Language of document : ECLI:EU:T:2013:117

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

8 marzo 2013(*)

«Marchio comunitario – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio comunitario figurativo David Mayer – Marchio nazionale denominativo anteriore DANIEL & MAYER MADE IN ITALY – Impedimento relativo alla registrazione – Rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 207/2009 – Richiesta di prova dell’uso effettivo presentata per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso – Tardività – Articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009»

Nella causa T‑498/10,

David Mayer Naman, residente a Roma, rappresentato inizialmente da S. Sutti, S. Cazzaniga e V. Fedele, successivamente da V. Fedele e M. Spolidoro, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato da P. Bullock, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Daniel e Mayer Srl, con sede a Milano, rappresentata da M. Andreolini e A. Parini, avvocati,

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI del 26 luglio 2010 (procedimento R 413/2009‑1) relativa a un procedimento di dichiarazione di nullità tra la Daniel e Mayer Srl e David Mayer Naman,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto dai sigg. J. Azizi, presidente, S. Frimodt-Nielsen e dalla sig.ra M. Kancheva (relatore), giudici,

cancelliere: sig.ra C. Heeren, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 ottobre 2010,

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 febbraio 2011,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 gennaio 2011,

in seguito all’udienza del 10 settembre 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 21 febbraio 2000 il sig. David Mayer Naman, ricorrente, presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio di cui veniva chiesta la registrazione è il segno figurativo seguente, rappresentato in caratteri di stampa «futura», elaborati e modificati graficamente:

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3        I prodotti per i quali veniva chiesta la registrazione rientrano segnatamente nelle classi 18 e 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come rivisto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di queste classi, alla descrizione seguente:

–        Classe 18: «Cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli; valigie; ombrelli, ombrelloni; bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria»;

–        Classe 25: «Articoli di abbigliamento, calzature, cappelleria».

4        Il 2 ottobre 2000 la domanda di marchio comunitario veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 79/2000.

5        Il 18 aprile 2001 il segno veniva registrato come marchio comunitario con il n. 1518950.

6        Il 24 ottobre 2007 la Daniel e Mayer Srl, interveniente, presentava all’UAMI una domanda di dichiarazione di nullità del suddetto marchio comunitario (in prosieguo: il «marchio contestato») per prodotti comprendenti quelli elencati al precedente punto 3.

7        La domanda di dichiarazione di nullità era fondata sul marchio nazionale denominativo anteriore «DANIEL & MAYER MADE IN ITALY» (in prosieguo: il «marchio anteriore»), registrato in Italia con il n. 472351, che individuava prodotti rientranti nella classe 25 e corrispondenti alla seguente descrizione: «maglieria intima ed esterna, confezioni per uomo, donna e bambini, camiceria».

8        I motivi invocati a sostegno della domanda di dichiarazione di nullità erano quelli di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009] letto in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009], nonché all’articolo 52, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009] letto in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009).

9        Il 2 marzo 2009 la divisione di annullamento dell’UAMI accoglieva in parte, sulla base del motivo di nullità di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 40/94, la domanda dell’interveniente e dichiarava, di conseguenza, la nullità della registrazione del marchio contestato relativamente agli «articoli in cuoio e sue imitazioni non compresi in altre classi» appartenenti alla classe 18 e agli «articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria» appartenenti alla classe 25.

10      In data 8 aprile 2009, il ricorrente presentava ricorso dinanzi all’UAMI avverso la decisione della divisione di annullamento, ai sensi degli articoli 57‑62 del regolamento n. 40/94 (divenuti articoli 58‑64 del regolamento n. 207/2009).

11      Con decisione del 26 luglio 2010 (in prosieguo: la «decisione impugnata») la prima commissione di ricorso dell’UAMI respingeva il ricorso. La commissione di ricorso confermava così la nullità parziale, relativamente ai prodotti in questione, del marchio contestato.

12      In primo luogo, con la decisione impugnata, la commissione di ricorso respingeva, in quanto tardiva, la domanda del ricorrente, proposta per la prima volta in sede di ricorso contro la decisione della divisione di annullamento, volta a richiedere all’interveniente la prova dell’uso effettivo del marchio anteriore, in particolare per i capi di abbigliamento maschile. Essa ne deduceva che occorreva fare riferimento alle descrizioni ufficiali dei prodotti quali risultavano dalle rispettive registrazioni dei marchi in conflitto e non, come pretendeva il ricorrente, all’attività commerciale svolta, di fatto, dalle due aziende.

13      In secondo luogo, riguardo alla comparazione dei prodotti, la commissione di ricorso faceva integralmente sua la conclusione della divisione di annullamento secondo cui i prodotti in questione appartenenti alla classe 25 erano identici e quelli appartenenti alla classe 18 erano simili.

14      In terzo luogo, riguardo alla comparazione dei marchi in conflitto, la commissione di ricorso concludeva che le coincidenze tra essi erano così spiccate sul piano visivo e fonetico, ma anche concettuale, da trasmettere un’impressione complessiva di somiglianza nella mente del pubblico di riferimento – un acquirente medio di capi di abbigliamento in Italia. A suo parere, gli elementi dominanti nei due segni erano i nomi e le due coincidenze più significative consistevano nella presenza in ciascuno di detti segni del cognome Mayer, per di più in entrambi i casi nella seconda posizione, e l’impiego, in prima posizione, di due nomi simili, ossia «David» e «Daniel».

15      In quarto luogo, quanto al rischio di confusione tra i marchi in conflitto, la commissione di ricorso ravvisava la sussistenza di tale rischio per il fatto che i marchi erano simili e contraddistinguevano prodotti identici o simili. Essa respingeva così gli argomenti del ricorrente attinenti alla notorietà del marchio contestato, al posizionamento dei marchi in conflitto su segmenti di mercato differenti (l’abbigliamento donna di fascia bassa, in un caso, l’abbigliamento uomo di tendenza, nell’altro) e la loro coesistenza pacifica per decine di anni. A tale riguardo, essa rilevava che, se ci fosse stata pacifica coesistenza, il ricorrente non avrebbe mancato di eccepire, in reazione alla domanda di nullità del proprio marchio, la preclusione per tolleranza di cui all’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.

 Procedimento e conclusioni delle parti

16      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        riformare integralmente la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

17      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

18      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        confermare la decisione impugnata;

–         respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

19      A sostegno del suo ricorso, il ricorrente deduce, in sostanza, tre motivi, che attengono, in primo luogo, alla violazione dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, in secondo luogo, alla violazione dell’articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, e, in terzo luogo, alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

20      L’UAMI e l’interveniente contestano gli argomenti del ricorrente.

 Sul primo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009

21      Il ricorrente ha dedotto per la prima volta all’udienza dinanzi al Tribunale un motivo fondato sulla preclusione per tolleranza di cui all’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, dato che la domanda di dichiarazione di nullità fondata sul marchio anteriore è stata presentata il 24 ottobre 2007, oltre cinque anni dopo la registrazione del marchio contestato, il 18 ottobre 2001. In base a detto articolo, in sostanza, il titolare di un marchio nazionale anteriore che, per cinque anni consecutivi, abbia tollerato l’uso di un marchio comunitario posteriore nello Stato membro in cui il marchio anteriore è tutelato, essendo al corrente di tale uso, non può più domandare la nullità né opporsi all’uso del marchio posteriore.

22      L’UAMI sostiene che il motivo in esame è inammissibile, poiché è stato dedotto per la prima volta in udienza.

23      Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, all’assenza di un motivo nell’atto introduttivo non può ovviarsi presentandolo in udienza, poiché ciò avrebbe l’effetto di ampliare l’oggetto della controversia come definito nel ricorso. Ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento [v., in tal senso, sentenza della Corte del 18 luglio 2006, Rossi/UAMI, C‑214/05 P, Racc. pag. I‑7057, punti 37 e 40, e sentenza del Tribunale del 6 maggio 2008, Redcats/UAMI – Revert & Cía (REVERIE), T‑246/06, non pubblicata nella Raccolta, punto 24].

