articolo 1 del regolamento n. 1191/69.

163    Come osserva la Commissione, la ricorrente sembra in questo caso confondere l’imposizione unilaterale di obblighi di servizio pubblico da parte dell’amministrazione che, in virtù del regolamento n. 1191/69, deve dar luogo a compensazione secondo i metodi comuni di compensazione di cui agli articoli da 10 a 13 di tale regolamento, con l’adesione volontaria a un rapporto di tipo contrattuale che preveda la prestazione di determinati servizi di trasporto, sia pure definiti in funzione dell’interesse pubblico, nel qual caso nessun obbligo di compensazione è previsto dal regolamento n. 1191/69.

164    Inoltre, le argomentazioni dedotte dalla ricorrente al riguardo non appaiono convincenti. La ricorrente sostiene infatti che, ai sensi della normativa nazionale, essa poteva solamente formulare la propria domanda di concessione secondo i criteri di interesse pubblico predefiniti dall’amministrazione. Pertanto, secondo la ricorrente, la sola scelta che essa poteva realmente effettuare era quella di intraprendere o meno la sua attività di trasporto di passeggeri sulle linee interregionali.

165    Ebbene, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69, spettava alle imprese di trasporto presentare alle autorità competenti degli Stati membri domanda per la soppressione totale o parziale di un obbligo di servizio pubblico, qualora tale obbligo comportasse per esse svantaggi economici. Ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo, «[l]e imprese di trasporto po[teva]no proporre (...) di sostituire con un’altra tecnica di trasporto quella attualmente impiegata». Tuttavia, come ha rilevato la Commissione nella decisione impugnata, senza peraltro essere contraddetta dalla ricorrente, quest’ultima non ha mai presentato una tale domanda. Tale circostanza dimostra che la ricorrente ha volontariamente e sistematicamente accettato gli obblighi previsti nei disciplinari e contenuti nelle decisioni di concessione annuale.

166    Secondo la ricorrente, in forza della normativa nazionale: in primo luogo, il richiedente doveva produrre indicazione chiara e dettagliata delle esigenze di pubblica utilità che il concessionario precedente non aveva soddisfatto e impegnarsi a soddisfarle; in secondo luogo, il MIT dava precedenza per l’attribuzione delle concessioni annuali alle imprese che «[dimostravano] di assumere altri oneri per opere o servizi di interesse locale in connessione con quelli di trasporto e [erano] in grado di soddisfarli»; e, in terzo luogo, a decorrere dal 1994, la concessione veniva rilasciata solo previa riunione pubblica in contraddittorio con gli interessati, nel corso della quale si doveva accertare «l’effettiva esistenza del pubblico interesse». Tuttavia, tali elementi non sono tali da rimettere in discussione la constatazione secondo la quale la ricorrente ha volontariamente accettato gli obblighi di servizio pubblico previsti nei disciplinari e non ha mai richiesto la soppressione o la modifica di detti obblighi, come le consentiva il regolamento.

167    Non convince neppure l’argomentazione della ricorrente secondo cui l’imposizione di obblighi di servizio pubblico, ai sensi del regolamento n. 1191/69, deriverebbe dal fatto che essa ha in passato beneficiato di compensazioni a tale titolo, in forza della legge n. 877/86. Infatti, la ricorrente non dimostra che la legge in questione avesse ad oggetto la previsione di una compensazione per obblighi di servizio pubblico imposti unilateralmente alle imprese di trasporto ai sensi del regolamento n. 1191/69. Peraltro, il criterio previsto da detta legge per il calcolo dell’aiuto, ossia il numero di chilometri percorsi, esclude che un tale aiuto possa essere assimilato ad una compensazione ai sensi del regolamento n. 1191/69, in quanto quest’ultimo prevede un metodo specifico per il calcolo dell’importo della compensazione dovuta a fronte di obblighi di servizio pubblico imposti alle imprese di trasporto.

168    Infine, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69, per obblighi di servizio pubblico «si intendono gli obblighi che l’impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse condizioni». Ebbene, risulta difficile ritenere che la ricorrente abbia potuto chiedere il rinnovo delle diverse concessioni, a dispetto degli obblighi di esercizio e di trasporto previsti nei disciplinari e contenuti nelle decisioni di concessione annuale, senza trovarvi un interesse commerciale.

