Language of document : ECLI:EU:C:2011:291

Causa C‑391/09

Malgožata Runevič-Vardy

e

Łukasz Paweł Wardyn

contro

Vilniaus miesto savivaldybės administracija e altri

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vilniaus miesto 1 apylinkės teismas)

«Cittadinanza dell’Unione — Libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri — Principio di non discriminazione in base alla nazionalità — Artt. 18 TFUE e 21 TFUE — Principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica — Direttiva 2000/43/CE — Normativa nazionale che impone la registrazione dei nomi e dei cognomi delle persone fisiche negli atti di stato civile in una forma che rispetti le regole di grafia proprie della lingua ufficiale nazionale»

Massime della sentenza

1.        Diritto dell’Unione — Principi — Parità di trattamento — Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica — Direttiva 2000/43 — Ambito di applicazione

(Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 21; direttiva del Consiglio 2000/43, art. 3, n. 1)

2.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Regole di grafia della lingua ufficiale di uno Stato membro applicabili agli atti di stato civile

(Art. 21 TFUE)

3.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Regole di grafia della lingua ufficiale di uno Stato membro applicabili agli atti di stato civile

(Art. 21 TFUE)

4.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Regole di grafia della lingua ufficiale di uno Stato membro applicabili agli atti di stato civile

(Art. 21 TFUE)

1.        Una normativa nazionale secondo cui i cognomi e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato unicamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale riguarda una fattispecie che esula dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/43, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

Se è vero che, considerato l’oggetto della menzionata direttiva e la natura dei diritti che si propone di tutelare, come pure il fatto che tale direttiva non è altro se non l’espressione, nell’ambito esaminato, del principio di uguaglianza, il quale è uno dei principi generali del diritto dell’Unione, riconosciuto all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la sfera di applicazione della direttiva in parola non può essere definita in modo restrittivo, ciò nondimeno non si può ritenere che una siffatta normativa nazionale rientri nell’ambito della nozione di servizio ex art. 3, n. 1, della stessa direttiva.

(v. punti 43, 45, 48, dispositivo 1)

2.        L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare nei certificati di nascita e di matrimonio di uno dei suoi cittadini il cognome e il nome di detta persona secondo le regole di grafia di un altro Stato membro.

Il fatto che il cognome e il nome di una persona possano essere modificati e registrati negli atti di stato civile del suo Stato membro d’origine esclusivamente nei caratteri della lingua di quest’ultimo non può costituire un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficiava prima di fare uso delle agevolazioni offerte dal Trattato in materia di libera circolazione delle persone e, pertanto, tale fatto non è idoneo a scoraggiarla dall’esercitare i diritti di circolazione garantiti dall’art. 21 TFUE.

(v. punti 69-70, 94, dispositivo 2)

3.        L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare il cognome comune a una coppia coniugata di cittadini dell’Unione, quale compare negli atti di stato civile rilasciati dallo Stato membro di origine di uno di tali cittadini, in una forma che rispetti le regole di grafia di quest’ultimo Stato, a condizione che tale diniego non provochi, per i cittadini dell’Unione interessati, seri inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare. Qualora ciò accadesse, è parimenti compito di tale giudice verificare se il diniego di modifica sia necessario alla tutela degli interessi che la normativa nazionale mira a garantire e se risulti proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito.

Lo scopo perseguito da una siffatta normativa nazionale, consistente nel proteggere la lingua ufficiale nazionale con l’imposizione delle regole di grafia previste da tale lingua, costituisce, in via di principio, uno scopo legittimo idoneo a giustificare restrizioni ai diritti di libera circolazione e di soggiorno stabiliti all’art. 21 TFUE e può essere preso in considerazione nella ponderazione dei legittimi interessi con i menzionati diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione.

(v. punti 87, 94, dispositivo 2)

4.        L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro neghino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare il certificato di matrimonio di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di un altro Stato membro affinché i nomi del cittadino medesimo siano registrati in detto certificato con segni diacritici, quali trascritti negli atti di stato civile rilasciati dal suo Stato membro di origine e in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale di quest’ultimo Stato.

(v. punto 94, dispositivo 2)