24      Nel caso di specie, si deve necessariamente constatare che l’atto di ricorso non contiene il motivo attinente alla violazione dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009. Inoltre, non è dimostrato e non viene neanche asserito che tale motivo si fonda su elementi di diritto e di fatto che sarebbero emersi durante il procedimento.

25      In aggiunta, e comunque, la mancata presentazione di un motivo dinanzi alla commissione di ricorso non può essere sanata deducendolo dinanzi al Tribunale. Infatti, ai sensi dell’articolo 135, paragrafo 4, del regolamento di procedura, le memorie delle parti non possono modificare l’oggetto della controversia dinanzi alla commissione di ricorso. Secondo una costante giurisprudenza, un ricorso proposto dinanzi al Tribunale ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 mira al controllo della legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso. Nell’ambito di detto regolamento, a norma del suo articolo 76, tale controllo deve effettuarsi in base al quadro di fatto e di diritto della controversia nei termini in cui quest’ultima è stata proposta alla commissione di ricorso [v. sentenze del Tribunale del 1° febbraio 2005, SPAG/UAMI – Dann e Backer (HOOLIGAN), T‑57/03, Racc. pag. II‑287, punto 17 e giurisprudenza ivi citata, e del 31 gennaio 2012, Spar/UAMI – Spa Group Europe (SPA GROUP), T‑378/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 83].

26      Orbene, il motivo attinente alla violazione dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 non è stato dedotto dinanzi alla commissione di ricorso, come da essa rilevato al punto 40 della decisione impugnata. Tale motivo non poteva quindi, in nessun caso, essere dedotto per la prima volta dinanzi al Tribunale.

27      Pertanto, il primo motivo va respinto, in quanto irricevibile.

 Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009

28      Il ricorrente afferma, in sostanza, che la commissione di ricorso ha violato l’articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, avendo dichiarato, ai punti 13‑19 della decisione impugnata, che il ricorrente aveva presentato una richiesta relativa alla prova dell’uso effettivo del marchio anteriore, in particolare per l’abbigliamento da uomo, per la prima volta dinanzi ad essa e non dinanzi alla divisione di annullamento, desumendone la tardività di tale richiesta del ricorrente. Esso sostiene che, anche supponendo che la richiesta di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore debba essere fatta valere per la prima volta dinanzi alla divisione di annullamento e non possa più essere promossa dinanzi alla commissione di ricorso, questo argomento potrebbe essere sollevato dinanzi alla commissione di ricorso, incidentalmente e come eccezione di decadenza parziale. A suo parere, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto delle diverse finalità di una domanda di decadenza parziale erga omnes e di un’eccezione di decadenza parziale inter partes, che ha l’unico scopo di escludere il rischio di confusione tra i marchi in conflitto e permettere la loro pacifica coesistenza.

29      L’UAMI e l’interveniente contestano la fondatezza di tale secondo motivo.

30      Occorre ricordare che l’articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, intitolato «Esame della domanda», così dispone:

«2. Su istanza del titolare del marchio comunitario il titolare di un marchio comunitario anteriore, che sia parte nella procedura di nullità, deve addurre la prova che nei cinque anni che precedono la data di domanda di nullità, il marchio comunitario anteriore è stato seriamente utilizzato nella Comunità per i prodotti o per i servizi per i quali è stato registrato e su cui si fonda la domanda di nullità o che vi sono legittime ragioni per la non utilizzazione dello stesso, purché a tale data il marchio comunitario anteriore fosse registrato da almeno cinque anni (…).

3. Il paragrafo 2 si applica ai marchi nazionali anteriori di cui all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), fermo restando che l’utilizzazione nella Comunità è sostituita dall’utilizzazione nello Stato membro in cui il marchio nazionale anteriore è protetto».

31      La regola 40, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 2868/95, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario (GU L 303, pag. 1), come modificato, intitolata «Esame della domanda di dichiarazione di decadenza o nullità», così enuncia:

«Se il richiedente [la dichiarazione di nullità] deve comprovare l’utilizzazione o l’esistenza di legittime ragioni per la mancata utilizzazione ai sensi dell’articolo 56, paragrafi 2 o 3 [divenuto articolo 57, paragrafi 2 o 3, del regolamento n. 207/2009] (…) [s]i applicano, mutatis mutandis, le stesse disposizioni della regola 22 (…)».

32      La regola 22, paragrafo 1, del regolamento n. 2868/95, come modificato, sotto il titolo «Prova dell’utilizzazione», così recita:

«Una richiesta di prova dell’utilizzazione ai sensi dell’articolo 43, paragrafi 2 o 3, del regolamento [o, mutatis mutandis, dell’articolo 57, paragrafi 2 o 3, del regolamento] è ammissibile solo se il richiedente presenta tale richiesta entro il periodo specificato dall’[UAMI] secondo quanto previsto al paragrafo 2 della regola 20».

33      La regola 20, paragrafo 2, del regolamento n. 2868/95, come modificato, precisa quanto segue:

«Se l’opposizione non è respinta ai sensi di quanto previsto al paragrafo 1, l’[UAMI] comunica al richiedente [la prova dell’utilizzo] la memoria della parte opponente [o, mutatis mutandis, del richiedente la dichiarazione di nullità] e lo invita a presentare le sue osservazioni entro un termine fissato dall’[UAMI]».

34      Secondo la giurisprudenza, si presume che il marchio anteriore sia stato oggetto di uso effettivo fintantoché non sia stata presentata una richiesta di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore, e una richiesta del genere dev’essere proposta dinanzi all’UAMI espressamente e tempestivamente. L’espressione «tempestivamente», nella specie, non riguarda soltanto il rispetto di un eventuale termine assegnato, ma implica anche che è necessario presentare tale richiesta dinanzi alla divisione di opposizione o di annullamento, eventualmente, e non per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso [v., per analogia, sentenza del Tribunale del 22 marzo 2007, Saint-Gobain Pam/UAMI – Propamsa (PAM PLUVIAL), T‑364/05, Racc. pag. II‑757, punti 32‑36 e giurisprudenza ivi citata].

35      Tale giurisprudenza si fonda sul fatto che la presenza o l’assenza di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore, essendo in grado di modificare il contenuto del procedimento di dichiarazione di nullità, rappresenta una questione preliminare che deve essere risolta prima che venga presa la decisione sulla domanda di dichiarazione di nullità vera e propria. Infatti, la richiesta di una simile prova dell’uso effettivo del marchio anteriore fa gravare sul richiedente la dichiarazione di nullità l’onere della prova dell’uso effettivo del suo marchio − ovvero della sussistenza di legittime ragioni per la non utilizzazione − pena il rigetto della sua domanda di dichiarazione di nullità. Orbene, è alla divisione di annullamento che spetta decidere, in primo grado, sulla domanda di dichiarazione di nullità, come definita dalle allegazioni delle parti, compresa, eventualmente, la richiesta di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore. Quanto alla commissione di ricorso, secondo l’articolo 135, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, essa è competente a deliberare sul ricorso proposto contro la decisione della divisione di annullamento, e quindi non può pronunciarsi essa stessa in prima istanza su una nuova domanda di dichiarazione di nullità. Quindi, dato che una richiesta di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore implicherebbe l’esame, da parte della commissione di ricorso, di una questione nuova, che esula dall’ambito del procedimento di dichiarazione di nullità come presentato alla divisione di annullamento, una siffatta richiesta non può essere avanzata per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso (v., per analogia, sentenza PAM PLUVIAL, punto 34 supra, punti 37‑39 e giurisprudenza ivi citata).

36      Peraltro, tale giurisprudenza non si pone in contrasto con il principio della continuità funzionale esistente tra le singole istanze dell’UAMI, affermato dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale. Infatti, nella specie non si tratta di elementi di fatto o di diritto che non sarebbero stati dedotti dal ricorrente dinanzi alla divisione di annullamento, bensì dell’istanza di prova della seria utilizzazione del marchio anteriore, vale a dire di una nuova domanda processuale che modifica il contenuto del procedimento di dichiarazione di nullità e che rappresenta logicamente una questione preliminare all’esame della nullità, ragion per cui essa avrebbe dovuto essere proposta tempestivamente dinanzi alla divisione di annullamento [v., per analogia, sentenza del Tribunale del 18 ottobre 2007, AMS/UAMI – American Medical Systems (AMS Advanced Medical Services), T‑425/03, Racc. pag. II‑4265, punti 111 e 112 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza PAM PLUVIAL, punto 34 supra, punto 40].