169    A tale riguardo, occorre rilevare che la ricorrente si limita a sostenere che gli obblighi contenuti nelle decisioni di concessione annuale hanno limitato la sua libertà di sviluppo economico, il che sarebbe testimoniato dai diversi dinieghi che il MIT ha opposto alle sue domande di modifica dei percorsi e degli orari. Ebbene, da un lato, dai documenti forniti dalla ricorrente a sostegno di tale affermazione emerge che le domande di modifica non riguardavano le linee già concesse alla ricorrente e da quest’ultima gestite, bensì l’estensione delle linee già concesse alla ricorrente. D’altro lato, come ha indicato la Commissione nella decisione impugnata, per lo stesso carattere esclusivo delle concessioni rilasciate dal MIT ai trasportatori regolari di passeggeri, del quale la stessa ricorrente ha beneficiato, era possibile soddisfare le richieste «espansioniste» della ricorrente solo a condizione che non pregiudicassero i diritti di un altro esercente.

170    In secondo luogo, occorre rilevare che gli obblighi cui la ricorrente era assoggettata in forza delle decisioni di concessione annuale nel periodo dal 1° luglio 1992 al 2003, durante il quale il regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, si applicava ai fatti di causa, non potevano in alcun caso attribuirle il diritto ad una compensazione.

171    Infatti, dall’articolo 1 del regolamento n. 1191/69, nella versione applicabile a partire dal 1° luglio 1992, risulta che solo le imprese di trasporto urbano, extraurbano o regionale potevano percepire una compensazione nel caso in cui lo Stato decidesse di imporre loro, o di mantenere nei loro confronti, obblighi di servizio pubblico.

172    Ebbene, risulta pacifico che l’attività della ricorrente in questione sia relativa all’esercizio di linee interregionali, cosicché, a partire dal 1° luglio 1992, alla ricorrente non potevano essere imposti dallo Stato obblighi di servizio pubblico ed essa non poteva neppure, di conseguenza, richiedere una compensazione a fronte degli oneri assunti a titolo di tali obblighi.

173    Inoltre, anche volendo supporre che i servizi forniti dalla ricorrente consentano di assimilarla ad un’impresa di trasporto regionale, si deve necessariamente constatare che, alla luce del fatto che gli obblighi cui era assoggettata la ricorrente in forza delle decisioni di concessione annuale non le erano unilateralmente imposti, essi rientravano necessariamente nel regime contrattuale previsto dall’articolo 14, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1191/69, nella versione applicabile a partire dal 1° luglio 1992, che prevedeva un regime di finanziamento specifico che non lasciava spazio a compensazioni secondo i metodi fissati alle sezioni II, III e IV di tale regolamento (v., in tal senso, sentenza del 16 marzo 2004, Danske Busvognmænd/Commissione, T‑157/01, Racc., EU:T:2004:76, punto 79).

174    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rilevare che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione sarebbe incorsa in un errore manifesto di valutazione nel ritenere, nella decisione impugnata, che le autorità italiane non le avessero imposto in maniera unilaterale un obbligo di servizio pubblico ai sensi del regolamento n. 1191/69 per il periodo dal 1987 al 2003.

175    La prima censura del quarto motivo deve pertanto essere respinta in quanto infondata.

–       Sulla seconda censura, vertente sul fatto che la Commissione avrebbe erroneamente ritenuto che la ricorrente non abbia dimostrato l’esistenza di uno svantaggio economico che giustificasse l’erogazione di una compensazione ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69

176    La ricorrente afferma, in sostanza, che la Commissione ha erroneamente ritenuto che essa non avesse dimostrato che l’esistenza di svantaggi economici era stata determinata tenendo conto delle ripercussioni dell’obbligo sul complesso dell’attività dell’impresa, conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69, dal momento che, nel caso di specie, il rischio di eccesso di compensazione era neutralizzato dal fatto che il calcolo delle perdite subite dalla ricorrente per gli obblighi di servizio pubblico assunti veniva effettuato ex post.

177    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto della presente censura.

178    A tale riguardo, si deve rilevare, al pari della Commissione, che lo svantaggio economico ed il rischio di eccesso di compensazione sono due elementi distinti. Così, ai sensi degli articoli 5, 10 e 11 del regolamento n. 1191/69, la dimostrazione di uno svantaggio economico è necessaria ai fini della determinazione dell’importo della compensazione spettante ad un’impresa di trasporto a fronte dell’imposizione unilaterale di obblighi di servizio pubblico. Il rischio di eccesso di compensazione, invece, può risultare da una moltitudine di fattori che possono comportare una compensazione superiore a quella che sarebbe dovuta a tale impresa in base al regolamento. Nel caso di specie, sebbene la Commissione abbia ritenuto che la misura notificata non fosse conforme all’articolo 10 del regolamento n. 1191/69, per la mancanza di un’efficace separazione contabile, la sola che possa, secondo la Commissione, prevenire un rischio di eccesso di compensazione, essa ha anche ritenuto che detta misura non fosse conforme all’articolo 5, paragrafo 1, del medesimo regolamento, in mancanza della dimostrazione, da parte della ricorrente, del fatto che gli svantaggi economici fossero stati determinati tenendo conto delle ripercussioni dell’obbligo di servizio pubblico sul complesso dell’attività dell’impresa. In mancanza di argomenti specifici della ricorrente volti a dimostrare che essa, al contrario, ha effettuato tale dimostrazione, la presente censura non può che essere respinta in quanto totalmente priva di fondamento.