37      Dalle disposizioni citate ai precedenti punti 30‑33, interpretate alla luce della giurisprudenza, si evince, innanzi tutto, che la richiesta di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore è ammissibile solo se è presentata nel termine assegnato al richiedente dalla divisione d’opposizione o di annullamento e non dalla commissione di ricorso (v., in tal senso, sentenza PAM PLUVIAL, punto 34 supra, punti 36 e 39). Ne risulta, quindi, che tale prova può essere pretesa solo su richiesta espressa del titolare del marchio contestato.

38      Nel caso di specie, è pacifico, innanzi tutto, che la richiesta di prova dell’uso del marchio anteriore è stata presentata dal ricorrente per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso, e non tempestivamente dinanzi alla divisione di annullamento, contrariamente a quanto prescritto dalle regole 20 e 22 del regolamento n. 2868/95. È dunque a buon diritto che la commissione di ricorso è pervenuta alla conclusione che tale richiesta era tardiva e l’ha respinta.

39      Quanto, poi, all’argomento del ricorrente secondo il quale la questione della prova dell’uso effettivo del marchio anteriore potrebbe essere sollevata tramite un’eccezione di decadenza parziale dinanzi alla commissione di ricorso, è giocoforza constatare che né nel regolamento n. 207/2009 né nel regolamento n. 2868/95, come modificato, è prevista un’eccezione di decadenza parziale che consenta di chiedere la prova dell’uso effettivo del marchio anteriore in qualunque fase del procedimento di nullità, e, in particolare, per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso. La decadenza parziale di un marchio anteriore può essere pronunciata, nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità, soltanto su espressa richiesta del titolare, avanzata tempestivamente dinanzi alla divisione di annullamento, alle condizioni enunciate all’articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, e non secondo una pretesa eccezione.

40      Il secondo motivo di annullamento va pertanto respinto come infondato.

 Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

41      Il ricorrente afferma che la commissione di ricorso ha violato l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, concludendo nel senso della sussistenza di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto. Esso sostiene, in sostanza, che, considerata l’assenza di somiglianza tra i prodotti effettivamente commercializzati con i marchi in conflitto, da un lato, e tra i marchi in conflitto, dall’altro, non sussisterebbe alcun rischio di confusione tra questi ultimi.

42      L’UAMI e l’interveniente contestano la fondatezza di questo terzo motivo.

43      In primis, occorre precisare che, nonostante la domanda di dichiarazione di nullità presentata dall’interveniente si fondasse sull’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 e sull’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), di questo stesso regolamento, la commissione di ricorso ha proceduto all’analisi del ricorso dinanzi ad essa proposto soltanto per quel che riguarda la prima di tali disposizioni.

44      Poi, bisogna rilevare che la commissione di ricorso ha fondato la decisione impugnata sull’esistenza delle condizioni di applicazione del combinato disposto dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), e dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. A termini dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, un marchio comunitario è dichiarato nullo, su domanda presentata all’UAMI, quando esista un marchio anteriore ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento medesimo e ricorrano le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), di detto regolamento. Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, lettere a), i) e ii), del regolamento n. 207/2009, per marchi anteriori si intendono in particolare i marchi comunitari e i marchi registrati in uno Stato membro la cui data di deposito sia anteriore a quella del marchio comunitario contestato.

45      Orbene, la causa di nullità relativa risultante dall’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, in combinato con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, corrisponde all’impedimento relativo alla registrazione sancito da quest’ultima disposizione. Pertanto, la giurisprudenza relativa al rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento è parimenti pertinente nel contesto in esame [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 15 aprile 2010, Cabel Hall Citrus/UAMI – Casur (EGLÉFRUIT), T‑488/07, non pubblicata nella Raccolta, punto 25 e giurisprudenza ivi citata].

46      Per giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro. Secondo la stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente, a seconda della percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi, e tenendo conto di tutti i fattori pertinenti nella fattispecie, in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi designati [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, Racc. pag. II‑2821, punti 30‑33 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza EGLÉFRUIT, punto 45 supra, punti 26 e 27].

47      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta in tal caso di condizioni cumulative [v., in tal senso, sentenza della Corte del 13 settembre 2007, Il Ponte Finanziaria/UAMI, C‑234/06 P, Racc. pag. I‑7333, punto 48, e sentenza del Tribunale del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, Racc. pag. II‑43, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

48      La valutazione del rischio di confusione nella mente del pubblico di riferimento dipende da numerosi fattori e deve farsi complessivamente prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie. Tale valutazione globale deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione in particolare dei loro elementi distintivi e dominanti (v. sentenze della Corte del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, Racc. pag. I‑4529, punti 34 e 35, e del 3 settembre 2009, Aceites del Sur‑Coosur/Koipe, C‑498/07 P, Racc. pag. I‑7371, punti 59 e 60 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, essa implica una certa interdipendenza dei fattori che entrano in considerazione, di modo che un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa (sentenza della Corte del 17 aprile 2008, Ferrero Deutschland/UAMI, C‑108/07 P, non pubblicata nella Raccolta, punti 44 e 45, e sentenza easyHotel, punto 47 supra, punto 41).

49      È alla luce di tali osservazioni preliminari che occorre esaminare il raffronto operato dalla commissione di ricorso tra i prodotti interessati, da un lato, e i marchi in conflitto, dall’altro, dal punto di vista del pubblico di riferimento.

 Sul pubblico di riferimento

50      La commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 26 della decisione impugnata, che occorreva prendere in considerazione il punto di vista dell’acquirente medio di abbigliamento in Italia.

51      In primo luogo, il ricorrente afferma che sarebbe stato necessario distinguere un pubblico esclusivamente maschile, cui si rivolgono i suoi prodotti, e un pubblico esclusivamente femminile, cui si rivolgono i prodotti dell’interveniente, dato che egli si dedica unicamente all’abbigliamento per uomo, in particolare «gay friendly» mentre l’interveniente si rivolgerebbe unicamente ad una clientela femminile. A questo proposito, è sufficiente rilevare, da un lato, che i prodotti tutelati da ciascuno dei marchi in conflitto riguardano un pubblico tanto maschile quanto femminile [v., per analogia, sentenza del Tribunale del 24 novembre 2005, Sadas/UAMI – LTJ Diffusion (ARTHUR ET FELICIE), T‑346/04, Racc. pag. II‑4891, punto 29] e, dall’altro, che tale affermazione, basandosi sulla richiesta tardiva di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore per i prodotti da uomo, deve essere respinta così come va respinta tale richiesta.

52      In secondo luogo, il ricorrente sostiene che il livello di attenzione che mostra il pubblico di riferimento quando acquista i prodotti di cui trattasi non è certamente basso, dal momento che tali prodotti sono durevoli ed idonei a caratterizzare in modo forte l’aspetto esteriore e la personalità dell’acquirente. Orbene, occorre rilevare che tale circostanza non inficia affatto la fondatezza della valutazione della commissione di ricorso relativa alla definizione del pubblico di riferimento e al grado di attenzione ragionevolmente alto che esso mostra all’acquisto dei prodotti considerati. Infatti, se è vero che il grande pubblico può avere maggiore attenzione per determinati marchi in questo settore, è così anche grazie all’immagine positiva e alla fama che marchi del genere hanno acquisito in seguito agli sforzi pubblicitari considerevoli e non per la natura dei prodotti in questione [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 13 settembre 2011, Ruiz de la Prada de Sentmenat/UAMI – Quant (AGATHA RUIZ DE LA PRADA), T‑522/08, non pubblicata nella Raccolta, punto 27].

53      Per concludere sul pubblico di riferimento, la commissione di ricorso ha giustamente considerato che la valutazione del rischio di confusione tra i marchi in conflitto doveva essere effettuata dal punto di vista del consumatore medio di abbigliamento in Italia.

 Sul confronto dei prodotti

54      La commissione di ricorso, al punto 21 della decisione impugnata, ha fatto del tutto sua la valutazione «circostanziata» effettuata dalla divisione di annullamento, ai punti 16‑18 della propria decisione, relativamente al confronto dei prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto così come la conclusione secondo la quale i prodotti tutelati dal marchio contestato e appartenenti alla classe 25 sono identici ai prodotti tutelati dal marchio anteriore e taluni prodotti tutelati dal marchio contestato e appartenenti alla classe 18 sono simili ai prodotti tutelati dal marchio anteriore. Peraltro, ai punti 22 e 23 della decisione impugnata, essa ha precisato che occorreva fare riferimento alle descrizioni ufficiali dei prodotti quali risultavano dalle rispettive registrazioni dei due marchi in conflitto e non, come pretendeva il ricorrente, all’attività commerciale svolta, di fatto, dalle due aziende.

55      A tal proposito, il ricorrente formula, in sostanza, tre censure. In primo luogo, egli contesta alla commissione di ricorso la motivazione troppo concisa della sua valutazione dell’identità o della somiglianza dei prodotti interessati. In secondo luogo, quanto al raffronto tra i prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto e appartenenti alla classe 25, il ricorrente sostiene che tali prodotti non sono identici, perché i prodotti contrassegnati dal marchio anteriore sono destinati ad una clientela esclusivamente femminile, mentre quelli contrassegnati dal marchio contestato si rivolgono ad una clientela esclusivamente maschile, per giunta giovane e di stile. In terzo luogo, quanto al confronto tra i prodotti appartenenti alla classe 18 contraddistinti dal marchio contestato e quelli appartenenti alla classe 25 contraddistinti dal marchio anteriore, il ricorrente addebita alla commissione di ricorso, che ha fatto sue le motivazioni della decisione della divisione di annullamento, di aver confrontato i prodotti senza tener conto della loro natura, della loro destinazione, della loro modalità di utilizzazione, e della loro possibile intercambiabilità o complementarità, in base alla loro origine o alle loro reti di distribuzione e vendita.

–        Sul difetto di motivazione

56      Sulla prima censura relativa al difetto di motivazione per quanto riguarda l’identità o la somiglianza dei prodotti di cui trattasi, occorre ricordare, in via preliminare, che ai sensi dell’articolo 75, prima frase, del regolamento n. 207/2009, le decisioni dell’UAMI devono essere motivate. Peraltro, la regola 50, paragrafo 2, lettera h), del regolamento n. 2868/95 dispone che la decisione della commissione debba contenere la motivazione. Tale obbligo ha la stessa portata di quello sancito all’articolo 296 TFUE. Orbene, per costante giurisprudenza, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve fare emergere in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’autore dell’atto. Tale obbligo ha il duplice scopo di consentire, da un lato, agli interessati di conoscere le giustificazioni alla base del provvedimento adottato al fine di tutelare i propri diritti e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il suo sindacato di legittimità sulla decisione. La corrispondenza della motivazione di una decisione a tali requisiti non va valutata solo con riferimento alla sua formulazione, ma anche al suo contesto e all’insieme delle norme che disciplinano la materia di cui trattasi [v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 28 aprile 2004, Sunrider/UAMI – Vitakraft-Werke Wührmann e Friesland Brands (VITATASTE e METABALANCE 44), T‑124/02 e T‑156/02, Racc. pag. II‑1149, punti 72 e 73 e giurisprudenza ivi citata, e del 21 novembre 2007, Wesergold Getränkeindustrie/UAMI – Lidl Stiftung (VITAL&FIT), T‑111/06, non pubblicata nella Raccolta, punto 62].

57      Occorre poi rammentare, nel contesto del presente procedimento in materia di marchi comunitari, la giurisprudenza secondo la quale, dato che la commissione di ricorso ha integralmente accolto la decisione della divisione di annullamento, e tenuto conto della continuità funzionale tra divisione di annullamento e commissione di ricorso, attestata dall’articolo 64, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 [sentenza della Corte del 13 marzo 2007, UAMI/Kaul, C‑29/05 P, Racc. pag. I‑2213, punto 30, e sentenza del Tribunale del 10 luglio 2006, La Baronia de Turis/UAMI – Baron Philippe de Rothschild (LA BARONNIE), T‑323/03, Racc. pag. II‑2085, punti 57 e 58], la decisione della divisione d’annullamento e la sua motivazione fanno parte del contesto in cui la decisione impugnata è stata adottata, contesto che è noto al ricorrente e che permette al giudice di esercitare il suo pieno controllo di legittimità quanto alla fondatezza della valutazione del rischio di confusione (v., in tal senso, sentenza VITAL&FIT, punto 56 supra, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

58      Alla luce della continuità funzionale tra divisione di annullamento e commissione di ricorso, occorre, nonostante la stringatezza della motivazione della commissione di ricorso al punto 21 della decisione impugnata, tener conto della motivazione più dettagliata fornita ai punti 16‑19 della decisione della divisione di annullamento. In particolare, essa ha rilevato, quanto ai prodotti interessati rientranti nella classe 25, che gli abiti protetti dal marchio contestato sono identici ai prodotti tutelati dal marchio anteriore, e che scarpe e cappelleria sono chiaramente affini, perché hanno la stessa finalità dell’abbigliamento, ovverosia quella di coprire il corpo umano per motivi sia estetici sia pratici. Per quanto riguarda i prodotti interessati rientranti nella classe 18, la divisione di annullamento ha operato una distinzione tra, da una parte, «articoli in cuoio e sue imitazioni non compresi in altre classi» e, dall’altra «cuoio e sue imitazioni; pelli di animali; bauli; valigie; ombrelli; ombrelloni; bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria». I primi, che sono accessori di abbigliamento, presentano una funzione estetica comune e un grado di somiglianza, che non può essere qualificato come debole, con gli articoli di abbigliamento inclusi nella classe 25 protetti dal marchio anteriore. I secondi perseguono una finalità differente da quella degli abiti, ovverosia quella di coprire il corpo umano, e non possono essere considerati simili.

59      Alla luce di quanto precede, occorre considerare che la commissione di ricorso, facendo proprie le motivazioni della decisione della divisione di annullamento, non ha operato un’analisi astratta del confronto dei prodotti interessati. Al contrario, la commissione di ricorso, con la sostituzione delle motivazioni della divisione di annullamento nella cui continuità funzionale si inserisce, ha effettuato un’analisi circostanziata al riguardo. Pertanto, la commissione di ricorso ha consentito, da un lato, al ricorrente di conoscere i motivi della decisione impugnata per poterne verificare la fondatezza e difendere i propri diritti, e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il suo sindacato di legittimità.

60      Pertanto, la prima censura del ricorrente non può essere accolta.

–       Sul confronto dei prodotti appartenenti alla classe 25

61      A proposito della seconda censura riguardante il confronto tra i prodotti cui si riferiscono i marchi in conflitto e appartenenti alla classe 25, e in particolare dell’argomento del ricorrente secondo il quale i prodotti contrassegnati dal marchio anteriore sono destinati a una clientela esclusivamente femminile, mentre quelli contrassegnati dal marchio contestato si rivolgono a una clientela esclusivamente maschile, va subito ricordato che, secondo la giurisprudenza, il raffronto dei prodotti deve vertere su quelli oggetto della registrazione dei marchi di cui trattasi e non su quelli per i quali il marchio sia stato effettivamente utilizzato, a meno che, a seguito di una domanda presentata ai sensi dell’articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, risulti che il marchio anteriore sia stato utilizzato solamente per parte dei prodotti per i quali era stato registrato (v., in tal senso, sentenza ARTHUR ET FELICIE, punto 51 supra, punto 35). Orbene, nel caso di specie, come evidenziato al precedente punto 38, la commissione di ricorso ha giustamente respinto, perché tardiva, la richiesta del ricorrente relativa all’uso effettivo del marchio anteriore. Pertanto, la commissione di ricorso, al punto 19 della decisione impugnata, ha giustamente rilevato che la descrizione dei prodotti cui occorreva riferirsi era quella riportata nel certificato di registrazione del marchio anteriore.