–       Sulla terza censura, vertente sul fatto che la Commissione ha considerato, come il MIT, che la relazione di maggioranza avesse erroneamente stimato che il capitale investito non si limitava all’importo del capitale imputabile agli obblighi di servizio pubblico

179    La ricorrente contesta alla Commissione di aver considerato, come il MIT, che la relazione di maggioranza avesse erroneamente stimato che il capitale investito non si limitava all’importo del capitale imputabile agli obblighi di servizio pubblico.

180    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto della presente censura.

181    A tale riguardo, occorre anzitutto rilevare che la censura della ricorrente risulta infondata sotto il profilo materiale. Essa contesta infatti alla Commissione di avere fatto propria la critica delle autorità italiane nei confronti della relazione di maggioranza, riguardante l’ammontare del capitale investito dalla ricorrente nell’ambito della gestione delle linee interregionali sottoposte ad obblighi di servizio pubblico. La ricorrente rinvia, a tale riguardo, al punto 62 della decisione impugnata. Ebbene, si deve necessariamente rilevare che tale punto si trova nella parte della decisione impugnata nella quale la Commissione riassume le osservazioni dell’Italia. Diversamente, l’affermazione delle autorità italiane non viene riproposta come propria dalla Commissione nella parte della decisione relativa alla valutazione dell’aiuto.

–       Sulla quarta censura, vertente sul fatto che la Commissione avrebbe erroneamente ritenuto che, in assenza di separazione dei conti, la misura notificata non potesse prescindere dal rischio di eccesso di compensazione e, pertanto, non fosse conforme al metodo comune di compensazione previsto dal regolamento n. 1191/69

182    La ricorrente contesta alla Commissione di aver affermato che, in assenza di separazione dei conti, la misura notificata non poteva prescindere dal rischio di eccesso di compensazione e, pertanto, non era conforme al metodo comune di compensazione previsto dal regolamento n. 1191/69. A tale riguardo, la ricorrente sostiene che, prima del 1992, essa non era tenuta ad operare la separazione contabile poiché non percepiva compensazioni e che, a partire dal 1992, non poteva essere tenuta a una separazione contabile poiché non poteva più essere assoggettata in maniera unilaterale a obblighi di servizio pubblico. Essa rileva che, di conseguenza, la sentenza Antrop e a., di cui al precedente punto 136 (EU:C:2009:290), non sarebbe applicabile al suo caso. Inoltre, stando alla ricorrente, il metodo di calcolo proposto nella relazione di maggioranza permetterebbe di evitare rischi di eccesso di compensazione poiché si basa sulla ricostruzione ex post dei costi sostenuti per obblighi di servizio pubblico.

183    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

184    In via preliminare, occorre sottolineare che la ricorrente sostiene, in particolare, che non era vincolata dall’obbligo di separazione contabile, di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69, dal momento che detto regolamento non prevedeva più la possibilità per le autorità italiane di imporle obblighi di servizio pubblico. Essa sostiene inoltre che la sentenza Antrop e a., di cui al precedente punto 136 (EU:C:2009:290), non trova applicazione nei suoi confronti poiché in tale sentenza la Corte si è pronunciata sulle modalità del metodo comune di compensazione previsto dal regolamento n. 1191/69, nella versione applicabile a partire dal 1° luglio 1992.

185    A tale riguardo, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 10 del regolamento n. 1191/69, nella versione iniziale, per quanto riguarda l’obbligo di esercizio o di trasporto, l’ammontare della compensazione deve essere pari alla differenza tra la diminuzione degli oneri e la diminuzione degli introiti dell’impresa che può risultare, per il periodo di tempo considerato, dalla soppressione totale o parziale della parte corrispondente dell’obbligo in questione. Da tale disposizione discende che una compensazione non deve essere superiore ai costi sostenuti dall’impresa per obblighi di servizio pubblico da essa assunti.