62      Quindi, ai fini del confronto dei prodotti di cui trattasi, bisogna riferirsi, da un lato, ai prodotti per i quali il marchio anteriore è stato registrato, ossia «Maglieria intima ed esterna, confezioni per uomo, donna e bambini, camiceria» appartenenti alla classe 25 e, dall’altro, ai prodotti tutelati dal marchio contestato, ossia gli «articoli in cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli; valigie; ombrelli; ombrelloni; bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria» appartenenti alla classe 18 nonché gli «articoli di abbigliamento, scarpe; cappelleria» appartenenti alla classe 25.

63      Alla luce della descrizione dei prodotti di cui trattasi, va osservato che i prodotti oggetto del marchio contestato includono quelli oggetto del marchio anteriore. A questo proposito, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante, qualora i prodotti oggetto del marchio anteriore includano i prodotti di cui alla domanda di marchio, tali prodotti sono considerati identici [v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 23 ottobre 2002, Oberhauser/UAMI – Petit Liberto (Fifties), T‑104/01, Racc. pag. II‑4359, punti 32 e 33; dell’8 dicembre 2005, Castellblanch/UAMI – Champagne Roederer (CRISTAL CASTELLBLANCH), T‑29/04, Racc. pag. II‑5309, punto 51, e del 21 settembre 2010, Villa Almè/UAMI – Marqués de Murrieta (i GAI), T‑546/08, non pubblicata nella Raccolta, punto 42]. Questa giurisprudenza si applica mutatis mutandis quando, come nella fattispecie, i prodotti oggetto della domanda di marchio includono i prodotti coperti dal marchio anteriore, l’inversione dei termini non invalidando il fatto che sono identici.

64      La commissione di ricorso ha quindi giustamente dichiarato, al punto 21 della decisione impugnata, che i prodotti tutelati dal marchio contestato e appartenenti alla classe 25 erano identici a quelli tutelati dal marchio anteriore e appartenenti alla medesima classe.

65      Pertanto, la seconda censura del ricorrente deve essere respinta.

–       Sul confronto dei prodotti appartenenti alla classe 18

66      Relativamente alla terza censura riguardante il confronto tra i prodotti appartenenti alla classe 18 oggetto del marchio contestato e quelli della classe 25 oggetto del marchio anteriore, e in particolare all’argomento del ricorrente secondo il quale la commissione di ricorso avrebbe dovuto tener conto di vari fattori pertinenti, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, ai fini della valutazione della somiglianza tra i prodotti o servizi controversi, occorre tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra loro. Questi fattori includono, in particolare, la loro destinazione, il loro utilizzo nonché la loro concorrenzialità o complementarità (v., in tal senso, sentenza ARTHUR ET FELICIE, punto 51 supra, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). Anche altri fattori possono essere esaminati, come i canali di distribuzione dei prodotti in questione [v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2007, El Corte Inglés/UAMI – Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños), T‑443/05, Racc. pag. II‑2579, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

67      Quanto alla destinazione e alle condizioni di utilizzo dei prodotti, occorre osservare, da un lato, che i prodotti oggetto del marchio contestato possono essere destinati agli uomini, alle donne e ai bambini, dato che il marchio contestato è stato registrato per prodotti appartenenti segnatamente alle classi 18 e 25, senza limitazione alcuna. Dall’altro, anche i prodotti oggetto del marchio anteriore possono essere destinati agli uomini, alle donne e ai bambini, dato che, come ricordato al precedente punto 61, la descrizione dei prodotti cui occorre riferirsi per il marchio anteriore è quella riportata nel certificato di registrazione.

68      Quanto all’eventuale complementarità degli «articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria», rientranti nella classe 25, e degli «articoli di cuoio e sue imitazioni non compresi in altre classi», appartenenti alla classe 18, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, i prodotti complementari sono quelli tra i quali esiste una stretta correlazione nel senso che l’uno è indispensabile o importante per l’uso dell’altro, di modo che i consumatori possono essere indotti a credere che la responsabilità della fabbricazione di tali prodotti spetti alla stessa impresa. Orbene, prodotti quali scarpe, abbigliamento, copricapi o borse a mano possono soddisfare, al di là della loro funzione principale, una funzione estetica comune contribuendo, insieme, all’immagine esteriore del consumatore interessato (v., in tal senso, sentenza PiraÑAM diseño original Juan Bolaños, punto 66 supra, punti 48 e 49 e giurisprudenza ivi citata).

69      La percezione dei legami che accomunano i prodotti interessati deve essere pertanto valutata tenendo conto dell’eventuale ricerca di un abbinamento nella presentazione di questa immagine esteriore, che implica un abbinamento tra le sue varie componenti in occasione della loro creazione o del loro acquisto. Tale abbinamento può esserci in particolare tra gli articoli di abbigliamento, le scarpe e la cappelleria, rientranti nella classe 25, e i vari accessori di abbigliamento che li completano, come le borse a mano, appartenenti alla classe 18. Tale eventuale abbinamento dipende dal consumatore interessato, dal tipo di attività per la quale è costituita questa immagine esteriore (in particolare, lavoro, sport o tempo libero) o dagli sforzi di marketing degli operatori economici del settore. Inoltre, la circostanza che tali prodotti siano spesso commercializzati nei medesimi punti vendita specializzati è idonea a facilitare la percezione, da parte del consumatore interessato, delle strette connessioni tra essi esistenti e ad avvalorare l’impressione che la responsabilità della loro fabbricazione spetti alla stessa impresa (sentenza PiraÑAM diseño original Juan Bolaños, punto 66 supra, punto 50).

70      Ne consegue che taluni consumatori percepiscono l’esistenza di una stretta correlazione tra gli articoli di abbigliamento, le scarpe e la cappelleria appartenenti alla classe 25, e gli accessori di abbigliamento corrispondenti a certi prodotti in «cuoio e sue imitazioni non compresi in altre classi», appartenenti alla classe 18, e possono quindi essere indotti a ritenere che la responsabilità della fabbricazione spetti alla stessa impresa (sentenza PiraÑAM diseño original Juan Bolaños, punto 66 supra, punto 51).

71      Nel caso di specie, gli articoli in «cuoio e imitazione del cuoio non compresi in altre classi» appartenenti alla classe 18 e contraddistinti dal marchio contestato presentano, con gli accessori di abbigliamento inclusi nella classe 25 e tutelati dal marchio anteriore, un grado di somiglianza, che, come hanno giustamente ritenuto la divisione di annullamento e la commissione di ricorso, non può essere qualificato come debole.

72      Pertanto, la terza censura del ricorrente dev’essere respinta.

73      Per concludere sul confronto dei prodotti, giustamente la commissione di ricorso ha dichiarato, al punto 21 della decisione impugnata, che i prodotti tutelati dal marchio contestato e appartenenti alla classe 25 erano identici ai prodotti tutelati dal marchio anteriore e che i prodotti tutelati dal marchio contestato e appartenenti alla classe 18 erano simili a quelli tutelati dal marchio anteriore.

 Sul confronto dei segni

74      La commissione di ricorso, al punto 26 della decisione impugnata, ha ritenuto che le coincidenze tra i marchi in conflitto fossero «così spiccate, certamente sul piano visivo e fonetico ma anche, in un certo senso, concettuale, da determinare un’impressione globale di somiglianza». A suo giudizio, gli elementi dominanti nei due segni erano i nomi e le due coincidenze più significative consistevano precisamente nella presenza comune del cognome Mayer, per di più posizionato al secondo posto in entrambi i casi, e nell’impiego, in prima posizione, di due nomi propri di persona simili, ossia David e Daniel (v. punti 29 e 30 della decisione impugnata).

75      Il ricorrente afferma, in sostanza, che la commissione di ricorso ha proceduto al confronto dei segni astrattamente, senza prendere in considerazione le differenze visive, fonetiche e concettuali. Inoltre, egli eccepisce il fatto che il cognome Mayer è molto diffuso in Italia.

–       Sul fatto che il cognome Mayer sia diffuso in Italia

76      Il ricorrente afferma, in sostanza, che, il fatto che il cognome Mayer sia diffuso in Italia osta a quanto dichiarato dalla commissione di ricorso, al punto 36 della decisione impugnata, vale a dire che tale elemento è intrinsecamente distintivo e pertanto pertinente ai fini del confronto dei segni nell’ambito della valutazione complessiva del rischio di confusione. A sostegno di tale affermazione, egli allega al ricorso un certo numero di prove documentali.

77      Quanto all’estratto di una banca dati da cui risulterebbe che l’elemento «mayer» sarebbe registrato in Italia per otto marchi, occorre rilevare che, anche a supporre che tali otto marchi siano effettivamente utilizzati nel mercato italiano, non si può dedurne che tale elemento sia diffuso in Italia, poiché otto non è un numero molto alto rispetto alle dimensioni di detto mercato. Inoltre, occorre ricordare, come ha fatto la commissione di ricorso al punto 36 della decisione impugnata, che il fattore pertinente per contestare il carattere distintivo di un elemento consiste nella sua presenza effettiva nel mercato e non nei registri o in banche dati. Orbene, il ricorrente ha dimostrato la presenza effettiva nel settore della moda in Italia soltanto di un unico marchio contenente l’elemento «mayer», vale a dire Christine Mayer.

78      Quanto all’estratto del sito Internet secondo il quale l’elemento «mayer» comparirebbe nella ragione sociale o nell’insegna di dodici imprese presenti nel settore dell’abbigliamento in Italia, nonché all’estratto del sito Internet secondo il quale il cognome Mayer sarebbe presente in 179 comuni in Italia, occorre osservare che la ragione sociale, l’insegna o il cognome sono irrilevanti, vista la sostanziale differenza tra l’uso di un termine come marchio e l’uso come ragione sociale, insegna o cognome, segni questi ultimi che non hanno lo scopo di indicare l’origine commerciale dei prodotti. Per giunta, è giocoforza rilevare che simili quantità di insegne e di comuni, considerate rispetto alle dimensioni del mercato italiano, non sono sufficienti a dimostrare, nel caso di specie, la diffusione e, di conseguenza, l’assenza di carattere distintivo dell’elemento «mayer».

79      Ne deriva che la commissione di ricorso poteva senza errore concludere, al punto 36 della decisione impugnata, nel senso del carattere intrinsecamente distintivo dell’elemento «mayer» e, di conseguenza, della sua pertinenza ai fini del confronto dei segni nell’ambito della valutazione complessiva del rischio di confusione.

80      Pertanto, la presente censura del ricorrente non può avere esito positivo.

–       Sul confronto visivo

81      Il ricorrente addebita alla commissione di ricorso di non aver tenuto debitamente conto delle differenze testuali, in particolare del contrasto tra i nomi propri David e Daniel, e della presenza di «elementi grafici diversificanti», quali la «e commerciale» (in prosieguo: la «&») e la dicitura «made in Italy» nel marchio anteriore.

82      A tale proposito, occorre osservare, da un lato, che il marchio contestato è un marchio figurativo, composto dagli elementi distintivi e dominanti «david» e «mayer», scritti in lettere minuscole, eccetto le iniziali, scritte in lettere maiuscole. Dall’altro, il marchio anteriore è un marchio denominativo composto da due elementi distintivi e dominanti, ossia «daniel» e «mayer», scritti in lettere maiuscole. Il marchio anteriore contiene anche due elementi secondari: la «&», che compare tra i due elementi distintivi e dominanti, e la menzione «made in Italy», posta accanto al termine «mayer».

83      Bisogna constatare, alla stregua della commissione di ricorso al punto 32 della decisione impugnata, che il secondo elemento comune ai due marchi in conflitto, ossia «mayer», è proprio identico. Questa coincidenza la si nota ancora di più dal momento che si possono immaginare varianti ortografiche del nome Mayer, quali Maier, Meier, Meyer, Mayr e Meir, come sottolineato dal ricorrente nelle memorie presentate dinanzi ad essa. Le prime due parole che compongono tali segni, ossia i nomi propri David e Daniel, iniziano poi entrambi con la sequenza di lettere «da». È vero che la prima parola che compone il marchio contestato termina con la sequenza di lettere «vid», mentre quella del marchio anteriore finisce con la sequenza di lettere «niel», e la prima parola del marchio contestato è leggermente più corta di quella del marchio anteriore, considerato che sono rispettivamente composte di cinque e di sei lettere, ma tali differenze non bastano a escludere una somiglianza dei marchi in conflitto sotto il profilo visivo.

84      Tale constatazione è conforme alla giurisprudenza secondo la quale, anche se in conflitto si trovano un segno denominativo e un segno figurativo e anche se il primo elemento di ciascuno dei segni in conflitto è diverso, occorre considerare che la presenza dell’elemento comune non consente di negare la sussistenza di un certo grado di somiglianza sotto il profilo visivo tra i marchi controversi [v., per analogia, sentenza del Tribunale del 14 aprile 2011, TTNB/UAMI – March Juan (Tila March), T‑433/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 40].

85      Tale constatazione non può essere peraltro rimessa in discussione dalle affermazioni del ricorrente secondo le quali i marchi in conflitto non si somigliano perché nel marchio anteriore sono presenti la «&» e la scritta «made in Italy». Innanzi tutto, occorre rilevare che tale menzione, individuando l’origine geografica dei prodotti designati dal marchio anteriore di cui trattasi, ha carattere descrittivo e, pertanto, è un elemento trascurabile. Bisogna poi osservare che la «&» è un segno tipografico comune e, di conseguenza, un elemento secondario nella percezione del consumatore medio, salvo particolari circostanze, che non sussistono nella fattispecie. Infatti, considerato il fatto che gli elementi dominanti dei marchi in conflitto sono identici o simili sul piano visivo, occorre considerare, alla stregua della commissione di ricorso, che la differenza tra i marchi risultante dalla semplice presenza della «&» non è sufficiente a dichiarare che i marchi in conflitto non sono simili sul piano visivo [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 23 febbraio 2010, Özdemir/UAMI – Aktieselskabet af 21. november 2001 (James Jones), T‑11/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 28].

86      Alla luce del fatto che il secondo elemento di entrambi i marchi in conflitto è identico, ossia l’elemento «mayer», che è distintivo e dominante in entrambi i segni, e che le due lettere iniziali del loro primo elemento, vale a dire la sequenza di lettere «da», sono identiche in una parola corta composta rispettivamente da cinque e da sei lettere, la commissione di ricorso ha giustamente dichiarato che i marchi in conflitto presentavano somiglianze visive.

87      Pertanto, la presente censura del ricorrente deve essere respinta.

–       Sul confronto fonetico

88      Il ricorrente contesta alla commissione di ricorso di non aver preso in debita considerazione le differenze di pronuncia dei nomi propri David e Daniel, né quelle dovute alla presenza della «&» e della menzione «made in Italy» nel marchio anteriore.

89      Al riguardo, occorre dichiarare che i marchi in conflitto, nei loro elementi distintivi e dominanti, sono composti da due parole di due sillabe. La seconda parola «mayer», elemento distintivo e dominante in ciascuno dei marchi in conflitto, si pronuncia in modo identico. La prima parola di detti marchi, vale a dire «david» o «daniel», si pronuncia in modo abbastanza simile, visto il fatto che la sillaba iniziale «da» è identica. Tale sillaba è poi accentuata nella pronuncia, da parte del pubblico italiano, dei nomi propri inglesi David e Daniel, mentre detta sillaba è accentuata solo per la pronuncia del nome proprio italiano Davide e non per quella del nome proprio italiano Daniele.

90      Tale constatazione non può essere confutata dalla presenza, nel marchio anteriore, della «&» e della menzione «made in Italy». Infatti, la «&» è pronunciata «e» dal pubblico di riferimento di lingua italiana. Il suono «e» non attira affatto l’attenzione del pubblico di riferimento e non è sufficiente ad escludere una somiglianza dei marchi in conflitto sul piano fonetico. Peraltro, si deve ricordare che la menzione «made in Italy» costituisce solo un elemento descrittivo e trascurabile del marchio anteriore.