186    Peraltro, l’articolo 1, paragrafo 5, del regolamento n. 1191/69, nella versione applicabile a partire dal 1° luglio 1992, prevedeva quanto segue:

«Quando un’impresa di trasporto svolge contemporaneamente servizi soggetti ad obblighi di servizio pubblico ed altre attività, i servizi pubblici devono formare oggetto di sezioni distinte che rispondano come minimo ai seguenti requisiti:

a)      separazione di conti corrispondenti a ciascuna attività di esercizio e ripartizione delle relative quote di patrimonio in base alle norme contabili vigenti;

(...)».

187    Da tale ultima disposizione emerge che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, tutte le imprese di trasporto che svolgono contemporaneamente servizi soggetti ad obblighi di servizio pubblico, sia in seguito ad un’imposizione unilaterale, quali, eventualmente, le imprese di trasporto urbano, extraurbano o regionale, oppure in seguito alla conclusione di un contratto di servizio pubblico, ed altre attività, erano vincolate dall’obbligo di separazione contabile a partire dal 1° luglio 1992.

188    Pertanto, a prescindere dalla questione se le autorità italiane, nel non concludere formalmente alcun contratto di servizio pubblico al termine delle procedure di concessione annuale per la gestione delle linee interregionali, abbiano, nel caso di specie, violato o meno gli articoli 1 e 14 del regolamento n. 1191/69, nella versione applicabile a partire dal 1° luglio 1992, questione che spetta al giudice nazionale valutare effettuando, eventualmente, un rinvio pregiudiziale alla Corte, la ricorrente rimaneva, da parte sua, vincolata dall’obbligo di separazione contabile.

189    Si deve tuttavia rilevare che, dal momento che, come è già stato constatato nell’ambito dell’esame della prima parte del quarto motivo, la ricorrente non aveva diritto di richiedere compensazioni a partire dal 1° luglio 1992, la questione se quest’ultima fosse o meno vincolata dall’obbligo di separazione contabile a partire da tale data è, in pratica, irrilevante nella presente causa.

190    Rimane tuttavia da determinare se la misura notificata fosse conforme all’articolo 10 del regolamento n. 1191/69, per quanto riguarda il periodo compreso tra il 1987 ed il 30 giugno 1992.

191    A tale riguardo, occorre rilevare che, come risulta dal punto 24 della decisione impugnata, dal momento che non era disponibile la contabilità analitica per il periodo dal 1987 al 1992, gli esperti che hanno redatto la relazione di maggioranza hanno ripartito i costi del servizio di linea per il trasporto interregionale sulla base della percentuale di introiti generati da quegli stessi servizi durante quel periodo. Per quanto riguarda l’importo totale dei costi, gli esperti li hanno tratti da ciascuno dei bilanci annuali. Quindi, per definire i soli costi d’esercizio, hanno dedotto dai costi totali tutti i costi diversi da quelli d’esercizio, ossia: interessi, oneri finanziari, perdite alla cessione di attivi, perdite e costi vari, imposte dirette e rimanenze finali. Infine, i costi di esercizio attribuibili al servizio di linea per il trasporto interregionale sono stati determinati sulla base della percentuale di entrate generate dagli stessi servizi di linea.

192    Ne consegue che, sebbene il metodo di calcolo della compensazione proposto dalla relazione di maggioranza si basasse effettivamente, come sostiene la ricorrente, su un’analisi ex post della contabilità della ricorrente, tale metodo determinava i costi sostenuti per il servizio di linea di trasporto interregionale attraverso la percentuale rappresentata dalle entrate generate dai medesimi servizi rispetto alla totalità delle entrate della ricorrente. Un tale metodo si basa, come sottolinea la Commissione al punto 129 della decisione impugnata, sull’ipotesi che ogni servizio prestato dalla ricorrente debba necessariamente rappresentare la stessa proporzione di costi ed entrate in un dato anno. Ebbene, occorre rilevare, al pari della Commissione, che una siffatta ipotesi è, di per sé, difficilmente accettabile e che non può assicurare che la compensazione non sia superiore ai costi effettivamente sostenuti dalla ricorrente per gli obblighi di servizio pubblico che ha assunto dal 1987 al 30 giugno 1992.