91      Visti i punti comuni tra i marchi in conflitto, la commissione di ricorso ha giustamente considerato che i marchi in conflitto erano simili sul piano fonetico.

92      Pertanto, la presente censura del ricorrente deve essere respinta.

–       Sul confronto concettuale

93      Il ricorrente addebita alla commissione di ricorso di non aver preso in considerazione la differenza concettuale tra, da un lato, il marchio anteriore, che contraddistinguerebbe due persone che insieme vendono merci prodotte in Italia e unite dalla congiunzione italiana «e» e, dall’altro, il marchio contestato, che si riferirebbe ad una sola persona fisica.

94      Al riguardo, occorre rilevare che ciascuno dei marchi in conflitto è composto, per il pubblico di riferimento, ossia l’acquirente medio di abbigliamento in Italia, di un nome proprio seguito da un cognome.

95      Infatti, come giustamente sottolineato dalla commissione di ricorso ai punti 33 e 34 della decisione impugnata, l’elemento «mayer» viene compreso dal pubblico di riferimento come un cognome di origini germaniche con una certa diffusione in Italia, soprattutto in alcune zone del nord. Tale percezione da parte del pubblico di riferimento è confermata dal fatto che detto elemento si trova in seconda posizione in ognuno dei marchi in conflitto. Ciò non è inficiato dal fatto, pacifico tra le parti e ricordato dalla commissione di ricorso, che tale elemento è in realtà, nei due marchi in conflitto, un nome ebraico, precisamente un’alterazione askenazita del nome ebraico Meïr. Più precisamente, «il nome Mayer è un nome antichissimo (risalente all’epoca talmudica, da Mäir) e significa “colui che illumina” [poiché il personaggio a cui fu attribuito insegnò la Legge ai saggi]; questo nome è molto comune all’interno della comunità ebraica di Tripoli [Libia] e viene usato come nome proprio di persona» (stante la pagina 89 degli allegati alla memoria di intervento, che riporta una pronuncia del Tribunale di Milano dell’8 giugno 2007). Si deve tuttavia constatare che gli arcani dell’origine talmudica e dell’alterazione askenazita del nome ebraico Meïr o Maïr restano ignorati dall’acquirente medio di abbigliamento in Italia, che percepisce l’elemento «mayer» come un cognome d’origine germanica.

96      Del resto, si evince dall’atto di ricorso che il ricorrente non contesta tale percezione da parte del pubblico di riferimento e addirittura che egli ammette che l’elemento «mayer» possa essere percepito come un cognome, poiché si è sforzato di dimostrare che detto elemento è diffuso in Italia, non come nome ma come cognome.

97      Quanto agli elementi «david» e «daniel», essi saranno intesi dal pubblico di riferimento come riferiti a nomi di persona, data la forte somiglianza con i nomi di persona italiani corrispondenti, vale a dire Davide e Daniele. Peraltro, come rilevato dalla commissione di ricorso al punto 31 della decisione impugnata, i nomi David e Daniel si caratterizzano entrambi per un forte vincolo con la tradizione ebraica.

98      Dato che ognuno dei marchi in conflitto è composto, per il pubblico di riferimento, da un nome proprio seguito da un cognome, la semplice presenza di una «&» nel marchio anteriore non può bastare a escludere qualsivoglia somiglianza concettuale con il marchio contestato, ma può al massimo relativizzare tale somiglianza concettuale. A questo proposito, occorre ricordare la giurisprudenza del Tribunale secondo la quale la commissione di ricorso era giustamente pervenuta alla conclusione che sussistesse una somiglianza visiva, una somiglianza fonetica e una relativa somiglianza concettuale tra il marchio James Jones di cui era stata chiesta la registrazione e il marchio anteriore JACK & JONES (sentenza James Jones, punto 85 supra, punti 34‑37). Tale giurisprudenza è applicabile per analogia, vista la simmetria evidente tra la struttura di detti marchi, da un lato, e quella degli elementi distintivi e dominanti dei marchi David Mayer e DANIEL & MAYER (made in Italy), dall’altro. Peraltro, la menzione «made in Italy» è concettualmente descrittiva e trascurabile.

99      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, la commissione di ricorso ha senza errore considerato che ciascuno dei marchi in conflitto richiamava, nella mente di tale pubblico, il riferimento a un’unica persona fisica, avente un nome ebraico e un cognome germanico.

100    Pertanto, la presente censura del ricorrente deve essere respinta.

101    Concludendo sulla valutazione complessiva della somiglianza tra i segni, la commissione di ricorso è giustamente pervenuta alla conclusione, al punto 37 della decisione impugnata, che sussistesse una somiglianza complessiva, sotto i profili visivo, fonetico e concettuale, tra i marchi in conflitto.

 Sulla valutazione complessiva del rischio di confusione

102    La commissione di ricorso ha ritenuto, ai punti 38‑40 della decisione impugnata, che, tenuto conto dell’identità o della somiglianza dei prodotti interessati, nonché della somiglianza dei marchi in conflitto, sussistesse tra di loro un rischio di confusione.

103    Sulla valutazione complessiva del rischio di confusione, occorre osservare che, tenuto conto dell’identità o della somiglianza dei prodotti interessati, a seconda che appartengano alla classe 18 o 25, nonché della somiglianza complessiva, sotto il profilo visivo, fonetico e concettuale, dei segni, considerati principalmente nei loro elementi distintivi e dominanti che sono l’elemento «mayer», percepito dal pubblico di riferimento come un cognome, e i nomi di persona David o Daniel, e in via accessoria nell’elemento secondario, alla luce dei predetti elementi distintivi e dominanti, costituito dalla «&», mentre la menzione «made in Italy» risulta descrittiva e trascurabile, sussiste tra i marchi in conflitto un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

104    Tale valutazione non è inficiata dalle affermazioni del ricorrente al riguardo, dalle quali si possono dedurre sei censure. Il ricorrente eccepisce in particolare la pretesa notorietà del marchio contestato, le modalità di vendita dei prodotti di cui trattasi e la pretesa pacifica coesistenza dei marchi in conflitto.

105    Per quanto riguarda la prima censura, secondo la quale da decenni, il pubblico di riferimento è destinatario di una vasta campagna mediatica e pubblicitaria che si riferisce al marchio contestato, a tal punto che quest’ultimo usufruirebbe di una notorietà nel settore dell’abbigliamento da uomo, è sufficiente rilevare che, secondo costante giurisprudenza, solamente la notorietà del marchio anteriore, e non quella del marchio posteriore, deve essere presa in considerazione nel valutare se la somiglianza tra i prodotti contraddistinti dai due marchi sia sufficiente a provocare un rischio di confusione (v., in tal senso, sentenze Aceites del Sur-Coosur/Koipe, punto 48 supra, punto 84, e AGATHA RUIZ DE LA PRADA, punto 52 supra, punto 64 e giurisprudenza ivi citata). Tale giurisprudenza è conforme allo scopo dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, che è quello di fornire una tutela adeguata ai titolari di diritti anteriori contro domande successive di marchi comunitari identici o simili.

106    Per quanto riguarda la seconda censura secondo la quale i prodotti contraddistinti da ciascuno dei marchi in conflitto sarebbero venduti in punti vendita «monomarca» così che il rispettivo pubblico si avvicinerebbe esclusivamente all’uno o all’altro segno, si deve ricordare che la sussistenza di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto non può esser fatta dipendere dalle modalità che i titolari dei marchi controversi hanno scelto per commercializzare i loro prodotti, poiché il diritto di esclusiva conferito dal marchio comunitario non può variare a seconda delle modalità di distribuzione scelte (v., in tal senso, sentenza AGATHA RUIZ DE LA PRADA, punto 52 supra, punto 37).