193    Pertanto, la quarta censura della ricorrente deve essere respinta in quanto infondata.

194    Il quarto motivo di ricorso deve essere quindi integralmente respinto in quanto infondato.

 Sul quinto motivo, vertente sul fatto che la Commissione, tenendo conto nella decisione impugnata delle relazioni del collegio di consulenza sulle quali il Consiglio di Stato non si era ancora pronunciato, avrebbe interferito con l’attività giurisdizionale del giudice nazionale

195    La ricorrente addebita alla Commissione un’ingerenza illecita nel procedimento giurisdizionale nazionale per il fatto di aver tenuto conto, nell’ambito della decisione impugnata, della relazione di maggioranza e della relazione di minoranza redatte dai consulenti nominati dal Consiglio di Stato nel corso del procedimento di esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato di cui al precedente punto 33. Infatti, secondo la ricorrente, tali relazioni sono documenti redatti su richiesta del Consiglio di Stato da parte di esperti che agiscono in veste di ausiliari del giudice, e la cui valutazione rientra nell’esclusiva competenza di quest’ultimo. Accettando di tenere conto delle relazioni del collegio di consulenza, trasmesse illecitamente alla Commissione dal MIT, prima che il Consiglio di Stato stesso si pronunciasse sulle suddette relazioni, la Commissione avrebbe privato il Consiglio di Stato del suo potere decisionale.

196    La Commissione sostiene che il presente motivo è irricevibile in quanto è stato dedotto per la prima volta nella replica. Inoltre, essa contesta la fondatezza degli argomenti della ricorrente e chiede il rigetto del presente motivo.

197    A tale riguardo, si deve necessariamente constatare che, come osserva la Commissione, il presente motivo è stato dedotto per la prima volta nella replica, senza che la ricorrente abbia giustificato tale tardività con il sopraggiungere di nuovi elementi di diritto o di fatto. Peraltro, il presente motivo non costituisce neppure un ampliamento di un motivo già dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio. Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza relativa all’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, il presente motivo deve essere respinto in quanto irricevibile (v. sentenza del 15 marzo 2006, Italia/Commissione, T‑226/04, EU:T:2006:85, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

198    Del resto, occorre sottolineare che la ricorrente non ha dimostrato in cosa il comportamento contestato alla Commissione costituisca una violazione del diritto dell’Unione tale da incidere sulla legittimità della decisione impugnata, cosicché neppure il presente motivo soddisfa i requisiti di cui all’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991 e deve, anche a tale titolo, essere considerato irricevibile.

199    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere integralmente il ricorso.

 Sulle spese

200    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Simet SpA sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

Gratsias

Kancheva

Wetter

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 marzo 2016.

Firme

Indice


Fatti

Quadro legislativo e regolamentare che disciplina le attività della ricorrente

Diritto dell’Unione

Diritto nazionale

Ricorsi presentati dalla ricorrente dinanzi ai giudici nazionali

Procedimento amministrativo

Decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla ricevibilità

Nel merito

Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, e del regolamento n. 1191/69

– Sulla prima parte del primo motivo, vertente su un errore di fatto

– Sulla seconda parte del primo motivo, vertente su un manifesto errore di valutazione, o su una carenza di istruttoria, per quanto riguarda la conformità al diritto dell’Unione della normativa nazionale applicabile

Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dei principi in materia di risarcibilità del danno subito dai soggetti dell’ordinamento in caso di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro

Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

– Sulla prima censura, vertente sul fatto che la Commissione non avrebbe spiegato le ragioni per le quali riteneva che i conti della ricorrente fossero inattendibili

– Sulla seconda censura, vertente sul fatto che la Commissione non avrebbe spiegato, nella decisione impugnata, perché ritenesse che un tasso di rendimento superiore al tasso swap maggiorato di un premio di 100 punti base non fosse generalmente considerato un riferimento adeguato per calcolare il ragionevole utile.

Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto la Commissione sarebbe incorsa in vari errori manifesti di valutazione nell’applicazione del regolamento n. 1191/69

– Sulla prima censura, vertente sul fatto che la Commissione ha erroneamente ritenuto che la ricorrente non fosse stata assoggettata ad obblighi di servizio pubblico ai sensi del regolamento n. 1191/69

– Sulla seconda censura, vertente sul fatto che la Commissione avrebbe erroneamente ritenuto che la ricorrente non abbia dimostrato l’esistenza di uno svantaggio economico che giustificasse l’erogazione di una compensazione ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69

– Sulla terza censura, vertente sul fatto che la Commissione ha considerato, come il MIT, che la relazione di maggioranza avesse erroneamente stimato che il capitale investito non si limitava all’importo del capitale imputabile agli obblighi di servizio pubblico

– Sulla quarta censura, vertente sul fatto che la Commissione avrebbe erroneamente ritenuto che, in assenza di separazione dei conti, la misura notificata non potesse prescindere dal rischio di eccesso di compensazione e, pertanto, non fosse conforme al metodo comune di compensazione previsto dal regolamento n. 1191/69

Sul quinto motivo, vertente sul fatto che la Commissione, tenendo conto nella decisione impugnata delle relazioni del collegio di consulenza sulle quali il Consiglio di Stato non si era ancora pronunciato, avrebbe interferito con l’attività giurisdizionale del giudice nazionale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.