107    Infatti, poiché le modalità di commercializzazione particolari dei prodotti designati dai marchi possono variare nel tempo e secondo la volontà dei titolari di tali marchi, l’analisi prospettica del rischio di confusione tra due marchi non può dipendere dalle intenzioni commerciali, realizzate o meno, e per loro natura soggettive, dei titolari dei marchi. A questo proposito è giocoforza constatare che le modalità di utilizzo dei marchi in conflitto per i prodotti di cui trattasi, quali il mercato interessato, la concorrenza e i canali di distribuzione, dipendono dalle intenzioni commerciali soggettive dei titolari rispettivi di tali marchi e non possono quindi essere prese in considerazione per la valutazione complessiva del rischio di confusione tra essi [v., in tal senso, sentenze della Corte del 15 marzo 2007, T.I.M.E. ART/UAMI, C‑171/06 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 59; del Tribunale del 9 settembre 2008, Honda Motor Europe/UAMI – Seat (MAGIC SEAT), T‑363/06, Racc. pag. II‑2217, punto 63, e del 15 dicembre 2010, Bianchin/UAMI – Grotto (GASOLINE), T‑380/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 51]. Nel caso di specie, non si può quindi escludere la sussistenza di un rischio di confusione per il solo motivo che i prodotti rispettivamente oggetto dei marchi in conflitto sarebbero venduti in punti vendita «monomarca» esclusivi e diversi gli uni dagli altri.

108    Per quanto riguarda la terza censura secondo la quale i marchi in conflitto coesisterebbero pacificamente, senza il minimo «episodio di confusione», nel mercato italiano da decenni, occorre sottolineare, innanzitutto, che l’accertamento del rischio di confusione tra i marchi in conflitto non richiede che i marchi in conflitto siano stati effettivamente confusi. Si deve, poi, ricordare che, se non può essere escluso che la coesistenza pacifica nel mercato di due marchi in conflitto possa eventualmente contribuire, unitamente ad altri elementi, a ridurre il rischio di confusione tra tali marchi nella mente del pubblico di riferimento, una simile eventualità può tuttavia essere presa in considerazione solamente qualora, nel corso del procedimento dinanzi all’UAMI, il richiedente un marchio comunitario abbia debitamente dimostrato tale pacifica coesistenza e la riduzione del rischio di confusione prodotto nella mente del pubblico di riferimento (v., in tal senso, sentenza Aceites del Sur-Coosur/Koipe, punto 48 supra, punto 82).

109    Orbene, nel caso di specie si deve necessariamente constatare che i marchi in conflitto non coesistono affatto in maniera pacifica. Infatti, le parti non negano di trovarsi opposte in varie controversie giudiziarie ancora pendenti in Italia e che riguardano i medesimi marchi. Inoltre, si evince dal fascicolo, in particolare dagli allegati alla memoria di intervento, che i giudici italiani hanno pronunciato varie decisioni in merito all’asserita contraffazione del marchio DANIEL & MAYER dell’interveniente da parte del marchio DAVID MAYER del ricorrente. Ciò detto, si deve precisare che l’autonomia del sistema del marchio comunitario rispetto ai sistemi nazionali non invalida il valore probatorio di decisioni nazionali quali prove di fatto della mancanza di pacifica coesistenza dei marchi in conflitto o altri marchi somiglianti.

110    Per quanto riguarda la quarta censura attinente alla giurisprudenza del Tribunale in base alla quale, in un settore quale quello dell’abbigliamento o della moda, in cui l’uso di segni costituiti da cognomi è abituale, si può supporre che, di norma, un nome molto comune appaia in commercio più spesso di un nome raro, che, per tale ragione, il consumatore non presupporrà l’esistenza di un collegamento economico tra tutti i titolari dei marchi costituiti dal cognome «Rossi», e che, pertanto, egli non riterrà che le imprese che commerciano in borse con il marchio SISSI ROSSI siano economicamente collegate o identiche a quelle che commerciano in scarpe con il marchio MISS ROSSI [sentenza del Tribunale del 1° marzo 2005, Sergio Rossi/UAMI – Sissi Rossi (SISSI ROSSI), T‑169/03, Racc. pag. II‑685, punto 83], è sufficiente rilevare che tale giurisprudenza non è affatto pertinente nel caso di specie, atteso che Mayer non è un cognome estremamente diffuso per il pubblico di riferimento in Italia, come può esserlo Rossi.

111    Si deve invece ricordare la giurisprudenza relativa a un cognome meno diffuso in Italia. Infatti, il Tribunale ha considerato che il consumatore italiano, per il fatto di attribuire generalmente un maggiore carattere distintivo al cognome rispetto al nome, memorizza l’elemento Fusco piuttosto che i nomi Antonio o Enzo, e che, ciò posto, la commissione di ricorso aveva potuto constatare senza commettere errori di diritto che un consumatore davanti a un prodotto munito del marchio richiesto ENZO FUSCO avrebbe potuto confonderlo con il marchio anteriore ANTONIO FUSCO, cosicché esisteva un rischio di confusione [sentenza del Tribunale del 1° marzo 2005, Fusco/UAMI – Fusco International (ENZO FUSCO), T‑185/03, Racc. pag. II‑715, punto 67].

112    Si deve osservare che la frequenza del cognome Mayer in Italia è maggiormente paragonabile a quella del cognome Fusco rispetto a quella di un cognome italiano per eccellenza come il cognome Rossi. Inoltre, i nomi di persona David e Daniel sono molto più simili rispetto ai nomi di persona Antonio e Enzo. Il rischio di confusione ne risulta quindi più elevato nel caso di specie.

113    Per quanto riguarda la quinta censura secondo la quale la natura stessa dei nomi percepibili come stranieri ridurrebbe il rischio di confusione, perché il consumatore medio sarebbe portato a prestare una maggiore attenzione a questi nomi piuttosto che a quelli nella propria lingua madre, rivestendo peraltro il nome Mayer in Italia un’assonanza germanica, nonostante la sua origine ebraica, occorre osservare, invece, che il consumatore medio, essendo più familiare con i nomi della propria lingua madre, vi presterà maggiore attenzione e percepirà eventuali differenze anche minime tra loro, mentre confonderà più facilmente nomi percepibili come stranieri, malgrado differenze significative che sarebbero percepibili dal pubblico che ha come lingua madre tale lingua straniera.

114    Per quanto riguarda la sesta censura eccepita, attinente all’utilizzo, da parte dell’interveniente, del marchio anteriore nelle grafiche più disparate, compreso a caratteri bianchi su sfondo nero o a caratteri neri su sfondo rosa, è sufficiente ricordare che il marchio anteriore è un marchio denominativo, che può essere rappresentato in tutti i modi, al contrario del marchio contestato, che è stato depositato come marchio figurativo.

115    Per concludere sulla valutazione complessiva del rischio di confusione, occorre considerare che la commissione di ricorso ha giustamente affermato che sussisteva un rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

116    È dunque a buon diritto che la commissione di ricorso ha respinto il ricorso del ricorrente contro la decisione della divisione di annullamento, la quale aveva dichiarato la sussistenza di un rischio di confusione e aveva parzialmente annullato il marchio contestato.

117    Pertanto, il terzo motivo dedotto dal ricorrente, attinente alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, è privo di fondamento e destinato ad essere respinto.

118    Alla luce dell’irricevibilità del primo motivo e dell’infondatezza del secondo e del terzo motivo, occorre respingere integralmente il ricorso proposto dal ricorrente.

 Sulle spese

119    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

120    Il ricorrente, poiché è rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese conformemente alle domande dell’UAMI e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. David Mayer Naman è condannato alle spese.

Azizi

Frimodt Nielsen

Kancheva

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 marzo 2013.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009

Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 57, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009

Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

Sul pubblico di riferimento

Sul confronto dei prodotti

– Sul difetto di motivazione

– Sul confronto dei prodotti appartenenti alla classe 25

– Sul confronto dei prodotti appartenenti alla classe 18

Sul confronto dei segni

– Sul fatto che il cognome Mayer sia diffuso in Italia

– Sul confronto visivo

– Sul confronto fonetico

– Sul confronto concettuale

Sulla valutazione complessiva del rischio di confusione

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.